II Domenica di Avvento. Anno B Lectio divina su Mc 1,1-‐8 Convinto che il regno di Dio stava per venire, Giovanni Battista si dedicò ad annunciare la sua venuta: a chi volesse sentirlo, gli proponeva la conversione personale come forma di prepararsi all'incontro con Dio, re sovrano. L'impatto che ebbe la sua figura e la sua predicazione tra i suoi contemporanei fu enorme: nonostante il rigore della sua vita e la severità del suo messaggio riuscì a suscitare in Israele un ampio movimento di rinnovazione che arrivò a sopravvivergli ed a competere, perfino, coi cristiani della prima ora. La sua persona ed il suo messaggio prepararono, è un fatto storico, la venuta di Gesù di Nazareth nel quale il Regno si fece presente. Preparandoci a ricordare la venuta di Gesù nel nostro mondo, vogliamo tornare a sentire la voce di chi l'annuncia. In lei si continua a percepire l'urgenza di dare un cambio alle nostre vite che permetta a Dio di avvicinarsi in realtà. Per aiutarci a mantenere l'attesa del Signore che viene, la Parola di Dio ci presenta la voce del suo Precursore, quel messaggero promesso che ebbe come missione quella di preparare la strada a Gesù. Sentendolo ci sentiamo oggi contemporanei ai suoi uditori di allora: la sua offerta di salvezza continua così ad avere validità, se l'accettiamo di cuore. 1Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio. 2È scritto nel profeta Isaia: "Io invio il mio messaggero davanti a te affinché ti prepari la strada. 3Una voce grida nel deserto: 'Preparate a via del Signore, appianate i suoi sentieri."" 4Giovanni battezzava nel deserto; predicava che si convertissero e si battezzassero, affinché fosse perdonato loro i peccati. 5Accorreva la gente della Giudea e di Gerusalemme, confessavano i loro peccati, ed egli li battezzava nel Giordano. 6Giovanni era vestito di pelle di cammello, con una cintura di cuoio alla vita, e si alimentava di cavallette e miele selvatico. 7E proclamava: -‐ "Dopo di me viene uno che è più grande di me, ed io non merito di chinarmi per slegargli i sandali. 8Io vi ho battezzati con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo." I. LEGGERE: CAPIRE QUELLO CHE DICE IL TESTO FISSANDOSI IN COME LO DICE Già nella più antica tradizione cristiana (Atti 10,37) la figura e la missione del Battista precedeva e preparava l'apparizione storica di Gesù. Ed in realtà, quando questa tradizione, per opera dell'evangelista Marco, si fece racconto, la cronaca del ministero pubblico di Gesù, della sua morte e risurrezione, sarà preceduta dal racconto del ministero del Battista. I primi cristiani consideravano tanto decisiva la predicazione di Giovanni nel deserto che, con lei, iniziarono i quattro vangeli. Marco ci offre una breve ma molto significativa presentazione del Battista. Prima di parlare di lui, lascia che parli di lui la Parola di Dio. Senza identificarlo ancora, lasciando stare cosa e quello che faceva, ci dice, mediante la parola del profeta, chi era e che cosa doveva fare. Più importante di quello che fece e disse, più decisivo del suo battesimo e la sua predicazione era quello che Dio pensava di lui e come lo voleva: messaggero e precursore. Per il narratore è evidente che quanto faceva e come viveva il Battista non era più che realizzazione della promessa divina. Annunciare Cristo non è compito di volontari, bensì missione di servi, di inviati di Dio. E non qualunque forma di vita, né qualunque attuazione, caratterizza l'annunciatore come inviato. Il Battista che fu inviato per facilitare l'arrivo del suo Signore, dovette predicare la conversione, vivere in estrema povertà ed annunciare chi, più potente, era capace di versare non acqua