LE TECNICHE IMMAGINATIVE IN TERAPIA COGNITIVA Strategie di assessment e di trattamento basate sull’imagery ANN HACKMANN JAMES BENNET-LEVY EMILY A. HOLMES EDIZIONE ITALIANA A CURA DI NICOLA MARSIGLI ECLIPSI Collana Scienze Cognitive e Psicoterapia, con la Supervisione ScientiÞca dell’Istituto di Psicologia e Psicoterapia Comportamentale e Cognitiva (IPSICO, Firenze) Traduzione italiana di: Oxford Guide to Imagery in Cognitive Therapy Ann Hackmann, James Bennett-Levy, & Emily A. Holmes Traduzione: Elisa Brumat Cura: Nicola Marsigli Videoimpaginazione: Gesp srl Editing: Andrea Pioli Copyright © 2011 Oxford University Press Great Clarendon Street Oxford OX2 6DP Copyright © 2014 Eclipsi srl Via Mannelli 139 50132 Firenze Tel. 055-2466460 www.eclipsi.it 978-88-89627-26-6 I diritti di traduzione, di riproduzione, di memorizzazione elettronica, di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microÞlm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i paesi. A Wilhelm, Anneke, Corinna e Dylan A. H. A Judy J. B. L. Ad Alan e Astrid E. H. SOMMARIO Gli autori VII Ringraziamenti 1 Prefazione 3 Introduzione 5 Saggio introduttivo 11 L’imagery nella tradizione della terapia cognitiva di Beck 25 La fenomenologia dell’imagery nella pratica clinica 31 Ricerca sperimentale sull’imagery: implicazioni per la pratica clinica 55 Le componenti efÞcaci degli interventi di imagery nella pratica clinica 73 Le basi degli interventi di imagery: principi e strategie generali 93 CAPITOLO 6 Assessment dell’imagery 111 CAPITOLO 7 La micro-formulazione dell’imagery 125 CAPITOLO 8 Lavorare sulle immagini intrusive diurne 137 CAPITOLO 9 Utilizzare l’imagery per lavorare con i ricordi angoscianti 157 CAPITOLO 10 Lavorare sull’imagery notturna 187 CAPITOLO 11 Lavorare con l’imagery metaforica 205 CAPITOLO 12 Imagery positiva: goal setting, skills training e problem solving 227 CAPITOLO 1 CAPITOLO 2 CAPITOLO 3 CAPITOLO 4 CAPITOLO 5 CAPITOLO 13 CAPITOLO 14 BibliograÞa Imagery positiva: creare “nuovi modi di essere” 241 Futuri sviluppi delle tecniche immaginative in terapia cognitiva 263 271 GLI AUTORI Ann Hackmann è una delle ricercatrici più inßuenti nel campo dell’imagery. Negli ultimi 15 anni ha studiato il ruolo dei ricordi intrusivi nella depressione (assieme a Jon Wheatley e a Chris Brewin) e nel Disturbo Post-Traumatico da Stress (assieme ad Anke Ehlers), oltre che dei ricordi dell’infanzia nella Fobia Sociale (assieme a Jennifer Wild e a David Clark). Nel 2004 ha curato con Emily Holmes un’edizione speciale della rivista Memory dedicata al tema dell’imagery. Ha collaborato con David Clark e Anke Ehlers in diversi studi randomizzati controllati, e di recente ha studiato assieme a Mark Williams l’efÞcacia della terapia mindfulness based nel trattamento della depressione e di altri disturbi. InÞne, ha curato la Oxford Guide to Behavioural Experiments in Cognitive Therapy (Bennet-Levy, Butler, Fennell, Hackmann, Mueller e Westbrook, 2004) e, assieme a Gillian Butler e a Melanie Fennel, ha scritto il libro Cognitive Therapy for the Anxiety Disorders: Mastering Clinical Challenges (2008). James Bennet-Levy è professore associato presso l’Università di Sidney, all’University Centre for Rural Health (North Coast). Ha curato due testi clinici fondamentali: la Oxford Guide to Behavioural Experiments in Cognitive Therapy (Bennet-Levy, Butler, Fennell, Hackmann, Mueller e Westbrook, 2004) e la Oxford Guide to Low Intensity CBT Interventions (Bennet-Levy, Richards, Farrand et al., 2010). Insegna e divulga le principali tecniche della terapia cognitivo-comportamentale e nell’ultimo decennio ha pubblicato numerosi saggi pratici e teorici su di essa. Il suo interesse per l’imagery e per gli esperimenti comportamentali nasce dalla constatazione della capacità che hanno gli interventi sperimentali mirati nel trasformare il vissuto dei pazienti. Emily A. Holmes, psicologa clinica, è dottore di ricerca in neuroscienze cognitive presso il dipartimento di psichiatria dell’università di Oxford. Ha una comprovata esperienza clinica nel campo dell’imagery (in particolar modo riguardo ai ricordi traumatici) e attualmente si occupa della depressione e dei disturbi bipolari. Le sue ricerche nel campo della psicopatologia sperimentale, focalizzandosi sulle immagini mentali, puntano a identiÞcare i meccanismi cognitivi che sono alla base del disagio emotivo presente in molti disturbi psicologici. È Senior Research Fellow e Wellcome Trust Clinician Fellow e nel 2010 le è stata assegnata la medaglia British Psychological Society Spearman. Ha ricevuto delle sovvenzioni per la ricerca da parte del Wellcome Trust, della Royal Society, dell’Economic and Social Research Council (ESRC), del John Fell OUP Research Fund e della Lupina Fundation. Ha fondato a Oxford il team di ricerca “EPaCT” (Experimental Psychopatology and Cognitive Therapy). Per ulteriori dettagli si consulti la pagina http://www.psychiatry.ox.ac.uk/epct/publications/ index_html. RINGRAZIAMENTI Nello scrivere questo libro ci siamo ispirati al lavoro di diversi autori, tra i quali vogliamo citare soprattutto Aaron T. Beck (che ha sempre riconosciuto il ruolo fondamentale dell’imagery nella terapia cognitiva), David Clark e Anke Ehlers (i cui studi sui disturbi d’ansia hanno fatto luce sul concetto di imagery in psicopatologia), e inÞne Andrew Mathews (che ha incoraggiato e sostenuto la ricerca sull’imagery nella psicopatologia sperimentale). Ringraziamo anche Arnoud Arntz, Tom Borkovec, Chris Brewin, Gillian Butler, Martin Conway, Melanie Fennel, Art Freeman, Paul Gilbert, Nick Grey, Kees Korrelboom, Mary Anne Layden, Deborah Lee, Christine Padesky, Jeffrey Young e Kerry Young. Siamo grati ai nostri colleghi e collaboratori: Jackie Andrade, Mike Berger, Myra Cooper, Catherine Crane, Tim Dalgeish, Rachel Handley, James Hawkins, Colette Hirsch, Bundy Mackintosh, Michelle Moulds, Paul Salkovskis, Anne Speckens, Creaig Steel, Luisa Stopa, Richard Scott, David Veale, Adrian Wells, Jon Wheatley, Jennifer Wild e Mark Williams. Un ringraziamento speciale va a tutti coloro che hanno contribuito in prima persona alla realizzazione di questo libro: David Edwards (che ha scritto un dettagliato resoconto storico sull’utilizzo dell’imagery in psicoterapia), Aaron T. Beck (che ha scritto la prefazione del volume) e tutti coloro che ci hanno fornito i casi clinici che troverete alla Þne di ciascun capitolo (Arnoud Arntz, Judith Beck, Chris Brewin, David Edwards, David Gillanders, Margret Hovanec, Deborah Lee, Kathleen Mooney, Michelle Moulds, Martina Mueller, Nick Page, Christine Padesky, Clare Philips, Diana Sanders e Jon Wheatley). Emily Holmes ringrazia in particolar modo il Wellcome Trust, la Royal Society e la Lupina Fundation - che hanno Þnanziato le sue ricerche - e il suo laboratorio EPaCT (Experimental Psychopatology and Cognitive Therapy) per l’entusiasmo profuso nella ricerca sull’imagery. È particolarmente riconoscente a chi le è stato accanto durante la stesura di questo libro: Chantal Berna, Simon Blackwell, Mike Browning, Ian Clark, Anna Coughtrey, Catherine Deeprose, Martina Di Simplicio, Susie Hales, Ella James, Tamara Lang, Aiysha Malik, Arnaud Pictet, Dhruvi Shah, Sophie Wallace-Hadrill, Muriel Hagenaars e Julie Krans. Ringraziamo Charlotte e il Rouge-Design Center per le opere d’arte riprodotte in queste pagine: il linguaggio visivo è fondamentale quando si lavora con l’imagery. InÞne, siamo molto riconoscenti alla British Association for Behavioural and Cognitive Psychoterapies (BABCP), che ci ha messo a disposizione per anni degli spazi per i vari meeting e workshop sull’imagery, permettendoci di essere produttivi e di approfondire quest’ambito di conoscenza. PREFAZIONE Nello sviluppare una teoria cognitiva della psicopatologia mi sono inizialmente basato sulla capacità dei miei pazienti di condividere le proprie percezioni interne, cosa decisamente favorita dall’imagery (Beck, 1970), che ha contribuito sia a livello teorico che a livello pratico all’evoluzione della terapia cognitiva. Nonostante questo, tuttavia, è solo negli ultimi 10 anni che si è dedicato particolare attenzione alla ricerca e alla pratica clinica basate sull’imagery. Questo libro contribuisce signiÞcativamente alla ricerca in questo campo, sintetizzandone gli sviluppi empirici e clinici. Ann Hackmann e Emily