La Processione della Domenica in Albis

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Il grande onore di vedere la nostra Madonna della Disciplina Maggiore, esposta
sull’altare maggiore della Cattedrale, è solo l’atto finale di una celebrazione che ha
visto coinvolto tutto Il Popolo del Bruco.
La tenerezza che ispira l’immagine, insieme alla devozione che, come Senesi,
ancor prima che come Brucaioli, proviamo nei confronti della Beata Vergine, sono
accompagnate dal senso di protezione e di affetto che tutta la Contrada del Bruco nutre
per questa bella tavola attribuita a Luca di Tommè.
Questi sentimenti sono stati evidenziati, sia nelle operose fasi di preparazione alla
Processione, che nella ampia partecipazione popolare, che ancora una volta hanno
dimostrato l’autenticità e la profondità dell’attaccamento alle nostre tradizioni e il
desiderio di mantenerle rigogliosamente in vita.
Credo che l’intensità delle emozioni provate da chi ha partecipato, a vario titolo, ai
festeggiamenti di questo Ottavario in Albis , resterà come struggente e dolce ricordo nei
nostri cuori, stratificandosi sui tanti momenti belli per i quali dobbiamo rendere grazie
a Dio di appartenere a questa Città e a questa bella Contrada
Il Rettore
Fabio Pacciani
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L’addobbo
dell’oratorio nel 1933
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La processione della Domenica in Albis
“La domenica in Albis così è detta dallo spogliarsi degli abiti bianchi di quei che furono
battezzati il sabato santo. In questo giorno, dopo pranzo, suol farsi solenne processione
delle Compagnie della Città e altre suburbane, che, con accompagnamento di numero
grande di torce, di grandissimo popolo, riesce la più bella dopo quella del Signore.
Portasi sopra grande e nobil macchina un qualche divoto Simulacro del Redentore
o della sua Santissima Madre e qualche insigne Reliquia di alcun Santo, e ne viene
fatta la elezione a sorte dall’urna, […] fatta elezione, col suono delle campane della
torre e con altre dimostrazioni di gioia se ne da a tutti l’avviso. La sera precedente a
questa domenica, dalla propria chiesa e nottetempo con molti lumi, ancorchè la lezione
abbiasi per privata, viene trasportata alla chiesa metropolitana, donde il dì seguente
portasi a processione con quella maggior solennità a magnificenza a cui si estendono le
forze delle Compagnie, riponendosi con tutta la macchina nella Metropolitana. Quivi
si venera con molto concorso di popolo per otto giorni con l’assistenza dei Fratelli di
quelle Compagnie […] e poi la sera della Domenica con pompa privata si riporta alla
sua chiesa”1.
La suggestiva descrizione della processione della Domenica in Albis di
Girolamo Gigli, nel suo Diario Sanese, racconta di quello che doveva essere,
ed è stato fino a qualche decina di anni orsono, un importante evento della
città, con la partecipazione di “grandissimo” popolo, con torce, suoni di
campane, lumi “nottetempo”, dimostrazioni di gioia, pompa e solenne
“magnificenza”. Uno di quegli eventi tra sacro e profano che i senesi
amano tanto, dimostrazione dell’immutato credo religioso che pervade la
nostra storia e le nostre tradizioni e il sano senso di appartenenza, che sia
alla compagnia o alla contrada, che in molti casi ne è stata la derivazione,
e che si esprime, in questa Processione, nell’orgoglio e nella festa di esporre
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in pubblico, portandola in solenne corteo per le vie della città, la propria
immagine sacra più importante, più amata e venerata.
Il rito della Processione della Domenica in Albis, non è antichissimo, come,
del resto, non lo sono gran parte delle tradizioni, sacre e profane, che ancora
fanno parte attiva della vita senese. La sua istituzione risale alla seconda metà
del Cinquecento, al 1567, “in ringraziamento d’essere passati quei calamitosi
tempi che tanto avevano travagliato la città”, ove il riferimento è, chiaramente,
alla fine della guerra con i fiorentini che aveva portato, come noto, alla resa
della città nell’aprile del 1555, dopo un lungo e drammatico assedio.
