All in Twilight - La 27ORA

ANTONIO DE LUCA
Ho deciso di sostenere ed accogliere questo progetto di
Antonio nella saletta Nur di arsprima in ricordo di un padre
morto all’improvviso.
Un padre che non ha conosciuto la vecchiaia e che in un
giorno d’autunno ha lasciato che la morte se lo portasse via
senza urli.
sponsor: Studio Artese
Cristina Gilda
C.so Italia, 9 - Milano - Tel. 02 58308360 - www.arsprima.it
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IN PENOMBRA
di Ivan Quaroni
“Gli uomini, non avendo alcun rimedio
contro la morte, la miseria e l’ignoranza
hanno stabilito, per essere felici, di non pensarci mai.”
(Blaise Pascal)
“In fin dei conti, per una mente ben organizzata,
la morte non è che una nuova, grande avventura.”
(J.K. Rowling)
All in Twilight è il racconto di una vita che volge al termine,
la rappresentazione di un declino stoico, che lentamente
conduce al finale di partita. Non è la narrazione di una
morte qualunque, che si possa affrontare con una sorta
di compunto distacco o di malcelata curiosità. Questo è il
racconto della morte di un padre, vista attraverso gli occhi
di un figlio. Qualcosa che non si può affrontare con il solo
aiuto delle categorie estetiche e sul quale non è possibile
dibattere in termini tecnici o stilistici. All in Twilight è,
piuttosto, il romanzo breve di una resa dei conti, di
un bilancio eseguito con delicata gentilezza e pudico
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affetto, durante i giorni che intercorrono dall’aggravarsi
della malattia alla forzata degenza ospedaliera, fino
all’inevitabile conclusione. Si tratta di qualcosa che solo in
modo riduttivo può essere ascritto alla categoria del lavoro
artistico e che, al contempo, non può essere compreso
nel solo genere documentaristico. All in Twilight è il diario
fotografico di cinquanta giorni (e notti) di condivisione,
in cui le emozioni si alternano per lasciare campo a
sprazzi d’inaspettata vitalità. Da una sequenza di foto
che ritraggono gli ultimi giorni di una persona malata di
ottantasette anni non ci si aspetterebbe di trovare una
simile quiete, una tale serenità. Invece non c’è alcun senso
di tragedia, nessun eccesso drammatico. È una cosa che
può deludere le comuni aspettative sulla morte e sulla
malattia, ma che allo stesso tempo può indurci a riflettere
sul modo in cui vorremmo affrontare il nostro tempo ultimo.
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Antonio De Luca è un fotografo della realtà, uno che
estrae dalla materia grezza che ci sta intorno, i dettagli e i
particolari che danno un senso preciso a ciò che vediamo
quotidianamente. Non è un semplice documentarista.
Perché a lui la realtà, così com’è, non basta. Ha
bisogno di trasfigurarla con l’aiuto dell’attenzione e
dell’immaginazione. Antonio De Luca ha capito che
non è sufficiente rubare un brano di realtà e riportarla
pedissequamente sulla carta fotosensibile, ma che è
necessario conformare la realtà alle emozioni e allo stato
d’animo di chi la osserva. Non si può conseguire, nella
fotografia come nella vita, alcuna pretesa oggettività.
Vediamo sempre ciò che sentiamo e nella maniera in cui
lo sentiamo.
Un fotografo può guardare la realtà in maniera creativa,
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perfino affettiva, facendo in modo che l’obiettivo della
macchina si soffermi su minuzie e sfumature che
sfuggirebbero a uno sguardo pigro e disattento. È
quest’attitudine ad aver trasformato All in Twilight in quella
che Antonio De Luca definisce “una riflessione sull’amore,
riscoperto attraverso il dolore”.
che illumina la testata del letto d’ospedale, protagonista
è ancora la vita, con le necessità prosaiche e le terrene
vicissitudini di un corpo che progressivamente abdica alle
sue funzioni. Protagonista è anche la vita relazionale e
sentimentale di un uomo che prende congedo un’ultima
volta da coloro che ha conosciuto e amato.
