UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CAGLIARI Corso di Laurea in Economia e gestione aziendale A.A. 2014-2015 Economia e gestione delle imprese Dispensa ad uso degli studenti PARTE IV Cagliari, Aprile 2015 1 INDICE PARTE IV – Il processo decisionale e le strategie IV.1. Processo decisionale 1.1. Elementi introduttivi 1.2. Fasi del processo decisionale 1.3. Dalla razionalità all’intuito 1.3.1. Decidere: è un processo razionale? 1.3.2. Prospettiva della razionalità limitata 1.3.3. Ruolo dell’intuito 1.3.4. Differenti tipi di decisioni 1.3.5. Condizioni di assunzione delle decisioni 1.3.6. Stili decisionali 1.4. Uno sguardo d’insieme sul processo decisionale IV.2. Management strategico e strategie 2.1. Management strategico 2.2. Alcune riflessioni sul concetto di strategia 2.3. Processo di management strategico Note di chiusura pag. 3 “ “ “ “ “ “ “ “ “ 3 5 5 6 6 7 9 10 12 “ 13 “ 17 “ 20 “ 24 2 PARTE IV – Il processo decisionale e le strategie IV.1. Processo decisionale 1.1. Elementi introduttivi Se si volesse indicare in modo sintetico l’attività fondamentale di ogni manager, indipendentemente dal grado di responsabilità, senza dubbio si farebbe riferimento all’attività di decisione. È questo l’aspetto fondamentale dell’attività dei manager: assumere decisioni, cioè effettuare scelte. In modo semplicistico, la decisione viene definita come “scelta fra alternative” anche se va subito sottolineato che, di norma, ci si trova in presenza di un’attività più articolata che dà vita ad un processo decisionale. Decisione • Scelta fra alternative In questo capitolo l’attenzione viene rivolta ad analizzare le varie fasi che compongono il processo decisionale, il ruolo della razionalità e gli studi che ne considerano la sua “limitazione”, così come il ruolo che l’intuito svolge nell’adozione delle decisioni. Inoltre, in base alla considerazione che le decisioni che i manager adottano sono di differenti tipologie, l’attenzione si indirizza, da un lato, ad analizzare le varie tipologie e, dall’altro lato, ad evidenziare le condizioni nelle quali vengono adottate. Infine, vengono presentate alcune considerazioni sulle tecniche che possono coadiuvare i manager nello svolgimento della loro responsabilità di decisori. 1.2. Fasi del processo decisionale La prima considerazione che pare opportuno presentare è che ogni soggetto umano, durante le normali attività della propria vita, continuamente, effettua delle scelte, cioè decide (a che ora alzarsi, quali cibi mangiare, recarsi o meno a fare acquisti, e altre simili “semplici” attività quotidiane). Seppure si può rilevare che in particolari situazioni le scelte che un manager si trova ad effettuare sono più complicate, un aspetto è bene sottolineare con forza: le fasi che è necessario porre in essere sono le stesse e, più esattamente, sono quelle presentate nel Riquadro IV.1. e che vengono di seguito singolarmente analizzate. 1. Identificazione di un problema Ogni decisione si avvia con un problema, una discrepanza tra una condizione esistente e una desiderata. Una prima domanda è: come si identifica un problema? Nella realtà non è semplice individuare con immediatezza e certezza un problema perché esso non possiede l’etichetta ”problema”. Infatti è molto facile confondere un problema con i sintomi del problema. Per esempio, è un problema la riduzione del 5% delle vendite? O il declino delle vendite è un sintomo di un più rilevante problema come i prezzi elevati o altri simili aspetti? È importante sottolineare che l’identificazione di un problema è un fatto soggettivo, il che significa che ciò che viene considerato “problema” da un manager può non esserlo per un altro. È possibile che un manager risolva perfettamente un problema sbagliato che lo pone nella stessa posizione di chi non riconosce il problema e quindi non agisce. È facile intuire quanto 3 l’identificazione corretta di un problema sia importante, ma non certamente facile. 2. Identificazione del criterio di decisione Dopo aver identificato il problema, è necessario indicare i criteri che si reputano importanti, o rilevanti, per la sua soluzione. Ogni decisore possiede dei criteri che guidano le sue decisioni, anche se non sono chiaramente esplicitati. Riquadro IV.1. Le fasi del processo decisionale Identificazione di un problema Valutazione dell’efficacia della decisione Identificazione del criterio di decisione Attribuzione di “peso” ai criteri Sviluppo delle alternative Analisi delle alternative Scelta dell’alternativa Attuazione dell’alternativa scelta 3. Attribuzione di “peso” ai criteri Nel caso in cui i criteri rilevanti siano egualmente importanti, il manager deve individuare dei “pesi” da attribuire a ciascuno di essi in modo da far emergere una graduatoria tra essi. Una modalità utile, anche se apparentemente semplicistica, è quella di attribuire un peso da 0 4 a 10. Qualsiasi altro criterio ritenuto efficace è altrettanto valido. 4. Sviluppo delle alternative La quarta fase del processo di decisionale impegna il manager nella realizzazione di una lista di alternative perseguibili che potrebbero condurre alla soluzione del problema. È questa una fase nella quale il manager ha bisogno di essere creativo. In questa fase le alternative sono solo elencate, non valutate. 5. Analisi delle alternative A questo punto, il manager deve considerare ogni alternativa e valutarla attentamente sulla base dei “pesi” indicati nell’attuazione della fase 2. Può anche verificarsi che questa fase diventi superflua nel caso in cui un’alternativa acquisisca la valutazione massima in ogni criterio di valutazione. 6. Scelta dell’alternativa La scelta dell’alternativa viene effettuata con il supporto dei risultati ottenuti con la valutazione delle alternative della fase precedente. 7. Attuazione dell’alternativa scelta È a questo punto che si rende operativa la scelta effettuata. È importante richiamare il fatto che se i soggetti umani operanti nell’organizzazione sono stati coinvolti nel processo di decisione, saranno più disponibili a sostenerlo e a favorirne il perseguimento. Un altro aspetto che i manager non possono trascurare riguarda il fatto che durante la fase di attuazione devono tenere conto del cambiamento che continuamente agisce sugli ambienti di riferimento, soprattutto se si tratta di decisioni che hanno un impatto sul lungo termine. Ciò implica che, se le modificazioni ambientali sono particolarmente significative, anche la decisione deve essere rimodulata o rivalutata. 8. Valutazione dell’efficacia della decisione In questa fase si valutano i risultati in modo da verificare se l’alternativa scelta ha consentito la soluzione del problema. Se il problema è ancora presente, è indispensabile domandarsi: il problema è stato definito non correttamente? Ci sono stati errori nella valutazione delle alternative? L’alternativa selezionata era corretta ma non è stata attuata correttamente? In relazione alle risposte formulate per questa o altre domande, può essere necessario riavviare l’intero processo. 