In realtà, come ci informa ancora una fonte ottocentesca, la processione nella
domenica subito dopo la Pasqua rappresentava il “compimento delle sacre
orazioni che si facevano nel corso della Quaresima” da parte delle compagnie
laicali della città2.
Ed erano proprio le compagnie laicali, come lo sono tutt’ora, le principali
artefici e protagoniste della Processione; nel momento in cui nascono le più
importanti confraternite della città, con finalità assistenziali ma soprattutto
religiose.
La creazione delle compagnie laicali è un fenomeno che si inserisce nel clima
della Controriforma, quando la chiesa, dopo il Concilio di Trento (1545),
si oppone alla dilagante contestazione dottrinaria luterana, propugnando il
rinnovamento morale del clero e della funzione sociale della chiesa stessa,
esaltandone i fini educativi ed assistenziali. In questa temperie religiosa e
culturale, che favorisce anche il ritorno a forme popolari di culto, come le
processioni, e riafferma l’adorazione delle immagini sacre, trova terreno
fertile la promozione di confratenite e congregazioni laicali, che riuniscono
e custodiscono la sentita e vivace devozione privata dei cittadini di ogni
categoria e classe sociale.
A Siena, e negli immediati sobborghi, nel XVII secolo, se ne contano una
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trentina, con un ruolo decisamente importante per la partecipazione alle
pratiche religiose sostenute dai dettami della cosiddetta “Controriforma
devozionale”, come, ad esempio, quella delle Quarant’ore.
Le cosiddette Quarant’ore , allusive al tempo passato da Gesù nel sepolcro,
rievocano, nell’adorazione continuativa del Sacramento, il periodo che
intercorre tra il venerdì Santo, la morte di Cristo, e l’alba della domenica, con
la Sua resurrezione. Furono introdotte a Siena nel 1540 dal mistico Bernardino
Tomassini, detto Ochino per la sua appartenenza alla contrada dell’Oca; la
successiva istituzione della Processione penitenziale della domenica dopo
Pasqua, della quale erano incaricate le compagnie laicali cittadine, come
attive partecipanti alle Quarant’ore, rappresentò il naturale riconoscimento
alla loro importanza e capillare organizzazione.
Ogni anno, dalla sua istituzione, per l’occasione della Processione,
venivano sorteggiate quattro compagnie che dovevano prendersi cura
dell’organizzazione della cerimonia ed estrarre a sorte il simulacro da portare
in Duomo, non diversamente da come accade anche oggi, salvo che dal 1804,
l’intera cura della processione è affidata alla Consorteria delle Compagnie
Laicali della Città e Arcidiocesi di Siena.
Perduto, da qualche anno, l’uso della Processione nel giorno della Domenica
in Albis, è rimasto, tuttavia, il corteo, il giorno precedente, per il trasporto
dell’immagine dalla chiesa di appartenenza fino alla cattedrale, dove viene
esposta per l’ottavario di preghiera che si svolge nel corso di tutta la settimana
successiva.
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La Madonna della Disciplina Maggiore di
Luca di Tommè nell’Oratorio
della Nobil Contrada del Bruco
Non ci sono notizie precise o documentate sulla preziosa tavola posta
sull’altare dell’oratorio del Bruco dedicato alla Visitazione di Maria Vergine,
la Madonna con Bambino tardo trecentesca, attribuita alla mano del pittore
senese Luca di Tommè.
Sappiamo, ma i documenti dell’archivio di contrada, a meno di insperati
ritrovamenti, non recano traccia dell’avvenimento, che fu donata al Bruco
dalla famiglia Pacciani nel 1802; una famiglia brucaiola, se è la stessa, come
è lecito supporre, di Antonio Pacciani, eletto capitano della contrada il 13
giugno 1791.
I Pacciani avevano acquistato la tavola, proveniente dalla chiesa di San
Michele Arcangelo di dentro, all’indomani della soppressione della
compagnia omonima, quando, nel 1785, nell’ambito delle grandi riforme
promosse dal Granduca Pietro Leopoldo, furono soppresse confraternite,
conventi ed enti ecclesiastici, con la relativa chiusura e vendita a privati di
immobili, chiese, oratori, conventi e locali annessi, con tutto quello che vi era
conservato, comprese le opere d’arte e gli arredi sacri.