“L’interesse per la malattia e la morte”, ha scritto
Thomas Mann, “è sempre e soltanto un’altra espressione
dell’interesse per la vita”. E in effetti le immagini di De
Luca traboccano paradossalmente di vita. Nella sua Lettera
a Meneceo, Epicuro scriveva che “il più temibile dei mali,
la morte, non è nulla per noi, perché quando ci siamo
noi non c’è la morte e quando c’è la morte non ci siamo
noi”. In tutte queste foto, scattate quasi in penombra, nella
luce naturale, appena potenziata dalla lampada scialitica
Le immagini di All in Twilight sono anche il prodotto di
un gioco affettuoso, instauratosi grazie ad una sorta
di tacito accordo tra padre e figlio. Ogni giorno, per
cinquanta giorni, Antonio ha fotografato il padre Nicolò,
cogliendolo prima e durante la degenza, nei momenti di
veglia e in quelli di sonno, durante le visite dei medici e
degli infermieri, delle suore e dei frati, dei parenti, degli
amici e dei volontari. Alcuni scatti lo riprendono mentre
legge il giornale, mentre ascolta la musica, mentre
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mangia un ghiacciolo, mentre guarda sullo schermo di
un computer quelle stesse foto che il figlio gli ha scattato
per documentare le visite di coloro che l’hanno trovato
addormentato. De Luca racconta ogni cosa con semplicità,
senza forzare la realtà dei fatti e allo stesso tempo senza
edulcorarla. Si ricorda di documentare la passione
del padre per la musica, che spaziava dall’amore per
Domenico Modugno a quello per il grande Mozart, ma
non trascura di ricordarci che questa è anche la storia
di un corpo in dissoluzione, che si fa ogni giorno più
esile e sottile, fino a diventare trasparente, fino a ridursi
all’essenza, all’anima. Un corpo che non diventa
necessariamente brutto, ma che piuttosto si fa etereo, lieve
ed esile come una filigrana.
l’occhio sensibile di De Luca include nelle immagini, cose
come il numero della stanza d’ospedale, le date sulle
bende delle medicazioni e sui sacchetti delle flebo, le
cannule della morfina e tutto l’armamentario medico che
ci impedisce di dimenticare il testo e il contesto di questa
storia. Una storia che, dicevamo, è piena di vita. Ciò
che, infatti, colpisce in queste foto è la tenacia dell’essere
umano nel coltivare le proprie passioni e i propri interessi,
anche quando il suo futuro si contrae vertiginosamente.
C’è un’immagine in cui Nicolò, da sempre appassionato di
calcio, è ritratto nell’atto di leggere la Gazzetta dello Sport.
In un’altra, precedente al ricovero, lo vediamo all’aperto,
sulla sedia a rotelle, mentre posa davanti a un muro con
la scritta “ultras liberi”. Le passioni non si spengono mai,
sembrano dire queste immagini. Antonio mi ha confidato
che Nicolò è morto ascoltando Mozart e da qualche parte,
A testimoniarlo ci sono i dettagli, quei particolari che
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in quella stanza d’ospedale, c’era anche una vecchia
musicassetta di Modugno. Si può vivere fino all’ultimo,
senza rinunciare a nulla perché anche nella penombra
c’è luce. Ed è, anzi, soprattutto in penombra che ci
accorgiamo della bellezza della luce.
i volti dei parenti e degli amici, dei confessori spirituali e
degli infermieri, di coloro che l’hanno amato e accudito.
Tra tutte le immagini, la più potente, la più commuovente
è quella intitolata Era mio padre, dove la moglie di
Nicolò, Maria, cinge il marito in un abbraccio in cui si
adunano sentimenti, emozioni e parole che noi possiamo
solo immaginare. Di quell’abbraccio, di quell’incontro di
epidermidi pallide, screziate di rughe ed efelidi, colpisce
l’intensità granitica, maestosa e definitiva del dolore. La
fotografia di Antonio De Luca ha raccolto questo tempo
doloroso, lo ha intrecciato ai tempi di esposizione, lo ha
sovrapposto al ritmo del proprio respiro e, così, è riuscito
a tramutare l’atto di catturare immagini nella più bella delle
preghiere.
