VENERDÌ 18 LUGLIO 2014 LA SICILIA i FATTI CRISI SENZA FINE. In Italia ecatombe in Lombardia, ma anche al Sud vita sempre più difficile Sicilia, disastro per le imprese in sei mesi ne sono fallite 497 Le cifre E’ l’edilizia del ko il settore 497 LE IMPRESE fallite in Sicilia nei primi sei mesi del 2014. Il settore maggiormente colpito è anche nell’Isola, come nel resto del Paese, quello dell’edilizia 6,1% LA PERCENTUALE di imprese fallite nella regione siciliana rispetto al dato nazionale. In testa alla classifica italiana c’è la Lombardia con 1.772 fallimenti 3.788 IL TOTALE di aziende che hanno portato i libri in Tribunale nelle nove province siciliane dal 2009, decretando di fatto il loro fallimento che soffre più di tutti ANDREA LODATO CATANIA. Al ritmo di 63 al giorno, praticamente più di due ogni ora, sono scomparse nei primi sei mesi del 2014 le imprese italiane travolte dalla crisi. Parte da qui l’allarmante fotografia che ha realizzato Cribis D&B, la società del gruppo Crif specializzata nella business information. L’analisi sui fallimenti nel nostro Paese da gennaio a giugno di quest’anno conferma in maniera puntuale e drammatica una tendenza che si è consolidata negli ultimi anni e che continua ad essere inarrestabile. Basti pensare che se nell’intero 2009 in Italia chiusero i battenti portando i libri in tribunale 9.383 imprese, nei primi sei mesi del 2014 siamo già a 8.101 fallimenti. Una devastazione, una desertificazione che, naturalmente, colpisce in maniera e percentuale più massiccia le aree tradizionalmente con un tessuto economico più ricco di attività imprenditoriali, ma che non risparmia anche regioni che stanno pagando un prezzo elevatissimo alla crisi. Così se dal gennaio al giugno del 2014 in Lombardia, cioè nella regione-locomotiva dell’economia italiana, sono fallite la bellezza di 1.772 imprese, incidendo per un 21,9% sul totale nazionale, la Sicilia occupa in questa triste graduatoria un ottavo posto di tutto rispetto, con 497 imprese fallite che rappresentano nel panorama nazionale il 6,1%. E dal 2009 ad oggi in Sicilia sono state 3.788 le aziende fallite, anche qui con un incremento netto e costante con il passare degli anni. «I dati relativi al secondo trimestre del 2014 mostrano una situazione ancora molto preoccupante per le nostre imprese - spiega Marco Preti, amministratore delegato di Cribis D&B -. Abbiamo registrato infatti un record negativo di fallimenti, e questo lancia un allarme sulla capacità di resistenza del tessuto produttivo di fronte al perdurare della crisi». A pagare il prezzo più alto alla crisi, in Sicilia così come nel resto del Paese, è il comparto dell’edilizia: degli 8.101 fallimenti, infatti, il numero più alto, 989, è legato al settore edile. E al secondo posto, con 675 fallimenti, c’è il settore degli installatori, direttamente legato anche questo al macro settore dell’edilizia. In gravissima sofferenza, poi, il commercio all’ingrosso, con 637 fallimenti, così come crollano i servizi commerciali (484) e i servizi finanziari, con particolare incidenza sul comparto della locazione immobiliare (466 i fallimenti), che sono la controprova della crisi che sta attraversando anche il settore immobiliare, degli affitti e delle vendite. Altri dati che vanno a collocarsi nella devastazione del sistema dell’edilizia, sono quelli che riguardano l’arredamento e articoli per la casa (126 chiusure), l’industria della pietra e del vetro (122), l’industria del mobile e accessori per arredi (116). Sommando tutte le imprese chiuse negli ultimi sei mesi che gravitano nel comparto dell’edilizia si ha la misura esatta della crisi che sta sconvolgendo ormai da anni l’intero settore, con tutte le attività connesse. Ma, come del resto è stato più volte denunciato in Sicilia anche