In un registro di stime degli oggetti appartenuti alla Compagnia di San
Michele Arcangelo, conservato presso l’Archivio di Stato di Siena, alla data
del 2 agosto 1785, è registrata la vendita ad Andrea Pacciani di “Un quadro di
B.1 1/3 rappresentante la Madonna” per 88 scudi, rispetto agli 84 che erano
stati stimati, una voce separata riporta altresì l’acquisto di “Due corone, una
alla Madonna, l’altra al Bambino”3.
C’è motivo di pensare, grazie anche al supporto delle fonti successive, che
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la Madonna citata sia quella poi donata alla Contrada. Ipotesi avvalorata
dalla presenza, nel Museo del Bruco, di quelle che sicuramente sono le due
corone d’argento rammentate e che erano di corredo all’immagine sacra;
forse asportate nel corso degli ultimi restauri.
In mancanza di altra documentazione, come già accennato, rimane ancora da
chiarire, quando e come sia realmente avvenuta la donazione alla contrada.
Si trattò di un regalo importante e, crediamo, ben accolto, dal momento che
i brucaioli non avevano ancora, nel loro piccolo oratorio, una Madonna da
venerare.
Le guide settecentesche, a proposito della chiesa del Bruco, citano
genericamente, per l’altare, una tela del Burbarini, artista della seconda metà
del Seicento (forse uno dei due dipinti di questo periodo oggi conservati nel
Museo) e solo nel 1815 il Faluschi ci informa sulla presenza di una “Immagine
di Maria Santissima d’ignoto autore”.
La tavola, giunta in contrada, dunque, non più tardi dei primissimi anni
dell’Ottocento, conservava ancora il nome di Madonna della Disciplina
Maggiore, dal nome della Compagnia dalla quale proveniva: la Compagnia
di San Michele Arcangelo di dentro detta della Disciplina Maggiore (per
distinguerla da quella “minore” o “di fuori” dopo una divisione fra i confratelli
avvenuta tra il XVI e il XVII secolo). Ed è in seguito al suo arrivo nella chiesa
della contrada che i brucaioli “lasciato il nome del SS. Nome di Gesù”,
dato in onore di San Bernardino e della confraternita, cinquecentesca, che li
riuniva, dedicarono l’oratorio alla Visitazione di Maria Vergine.
La storia della Compagnia di San Michele Arcangelo è piuttosto complessa
e molto antica, dato che il primo ricordo documentario risale al 1240, così
come complicata è la distribuzione degli edifici sacri nel ristretto spazio di
Piazza dell’Abbadia, dove aveva sede anche la Compagnia.
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La denominazione della chiesa di San Donato che domina la piazza, come
la conosciamo in epoca moderna, deriva da una delle più antiche chiese di
Siena (notizie dall’XI secolo) oggi non più esistente, la cui facciata si apriva
su via Montanini, o meglio sulla via Francigena, nella piazzetta dove si trova
la fontana fatta erigere dal Monte dei Paschi nel 1926. Seminascosta dalla
costruzione cinquecentesca di Palazzo Tantucci, sconsacrata poi in epoca
napoleonica, la piccola chiesa è stata in seguito inglobata nel complesso
degli edifici della sede storica della banca e l’unica navata che la componeva
adibita, come la vediamo ancora oggi, a sala conferenze e pinacoteca.
Dopo la soppressione, il nome di San Donato passò, nel 1815, alla vicina
Abbazia di San Michele al Monte, con la chiesa che si apre sulla piazza e gli
annessi locali di quello che era il monastero, fondato nel 1119 come cenobio
vallombrosano, passato poi ai Carmelitani, soppresso nel 1785 e destinato a
parrocchia.
Sulla sinistra della facciata della chiesa, ancora riconoscibile dal piccolo
portale architravato, seicentesco, si trova l’ingresso di quello che fu l’oratorio
della Compagnia laicale di San Michele Arcangelo (detto anche dei Sacri
Chiodi, dal nome di un’altra compagnia laicale che vi trovò ospitalità e
sede all’inizio del Settecento). La decorazione artistica della piccola chiesa,
attualmente adibita a cinema, è ancora visibile con gli stucchi e gli affreschi
tardo seicenteschi.