Holmes, illustri ricercatrici esperte nell’uso dell’imagery in terapia cognitiva, hanno scritto assieme a James Bennett-Levy, che le ha supportate con la sua esperienza clinica ed editoriale, questa guida esaustiva e coinvolgente alla ricerca e alla pratica clinica basate sull’imagery. Questo libro è al contempo una guida per i professionisti e un punto di riferimento per i ricercatori che operano in questo settore. Chi avesse poca dimestichezza con le tecniche immaginative ne apprezzerà certamente la chiarezza: gli esempi e le illustrazioni permetteranno infatti di familiarizzare rapidamente con i metodi proposti. I clinici più avvezzi ad esse, invece, potranno afÞnare e approfondire le proprie conoscenze, espandendo il proprio repertorio e imparando a trattare pazienti e sindromi sempre differenti. Questo libro rappresenta una guida essenziale - oltre che necessaria - per comprendere i principali concetti concernenti l’imagery, che viene sempre più riconosciuta quale elemento fondamentale nella genesi, nel mantenimento e nel trattamento della psicopatologia. Nei prossimi anni credo inßuenzerà signiÞcativamente la ricerca sperimentale che verrà condotta in quest’ambito nella psicologia e nelle neuroscienze cognitive. Aaron T. Beck INTRODUZIONE L’imagery è una delle frontiere più innovative della terapia cognitiva: è una tematica particolarmente stimolante, che racchiude interessanti prospettive di trattamento. Attraverso questo libro, che abbiamo scritto sia per i clinici (afÞnché possano ampliare il proprio bagaglio di conoscenze e usarlo con più dimestichezza) sia per i ricercatori (afÞnché si confrontino con questo Þorente settore di studio) intendiamo offrire una panoramica aggiornata sui suoi ultimi sviluppi teorici e pratici. Desideriamo anche manifestare il nostro entusiasmo per ciò che consideriamo un campo di indagine tanto affascinante e gratiÞcante. Molti terapeuti conoscono solo marginalmente gli ultimi sviluppi nel campo dell’imagery e si servono sporadicamente di essa in ambito clinico. Altri invece, pur servendosene frequentemente, non possiedono le conoscenze necessarie per approfondirne l’utilizzo. Ci auguriamo che questo libro sia al contempo una fonte di informazioni e una guida pratica, che illustra ai professionisti come poter sfruttare creativamente ed efÞcacemente l’imagery in situazioni diverse e per manifestazioni cliniche differenti. Negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso, l’imagery ha avuto un ruolo fondamentale nei trattamenti comportamentali di desensibilizzazione sistematica e di ßooding, oltre che nella terapia multimodale di Lazarus. Beck ne ha rimarcato l’importanza Þn dagli albori della terapia cognitiva e, tra la Þne degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, David Edwards, Jeffrey Young e Mary-Anne Layden ne hanno iniziato a descrivere l’applicazione in tale ambito. È solo nell’ultimo decennio, tuttavia, che ricercatori e clinici l’hanno analizzata nel dettaglio, cercando di chiarirne il ruolo nei normali processi cognitivi, nella psicopatologia e nel cambiamento terapeutico. L’inizio del ventunesimo secolo è stato particolarmente produttivo per lo studio dell’imagery, tanto che le teorie a riguardo e i trattamenti che la includono sono aumentati in modo esponenziale. È molto probabile che nel prossimo decennio la ricerca e la pratica in quest’ambito si diffonderanno ancora di più, sia nella terapia cognitiva che nelle altre psicoterapie. Ci è sembrato pertanto opportuno riassumere le attuali conoscenze in un’opera fruibile dai clinici e dai ricercatori, a prescindere dal loro livello di esperienza. Il nostro obiettivo è quello di offrire una guida sistematica ai clinici, giacché Þno ad oggi l’imagery è stata affrontata in modo frastagliato; è infatti applicabile a diversi disturbi, ma non viene utilizzata allo stesso modo in tutti i protocolli di trattamento (a volte è quasi del tutto assente). Attraverso questo libro, dal taglio trans-diagnostico, abbiamo cercato di dare maggiore coerenza all’argomento, fo- 6 Le tecniche immaginative in terapia cognitiva calizzandoci sul processo terapeutico anziché sugli speciÞci disturbi, ed evidenziando il legame intercorrente tra ricerca sperimentale, teoria e pratica clinica. Ci auguriamo che esso possa servire tanto ai clinici quanto ai ricercatori. L’imagery è infatti una branca affascinante e ricca di opportunità: un altro nostro obiettivo è pertanto quello di stimolare il lavoro di questi ultimi. Abbiamo cercato di: 1. basare tutto il libro sulle conoscenze relative all’imagery, attualmente in fase di rapida evoluzione a livello clinico e sperimentale; 2. sviluppare un manuale per i terapeuti fondato su queste conoscenze; 3. corredare il libro di casi clinici, afÞnché questi possano comprendere come l’imagery può essere usata creativamente nel corso del trattamento. Quella che doveva essere un’opera di modesta entità è diventata un libro di una certa ampiezza; abbiamo dovuto scegliere cosa inserire e cosa escludere, soffermandoci in particolar modo sulle prospettive attuali e future, anziché su quelle passate. Non ci dilungheremo quindi sulla desensibilizzazione sistematica o sul ßooding - senza volerne sminuire l’importanza nelle prime fasi della terapia comportamentale -, ma daremo spazio agli approcci emergenti, quali l’uso delle metafore in terapia cognitiva e la Compassion-Focused Therapy. Abbiamo inoltre scelto di concentrarci sul processo degli interventi di imagery, anziché sulle diverse terapie: non scenderemo pertanto nei dettagli della Schema Therapy1, della MBCT (Mindfulness-Based Cognitive Therapy)2, dell’MCT (Metacognitive Therapy)3 e dell’EMDR (Eye-Movement Desensitization and Reprocessing), pur riconoscendo il valore di ognuna di esse. Evidenzieremo invece alcuni aspetti chiave di queste terapie dal punto di vista della teoria, dei processi e delle tecniche, sottolineando l’importanza delle credenze metacognitive, dell’accettazione non giudicante e delle tecniche di autoregolazione per accedere ai ricordi d’infanzia e traumatici, e per poterci lavorare. La parte principale del libro è introdotta da un saggio di David Edwards (Dalle antiche guarigioni sciamaniche alla psicoterapia del XXI secolo: il ruolo delle tecniche immaginative nel cambiamento psicologico). Come Edwards ha magistralmente dimostrato, l’imagery gioca un ruolo centrale nella consapevolezza umana e nelle pratiche di guarigione da almeno 20.000 anni, e la psicoterapia, Þn dalla sua nascita, ne ha riconosciuto il valore. 1 Si veda il volume Schema Therapy. La terapia cognitivo-comportamentale integrata per i disturbi della personalità, di J.E. Young, J.S. Klosko, & M.E. Weishaar. Firenze: Eclipsi. 2 Si veda il volume Mindfulness e Acceptance in psicoterapia. La terza generazione della terapia cognitivocomportamentale. A cura di F. Bulli & G. Melli. Firenze: Eclipsi. 3 Si veda il volume Terapia Metacognitiva dei disturbi d’ansia e della depressione, di A. Wells. Firenze: Eclipsi. Introduzione 7 La parte principale del libro è a sua volta suddivisa in 5 parti: la prima - La contestualizzazione dell’imagery - presenta la cornice storica, teorica, fenomenologica e sperimentale su cui si basa il resto del libro. Il primo capitolo spiega come lo studio dell’imagery e delle relative tecniche terapeutiche si inserisca nel contesto teorico e ÞlosoÞco della terapia cognitiva di Beck. Il capitolo 2 illustra le manifestazioni dell’imagery in diversi disturbi e ne esamina la fenomenologia - talvolta sconcertante - che ha cominciato ad essere compresa solo di recente, alla luce degli ultimi sviluppi delle teorie sulla memoria. Nella parte Þnale del capitolo chiariremo le deÞnizioni e i termini utilizzati in questo libro. Il capitolo 3 esamina le prove sperimentali sull’imagery ed evidenzia il legame di questa con le emozioni, oltre a dimostrare la rilevanza degli interventi imagery-based nella pratica clinica. Il capitolo 4 si concentra sulla teoria e sulla ricerca, cercando di individuare le componenti più efÞcaci degli interventi di imagery (che saranno oggetto della terza e della quarta parte del volume). La seconda parte - Preparazione agli interventi di imagery - è divisa in tre capitoli: il 5 è pensato per i clinici e speciÞca “cosa fare e cosa non fare” quando si propone ai pazienti un intervento basato sull’imagery. Il