da Confcommercio e dalla Fipe in Trend terribile. Nell’Isola dal 2009 ad oggi hanno portato i libri in Tribunale quasi 4.000 aziende che non sono riuscite più ad uscire dal tunnel particolare, a precipizio sono andate anche decine e decine di attività del settore commerciale della ristorazione. Tra ristoranti e bar il dato nazionale parla della chiusura di quasi 400 esercizi, cui vanno sommati 135 negozi di alimentari, 123 del settore delle industrie alimentari. E la percentuale trasferita in Sicilia cresce notevolmente rispetto a quella italiana, anche in considerazione del fatto che continua ad esserci un tentativo continuo degli imprenditori di rilanciare le loro attività, dunque, spesso, a dispetto di quelle che vengono chiuse, altre attività aprono i battenti. Purtroppo, c’è questo dato che è tutto siciliano e che è emerso anche nei mesi scorsi dalle analisi fatte sul territorio, ormai la vita media degli esercizi commerciali si è notevolmente abbassato, e spesso non supera i due anni, se non, addirittura, i 18 mesi. Ma come fare a cercare di evitare di arrivare sino al fallimento della propria attività, anche considerando che, non di rado, a provocare il danno finale c’è anche il fatto che molte imprese non riescono nemmeno a vedere saldati i crediti che vantano? Dice ancora Marco Preti: «Negli ultimi anni le imprese italiane hanno infatti investito molto in procedure e strumenti tecnici e finanziari che consentono di intercettare tempestivamente i segnali di deterioramento dell’affidabilità dei partner, di mantenere sotto controllo la capacità del proprio portafoglio clienti di generare ricavi, di intervenire tempestivamente con azioni di prevenzione e limitazione del rischio e, soprattutto, di fare previsioni sui propri flussi di cassa». .7 SALUTE Farmaci innovativi troppo costosi: serve programma di accesso gratuito ROMA. Per gli esperti è la “madre di tutte le battaglie”, destinata a influire su come verranno trattati i farmaci innovativi costosissimi in arrivo a breve. La discussione sul Sofosbuvir, la terapia che potrebbe sradicare l’epatite C ma anche prosciugare le già non floride casse dello Stato, è sempre più calda da quando l’azienda produttrice, la Gilead, ha interrotto le trattative con l’Aifa per il prezzo. A intervenire sul tema sono state le Associazioni Scientifiche, che hanno inviato una lettera congiunta alla Gilead, all’Aifa e al Ministero della Salute. «La scelta di Gilead di rimandare a settembre il nuovo incontro con Aifa rischia di avere importanti ricadute cliniche in termini di salute per i pazienti con epatite cronica C - spiegano - Si chiede dunque con la massima urgenza un programma gratuito di accesso Negli Usa la allargato a Sofosbuvir». Il trattamento negli Usa costa terapia a base 58mila dollari a paziente, una cidi Sofosbuvir fra enorme che ha già generato profitti superiori alle aspettative contro per l’azienda, come sottolinea lo l’Epatite C stesso direttore generale dell’Aifa Luca Pani in un editoriale pubcosta 58mila blicato oggi. Un prezzo che però dollari a suscita qualche domanda, su entrambe le sponde dell’Atlantico. paziente, ma L’Aifa quindi, così come il Sein Italia la casa nato Usa, chiede all’azienda come si giustifichi la differenza tra produttrice il prezzo previsto del farmaco e ha interrotto quello corrente, oltre che di conoscere eventuali conflitti di inle trattative teresse tra azienda e società sul prezzo con scientifiche che sono emersi negli Usa. l’Aifa In termini di accesso ai farmaci innovativi però sono probabilmente i pazienti oncologici i più arrabbiati, alle prese con una legge che prevederebbe l’arrivo in 100 giorni delle molecole innovative e che invece sono alle prese con la “fascia Cnn”, una specie di limbo per cui alcune Asl li