L’oratorio era stato fondato dai confratelli prima della scissione, avvenuta,
all’inizio del Seicento, o forse prima. Una notizia riportata tra i ricordi del
Convento dei Carmelitani Scalzi, datata al 1674, precisa che “i fratelli di
detta compagnia venuti in discordia tra loro si separarono, onde la parte
separata eresse un’altra compagnia sul canto della nostra piazza e l’intitolò
San Michele di fuora e perciò questa contigua alla nostra chiesa cominciò a
chiamarsi S. Michele di dentro, per potersi distinguere tra di loro”4.
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I brucaioli nella Cattedrale - 2013
La partenza della processione del 1977
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Non ci sono altre notizie dei confratelli “scissionisti”, usciti per dissapori
con i confratelli più “conservatori”, rimasti sotto l’ala protettrice dei
vallombrosani, scomparsi, o forse riunificati, di nuovo all’inizio del
Settecento e potrebbe essere possibile, ma è solo un’ipotesi suggestiva e senza
fondamenti documentari, che l’oratorio “di fuori”, rammentato “nel canto
della piazza”, si trovasse nel grande fondo voltato (fino a qualche anno fa
sede di una tipografia) che si trova al pianoterreno del palazzo sulla sinistra
di Piazza dell’Abbadia.
Il dato certo è che dal 1624 sono registrati pagamenti per lavori, decorazioni
e arredi alla “fabbrica” dell’oratorio della Compagnia, lavori che possono
dirsi conclusi con l’esecuzione delle pitture della volta, pagate a Dionisio
Montorselli nel 1690, e la lavorazione degli stucchi della volta, documentata
al 16925.
La tavola di Luca di Tommè è, tuttavia, antecedente alla divisione delle due
compagnie, trattandosi di una preziosa opera databile alla fine del Trecento.
Luca di Tommè è un pittore senese documentato alla seconda metà del XIV
secolo (risulta presente nel Breve dell’Arte de’ Pittori della città di Siena
nel 1356 e nel 1389) che si pone nel solco della grande tradizione pittorica
che lo precede, con riferimenti più precisi e puntuali a Pietro Lorenzetti,
caratterizzandosi per la particolare delicatezza cromatica e la dolcezza e
morbidezza delle linee, che diventano più severe e solenni nelle opere più
tarde. Rammentato da Vasari, che lo conosceva, come “Luca senese”, fu
un artista prolifico che varcò numerose volte non solo i confini cittadini ma
anche quelli del contado, spingendosi per il suo lavoro fino alle Marche e
all’Umbria. Riscoperto solo nel secolo scorso come gran parte dei pittori
suoi contemporanei, troppo spesso considerati minori, sulla scia della grande
arte senese di primo Trecento, e non per i loro caratteri originali, Luca di
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Tommè è considerato un artista degno di stima e non privo di di un suo stile
personale a fronte di un catalogo di opere, sparse per numerosi musei, in
Italia e all’estero, ancora da focalizzare con più attenzione.
Quanto alla tavola del Bruco, da collocare nella produzione tarda del pittore,
è un tipico prodotto destinato al culto popolare. La posa della elegante e bella
Madonna, che guarda lo spettatore, con languida partecipazione, si rifà ad un
prototipo creato da Simone Martini, che ebbe grande popolarità per tutto il
Trecento ed oltre, assecondando il gusto della committenza locale; così come
di grande impatto devozionale è l’iconografia, anche questa dedotta da modelli
di primo trecento, dell’ uccellino stretto tra le mani di Gesù Bambino. Si tratta
generalmente di un cardellino, ma può essere anche un pettirosso o un fringuello,
comunque un uccellino dal petto rosso, che la leggenda narra essersi macchiato
del sangue di Cristo nell’atto misericordioso di togliere una spina dalla corona
che cingeva la testa del Messia, durante la salita al calvario.