ma lo Spirito di Dio. Chi si sa inviato come il precursore conosce che cosa deve fare con la sua vita. 1 II. MEDITARE: APPLICARE QUELLO CHE DICE IL TESTO ALLA VITA Giovanni il Battista seppe che era stato chiamato ad essere l'annunciatore del Dio che è in cammino verso gli uomini e volle esserlo. Ed in ciò impegnò la sua vita. Gesù non si è presentato ancora al mondo che già il Battista lo sta annunciando. Per quanto dice e per quello che fa, Giovanni Battista compie la missione ricevuta: predicando la conversione e vivendo in penitenza prepara la venuta di chi, solo lui, può concedere lo Spirito a chi lo accolga. Il Dio che vuole essere vicino ha bisogno di uomini che mettano voce al suo volere e convertano alla speranza chi li sente: una vita che parla, ed alcune promesse che superano quanto possiamo fare noi stessi, farebbero più vera la nostra vita cristiana e le nostre predicazioni. Se per venire una volta, lo ha annunciato il Battista, perché non pensare che ha bisogno di voci che gridino nel deserto, perché possa ritornare oggi di nuovo? Non ci saranno oggi cristiani con la vocazione di preparare la strada al Signore che viene? Se ci manca Cristo, è perché non ci sono i suoi precursori. I concittadini del Battista, la società ebrea del tempo, sperava in Dio, lo desiderava ardentemente, anelava la sua presenza, perché voleva essere libero dei suoi nemici e tornare ad essere il paese indipendente che era stato e servire il suo Dio. In tali circostanze, sembra che chi, come il Battista, annunciava la prossima venuta di Dio avrebbe trovato una grande accoglienza ed ottenere ampio consenso. Non fu così. E continua ad essere così. Del destino, grandioso e tragico, di Giovanni il Battista, possiamo tirare fuori due conseguenze che illuminano oggi la nostra vita di credenti, dando forza alla nostra attesa di Cristo e segnalando gli impegni della nostra missione nel mondo. Il Dio che aspettiamo si annuncia sempre: prima di inviare suo Figlio, mandò un banditore, una voce che gridava nel deserto. Se tale è il comportamento di Dio, non si capisce bene perché risulta tanto difficile aspettarlo: non viviamo, in realtà, tesi per la sua mancanza, non ci disturba troppo che non stia al nostro lato, non ci fa male la sua assenza. Chissà perciò, non riusciamo a sentire tante voci che stanno annunciandoci il suo arrivo né discernere tanti segni che ci parlano della sua presenza. Il problema non è che sentiamo parlare appena di Dio nel nostro mondo; la questione sta, piuttosto, che a mala pena si trovano credenti disposti ad annunciarlo. È curioso: oggi si trova gente per tutto; qualunque attività o partito, divertimento o hobby, conta su adepti, ma Dio, la sua voce e la sua persona, non desta entusiasmo o interesse. Oggi Dio non fa notizia, neanche tra noi cristiani: o non è vero che dedichiamo ogni giorno meno tempo e con più svogliatezza al nostro Dio?. È inutile che Dio continui a farci suoi portavoce. Non desiderando sentirlo, ci disturberanno tanto i suoi messaggeri che le sue parole. Almeno noi che desideriamo vivere in fedeltà a Dio, dovremmo trasformarci in ascoltatori di Dio: attenti uditori di tutto quello che ci parla di Dio, riusciremmo a saperlo in cammino verso di noi, quando ci sappiamo senza di lui. Aspettare Dio significa soddisfare tutto quanto ci dicano di Lui e chiunque ce lo venga a dire, assentire a tutto quello che di Dio ci comunica ed ascoltare quanti ci parlano nel suo nome. In definitiva, mettersi all'ascolto della sua voce, riconoscendola tra tante dicerie insensate, accogliendolo col cuore, come fece Maria, ci convertirebbe, più che in uditori, in portatori di Dio. Quello che fece