1.3. Dalla razionalità all’intuito 1.3.1. Decidere: è un processo razionale? È supposizione diffusa che le decisioni dei manager, soprattutto se responsabili di grandi imprese, siano razionali, cioè si dà per certo che essi effettuino scelte logiche e coerenti rispetto all’ottenimento del massimo risultato. I manager, a tal fine, dispongono di strumenti e tecniche che li aiutano ad essere razionali. Cosa significa essere un decisore razionale? Un esempio di “non razionalità” Quando la Hewlett-Packard acquistò la Compaq, non effettuò nessuna ricerca per comprendere la percezione dei clienti del marchio Compaq. All’atto dell’acquisizione, il CEO Carly Fiorina annunciò pubblicamente che “non esisteva nessun dissenso con riferimento all’acquisizione”. Col tempo, quando l’impresa scoprì che i consumatori percepivano i prodotti Compaq come non di qualità – l’opposto della percezione dei prodotti HP – era già tardi. La performance di HP ne soffrì e Fiorina abbandonò il lavoro. Tratto da S.P. Robbins, M. Coulter, Management, Pearson, 2009 5 Un decisore razionale dovrebbe essere pienamente oggettivo e logico. Il problema da affrontare dovrebbe essere chiaro e non ambiguo, il decisore dovrebbe avere un obiettivo specifico e chiaramente formulato e conoscere tutte le possibili alternative e conseguenze. Infine, adottare le decisioni razionalmente significherebbe scegliere l’alternativa che massimizza la probabilità di perseguire quell’obiettivo. Per quanto attiene alle decisioni dei manager, è necessario ricordare che essi adottano le decisioni nell’interesse dell’organizzazione. In realtà questa supposizione di razionalità è irrealistica: quanto esposto nel punto successivo aiuta a comprendere meglio come molte decisioni vengono adottate nelle organizzazioni. 1.3.2. Prospettiva della “razionalità limitata” Malgrado le irrealistiche possibilità, ci si aspetta che i manager siano razionali quando assumono una decisione. Di norma si ritiene che un “buon” decisore adotti validi comportamenti decisionali, identifichi i problemi, consideri le alternative, ecc. e agisca decisamente ma prudentemente. Comportandosi in questo modo, essi dimostrano che sono competenti e che le loro decisioni sono il risultato di valutazioni intelligenti. Un approccio più realistico per descrivere come i manager adottano le decisioni è il concetto di razionalità limitata, che evidenzia che i manager assumono le decisioni razionalmente ma sono limitati nelle loro capacità di trattamento delle informazioni. Poiché non hanno la possibilità di analizzare tutte le informazioni su tutte le alternative, i manager adottano decisioni soddisfacenti, piuttosto che ottime. In altri termini, accettano soluzioni che sono “abbastanza buone”: cioè sono razionali nei limiti della loro abilità di processare le informazioni. Bounded rationality • Decision making that's rational but limited (bounded) by an individual's ability to process information Per molte decisioni è improponibile l’applicazione della razionalità perfetta, per questo i manager adottano decisioni soddisfacenti. Comunque, è bene tenere a mente che le decisioni sono influenzate anche dalla cultura organizzativa, dalle politiche interne, dal potere e da un fenomeno definito aumento di impegno (escalation commitment), che si sostanzia in un incremento di impegno per una precedente decisione malgrado sia evidente che possa essere stata sbagliata. Un esempio di “escalation commitment” Il disastro dello shuttle Challenger del 1986 viene utilizzato come esempio di escalation commitment. I decisori scelsero di lanciare lo shuttle nonostante la decisione fosse messa in discussione da molti soggetti che credevano che fosse una cattiva idea. Perché i decisori hanno voluto mantenere l’impegno rispetto ad una cattiva decisione? Perché essi non volevano ammettere che la loro decisione iniziale era errata. Piuttosto che ricercare nuove alternative, essi hanno semplicemente aumentato il loro impegno rispetto alla soluzione originale. Tratto da S.P. Robbins, M. Coulter, Management, Pearson, 2009 1.3.3. Ruolo dell’intuito In molte occasioni i manager, pur avvalendosi di varie e sofisticate tecniche, hanno difficoltà a pervenire ad una decisione. In questi casi può essere di grande aiuto l’intuito. Adottare 6 una decisione avvalendosi dell’intuito significa decidere sulla base dell’esperienza, sentimento (emozioni) ed esperienza accumulata. I ricercatori studiando le modalità con le quali i manager utilizzano l’intuito per il processo decisionale, hanno identificato cinque differenti aspetti dell’intuito, come indicati nel Riquadro IV.2. È usale avvalersi dell’intuito per le decisioni? Una ricerca ha evidenziato che almeno il 50% dei manager intervistati “utilizzano l’intuito più spesso delle analisi formali per dirigere le loro imprese”. Riquadro IV.2. Ruolo dell’intuito I manager adottano le decisioni basandosi sulla esperienza pregressa I manager adottano le decisioni basandosi sui valori etici o culturali Decisioni basate sull'esperienza Decisioni basate sui valori etici I manager adottano le decisioni basandosi sui sentimenti o emozioni Decisioni basate sui sentimenti Intuito I manager utilizzano le informazioni del subconscio per avere supporto nell’adottare decisioni I manager adottano le decisioni basandosi sulle abilità e conoscenze Processi mentali subconsci Decisioni basate sulla conoscenza L’utilizzazione dell’intuito per il processo decisionale può essere un valido complemento sia per il processo decisionale razionale che per il processo basato sulla razionalità limitata. Prima di tutto, un manager che ha avuto esperienza con simili tipologie di problemi o situazioni, spesso può agire velocemente avvalendosi di informazioni che possono apparire limitate ma che sono basate sull’esperienza passata. Inoltre, è stato riscontrato che i manager partecipano anche emotivamente all’adozione delle decisioni e questo incrementa la performance. Si tratta di una “conquista” rispetto a quanto si presumeva negli studi di qualche decennio fa che affermavano che i manager ignorano le emozioni quando adottano le decisioni perché le emozioni distraggono dalla razionalità, “sono cattive consigliere”. 1.3.4. Differenti tipi di decisioni Problemi strutturati e decisioni programmate Nello svolgimento della loro attività i manager adottano differenti tipi di decisioni in relazione alle diverse tipologie di problemi che devono affrontare. Alcuni problemi sono semplici e l’obiettivo del decisore è chiaro, il problema è usuale e le informazioni su di esso sono defi7 nite e complete. Un esempio può essere quello di un cliente che riporta un acquisto al negozio: questa è una situazione che viene definita problema strutturato perché è probabile che esistano indicazioni standardizzate per gestirlo. Si tratta di decisioni che vengono definite decisioni programmate (Riquadro IV.3.). In questo caso, poiché il problema è strutturato, il manager non deve sviluppare un processo decisionale. Decisioni programmate • Decisioni ripetitive che possono essere gestite con un approccio routinario Con le decisioni programmate lo “sviluppo delle alternative” del processo decisionale o non esiste o richiede scarsa attenzione. Quale è il motivo? Una volta che il problema strutturato è definito, la soluzione è, di norma, evidente o, al limite, ridotta a poche alternative che sono note e sono state affrontate con successo in passato. Riquadro IV.3. Le tipologie di decisioni programmate Procedura Tipologie di decisioni programmate Politica Regola Per rispondere ad un problema strutturato, i manager si avvalgono delle procedure, cioè di una serie di fasi sequenziali. Una volta che il problema è chiaro, lo è altrettanto la procedura. Un esempio è la procedura di acquisto che nell’impresa deve essere eseguita ogni volta che si deve effettuare un nuovo ordine. La regola è un esplicita dichiarazione che indica ai manager che cosa possono o non possono fare. Le regole sono utilizzate frequentemente perché sono semplici da seguire e assicurano coerenza. Per esempio le regole per le assenze dal lavoro. La terza tipologia di decisioni programmate è la politica che è una linea guida per l’adozione di una decisione. Diversamente dalla regola, la politica stabilisce i parametri gene8 rali per l’adozione della decisione, piuttosto che indicazioni specifiche che potrebbero o non potrebbero verificarsi. Le politiche sono talvolta ambigue e devono essere interpretate dai decisori. Un esempio: “i consumatori vengono prima di tutto e dovrebbero essere