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RIVISTA DI PSICOANALISI, 2014, LX, 2
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La psicoanalisi ontologica
di M. Merleau-Ponty
LUCA VANZAGO
N
ella fase del suo pensiero successiva alla pubblicazione della Fenomenologia della percezione, Merleau-Ponty ha accentuato, talora
con toni autocritici (1960a), il proprio interesse per la psicoanalisi.
Pur non avendo esigenze di fondazione della disciplina né essendo
egli stesso analista, Merleau-Ponty ha però certamente nutrito nei confronti della
psicoanalisi un interesse sempre molto forte, presente fin dalle prime opere ma
poi divenuto, col tempo, uno dei punti di riferimento privilegiati della sua riflessione. Interesse ricambiato da molti analisti, in particolare come è ovvio in Francia, dove la sua opera è stata discussa da personaggi del calibro di J.B. Pontalis e
A. Green, ma soprattutto ha trovato in J. Lacan un interlocutore attento e rispettoso delle reciproche differenze anche quando non ha fatto mancare notazioni critiche. Critiche che Merleau-Ponty ha, altrettanto amichevolmente, ricambiato:
celebre è l’episodio del Colloque di Bonneval (Laplanche, Leclaire, 1966, 61-62)
dedicato nel 1960 al tema dell’inconscio.
Possediamo purtroppo soltanto una trascrizione a opera di Pontalis dell’intervento di Merleau-Ponty, da cui si desume però come egli fosse incline a non sottoscrivere senza residui la posizione allora tenuta da Lacan relativamente all’inconscio come struttura «linguistica» (espressione usata qui per brevità sulla quale
comunque si tornerà più avanti). Una critica che non mancò di ferire Lacan, se questi se la prese con Pontalis, reo ai suoi occhi di aver deformato con il suo resoconto
Luca Vanzago è docente di Filosofia teoretica e Gnoseologia all’Università di Pavia. Membro del comitato
scientifico di Paradigmi, Chiasmi International, Philosophical Inquiries e Discipline filosofiche, fa parte del direttivo della Società italiana di Filosofia teoretica e ha pubblicato decine di saggi in Italia e all’estero.
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il senso autentico delle parole di Merleau-Ponty. Ma una critica che non impedì a
Lacan di tributare all’amico scomparso un grandioso tributo nel 1964, quando
Lacan, cambiando il programma già stabilito, dedicò il suo Seminario (l’undicesimo, sui Quattro concetti della psicoanalisi) all’opera Il visibile e l’invisibile, appena pubblicata postuma a opera di C. Lefort, e traendo da tale opera un insegnamento che rimane ancora tra i più preziosi non soltanto per la psicoanalisi ma anche per
la filosofia fenomenologica: la problematica dello sguardo della natura.
È di tale problematica che intendo parlare in questo mio intervento, poiché
essa mi pare la chiave per discutere sia della proposta teorica di Merleau-Ponty
che del suo significato filosofico e analitico insieme. L’espressione «psicoanalisi
ontologica», che ricorre in alcuni testi frammentari raccolti come «note di lavoro» in Il visibile e l’invisibile (in particolare 1964, 301-303), suona strana tanto al
filosofo che all’analista: per comprenderne il senso filosofico è necessario oltre
che opportuno indagarne i nessi con la psicoanalisi, ma questa indagine può forse
contribuire anche a una riflessione teorica sulla stessa psicoanalisi e i suoi concetti di fondo. Non essendo un analista non posso che procedere sul primo cammino, ma augurandomi che così facendo ne possa venir fuori qualcosa di buono
anche per il percorso simmetrico e inverso.1
PERCEZIONE E SESSUALITÀ NELLA FENOMENOLOGIA DELLA PERCEZIONE
Per valutare in modo adeguato il senso della presenza di una riflessione ispirata
alla psicoanalisi nel progetto di ontologia, quale Merleau-Ponty andava sviluppando negli anni precedenti la sua morte improvvisa, è necessario ricordare molto rapidamente da dove provenisse tale presenza. Sin dalla Fenomenologia della percezione (1945), in effetti, la ricerca fenomenologica merleau-pontyana si era intrecciata in modo fecondo con il «freudismo», sia pure letto attraverso il filtro dell’opera Critique des fondements de la psychologie di G. Politzer (1928), in cui l’idea di
un inconscio come altra scena viene sottomessa a una critica severa segnata dal
rifiuto del causalismo freudiano, della reificazione dell’inconscio in un secondo
pensatore la cui lucidità non è minore alla sua opposizione a quello cosciente, e della insufficiente elaborazione del concetto di percezione. Tematiche che natural1
Il tema è già stato trattato in vari modi da vari autori. Qui vorrei ricordare due saggi a mio avviso fondamentali relativi alla problematica qui indagata, e di cui tengo conto in ciò che segue: M. Carbone, La parola dell’àugure: Merleau-Ponty e la «filosofia del freudismo», ora in Una deformazione senza precedenti, 2004,109-147, e
P. Gambazzi, Fenomenologia e psicoanalisi nell’ultimo Merleau-Ponty, 1989, 105-129.
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mente incontrano il favore di Merleau-Ponty, il quale enfatizza la nozione di simbolismo non convenzionale proposta da Politzer, e continuerà a farlo anche quando
intanto avrà rivisto le proprie posizioni di partenza. Il tema del simbolismo non
convenzionale è fondamentale in effetti per comprendere il senso con cui MerleauPonty parla di sguardo della natura e merita dunque di essere ricordato.
