164 capitolo 6. Socrate SOCRATE 7: (da Diogene Laerzio) Le ragioni dell'accusa Meleto accusa Socrate di empietà e di corrompere la gioventù e chiede ai giudici che sia condannato a morte. Meleto, figlio di Meleto, del demo di Pito, contro Socrate, figlio di Sofronisco, del demo di Alopece, presentò quest'accusa e giurò: Socrate è colpevole di n o n riconoscere gli dèi che la città riconosce e di introdurre altre nuove divinità, è colpevole anche di corrompere i giovani. Pena richiesta: la morte. Diogene Laerzio, Vite dei filosoFi, i i , 5, 40, a cura d i M . Gigante, p. 62. A N A L I S I DEL TESTO Esaminiamo, una per una, le accuse formulate da Meleto contro Socrate. Socrate è colpevole di non riconoscere gli dèi che la città riconosce. La legge contro Vasébeia (empietà) era uno dei fondamenti costituzionali dello Stato attico che, posto sotto la protezione della divinità, aveva u n reale interesse a che queste fossero tutelate da ogni irriverenza. La religione ha quindi una funzione di coesione politica, per cui ogni trasgressione contro la divinità impHcava, a u n tempo, una grave offesa ai fondamenti dell'ordine statale. E noto, però, come una tale legge punitiva fosse difficilmente applicabile nell'Atene del i v secolo. La legge i n base a cui Socrate viene condotto i n tribunale n o n era desueta, ma probabilmente veniva applicata solo i n casi limite. N o n è quindi concepibile che Socrate sia stato accusato per n o n aver creduto ai m i t i che circolavano sugli dèi, anche perché nell'Atene del tempo n o n esisteva un'istituzione religiosa che garantisse l'ortodossia. L'accusa mossa contro Socrate n o n si rivolgeva tanto al suo scetticismo nei confronti delle rappresentazioni mitologiche della divinità, quanto a u n libero atteggiamento di pensiero che r i schiava d i minare le basi dello Stato. Socrate è colpevole di introdurre altre nuove divinità. La novità che gli accusatori rinfacciano a Socrate di aver introdotto ad Atene, altro n o n sarebbe se n o n i l dèmone, elemento della religiosità socratica difficilmente conciliabile con le idee religiose vigenti. La colpa di Socrate era dunque un'innovazione contraria alla legge e al programma d i restaurazione politica che poggiava sul ripristino della tradizione culturale antica; risulta perciò evidente la pretestuosità dell'accusa, dietro cui si celavano i n realtà motivazioni d i ordine politico. Socrate è colpevole anche di corrompere i giovani. Se Socrate avesse tenuto per sé le sue credenze, n o n sarebbe stato possibile giungere all'accusa di empietà. Negli u l t i m i anni vari filosofi erano stati processati a motivo della loro presunta asébeia; ma i sentimenti religiosi erano soggetti a pena solo se manifestati pubblicamente, i n maniera da destare scandalo. Socrate diventava punibile i n quanto divulgava le proprie idee e incoraggiava i giovani a «socratizzare», a mettere i n discussione i valori tradizionali e, quindi, ad assumere una consapevolezza critica anche nei confronti del nuovo regime politico. 1, G l i ateniesi potevano aver ragione d i temere u n uomo come Socrate che, col suo tipo d'insegnamento, n o n proponeva u n sistema di valori chiuso e inoppugnabile semplicemente i n forza della tradizione, ma educava al libero esercizio della riflessione filosofica. Perché Socrate fu condannato a morte I l libero dialogare d i Socrate i n pieno periodo d i restaurazione democratica n o n poteva che essere considerato u n elemento d i grave disturbo n o n u l t e r i o r m e n t e tollerabile. È tuttavia probabile che i suoi accusatori n o n desiderassero giungere alla condanna a m o r t e e si accontentassero d i esiharlo. Socrate, però, che durante la sua vita n o n si era m a i piegato al compromesso, portando la coerenza verso la sua missione fino all'estremo, indispettì i giudici che ne sentenziarono la m o r t e . z 4 o Il processo a Socrate 165 SOCRATE 8: (da Platone) Socrate davanti ai giudici Di fronte ai giudici Socrate afferma che l'unico giudizio veramente adeguato per l'attività da lui compiuta in favore del popolo ateniese non consiste in una sentenza di condanna, ma in un benefìcio, quello di essere mantenuto a vita a spese dello