sempre soddisfatti”. Il vocabolo soddisfatti richiede un’interpretazione, non è un dato inequivocabile. Problemi non strutturati e decisioni non programmate Non tutti i problemi che i manager devono affrontare possono essere risolti con decisioni programmate. Molte situazioni che si manifestano nell’impresa riguardano problemi non strutturati, cioè problemi, nuovi, non usuali, per i quali non si dispone di informazioni o le stesse sono insufficienti e non chiare. Ampliare il mercato inserendosi in un nuovo Stato, è un esempio di problema non strutturato. In presenza di problemi non strutturati i manager si trovano nella condizione di adottare decisioni non programmate, cioè sviluppare un processo - sviluppo delle fasi di cui al punto 1.2. - rispetto all’individuazione di un’unica soluzione. Decisioni non programmate • Decisioni uniche, "su misura", per la soluzione di problemi non ricorrenti Confronto tra decisioni programmate e non programmate La principale differenza tra queste due tipologie di decisioni riguarda la ripetitività o meno della decisione. Inoltre, mentre le decisioni programmate coinvolgono principalmente i manager di medio o basso livello, le decisioni non programmate sono di pertinenza dei top manager. Un altro aspetto di grande importanza è che nella realtà è difficile individuare problemi che siano completamente programmabili o non programmabili. Molti problemi richiedono decisioni che sono in parte programmate e in parte non programmate o, meglio, talvolta decisioni non programmate traggono vantaggio dalle procedure, regole e politiche proprie delle decisioni programmate. Nel Riquadro IV. 4. si pongono a confronto i caratteri peculiari di tali due tipologie di decisioni. Riquadro IV.4. Decisioni programmate e non programmate a confronto Elementi Tipologia del problema Livello manageriale Frequenza Informazioni Obiettivi Tempo per la soluzione Soluzione basata su … Decisioni programmate Strutturato Livello basso Ripetitiva, routine Facilmente disponibili Chiari, specifici Breve Procedure, regole, politiche Decisioni non programmate Non strutturato Livello alto Nuova, inusuale Ambigue o incomplete Vaghi Relativamente lungo Valutazione, creatività 1.3.5. Condizioni di assunzione delle decisioni Nell’adozione delle decisioni i manager si possono trovare nelle seguenti tre condizioni: 9 di certezza, di rischio, di incertezza (Riquadro IV.5.). Condizioni di certezza La condizione ideale per assumere le decisioni è quella di poter operare in condizioni di certezza: è questa una situazione nella quale un manager può assumere decisioni accurate in quanto il risultato di ogni alternativa è conosciuto. Ad esempio, il tasso di interesse che una banca pratica per una specifica operazione è noto e la decisione si basa su un elemento di certezza. Non è questa, di norma, la condizione nella quale vengono adottate la gran parte delle decisioni nelle imprese. Riquadro IV.5. Condizioni di assunzione delle decisioni Certezza Rischio Incertezza • Situazione nella quale il decisore può adottare decisoni accurate perchè tutte le variabili sono note • Situazione nella quale il decisore è in grado di stimare la probabilità di certe variabili • Situazione nella quale il decisore non ha nè certezza, nè ragionevole probabilità di stime disponibili Condizioni di rischio Una situazione decisamente più comune è l’assunzione di decisioni in condizioni di rischio. È una condizione nella quale il decisore è in grado di stimare la probabilità di certe variabili. In condizioni di rischio i manager dispongono di dati storici derivanti da precedenti esperienze o informazioni secondarie che gli permettono di stimare la probabilità di differenti alternative. Condizioni di incertezza Cosa accade se si adotta una decisione e non si è certi dei risultati né possono essere realizzate ragionevoli stime di probabilità? È questa la condizione di incertezza. I manager devono affrontare il processo decisionale in condizioni di incertezza. In queste situazioni la scelta delle alternative è influenzata da un limitato numero di informazioni disponibili e dall’orientamento psicologico del decisore. Un manager ottimista seguirà la scelta maximax (massimizzando il massimo rendimento possibile), un pessimista seguirà la scelta maximin (massimizzando il minimo rendimento possibile), e un manager che desidera minimizzare la sua massima insoddisfazione opterà per una scelta minimax. 1.3.6. Stili decisionali Stile lineare e non-lineare Le modalità con le quali i manager affrontano il processo decisionale, sono in parte influenzate dallo stile che adottano nel manifestare le proprie opinioni. Lo stile di pensiero riflette due aspetti: 1) la fonte dalla quale attingere le informazioni (dati esterni e fatti o risorse 10 interne, come i sentimenti e le intuizioni) e 2) come queste informazioni vengono trattate (stile lineare – razionale, logico, analitico; stile non-lineare – intuitivo, creativo, sagace). In sintesi gli stili che emergono sono due: lo stile lineare è caratterizzato da una preferenza personale per l’utilizzazione di risorse esterne e per il trattamento di dati e fatti attraverso un modello di pensiero razionale logico per guidare le decisioni e le azioni; lo stile non lineare, che è caratterizzato dalla preferenza per le fonti interne di informazione (sentimenti e intuito) e il trattamento di informazioni con conoscenze interne e intuizioni per guidare l’assunzione delle decisioni e delle azioni conseguenti. Errori e distorsioni decisionali I manager nell’assunzione delle decisioni, non utilizzano solo il loro specifico stile, ma possono avvalersi di “regole empiriche approssimative” o euristiche per semplificare il loro processo di decisione. Le euristiche possono essere utili perché aiutano a dare un senso a informazioni complesse, incerte e ambigue. Anche se i manager possono avvalersi di tali regole empiriche, non significa che queste regole siano affidabili. Il motivo è da riscontrare nel fatto che esse possono condurre a errori e interferenze nel trattamento e valutazione delle informazioni. Nel Riquadro IV.6. si ha un’indicazione di alcuni errori o interferenze (o distorsioni) fra i più comuni. Errori e interferenze decisionali Riquadro IV.6. Superfiducia Gratificazione immediata Cornice Percezione selettiva Errori e interferenze decisionali Disponibilità Rappresentazione Costi sommersi Sbadataggine Con il senno di poi La superfiducia si verifica quando il decisore pensa di sapere più di quanto non sia necessario o ha una visone positiva irrealistica. La distorsione indicata come gratificazione immediata descrive un decisore che tende ad ottenere immediate ricompense e ad evitare costi immediati. Per questi decisori, la scelta decisionale che determina veloci risultati è più attrattiva rispetto a quella che determina risultati dilazionati nel tempo. Quando i decisori organizzano e interpretano selettivamente eventi basati su una percezione distorta, stanno utilizzando la percezione selettiva. Questo influenza l’informazione alla quale prestano attenzione, il problema che hanno identificato e le alternative che sviluppano. I decisori che trovano informazioni che confermano le loro scelte passate e che contraddicono precedenti valutazioni esibiscono una 11 conferma di distorsioni. L’elemento disponibilità costituisce un’interferenza in quanto i decisori tendono a ricordare eventi che sono recenti e vividi nella loro memoria. Questo fatto distorce la loro abilità di richiamare gli eventi in modo oggettivo e i risultati e con stime probabilistiche. Quando i decisori valutano la probabilità di un evento basato su come esso è legato ad altri eventi o insieme di eventi, si è in presenza di una distorsione di rappresentazione. Le interferenze indicate come sbadataggine, si verificano quando il decisore tenta di creare significati al di fuori di eventi casuali. Tale comportamento si pone in essere quando i decisori hanno difficoltà ad interagire con il cambiamento. Con l’errore dei costi sommersi i decisori dimenticano che le scelte attuali non possono correggere il passato. Non si possono correggere perdite di tempo realizzate nel passato, perdite di denaro o impegni nel realizzare scelte senza pensare alle conseguenze future. 