Io credo che, senza premeditazione, Antonio De Luca
abbia realizzato con questa serie di fotografie qualcosa
di più importante di un semplice lavoro artistico. Credo,
senza enfasi, che All in Twilight possa essere considerato
un monumento all’umanità e all’amore e, insieme, una
sorta di muta preghiera. “Non riuscendo a pregare”, mi
aveva confessato De Luca, “l’unico modo che mi ha
permesso di affrontare la situazione è stato quello di
raccontare le cose così come venivano vissute, nella loro
semplicità”. Viviamo il declino di Nicolò anche attraverso
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IL PRIVILEGIO DI RECUPERARE UNA STORIA E
LA SUA MEMORIA
di Egidio Cardini
C’é un paradosso, nel rapporto tra un padre e un figlio,
che soltanto la forza interpretativa di un Figlio di Dio
poteva rivelare. Questo paradosso é emerso con tutta
la sua forza nelle immagini ritratte da un uomo che,
lavorando ogni giorno con esse e avvalendosi di esse,
parla e racconta, senza alcuna fuorviante razionalità,
la vita e il rapporto con suo padre. E lo fa nel momento
apparentemente meno “documentabile”, come é la morte.
Questo é il senso di una galleria fotografica
soltanto ingannevolmente stupefacente o sorprendente,
poiché in verità in queste immagini non c’é nulla di
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cui stupirsi o sorprendersi, se non la constatazione
splendida che il padre (e con esso la madre) rappresenta
prima, in gioventù, un legame da recidere come se fosse
un fiore che non desideriamo più, e poi, prima di lasciarsi
per sempre, lo stesso legame da ricomporre.
Antonio mi raccontava che é rimasto profondamente
segnato dalla Parola evangelica del giorno in cui suo
padre é morto. Dura, forte, quasi terribile.
“D’ora in avanti, in una casa di cinque persone, si divideranno
tre contro due e due contro tre; padre contro figlio e figlio
contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre,
suocera contro nuora e nuora contro suocera” (Lc 12, 52-53).
E l’ha ritratta. Fisicamente.
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Ritrarre fisicamente una Parola con il libro che la
contiene significa lasciare che Essa si appropri del cuore
non solo di chi la legge, ma addirittura la vede. In ogni
immagine la visione rappresenta bene la comunione
tra chi vede e chi viene visto. In qualche modo ci si
immedesima e ci si integra. Si stabilisce una relazione che
non é più intelligibile, ma esistenziale.
Però la veemenza espressiva di questa Parola ha
conferito l’impressione di contraddire definitivamente
l’amore reciproco tra una padre che muore e un figlio che
lo assiste. Chi, come lui, ha avuto il coraggio di ritrarre
gli ultimi giorni di un padre amato ne é uscito scosso e
incredulo.
Tuttavia a questa domanda legittima si é contrapposto
subito un motivo di contraddizione e contestualmente di
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tenerezza. Me ne sono ricordato istintivamente. “Chi tra voi a un figlio che gli chiede un pane darà una
pietra? O se gli chiede un pesce darà una serpe?” (Mt 7, 9-10). In questo paradosso c’é tutta quanta la storia di un
rapporto tra padre e figlio, una storia dolce e allo stesso
tempo sofferta, una vicenda bellissima e irripetibile, che si
snoda lungo il corso di una vita. Alla fine noi ci offriamo
reciprocamente l’uno con altro, in un dono inatteso, quasi
pudico, di intimità e di tenerezza, dimenticando le fratture,
le divisioni e le ferite del passato. Chi non ha mai assistito un padre morente non sa che
cosa significhi il recupero di una storia e della sua
memoria.
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Ci sono momenti in cui tutto quello che é accaduto
nel passato pare racchiudersi in una sintesi finale,
contemporaneamente meravigliosa e dolorosa. Si recupera
il sapore fisico di un rapporto, si impara ad ascoltare un
respiro, si interpretano i silenzi e le parole smozzicate, i
deliri momentanei e le confidenze lucide, gli sguardi e le
voci basse, si leggono gli occhi, si ascoltano le domande
inespresse.
