30/01/2014 famiglia cristiana christian de sica

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FC • IN ITALIA E NEL MONDO
CHRISTIAN DE SICA
«Porto
a teatro
la storia
del
nostro
Paese»
IL SUO NUOVO SPETTACOLO SI
INTITOLA "CINECITTÀ". UN LUOGO
CHE, DICE, È UNO SPECCHIO
DELL'ITALIA: «SPERO CHE NON
LO TRASFORMINO IN UN OUTLET»
di Manuel Gandin
Chrisiian I
sui palco in '
"Cinecittà", in questi,
giorni a Milano.
A .sinistra: il finale *
di "Miracolo a
j
Milano". Vittorio De?
Sica lo girò mentre
Maria Mercader
dava alla luce
Christian. nel 1951.
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FC • CHRISTIAN DE SICA
RITRATTO DI FAMIGLIA
Sotto: Vittorio De Sica con
i figli Manuel e Christian.
A destra: il regista con
Maria Mercader e i ragazzi.
Nell'altra pagina: "Cinecittà",
con Christian fra Daniele
Antonini e Alessio Schiavo.
anima venne accompagnata al treno da Memo
Benassi, grande attore e
££ • • f i amico di famiglia. Papa
V y I • / • n o n poteva andare fino
" ™ " ™ a Roma con lei perché
stava girando un film a
Milano. Benassi le disse
che se fosse nata una femmina avrebbe
dovuto chiamarla Eleonora, come la Duse. E invece arrivai io, il 5 gennaio 1951,
proprio mentre papa girava la scena finale di Miracolo a Milano, con i poveri che
volano sulla scopa sopra il Duomo, verso
un Paese dove "buongiorno vuoi dire davvero buongiorno"». Basterebbe questo
piccolo racconto, un aneddoto tra i tanti,
a tratteggiare Christian De Sica, figlio di
Vittorio e di Maria Mercader: «Ogni volta
che apro la finestra al mattino ringrazio
Gesù per la vita fortunata che ho».
Christian è impegnato in una tournée teatrale, con lo spettacolo Cinecittà,
per la regia di Giampiero Solari: «La prima volta che andai a Cinecittà avevo 8
anni. C'era Roberto Rossellini che girava
II generale Della Rovere, con mio padre
protagonista. Rossellini mi disse: "Davvero vorresti fare l'attore come tuo papa?
Guarda che è un mestiere da fannulloni.
Studia, pensa a studiare e a laurearti, invece". Eh, che vuole che le dica, sono cre-
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«NON SO SE SONO
BRAVO 0 MEDIOCRE,
MA SO CHE C'È TANTO
AFFETTO DA PARTE
DEL PUBBLICO
E IO PREFERISCO
L'AFFETTO ALLA STIMA»
sciuto tra due mostri sacri, papa e Rossellini, che era spesso a casa nostra».
Cinecittà è a Milano fino al 2 febbraio,
al Teatro Arcimboldi. Poi, farà tappa ad
Assisi, Avellino, Napoli, Catanzaro, Ancona, Bari, Bologna e Torino, per concludersi ad aprile a Roma. Uno spettacolo che è
un atto d'amore per un luogo fisico che
rappresenta una fetta di storia moderna
dell'Italia. «Quella di Cinecittà è la storia di questo Paese, dalla nascita del
Centro fino ai giorni nostri: Mussolini, il
fascismo, gli sfollati che vi abitavano durante la guerra, l'arrivo degli americani, i
successi del nostro cinema del Dopoguerra, fino alle Tv di oggi. Mi auguro che, visti i tempi, non vogliano far diventare Cinecittà un outlet, perché distruggerebbero una fabbrica di sogni».
E in quanto a sogni, De Sica ne ha
uno nel cassetto da parecchio: «Quando
ancora non ero nato, durante la guerra,
papa stava girando un film a Roma. Si
chiamava La porta del cielo e alcune scene dovevano svolgersi nella basilica di
San Paolo fuori le Mura». Era il 1944, Roma era in mano ai tedeschi e da Salò
giungevano ordini affinchè il mondo del
cinema si trasferisse al Nord, a Venezia,
sotto i repubblichini. Il film era stato finanziato dal Centro cattolico cinematografico e Vittorio De Sica ebbe un'idea:
continuò a girare delle scene (ma anche a far finta di girarle) nella basilica,
per ritardare sempre più l'obbligo di
aderire alla Repubblica sociale di Salò
e di trasferire troupe e cast a Venezia.