Nella Fenomenologia della percezione Merleau-Ponty sottolinea con forza
la valenza non meramente contemplativa ma al contrario a un tempo pratica e
affettiva della percezione. Il soggetto percipiente è un corpo in situazione, vivente in un mondo fatto di oggetti dotati di un senso incarnato, cioè non quello proprio dell’evidenza del concetto e però neppure opaco come mera materia. Questo
senso incarnato si intesse, da una parte, della dinamica che il corpo vissuto istituisce col proprio mondo e, dall’altra, delle valenze affettive che tale dinamica trasporta con sé. Inoltre l’affettività è immediatamente giocata in termini di sessualità, il che se da una parte – come gli è stato sempre rimproverato – porta Merleau-Ponty a diluire l’impatto della problematica sessuale in un pensiero dell’incarnazione che, oltre tutto, non sembra contenere riferimenti alla differenza sessuale, conduce però la fenomenologia a contatto diretto con la psicoanalisi, in un
confronto entro cui Merleau-Ponty privilegia la possibilità di intendere la sessualità stessa come forma di atteggiamento intenzionale, e quindi come sfera del
senso e non della pura causalità.
Merleau-Ponty raccoglie così da Freud quanto meno l’indicazione che la pulsione si situa al confine tra il biologico e lo psichico, reinterpretando al contempo
sia il concetto di vita che quello di mente in chiave di fenomenologia del corpo vissuto. Il tutto giocato entro un contesto che segna costantemente l’indagine sulla
percezione nell’intera opera: quello del confronto con la psicopatologia. Sicché
Merleau-Ponty può scrivere che «riscopriamo la vita sessuale come una intenzionalità originale e al tempo stesso la radice vitale della percezione, della motilità e
della rappresentazione facendo riposare tutti questi “processi” su un “arco intenzionale” che nel malato si allenta, mentre nell’individuo normale dà all’esperienza
il suo grado di vitalità e di fecondità» (1945, 224).
Che la sessualità costituisca la «radice vitale» non è evidentemente una tesi
ovvia entro una cornice fenomenologica classica (anche se l’ultimo Husserl, di
cui Merleau-Ponty aveva letto molti manoscritti inediti, fa alcune affermazioni
che vanno in tal senso), ciò che però richiede un’elaborazione ulteriore, pena gravi fraintendimenti sia sul fronte psicoanalitico che, all’opposto, su quello fenomenologico.
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La critica di Merleau-Ponty si rivolge al causalismo freudiano della teoria
degli stadi e delle fissazioni. I sintomi sono da intendere piuttosto come espressioni simboliche del corpo nella sua complessità, anche se si manifestano localmente. L’afonia ad esempio non può essere ricondotta meramente alla fase orale,
perché il linguaggio è ciò che più rappresenta la vita in comune, la relazione con
gli altri, sicché l’afonia esprime un particolare rifiuto di tale relazione. Questo
non toglie che i sintomi abbiano un senso sessuale. Ma, «attraverso il significato
sessuale dei sintomi, si scopre, disegnato in filigrana, ciò che essi significano più
generalmente in rapporto al passato e all’avvenire, all’io e all’altro, cioè in rapporto alle dimensioni fondamentali dell’esistenza» (1945, 228). La malattia non
è una scena esteriore di uno stato interiore. L’afonia non è né silenzio (che è un
atto intenzionale), né una scelta voluta, né una paralisi del corpo organico. È
un’espressione di qualcosa che non si può assimilare o accettare ma che non può
neppure essere negato esplicitamente.
Queste resistenze testimoniano di un rapporto intenzionale: non sono meccanismi, proprio perché si esprimono, e cioè si manifestano con sintomi. Evidentemente però qui si tratta di una intenzionalità non coscienziale in senso classico. Il
soggetto non sa positivamente che cosa il sintomo significhi. La peculiarità del
sintomo è di celare mentre manifesta. Il che significa che i messaggi sensoriali o i
ricordi non sono colti espressamente o conosciuti da noi, se non a condizione di
una adesione generale alla zona del nostro corpo e della nostra vita da cui dipendono: «Sintomo e guarigione non vengono elaborati a livello della coscienza
oggettiva o tetica, ma in una regione sottostante» (1945, 232).