1.4. Uno sguardo d’insieme sul processo decisionale Nel Riquadro IV.7., viene presentata una sintesi degli elementi che “entrano in gioco” nella realizzazione del processo decisionale e analizzati nei paragrafi precedenti. Riquadro IV.7. 12 IV.2. Management strategico e strategie The Walt Disney Company Come fa un’impresa a diventare “di successo” e a rimanere in tale condizione? Certamente non seguendo esclusivamente le tradizionali modalità di “fare business”, ma assumendo un rischio strategico. È ciò che ha fatto la Disney con la sua scelta di creare il marchio “EnvironmentalityTM”. La Walt Disney Company, nota come Disney, è un’impresa internazionale che opera in quattro segmenti di attività: media networks, parchi e resorts, cinematografia e prodotti di consumo. Oltre ad essere pioniera nella creazione di esperienze memorabili per i suoi ospiti (Disney non amava denominarli “clienti”), l’impresa ambisce ad essere pioniera anche nella cura dell’ambiente, anche in linea con le aspirazioni del proprio fondatore Walt Disney. Nel 1990 l’impresa costituì un dipartimento con uno specifico incarico inerente le politiche ambientali denominato Environmental Policy Department e creò un marchio con un vocabolo significativo: “EnvironmentalityTM”, cioè l’atteggiamento e l’impegno di pensare e agire con l’ambiente in mente. Questo non è uno slogan ma una filosofia orientata a bilanciare lo sviluppo del business con la conservazione delle risorse naturali, prendendo in considerazione gli interessi di differenti stakeholders. Lo sponsor di questa filosofia è il Grillo Parlante, “consigliere nei momenti di tentazione, e guida lungo la retta via” che, adottato come coscienza ufficiale, ricorda a tutti che anche le azioni individuali sono essenziali. La scelta di utilizzare un saggio ma amichevole sponsor come il Grillo Parlante ha il potere di creare una immediata empatia negli ospiti quando ad essi viene chiesto di rispettare l’ambiente. Inizialmente l’orientamento dell’impresa verso l’ambiente era esclusivamente interno, non era stata effettuata nessuna comunicazione intensiva, né erano state attivate attività di pubbliche relazioni verso gli stakeholders. Nel 2003 la Disney comunicò il suo impegno nei confronti dell’ambiente anche all’esterno, pubblicando (anche nel sito web) il suo annuale Corporate Citizenship Report, un dettagliato rapporto sulla responsabilità sociale dell’impresa, con il quale venivano evidenziati i risultati ottenuti, includendo anche gli obiettivi perseguiti in ambito ambientale. Fornendo informazioni dettagliate ai propri ospiti, la Disney ha operato affinché si sentissero coinvolti per il raggiungimento degli obiettivi dell’impresa. L’implementazione di azioni volte alla riduzione delle emissioni di anidride carbonica e del suo impatto sull’ambiente può essere evidenziata assumendo come esempio il Walt Disney World Resort di Orlando (Florida, USA). Nel Walt Disney World’s Animal Kingdom, nel 2003 l’impegno dei membri del cast di questo ambito, ha consentito la riduzione del 22% del totale di acqua consumata. L’acqua è una risorsa essenziale per un parco a tema nel quale le principali attrazioni sono costituite dalla riproduzione dell’habitat naturale degli animali, pertanto il risultato ottenuto può essere considerato importante. Il Disney’s Animal Kingdom è il più grande parco di questo genere nel mondo, un parco a tema nel quale le esperienze vissute dagli ospiti riflettono l’impegno e la dedizione per la natura e per l’ambiente di Walt Disney. È uno spazio di 500 acri di lussureggiante paesaggio con più di 1.700 animali di 250 specie (disneyworld.disney.go.com/parks/animal-kingdom). Al loro arrivo al parco, gli ospiti ricevono il benvenuto alla Conservation Station, un’area dedicata alla preservazione e conservazione dell’ambiente naturale degli animali, dove gli ospiti possono prendere parte ed essere coinvolti in esperienze di interazione con varie specie animali e acquisire conoscenza del loro habitat e abitudini. Durante la loro visita gli ospiti vengono impegnati in giochi di intrattenimento e attività con l’obiettivo di ispirare positivi comportamenti nei confronti dell’ambiente incrementando la loro consapevolezza. Al Disney’s Animal Kingdom, i bimbi e i loro familiari oltre ad essere direttamente coinvolti in giochi con gli animali, vengono anche indirizzati verso azioni tese a proteggere l’ambiente riducendo i rifiuti, riducendo l’uso dell’energia elettrica e con una forte attenzione per il riciclo. La comunicazione dei risultati ottenuti dalla Disney viene effettuata esprimendo una forte passione: infatti, il Dr. Jackie Ogden (Vice-Presidente dell’Animals, Science an Environment al Disney Parks) ha scritto nel Disney Park Bolg (disneyparks.disney.go.com/blog/author/jodgen) in merito alle esperienze degli ospiti del parco, inserendo immagini e storie sull’interazione dei bimbi e delle famiglie con gli animali e del loro apprendimento di un più sostenibile modo di vivere. In particolare ha inserito commenti sul Turtle Day (giorno della tartaruga) evidenziando il notevole coinvolgimento degli ospiti. Dr. Ogden ha scritto anche sulle esperienze riguardanti la biodiversità: “Our Guests tell us they love that Disney’s Animal Kingdom is home to animals of enormous diversity – everything from 2-gram poison dart frogs to 13,000-pound African elephants. What they are sometimes surprised to learn is the 13 critical role biodiversity; the variety of life on Earth, plays in these animals’ survival – and our survival too. On July 28, Disney’s Animal Kingdom will celebrate the International Year of Biodiversity at Rafiki’s Planet Watch from 9:30 a.m. – 5 p.m. Guests can learn why biodiversity is so important by participating in fun, informative activities and presentations, including animal meet-and-greets featuring diverse animal species; ‘biodiversity bingo’, using the Conservation Station wall of animal faces; a ‘match the species to the habitat’ game hosted by the Disney Worldwide Conservation Fund team; presentations on seed diversity by the agricultural sciences team from The Land pavilion at Epcot; a display on sea life diversity; and animal medical examinations and procedures taking place at our veterinary hospital. Biodiversity is essential to sustaining the living networks and systems that provide us with food, water, fuel and the other things necessary for our survival. For example, most of the oxygen we breathe comes from plankton in the oceans of the world and lush forests around the globe. To enhance public awareness of the importance of conserving biodiversity – and the threats to biodiversity we face today – the United Nations General Assembly declared 2010 as the International Year of Biodiversity with the goal of significantly reducing the rate of biodiversity loss globally.” Ancora, con riferimento all’Earth day al Parco, il Dr. Odgen ha scritto: “Disney’s Animal Kingdom is hosting a Party for the Planet in celebration of Earth Day. Guests can find out what they can do to make their backyards wildlife-friendly and discover other ways to conserve wildlife and protect nature, including chimpanzees, in celebration of the release of ‘Chimpanzee’, Disneynature’s newest True Life Adventure. Full-park festivities will take place on the first and last days of the