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COMPAGNI
DI CINEMA
2014
Regia: Piefrancesco Diliberto detto Pif.
Soggetto e sceneggiatura: Michele
Astori, Pierfrancesco Diliberto, Marco
Martani. Fotografia: Roberto Forza.
Scenografia: Marcello Di Carlo.
Costumi: Cristiana Riccieri. Musica:
Santi Pulvirenti. Montaggio: Cristiano
Travaglioli. Interpreti e personaggi:
Pierfrancesco
Diliberto
(Arturo),
Cristiana Capotondi (Flora), Ginevra
Antona (Flora bambina), Alex Bisconti
(Arturo bambino), Claudio Gioè
(Francesco), Ninni Bruschetta (fra'
Giacinto), Barbara Tabita (Maria Pia,
madre di Arturo), Rosario Lisma
(Lorenzo, padre di Arturo). Produzione:
Mario Gianani, Lorenzo Mieli per
Wildside
con
RAI
Cinema.
Distribuzione: 01 Distribution. Origine:
Italia, 2013. Durata: 90'.
La storia
Palermo, anni Settanta. Il piccolo Arturo ha otto anni, ma le prova tutte pur di conquistare il
cuore di Flora, la sua amata compagna di banco snob e ricca che vede come una principessa
irraggiungibile. Il bambino crede nelle parole di Giulio Andreotti affisso al muro come i santi
e collezionato in formato tascabile come i calciatori, e nell’amore estemporaneo e
imperituro per Flora cui fa trovare un dolce sul banco ogni mattina. Una mattina, davanti alla
pasticceria, trova il cadavere del commissario che gli aveva fatto scoprire la dolcezza dell’iris
alla crema. A carnevale si traveste da Andreotti, ma neppure la maestra riconosce la
maschera ingobbita. Crescendo, diventa giornalista ragazzino e accidentalmente pianista per
la tv “d’intrattenimento”. Mentre va incontro alla sua educazione civile e sentimentale,
senza mai smettere di corteggiare Flora, Arturo è testimone dei fatti di cronaca che
sconvolgono la sua città, compresi i terribili attentati di mafia che per vent'anni, quasi
sempre d'estate, rendono Palermo protagonista di una delle pagine più buie della storia
d'Italia.
La regia
Nato a Palermo nel 1972, Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif, dopo un po’ di tempo trascorso
a Londra per seguire dei corsi di Media Practice comincia a lavorare in Italia nel 1998 come
assistente alla regia. Lo fa al fianco di Franco Zeffirelli nel film Un tè con Mussolini e, l’anno
successivo, affiancando Marco Tullio Giordana per I cento passi, dedicato alla memoria di
Peppino Impastato, ucciso dalla mafia. Il suo progetto iniziale era quello di diventare regista
ma poi partecipa, nel 2000, a un corso per autori televisivi organizzato da Mediaset. Viene
scelto per il programma Le Iene, prima come autore e poi anche come inviato, che gli vale il
“diploma” di disturbatore per eccellenza. Nel 2007 per MTV realizza Il testimone, il suo
primo programma individuale, uno tra i più originali e innovativi del panorama televisivo. Dal
2011 è impegnato con Il testimone Vip, che racconta da vicino i dettagli di vita quotidiana di
personaggi legati al mondo dello sport, della politica e dello spettacolo. Nel 2007 ha
pubblicato il libro Piffettopoli. Le fatiche di un quasi vip e nel 2012 ha diretto il suo primo film
La mafia uccide solo d’estate, dedicato alle vittime di Cosa Nostra. Ha prestato il suo volto
per diverse campagne di sensibilizzazione e raccolta fondi ad Amref, l’organizzazione
internazionale che opera in Africa di cui è testimonial.
Avete presente quando rivedete una vecchia foto degli anni Ottanta, magari di una ragazza
per la quale avevate perso la testa? Per quanto bella possa essere la ragazza, i vostri occhi, o
almeno i miei, saranno attratti da un elemento particolare: le spalline! Le ragazze
indossavano le orrende spalline, perché andavano di moda. E voi vi chiedete: ma come mai
le spalline entravano nella mia vita ed io non dicevo nulla?
