Report Laboratorio Conflitto 03.06.2014 Conflitto di lavoro: metodo

Report Laboratorio Conflitto 03.06.2014
Conflitto di lavoro: metodo avversariale vs metodo
esplorativo.Come comportarsi nei confronti dell’aggressività
del collega di controparte
Cosa succede quando in un contenzioso mi trovo a dover trattare con una
controparte che non vuole collaborare? Come gestire una persona ostile e
refrattaria al dialogo?
Questo è stato il tema del Laboratorio sul conflitto che si è tenuto il 3
giugno nella sede operativa del Movimento Enne. Zero, presso lo Spazio
San Marco, Alzaia Naviglio Grande 38. Come la volta precedente i
partecipanti sono stati invitati ad esercitarsi su un caso portato da un
collega avvocato, utilizzando le strategie proprie del metodo O.A.S.I.
Cos’è l’OASI? L’OASI rappresenta una vera e propria toolbox per il
professionista negoziatore. Permette di integrare gli strumenti
squisitamente tecnici del professionista con tecniche specifiche, focalizzate
sulla componente relazionale del contenzioso, ai fini di garantire al cliente
una risoluzione del problema più efficace e soddisfacente per superare le
problematiche generate dal conflitto.
Il conflitto portato in aula ha permesso di mettere in evidenza una serie di
problematiche strettamente collegate all’approccio del professionista
mediatore, sollecitando i partecipanti del laboratorio a confrontarsi con una
questione per niente scontata: cosa fare se ogni tentativo di dialogo fallisce
ed è impossibile aprire una trattativa?
In estrema sintesi, il fatto narrato prende avvio da un contenzioso relativo
ad un licenziamento di un dipendente, nell’ambito di una procedura per
riduzione di personale (cd licenziamento collettivo) effettuato da una
società con più di 15 dipendenti (la cliente), il quale viene impugnato dal
lavoratore (la controparte), essendo stato rifiutato l’incentivo (proposto
prima del giudizio dall’azienda) al fine di ottenere la reintegra del posto di
lavoro. L’ostinazione a riottenere il posto di lavoro si traduce in una
chiusura della controparte verso qualsiasi trattativa economica, cui si
aggiunge l’atteggiamento dell’avvocato della stessa controparte, con stile
negoziale competitivo e rigido, modalità che esaspera la situazione. Il
giudice, nel tentativo di trovare un accordo, propone di chiudere con un
incentivo più basso di quello inizialmente proposto dall’azienda, ma la
controparte, sdegnata, rifiuta e i tempi della causa si allungano.
Nel contenzioso la variabile tempo assume un ruolo determinante: da un
lato, l’azienda cliente vorrebbe chiudere in fretta, senza la reintegra del
dipendente e con un incentivo che non superi il valore della proposta del
giudice (più basso della proposta iniziale fatta al dipendente licenziato e di
conseguenza inaccettabile per quest’ultimo), dall’altro la controparte,
supportata dal suo avvocato difensore, rifiutando le proposte finora
ricevute ritenendole inadeguate, procrastina la possibilità di ottenere una
risoluzione rapida e definitiva che gli consentirebbe di voltare pagina.
Dopo la narrazione del fatto il lavoro in aula è stato dedicato all’analisi del
conflitto, con lo scopo di delineare un quadro sintetico ed esaustivo delle
parti coinvolte, delle loro posizioni e delle relazioni che intercorrono tra di
esse. Il gruppo si è avvalso di due strumenti proprio del metodo OASI: la
Mappa delle Relazioni e la Mappa dell’Identità. Queste mappe hanno una
funzione “diagnostica”: sono strumenti di supporto alla fase esplorativa,
progettate per incentivare nei partecipanti un approccio esplorativo
focalizzato sulle dinamiche del conflitto e sui bisogni delle parti per
individuare
gli
elementi
chiave
del
problema.
Da questa prima analisi emerge un quadro della situazione in cui gli attori
del conflitto sono:

L’azienda: azienda con più di 15 dipendenti, strutturata, frammentata
nel processo decisionale e pertanto difficile da interpellare per
proporre soluzioni che possano salvaguardare gli interessi della
controparte.