LA DIALETTICA ROVESCIATA DEL RICONOSCIMENTO SPECULARE
E LA DINAMICA INTERCORPOREA
Dopo la pubblicazione della Fenomenologia della percezione MerleauPonty delinea un progetto di ricerca molto ampio e ambizioso, che passa anche
per la riflessione condotta nei corsi di psicologia tenuti alla Sorbona, piuttosto
raramente tenuti in considerazione tanto dalla critica filosofica che da quella psicoanalitica. Per Merleau-Ponty si tratta di sviluppare il concetto husserliano di
Lebenswelt in direzione di un confronto effettivo con le scienze umane e sociali.
Quest’ottica emerge nel modo più eloquente nelle indagini che Merleau-Ponty
conduce sul tema dello sviluppo infantile, giocato in particolare sui due assi fondamentali del rapporto con gli altri e dell’acquisizione del linguaggio. EspressioRivista di Psicoanalisi, 2014, LX, 2
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ne linguistica e relazionalità intersoggettiva sono perciò le due questioni cruciali,
esaminate da Merleau-Ponty in un costante confronto con le ricerche scientifiche, ma al contempo investigate alla luce di una problematica filosofica che non
viene comunque imposta dall’esterno, ma piuttosto fatta emergere da queste stesse ricerche, come loro senso proprio. L’affermazione di Husserl per cui la vera
soggettività trascendentale è intersoggettività viene così supportata, e insieme
criticamente esaminata, alla luce di indagini che se, da una parte, confermano e
illustrano tale tesi, dall’altra la rendono anche molto più complessa e articolata. Il
confronto con la psicoanalisi di Lacan e l’antropologia di Levi-Strauss si mostra
qui in tutta la sua rilevanza.
La psicoanalisi, in particolare nella versione che ne dà Jacques Lacan, fa così
il suo vero ingresso nelle analisi di Merleau-Ponty. È con la discussione del processo di sviluppo del bambino e della relazionalità «originaria» in cui ogni individuo umano (e più avanti Merleau-Ponty estenderà tale considerazione anche alle
forme animali) si trova immerso, che l’apporto della riflessione psicoanalitica si fa
più ampio e insieme più stringente. La psicoanalisi infatti consente di approfondire le due tematiche della temporalità propria dello sviluppo dell’individuo, e della
relazionalità tra individui, secondo linee di ricerca non pregiudicate né dall’empirismo positivistico che fonda i propri concetti su di un atomismo realistico, né dall’idealismo spiritualistico che si basa su di una nozione di comunità totalizzata in
cui le differenze vengono, in definitiva, riassorbite e quindi annullate, e lo sviluppo non comporta sorprese né conflitti. Merleau-Ponty ritiene al contrario, in linea
con i risultati della Fenomenologia della percezione e in direzione dell’articolazione di tali risultati entro la riforma dell’intendimento di cui si farà interprete in Il
visibile e l’invisibile, che «l’animale umano» non divenga se stesso in attuazione
di un telos astratto, e anzi il processo di crescita, che si può chiamare «ontogenetico» (e a cui poi farà da corrispettivo il processo «filogenetico» indagato nelle
lezioni sulla natura), sia un processo fondamentalmente dialettico, indeterminato,
passibile di regressioni, di fallimenti e di patologicità. Lo sguardo psicoanalitico è
meglio attrezzato di altri a dar conto di tale complessa configurazione, senza
peraltro venire assunto in modo acritico e dogmatico, in quanto anzi MerleauPonty non esita a denunciarne anche alcune ingenuità e problemi di fondo.
La tesi fondamentale che emerge dalle analisi merleau-pontyane si può riassumere nell’affermazione che la soggettività primordiale corporea non è univoca
ma plurale. In altre parole, non esiste un ipse separato e originario che si ponga
poi in relazione ad altri soggetti, quanto piuttosto una struttura relazionale in cui
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le diverse soggettività si trovano sin dall’inizio immerse. La dinamica della strutturazione dell’identità soggettiva si articola in modo significativo nella fase dello
sviluppo del bambino immediatamente successiva ai primi mesi di vita. Questa è
anzi una fase decisiva per quanto riguarda il problema del processo di soggettivazione come istituzione di una separazione tra l’io e l’altro. Un ruolo chiave gioca
l’immagine speculare che il bambino acquisisce di sé. In questa fase infatti il
bambino perviene ad un marcato miglioramento della percezione di sé e contemporaneamente di quella degli altri. Si tratta in realtà di un unico movimento che,
producendo una strutturazione unitaria della comprensione percettiva del sé, allo
stesso tempo produce la possibilità di comprendere gli altri come sé separati. Il
che dà luogo a una nuova matrice di scambi affettivi, introiettivi e proiettivi, che
può essere considerata come la prima realizzazione di una effettiva intersoggettività. Questa forma di intersoggettività peraltro si fonda sulla situazione di intercorporeità ed indistinzione primordiale, di cui si nutre senza sorpassarla mai definitivamente. Ciò rimane vero a ogni stadio dello sviluppo del soggetto, sicché
anche le strutture più complesse dell’intersoggettività mantengono un nocciolo
della intercorporeità sincretica iniziale.
