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Isis, proteste in tutta europa in
favore dei curdi: “L’Ue faccia
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Libia, “miliziani ex Isis tornano da Siria e
Iraq per combattere nella guerra civile”
Nel Paese dilaniato dalla guerra civile (contesto in cui il Califfato trova terreno fertile), a
poca distanza dalle coste italiane, compaiono le prime bandiere nere dello Stato Islamico.
"Il peso del jihad è forte, soprattutto in Cirenaica - spiega a IlFattoQuotidiano.it Arturo
Varvelli, analista dell'Ispi - hanno accumulato un'expertise militare diretta e ora sono pronti a
creare nuovi nuclei combattenti"
di Giusy Baioni | 8 ottobre 2014
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“La Libia per l’Italia è la prima priorità”. Lo sosteneva solo pochi giorni fa a Catania Federica
Mogherini, alto rappresentante Ue agli Affari esteri, durante il seminario dell’Assemblea
Parlamentare della Nato. E a conferma delle preoccupazioni crescenti di questi ultimi mesi dovute
Berlusconi, Fede:
“Silvio poteva aiutare
Ruby in altro modo. E
invece scopava…
Announo, Travaglio:
“Mi cadono le braccia
quando sento una
persona giovane dire…
alla guerra civile degenerata nel caos, si aggiunge la notizia diffusa ieri dalla tv araba Al Arabiya,
che pubblica un video girato nella città di Derna in cui i miliziani di Ansar al Sharia sventolano le
bandiere nere di Isis in territorio libico. “C’è un forte flusso di combattenti libici che rientrano in patria
da Siria e Iraq”, spiega a IlFattoQuotidiano.it Arturo Varvelli, esperto di Libia dell’Istituto per gli
Jobs Act, Renzi:
“Fiducia? Dal Pd non
temo agguati ma basta
veti”
studi di politica internazionale.
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“Il peso del jihad è forte, soprattutto in Cirenaica – continua l’analista dell’Ispi - Ansar al-Sharia è
composta da molti reduci dall’Iraq o dall’Afghanistan. Questa formazione fa occupazione territoriale:
in una zona dove lo stato non arriva, Ansar al-Sharia costruisce ospedali, fa beneficenza, svolge
attività assistenziali, si pone l’obiettivo di essere un po’ come Hamas o Hezbollah. Questo gli dà il
supporto della popolazione, ma solo in parte: la loro presenza a Bengasi è controversa e ci sono
state anche manifestazioni molto partecipate, per protestare contro il loro modo di agire, di imporre
posti di blocco, controlli di polizia ecc. Il generale rinnegato Khalifa Haftar è rientrato dagli Usa
proprio per opporsi ad Ansar, con il supporto di Egitto ed Emirati. Del resto, l’Egitto di al-Sisi non
può tollerare che alle sue porte ci sia una formazione jihadista che applica la Sha’ria”.
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Isis ha un forte potere di attrazione mediatica,
anche verso le formazioni terroristiche
nordafricane. Secondo Varvelli, Ansar finora
non ha particolarmente dimostrato di essersi
affiliato a Isis. “Ha invece un forte flusso di
combattenti libici che rientrano in patria da Siria
e Iraq. Il battaglione al-Battar, ad esempio, è
composto esclusivamente da libici che hanno
combattuto in Siria. E questo è un elemento
preoccupante a prescindere: dal fronte della
guerra civile libica del 2011, fino alla Siria e
all’Iraq, questi uomini hanno accumulato
un’expertise militare diretta e ora, tornando,
sono pronti a creare nuovi nuclei combattenti”.
Riguardo alla notizia di oggi della bandiera di Isis a Derna, il ricercatore spiega che non è la prima
volta che i drappi neri compaiono in Libia. “Il punto è capire se dall’altra parte c’è un riconoscimento
ufficiale da parte del sedicente Stato Islamico. Finora non è dato saperlo. Ma in fondo cambia poco:
condividono la stessa strategia e l’esistenza o meno di un’affiliazione ufficiale non muta la
Affari loro
sostanza. Sono e restano pericolosissimi criminali”.
L’origine del caos
Letizia Brichetto Moratti, la manager
con il buco intorno
Esiste oggi una forte polarizzazione politica fra islamisti e anti-islamisti. Ma è importante mantenere
una distinzione. Spiega Varvelli: “Una cosa è Ansar al-Sharia in Cirenaica, la formazione terroristica
che l’11 settembre 2012 ha ammazzato l’ambasciatore americano Chris Stevens, un’altra è la
componente conservatrice rappresentata dalla Fratellanza Musulmana, integralista ma non
terrorista. Nell’ultimo anno, questa contrapposizione si è riproposta anche sul piano militare: ogni
forza politica si è alleata con le milizie che controllano il territorio. Con la caduta di Morsi in Egitto, la
situazione si è incancrenita: i Fratelli Musulmani hanno perso il ruolo di interlocutore politico
legittimo e ciò è stato da loro percepito come una minaccia alla propria esistenza, spingendoli a
cercare un’alleanza militare con le milizie di Misurata, in contrapposizione al partito laico di
Mahmoud Jibril”.
Il resto è storia recente: alle ultime elezioni la Fratellanza Musulmana, sconfitta, non ha
riconosciuto il nuovo parlamento. “I neoeletti, sentendosi minacciati nella propria esistenza, hanno
commesso l’errore fatale di lasciare la capitale per spostarsi a Tobruk, di fatto ponendosi sotto la
protezione dell’Egitto di al-Sisi, e ciò ha aumentato i problemi. A Tripoli i misuratini e la Fratellanza
hanno richiamato in vita il vecchio parlamento, spaccando in due il paese. A questo punto,
finalmente è intervenuta l’Onu, che in queste settimane sta riconvocando le parti. Almeno si stanno
parlando”.
La contrapposizione attuale è stata favorita da numerosi attori esterni: il Qatar e la Turchia hanno
sponsorizzato i fratelli musulmani e le milizie di Misurata, mentre l’Egitto e gli Emirati hanno
bombardato le postazioni della Fratellanza ad agosto e settembre; John Kerry due settimane fa ha
Renzi e la globalizzazione: “You stay in
Usa? Good!”. Il videoblob
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convocato gli attori regionali ed europei per riconoscere il parlamento di Tobruk, che però non
controlla la capitale, i ministeri, le banche, e si ritrova di fatto senza poteri.
L’unica exit strategy: riconciliare le tribù
Secondo il ricercatore dell’Ispi, la soluzione è una sola: “Avviare una riconciliazione nazionale il più
inclusiva possibile, escludendo la forze jihadiste, ma includendo i fratelli musulmani, tutte le forze
politiche e anche il sistema delle tribù e delle minoranze, una realtà spesso a sé stante”. Riguardo
un possibile intervento militare, Varvelli è chiaro: “Ci sono fronti troppo numerosi perché sia
efficace. E poi, ricordiamolo, ogni intervento militare deve avere una visione a lungo termine, sennò
siamo destinati a ripetere gli errori, come quelli commessi in Libia nel 2011. Ora si sta facendo lo
stesso con Isis: non c’è progettualità politica, si armano i curdi, ma si dimentica che nessuna
decisione internazionale può essere presa senza che abbia delle conseguenze. Siamo miopi. Ogni
intervento è come il tocco a una palla da biliardo e innesca una reazione, che poi non è più
controllabile”.
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