Una memoria della Compagnia ricorda come nel 1383 il vescovo di Siena abbia
concesso una indulgenza di 40 giorni ai fratelli della Disciplina Maggiore di
San Michelangelo che avessero contribuito a comprare “una tavola dipenta con
le figure di Nostro Signore, della Santa Madre e di molti altri santi che doveva
servire per coronamento della cappella di detta Compagnia” 6.
Non sappiamo se sia stata poi acquistata, proprio quella tavola, perché la
documentazione conservata è più tarda e l’opera risulta mutila, rispetto ai santi
laterali, che pure dovevano esserci, e alla cornice, mancanze delle quali si notano
tracce visibili nell’assetto attuale del supporto ligneo. Non avendo avuto il dipinto,
a quanto risulta, vicissitudini di mercato ed essendo rimasto nella sua collocazione
originale fino al passaggio nell’Oratorio del Bruco, i santi potrebbero essere stati
tolti, in epoca moderna, forse tra Cinque e Seicento, per motivi devozionali, o
semplicemente di spazio o, come avveniva frequentemente, per un cambiamento
del gusto, che certo non è arrivato a ledere la sacralità della Madonna.
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Di sicuro, tuttavia, la data del 1383 corrisponde ai dati stilistici dell’opera
e alle date del pittore, le cui ultime notizie risalgono al 1389, e gli inventari
della Compagnia si riferiscono sicuramente a questa tavola “antica” (e quindi
a quella del Bruco) quando, dal 1693 in poi, dopo la ristrutturazione della
chiesa della compagnia, la descrivono sull’altare del cappellone con vezzi,
medaglie e “un voto d’argento” attaccato al petto. Ed è così, infatti, che la
comprò Pacciani, “con suo cristallo davanti, tendina con sua cornice e riporti
di legno intagliati e dorati e altra tenda ad uso di imperiale con suoi cordoni
e nappe e due braccialetti piccoli d’ottone”7.
La cornice, che ancora racchiude la tavola, fa parte del corredo che i confratelli
della Compagnia di S.Michele approntarono per la prima uscita dell’antica
Madonna in occasione della Processione della Domenica in Albis del 1765.
Una memoria della Compagnia ricorda come, da parte della compagnia, fosse
stata fatta apposita richiesta, poi accordata, “per non essere [la Madonna]
mai andata in processione per la città e per la sua antichità”, essendo da
“400 e più anni” venerata dagli “antenati nei suoi altari”. Il documento
ricorda poi le spese sostenute, tra le quali il “molto necessario resargimento”
del dipinto, per il quale si registra l’intervento del pittore Carlo Amidei 8,
e la cronaca della sera del 14 aprile 1765 quando “a ore 4 di sera” la sacra
immagine venne ritirata dai rappresentanti delle 4 compagnie per il trasporto
alla Metropolitana, in solenne e festeggiata processione accompagnata da
“numeroso popolo” con più di 560 torce e la presenza di tre contrade, Lupa,
Giraffa e Pantera, con bandiera9.
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La partenza della processione del 1977
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Le uscite della Madonna
della Disciplina Maggiore
con la Contrada del Bruco
Nel 1844, quando era già del Bruco, la Madonna fu di nuovo sorteggiata per
la Processione della Domenica in Albis. I brucaioli fecero davvero una grande
festa per questa uscita. Il corteo, per riportare l’Immagine in contrada dopo gli
otto giorni di esposizione, fu suntuoso e molto partecipato, tanto da meritare
un dettagliato resoconto sulla Gazzetta di Firenze del 30 aprile di quell’anno,
nel quale si racconta di “un lungo stuolo di leggiadre fanciulle, tutte abbigliate
a Vergini e precedute da altrettanto numero di teneri fanciulli vestiti ad angioli
tenenti ceste di fiori ed intrecciate ghirlande” seguiti uno stuolo di brucaioli
“schierato a processione con torcetto acceso in mano” e poi fuochi e tonfi, la
banda e perfino la milizia.