Il fenomeno fondamentale è costituito dall’istituzione, da parte del soggetto,
di una immagine speculare di sé. Questo fenomeno è stato autonomamente studiato da psicologi come Wallon e psicoanalisti come Lacan. Merleau-Ponty integra le diverse prospettive in un’ottica filosofica globale. Wallon caratterizza questo periodo dello sviluppo con il termine di sociabilità incontinente, in cui il bambino sviluppa bruscamente la conoscenza del corpo altrui. Si ha un sistema tra
coscienza introcettiva del corpo proprio, percezione del corpo proprio visto dall’esterno, e percezione dell’altro (Merleau-Ponty, 1988, 314). Il bambino, nei
suoi rapporti col proprio corpo, non distingue nettamente ciò che è dato nell’un
modo o nell’altro. Esperienza visuale e introcettiva sono date in una sorta di indistinzione. Il bambino percepisce il corpo altrui come si sente nello specchio. Ciò
che è primario, secondo queste ricerche, è una sorta di sincretismo, che inoltre
permette di comprendere le allucinazioni verbali: il fatto che il malato creda di
udire come esterne voci da lui emesse si spiega con il fatto che il discorso è un’operazione «a due» (Merleau-Ponty, 1997, 200), e nel caso patologico vi è indistinzione tra atto di parlare e atto di intendere. Si tratta in definitiva dell’impossibilità di tenere distinto ciò che è attivo e ciò che passivo. Il bambino non può limitarsi a sé nella propria vita: vi è un fenomeno di transitivismo come indistinzione
tra sé e l’altro (Merleau-Ponty, 1988, 318).
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L’analisi di Wallon deve nondimeno essere integrata e rivista nei suoi residui
di realismo ingenuo. Secondo Merleau-Ponty il rischio è, rimanendo entro l’analisi di Wallon, quello di comprendere il fenomeno della relazione speculare a partire dal concetto di immagine speculare che se ne fa un adulto. Per il bambino
dunque non si tratta soltanto di integrare cognitivamente due dati sensoriali di per
sé incommensurabili quali sono il sentimento introcettivo di sé e quello estrocettivo della propria immagine. Ciò che avviene in questa fase è un’operazione di
ristrutturazione del soggetto che può essere caratterizzata come ontologica. È
l’essere del soggetto che ne viene profondamente trasformato (1997, 204). Ciò si
comprende meglio attraverso la discussione lacaniana del fenomeno. La questione fondamentale in questo caso è infatti di comprendere perché il bambino sia
interessato all’immagine speculare.
Lacan mette in risalto la giubilazione del bambino di fronte alla propria immagine. Si tratta di un’identificazione nel senso psicoanalitico del termine, cioè la
trasformazione prodotta nel soggetto quando questo assume un’immagine (Merleau-Ponty, 1988, 319). Sicché il bambino diviene capace di essere spettatore di se
stesso. Non è più solo un io sentito, ma uno spettacolo, qualcosa che si può guardare. La personalità prima dell’avvento di questa immagine è perciò l’Es. L’immagine rende possibile un’altra visione della personalità, qualcosa che si può e si deve
vedere (1997, 202). Si può dunque dire che questa immagine fornisce un lato non
percepibile direttamente dal bambino, eppure presente, un suo invisibile, qualcosa
che «si» vede, che viene visto da altri, una passività nell’attività, cioè il riferirsi
(attivamente) al proprio sé visto da altri (passività). Questa può essere concepita
non soltanto come acquisizione di un contenuto, ma soprattutto di una nuova funzione: la contemplazione di sé, l’attitudine narcisistica (ibid., 203). Allo stesso
tempo questa immagine del corpo proprio rende possibile una sorta di alienazione
e di captazione dell’io da parte della sua immagine spaziale. L’immagine di sé perciò lo prepara a un’altra alienazione: quella operata sull’io dall’altro.
Si deve allora parlare non di intellezione ma di Gestaltung vitale (1988, 320),
sempre passibile di regressione. La psicoanalisi mette in relazione la comprensione dell’immagine e l’identificazione del bambino all’altro, e ciò avviene su
basi affettive. Il bambino non «ha» due immagini, una intellettuale e una percettiva, di cui si tratterebbe di operare la sintesi: esso piuttosto ha un corpo sentito e
uno visto a distanza e vissuto in modo fantasmatico, una sorta di ubiquità del corpo (1997, 207). L’operazione di riduzione dell’uno all’altro non può perciò avvenire in modo intellettuale ma si compie su di un piano diverso. Bisogna che il
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bambino si ponga in relazione con l’altro in quanto altro, che assuma il fatto di
avere un aspetto esteriore, che si dia un punto di vista sul suo Io.