La controparte: sulla quarantina, padre di famiglia, da qualche anno
in azienda. Disposto a qualunque cosa pur di tornare a lavorare– ma
non per una mansione di livello inferiore – rifiuta qualsiasi proposta
economica pervenuta dall’azienda e dal giudice, allineandosi alla
modalità avversariale del suo avvocato difensore.

L’avvocato difensore: avvocato giuslavorista, non ama guardare in
faccia l’interlocutore, rifiuta ogni possibilità di dialogo, in corso di
giudizio. Il rifiuto si trasforma sia in evasività sia in aggressività,
modalità che esasperano la controversia. L’avvocato sembra opporsi a
qualsiasi accordo più per volontà di esasperare il conflitto in nome di
una questione di principio (“le aziende sono sfruttatrici!”) che non per
fare gli interessi del proprio cliente.

Il giudice: deciso a chiudere il contenzioso, riconoscendo il valore
della proposta aziendale, propone un ultimatum al dipendente
licenziato e reagisce agli atteggiamenti aggressivi dell’avvocato del
lavoratore con un atteggiamento altrettanto rigido.
Il contenzioso sembra lasciare pochi margini di manovra: da un lato gli
stretti margini fissati dal giudice lasciano poco spazio ad un’offerta che
possa essere soddisfacente per la controparte, riducendo le possibilità di
intavolare una trattativa che conduca ad un risultato rapido e definitivo;
dall’altro c’è la volontà della controparte di escludere qualsiasi soluzione
economica (almeno alle condizioni del giudice), comportando una
dilatazione dei tempi della causa, con la conseguenza che viene disatteso
uno degli obiettivi dell’azienda (conciliare la causa nel minor tempo
possibile).
Sebbene in aula siano state proposte diverse soluzioni al contenzioso, di
fatto non si è riusciti a centrare il nocciolo della questione. Le numerose
soluzioni proposte hanno certo permesso di sviluppare strategie che
potrebbero sbloccare l’impasse e offrire una alternativa al contenzioso in
atto, ma non sono riusciti ad offrire una modalità diversa di gestione del
conflitto.
Il punto è che il conflitto non coincide con la causa. Al contrario in
quest’ultima, per una serie di motivi emersi, è evidente il margine di
vantaggio per l’azienda e il suo avvocato difensore. Perché allora il
contenzioso risulta difficile da gestire?
La ragione va individuata nel fatto che, i conflitti hanno una natura
intrinsecamente soggettiva, legata al vissuto ed al punto di vista delle parti
coinvolte. Nella fattispecie, il problema determinato dal conflitto non
riguarda tanto l’iter giudiziale– o meglio, non riguarda soltanto quello – ma
impatta sugli attori del contenzioso, coinvolgendo i loro bisogni, i loro
interessi, la loro necessità di riconoscersi e identificarsi in un ruolo che nel
conflitto viene invece delegittimato e messo in discussione.
Ecco perché per gestire efficacemente un conflitto è importante imparare
ad ascoltare il proprio cliente e la controparte, sforzandosi di sospendere il
proprio giudizio affinché non interferisca nella comprensione del problema.
Saper ascoltare attivamente significa volgere l’attenzione sulle espressioni
(verbali e non verbali) utilizzate dal proprio interlocutore per individuare
quelle parole chiave che descrivono come questi vive il conflitto,
permettendo di decifrare le motivazioni a monte de problema.
Nel caso del conflitto narrato durante il laboratorio, l’ascolto attivo ha
permesso di mettere a fuoco il fulcro della questione individuando la radice
del problema in un bisogno specifico, non strettamente legato al processo.
Sembra infatti che sia il difficile rapporto con l’avvocato di controparte,
foriero di “ansie” e sedute in tribunale“terrificanti”, a costituire l’ostacolo
principale per il protagonista della vicenda. Questo è ancora più chiaro se si
considera la volontà dell’avvocato nel gestire il contenzioso con un
approccio negoziale: “la causa è a mio favore ma vorrei farlo a regola d’artecerco spunti nuovi per sbloccare la situazione su come affrontare la
controparte”. Non è il contenzioso, dunque, a costituire un ostacolo ma il
rapporto con la controparte - non una questione di procedure ma di
relazione.
Nonostante questo aspetto sia emerso ripetute volte, la maggior parte dei