È in questa occasione, tra l’altro, che si provvide ad onorare la Madonna con
bellissimi arredi lignei, intagliati e dorati, ancora conservati in contrada, tra i
quali il tabernacolo dell’altare, con colonnette e cupola, la grande residenza,
che, ancora oggi, la inquadra sull’altare maggiore, e lo stendardo dipinto, a lei
dedicato, attualmente esposto nel museo della Contrada.
Il Rendiconto delle spese fatte per la festa, conservato nell’Archivio del Bruco,
ci restituisce l’idea dello sforzo anche economico fatto da tutti i contradaioli,
con l’elenco dei sottoscrittori pubblicato a stampa. Tra le spese del “legnaiolo”
figurano 130 arcate posizionate lungo la strada e illuminate, come sembra indicare
la spesa per pignattelle e lumicini e il pagamento ai lampionai che avevano “fatto
nottata la sera avanti la festa per mettere i bicchierini ed accendere” e ancora si
elencano le spese per ghirlande e mazzi di fiori secchi, tendoni con nappe, frange
e cordoni di seta e per l’orlatura e la bordatura dei sonetti stampati sulla seta.
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L’anonimo estensore di un opuscolo, stampato per l’occasione presso la Tipografia
Bindi Cresti di Siena, oltre a fornire una serie di interessanti notizie sulla festa e
sulla Sacra Immagine in questione, inizia il suo scritto con una gustosa cronaca
dei festeggiamenti brucaioli in onore della Madonna, nei quali, si era, per caso,
imbattuto.
“Era la sera del 12 Febbraio 1844 quando percorrendo la via di S. Francesco udii
infondo a quella uno strepito che richiamò alquanto la mia attenzione – racconta –
Assicurato che quell’insolito clamore emergeva da gioia popolare, m’inoltrai e vidi allora
la dritta Costa del Bruco fiammeggiante per spessi fuochi, fra l’echeggiare di animati
evviva consacrati dai componenti quella nobil legione alla cara Immagine della Celeste
Donna nel loro oratorio venerata […]Né solo queste erano le sincere dimostrazioni della
pia esultanza. Imberbi garzoncelli che saltando battevano mano con mano; fanciulle
di ogni età che appalesavano del pari la desiderata allegrezza; adulti che benedivano al
cielo; vecchi a cui cadevano dal ciglio calde lacrime di generosa pietà, offrirono ai miei
sguardi una scena sì commovente, che sentii per tenerezza rapirmi il cuore.”
La prosa enfatica del nostro relatore è certo ridondante, in linea con lo stile
letterario del tempo, ma rende bene l’idea di un popolo in festa e del sentimento
sincero con il quale i brucaioli presero parte alla Processione.
I festeggiamenti furono davvero grandiosi ma, come non è difficile immaginare,
molto costosi. Come era uso fare, con firme di adesione, erano stati raccolti degli
impegni economici per 500 scudi toscani, una somma notevole. Firme “fatte con
fanatismo e senza riflettere se poi avrebbero potuto eseguirne il pagamento”, come
ci informa una Memoria del 1864, quando si presentò di nuovo la possibilità di
Nomina della Madonna per la Processione, “come avvenne di fatto” – prosegue
il documento – perché essendosi i più firmati con dichiarazione di soddisfare
la promessa una volta che fosse sortita l’Immagine di Maria per la processione,
successe che pochi eccettuati, i più pagarono o la metà della firma o una parte o
nulla.”
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In pratica era successo che, nel 1844, la Commissione aveva organizzato i
festeggiamenti sulla base della cifra promessa, che non era poi stata pagata e
la Contrada aveva dovuto provvedere a saldare il deficit.
Dovette essere un impegno economico importante, riferito ai tempi, tale da
essere ricordato a distanza di venti anni e tale da costringere il Seggio della
Contrada, in previsione della nuova, possibile, festa, a tutelarsi, con una
scrittura privata nei confronti della Commissione preposta, dichiarando che,
pur partecipando con una certa cifra non si sarebbe assunto nessun deficit
ulteriore.
In realtà, dopo tante discussioni su prestiti e debiti, l’immagine del Bruco non
venne scelta, battuta per un solo voto da quella del Nicchio, e la decisione ufficiale
della Contrada, in merito alle obbligazioni già raccolte per la festa, fu di usare
quei soldi come prestito per sanare parte del debito contradaiolo al Monte dei
Paschi impegnandosi a reinvestirli ogni volta che fosse servito in occasione delle
future uscite per la Festa della Domenica in Albis.