La fine é perfino un momento tenero, anche se, in fin dei
conti, mai voluto né desiderato.
Antonio ha avuto il merito di parlare con la sua arte, che é
una delle più difficili e insidiose. Fotografare non é come
dipingere o poetare, perché impone di trovare sempre la
maniera giusta per fare sì che un’immagine, e con essa
chi é ritratto, parli. Se, come testimonia la spiritualità
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biblica, “vedere é comunione”, allora l’immagine ripropone
innanzitutto la comunione di chi l’ha ritratta con chi ne é
ritratto e io capisco benissimo Antonio.
Dopo avere sperimentato la vicinanza a un padre morente,
viene voglia di dire tutto ciò che si é vissuto e che si é
compreso in quegli istanti, ma non si riesce mai. Ognuno
poi cerca di dirlo a modo suo, come ne é capace.
Antonio lo ha detto con la fotografia. E pazienza se non
lo capiremo fino in fondo o se avvertiremo qualcosa di
diverso da lui. L’importante é che proprio lui lo abbia detto,
come se stesse quasi urlando, e che lo abbia capito lui e
soltanto lui.
A me il padre sofferente di Antonio ha dichiarato un’infinita
dolcezza e serenità, ma tutto questo ora non é importante.
Invece é determinante che questo fascio di immagini
trasmetta il messaggio di chi lo ha cercato e prodotto.
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Dite quello che volete, ma io mi sono ricordato della
comunione emozionale, spirituale, interiore e soprattutto
fisica con mio padre. Sono certo che Antonio, con questo
atto di coraggio, stia facendo lo stesso, unendosi anche al
bacio forte e struggente della madre sulla fronte del marito
ormai alla fine.
Portare con noi quegli istanti significa recuperare una
storia e la sua memoria. Quella che ci ha uniti con chi
ci ha generato. Quella che ci ha fatto provare un amore
senza retorica né ipocrisia. Quella che, quando abbiamo
chiesto un pane, non ci ha dato una pietra o una serpe,
ma quel pane uscito dalla vita limpida e onesta di
un padre che alla fine se ne é andato.
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Questa è una riflessione sull’amore, riscoperto attraverso il
dolore. Giorno dopo giorno, negli ultimi mesi di vita di mio
padre, fare queste foto è diventato -per me e per lui- una
sorta di gioco. Estremo, dolce, paradossalmente ironico.
Un gioco che ha coinvolto anche tutte le persone che lo
hanno aiutato a morire. Una maniera compassionevole
e gioiosa per stare insieme. Foto scattate per “esserci”
e comunicare con lui a modo mio. Foto “irriverenti”
scattate per farmi capire da mio padre. E per capire lui.
Per socializzare il dolore e condividerlo. Come accadeva
quando la morte era, così come dovrebbe essere, un
evento naturale della vita. Questo è il messaggio che mio
padre mi ha lasciato. Io lo voglio condividere.
Antonio De Luca
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AYUDAME
Ana Pedroso
ayudame
ovunque io vada estaràs tu
juntos
cerca de ti y en mi soledad
separados
girando alrededor tuyo
cierro los ojos y te veo
en este eterno circulo
las apariencias se asemejan
y las sombras atraviesan mundos felices
giochiamo ancora
no te dejo solo
el pan y el agua compartido
juntos
con mis manos
ayudame
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1100 D, Originale anni ’50, stampa vintage ai sali d’argento, singola, 9x13 cm
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Girando intorno a te, carta cotone montata su dibond singola, 50x74 cm
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Al sole d’agosto, carta cotone montata su dibond, dittico, 30x80 cm
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Oramorph, carta cotone montata su dibond, dittico, 30x80 cm
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Le Cirque, carta cotone montata su dibond, singola, 50x74 cm
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Ultras liberi, carta cotone montata su dibond, singola, 50x74 cm
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Dov’è la mia casa?, carta cotone montata su dibond, trittico, 30x133 cm
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Coniugare piacere e salute, carta cotone montata su dibond, dittico, 30x90 cm
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Se telefonando, carta cotone montata su dibond, dittico, 30x90 cm