capitolo 6, che si concentra sui metodi per valutare l’imagery dei pazienti e il suo impatto, anticipa logicamente il 7, la Micro-formulazione dell’imagery, che introduce una formulazione della terapia cognitiva centrata sul ruolo dell’imagery nelle manifestazioni cliniche. La terza e la quarta parte si focalizzano sugli interventi terapeutici: solitamente i pazienti giungono in terapia con un’imagery negativa disturbante (sotto forma di immagini intrusive, ricordi o incubi). La parte 3 - Interventi di imagery: trasformare e rimuovere le immagini negative - si concentra su come eliminare l’imagery negativa trasformandone i contenuti e i signiÞcati, e affronta l’imagery intrusiva diurna (capitolo 8); successivamente vengono trattate l’imagery associata ai ricordi (capitolo 9), l’imagery notturna - inclusi i sogni e gli incubi - (capitolo 10) e l’imagery metaforica (capitolo 11). Abbiamo suddiviso ogni capitolo in fasi e processi chiaramente deÞnibili, ovvero: • • • • • • • • Familiarizzazione del paziente Evocazione e valutazione dell’imagery Micro-formulazione dell’imagery Manipolazione dell’imagery Differenziazione dell’imagery Trasformazione dell’imagery Costruzione di un ponte emozionale con il passato Creazione dell’imagery Ci auguriamo in tal modo di poter uniformare quella che a prima vista sembrerebbe solo una serie di interventi differenti. 8 Le tecniche immaginative in terapia cognitiva La parte 4 - Interventi di imagery: creare una nuova imagery positiva - consta di due capitoli che sottolineano la necessità di creare un’imagery positiva ex novo, anziché modiÞcare quella negativa. Il capitolo 12 dimostra come l’imagery potenzi le tecniche tradizionali di terapia cognitiva utilizzabili con ogni paziente (ad esempio, la deÞnizione degli obiettivi). Il capitolo 13 sottolinea l’efÞcacia degli interventi di imagery nei pazienti con difÞcoltà di lungo corso o croniche e privi di credenze o immagini positive su se stessi (come quelli con bassi livelli di autostima o compassione verso se stessi, o che presentano disturbi di personalità). In questi casi, l’obiettivo della terapia è quello di costruire nuove immagini positive. La parte 5 - Commenti conclusivi - esamina le possibili prospettive future dell’imagery: abbiamo appena iniziato ad esplorarne il potenziale negli interventi psicoterapeutici, e siamo certi che si rivelerà un fecondo campo di indagine per studiosi e ricercatori. Questo libro ci ha dato molte soddisfazioni; una delle più grandi è stata quella di aver avuto Aaron T. Beck, che ha sottolineato l’importanza dell’imagery già agli albori della terapia cognitiva, come autore della prefazione. Adesso, a 30 anni di distanza, iniziamo a comprendere il signiÞcato delle sue parole. Le sue brillanti osservazioni, come speciÞchiamo nel primo capitolo, hanno ispirato il nostro lavoro. Siamo anche molto grati a David Edwards, che ha scritto il saggio iniziale, perfetta introduzione storica alle tecniche immaginative. Ringraziamo Charlotte Holmes per le sue opere d’arte, che illustrano magistralmente il libro. Ogni litograÞa rißette la sua personale visione artistica dei temi trattati. Ringraziamo tutti i colleghi e gli amici che ci hanno accompagnato lungo questo viaggio, troppo numerosi per essere menzionati singolarmente. Un ringraziamento speciale va ai colleghi che ci hanno concesso di inserire in questo libro alcuni casi clinici. Ne abbiamo apprezzato i contributi che aiutano il lettore a inquadrare l’imagery nelle pratiche psicoterapeutiche evidence-based. Ci auguriamo che la ricca bibliograÞa al termine del volume induca i lettori ad approfondire il nostro lavoro, ma soprattutto auspichiamo che, da qui al prossimo decennio, questo libro possa essere pubblicato in una nuova edizione: pur essendo fermamente convinti del valore dell’imagery, non sappiamo quali potranno essere i progressi della ricerca negli anni a venire! SAGGIO INTRODUTTIVO Dalle antiche guarigioni sciamaniche alla psicoterapia del XXI secolo: il ruolo delle tecniche immaginative nel cambiamento psicologico David Edwards L’uso dell’imagery nel setting psicoterapeutico ha una storia articolata e complessa, che è a tutt’oggi di grande attualità. (Achterberg, 1985, p. 149) Le tecniche immaginative vengono utilizzate da quasi 20.000 anni. Fin dai tempi delle guarigioni sciamaniche, furono impiegate per modiÞcare i processi cognitivi consci e inconsci (Achterberg, 1985). Nei templi di Imhotep, gli antichi egizi impiegavano il metodo di incubazione dei sogni che, a partire dal V secolo a.C., è stato applicato anche nei templi greci di Esculapio (Meier, 2003; Oberhelman, 1983). Il letto su cui giaceva la persona era chiamato cline - da cui origina il termine “clinico” - e l’assistente era denominato therapeutes - da cui deriva l’appellativo “terapeuta”. Nel buddismo tibetano riscontriamo la presenza, sin dall’VIII secolo d.C., di pratiche di visualizzazione meditativa delle divinità (Beer, 2004; Samuels & Samuels, 1975), mentre nell’Italia cristiana S. Ignazio di Loyola (1491-1556), fondatore dell’ordine dei gesuiti, ha reso popolare la visualizzazione degli episodi salienti delle vite dei santi (Haraguchi, 2009). Nella ÞlosoÞa e nella medicina occidentale il termine “immaginazione” è stato usato da Aristotele (384 a.C. - 322 d.C), da Galeno (129 d.C. - 199 d.C.) e da Paracelso (1493-1541) per indicare i signiÞcati personali presenti sotto forma di credenze, di atteggiamenti o di immagini. Il giovane Galeno era stato therapeutes a Pergamo, presso il tempio di Esculapio, il quale gli era apparso più volte in sogno (Oberhelman, 1983). Il concetto di immaginazione ha permesso una spiegazione psicologica di fenomeni e comportamenti - quali il bilanciamento dei ßuidi corporei o, nel XIX secolo, l’attività del sistema nervoso centrale (Achterberg, 1985; Jackson, 1990; Samuels & Samuels, 1975) - che altrimenti sarebbero stati descritti in termini di 12 Le tecniche immaginative in terapia cognitiva fattori Þsici. Nella sua Anatomy of Melancholy (1621), Robert Burton (1577-1640) si è basato su fonti antiche e contemporanee per dimostrare il potere dell’immaginazione nell’alimentare le emozioni intense e sgradevoli. Ha anche riconosciuto come la stessa possa essere utilizzata nel processo di guarigione, sulla base del “principio dei contrari” descritto da Thomas Fienus (1567–1613), che asserisce che il medico può contrastare gli aspetti negativi dell’immaginazione inducendo «un’immagine opposta, tale da produrre una reazione emotiva contraria» (Jackson, 1990, p. 347). Per ottenere questo risultato non ci si basava sulle moderne tecniche di immaginazione guidata, ma su una serie di strategie, volte ad alimentare la speranza di guarigione, più simili alla magia, agli incantesimi o a dei rituali speciÞci. DAL “MAGNETISMO ANIMALE” ALLA PSICOTERAPIA Alla Þne del XVIII secolo, Franz Anton Mesmer (1734-1815) ha reso popolare un metodo di guarigione detto “mesmerismo”, basato sull’induzione di uno stato di coscienza alterato che produce immagini vivide (comprese quelle legate a eventi traumatici). La guarigione, più che all’immaginazione, era attribuita a un campo di forza chiamato “magnetismo animale”. Nel 1813 due medici olandesi che stavano sperimentando i “trattamenti magnetici” hanno curato una domestica che, dalla morte dell’anziana di cui si prendeva cura, accusava affaticamento, attacchi di panico, cattiva digestione e spasmi muscolari, ed era tormentata da incubi inquietanti. Grazie a un trattamento durato sei mesi, è riuscita a rielaborare «le ultime agonie della sua padrona con più precisione e maggiori dettagli spaziali e temporali di quanto non avrebbe potuto fare in stato di veglia». I medici hanno attribuito i suoi progressi al magnetismo, escludendo qualsiasi ruolo dell’immaginazione (Vijselaar & Van der Hart, 1992, p. 2). Nonostante Mesmer sia stato screditato, i suoi metodi sono stati ripresi sia in medicina che in psichiatria - con il nuovo nome di “ipnoterapia” - e considerati strumenti basati sull’immaginazione e sulla suggestione. Il lavoro di Bernheim (1840-1919) a Nancy, in Francia, è stato da questo punto di vista molto importante (Ellenberger, 1970; Pintar & Lynn, 2008). Nel XIX secolo è stato riconosciuto il ruolo dei fattori psicologici nella psicopatologia (Ellenberger, 1970; Van der Hart & Horst, 1989) e nel 1851, in