Trascorso, dunque, il secolo senza che venisse sorteggiata, le altre uscite
della Madonna della Disciplina Maggiore per la Domenica in Albis sono del
Novecento (1906-1933-1977).
Ogni volta la contrada ha fatto grandi feste e solennizzato l’evento con il
contributo dei contradaioli.
Nel 1906, i lavori per i festeggiamenti durarono un anno, ma non furono immuni
dalle solite polemiche di tipo economico. Il “Rendiconto del Comitato dei
Festeggiamenti della Nobil Contrada del Bruco nel II Ottavario della Domenica
in Albis” pubblicato nel 1907 dalla Contrada per far conoscere il nome degli
oblatori e le somme versate, non lesina i toni polemici, nei confronti di alcuni
detrattori. In una brevissima introduzione, al vetriolo, nella quale dopo avere
elogiato il lavoro del Comitato organizzatore “compatto e volenteroso nel voler
la festa del 6 maggio 1906, memorabile, e senza confronto colle solite feste
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dell’ottavario della domenica in Albis” e il “deficit irrisorio”, ci si scaglia, infatti,
senza mezzi termini, contro la stampa locale rea di avere “eruttato parole false
e fangose”, precisando che le “le opere veramente civili sono figlie di delusioni,
di sacrifizi e di malignità”. Non sappiamo cosa possa avere scatenato tali pesanti
strascichi, ma una cosa è certa, al di là di fatti ed episodi, anche in questa occasione
i brucaioli non mancarono di manifestare il loro carattere battagliero e schietto.
Anche nel 1933 non si lesinarono le feste, celebrate per il ritorno della Madonna
in contrada, dopo l’Ottavario alla Metropolitana. La processione fu partecipata
e solenne con la Banda Filarmonica in testa, il Gonfalone della Contrada
portato da tre bambine “biancovestite”, le suore delle Sorelle dei Poveri, varie
contrade con figurino maggiore e le alleate, Istrice, Torre, Lupa e Chiocciola,
con grande rappresentanza, offerte e cero votivo. Si racconta di Via del Comune
“completamente trasformata con magnifici archi a sesto acuto, illuminati con
migliaia di lampadine elettriche” che si accesero tutte assieme non appena la
sacra immagine si affacciò all’imbocco della salita, seguita da un commosso
corteo di contradaioli, e del rione e delle strade adiacenti affollate di cittadini che
prendevano parte alle feste.
Una vecchia fotografia d’epoca, lacunosa ma ancora ben leggibile, ci offre una bella
immagine della chiesa addobbata in onore della Madonna con i ricchi tendaggi,
forse di raso, ornati di nappe dorate, che pendono, con grandi lampadari, dal
centro del soffitto ad incorniciare l’altare, ammaiato per l’occasione con candele,
candelieri, vasi e fiori10.
Della festa del 1977, purtroppo poco documentata, ancora molti brucaioli si
ricordano. L’uscita del 2013 è stata una bellissima festa, con grande partecipazione
del Popolo del Bruco che ha reso omaggio con commozione ed orgoglio alla
bellissima e preziosa Madonna della Disciplina Maggiore.
Letizia Galli
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I brucaioli in processione del 1977
I “Santini” realizzati in occasione della processione del 1977
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Note
1 - G.GIGLI, Diario Sanese, Siena 1723 (ristampa Ed. Forni, Bologna, 1974), I, p.467
2 - G. BASSI, Origine della solenne processione solita farsi in Siena per la Domenica in Albis,
Siena, 1806
3 - Archivio di Stato di Siena (da ora in poi ASS), Patrimonio Resti 1936, Registro de’
mobili delle Compagnie di San Michel Arcangelo e de’ S. Chiodi, cc. 29v., 30r., 56v.
4 - ASS, Conventi 2799, Convento di S. Michele dei Carmelitani Scalzi (1684-1734), c. 9
5 - ASS, Patrimonio Resti 1041, Documenti e memorie della Compagnia di S.