celebration, April 13 and 22 (Earth Day). As guests enter the park, they can get the party started at two table displays in the main entrance area: one featuring wildlife-friendly backyard habitats and the other ‘Chimpanzee’. Activities in the park include: • Asia (Maharajah Jungle Trek)—Families can play a supermarket game and learn how their purchases can make a big difference for wildlife and wild places. • Africa (Pangani Forest Exploration Trail)—Children can observe and identify chimpanzee tracks and clues left behind along trails as they move through the forest. • Rafiki’s Planet Watch, courtyard—Outside Conservation Station, guests will discover fun ways to spend time in nature with their families and find ‘Chimpanzee’- related merchandise, as well as face painters and caricature artists. • Rafiki’s Planet Watch, inside Conservation Station—Families can visit the Chimpanzee Research Station and participate in a variety of activities based on real conservation work. Guests also can talk with cast members who work on conservation projects around the world and learn about the Disney Worldwide Conservation Fund.” Interagendo direttamente con la natura, le piante e gli animali, gli ospiti imparano, fin da quando sono bambini, a rispettare l’ambiente e sperimentano direttamente l’importanza di essere responsabili. Nel Corprate Citizenship Report del 2012 l’impresa ha affermato che la sperimentazione diretta degli ospiti rispetto alla salvaguardia ambientale è il focus fondamentale sul quale basare la propria strategia. L’obiettivo individuato per il 2015 è di mettere in contatto con i problemi della sostenibilità almeno 32 milioni di bambini e famiglie. Tale connessione è misurata attraverso il numero di esperienze e interazioni con il team del Disney Park and Resorts “Animals, Science and Environment”. La peculiarità di Disney, che si è sempre distinto per aver creato memorabili esperienze per i suoi ospiti, è anche facilmente percepibile nel modo con il quale ha affrontato la sostenibilità, una modalità che mostra come un’impresa dell’intrattenimento può creare esperienze ambientalmente sostenibili per i propri ospiti, fargli vivere esperienze memorabili e contemporaneamente educarli per un più sostenibile stile di vita. La scelta strategica di orientarsi verso la sostenibilità ambientale ha richiesto una notevole consapevolezza da parte del management sul fatto che non si può ignorare il cambiamento: bisogna farne parte. 2.1. Management strategico Il management strategico può essere indicato come un insieme di decisioni e azioni che determinano le performance di lungo termine di un’impresa. Include la diagnosi dell’ambiente (sia interno che esterno), la formulazione della strategia, l’implementazione della strategia e la sua valutazione e controllo. Lo studio del management strategico enfatizza il monitoraggio e la valutazione delle minacce e opportunità esterne, alla luce dei punti di forza e di debolezza 14 interni. Come detto, il management strategico rivolge l’attenzione sulle performance di lungo termine. Molte imprese possono gestire alte performance nel breve periodo, ma solo poche sono in grado di mantenerle per un lungo periodo. Per esempio, delle 100 imprese elencate da Forbes nel 1917, solo 13 sono sopravvissute fino ai giorni nostri. Per mantenere il successo nel lungo termine le imprese devono essere in grado, non solo di svolgere le attività per soddisfare il mercato esistente, ma devono adattare le attività per un mercato nuovo e in cambiamento. La pianificazione strategica diventa tanto più importante quanto più l’ambiente diventa instabile. Infatti, il management strategico favorisce: - un più chiaro senso della visione strategica dell’impresa; - un più nitido focus su ciò che è strategicamente importante; - una migliore comprensione della rapidità del cambiamento ambientale . In relazione alle attuali caratteristiche di dinamicità e complessità ambientale, pare importante sottolineare che le imprese sono chiamate ad una maggiore attenzione allo strategic management in quanto capace di fornire loro un valido supporto. Per essere competitive in un ambiente dinamico le imprese devono essere meno burocratiche e più flessibili. In ambienti “turbolenti” le imprese faticano a mantenere una posizione competitiva: ogni vantaggio competitivo sostenibile non si persegue seguendo ostinatamente un piano di cinque anni centralmente gestito, ma con una serie concatenata di spinte strategiche di breve periodo. Questo significa che l’impresa deve sviluppare una strategia flessibile, cioè la capacità di passare da una strategia dominante ad un’altra. La possibilità dia dottare una strategia flessibile richiede che l’impresa divenga una learning organization, cioè un’organizzazione con abilità di creazione, acquisizione e trasferimento di conoscenza e di modificare i suoi comportamenti per acquisire nuove conoscenze. Tali abilità costituiscono una componente critica in un ambiente dinamico e sono particolarmente importanti per l’innovazione e lo sviluppo di nuovi prodotti. Le learning organizations risultano particolarmente valide per le seguenti quattro attività: - soluzione sistematica dei problemi; - sperimentazione di nuovi approcci; - apprendimento dalle proprie esperienze a dalla storia passata così come dalle esperienze di altri; - trasferimento delle conoscenze rapidamente ed efficientemente nell’intera organizzazione. Il management strategico è essenziale per evitare la stagnazione delle learning organizations implementando continue sperimentazioni. Le persone a tutti i livelli, non solo il top management, partecipano allo strategic management , aiutando ad analizzare l’ambiente, suggerendo cambiamenti alla strategia e ai programmi per trarre vantaggio dal cambiamento ambientale e lavorando con gli atri per migliorare continuamente metodi di lavoro, procedure e tecniche di valutazione. Le imprese che sono disposte a sviluppare sperimentazioni e sono in grado di apprendere dalla loro esperienza, sono destinate ad un maggiore successo rispetto a quelle che non esibiscono tali qualità. 2.2. Alcune riflessioni sul concetto di strategia Nonostante negli studi economico aziendali e di management si parli esplicitamente di strategia da circa quarant’anni, tale concetto non trova ancora condivisione nè un’interpretazione univoca, sia perché il termine strategia rappresenta comunemente l’espressione del particolare angolo visuale con il quale le varie scuole di pensiero analizzano il problema, sia perché il significato attribuito a tale concetto è stato fortemente influenzato dall’evoluzione delle condizioni ambientali. Con riferimento ai diversi significati attribuiti al termine strategia tale varietà di riferi15 menti è già rinvenibile nei primi contributi teorici in materia, sviluppatosi nei primi anni sessanta: Strategy and Structure di Alfred Chandler1; Corporate Strategy di Igor Ansoff2 e il libro di testo dell’Harvard Business School Business Policy: Text and Cases scritto da Christensen C.R., Andrews K.R., Bower J.L., Hamermesh G., Porter M.E. nel 19653. Nel suo lavoro il Chandler distingue la struttura dalla strategia, intendendo per strategia: Strategia secondo Chandler • Determinazione delle mete fondamentali e degli obiettivi di lungo periodo di un’impresa, la scelta dei criteri d’azione e il tipo di allocazione delle risorse necessarie alla realizzazione degli obiettivi suddetti Andrews accetta l’idea di strategia di Chandler ma la integra considerando, in modo congiunto, altri due concetti: la nozione di “competenza distintiva” nel significato attribuitogli da Selznick4, e la nozione di ambiente imprevedibile. In questa prospettiva, il concetto di competenza distintiva viene utilizzato col significato di attività che