Olanda, quello del trattamento psicoterapeutico nel rielaborare l’esperienza traumatica (Van der Hart & Van der Velden, 1987). Rika, una donna di 22 anni, dopo il suicidio per annegamento dell’ex Þdanzato, era «impazzita per 5 mesi» (p. 264), manifestando diversi sintomi, tra cui allucinazioni che la spingevano al suicidio. Il suo problema è stato risolto con sedute quotidiane per un anno, che le ha permesso di rielaborare i traumi subiti nell’infanzia e gli eventi concomitanti alla morte dell’ex partner. Saggio introduttivo 13 A partire dal 1880, in Francia, Pierre Janet ha utilizzato l’ipnosi per far rivivere i traumi ai propri pazienti, descrivendo dettagliatamente la psicopatologia dissociativa e anticipando molte teorie e tecniche moderne (Ellenberger, 1970; Van der Hart, Brown, & Van der Kolk, 1989). Ha notato, infatti, come identiÞcare e rivivere il trauma - e convertirlo in ricordi narrativi - spesso non fosse sufÞciente a risolvere i sintomi, e pertanto ha utilizzato diverse tecniche, tra cui quelle immaginative, per neutralizzare l’impatto dei ricordi traumatici. Nel 1890 ha trattato Justine, che temeva di morire di colera perché aveva visto da piccola due persone uccise da quella malattia. In questo caso, Janet si è servito dello psicodramma e del dialogo. … la paziente ha urlato: «Il colera! Mi prenderà!»… Janet le ha chiesto: «Dov’è il tuo colera?», e lei ha risposto: «Qui! Guardalo, è bluastro e puzza!». Janet era in grado di instaurare un dialogo con la donna durante la crisi, inducendo in quest’ultima uno stato ipnotico classico (Ellenberger, 1970, p. 367). Un’altra tecnica di cui ha fatto uso consiste nel sostituire alle immagini traumatiche immagini neutre o positive. In un’occasione ha aiutato una donna afßitta da dolore post-traumatico a sostituire l’immagine del Þglio morente con una di Þori che sbocciano e, nel 1897, ha usato lo stesso metodo con Marie, che manifestava sintomi conseguenti a traumi multipli. Ha risolto una cecità da conversione in una paziente che, da piccola, aveva dormito assieme a una bimba col volto infetto dall’impetigine: le ha chiesto di visualizzare quest’ultima come una ragazzina gentile e dal viso sano, e di immaginare di accarezzarle la faccia. La stessa paziente, alla comparsa del menarca, aveva provato un’intensa vergogna e aveva cercato di bloccare il ßusso mestruale immergendosi in acqua gelida. Il ciclo è cessato per 5 anni e, una volta ricomparso, ha scatenato tremiti, scosse e altri sintomi. Janet l’ha fatta tornare mentalmente a prima del menarca, quando non provava alcuna vergogna, e le mestruazioni sono riprese normalmente (per una descrizione più accurata, si veda Edwards, 2007; Ellenberger, 1970; Janet, 1914). Alla Þne del XIX secolo, la comprensione degli stati dissociativi - o alterati di coscienza (inclusi i fenomeni paranormali associati) «ha portato ai principali sviluppi psicoterapeutici per l’analisi scientiÞca dei sogni, delle visioni, delle allucinazioni e delle normali immagini mentali» (Taylor, 2000, p. 1030). Il termine “psico-terapeutico” è stato utilizzato per la prima volta nel 1872 e l’espressione “psicoterapia” nel 1891 (Shamdasani, 2005, p. 2). Agli albori del XX secolo, la psicoterapia ha iniziato a essere utilizzata in Europa e in America settentrionale. Gli interventi su cui si basava derivavano dalle consulenze pastorali - che oggi deÞniremmo metodi cognitivi e comportamentali - e dalle tecniche ipnotiche sviluppate per trattare problemi di ordine medico e stress-correlati (quali gli stati dissociativi). Molti clinici erano attenti osservatori dei 14 Le tecniche immaginative in terapia cognitiva fenomeni relativi all’imagery; Morton Prince, in particolare, ha descritto il caso di una paziente che, sotto ipnosi, aveva rivissuto una scena familiare particolarmente forte risalente alla propria infanzia che le aveva procurato uno shock emotivo e l’aveva quasi fatta svenire (e che era all’origine dei suoi attacchi di panico). [Guardandosi allo specchio] vide, al posto del suo volto, un… «oggetto bianco e rotondo, con due buchi neri» al posto degli occhi. Un pensiero terriÞcante balenò nella sua giovane mente: «Potrebbe essere la morte?» (Prince, 1909, ch4/5, p. 421). Prince spiega che la paziente «è stata curata con adeguate psicoterapie» e, sebbene non speciÞchi l’esatto tipo di intervento effettuato, appare chiaro come le tecniche immaginative siano state adoperate sia in corso di valutazione iniziale che di trattamento. RIVIVERE IL TRAUMA NEL XX SECOLO Dal XIX secolo a oggi si è dibattuto lungamente sul ruolo dei ricordi traumatici. Ci si è chiesti se la guarigione sia conseguenza dello sfogo di un’emozione repressa (ciò che Freud, nel 1892, ha deÞnito “abreazione”) oppure sia un epifenomeno della modiÞcazione cognitiva (Van der Hart & Brown, 1992), e se la terapia debba puntare sul fortiÞcare il paziente - in modo che possa accantonare i ricordi traumatici - oppure focalizzarsi sull’integrazione cognitiva di questi ultimi. A dispetto dell’entusiasmo iniziale, Freud comprese come recuperare il ricordo traumatico e convertirlo in una narrazione non fosse sufÞciente per la buona riuscita della terapia: con questa strategia Anna O, la famosa paziente di Breuer, trovò solo un sollievo temporaneo e, dopo l’interruzione del trattamento, fu internata in manicomio per mesi e ricoverata più volte negli anni seguenti (Kimball, 2000). Inizialmente, Freud, seguendo l’approccio di Bernheim, tentò di indurre immagini mentali attraverso azioni Þsiche, come reggere la testa del paziente o premerne la fronte ordinandogli di produrre un’immagine (Ellenberger, 1970). Già prima del 1900, tuttavia, le abbandonò per concentrarsi sulle libere associazioni verbali, Þno a rinunciare del tutto a qualsiasi metodo basato sull’imagery. Ferenczi (1924, 1950) non condivise tuttavia questa visione e descrisse delle tecniche per perfezionare l’imagery e la connessione emozionale con il materiale rappresentato. Il suo metodo di “rilassamento e neocatarsi” era fondato sulla conoscenza dettagliata dello sviluppo dei problemi del paziente e sul far rivivere allo stesso gli episodi infantili traumatici per mezzo del dialogo e del reparenting (Ferenczi, 1930, 1955). Freud, tuttavia, deÞnendo i conÞni di ciò che rientrava nella psicoanalisi (Shamdasani, 2005), considerò l’imagery una forma di interferenza (Suler, 1989) nel processo di analisi della resistenza e del transfert (Silverman, 1987). Ciononostante, la psicoanalisi si è spesso soffermata sull’imagery e sulla re- Saggio introduttivo 15 gressione al trauma infantile: Clark (1925), ad esempio, ha descritto la ricostruzione della relazione madre-bambino nell’infanzia, e l’“approccio della scoperta emergente” di Reyher (1963, 1978), come evidenzieremo in seguito, ha molto in comune con il lavoro degli ipnoterapeuti. Questi ultimi aiutano il paziente a rivivere il trauma e utilizzano la regressione perché consapevoli che tali tecniche permettono di integrare i ricordi traumatici nella “memoria autobiograÞca”. A un convegno sul trattamento dei soldati traumatizzati dalla prima guerra mondiale, Brown (1921, p. 19) ha riconosciuto come l’abreazione sia risanatrice in sé, ma ha anche evidenziato il potente effetto terapeutico della razionalità nel rivedere analiticamente i ricordi passati… Il metodo… produce un riaggiustamento dei livelli emozionali nei ricordi del paziente… Il progresso sta nel passare da uno stato di relativa dissociazione a uno di armonia e di unità mentale. Al medesimo convegno, McDougall (1921, p. 25), più interessato ai meccanismi di guarigione, ha affermato: «Il passaggio terapeutico essenziale è la risoluzione della dissociazione… il disinvestimento emotivo non è necessario, sebbene possa rivestire un certo ruolo». I dibattiti sull’importanza del disinvestimento emotivo, della guarigione dagli episodi dissociativi e dell’integrazione cognitiva hanno ripreso campo durante la seconda guerra mondiale e nella letteratura scientiÞca sul Disturbo Dissociativo di Identità (Van der Hart & Brown, 1992; Watkins, 1992, capitolo 4). Kline (1968) e Watkins (1992) utilizzano il termine “ipnoanalisi” per indicare una regressione ipnotica indotta che permette di accedere a episodi dolorosi dell’infanzia, i quali vengono poi risolti e integrati sulla base della formulazione psicodinamica del caso. Essi, al