comprano, altre no e chi può li paga di tasca propria. «Ad oggi permangono in fascia Cnn numerosi farmaci oncologici - scrivono Aiom e Collegio dei primari in una lettera inviata al ministro Lorenzin - per molti dei quali la tempistica di negoziazione si protrae ormai da molti mesi. Volendo e dovendo tutelare il diritto alla salute dei nostri pazienti, in caso di persistenza di questo stato di potenziale discriminazione, valuteremo l’ipotesi di ricorrere alla Corte Costituzionale». Di sicuro queste vicende testimoniano che l«occhio» di pazienti e società scientifiche è molto più vigile rispetto a una volta. A testimoniarlo anche il caso Avastin-Lcentis, nato proprio sulla spinta delle associazioni dei pazienti e della società oftalmologica italiana. PIER DAVID MALLONI «Cattedre tagliate perché in Sicilia alunni diminuiti» Scuola. La direttrice dell’Ufficio regionale spiega che la riduzione era prevista. «Qui meno 7-8mila studenti, al Nord invece aumentati di 10mila» PALERMO. La direttrice dell’Ufficio scolastico regionale, Maria Luisa Altomonte, allarga le braccia di fronte all’ennesima “mannaia” che si è abbattuta sulla scuola siciliana: -504 posti per i docenti e -113 per il personale Ata (amministrativi, tecnici e ausiliari) previsti nell’anno scolastico 2014-2015. Così ha deciso il ministero dell’Istruzione. Oltre 600 persone dunque rimarranno a casa. Tagli inevitabili, secondo la Altomonte, perché «in Sicilia ogni anno la popolazione scolastica registra in media una diminuzione di 7-8 mila alunni». Il saldo negativo, numeri alla mano, oggi è pari a 5.409. Tanti sono gli studenti in meno rispetto a quelli effettivamente frequentanti nel 2013-2014. Saranno i precari a pagare il prezzo della contrazione dei posti nelle scuole siciliane. Spesso dopo anni di supplenze, ad inseguire un sogno chiamato stabilizzazione. I sindacati non ci stanno e vanno all’attacco: «Per il Miur l’unica cosa che conta è che “il saldo degli organici rimanga invariato” – dice Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir –. È assurdo attuare questa politica in aree dove imperversano Neet (i giovani che non studiano né lavorano, ndr) e abbandoni. Alle superiori di Caltanissetta e Palermo si supera il 40% degli iscritti. Si tratta di un segno evidente di quanto le scuole abbiano difficoltà a scolarizzare e portare alla maturità i giovani del posto. Dal Miur, quindi, dovrebbero rinforzare gli organici, migliorare l’orientamento, creare un collegamento diretto, in accordo con il I TAGLI regione cattedre SICILIA CAMPANIA PUGLIA CALABRIA BASILICATA MOLISE SARDEGNA 504 387 340 183 58 33 27 ministero del Lavoro, con industrie e aziende. Invece non solo non si attua alcun programma di rafforzamento didattico e orientativo, ma si assegnano meno docenti». Replica la direttrice dell’Ufficio scolastico regionale: «Non voglio difendere i tagli – argomenta la Altomonte – ma bisogna tenere conto del dato complessivo. Siamo in una realtà in forte decremento. Non è una notizia nuova, mi stupisco di tanto clamore. Già nell’organico di diritto erano stati tolti questi posti; è chiaro che poi i tagli si riverberano sull’organico di fatto». A dare un’occhiata alle tabelle rese note dal Miur, ci si accorge del trend differente tra Nord e Sud. Il segno “meno” è prevalente nel Meridione e tocca il picco proprio in Sicilia. «Se qui c’è un calo di 7-8 mila alunni all’anno, in alcune regioni del centro-settentrionali ci sono aumenti nell’ordine dei 10mila studenti all’anno. Insomma, la “coperta” è corta», commenta la Altomonte, secondo cui «se dovessimo tenere conto di questi numeri, i tagli dovrebbero essere più consistenti. E invece non sono stati effettuati in proporzione al decremento degli alunni». Maria Luisa Altomonte, direttrice Ufficio regionale