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Comunione, carta cotone montata su dibond, dittico, 30x90 cm
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L’ultima mela, carta cotone montata su dibond, quadrittico, 50x74 cm
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Succhiando la vita, carta cotone montata su dibond, dittico, 30x90 cm
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Giochiamo ancora, carta cotone montata su dibond, trittiico, 30x90 cm
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419, carta cotone montata su dibond, quadrittico, 50x74 cmm
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Il paradiso può attendere, carta cotone montata su dibond, dittico, 30x90 cm
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Risveglio, carta cotone montata su dibond, quadrittico, 50x74 cm
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7/10. Kakà, carta cotone montata su dibond, quadrittico, 50x74 cm
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Shev’c’è, carta cotone montata su dibond, dittico verticale, 74x100 cm
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Non ti lascio solo, carta cotone montata su dibond, dittico verticale, 74x100 cm
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Nel blu dipinto di blu, carta cotone montata su dibond, quadrittico, 50x74 cm
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Senza zucchero, carta cotone montata su dibond, quadrittico, 50x74 cm
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Notti sempre più lunghe, carta cotone montata su dibond, quadrittico, 50x74 cm
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20/10, carta cotone montata su dibond, quadrittico, 50x74 cm
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6/10. Vuoti a perdere, carta cotone montata su dibond, trittico, 150x74 cm
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My life, carta cotone montata su dibond, dittico, 30x80 cm
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Era mio padre, carta cotone montata su dibond, singola, 70x100 cm
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Ascolto il tuo respiro, carta cotone montata su dibond, dittico, 30x80 cm
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23/10, carta cotone montata su dibond, dittico, 30x90 cm
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Non sono venuto a portare la pace, carta cotone montata su dibond, dittico, 30x80 cm
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Ultimo giro?, carta cotone montata su dibond, dittico, 30x90 cm
CURRICULUM ANTONIO DE LUCA
quali ricordiamo: CRONACHE VERE a cura di Alessandro
Riva, Milano, spazio Consolo; DESTRA, spazio Enzo
Nocera, Milano; SULLA TV, spazio San Fedele, Milano;
SKULL, Wannabee Gallery e spazio Revel, Milano; NEW
LOOK, a cura di Pino Centomani e Lillo Marciano, villa
Brescianelli, Mantova; RIMINI ROUND 92 con il video
“Eldorado”; MONTBLANC ART PROJECT 2001 con il video
“Bohéme” a Tokyo e Sidney; MALE DI MIELE, Wannabee
Gallery, Milano; AFFETTI SPECIALI, mostra personale a
cura di Renzo Castiglioni, Ponte in Valtellina (Sondrio);
CELESTE PRIZE exhibition, Berlino; RODI ART EXHIBITION;
LO SCHERMO DI SCIPIO, mostra personale a cura di
Alessandro Riva, Wannabee Gallery, Milano; RITRATTI
ITALIANI, a cura di Vittorio Sgarbi.
Antonio De Luca è nato a Montagnareale (ME) nel 1956.
Vive e lavora a Milano.
Come fotografo ha lavorato e pubblicato per numerose,
riviste, case editrici, tra cui Rizzoli, Mondadori, Rusconi,
Condè Nast, Elle Japon,Madame Figarò.
Ha inoltre realizzato video pubblicitari, cataloghi,
calendari, pubblicazioni per BGS, HDMWE, Satchi&Satchi,
Fiat immagine, Blue imp., Azzurra, Sbernadori Del
Conte, Ricordi BMG, IVECO, Pirella&G, Red Cell, Penno
advertising, Olivetti, MPIO.
Come artista ha preso parte a numerose mostre, tra le
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Un grazie particolare al personale della Hospice
Columbus del dipartimento oncologico dell’ospedale
Sacco di Milano per tutto quello che ha fatto per mio
padre.
Grazie a l’amico Stefano Grondona per la magnifica
collaborazione musicale.
-“Muirwoods” di Toru Takemitsu
-“Tombeau pour Blancheroche” di Froberger
-“Danza numero 5” di Granados
-“All in twilight” di Takemitsu
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C.so Italia, 9 - Milano - Tel. 02 58308360 - www.arsprima.it