pari di Janet e Ferenczi, fanno largo uso delle tecniche immaginative. Kline (1952) ha descritto il caso di una paziente che aveva paura di rimanere al buio da sola perché avvertiva la presenza di una strega col volto nascosto da un cappello. Sotto ipnosi, le è stato chiesto di osservare questa presenza e di prendere atto di come, in realtà, lei e la strega fossero la medesima persona. Durante le sedute è emerso come quest’ultima rappresentasse tutto ciò che ella desiderava essere ma che, a causa della rigidità della madre, temeva di essere. Per integrare questa parte di sé disconosciuta, il terapeuta le ha suggerito di fondere la propria immagine con quella della strega. La cosa ha funzionato molto bene, tanto che, al termine della terapia, ha affermato: «Credo che sia una cosa superata, dato che ora io sono la “strega” e mi piace esserlo» (p. 166). In un articolo del 1961, John Watkins (1971) ha descritto la tecnica del “ponte affettivo” (che in questo libro chiameremo “ponte emozionale”; si veda il capitolo 6): il paziente si focalizza sulle emozioni negative attuali e le usa come “ponte” per accedere a un ricordo del passato, mentre il terapeuta dà dei suggerimenti del 16 Le tecniche immaginative in terapia cognitiva tipo: «Sta andando indietro, indietro nel tempo… Ritorni alla prima volta in cui si è sentito così…». Per mostrare come l’identiÞcazione e la gratiÞcazione dei bisogni infantili insoddisfatti possano permettere di risolvere i sintomi attuali, Watkins ha descritto il caso di una paziente in sovrappeso a causa di incontrollabili abbuffate. Grazie al ponte emozionale, è regredita al tempo in cui, distesa nella culla, desiderava succhiarsi il pollice, «ma la mamma ci aveva avvolto attorno un panno intriso di una medicina nera e disgustosa». Il terapeuta le ha permesso di appagare questo desiderio insoddisfatto, lasciandole succhiare il pollice Þnché ne avesse voglia (per circa 15 minuti). Questa e un’altra regressione terapeutica hanno portato alla remissione della sintomatologia e a una rapida perdita di peso. Mary Watkins (1984) ha descritto altre tecniche di intervento, esponendo il caso di una paziente che immaginava di allontanare il bambino che l’aveva tormentata da piccola attraverso il reparenting, visualizzandosi come un’adulta che prendeva per mano se stessa da piccola, mostrandole come non ci fosse niente da temere. La letteratura sull’ipnoterapia è ricca di questo tipo di esempi (Dowd, 2000; Kline, 1968, 1976; Murray-Jobsis, 1989) e l’antico principio dei contrari proposto da Fienus, Burton e Janet viene esplicitamente riaffermato da Watkins (1992, p. 66): «Se un ricordo reale determina la presenza dei sintomi… la sua sostituzione con uno positivo ricade nell’interesse del paziente». L’IMAGERY METAFORICA E I VIAGGI CON L’IMAGERY L’imagery non riguarda soltanto i ricordi traumatici, ma può essere applicata all’intera vita psicologica, così come la pittura, la scultura, la danza e altre forme d’arte. Carl Jung (1977) è stato spinto verso di essa dalla sua vivida attività onirica e immaginativa. Le sue ricerche sugli stati dissociativi e sui fenomeni paranormali, e la lettura dei testi di Silberer (1909) - che descrivevano come questi fosse riuscito a mantenere uno stato tra la veglia e il sonno e a tradurre in immagine metaforica un problema da cui era afßitto (Swan, 2008) -, hanno inßuenzato la strutturazione del suo metodo di “immaginazione attiva”. Jung (1916/1960, p. 82) invitava i propri pazienti a concentrarsi su una sensazione o su un’emozione, lasciando emergere un’immagine, che avrebbe offerto «una sorta di arricchimento e di chiarimento dell’emozione stessa» e a partire dalla quale si sarebbe sviluppata una scena, ed eventualmente un dialogo tra i personaggi immaginati. Secondo Jung, il contenuto dell’imagery non rißetteva la storia personale del soggetto, ma era piuttosto di tipo simbolico e transpersonale (“archetipico”), come traspare dalla sua conversazione con Filemone, una sorta di guida spirituale (Jung, 1977). Hannah (1981) ha documentato l’evoluzione dell’immaginazione attiva nel corso di settimane o mesi in alcuni pazienti, ma, in contrasto con gli attuali metodi di imagery rescripting, ha raccomandato di non utilizzare rappresentazioni di Saggio introduttivo 17 persone reali e di condurre l’esercizio a casa, descrivendolo poi in seduta al terapeuta. Inßuenzata dall’approccio di Jung, Jellinek (1949) ha proposto alcuni interventi basati sull’imagery per trattare la balbuzie e altri problemi di linguaggio. I pazienti erano invitati a identiÞcare un’immagine associata alla calma o alla padronanza della situazione (ad esempio, camminare sotto la pioggia o essere seduti su un trono con uno scettro in mano) e a richiamarla alla mente quando si fossero sentiti ansiosi o minacciati. Un paziente, ad esempio, riusciva a visualizzare due sé - uno che era un conversatore mediocre e mal vestito, l’altro che era un grande oratore in abiti eleganti - e aveva imparato a «tenere il secondo sempre al proprio Þanco» (p. 386). La terapia cognitiva attuale per la Fobia Sociale utilizza un metodo simile (Clark & Wells, 1995). Jellinek (1949) ha descritto il caso di un paziente oppresso dalla balbuzie, che visualizzava come uno gnomo appollaiato sulle proprie spalle. La terapeuta gli ha suggerito di parlare lentamente, in modo da «far morire di fame quel piccolo demonio» (p. 380). Ad un altro paziente, che si visualizzava per strada avvolto in un mantello nero, ha chiesto di immaginare di raggiungere un’area soleggiata, per vedere il mantello passare dal nero al bianco brillante (per interventi simili si veda Fromm, 1968). Jellinek ha anche descritto i casi di alcuni pazienti che visualizzavano scene a contenuto mitologico, talvolta accompagnate da emozioni intense. Negli anni ’30 del ’900, Carl Happich e Robert Desoille hanno sfruttato gli aspetti metaforici dell’imagery nel “sogno a occhi aperti guidato”. La visualizzazione deliberata di una scena (un prato, una montagna o l’ingresso di una caverna) rappresentava l’inizio di un viaggio immaginario, in uno scenario che avrebbe potuto presentare sÞde o ostacoli e in cui si sarebbero potuti incontrare personaggi minacciosi oppure saggi e amichevoli (in forma animale, umana o spirituale). Secondo Desoille (1965), ciò rientrava in un complesso processo di cambiamento che prevedeva la valutazione dei “pattern dinamici maladattivi” del paziente, «il loro decondizionamento… [e] la creazione di pattern nuovi e più appropriati» (p. 21). L’opera di Desoille (1945) ha inßuenzato Hans Carl Leuner (1969, 1978), il cui metodo dell’imagery emozionale guidata è stato applicato a diversi problemi clinici. Anche la psicosintesi di Roberto Assagioli (1965) era fondata su queste tecniche immaginative, diffusesi negli anni ’60 tra gli psicoterapeuti e tra coloro che erano interessati ad applicare i metodi esperienziali alla crescita personale e spirituale (Gerard, 1961; Crampton, 1969). Anche gli ipnoterapeuti si sono serviti dell’imagery metaforica: Van der Hart, ad esempio, l’ha utilizzata per risolvere due casi di amenorrea (1985b), per apportare sostanziali cambiamenti nella vita di un clochard (grazie a un viaggio immaginario di un’unica seduta; 1985a) e per trattare una paziente affetta da ansia 18 Le tecniche immaginative in terapia cognitiva generalizzata, ritiro sociale e instabilità emotiva (che si percepiva come stretta da un corsetto e che si è servita delle tecniche immaginative per slacciarselo, toglierselo di dosso e permettere al proprio torace di espandersi metaforicamente; Witztum et al., 1988). L’imagery metaforica ha inoltre un ruolo fondamentale nella moderna terapia cognitiva: nel capitolo 11 descriveremo come il paziente debba essere invitato a elaborare delle metafore e a esplorarne i signiÞcati personali come preludio al cambiamento. LO PSICODRAMMA, PERLS E IL MOVIMENTO UMANISTICO Lo psicodramma di Moreno, sviluppatosi negli anni ’30, ha molti punti in comune con le tecniche immaginative, come è evidente da questo stralcio di caso clinico (relativo a una paziente psicotica): «… sono chiusa in una scatola. Sono morta e al sicuro, sul fondo del mare… (piangendo come una bambina)… Oh, la scatola inizia a risalire… Salgo anch’io, sempre più in alto. La scatola si apre, sono rinata. Sono un’infante… C’è una Þnestra aperta, un