scolastico A essere penalizzati dalla contrazione dei posti saranno i precari. La questione irrisolta della dispersione STUDIO DELLA LUISS «Ricostruire il “ponte” tra istruzione e lavoro» ROMA. Un calo della disoccupazione giovanile tra i 4 e i 5 punti percentuali e un aumento del reddito pro-capite tra i 1500 e i 2500 euro: sarebbero questi, in numeri, gli effetti di lungo periodo di un intervento sulla scuola con un costo di 2-3 miliardi (0,1-0,2% del Pil) indicato nell’ottava edizione del rapporto “Generare classe dirigente”, curato dalla Luiss Guido Carli e Fondirigenti e che quest’anno si è focalizzato sul passaggio tra istruzione e vita lavorativa dei giovani. La proposta di intervento si basa su tre cardini: l’autonomia degli istituti scolastici; l’accountability, ovvero la trasparenza dei risultati dell’apprendimento combinata alla responsabilità sugli stessi; il confronto e la competizione da coltivare, in diverse forme, tra gli istituti scolastici. Nel rapporto si indicano numerosi dati che illustrano quali siano davvero le aree critiche su cui lavorare: l’inadeguatezza dell’apprendimento ‘rimandatò, con i debiti formativi (oggi “carenze”) che non hanno dato i risultati sperati, con il 17,4% degli studenti che non ha interamente recuperato i propri; la motivazione, e non solo la valutazione, degli studenti, l’84,9% dei quali afferma che i loro risultati migliorano quando sono ben motivati; l’efficacia dei processi di “giunzione” tra la formazione e il lavoro (il 60,9% dei docenti è molto o abbastanza preoccupato per il passaggio alla vita lavorativa degli studenti). E, ancora, l’importanza della costruzione delle competenze trasversali, che le aziende cercano e non sempre trovano; o il livello di istruzione della nostra classe dirigente, più basso, in media, di quello degli altri paesi europei (solo il 39,5% dei dirigenti italiani tra i 30 e i 65 anni è laureato). All’incontro ha partecipato anche il Procuratore della Repubblica di Roma Giuseppe Pignatone, con un intervento sulla responsabilità che la classe dirigente è chiamata ad assumersi nell’opera di contrasto alla criminalità organizzata. In particolare Pignatone ha posto l’accento sull’importanza che educazione e formazione hanno nella promozione della cultura della legalità, fra i giovani, come contrasto ai fenomeni mafiosi. Capitolo dispersione scolastica. Nota dolente che la direttrice dell’Usr affronta imboccando la strada delle risorse economiche a disposizione. E partono le “bacchettate”: «Riceviamo dall’Unione europea un sacco di soldi da destinare ai Neet e alla dispersione scolastica. Non sempre vengono messi a frutto. Dobbiamo puntare sulla qualità della spesa. Bisogna riflettere su come vengono spesi questi fondi europei e su quali risultati si raggiungono». Quindi allarga il campo, spiegando che «la dispersione scolastica dipende soprattutto da fattori socio-economici». «Per quanto la scuola si sforzi – aggiunge – da sola non ce la fa a combattere questo fenomeno. Non basta tenere un ragazzo 5-6 ore in un’aula, se poi il pomeriggio non viene impiegato produttivamente. L’Usr è disponibile ad incrementare il tempo pieno nelle scuole siciliane, ma servono le strutture: ovvero immobili idonei, mense, palestre, locali per attività extracurriculari, che poche scuole possono vantare qui in Sicilia. Serve pure la volontà dei genitori e il contributo degli enti locali, che in molti casi sono assenti». Il piano del premier Renzi, che prevede investimenti per la riqualificazione delle scuole? «È un segnale importante, ma non risolutivo – conclude la Altomonte –. Finalmente però si comincia a muoversi in modo fattivo. Spero che i risultati e gli atti concreti possano essere presto tangibili anche in Sicilia». DANIELE DITTA
© Copyright 2024 ExpyDoc