un’organizzazione è in grado di attuare in modo migliore dei concorrenti. Per Andrews, quindi, la competenza distintiva non è individuabile in una specifica condizione o elemento dell’impresa quanto, piuttosto, nella sua capacità di coordinare i fattori interni con i fattori esterni. Tale concetto viene considerato da Andrews congiuntamente con quello di ambiente. Nella concezione di tale Autore, infatti, l’ambiente, con i suoi continui cambiamenti, fornisce una serie di opportunità e di minacce per l’impresa che, basandosi sui propri punti di forza e di debolezza, adatta la sua strategia al fine di evitare le minacce e sfruttare le opportunità In altri termini, l’analisi interna dei punti di forza e di debolezza conduce alla identificazione delle competenze distintive dell’impresa, mentre l’analisi dell’ambiente esterno (opportunità e minacce) guida all’identificazione dei fattori potenziali di successo. Queste due fasi – analisi interna e analisi esterna – sono alla base del concetto di formulazione della strategia, concetto, quest’ultimo, che rimane analiticamente e praticamente distinto dal concetto di implementazione (a tale analisi è dedicato il punto 2.3.). Strategia secondo Andrews • Insieme di obiettivi e fini e principali piani e politiche per attuarli, definiti in maniera tale da individuare in qualunque business l'impresa opera o dovrebbe operare e che tipo di impresa è o dovrebbe essere Ansoff, diversamente da Andrews e Chandler, sviluppa il suo concetto di strategia cercando di “allontanarsi” dalla rigidità tipica della pianificazione basata sull’estrapolazione di trend passati, in quanto secondo lui la strategia costituisce un “filo comune” che lega cinque scelte fondamentali. Sulla base di tale idea, la strategia è definita da Ansoff “come ‘operatore’ designato a trasformare l’impresa dal posizionamento attuale a quello definito dagli obiettivi, subordinatamente ai vincoli costituiti dalle capacità e dal potenziale”. Dalle definizioni riportate appare evidente che mentre nell’impostazione teorica di Chandler e di Andrews vi è una visione “ampia” di strategia, in quanto le loro definizioni par16 tono dal presupposto che tale concetto sia comprensivo degli obiettivi e delle azioni, nel modello ipotizzato da Ansoff, per contro, si ha una concezione di strategia in senso “stretto”, cioè non comprensiva dei fini e degli obiettivi, ma basata essenzialmente sulle principali risorse che l’impresa impiegherà per raggiungerli. Le cinque scelte indicate da Ansoff 1. 2. 3. 4. Il prodotto-mercato Il vettore di crescita Il vantaggio competitivo La sinergia interna generata dalla combinazione fra capacità e competenze dell’impresa 5. La decisione relativa al make or buy Le prime teorizzazioni scientifiche in tema di strategia hanno chiaramente influenzato la letteratura successiva. Con particolare riferimento agli studiosi italiani va evidenziato che si sono ispirati all’impostazione scientifica di I. Ansoff e che ritengono che il concetto di strategia possa prescindere dai fini dell’impresa, in quanto secondo questa interpretazione, i fini e gli obiettivi costituiscono un presupposto, un dato per la definizione della strategia, ovvero per la individuazione delle risorse e delle politiche necessarie al loro raggiungimento. L’impresa, per i sostenitori di tale impostazione, deve prima di tutto dotarsi di un sistema di fini e di obiettivi raggiungibili sia distintamente, sia nel loro complesso, mentre solo in un secondo momento deve predisporre la strategia che ne consenta la realizzazione5. Vicino a questa impostazione è, almeno in parte, lo studioso italiano Giuseppe Usai che, dopo aver precisato che “in termini astratti la soluzione del problema organizzativo è la conseguenza della fissazione di un complesso di ‘mete’ che vengono attribuite all’organizzazione e ai suoi soggetti umani”6, definisce la strategia come “complesso di scelte fondamentali inerenti ognuno dei macro-problemi originati dal perseguimento della missione”. Origine del concetto di strategia: militare e greca A bili tà de l con dot ti ero n el f are la guer ra Più esattamente, in analogia alle scelte di pertinenza del Generale che posiziona il suo esercito nel campo di battaglia, l’organizzazione deve prendere posizione rispetto alla definizione delle varie problematiche da affrontare tra le quali le seguenti sono le principali: a) caratteri generali delle attività da svolgere (…); b) scelta del livello quantitativo dell’attività da realizzare; c) soggetti ai quali rivolgere i risultati dell’attività da svolgere, posto che i potenziali destinatari costituiscono un universo distinguibile in varie categorie o segmenti (…); d) modalità di esecuzione delle attività individuate nel momento del loro inizio sino alla conclusione e, quindi, al “risultato”; e) individuazione degli altri soggetti esterni all’organizzazione considerata ai quali far rife- 17 rimento per lo svolgimento delle attività e, più esattamente, per far pervenire ai destinatari i risultati delle attività (…). L’insieme delle scelte relative a queste problematiche principali e ad altre che esistono in relazione ai caratteri di specificità di categoria e di individualità dell’organizzazione, definisce la strategia prescelta ed equivalgono metaforicamente all’individuazione della determinazione di una specifica “posizione” che l’organizzazione considerata assume nell’ambiente. Al contrario altri studiosi, più vicini agli studi di Chandler e di Andrews, ritengono che il termine strategia debba essere inteso in un’accezione ben più ampia, comprensiva anche dei fini dell’impresa7. Secondo tale interpretazione la strategia, nel definire l’identità complessiva dell’impresa, deve necessariamente comprendere il fine dell’impresa cui l’attività aziendale è indirizzata perché “la strategia di un’impresa ci appare come il modello di ricerca del successo imprenditoriale che l’impresa di fatto ha adottato o che intende adottare, dove “il successo imprenditoriale” non è definito a priori, ma è parte integrante del modello al cui interno trova definizione”8. In generale si può affermare che in Italia la tendenza dominante, almeno in una prima fase, è stata quella di assimilare il concetto di strategia ad un piano, ossia a un sistema articolato di decisioni che consentiva di far fronte ad una specifica situazione o ad un ben determinato contesto ambientale. Un aspetto, questo appena evidenziato, che emerge con forza nei contributi di Pasquale Saraceno, in particolare, nella sua opera il Governo delle aziende9, l’Autore, mette in risalto che adottare una strategia significa assumere una molteplicità di decisioni che hanno come effetto non atti d’esecuzione, ma una catena di ulteriori decisioni. Il filone di studi che ha preso avvio dalla Scuola di Pasquale Saraceno può essere ancora oggi considerato attuale, nonostante si siano sviluppate altre prospettive d’analisi del concetto di strategia. Del resto, sono ancora molti gli autori che con il termine strategia fanno riferimento alle decisioni che, sulla base delle finalità generali dell’organizzazione, si propongono di acquisire un nuovo e migliore posizionamento della stessa nell’ambiente. Secondo Saraceno ... • L'adozione di una strategia implica che un certo obiettivo sia conseguibile attraverso una successione di decisioni che dovranno essere prese in prosieguo di tempo e quindi in momenti in cui, caduti alcuni elementi di incertezza, la linea inizialmente assunta potrà essere precisata, adattandola al corso di eventi che nel frattempo si sarà effettivamente prodotto (Il governo delle aziende, pp. 143-144) Soltanto all’inizio dei primi anni Ottanta inizia a prendere forma in Italia un’altra corrente di pensiero, secondo la quale la strategia non può essere considerata solo come un