Maria, precisamente. Allora, non ci sarebbe tanto difficile vivere nella speranza. Basterebbe mettersi all'ascolto di Dio. Chi desidera trovarlo, qualunque cosa ne ravviverà il desiderio; chi vive aspettandolo, riconosce la sua voce nei suoi messaggeri. Gli eventi del giorno, le preoccupazioni permanenti o gli avvenimenti inaspettati, la voce dei nostri pastori la stessa cosa che i programmi ed intenzioni di chi ci governano, ci lasciano intravvedere, in chiaroscuro, la voce e le intenzioni del Dio che sentiamo vicino, di Colui il quale speriamo. Dedicarsi all'ascolto di Dio in tutto quello che viviamo o presenziamo supporrebbe avere una ragione in più per vivere nella speranza mentre aspettiamo che Egli arrivi finalmente. Questo nostro Dio che si fa sempre annunciare, ha bisogno sempre di messaggeri, uomini che l'abbiano ascoltato e non possano tacere, credenti che, come il Battista, vivono aspettandolo ed annunciano la sua venuta agli altri. Nonostante le apparenze, oggi non è che Dio non ci parli già, è che 2 gli stanno mancando i portavoce, credenti che dicano agli altri quanto hanno sentito, e profeti, credenti che annuncino agli altri quello che essi aspettano ancora. Perché a niente servirebbe sapere che Dio sta in cammino verso di noi, se taciamo: non si prepara la venuta di chi non si aspetta! E non si aspetta nessuno del quale non si sa niente. La nostra società non potrà aspettare Dio, se non la convinciamo che sta per venire. Siamo noi, i credenti che sperano che dobbiamo prestarci a Dio, prestargli la nostra voce e la nostra vita, affinché Egli parli. Col nostro silenzio, con la nostra vita cristiana senza speranza e senza compromessi, stiamo tacendo Dio e zittendo la sua volontà di avvicinamento al nostro mondo: come potremo essere gli stessi di ieri, come continuare a vivere la stessa cosa di ieri, se realmente crediamo che Dio sta già oggi in cammino verso di noi? Siccome taciamo oggi la nostra fede ed i motivi della nostra speranza, al mondo è più difficile credere oggi in Dio ed aspettare speranzosi il domani: Dio non è rimasto lontano, sta ancora per venire, è nostro 'Per-‐venire!'. Diciamolo con la nostra vita nuova, capace di superare senza acredine né risentimenti le difficoltà giornaliere: diciamolo al nostro mondo e diciamolo col cuore. Con le nostre paure, coi nostri silenzi, stiamo condannando il mondo a sentirsi abbandonato da Dio: non è oggi l'ateismo di coloro che non credono bensì la vigliaccheria e le omissioni dei credenti quello che sta rendendo più imponente l'assenza di Dio. Se realmente crediamo che Dio viene perché vuole essere prossimo a noi, -‐ prossimo, famiglia di Dio saremo un giorno! -‐, non possiamo credere solo per beneficio proprio, perché Dio sta in cammino per tutti. Silenzi di genitori cristiani generano figli increduli. Genitori senza speranza, spossati dalle necessità del momento, non possono dare motivi di speranza né ragione per la lotta per il cambiamento ai loro figli. Ecco il dramma di molte famiglie che non è altro che il dramma personale, moltiplicato, di tanti di noi. Viviamo come se non dovessimo aspettare niente dalla vita, di questa vita. E tuttavia, diciamo di credere ancora in Dio ed al suo regno che sta per venire: che contraddizione! Convertiamoci alla speranza, aspettando Dio. Se sapendolo lontano è stato già buono con noi, e possiamo dubitarlo?, sarà molto meglio quando ritornerà e ci troverà fedeli e speranzosi. Siamo testimoni di un Dio che viene, di un Dio che aneliamo e che sia il nostro futuro che cambia il mondo, il nostro cuore e la nostra comunità. [don Nino Zingale, traduttore] 3
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