Ng 5 - 2 0 1 4 FC • IN ITALIA E NEL MONDO CHRISTIAN DE SICA «Porto a teatro la storia del nostro Paese» IL SUO NUOVO SPETTACOLO SI INTITOLA "CINECITTÀ". UN LUOGO CHE, DICE, È UNO SPECCHIO DELL'ITALIA: «SPERO CHE NON LO TRASFORMINO IN UN OUTLET» di Manuel Gandin Chrisiian I sui palco in ' "Cinecittà", in questi, giorni a Milano. A .sinistra: il finale * di "Miracolo a j Milano". Vittorio De? Sica lo girò mentre Maria Mercader dava alla luce Christian. nel 1951. 60 N" 5 - 2 0 1 4 FC • IN ITALIA E NEL MONDO il t- 'H;la •i 61 NT 5 2014 FC • CHRISTIAN DE SICA RITRATTO DI FAMIGLIA Sotto: Vittorio De Sica con i figli Manuel e Christian. A destra: il regista con Maria Mercader e i ragazzi. Nell'altra pagina: "Cinecittà", con Christian fra Daniele Antonini e Alessio Schiavo. anima venne accompagnata al treno da Memo Benassi, grande attore e ££ • • f i amico di famiglia. Papa V y I • / • n o n poteva andare fino " ™ " ™ a Roma con lei perché stava girando un film a Milano. Benassi le disse che se fosse nata una femmina avrebbe dovuto chiamarla Eleonora, come la Duse. E invece arrivai io, il 5 gennaio 1951, proprio mentre papa girava la scena finale di Miracolo a Milano, con i poveri che volano sulla scopa sopra il Duomo, verso un Paese dove "buongiorno vuoi dire davvero buongiorno"». Basterebbe questo piccolo racconto, un aneddoto tra i tanti, a tratteggiare Christian De Sica, figlio di Vittorio e di Maria Mercader: «Ogni volta che apro la finestra al mattino ringrazio Gesù per la vita fortunata che ho». Christian è impegnato in una tournée teatrale, con lo spettacolo Cinecittà, per la regia di Giampiero Solari: «La prima volta che andai a Cinecittà avevo 8 anni. C'era Roberto Rossellini che girava II generale Della Rovere, con mio padre protagonista. Rossellini mi disse: "Davvero vorresti fare l'attore come tuo papa? Guarda che è un mestiere da fannulloni. Studia, pensa a studiare e a laurearti, invece". Eh, che vuole che le dica, sono cre- 62 «NON SO SE SONO BRAVO 0 MEDIOCRE, MA SO CHE C'È TANTO AFFETTO DA PARTE DEL PUBBLICO E IO PREFERISCO L'AFFETTO ALLA STIMA» sciuto tra due mostri sacri, papa e Rossellini, che era spesso a casa nostra». Cinecittà è a Milano fino al 2 febbraio, al Teatro Arcimboldi. Poi, farà tappa ad Assisi, Avellino, Napoli, Catanzaro, Ancona, Bari, Bologna e Torino, per concludersi ad aprile a Roma. Uno spettacolo che è un atto d'amore per un luogo fisico che rappresenta una fetta di storia moderna dell'Italia. «Quella di Cinecittà è la storia di questo Paese, dalla nascita del Centro fino ai giorni nostri: Mussolini, il fascismo, gli sfollati che vi abitavano durante la guerra, l'arrivo degli americani, i successi del nostro cinema del Dopoguerra, fino alle Tv di oggi. Mi auguro che, visti i tempi, non vogliano far diventare Cinecittà un outlet, perché distruggerebbero una fabbrica di sogni». E in quanto a sogni, De Sica ne ha uno nel cassetto da parecchio: «Quando ancora non ero nato, durante la guerra, papa stava girando un film a Roma. Si chiamava La porta del cielo e alcune scene dovevano svolgersi nella basilica di San Paolo fuori le Mura». Era il 1944, Roma era in mano ai tedeschi e da Salò giungevano ordini affinchè il mondo del cinema si trasferisse al Nord, a Venezia, sotto i repubblichini. Il film era stato finanziato dal Centro cattolico cinematografico e Vittorio De Sica ebbe un'idea: continuò a girare delle scene (ma anche a far finta di girarle) nella basilica, per ritardare sempre più l'obbligo di aderire alla Repubblica sociale di Salò e di trasferire troupe e cast a Venezia. Nel frattempo, in chiesa arrivavano anche sbandati di ogni genere che De Sica provvedeva subito a inquadrare tra le comparse del film, salvando quei