bellissimo albero pieno di foglie, e il sole riscalda ogni cosa» (Moreno, 1939, pp. 12-13). Metodi simili venivano utilizzati nella terapia della Gestalt di Fritz Perls (Edwards, 2007), che, pochi anni prima di morire, tenne diversi seminari (durante i quali un volontario si sedeva e iniziava a lavorare con l’imagery e la drammatizzazione). Per quanto concerne il contenuto onirico, si chiedeva ai pazienti di interpretare i diversi personaggi dei sogni e di raccontare la propria peculiare esperienza (Edwards, 1989), il che conduceva spesso a un dialogo tra le varie Þgure rappresentate. Perls chiedeva ai pazienti di concentrarsi sull’esperienza attuale e di farla emergere sotto forma di emozione, di frase o di immagine, anticipando ciò che Gendlin (1978) avrebbe deÞnito focusing. L’evoluzione di queste tecniche si deve all’interesse di Perls per le arti espressive: da giovane, infatti, egli si era avvicinato al teatro sperimentale tedesco (Perls, 1969) ed era stato inßuenzato dal lavoro di Moreno. In un’intervista, il terapeuta della Gestalt John Wymore ha dichiarato: «La tecnica della sedia vuota non è un’idea di Fritz Perls. In Europa, Perls conosceva diverse persone appartenenti al mondo del teatro, tra cui Jacob Moreno» (Madewell & Shaughnessy, 2009, p. 2). Negli anni ’70, le trascrizioni dei seminari di Perls hanno contribuito a divulgare le tecniche di imagery e di drammatizzazione sia tra i terapeuti sia all’interno del movimento umanistico, che promuoveva la scoperta di sé e l’apprendimento esperienziale (Perls, 1971, 1973). Nel 1978, John Heron ha introdotto questo tema nell’ambito dell’istruzione, presso l’università di Surrey. Egli, che ha valorizzato e diffuso le tecniche della Gestalt, ha descritto nel suo manuale di cocounselling (Heron, 1974 - ora anche disponibile online: Heron, 1998) e in quello per Saggio introduttivo 19 insegnanti della medesima disciplina (Heron, 1978) in che modo usare l’imagery per connettersi emozionalmente agli eventi dolorosi del passato e in che modo utilizzare il dialogo e la drammatizzazione per porvi rimedio. L’IMAGERY NELLA PSICOTERAPIA COMPORTAMENTALE E COGNITIVA Anche le psicoterapie comportamentali e cognitive hanno attinto a piene mani dalle tecniche di imagery. Lazarus (1977), che è stato il primo a usare il termine “terapia comportamentale”, afferma di aver appreso le stesse nel 1955, in Sudafrica, quando Joseph Wolpe gli insegnò la desensibilizzazione sistematica (che avrebbe rivestito un ruolo fondamentale nella terapia cognitivo-comportamentale). Nella sua cosiddetta “terapia multimodale” ha utilizzato l’imagery per aiutare i pazienti a desensibilizzare l’ansia, a sperimentare nuove abilità assertive, a gestire situazioni problematiche presenti e future (si veda il capitolo 12) e ad alleviare patologie stress-correlate (come l’ipertensione, il colon spastico e le dermatiti). Negli anni ’70, Cautela ha applicato le procedure di condizionamento mediante imagery (Cautela & McCullough, 1978) a diverse patologie. Nella sensibilizzazione covert i comportamenti problematici venivano associati in immaginazione a conseguenze negative: i pazienti affetti da alimentazione incontrollata, ad esempio, venivano invitati a immaginare di mangiare un dolce e di vomitare per la nausea, mentre quelli affetti da esibizionismo a immaginare di spogliarsi in pubblico e di essere immediatamente arrestati e incarcerati (Cautela, 1967). Singer (1974) ha analizzato diversi studi sull’imagery svolti nell’ambito delle terapie cognitive e comportamentali: nella terapia implosiva (Stampß & Levis, 1967), ad esempio, i pazienti fobici venivano invitati a visualizzare vividamente la loro peggior paura e a catastroÞzzare lo scenario negativo. Alcuni principi psicodinamici venivano utilizzati per creare scenari emotivamente carichi, per quanto all’interno delle teorie dell’apprendimento fossero inquadrati come modalità di estinzione delle risposte emozionali maladattive. Silverman (1987) ha documentato l’efÞcacia dell’imagery implosiva in ambito psicanalitico, e il largo impiego di queste tecniche è confermato dalla letteratura sull’ipnoterapia. Fromm (1968) ha lavorato con un paziente acrofobico, che ha imparato a visualizzare se stesso come capace e sicuro, fondendosi con questa nuova immagine di sé e affacciandosi a un balcone per ammirare il lago Michigan. Fromm ha affermato: «Durante la trance abbiamo creato una situazione stressante per il paziente, quindi gliela abbiamo fatta sperimentare afÞnché capisse come poterla gestire più efÞcacemente» (p. 177). 20 Le tecniche immaginative in terapia cognitiva L’IMAGERY NEGLI APPROCCI INTEGRATI CONTEMPORANEI Negli anni ’70 e nei primi anni ’80 del ’900 si è assistito a «un interesse crescente per l’imagery» (Suler, 1989, p. 347), tanto che diversi testi ne hanno documentato l’applicazione a una serie di problemi di tipo psicologico e somatico (Achterberg, 1985; Singer & Pope, 1978; Samuels & Samuels, 1975; Sheikh, 1984; Shorr, 1983; Singer, 1974). Nel corso degli anni ’90, anche nell’ambito della TCC si è iniziato a riconoscere l’efÞcacia dell’imagery rescripting nel ristrutturare le cognizioni implicite attraverso la drammatizzazione e il dialogo. Diversi terapeuti cognitivi formati da Beck (come Jeffrey Young - che in quegli anni iniziava a gettare le basi della Schema Therapy - e Merv Smucker - che ha sviluppato la Imagery Rescripting and Reprocessing Therapy) sono stati anche inßuenzati dalla terapia della Gestalt. A partire dai primi anni ’90, questi metodi hanno iniziato a essere integrati nella terapia cognitiva (Beck et al., 1990; Edwards, 1989, 1990, 2007; Layden et al., 1993; Smucker & Dancu, 1999; Young, 1990) e, attualmente, la Schema Therapy (Young et al., 2003), la Emotion-Focused Therapy (Greenberg, 2004) e la Compassion Focused Therapy (Gilbert, 2009) rappresentano delle pietre miliari nel panorama degli approcci integrati alla psicoterapia. Da questa breve disamina si evince come le tecniche di imagery fossero utilizzate in psicoterapia sin dalla Þne del XIX secolo e, ben prima di allora, nelle pratiche di guarigione per le quali la risoluzione dei sintomi emozionali e Þsici dipendeva da modiÞcazioni della sfera immaginativa. Il “principio dei contrari” proposto da Fienus è alla base delle tecniche di drammatizzazione, nelle quali il terapeuta guida la persona verso una credenza più positiva. Analogamente, nei templi di Esculapio, i sacerdoti inscenavano le visite delle divinità per provocare un cambiamento positivo (tali tecniche erano utilizzate da guaritori appartenenti a tradizioni diverse). Il medesimo principio è alla base dei metodi di sostituzione delle immagini mentali utilizzati da Janet e da altri ipnoterapeuti, che si sono successivamente evoluti in moderne tecniche - molto più precise e dettagliate - di trasformazione dell’imagery (come il rescripting o altre, che descriveremo nel capitolo 8). Nel XIX secolo è stato riconosciuto il ruolo dei ricordi traumatici nella genesi dei problemi psicologici e, già prima di Janet e Prince, si è avvertita la necessità di contrastare la dissociazione degli stessi dal resto dei contenuti cognitivi. Alla Þne del XIX secolo e nel corso del XX sono state descritte e discusse ampiamente le tecniche per recuperare i ricordi traumatici (che spesso prevedevano l’utilizzo dell’imagery) e trattare la dissociazione. Nel XX secolo, gli ipnoterapeuti hanno proseguito il lavoro di Janet e di Prince, evocando ricordi infantili dolorosi e lavorando in vari modi su di essi: il ponte emozionale descritto nel capitolo 6, ad esempio, si rifà all’ipnoterapia del XIX secolo. Nel metodo di immaginazione attiva di Jung (1916/1960) e in quello di Gendlin (1978) si intensiÞcava la con- Saggio introduttivo 21 sapevolezza dell’emozione attuale e si evocava un’immagine, creando un ponte con un ricordo dell’infanzia (tecnica denominata appunto “ponte emozionale” da Watkins, 1971). Anche il lavoro con le diverse parti del sé ha una lunga storia all’interno della psicoterapia, ritrovandosi nel metodo di immaginazione attiva di Jung, nello psicodramma di Moreno e, dalla seconda metà del XX secolo, nel lavoro ipnoanalitico di Kline, nell’analisi transazionale (Barnes, 1977; Goulding & Goulding, 1979), nell’Ego State Therapy di Watkins (Watkins, 1978; Watkins & Johnson, 1982) e nella Gestalt di Perls (tutte tecniche adesso integrate nella terapia cognitiva contemporanea). Sebbene alcune strategie prevedano la rappresentazione “teatrale” su un palco ed altre l’utilizzo di sedie per rappresentare le diverse parti di sé, la maggior parte di esse utilizza l’imagery. Abbiamo anche visto come in ambito psicoterapeutico vengano utilizzate altre forme di imagery metaforica (ad esempio nell’immaginazione attiva, nel sogno a occhi aperti guidato e nell’ipnoanalisi; si vedano Fromm, 1968; Jellinek, 1949; Leuner, 1978; van der Hart, 1985a, 1985b). InÞne, sebbene le applicazioni delle tecniche immaginative in ambito cognitivo e comportamentale - per la desensibilizzazione e per l’induzione ed esercitazione di nuove abitudini e abilità - siano emerse solo alla Þne degli anni ’50, metodi simili venivano già usati dagli ipnoanalisti e, probabilmente, sin dall’inizio del XX secolo. Nel XXI secolo, l’utilizzo dell’imagery si caratterizza per una maggior trasmissibilità - che ne determina una più ampia diffusione e accessibilità rispetto al passato, quando era prerogativa di una cerchia ristretta di psicoterapeuti - e per il proliferare della ricerca evidence-based a riguardo, che permette di veriÞcare la validità delle tecniche immaginative non limitandosi all’analisi di singoli casi clinici. Un’ingente letteratura scientiÞca, comprendente ricerche sperimentali, osservazioni cliniche sistematiche e trial controllati, conferma l’importanza dei metodi immaginativi negli interventi clinici (Salkovskis, 2002). Questo volume si propone di chiarire come essi, già da tempo bagaglio delle tradizioni psicoterapeutiche, siano utilizzati correntemente negli approcci evidence-based per affrontare diversi problemi psicologici. DESCRIZIONE DI UN CASO Ritrovare il bambino spaventato in un paziente adulto affetto da Disturbo di Panico David Edwards, Rhodes University, Grahamstown, Sud Africa. Tariq aveva cominciato ad accusare i primi attacchi di panico dopo che sua sorella era stata ricoverata per Schizofrenia. Era terrorizzato dall’idea di diventare pazzo, timore che la terapia cognitiva classica (che pure lo aveva fatto stare meglio) non aveva dissolto minimamente. L’ho fatto rilassare e gli ho suggerito di visualizzare quella parte di sé che desiderava mantenere in vita la paura, ed egli mi ha riferito di scorgere un piccolo demonio che si divertiva a preoccuparlo. Gli ho chiesto se quest’ultimo desiderasse che prendessimo in considerazione qualcosa in particolare e, a quel punto, mi ha raccontato alcuni episodi accadutigli all’età di 6 o 7 anni: di come si recasse di soppiatto nella camera dei propri genitori per dire loro che gli faceva male lo stomaco (cosa in realtà non vera, ma non gli avrebbero dato ascolto se avesse detto di essere solo spaventato); di come, lasciato solo in macchina, temesse di essere aggredito e rapito; di come, trovandosi in casa da solo con sua sorella, si sentisse responsabile dell’incolumità di quest’ultima; di come, inÞne, i propri genitori lo intimorissero deliberatamente, con lo scopo di educarlo e di imporgli la disciplina. Tariq, tra le altre cose, aveva anche assistito a delle irruzioni della polizia in casa propria. Queste informazioni mi hanno portato a rivedere la formulazione del caso: da bambino, per compensare il timore e la vergogna, Tariq aveva sviluppato un sé monolitico e imperturbabile con cui affrontare il mondo. L’ospedalizzazione della sorella, tuttavia, aveva fatto riemergere il bambino spaventato. Dopo due sessioni di imagery guidata, nel corso delle quali l’ho fatto lavorare sul proprio bambino interiore tramite il rescripting, Tariq ha lasciato il proprio paese. Egli mi ha riferito come le ultime tre sedute siano state la parte più signiÞcativa della terapia. PARTE I LA CONTESTUALIZZAZIONE DELL’IMAGERY 1 L’IMAGERY NELLA TRADIZIONE DELLA TERAPIA COGNITIVA DI BECK «L’immaginazione è più importante della conoscenza» Albert Einstein, Saturday Evening Post, 26 Ottobre 1929. Le immagini sono uno dei modi in cui i pensieri si manifestano alla coscienza e l’imagery racchiude in sé diverse rappresentazioni mentali dotate di caratteristiche sensoriali. Aaron T. Beck, Þn dalla nascita della terapia cognitiva (TC), ha sempre ritenuto che l’imagery rivestisse un ruolo fondamentale (Beck, 1970; Beck, 1971; Beck et al., 1985) nella comprensione del disagio emotivo. I signiÞcati (valutazioni) che diamo all’esperienza rappresentano il focus principale della terapia cognitiva, e Beck (1971) ha suggerito che le immagini, le fantasie, i ricordi e i sogni fossero i mezzi principali per accedere ad essi. In questo capitolo dimostreremo come la ÞlosoÞa e le osservazioni cliniche di Beck permettano di inserire il lavoro sull’imagery all’interno della terapia cognitiva. Beck ha adottato l’approccio dello scienziato e dello sperimentatore: si è occupato del metodo più che della teoria, ha raccolto sistematicamente i dati, ha sperimentato un approccio integrato alla psicoterapia, ha mantenuto un atteggiamento pragmatico e interessato dinanzi all’ampio spettro fenomenologico della psicopatologia, e ha sviluppato delle strategie efÞcaci per trattare i pazienti. LE PRIME RICERCHE DI BECK Beck ha compiuto le sue prime ricerche sui sogni, ereditando da Leon Saul (che, a sua volta, si era ispirato a Franz Alexander) un approccio proto-sperimentale (si veda Rosner, 2002)1. Utilizzando la metodologia delle scienze sociali, egli ha testato le ipotesi psicanalitiche sul signiÞcato dei sogni nella depressione, 1 Siamo debitori all’articolo di Rosner per le informazioni biograÞche sulla carriera di Beck. 26 Le tecniche immaginative in terapia cognitiva raccogliendo prove che sembravano avvalorare l’idea che quest’ultima fosse caratterizzata dal desiderio masochistico di soffrire. L’epistemologia della scienza sperimentale, tuttavia, lo ha spinto a interessarsi ai dati più che alla teoria e a concludere che, benché i sogni dei soggetti depressi fossero caratterizzati da tematiche di sofferenza, perdita e fallimento, non esistessero prove a sostegno della tesi suddetta (Beck & Hurvich, 1959; Beck & Ward, 1961). Egli ha anche notato come, nei soggetti depressi, i contenuti onirici fossero simili ai contenuti dei pensieri automatici negativi tipici dello stato di veglia. Nel 1971, inÞne, in un articolo sui pattern cognitivi caratteristici dell’attività onirica e dei sogni ad occhi aperti involontari, ha evidenziato come, in pazienti diversi, si manifestassero le medesime tematiche cognitive (Beck, 1971, ristampato in Special Issue on Cognitive Therapy and Dreams; Rosner et al., 2002). UN APPROCCIO INTEGRATO Durante il suo periodo di formazione, Beck ha presentato le proprie scoperte nei circoli psicanalitici, seguendo le orme di clinici neo-freudiani come Karen Horney e Alfred Adler. Quest’ultimo, in particolare, lavorava sui ricordi precoci e sulle metafore attraverso tecniche che - come descriveremo in seguito - non si discostavano molto da quelle usate dai terapeuti cognitivo-comportamentali. L’approccio di Beck ha goduto di particolare considerazione nel contesto psicanalitico, ma ne ha avuta ancora di più nella “comunità dei terapeuti comportamentali”, dove ha rivestito un ruolo decisivo per lo sviluppo della terapia cognitivo-comportamentale (TCC). Beck mirava a promuovere un approccio integrato, nel quale la terapia comprendesse diverse tecniche derivate da differenti scuole (Beck, 1991). Beck ha stretto rapporti signiÞcativi con Arnold Lazarus e Joseph Wolpe (insigni terapeuti comportamentali; si veda Rosner, 2002), criticando l’utilizzo dell’imagery nella desensibilizzazione di Wolpe (ritenuto troppo restrittivo) e interessandosi maggiormente alle tecniche di modiÞcazione dell’imagery di Lazarus (come la “proiezione nel tempo con rinforzo”), nelle quali il paziente depresso veniva incoraggiato a creare delle immagini positive sul futuro, che avrebbero inciso positivamente sulla sua motivazione e sul suo comportamento (Lazarus, 1968). Beck ha anche scritto un interessante articolo sulle “fantasie”, suggerendo che «si possa spiegare la continuità tra i fenomeni ideativi assumendo che gli stessi derivino dal medesimo pattern cognitivo iperattivo» (Beck, 1970, p. 13). Nello stesso articolo ha riferito come vi siano evidenze cliniche che «le immagini pittoriche irrealistiche esercitino un’inßuenza signiÞcativa