Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino¶8 settembre 2014¶N. 37 8 Società e Territorio Il cielo di Svezia, le montagne svizzere Radici intrecciate A colloquio con Louise Brandberg Realini per parlare di come la comunità svedese in Ticino cerca di mantenere vivi i legami con la propria cultura d’origine – Quarta puntata Alessandro Zanoli Quando si discute di immigrazione, in genere si è portati a considerare una prospettiva di movimento che va da Sud a Nord. Capita molto più raramente di discutere invece dei fenomeni migratori che si pongono sulla diretttrice Nord-Sud. In questo modo anche la scala di valutazione dei rapporti tra ospite e ospitante sembra capovolgersi un po’. Visto che i pregiudizi a cui siamo abituati collocano nel Nord le nazioni più sviluppate e nel Sud (o nell’Est) quelle in cui la qualità di vita è più precaria, renderci conto che anche noi possiamo essere il Sud di qualcuno ci costringe a un sano esercizio di ginnastica mentale. Abbiamo pensato di interpellare al proposito Louise Brandberg Realini, architetto svedese che vive a Lugano dal 2003 e che ha appena portato a termine la sua collaborazione in un progetto di ricerca all’Università della Svizzera italiana. Sposata e madre di due bambine, Louise Brandberg Realini è giunta in Ticino per motivi «di cuore», dopo aver conosciuto il suo futuro marito a Firenze. «Alla fine dei suoi e dei miei studi siamo venuti qui. Sono scelte che avvengono e di cui magari non ci si rende neanche tanto conto dell’importanza...». L’inserimento nella realtà ticinese non le ha procurato nessuno choc culturale particolare; Louise Brandberg Realini aveva studiato l’italiano alle scuole superiori e sapeva comunicare abbastanza bene. «Tra società svizzera e svedese ci sono tantissime similitudini, almeno all’apparenza. Quello che mi colpiva di più è stato il paesaggio. Nonostante sia molto bello, le montagne per me sono qualcosa di nuovo. Dove sono cresciuta io c’è il cielo “a cupola” e il mare. È un modo di vivere all’interno di un orizzonte aperto a 360 gradi. Le montagne svizzere sono l’esatto opposto. È una cosa molto strana da immaginare, se non ci sei nato e cresciuto». Al di là da ciò, possiamo dire però che Svizzera e Svezia sono due nazioni simili, a forte vocazione sociale. «Questo sì, abbastanza. Le differenze Louise Brandberg Realini è architetto e vive a Lugano dal 2003. (Stefano Spinelli) sottili le ho cominciate a notare di più quando ho avuto le bambine. C’è molto meno possibilità di stare a casa con loro per la maternità. Per fare un confronto, in Svezia sono 13 i mesi di congedo maternità, con la garanzia di mantenere il posto di lavoro. C’è anche la possibilità per il padre di prendere la metà di questo congedo. È più facile pensare di mettere su famiglia, e per una donna pensare di avere figli portando anche avanti la sua vita professionale, una cosa che per me è sempre stata naturale». Nel suo modo di valutare il sistema sociale svizzero, Louise Brandberg Realini mette chiaramente in luce gli aspetti dell’emancipazione femminile. «Premesse queste diversità di base, il resto funziona: si trova il posto all’asilo nido, poi c’è la scuola dell’infanzia, con cui le cose vanno abbastanza bene se riesci a lavorare a tempo parziale. Poi inizia la scuola elementare e lì si evidenzia il discorso della mensa. Se non hai un tempo parziale strutturato in modo adeguato, se non hai nessuno che si occupa dei bambini, è difficile. Da noi, in Svezia, il problema non si pone: io sono sempre andata alla mensa. Non c’è alternativa, tutti i bambini ci vanno». L’intreccio di culture si fa più evidente per Louise proprio al momento della nascita della sua prima figlia. «Con lei ho subito parlato in svedese, mi è venuto naturale. Gioca in questo anche il rapporto con la parentela in Svezia, i miei genitori, mia sorella, mia nonna. Mi sono chiesta come si sentirebbero le bambine a non poter, oltre che parlare svedese, non conoscere il Paese, non sapere come sono le nostre tradizioni. Poi mi sono chiesta come mi sentirei io se non potessi donare alle mie bambine parte delle mie origini che sono anche le loro. Sembrano dei ragionamenti magari sciocchi, però il fatto di avere figli ti fa riflettere sul fatto