Si ha quindi una comunicazione tra soggetti che non è quella tipica dell’adulto: la si può definire «precomunicazione» (ibid., 217). Il bambino si trova in una
situazione in cui la sua personalità non è separata dall’ambiente in cui si trova
immerso. Ciò significa anche che il bambino non si distingue come identico nel
mutare delle situazioni, ma può avere differenti atteggiamenti in situazioni differenti, perché è legato alla situazione momentanea come globale e non connessa a
relazioni di causa ed effetto con altre precedenti (il che implicherebbe appunto
che egli possa cogliersi come immutato). In alcuni malati, che hanno personalità
multiple, si vede all’opera questa logica in modo più eclatante. Questa situazione
di comunicazione non ancora differenziata tra individuo ed ambiente (essenzialmente umano) si può descrivere con il termine di transitivismo (1997, 219-20),
con cui si comprende sia il fatto che il soggetto possa attribuire ad altri caratteristiche che gli appartengono (proiezione), sia che egli viva come proprie situazioni che esistono esternamente (introiezione, mimetismo). Ciò implica in generale
che la coscienza infantile sia caratterizzata in modo peculiare: si ha indistinzione
dei diversi momenti di tempo, sincretismo dello spazio, in generale incapacità di
concepire tempo e spazio come comportanti prospettive distinte le une dalle
altre. Il pensiero infantile è generalmente prepersonale e preindividuale (ibid.,
222-24). La parola «io» appare tardivamente e solo come emergenza della capacità di distinguere se stessi dall’ambiente. L’io appare quando il tu è compreso
come riferito sia a sé sia ad altri, cioè quando si istituisce una rete strutturale che è
quindi anche la possibilità di una separazione. L’acquisizione dell’io è completa
solo verso la fine del secondo anno.
Con la cosiddetta «crisi dei tre anni» si giunge ad una tappa ulteriore. È a questo
punto che il bambino cessa di prestare il proprio corpo e pensiero agli altri, di
confondersi con la situazione e i ruoli in cui è implicato, e quindi inizia a trovare che
è qualcuno al di qua delle situazioni e dei ruoli, che «permane» come invariante e
può allora rappresentarsi una situazione invece di viverla. Merleau-Ponty dice che a
questo punto interviene una sorta di raddoppio dello spettacolo, che ha un lato
«esterno» (ciò che si vede) e uno «interno» (il fatto di vederlo, dunque di poterlo
connettere ad altri). Il bambino diviene un soggetto libero nei confronti delle intuizioni sensibili e dunque capace di redistribuirle secondo il suo pensiero. È la capacità di «guardarsi» dal di fuori, di cogliersi cioè come un’invariante, un «individuo»
che permane nelle diverse situazioni, a svolgere il ruolo fondamentale. È a questo
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stadio che compare la vergogna, che quindi non è un sentimento primitivo ma si
accompagna all’istituzione dell’identità soggettiva (ibid., 1997, 226). Gioca in ogni
caso anche qui un ruolo fondamentale l’essere guardati, cioè visibili.
Dunque l’apprensione di essere visto è la vera e propria chiave di volta per
l’istituzione dell’io. L’io appare solo quando il soggetto si coglie come visibile,
come individuabile da altri, i quali a loro volta devono poter essere compresi
come altri separati. Merleau-Ponty aggiunge che nel momento in cui l’io si costituisce, si costituisce immediatamente come doppio: cioè come colto «dal di dentro» attraverso le proprie percezioni interiori, e come colto dal di fuori, come
apparente, esposto allo sguardo altrui. Si ha quindi passaggio dall’indistinzione,
in cui vi è transitivismo e comunicazione non intersoggettiva, alla separazione
che è quindi anche sdoppiamento.
VERSO L’ONTOLOGIA DELLA CARNE
Le ampie discussioni condotte da Merleau-Ponty nei corsi sulla natura hanno
un significato rilevante anche per il problema qui indagato dei nessi tra fenomenologia e psicoanalisi, ma non possono essere trattate in questo luogo. Per ciò che
riguarda la questione qui indagata si può dire che l’indagine sulla natura serve a
Merleau-Ponty per ritrovare a livello di organismo vivente la stessa struttura di
esposizione a una visibilità generalizzata che è stata sopra descritta per ciò che
riguarda la soggettività umana. A sua volta questo conduce alla generalizzazione
ontologica di Il visibile e l’invisibile, che tuttavia è un testo molto frammentario. Si
può pertanto far riferimento al modo con cui tali problematiche trovano una formulazione sintetica in due testi pubblicati nella raccolta intitolata Segni, libro uscito nel 1960 e che quindi rappresenta, insieme a L’occhio e lo spirito, uno degli ultimi lavori che Merleau-Ponty sia riuscito a preparare per la pubblicazione.
Questi due testi, fondamentali per comprendere meglio anche l’edificio
incompleto di Il visibile e l’invisibile, sono la Prefazione all’opera, e il sovente
citato saggio «Il filosofo e la sua ombra». Nella Prefazione Merleau-Ponty delinea subito il nesso tra percezione, corporeità, intercorporeità, linguaggio, mondo
ed essere che è in fin dei conti quel «terreno» che si tratta di sondare, e che prenderà il nome di «carne».