Ecco, una domanda simile me la sono posta con Palermo, la città dove sono nato e cresciuto.
Infatti, un giorno mi sono fermato e ho guardato indietro. E lì la domanda: ma come è
possibile che a Palermo la mafia entrasse così prepotentemente nella vita delle persone e in
pochi dicevano qualcosa? Il tempo ti rende più lucido, più distaccato e allora capisci gli
assurdi compromessi che si fanno con la vita, in maniera più o meno cosciente, per andare
avanti. E fai finta che alla fine tutto vada bene. Accettazione delle spalline compresa.
Perché è faticoso uscire dal coro. Perché, per quanto amaro possa essere, sul momento si
vive meglio abbassando la testa, e poi si vedrà. Allora, essere un bambino a volte conviene.
Perché imiti i tuoi modelli, cioè gli adulti. E se per loro non ci sono problemi, non ci sono
neanche per te. I problemi arrivano quando, un giorno, il bambino capisce che la mafia non
uccide solo d’estate. (Pif)
Il film
Un'opera che ha l'ambizione di trasformare i tipici modelli narrativi del film a tematica
mafiosa, puntando su un approccio decisamente leggero e stralunato, che tuttavia consenta
agli spettatori, e non soltanto a quelli più giovani, di recuperare un prospettiva di lungo
periodo sulla storia della Sicilia e dell'Italia.
Volutamente caratterizzato dall'intenzione di considerare le generazioni più giovani quali
interlocutori privilegiati, il film è scritto, diretto e interpretato da Pif, figura televisiva di
grande successo cui si affida un percorso di formazione scandito dalle reazioni personali agli
eventi della Cronaca che diventerà Storia.
Pur prendendo spunto dalla biografia personale di Pif, il film cerca di rappresentare in
generale le esperienze dei molti palermitani che durante gli anni Ottanta si sono confrontati
con la diffusione della “mafiosità” ad ogni livello dell’esperienza quotidiana. Tutti i
protagonisti vivono una doppia vita: da una parte le esperienze di tutti i giorni, come
l’innamorarsi o l’andare a scuola, dall’altra i soprusi, la corruzione e gli omicidi del mondo
mafioso. Ogni personaggio, tra cui lo stesso Arturo, deve trovare un equilibrio per far
convivere queste dimensioni così diverse.
Questa doppia dimensione diventa la chiave strutturale del film, che ad un tempo cerca di
essere un film delicato, in certi punti leggero, ma senza rinunciare anche alla dimensione
drammatica, capace di raccontare attraverso gli occhi di un bambino le atrocità della mafia e
di riflettere sulla necessità di prendere coscienza in parallelo con il percorso di crescita
personale, che coincide con quello sociale e culturale della città, fino all’epilogo che si
scioglie in un commosso e sincero omaggio a chi ha realmente perso la vita per combattere
la mafia.
Prospettive didattiche
Il film si presta come spunto di partenza per indagare sulla mafia sia sul piano prettamente
storico e sociale, sia sulle modalità di messa in scena del fenomeno nel cinema italiano degli
ultimi decenni, recuperando da un lato altre opere che hanno utilizzato il registro comico per
raccontarla, da Roberta Torre a Roberto Benigni, sia autori e film che viceversa hanno
puntato su narrazioni di tipo più drammatico o d’azione.
In una prospettiva non solo storica, il film può essere una buona occasione per riflettere sul
rapporto tra generi narrativi e racconto della realtà, permettendo di focalizzare le
caratteristiche dominanti di ciascun genere e di identificare figure retoriche ed archetipi
stilistici che caratterizzano le differenti modalità di rapportarsi ai temi trattati.
4 domande
1) Perché il piccolo Arturo è molto affascinato dal personaggio di Andreotti?