sistema di decisioni, ma anche come un insieme di azioni teso al conseguimento di specifiche finalità, indipendentemente dal fatto che il modello sia o meno deliberato e intenzionale. Tra le definizioni proposte dagli studiosi italiani che si riconoscono in questa impostazione si può richiamare, per la sua efficacia espressiva, quella suggerita da Enzo Rullani secondo cui “la strategia (…) con o senza planning costituisce un percorso di problem solving in situazioni complesse. Ed è in questa funzione di razionalità complessa orientata alla soluzione di problemi che la strategia va distinta dalla semplice decisione”10. Un altro Autore italiano che sposta l’attenzione dalla semplice decisione alle azioni è Maurizio Rispoli, secondo il quale “Per strategia di base intendiamo le azioni di fondo dell’impresa necessarie per conseguire le finalità e gli obiettivi di lungo periodo, azioni che si 18 traducono in specifici percorsi evolutivi, sintesi del processo dialettico fra l’impresa stessa e l’ambiente”. L’Autore prosegue la sua analisi mettendo in risalto che “per percorso strategico” si deve invece intendere “il cammino evolutivo che un’impresa ha percorso nel tempo quale sintesi dinamica di un processo dialettico che si svolge storicamente fra piano strategico dell’impresa, da un lato, e modificazione delle condizioni dell’ambiente, dall’altro. Mentre le scelte di fondo relative alla individuazione degli elementi di una strategia di base avvengono, con l’impiego di procedure formali o informali, ex ante rispetto alla sua implementazione, il percorso strategico si individua e si definisce ex post mediante l’analisi delle condizioni che storicamente hanno determinato un certo tipo di evoluzione delle strutture interne dell’impresa e della struttura esterna, cioè dell’ambiente in cui esso opera” 11. Altri autori, allontanandosi ulteriormente dal concetto di strategia come insieme di decisioni, affermano addirittura la coincidenza tra strategia e azione dell’impresa. Un Autore italiano che segue questa impostazione è Sergio Sciarelli secondo il quale la strategia rappresenta “un comportamento imprenditoriale di tempo lungo finalizzato al raggiungimento di obiettivi primari della gestione. In altri termini, la strategia è il mezzo per conseguire traguardi di tempo non breve, definiti in funzione dell’evoluzione del rapporto tra l’impresa e l’ambiente nel quale opera”. Secondo l’Autore, nel concetto di strategia tende ad assumere un ruolo predominante l’implementazione rispetto alla formulazione, per cui “la strategia più che essere un sistema di decisioni programmate per raggiungere determinati obiettivi aziendali, finisce per rappresentare un sistema di operazioni che danno vita a un processo di gestione aziendale”12. Nel presente scritto, aderendo alla prospettiva di quegli autori (Usai G., Valdani E., Guatri L., Vicari S.) che, facendo riferimento alla gerarchizzazione di tipo funzionale, non si limitano ad individuare gli elementi che possono assumere carattere strategico all’interno delle differenti funzioni gestionali, ma stabiliscono una gerarchia tra le stesse funzioni, si sceglie la seguente definizione di strategia13: Definizione di strategia • Decisione che, sulla base delle finalità generali dell'impresa si propone di acquisire un migliore posizionamento della stessa nell'ambiente e nel mercato Con la scelta di tale definizione si vuole porre in risalto la necessità di considerare la funzione di marketing come base per l’elaborazione della strategia, in quanto si parte dal presupposto che la principale preoccupazione dell’impresa deve essere rivolta alle probabili risposte del mercato alla strategia proposta. In altri termini, si ritiene che i problemi generali che l’impresa deve affrontare siano strettamente connessi ai principali quesiti a cui essa deve dare risposta (Riquadro IV.8.) per definire in modo adeguato la propria strategia. Tali quesiti, nella letteratura del marketing, vengono così sintetizzati: a quali soggetti rivolgere la propria offerta di vendita; quali prodotti/servizi vendere; quali quantità di prodotto mettere in vendita; a che prezzo vendere; come vendere; attraverso quali canali di distribuzione vendere. 19 Riquadro IV.8. A chi vendere Cosa vendere Quanto vendere A quale prezzo Come vendere Attraverso quali canali di distribuzione 2.3. Processo di management strategico In questo punto pare opportuno presentare lo sviluppo che può assumere la cosiddetta “pianificazione strategica” (Riquadro IV.9.). Quando un’organizzazione si avvia a sviluppare la propria strategia, i senior manager si muovono nell’ambito del processo di management strategico, un processo che si può ricondurre a nove fasi che implica la programmazione, l’implementazione e la valutazione della strategia. In tale processo, la programmazione strategica si sviluppa nell’ambito delle prime sette fasi, ma va sottolineato che anche la migliore programmazione può essere errata se il management fallisce nell’implementazione o nella valutazione dei risultati. Riquadro IV.9. Fasi del processo di management strategico Identificare missione, obiettivi e strategie dell’impresa Riesaminare missione e obiettivi della impresa Analizzare l’ambiente Analizzare le risorse dell’impres Formulare la strategia Implementare la strate Identifi- Identifi- care opportunità e minacce care forze e debolezze gia Valutare i risultati Come sviluppare lo strategic management process Il primo step che ogni organizzazione deve attuare nell’approccio al management strate20 gico ( ) è quello di identificare la mission, gli obiettivi e le strategie. Ogni organizzazione ha la sua missione che definisce i suoi obiettivi. Definendo la mission dell’organizzazione, il management si pone nella prospettiva di identificare più attentamente i prodotti e/o i servizi che intende realizzare. Tale determinazione è importante sia per le imprese che per le organizzazioni not-for-profit (ospedali, scuole e università, ecc.). Una volta che la mission è stata definita, l’impresa può cominciare a guardare al suo esterno per assicurarsi che la sua strategia sia adeguata alle caratteristiche dell’ambiente. Il management di ogni organizzazione ha necessità di analizzare il suo ambiente (fase ). Ciò significa che ogni organizzazione deve acquisire informazioni sui propri concorrenti, sui problemi dei consumatori da soddisfare, le caratteristiche del “mondo del lavoro” di quello specifico contesto. Per mezzo dell’analisi dell’ambiente i manager acquisiscono le informazioni che li pongono nella condizione di formulare una strategia in sintonia con le caratteristiche dell’ambiente nel quale operano o intendono operare. La fase due si conclude quando il management ha una corretta conoscenza degli elementi dell’ambiente ed è consapevole dei più significativi trend che possono influire sulle proprie attività. La citata consapevolezza può essere facilitata dalle attività di environmental scanning (letteralmente scansione dell’ambiente), completate da quelle di competitive intelligence. Esempi di Mission Our mission is to provide efficient and effective solutions for the IT needs of our clients. “Work is Worship” is our principle To create a better everyday life for the many Costruire auto belle nello stile, brillanti nei motori, accessibili e capaci di garantire una migliore qualità della vita di ogni giorno. Avvalersi dell’environmental scanning significa porsi nella condizione di non subire gli eventi, ma di anticiparli con una interpretazione accurata dei cambiamenti che si sviluppano nell’ambiente. Environmental scanning • Screening large amounts of information to detect emerging trends and create a set of scenarios Una delle aree dell’environmental scanning che si è sviluppata più velocemente è quella 21 della