Questo terreno non è qualcosa di indipendente dal pensiero. Anche l’azione
di pensare è presa nella pulsione dell’essere. Ossia: pensare è parte dell’essere,
viene da esso e vi risponde, non è mai un atto sovrano e separato. E questo impliRivista di Psicoanalisi, 2014, LX, 2
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ca che il pensiero è sempre allo stato nascente, e che è il tempo a modularlo, operando nella forma dell’oblio o in quella dell’acquisizione (1960b, 37). Il tempo è
quel corpo dello spirito di cui parla Valéry. Tempo e pensiero sono aggrovigliati
l’uno nell’altro e la notte del pensiero è abitata da un bagliore dell’Essere. Questo
pone il problema dell’intersoggettività, che ora viene ulteriormente approfondita. La posizione generale è quella comune a tutto lo sviluppo del pensiero di Merleau-Ponty: la visione del singolo è parte di una visione generale che si origina
nel tessuto sensibile, che è sempre singolarità molteplice e centro di irradiazione.
Sicché io posso vedere lo sguardo altrui e il suo sguardo su di me come qualcosa
che appartiene soltanto a lui e insieme che mi coinvolge ed è parte del mio mondo. Si supera così la separazione tra soggetti senza arrivare a una fusione che
vanificherebbe la visione stessa.
A sua volta, ciò impone una revisione del ruolo del linguaggio nella vita
intersoggettiva. Il linguaggio è qualcosa di molto più profondo e vitale che non il
mero involucro del pensiero. Ha ragione Freud – sostiene Merleau-Ponty – di
dire che c’è un investimento nel linguaggio. Per questo l’espressione non può
mai essere completa, come del resto mai completo è il pensiero stesso. «Tra gli
uomini, e in ognuno di loro, c’è una incredibile vegetazione di parole di cui i
“pensieri” sono le nervature» (1960b, 40-41). Il linguaggio parlato del resto
amplifica e riprende una comunicazione intercorporea già preesistente. Corpo e
linguaggio sono come fili che muovono marionette e che attirano invisibilmente i
soggetti parlanti l’uno verso l’altro.
Alla coppia oppositiva essere/nulla va quindi sostituita quella complementare visibile/invisibile. «Si dice invisibile come si dice immobile: non per ciò che è
estraneo al movimento, ma per ciò che vi si mantiene fisso. È il punto o il grado
zero di visibilità, l’apertura di una dimensione del visibile» (1960b, 45). La filosofia svela questo chiasma di visibile e invisibile, ma solo se non pretende di sorvolare sull’essere. È un movimento, come movimento è l’essere dell’uomo.
Per comprendere adeguatamente la posizione di Merleau-Ponty, è perciò cruciale sottolineare che per lui (il quale peraltro attribuisce l’idea a Husserl) l’assenza è parte integrante della presenza sensibile. È una «negatività» che non è negazione, ma latenza e assenza che contano entro la sensibilità stessa, la quale allora
evidentemente non è il regno della acefala pienezza di essere.2 Ciò ha un effetto
2
Questa tematica della negatività va messa in connessione col dibattito, articolatosi tra Merleau-Ponty,
Lacan e J. Hyppolite, relativo al concetto hegeliano di negatività e alle possibili relazioni con il tema della negazione
sviluppata da Freud nel saggio sulla Verneinung: un dibattito che attende ancora di essere studiato in profondità.
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importantissimo per la nozione di costituzione fenomenologica, perché essa viene
pensata come attuantesi su di uno strato che la precede. Non quindi uno strato che
esisterebbe in modo extra-fenomenologico e realistico, ma proprio qualcosa che si
mette in luce, entro la prospettiva fenomenologica, come precedente la coscienza,
anche se emergente proprio e solo grazie ad essa. Si tratta perciò di un inconscio
fenomenologico che va pensato e non rifiutato. È necessario sfruttare e approfondire la nozione di Fundierung che già nella Fenomenologia della percezione veniva valorizzata, ma che ora viene esplicitamente adoperata nella sua struttura di
duplice e correlativa relazione, cioè di chiasma. È l’intercorporeità stessa che sfocia nell’ontologia delle semplici cose (bloße Sachen), senza che si possa dire che
cosa viene effettivamente prima e cosa dopo. Lo strato estetico (in senso kantiano
e fenomenologico) non esiste prima della riduzione e della costituzione fenomenologiche, ma si dà in esse come più antico e come loro base e terreno, e anche
come ciò che si «dimentica da sé», come già Husserl dice in Idee II.
La teoria husserliana della sedimentazione secondo Merleau-Ponty rappresenta uno sviluppo di questa intuizione. Vi è un auto-oblio della soggettività carnale nel suo produrre l’oggettività logica: «Le forze del campo costitutivo non
procedono dunque in un’unica direzione, ma si volgono contro se stesse; l’intercorporeità si supera e infine si ignora come intercorporeità, sposta e trasforma la
propria situazione di partenza, e il movente della costituzione non può essere trovato nel suo inizio più che nella sua fine» (1960b, 227).