disperati dall'arresto. Complice silenziosa del regista, la Chiesa e in particolare i prelati della basilica di San Paolo fuori le Mura. Così, quando i tedeschi cercavano di far sloggiare quello che, ormai, più che un set cinematografico era diventato un bivacco, la risposta era sempre una: «Adesso non possiamo, dobbiamo ancora finire di girare le scene in chiesa». Tra molti rischi e momenti di tensione, la lavorazione del film si trascinò per settimane, fino alla fuga dei tedeschi. N' 5 - 2 0 1 4 I L FUTURO PAOLO V I AL REGISTA S i Le riprese de La porta del cielo, nella basilica di San Paclo fuori le Mura iniziarono il 1° marzo 1944. Con i giorni, arrivavano sfollati, famiglie in fuga, ebrei, partigìani e Vittorio De Sica li accolse nascondendoli ai nazifascisti, girando senza pellicola per far credere che quelle 400 persone fossero attori. Un giorno arrivò il pro-segretario di Stato Giovanni Battista Montini, futuro papa Paolo VI. Si guardò attorno e in quello che sembrava più un bivacco che una chiesa prese da parte il regista e lo consigliò: «Noi sappiamo. Stia attento, non tiri troppo la corda». FC • IN ITALIA E NEL MONDO Christian si batte per raccontare questa vicenda in un nuovo film: «Ma finora è stata una battaglia inutile. Mi dicono che sono meglio i cinepanettoni... "ma chi te lo fa fare... ma lascia perdere... il pubblico vuole altro...", ogni scusa è buona e anche questa difficoltà è un piccolo specchio di un Paese che non vuole sacrifici e preferisce solo cose facili. Comunque, forse col produttore Marco Cohen riuscirò a realizzare questo sogno». Nel frattempo teatro, con Christian attore, cantante, ballerino, che conferma la completezza della sua preparazione e che riceve dal pubblico applausi e consensi: «Sì, è uno spettacolo che piace e la gente risponde in modo positivo. Ma non è una storia di famiglia, della mia, intendo; piuttosto, un insieme di ricordi che vagano dai grandi protagonisti alle maestranze più nascoste e misconosciute, un omaggio necessario a chi ci ha fatto sognare per decenni». De Sica non è solo in scena, ci sono anche Daniela Terreri, Daniele Antonini e Alessio Schiavo, oltre a un corpo di ballo che lo accompagna e asseconda sul palco: «Quando mi riunisco con loro dico soltanto: "Divertiamoci". È questo lo spirito del nostro lavoro e deve continuare a essere sempre così. Sarà anche perché dopo tanto cinema, tanta televisione, do- po aver fatto anche della pubblicità, solo il teatro ripulisce da molte scorie: è lì, sul palco, davanti al pubblico, che capisci gli eventuali errori commessi in passato. Io non so se sono bravo o mediocre, non lo so davvero, ma so che c'è tanto affetto dal pubblico e io, se devo dirlo fuori dai denti, preferisco l'affetto alla stima». Affabile, aperto e disponibile, Christian snocciola ricordi dei grandi attori che vedeva da bambino entrare in casa e considerazioni sulla notorietà, anche con un pizzico di sarcasmo: «Questo è un Paese che non perdona il successo. E in quanto alla memoria, poi...». Già, sulla memoria molto si continua a dire in questi anni in cui sembra che il passato degli italiani conti pochissimo. Christian chiude con un episodio che caratterizza i tempi che stiamo vivendo: «Un giorno stavo passeggiando per Roma con Manuel, mio fratello. Una certa notorietà ce l'ho, è vero, e quindi non mi stupisce se qualcuno mi riconosce. Insomma, stavamo parlando e camminando mentre due ragazzi ci incrociano. Uno fa all'altro: "Aho', hai visto quello? È Christian De Sica. Pensa che anche il padre faceva l'attore". Ecco, in quel momento non mi ha fatto piacere essere stato riconosciuto». Sospira, sorride come papa e sale sul palco. • 63
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