Stato. Egli, infatti, è stato un benefattore per i suoi concittadini perché ha insegnato loro che quanti vogliono essere virtuosi e sapienti non devono curarsi principalmente delle ricchezze e degli onori pubblici, ma della propria vita. Quest'uomo [Meleto] dunque chiede per me la pena d i morte. Sta bene. E quale pena dovrò chiedere per me io, o cittadini di Atene.' Certamente quella che merito, n o n è vero? E quale? Quale pena merito io di patire, o quale multa pagare, io che nella vita rinunciai sempre a ogni quiete, e trascurando quel che curano i p i l i n o n badai ad arricchire né a governare la m i a casa, n o n aspirai a comandi m i l i t a r i né a favori d i popolo né ad altri pubblici onori, n o n m ' i m m i s c h i a i i n congiure né i n sedizioni cittadine, ritenendo me stesso troppo sinceramente onesto perché potessi salvarmi se m i ci fossi immischiato; e insomma n o n m ' i n t r o m i s i là dove sapevo che intromettendomi n o n avrei recato vantaggio né a me né a voi; e volgendomi invece a beneficiarvi singolarmente e privatamente di quello che io reputo i l beneficio maggiore, a questo m i adoperai, cercando di persuadervi, uno per uno, che n o n delle proprie cose bisogna curarsi prima di se stessi chi voglia veramente diventare virtuoso e sapiente, e nemmeno degli affari della città prima della città stessa, e così via del rimanente allo stesso modo? Dite, dunque, quale pena merito d i patire io se sono cosi come vi dico? U n premio, o cittadini d i Atene, se m i si deve assegnare quello che io merito i n verità. E tale ha da essere questo premio che m i si addica. E quale premio si addice a u n uomo che è povero e benefattore vostro, e solo prega d'aver agio e tempo per la vostra istruzione? N o n c'è premio che meglio si addica, o Ateniesi, se n o n che tale uomo sia nutrito nel Pritanèo^^; assai più che n o n s'addica a quello di voi che con cavallo o biga o quadriga abbia riportato vittoria nei Giochi Ohmpici. Perché costui fa solo che voi sembriate felici, e io che siate; e quello n o n ha bisogno gli si dia da vivere, e io ne ho bisogno. Se dunque io debbo chiedere, secondo i l diritto, quello che m i spetta, questo io chiedo, d i essere nutrito nel Pritaneo. Platone, Apologia di Socrate, }6b-e, in Opere complete, voi. I , pp. 61-62. LA FEDELTÀ AL DIO 4.2. La morte coronamento della missione di Socrate Per quale ragione Socrate n o n scelse l'esilio e preferì provocare addirittura i g i u d i c i che lo condannarono a morte? I l fatto è che l'opera morale d i Socrate era strettamente connessa alla sua patria; abbandonare Atene per l'esilio significava r i n u n c i a r e alla sua missione, tradire l'opera a c u i aveva dedicato tutta la sua vita e per la quale si era p e r f i n o ridotto i n povertà. Così Socrate, dopo la condanna, confessò ai g i u d i c i che considerava la propria m o r te come u n a testimonianza estrema del servizio al dio. SOCRATE 9: (da Platone) Perché Socrate non teme la morte /] dèmone, che sempre era intervenuto nella vita di Socrate per impedirne gli errori, non ha manifestato alcun segno di opposizione in occasione del processo. È questa l'inequivocabile conferma che la morte cui Socrate va incontro non è un male, ma un bene. Morire, infatti, non è la più grave delle 22. Il Pritaneo si trovava ai piedi dell'Acropoli. Qui erano mantenuti dallo Stato tutti quei cittadini che si erano resi benemeriti per i servizi prestati alla patria. Tra costoro si anno- veravano generali, vincitori dei giochi olimpici e discendenti di famiglie particolarmente illustri, a o T ì- r. - £ ! . capitolo 6. Socrate sciagure perché o coincide con un etemo sonno privo di sogni oppure è il passaggio verso un luogo dove sarà possibile dialogare con i grandi personaggi del passato. Quella m i a solita voce profetica, quella del dèmone, per tutto i l tempo passato io la sentivo continuamente e ad ogni occasione; e sempre m i si opponeva, anche i n circostanze di poco conto, solo che fossi per far qualcosa che n o n m i riuscisse bene. Oggi m'è avvenuto u n caso, lo vedete anche voi, di quelli appunto che si possono giudicare, e la gente giudica, gh estremi dei mali. Ebbene, né a me stamattina