Pertanto la vera solitudine non è quella dell’io solipsistico, che è una finzione
di pensiero finalizzata a portare in luce la relazione tra monadi. La vera solitudine
è quella per cui l’altro non è neppure concepibile, il che significa che lì non c’è
neppure un Io, ma solo un anonimato senza nome. Il mondo solipsistico non è
quindi il mondo dell’io isolato, ma il mondo dell’anonimato anegoico. In ogni
caso, «se vi è frattura, non è tra me e l’altro, ma tra una generalità primordiale e il
sistema preciso io-gli altri» (1960b, 229). L’altro e il mio corpo nascono insieme
dalla stessa estasi originaria. Lo strato solipsistico contiene anche transitivismo e
confusione tra io e non-io. Merleau-Ponty osserva inoltre che a questo livello la
comunicazione non è problematica. Con questa tesi, egli vuol dire che essa accade, non che sia buona, perché anzi è anche fonte di confusione e di possibili patologie. L’analisi delle allucinazioni uditive, ad esempio, è possibile su questa base.
Per alcune osservazioni connesse a questo tema mi permetto di rinviare a L. Vanzago, Nature, Negativity, Event
(2009, 171-183).
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Se si vuole ancora parlare di strati di costituzione bisogna allora notare che, da
una parte, ogni nuovo strato si costruisce sull’oblio (che non è mera mancanza, ma
negazione che cancella se stessa) del precedente, che però proprio perciò (secondo
un movimento simile a quello dialettico anche se non totalizzabile) rimane nel
successivo (Cfr. Merleau-Ponty,1960b, 230). Qui Merleau-Ponty evoca la Erinnerung di Hegel. Questa circolazione, che si dà sempre come compossibilità degli
incompossibili, è la «simultaneità» di cui si parla in Il visibile e l’invisibile.
Queste analisi non trattano del mondo accaduto e configurato ex post dal
pensiero, ma del mondo dell’esperienza integrale in quanto sta accadendo, cosa
che conduce ad una riforma della nozione di coscienza, intesa ormai come ciò
che include anche la propria negazione. In definitiva qui si delinea il compito
proprio di una fenomenologia della fenomenologia: ossia quello di poter far
entrare in essa anche ciò che le resiste, il «principio barbaro» di cui parla Schelling (ibid., 232), che quindi è inteso non come strato ma come modalità dell’essere, intravista grazie all’approccio fenomenologico come ciò che sta al di fuori
di esso, ma che insieme richiede un allargamento della stessa fenomenologia per
poterne parlare. Tutto ciò va inteso nel senso con cui Freud parla dell’inconscio
come ciò che si manifesta nella coscienza in quanto inassumibile da essa.
Questa è «l’ombra» della fenomenologia di cui si parla nel titolo del saggio.
Sono analisi del tardo Husserl, ma che si innervano, secondo Merleau-Ponty, su
tutta la sua ricerca, sia in quanto essa le anticipa, sia anche perché, proprio nel
perseguire tutt’altro, le prepara e le rende possibili. Che lo volesse o meno, Husserl ha risvegliato «un mondo selvaggio e uno spirito selvaggio» (MerleauPonty 1960b, 235). Ciò non implica concessione dello spirito alla natura, sua
naturalizzazione, perché in ogni caso è questione di senso, ma al contempo è il
senso a trasformarsi, e con esso l’intelletto (ossia si richiede una nuova emendazione dell’intelletto, che non lo separi dal suo «altro»). È la scoperta dello spirito
grezzo a poter produrre tale risultato:«L’irrelativo, ormai, non è la natura in sé,
né il sistema delle apprensioni della coscienza assoluta, e nemmeno l’uomo: è
quella “teleologia” di cui parla Husserl – che si scrive e si pensa tra virgolette –
giuntura e membratura dell’Essere che si compie attraverso l’uomo» (ivi, 235).
Si può dire che in questa frase, che conclude il saggio, sia riassunto anche il progetto di Il visibile e l’invisibile nel suo complesso. L’uomo ha un ruolo che però
non è quello kantiano di produrre il culmine del telos già presente nella natura,
ma piuttosto va visto come l’effetto di un movimento che è già presente nella
natura e permane come tale anche nell’uomo, non si ferma né tanto meno si reaRivista di Psicoanalisi, 2014, LX, 2
LA PSICOANALISI ONTOLOGICA DI M. MERLEAU-PONTY
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lizza in esso, ma anzi riconduce l’uomo alla propria origine nascosta per sempre. Tale processo va inteso come indeterminato, cioè come non necessitato: gli
esseri umani avrebbero potuto non esserci.
«Il filosofo e la sua ombra» appare così come un programma di lavoro, in quanto se è vero che la direzione indicata, cioè la trasformazione della fenomenologia
della coscienza in ontologia della carne, è chiaramente delineata, d’altra parte la
sua realizzazione non è stata compiuta e aspetta ancora di essere effettivamente
svolta. Con ciò il programma di una ontologia fenomenologica della carne mostra
di possedere quanto meno i tratti metodologici di una indagine psicoanalitica sui
suoi stessi presupposti. Ciò che la morte improvvisa di Merleau-Ponty ha lasciato
ai posteri da pensare è forse ancora questo compito paradossale ma fecondo.