competitive intelligence. Si tratta di un’attività che consente di comprendere chi sono i concorrenti dell’impresa, che cosa fanno e quali delle loro strategie influiscono sull’attività dell’impresa. Non si tratta di “spionaggio industriale” ma di avere attenzione alla grande quantità di informazioni che sono disponibili ma che vanno accuratamente individuate e analizzate. Più specificamente, la pubblicità, i materiali promozionali, i comunicati stampa, i rapporti annuali, informazioni su Internet e altre, sono fonti di informazioni facilmente accessibili. Ovviamente, è necessario acquisirle e analizzarle con professionalità, magari appoggiandosi a imprese specializzate che svolgono tali servizi. Competitive intelligence • Accurate information about competitors that allows managers to anticipate competitors' actions rather than merely react to them Analisi dell’ambiente esterno e interno Dopo aver analizzato e acquisito informazioni dall’ambiente, il management ha necessità di valutarne le opportunità e le minacce (). In termini semplicistici, le opportunità sono fattori esterni positivi e le minacce sono fattori esterni negativi. È da tenere presente, comunque, che uno stesso aspetto dell’ambiente può costituire opportunità per una organizzazione e minaccia per un’altra anche se operante nello stesso settore: ciò dipende dalle differenti risorse di ciascuna di esse o dai differenti obiettivi. A questo punto dell’analisi è necessario rivolgere l’attenzione alle risorse interne dell’organizzazione. Quali abilità devono possedere i dipendenti dell’impresa? Quale è il cash flow dell’impresa? Ha avuto successo nello sviluppo di nuovi e innovativi prodotti? Come i consumatori percepiscono l’immagine dell’impresa e la qualità dei suoi prodotti o servizi? Si tratta di quesiti che devono indurre il management a riconoscere che ogni organizzazione, indipendentemente dalla sua dimensione e dalla sua posizione nel mercato, è limitata dalle risorse e competenze di cui dispone. Le risorse interne di cui un’impresa dispone o le attività che svolge efficacemente sono i suoi punti di forza () (strategici), mentre le attività nelle quali manifesta carenze, sono i suoi punti di debolezza ( ). Analisi SWOT La combinazione degli aspetti dell’ambiente esterno (fasi e ) e di quelle interne (fasi e ) viene indicata come analisi SWOT poiché mette insieme i punti di forza (Strengths) con i punti di debolezza (Weaknesses), le opportunità (Opportunities) e le minacce (Threats). La SWOT analisi è particolarmente utile per l’identificazione della nicchia strategica che l’impresa può sfruttare. Completata la SWOT analisi l’impresa è in grado di riesaminare la missione e gli obiettivi (fase ), cioè il management è in grado di valutare se la missione e gli obiettivi sono realistici, se è necessario modificarli. Nel caso in cui nessuna modifica risulta necessaria, il management può avviare la formulazione delle strategie. 22 Quali strategie? La formulazione delle strategie (fase ) è una fase che richiede molta attenzione in quanto si tratta di sviluppare e valutare alternative e selezionare quelle che risultano maggiormente compatibili con tutti i livelli e permettono all’impresa di utilizzare efficientemente ed efficacemente le risorse interne, nonché di avvalersi delle opportunità presenti nell’ambiente. Le più frequentemente utilizzate e note strategie sono quelle di: sviluppo, stabilità, ridimensionamento e combinazione di strategie. La strategia di sviluppo si concretizza in un impegno che tende a realizzare un incremento delle vendite, o nella crescita occupazionale o nell’incremento della quota di mercato. Si può attuare con una espansione diretta, con lo sviluppo di nuovi prodotti, con la diversificazione (acquistando altre imprese o con processi di fusione o collaborazione) o utilizzando le opportunità del franchising. La strategia di stabilità è caratterizzata da assenza di significativi cambiamenti. Con questa strategia l’impresa continua a operare nello stesso mercato, a riferirsi agli stessi consumatori e a mantenere la sua quota di mercato. Quando è indicata l’adozione della strategia di stabilità? Nei casi in cui si manifestano condizioni quali la stabilità dell’ambiente, un livello di performance soddisfacente, la presenza di validi punti di forza e assenza di punti di debolezza e non significative opportunità o minacce. Talvolta gli stakeholder considerano questa strategia non adeguata poiché la equiparano ad una strategia di basso profilo. A tal proposito si può considerare una impresa che si caratterizza per l’adozione di tale tipologia di strategia: la Kellogg. È un’impresa che ha individuato e continua a permanere nella sua unica nicchia: il mercato degli alimenti per la prima colazione. La strategia di ridimensionamento si è resa necessaria per molte imprese a motivo degli effetti dello sviluppo tecnologico, della competizione globale e altri cambiamenti del contesto esterno. Si tratta di ridurre la dimensione o vendere le parti meno redditizie delle linee di produzione. La combinazione di strategie consiste nella simultanea adozione di due o più strategie tra quelle sopra indicate. Ciò si verifica in imprese di grandi dimensioni che decidono, per esempio, di ridurre la propria presenza in un settore di attività per potenziarne un altro: in tal modo l’impresa risulta contemporaneamente impegnata in una strategia di ridimensionamento e di sviluppo. La fase successiva alla formulazione della strategia è quella inerente la sua implementa23 zione (). È questa una fase che, se non sviluppata adeguatamente, può determinare il fallimento anche di una ottima strategia. Affinché una strategia abbia successo è necessario il coinvolgimento e una adeguata motivazione dei manager a tutti i livelli, che il programma strategico predisposto sia da loro ampiamente condiviso. Infine, i risultati devono essere valutati () per poter procedere ad eventuali aggiustamenti o radicali modificazioni. Note di chiusura 1 CHANDLER A.D., Strategy and Structure: Charpters in History of the Industrial Enterprise, MIT Press, Boston, 1962 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 (trad. it.: Strategia e struttura: storia della grande impresa Americana, FrancoAngeli, Milano, 1976). ANSOFF I., Corporate Strategy, op. cit., p. 205. Cfr. CHRISTENSEN C.R., ANDREWS K.R., BOWER J.L., HAMERMESH G., PORTER M.E., Business Policy: Text and Cases, V ed., Irwin, Homewood, 1982. Cfr. SELZNICK P., Leadership in Administration: A Sociologicallinterpretationa, Harper & Row, New York, 1957. Cfr. MAZZOLA P., Strategia, in G. BRUNETTI, E. SANTESSO (a cura di), Materiale didattico per il corso di strategia e politica aziendale, Estratto dall’Enciclopedia dell’Impresa, volume terzo, UTET, Torino, 1999. L’autore con il termine “mete” fa simultaneo riferimento alla missione, alle strategie, agli obiettivi e ai risultati che ci si può realisticamente attendere da ciascuno e da tutti i soggetti umani costituenti l’organizzazione. USAI G., Le organizzazioni nella complessità. Lineamenti di Teoria dell’organizzazione, Cedam, Padova, 2002, p. 187. Cfr. DEPPERU D., Il processo di formazione delle strategie competitive. Un modello per le imprese monobusiness, Egea, Milano, 2001. CODA V., L’orientamento strategico dell’impresa, UTET, Torino, 1988, p. 24. SARACENO P., Il governo delle aziende, Libreria universitaria editrice, Venezia, 1972 DI BERNARDO B., RULLANI E., Transizione tecnologica e strategie evolutive, Cedam, Padova, 1985, p. 162. RISPOLI M., L’impresa industriale. Economia e management, il Mulino, Bologna, 1984, pp. 677-679. SCIARELLI S., Economia e gestione dell’impresa, op. cit., p. 259. Cfr. USAI G., L’efficienza nelle organizzazioni, op. cit. 24
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