Nel frattempo, in chiesa arrivavano
anche sbandati di ogni genere che De Sica provvedeva subito a inquadrare tra le
comparse del film, salvando quei disperati dall'arresto. Complice silenziosa del regista, la Chiesa e in particolare i prelati
della basilica di San Paolo fuori le Mura.
Così, quando i tedeschi cercavano di far
sloggiare quello che, ormai, più che un
set cinematografico era diventato un bivacco, la risposta era sempre una: «Adesso non possiamo, dobbiamo ancora finire di girare le scene in chiesa». Tra molti
rischi e momenti di tensione, la lavorazione del film si trascinò per settimane,
fino alla fuga dei tedeschi.
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I L FUTURO PAOLO V I AL REGISTA
S
i
Le riprese de La porta del cielo, nella
basilica di San Paclo fuori le Mura
iniziarono il 1° marzo 1944. Con i giorni,
arrivavano sfollati, famiglie in fuga,
ebrei, partigìani e Vittorio De Sica
li accolse nascondendoli ai nazifascisti,
girando senza pellicola per far credere
che quelle 400 persone fossero attori.
Un giorno arrivò il pro-segretario
di Stato Giovanni Battista Montini,
futuro papa Paolo VI. Si guardò attorno
e in quello che sembrava più un
bivacco che una chiesa prese da parte
il regista e lo consigliò: «Noi sappiamo.
Stia attento, non tiri troppo la corda».
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Christian si batte per raccontare questa vicenda in un nuovo film: «Ma finora
è stata una battaglia inutile. Mi dicono
che sono meglio i cinepanettoni... "ma
chi te lo fa fare... ma lascia perdere... il
pubblico vuole altro...", ogni scusa è buona e anche questa difficoltà è un piccolo
specchio di un Paese che non vuole sacrifici e preferisce solo cose facili. Comunque, forse col produttore Marco Cohen
riuscirò a realizzare questo sogno».
Nel frattempo teatro, con Christian
attore, cantante, ballerino, che conferma
la completezza della sua preparazione e
che riceve dal pubblico applausi e consensi: «Sì, è uno spettacolo che piace e la
gente risponde in modo positivo. Ma
non è una storia di famiglia, della mia, intendo; piuttosto, un insieme di ricordi
che vagano dai grandi protagonisti alle
maestranze più nascoste e misconosciute, un omaggio necessario a chi ci ha fatto sognare per decenni».
De Sica non è solo in scena, ci sono
anche Daniela Terreri, Daniele Antonini
e Alessio Schiavo, oltre a un corpo di ballo che lo accompagna e asseconda sul palco: «Quando mi riunisco con loro dico
soltanto: "Divertiamoci". È questo lo spirito del nostro lavoro e deve continuare
a essere sempre così. Sarà anche perché
dopo tanto cinema, tanta televisione, do-
po aver fatto anche della pubblicità, solo
il teatro ripulisce da molte scorie: è lì,
sul palco, davanti al pubblico, che capisci
gli eventuali errori commessi in passato.
Io non so se sono bravo o mediocre, non
lo so davvero, ma so che c'è tanto affetto
dal pubblico e io, se devo dirlo fuori dai
denti, preferisco l'affetto alla stima».
Affabile, aperto e disponibile, Christian snocciola ricordi dei grandi attori
che vedeva da bambino entrare in casa e
considerazioni sulla notorietà, anche
con un pizzico di sarcasmo: «Questo è
un Paese che non perdona il successo. E
in quanto alla memoria, poi...».
Già, sulla memoria molto si continua
a dire in questi anni in cui sembra che il
passato degli italiani conti pochissimo.
Christian chiude con un episodio che caratterizza i tempi che stiamo vivendo:
«Un giorno stavo passeggiando per Roma con Manuel, mio fratello. Una certa
notorietà ce l'ho, è vero, e quindi non
mi stupisce se qualcuno mi riconosce.
Insomma, stavamo parlando e camminando mentre due ragazzi ci incrociano.
Uno fa all'altro: "Aho', hai visto quello? È
Christian De Sica. Pensa che anche il padre faceva l'attore". Ecco, in quel momento non mi ha fatto piacere essere stato riconosciuto». Sospira, sorride come papa
e sale sul palco.
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