che “i miei figli non saranno mai svedesi come lo sono io”. È un pensiero spontaneo». La Svezia, come la Svizzera del passato, è stata una terra di emigrazione. Data per assodata questa disponibilità degli svedesi a emigrare, esiste per loro la possibilità di mantenere vivi i legami con la terra d’origine. «In Ticino, ad esempio, esiste un’associazione sve- dese che si chiama Luganosvenskarna. Siamo un centinaio di persone e abbiamo la possibilità di incontrarci una volta alla settimana per un aperitivo, una volta al mese per una cena. Facciamo gite, andiamo a visitare musei, invitiamo ospiti a parlare. Ultimamente sono arrivate famiglie con bambini piccoli più o meno della stessa età, e abbiamo cominciato a vederci il mercoledì pomeriggio per fare in modo che i bambini potessero incontrare anche altri bambini che parlano svedese e italiano. L’idea è proprio quella di giocare, cantare canzoni svedesi, fare delle attività insieme ma soprattutto di parlare svedese». E i bambini come l’hanno presa? «Prima che facessero conoscenza c’è voluto un po’. Ci sono bambini che parlano molto meglio svedese degli altri perché magari in casa tutti e due i genitori sono svedesi». La piccola scuola svedese di Lugano per quanto minuscola gode di un’ottima organizzazione: «Si tiene due volte al mese il sabato mattina, tre ore, dalle 10.00 alle 13.00. Sono tre classi dove i bambini più grandi hanno avuto per insegnanti due studenti che fanno l’università qui, a Lugano. Utilizzano i sistemi della scuola svedese per apprendere la lingua: nella prima ora molta didattica, poi seguono momenti più ludici, con giochi e canzoni. Cerchiamo anche di trasmettere un po’ delle tradizioni, quelle più importanti; il Natale come si festeggia da noi, poi Santa Lucia che è il 13 dicembre. La Festa nazionale è il 6 giugno, è il giorno della bandiera svedese, che ricorda tra altre cose anche l’incoronazione del primo re». Ma per tornare alla piccola scuola, esistono anche concreti legami con l’ufficialità. «La scuola è indipendente, non legata ad un’autorità. Ma i bambini, dopo aver raggiunto una certa età, possono ricevere un contributo dallo Stato svedese, avendo la doppia nazionalità. Vediamo la scuola anche come una facilitazione per il futuro, nel caso si decida di andare a studiare in Svezia». Louise Brandberg Realini ci racconta poi un aspetto interessante del suo rapporto con la propria cultura di origine. All’inizio della sua permanenza ticinese infatti non sentiva nessun bisogno di contatto con le sue “radici”. «Non pensavo di aver bisogno di cercarlo qui. Inizialmente non mi sentivo “diversa”. Ero curiosa di conoscere questo Paese, sono stata anche accolta molto bene. Dopo qualche anno invece ho avuto proprio il bisogno di confrontarmi con altri svedesi che vivono qui. Per potermi riconoscere, chiedere se avevano avuto una stessa esperienza da condividere. E magari ridere di noi stessi, del nostro stupore davanti a certe situazioni e sì, anche di parlare della Svizzera e degli svizzeri». In fondo, la multiculturalità passa attraverso un rapporto maturo, dialettico con le proprie radici. «Il discorso per me è stato più chiaro nel momento in cui ho iniziato a osservare le mie bambine. L’idea che diventassero solo svizzere mi sembrava strana... Sono ormai in parte anche svizzera, è evidente, ma provo comunque un sentimento forte rispetto alla mia cultura. La Svezia ha una sua fisionomia culturale importante della quale faccio parte, ed è impossibile per me non tenerne conto». L’artista di Casa Sciaredo Pubblicazioni Primo sguardo sulla vita e le opere dell’artista Georgette Tentori-Klein Stefania Hubmann Desiderava che la sua ricerca artistica, le sue opere, i suoi diari, fossero tramandati, che la sua casa continuasse ad ospitare persone ispirate e creative. Le speranze di Georgette TentoriKlein (1893-1963), eclettica artista vissuta a Barbengo, sono oggi una realtà. Una vita da solista è infatti il titolo del libro che Chiara Macconi e Renata Raggi-Scala le hanno dedicato dopo aver esaminato il fondo documentario che lo scorso anno è stato depositato presso l’Associazione Archivi Riuniti delle Donne Ticino (AARDT), di cui le curatrici del volume sono rispettivamente membro di comitato e