2) In che prospettiva il film si può definire un racconto di formazione, per cui la crescita
anagrafica del protagonista coincide anche con la sua maturazione interiore?
3) Che ruolo gioca la storia d’amore tra Arturo e Flora in relazione alla definitiva presa di
coscienza sull’effettivo potere della mafia?
4) Quali sono gli elementi del film che appaiono più favolistici, quali invece i dettagli che
appaiono più realistici?
Critiche
La mafia uccide solo d’estate è un film che diverte e commuove. Perché si può parlare di
mafia, anche con un sorriso. E’ con il sorriso infatti che Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif,
racconta le stragi mafiose che sconvolsero la Sicilia tra gli anni ’70 e ’90 attraverso gli occhi di
un bambino, Arturo, che nasce e cresce a Palermo. Partendo dalla strage di Viale Lazio del
1969, Pif unisce elementi di finzione a immagini di repertorio e racconta l’omicidio del
generale Dalla Chiesa, di Boris Giuliano, di Pio La Torre e Rocco Chinnici fino ad arrivare alle
bombe di Capaci e di via D’Amelio del 1992.
Non bisogna preoccuparsi degli omicidi e delle sparatorie, perché la mafia uccide solo
d’estate, gli assicura il padre; e Arturo ci crede. Come crede che Andreotti – che in
un’intervista dichiara di preferire i battesimi ai funerali – sia una brava persona in quanto
“amico degli amici”, tanto da arrivare a chiedere a Dalla Chiesa, nella sua prima intervista:
“L’onorevole Andreotti dice che l’emergenza criminalità è in Calabria e in Campania,
Generale, ha forse sbagliato regione?”.
Pif, palermitano di origini, aveva soltanto 10 anni all’epoca dell’omicidio di Dalla Chiesa. Oggi
dichiara: “La sveglia a me come a quelli della mia generazione ce l’hanno data le stragi
del ’92, le morti di Falcone e Borsellino. Inconsciamente tutte le persone uccise dalla mafia ti
spingono a fare delle scelte. Ed è grazie a loro che le conseguenze di queste scelte oggi non
sono più violente. Ad esempio: io ho girato il mio film a Palermo senza pagare il pizzo a
nessuno. Se l’ho fatto è grazie a chi è venuto prima di me”.
Attraverso questo film, Pif mostra il rapporto di un qualsiasi bambino, estraneo alle famiglie
criminali, con Cosa Nostra e ritiene che possa essere un insegnamento per la gente del Nord,
per quei politici che – per orgoglio o collusione – negano le infiltrazioni mafiose. E’
importante, soprattutto per i giovani che magari in quegli anni non erano neppure nati,
sapere che “anche se Cosa Nostra oggi è un po’ meno potente non si deve abbassare la
guardia perché la mafia è particolarmente pericolosa quando è silente, strisciante. L’ idea è
quella di far capire quanto la mafia entri nella nostra vita anche se ufficialmente non
abbiamo nulla a che fare con la mafia. Un film come questo, che ha vinto il Premio del
Pubblico al Torino Film Festival, utilizzando un nuovo linguaggio riesce a farci vivere la
Palermo di quegli anni e merita davvero di essere sostenuto. E non solo come tributo alla
memoria dei tanti caduti per mano criminale, ma perché quella Palermo dove la mafia
sembra lontana, rivive oggi in tante nostre città, solo apparentemente estranee a questo
fenomeno. (Consuelo Cagnati, Il Fatto Quotidiano, 4.12.2013)
La mafia uccide solo d’estate è un’operazione molto diversa da quella fatta da Paolo
Sorrentino con Il Divo, anche se la “presenza” di Giulio Andreotti potrebbe condurre a fare
paragoni, soprattutto per il tono scelto. Ma se per Sorrentino la maschera era un mezzo per
rileggere attraverso il grottesco la figura del “Mito”, la maschera nel film di Pif è usata per
mettere alla berlina la figura dell’inquietante Potente. Come commedia vuole. Pif con il suo
primo lungometraggio punta più in basso, ma la sua è un’operazione consapevole. Quanti
film sulla mafia abbiamo avuto in Italia? Quante critiche si leggono sull’impossibilità del
mezzo cinematografico di fare i conti con una delle piaghe che prova a distruggere il paese
da anni e anni? Ecco: Pif tenta nel suo piccolo di mettere una pietra tombale, sia (de)ridendo
gli inquietanti Potenti che firmando un’opera di vero impegno civile.