quando uscivo d i casa si oppose i l segno del dio, né quando salivo q u i sul tribunale, e nemmeno durante la mia difesa, i n nessun punto, ogni volta che ripigliavo a parlare. E sì che più volte, i n altri discorsi, m i fermò la parola anche a mezzo. Ora invece, per tutto questo processo, qualunque cosa fossi per fare o dire, n o n m i dette cenno m a i di nessunissima opposizione. E allora, la cagione d i questo silenzio quale devo pensare che sia? Ve la dirò: questa: che i l caso capitatomi oggi ha da essere sicuramente u n bene; e certo n o n pensano dirittamente quanti di n o i ritengono che i l morire sia u n male. H o avuto di ciò una grande riprova: n o n è possibile che i l segno consueto n o n m i si sarebbe opposto se quel che stava per accadermi n o n avesse dovuto essere u n bene. Vediamo la cosa anche da questo punto, per quale altra ragione io ho così grande speranza che morire sia u n bene. Una d i queste due cose è i l morire: o è come u n n o n essere più nulla; o è proprio, come dicono alcuni, una specie di mutamento e d i migrazione dell'anima da questo luogo quaggiù a u n altro luogo. Ora, se i l morire equivale a n o n dover avere più sensazione alcuna, ed è come u n sonno quando uno dormendo n o n vede più niente neppure i n sogno, ha da essere u n guadagno meraviglioso la morte. [...] D'altra parte, se la morte è come u n mutar sede d i q u i ad altro luogo, ed è vero quel che raccontano, che i n codesto luogo si ritrovano poi tutti i m o r t i , quale bene ci potrà essere, 0 giudici, maggiore di questo? Che se uno giunto nell'Ade, libero oramai da coloro che si spacciano per giudici qui da noi, troverà colà i giudici veri, quelli appunto che nell'Ade si dice esercitino officio di giudici, e Minos e Radamanti e Eaco^' e Trittolèmo e quanti altri fra i semidei furono giusti nella lor vita; sarebbe forse codesto u n mutamento d i sede spregevole? E ancora, per starsene con Orfeo e Musèo, con Omero e con Esiodo, quanto n o n pagherebbe ciascuno d i voi? Io per me n o n una volta soltanto vorrei morire, se questo è vero. Che consolazione straordinaria avrei io d i tal soggiorno colà, quando, m'incontrassi con Palàmede^4^ e ("on Aiace^' figlio d i Telamóne, e con tutti quegli altri antichi eroi che ebbero a morire per ingiusto giudizio; e quale gioia, penso, paragonare i miei casi ai loro! E i l piacere più grande sopra tutti sarebbe di seguitare anche colà, come facevo qui, a studiare e a ricercare chi è davvero sapiente e chi solo crede di essere e n o n è. Quanto darebbe uno di voi, o giudici, per interrogare e conoscere colui che condusse contro Troia i l grande esercito, oppure Odisseo, o Sisifo^^, e quanti altri innumerevoli si possono ricordare, uom i n i e donne? Ragionare colà con costoro e viverci insieme e interrogarli, sarebbe davvero i l sommo della felicità. Senza dire poi che, per codesto, n o n c'è pericolo quelli d i là mandino a morte nessuno; essi che, oltre a essere, per altri motivi, più felici d i noi, anche sono ormai per tutta l'eternità i m m o r t a l i , se è vero quel che si dice. Ebbene, anche voi, o giudici, dovete bene sperare dinanzi alla morte, e aver nell'animo che una cosa è vera, questa, che a uomo dabbene n o n è possibile intervenga 23. Nella mitologìa greca sono i tre giudici del mondo sotterraneo, uomini che in vita si erano distinti per le loro doti di saggezza e giustizia. 24. Palamede, uno dei capi achei, è ricordato da Socrate come vittima di un'ingiustizia commessa da Ulisse ai suoi danni. Questi, infatti, non essendo riuscito a procurare agli achei del grano che invece venne fornito da Palamede, vedendosi battuto in abilità, si vendicò in maniera ignobile. Dopo aver sotterrato un sacco pieno d'oro sotto la tenda di Palamede fece credere che quella ricchezza costituiva la ricompensa pat- tuita con i troiani per aver tradito gli achei. Perquisita la tenda e scoperto l'oro, Palamede fu lapidato dai soldati. 25. È Aiace «il grande», valorosissimo combattente dell'esercito greco. Nel libro XI dell'Od/ssea è presentato come un'ombra astiosa che nell'Ade si rifiuta di rivolgere la parola a Ulisse. Infatti a causa di un ingiusto giudizio Aiace, alla morte di Achille, non riusci ad ottenerne le armi, che invece andarono a Ulisse. 