SINTESI E PAROLE CHIAVE
In questo saggio ci si prefigge di mostrare innanzi tutto in che misura la psicoanalisi di Freud e poi
di Lacan abbia influenzato il pensiero fenomenologico di M. Merleau-Ponty. In secondo luogo si
intende sostenere anche che l’interpretazione data da Merleau-Ponty alla psicoanalisi non consiste
né in una mera ripetizione né, all’opposto, in una critica distruttiva, quanto in un tentativo di
appropriazione creativa che recepisca in particolare l’intuizione psicoanalitica di una struttura complessa dell’esperienza soggettiva. Il metodo psicoanalitico è progressivamente integrato all’approccio fenomenologico in direzione di un pensiero dell’intersoggettività incarnata che sfocia in
una prospettiva ontologica fondata sulla nozione di carne.
PAROLE CHIAVE: Corporeità, fenomenologia, inconscio, intercorporeità, intersoggettività, ontologia.
MERLEAU-PONTY’S ONTOLOGICAL PSYCHOANALYSIS. In this paper, I aim first to show to
what extent Freud’s and Lacan’s approaches to psychoanalysis influenced Merleau-Ponty’s phenomenological thought. Second, I argue that Merleau-Ponty’s interpretation of psychoanalysis
consists neither of mere repetition nor of destructive criticism, but rather of an attempt at creatively
appropriating it that accepts in particular the psychoanalytic intuition of the complex structure of
subjective experience. The psychoanalytic method is progressively integrated by Merleau-Ponty
into the phenomenological approach, in the direction of a conception of incarnated intersubjectivity that aims at an ontological perspective grounded in the notion of flesh.
KEYWORDS: Corporeity, intercorporeity, intersubjectivity, ontology, phenomenology, unconscious.
LA PSYCHANALYSE ONTOLOGIQUE DE M. MERLEAU-PONTY. Dans cet article, nous voulons
montrer tout d'abord, dans quelle mesure la psychanalyse de Freud et de Lacan ont influencé la
pensée phénoménologique de M. Merleau-Ponty. Deuxièmement, nous intendons soutenir également que l'interprétation donnée par Merleau-Ponty à la psychanalyse ne consiste pas en une
simple répétition ni, au contraire, en une critique destructrice, mais, en une tentative d’appropriation créative qui comprend en particulier l’intuition psychanalytique d’une structure complexe de
l'expérience subjective. La méthode psychanalytique est progressivement intégré à l'approche
phénoménologique, en direction d’une pensée de l’intersubjectivité incarnée qui debouche dans
une perspective ontologique fondée sur la notion de chair.
MOTS CLÉS: Corporéité, inconscient, intercorporéité, inter-subjectivité, ontologie, phénoménologie.
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Luca Vanzago
EL PSICOANÁLISIS ONTOLÓGICO DE M. MERLEAU-PONTY. En primer lugar, este ensayo se propone de mostrar en qué medida el psicoanálisis de Freud y sucesivamente de Lacan hayan influenciado el pensamiento fenomenológico de Merleau-Ponty. En segundo lugar intenta sostener que la
interpretación que Merleau-Ponty dió del psicoanálisis no representa una mera repetición, ni una crítica destructiva, sino la tentativa de una apropiación creativa que enfatice en particular la intuición
psicoanalítica de una estructura compleja de la experiencia sujetiva. El método psicoanalítico se ha
paulatinamente integrado al criterio fenomenológico, hacia un pensamiento de la intersubjetividad
encarnada, que desemboca en una perspectiva ontológica, basada en la noción de carne.
PALABRAS CLAVE: Corporeidad, fenomenología, inconsciente, intercorporeidad, intersubjetividad, ontología.
EIN DING SEIN, WAS FÜHLT: DAS SUB-KATEGORIELLE BEI MAURICE MERLEAU-PONTY. Die
Abhandlung beschäftigt sich mit dem Thema des Fühlens, eine problematische und übrigbleibende Entität beim kartesischen Paradigma, nicht herabsetzbar und beispielhaft beim neuen, von Merleau-Ponty vorgeschlagenen Paradigma. Die phänemologische Analyse des Fühlens ermöglicht
das Abweichen von der Subjektivität, begriffen als Ding, das sich auf das körperliche Bewusstsein
bezieht; von der Erfahrung des 'cogito' zur Erfahrung des Fleisches; von der Überlegenheit des
kategoriellen Gedankenganges zur zentralen Lage des prä-kategoriellen oder des sub-kategoriellen; vom Verstehen der Welt zum Bewohnen der Erde; Der Vorschlag stammt von einer Konzeption
des radikal anti-reduktionistischen Subjekts, inkarniert und umweltlich.
SCHLÜSSELWÖRTER: Erdboden, Fleisch, Gedanken, Gefühle, Körper, prä-kategoriell, Reduktion,
Überlegung, Welt.
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Luca Vanzago
Dipartimento di Studi Umanistici
Sezione di Filosofia
Università di Pavia
Piazza Botta, 6
27100 Pavia
e-mail: [email protected]
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