Sarcastico, pungente ma anche toccante, La mafia uccide solo due volte è davvero un
esordio sorprendente. Chi non conosce il Pif televisivo, quello de Le Iene e soprattutto Il
Testimone, ne resterà stupito per la qualità tecnica e per la direzione piuttosto sicura, anche
se non priva di qualche scelta acerba tipica forse dell’opera prima. Chi invece conosce il
personaggio tv poteva anche aspettarsi una pellicola che di sicuro non fosse sciocca e
volesse impegnarsi per andare oltre la media del panorama italiano. Effettivamente così è.
Quella che Pif mette in scena è una città in cui la “cultura della mafia” si va formando pian
piano ma in modo esponenziale, senza che nemmeno i cittadini se ne rendano ben conto.
Dal “mito” di Andreotti ad oggi, passando per tutte le tappe che hanno costruito una delle
pagine più tristi della storia italiana contemporanea, Pif si prende gioco di una Storia che
ormai non può che essere presa in giro: perché, dopo tutto ciò che è stato detto e tutto il
cinema che ha calpestato l’argomento, è giunto il momento di riderne per davvero.
Per una volta gli stereotipi e i modi di vivere di un’epoca e di una città vengono usati con
cognizione di causa. Pure il mito di Andreotti assume allo stesso tempo dei toni che
potrebbero al solito essere inquietanti ma qui innanzitutto sono esilaranti.
La mafia uccide solo d’estate descrive un paese che viene costretto a fare i conti col suo
cancro di fronte all’evidenza. Perché dopo anni di stragi, anni di lutti terribili e improvvisi,
funerali di stato, dichiarazioni (”la mafia c’è solo in Campania e Calabria”) e quant’altro, ma
soprattutto dopo anni di omertà, non si può più far finta di nulla: anche se la mafia non ti
tocca direttamente, influenza la tua vita comunque.
Pif usa in modo coraggioso anche il materiale di repertorio, che è vasto, ricco e doloroso nel
suo essere mostrato in modo cronologico. Lo usa in modo originale e “rischioso” perché
inserisce i personaggi all’interno di questi “documenti” come farebbe addirittura un
Zemeckis. Ma l’effetto non è di lesa maestà, anzi: Pif sembra dire che di quella Storia ne
abbiamo fatto parte, e che ci appartiene. Quando poi inserisce un bacio ad un funerale,
capisci pure che ha delle intuizioni politiche.
Se la storia d’amore fra Arturo e Flora sembra più debole rispetto a tutto il resto, è perché è
il contorno ad essere così importante e “di peso”. Invece Pif ha seriamente il dono della
leggerezza: oltre a far ridere in moltissime scene, integra la storia d’amore impossibile e
ventennale nella Storia facendola diventare un sottile filo conduttore. Così facendo, l’autore
regala a questa storia d’amore che parte con l’innocenza dei bambini e finisce con la
coscienza e l’impegno dell’età adulta il compito non facile di trascinare narrativamente il film
verso la sua conclusione di alto valore civile. Questo finale, pesantissimo a livello emotivo,
potrà anche sembrare un’operazione da “dibattito post-proiezione”; invece racchiude il
senso di tutto il film. Che serve per aprire bene gli occhi una volta per tutte, ma soprattutto
serve da monito perché non ci sia più bisogno di eroi. (Gabriele Capolino, cineblog.it)
Scheda a cura di Michele Marangi