partecipanti ha proposto soluzioni prescindendo dalla componente
relazionale senza arrivare ad una strategia per affrontare il conflitto.
Sarebbe però un errore credere che l’incontro sia stato poco proficuo.
Non bisogna infatti dimenticare che lo scopo delle esercitazioni in aula non
è (soltanto) quello di trovare soluzioni ai singoli conflitti ma, piuttosto,
quello di incentivare nei partecipanti un’attenta riflessione sui propri schemi
mentali. Ogni partecipante è dunque invitato a svolgere un esercizio di
“meta-riflessione” sui propri schemi, i filtri e gli automatismi utilizzati
nell’analisi e nella risoluzione del problema-conflitto, allo scopo di acquisire
maggiore consapevolezza dei limiti e delle potenzialità che le proprie
strategie di problem solving hanno in una disputa.
Per concludere, riporto alcuni spunti di riflessione emersi durante il
laboratorio. I primi due sono considerazioni sulle dinamiche avvenute in
aula durante il laboratorio, l’ultima rimanda al tema del conflitto trattato:
1) Dispute e conflitti: bisogna stare attenti a non confondere il ‘problemacontenzioso’ con il ‘problema conflitto’. Che sia una disputa, una
negoziazione o una mediazione, il conflitto è l’ostacolo che, se non
opportunamente gestito, si sovrappone tra le persone e la loro possibilità di
giungere ad una soluzione soddisfacente. La gestione di un conflitto non
necessariamente coincide con la soluzione del contenzioso - ne è piuttosto
prodromica. In questo senso gli strumenti dell’OASI vanno intesi come
strumenti di facilitazione che supportano l’approccio “tecnico” del
professionista ma non lo sostituiscono;
2) Focus sull’interlocutore: separare le dispute dai conflitti significa inoltre
trattare diversamente i problemi tecnici e le persone. Può sembrare una
banalità, ma quella di sovrapporre la disputa al conflitto per cercare di
risolvere entrambi come se fossero la stessa cosa è proprio ciò che, durante
il laboratorio, ha reso difficile distinguere il conflitto dalla causa, portando i
partecipanti
a
concentrarsi
sulla
soluzione
di
quest’ultima.
Ma un conflitto non è un problema che deve essere risolto a tutti i costi;
gestire un conflitto in modo maturo significa adottare una prospettiva
diversa, in cui il confronto e lo scontro con l’altro rappresentano
un’occasione di crescita e arricchimento.
Esercitarsi, con l’ausilio delle mappe a focalizzarsi sull’interlocutore e sul suo
sommerso ha quindi un duplice valore: permette di mapparne i bisogni per
individuare la strategia più funzionale e aiuta ad ampliare il proprio punto
di vista, mettendo in discussione le cornici con cui interpretiamo il mondo e
che tendiamo a dare per scontate.
3) Come gestire la controparte: quando siamo davanti ad un pericolo si
possono attivare due differenti tipologie di reazione, o attacchiamo o ci
ritiriamo. Qualcosa di analogo accade con le persone aggressive: spesso
sembra che le uniche opzioni disponibili siano affrontarle per “asfaltarle” o
evitare il conflitto, lasciandosi andare alla soggezione, all’ansia. Pur con le
migliori intenzioni del mondo è facile trovarsi in una situazione in cui la
controparte, adottando uno stile negoziale aggressivo, invade lo spazio del
dialogo e monopolizza la relazione vanificando ogni sforzo di trovare un
punto di incontro.
Quando la controparte assume un atteggiamento rigido ed escludente e
invade lo spazio dialogico, occorre attrezzarsi per non lasciarsi sopraffare
dal conflitto. Occorre salvaguardare il proprio “spazio vitale” senza lasciarsi
intrappolare dalla paralisi conflittuale dell’attacco-fuga adottando un
atteggiamento assertivo: essere come acqua, che cede ma non retrocede.
È il caso del conflitto portato in aula giorno 13. Il rapporto con la
controparte potrebbe essere paragonato ad un elastico teso, pronto a
saltare da un momento all’altro. Non possiamo certo obbligare la
controparte a cambiare atteggiamento, possiamo però provare ad allentare
la tensione provando a spostare l’estremo opposto dell’elastico, noi stessi.
Spesso, infatti, è sufficiente che solo uno dei due confliggenti cambi
atteggiamento per cambiare la relazione.
a cura di S. Pappalardo
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