sul comportamento manifesto del paziente, oltreché sulle emozioni e sulla motivazione» (Beck, 1970, p. 15). Al contempo, ha continuato a raccogliere dati sui contenuti cognitivi presenti nei vari disturbi, servendosi di materiale proveniente dai pensieri automatici negativi, dalle fantasie, dai “sogni ad occhi aperti” e dall’attività onirica dei pazienti. L’imagery nella tradizione della terapia cognitiva di Beck 27 UN DOPPIO SISTEMA DI CREDENZE Nel 1985, Beck e colleghi hanno scritto il primo manuale di terapia cognitiva per il trattamento dei disturbi d’ansia (Anxiety Disorders and Phobias: A Cognitive Perspective; Beck et al., 1985), dove hanno introdotto il concetto del “doppio sistema di credenze”. Gli autori hanno evidenziato come, dinanzi a una potenziale fonte di pericolo, il soggetto ritenga più o meno elevata la possibilità che si veriÞchi una catastrofe a seconda dell’effettiva prossimità allo stimolo. Questa distinzione - basata sull’allontanamento dalla minaccia o sull’avvicinamento alla stessa - ha dato vita alla nozione di “doppio sistema di credenze”. Beck ha anche notato come le persone, quando sono esposte a stimoli sensoriali reali (ad esempio il rumore di una macchina che accelera o l’aumento della frequenza cardiaca), comincino a percepire immagini inquietanti, che segnalano l’effettiva presenza di una minaccia (come un incidente automobilistico o un infarto incombente). In questi casi, l’emozione e la valutazione del rischio possono intensiÞcarsi. Queste osservazioni precorrono l’enfasi che attualmente viene posta sull’individuazione e sull’analisi degli stimoli che generano disagio emotivo (siano essi reali o immaginari) al Þne di comprendere meglio le valutazioni e le credenze negative. Gli stimoli scatenanti permettono infatti di accedere rapidamente alle cognizioni “calde” (ad alto contenuto emozionale), che si presentano sotto forma di imagery negativa. Beck ha condiviso l’idea, trasversale alle varie psicoterapie, che esistano due sistemi di elaborazione dell’informazione - uno razionale, l’altro primitivo e immediato. In ambito psicopatologico (Beck, 1971), quello primitivo si attiva piuttosto facilmente, determinando una gamma di risposte cognitive che formano un continuum dal canale verbale a quello visivo: dai pensieri automatici ai sogni a occhi aperti, dalle allucinazioni indotte dalle droghe ai sogni (potremmo includere anche i ßashback e le allucinazioni psicotiche). Beck riteneva che i sogni permettessero di osservare meglio le valutazioni distorte del paziente, liberandole dalla “morsa della realtà”. Rachman (1980, 2001) ha approfondito le considerazioni di Beck sull’elaborazione delle informazioni in due inßuenti articoli, nei quali ha evidenziato l’importanza dei pensieri automatici negativi, delle immagini, dei ricordi, dei sogni e degli incubi, descrivendo gli stessi come indicatori di una elaborazione emozionale insufÞciente (Rachman, 1980; Rachman, 2001). Ha anche sottolineato la necessità di strumenti di misura obiettivi per quantiÞcare i progressi terapeutici (uno di questi è la riduzione o la scomparsa dei fenomeni intrusivi sopraddetti). InÞne, nel suo secondo articolo sull’elaborazione emozionale (scritto nel 2001, a 21 anni di distanza dal primo) ha celebrato i progressi che la psicoterapia ha compiuto grazie alla terapia comportamentale e alla “rivoluzione cognitiva”, in particolar modo quelli ottenuti nel trattamento del Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS), focalizzato sulle immagini dei ricordi intrusivi. 28 Le tecniche immaginative in terapia cognitiva L’APPROCCIO SCIENTIFICO David H. Barlow e colleghi (1984) hanno descritto Beck come uno “scienziatosperimentatore”, dato che questi, come George Kelly (1955), si atteneva sempre alla veriÞca delle ipotesi. Beck riteneva che ricercatori, terapeuti e pazienti fossero coinvolti negli stessi processi di cui si occupano gli scienziati - ovvero l’osservazione, la rißessione, la veriÞca delle ipotesi, la proposta di nuove teorie. Ciò implicava, dal suo punto di vista, che i pazienti fossero in grado di osservare dettagliatamente le proprie cognizioni, le proprie emozioni e i propri comportamenti, rißettendo sulle proprie peculiari valutazioni (testandole e mettendole in discussione in base ai dati di realtà) e lavorando assieme al terapeuta in uno spirito di empirismo collaborativo. Questi processi vanno a formare il cosiddetto “circolo di apprendimento esperienziale” (Kolb, 1984), cornice teorica utilizzata per descrivere il processo terapeutico degli esperimenti comportamentali nella terapia cognitiva (Bennett-Levy et al., 2004) e costrutto chiave all’interno di quest’opera. I medesimi principi sono applicabili all’uso dell’imagery nella terapia cognitiva: il paziente viene incoraggiato a osservare l’immagine che ha formato - a partire da spunti reali o immaginari - e a rißettere sui relativi contenuti, sui signiÞcati correlati e sulle valutazioni metacognitive associate. La validità dei signiÞcati e delle valutazioni viene nuovamente veriÞcata in base ai dati di realtà, rivalutando le credenze del paziente (per un’esposizione più completa di questo concetto, si veda il capitolo 4). Le misurazioni vengono fatte in base ai risultati, tenendo conto delle caratteristiche dell’immagine (la sua nitidezza, la sua frequenza, il disagio ad essa associato, la valutazione delle credenze, ecc.) e di altre misure sintomatologiche. A partire dalle basi gettate da Beck, numerosi terapeuti e ricercatori hanno analizzato la fenomenologia dell’imagery nei vari disturbi, osservando l’efÞcacia - diretta o indiretta - delle tecniche immaginative nel modiÞcare cognizioni ed emozioni, ed esaminando le connessioni sussistenti tra queste ultime, i ricordi e le immagini intrusive. CONCLUSIONI L’utilizzo delle tecniche immaginative nella terapia cognitiva si inserisce perfettamente nella cornice terapeutica concepita da Beck. Disponiamo di numerosi studi sulla fenomenologia dell’imagery nei diversi disturbi (si veda il capitolo 2) e di una serie di dati sperimentali relativi al rapporto tra quest’ultima e altri processi cognitivi (si veda il capitolo 3). Conosciamo alcuni elementi utili per affrontare l’imagery angosciante (si veda il capitolo 4) e numerose tecniche basate su questi. Abbiamo anche iniziato a esaminare scientiÞcamente l’efÞcacia dei trattamenti basati sull’imagery (si vedano i capitoli 5-14). È di questi temi che ci occuperemo nel resto del volume. DESCRIZIONE DI UN CASO Creare un’immagine realistica del futuro (per alleviare l’ansia) Judith Beck, Beck Institute for Cognitive Therapy and Research e Università della Pennsylvania, Philadelphia, Pennsylvania, USA. Beth, una madre single, stava diventando sempre più ansiosa, perché assalita da immagini intrusive ritraenti sua Þglia Emily (che aveva 8 anni ed era affetta da un lieve ritardo mentale) adulta, piangente e sola in una stanza buia. Con l’aiuto della propria terapeuta, ha provato a immaginare uno scenario più realistico, stabilendo le azioni concrete da intraprendere e le risorse su cui fare afÞdamento. La sua ansia in tal modo è diminuita, e Beth ha compreso come il futuro di Emily non gravasse unicamente sulle proprie spalle: avrebbe potuto chiedere aiuto ai propri familiari e amici, ai genitori dei compagni di classe di Emily, al personale scolastico, al medico e - addirittura - a persone che ancora non conosceva. Nella seduta successiva, la terapeuta l’ha aiutata a creare un’immagine precisa di Emily nel futuro e a visualizzare nei dettagli una tipica giornata di quest’ultima da adulta, da quando si svegliava al mattino a quando si addormentava la sera. Beth ha visto la Þglia alzarsi nella propria camera ben arredata (situata in una casa-famiglia), vestirsi, fare colazione, interagire con il personale e con gli altri ospiti, prendere l’autobus in compagnia di un altro ospite della casa-famiglia per recarsi alla casa di riposo dove lavorava come cameriera e, inÞne, coricarsi la sera soddisfatta di sé. Beth ha ripetuto la visualizzazione per alcune settimane, arricchendola di dettagli e descrivendola ai propri familiari e amici, che le hanno offerto preziosi suggerimenti per migliorarla. Nel suo caso, questo ha attenuato l’ansia ancora di più che immaginare uno scenario realistico.
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