26. Personaggio della mitologia greca noto per essere riuscito, con la sua scaltrezza, a vincere perfino la morte. 5. I momenti della ricerca socratica 167 male veruno, né i n vita né i n morte; e tutto ciò che interviene è ordinato dalla benevolenza degli dèi. E così anche quello che capita a me ora n o n è opera del caso; e anzi vedo manifestamente che per me oramai morire e liberarmi da ogni pena e fastidio era la cosa migliore. Per questo i l segno del dio m a i una volta cercò farmi piegare dalla mia strada; per questo nessun rancore io ho con coloro che m i votarono contro, né coi m i e i accusatori. Sebbene n o n certo con questa intenzione essi m i condannarono e m i accusarono, ma credendo anzi d i f a r m i male; e perciò essi sono degni d i biasimo. Ora io a costoro n o n ho da fare altra preghiera che questa: i m i e i figlioli, quando siano fatti grandi, castigateli, o cittadini, cagionando loro gli stessi fastidi che io cagionavo a voi, se a voi sembra si diano cura delle ricchezze o d i beni altrettali piuttosto che della virtù; e se diano mostra di essere qualche cosa n o n essendo nulla, svergognateli, come io svergognavo voi, che n o n curino ciò che dovrebbero e credano valer qualche cosa n o n valendo nulla. Se così farete, io avrò avuto da voi quel ch'era giusto che avessi: 10 e i miei figUoH. Ma ecco che è l'ora d i andare: io a morire, e voi a vivere. Chi d i noi due vada verso 11 meglio è oscuro a tutti fuori che a dio. Platone, Apologia di Socrate, 403-423, i n Opere complete, voi. I , pp. 66-69. L'aiuto degli amici La condanna a m o r t e n o n venne eseguita subito dopo la sentenza perché i n q u e i g i o r n i cadeva la festa d i A p o l l o Delio. G l i ateniesi, che t u t t i g h a n n i mandavano u n a nave a Delo^^, avevano l'usanza d i sospendere o g n i attività giudiziaria finché la nave n o n avesse fatto r i t o r n o . Questo temporaneo i m p e d i m e n t o dette la possibilità a Critone d i recarsi al carcere per i n d u r r e l'amico Socrate a fuggire. S i m m i a e Cebete, suoi fedeli discepoli e c o m p a g n i , erano b e n lieti d i mettere a disposizione se stessi e i loro averi per riuscire nel- La dignità di Socrate l ' i m p r e s a e salvare la vita dell'amato maestro. Questi, però, convinto sostenitore della legritenne giusta alcuna f o r m a d i compromesso, perché n o n le leggi sono ingiuste, m a la loro applicazione da parte d i u o m i n i i n g i u s t i . Secondo Socrate, i n f i n e , fuggire dal carcere se da u n lato equivale a confermare le accuse d i q u a n t i lo h a n n o giudicato u n corruttore delle leggi, dall'altro costituisce i l segno d i u n incoerente ed eccessivo attaccamento alla propria vita. Così, Socrate, nella primavera del 399 a.C, beveva la cicuta alla presenza dei suoi a m i c i e discepoli offrendo, fino a l l ' u l t i m o g i o r n o della sua vita, u n esempio d i e s t e r n a fedeltà alla m i s s i o n e affidatagli dal dio. I MOMENTI DELLA RICERCA SOCRATICA 5.1. il dialogo è apertura alla verità IL DIALOGO L'erede diretto della novità d'impostazione che i sofisti avevano dato alla ricerca filosofica f u Socrate, con i l quale i l relativismo dei sofisti si trasformò i n u n perenne esam e che mette i n d u b b i o tutte le p o s i z i o n i , per cogliere, m e d i a n t e i l dialogo, la verità sottesa alla massa caotica delle varie o p i n i o n i . Nella filosofia socratica i l dialogo si presenta come u n vero e p r o p r i o p r i n c i p i o d'indagine, u n m e t o d o per giungere alla verità; per questa ragione l ' i n t e r l o c u t o r e n o n viene m a i presentato come u n avversario con c u i gareggiare e da superare i n abilità, m a come u n collaboratore n e l tentativo d i fare emergere verità 27. La nave inviata a Deb doveva adempiere a un antico voto, fatto al dio Apollo, in ringraziamento della vittoria di Teseo sul Minotauro cretese - creatura mostruosa dal corpo umano e dalla testa taurina - che ogni anno richiedeva agli ateniesi un tributo di sette fanciulli e sette fanciulle che poi divorava.
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