Michele Arcangelo (1519-1712); 1043, Documenti e memorie della Compagnia di S.
Michele Arcangelo (1586-1785)
6 - ASS, Patrimonio Resti 1043, Documenti … (cit.), c. 370 v.
7 - ASS, Patrimonio Resti 1936, Registro … (cit.), c. 29v.
8 - ASS, P. Resti 1095, Entrate e uscite della Compagnia di S. Michele Arcangelo
(1758-1779), c. 117
9 - ASS, PAtrimonio Resti 1050, Deliberazioni della Compagnia di San Michele
Arcangelo (1773-1799), cc.63v-64, 66v.
10 - Per la documentazione citata in questo ultimo paragrafo e i resoconti delle varie
uscite della Madonna della Disciplina Maggiore in occasione della Processione della
Domenicia in Albis si vedano i Verbali delle Assemblee della Contrada, ad annum, e
il fascicolo VIII.B.Culto.Amministrazione, conservati presso l’Archivio Storico della
Contrada del Bruco
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“La processione
della Domenica in Albis”
Breve storia di un rito di popolo in occasione
dell’uscita della Madonna della Disciplina Maggiore
di Luca di Tommè dall’Oratorio della Nobil
Contrada del Bruco
di Letizia Galli
Progetto grafico di Andrea D’Amore
Fotografie di: Andrea Consumi,
Stefano Fantini, Fabrizio Martelli, Marco Turchi,
Archivio della Contrada.
Si ringrazia:
la Commissione
Roberto Falchi, Lele Castellini, Letizia Galli, Rosella
Lozzi, Basili Antonio;
l’Economato
Parenti Jacopo, Lenzi Simone, Bruschi Francesco,
Carletti Francesco, Pieri Michele, Betti Lorenzo, Bruni
Francesca, Citarella Francesco, Falchi Massimiliano,
Faleri Barbara, Faleri Valentina, Gabbrielli Salvadori
Caterina, Isidori Vanda, Lusini Sonia, Paladini
Littoria, Riccucci Elena;
il Custode, Giuggioli Enzo
la Comparsa
Ballerini Marco, Bernardi Fabrizio, Bracciali Marco,
Ceccarelli Francesco, Certosini Federico, Cini Francesco, Colombi Matteo, Cortonesi Riccardo, Cosimi Francesco,
Donati Luca, Donnini Guido, Duchi Davide, Fabbo Andrea, Fadda Andrea, Falchi Alessandro, Falchi Daniele,
Falciani Simone, Ferrara Riccardo, Gaglia Marco, Giannini Andrea, Giuggioli Alessandro, Guazzini Filippo,
Joseffi Enrico, Lenzi Duccio, Lotti Alessandro, Lusini Marco, Maffei Mirko, Ladu Alessio, Massoni Alberto,
Matteucci Luca, Morelli Federico, Nonni Riccardo, Pacini David, Parri Simone, Ricci Matteo, Rossi Emanuele,
Rotondi Riccardo, Sanguineti Mattia, Serra Alessandro, Torsellini Mattia, Valentini Riccardo;
i Bambini
Betti Tommaso, Fabrizzi Giulio, Fontani Alessandro, Maffei Lapo, Nasoni Duccio, Pacini Dario, Pascarella
Francesco, Rinaldi Tommaso, Roncucci Filippo, Santucci Alessandro, Taddei Duccio;
le Bambine
Benedetti Francesca, Betti Costanza Bonomei Elena, Brenci Vittoria, Candidori Lucia, Donzelli Matilde,
Donzellini Alessia, Giovani Sara, Landozzi Ginevra, Maccari Alessia, Massari Maria Elena, Pannini Sara,
Taddei Allegra, Turchi Eleonora, Vannini Sofia
Si Ringraziano inoltre per la collaborazione:
Luca Romani per la cornice, Daniele Costantini per la preghiera, Ubaldo Cinotti e Luciano Nencini per la
falegnameria,Chiara Lozzi per l’allestimento floreale e il gruppo piccoli.
Dalle stanze della Contrada - Aprile 2013
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