presidente. La pubblicazione, edita da AARDT ed Elster Verlag in italiano e tedesco, sarà presentata al pubblico il 25 settembre alla Biblioteca Salita dei Frati a Lugano e il 19 ottobre al Kunstmuseum di Winterthur, dove è conservata una tovaglia ricamata in seta, fra le poche opere di Georgette Klein preservate dall’oblio. In Ticino la testimonianza più famosa resta l’abitazione da lei progettata e costruita con il marito Luigi Tentori sul poggio che ospita la chiesa di Barbengo. Casa Sciaredo, edificio protetto a livello cantonale quale primo esempio di archi- tettura residenziale moderna in Ticino, sarà aperta al pubblico il 27 settembre per una presentazione in loco e visita. Una vita molto produttiva quella di Georgette Tentori-Klein: «L’archivio cartaceo dell’artista – spiegano le curatrici del volume – è costituito da oltre cento diari e da numerosi classificatori, dove sono stati raccolti con molta cura testi, disegni, documenti, fotografie, lettere e articoli di giornale. La sua produzione artistica, di cui rimangono alcuni burattini conservati nella Svizzera tedesca e in Germania e le sculture dell’ultimo periodo lasciate a casa Sciaredo, è in parte ricostruibile attraverso le fotografie e i conti dove figura la vendita delle opere». L’intenso lavoro di Chiara Macconi e Renata Raggi-Scala ha permesso di portare alla luce le diverse forme espressive utilizzate dall’artista. In particolare, oltre alle marionette e ai burattini, di cui già si conosceva l’esistenza, sono emersi il tema del presepe e quello del gruppo madre-figlio. I presepi, composti da figure in legno alte circa 20 cm, rappresentano una parte della produzione degli anni Trenta, periodo particolarmente fruttuoso e di cui sono documentati anche i contatti con nego- L’artista sulla terrazza di Casa Sciaredo, sullo sfondo il Pian Scairolo nel 1940. (AARDT) zi di artigianato ad Ascona, Morcote, Lugano, Winterthur e nella regione del lago di Bienne. Nata nel 1893 a Winterthur in una famiglia agiata (il padre era uno dei direttori della ditta Sulzer), nel 1919 Georgette consegue il dottorato alla Facoltà di germanistica dell’Università di Zurigo, affermando al contempo la sua vocazione artistica. All’inizio degli anni Venti è primo violino aggiunto nel MusikKollegium della sua città, frequenta la Kunstgewerbeschule (Scuola di arti applicate) e realizza produzioni artigianaliartistiche legate in particolare alla tessitura, come cuscini, arazzi e tovaglie. Il trasferimento della famiglia a Barbengo nel 1927 accentua il suo interesse per marionette e burattini e il passaggio alla scultura lignea con opere dapprima figurative e in seguito caratterizzate da un crescente astrattismo. La ragazza di buona famiglia è diventata una donna che si confronta con una realtà artistica all’epoca ancora tutta declinata al maschile. Duro il confronto umano, duro il materiale che cerca di plasmare. Solista ma non solitaria – questa è la tesi del libro –, Georgette Tentori-Klein risulta ben inserita nel tessuto sociale luganese. Frequenta la Biblioteca cantonale, collabora con le scuole di Barbengo per gli spettacoli di burattini e fa parte del Lyceum Club della Svizzera italiana, di cui è l’incaricata per le attività artistiche. Anche attraverso questo sodalizio espone e vende le sue produzioni. Come non chiedersi dove siano finite queste opere? È possibile recuperarne almeno una parte? Chiara Macconi e Renata Raggi-Scala, che con il loro libro hanno voluto gettare un primo sguardo sulla vita e l’opera di questa misteriosa e insolita figura, lanciano un appello per ritrovare le opere di Georgette Tentori-Klein, soprattutto quelle che sembrano ormai esistere solo su carta fotografica, come è il caso dei presepi. Nel volume, scritto a più mani sui vari aspetti dell’artista, la critica d’arte Annelise Zwez, presidente della Fondazione Sciaredo che gestisce la proprietà dove ogni anno soggiornano diversi artisti, rileva pure come non sia semplice cogliere tutte le sfaccettature del personaggio, perché l’eccezionalità di Georgette Tentori-Klein «non risiede tanto nei singoli aspetti della vita e dell’opera, bensì nel loro insieme». Informazioni www.archividonneticino.ch
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