RITIRO DI QUARESIMA degli IdR di ROMA Chiesa del Santissimo Nome di Gesù all’Argentina – 29 marzo 2014 Meditazione di don Elio LELI Entrare nel fiume della gioia di Dio La gioia nell’Antico e nel Nuovo Testamento (Evangelii Gaudium nn. 4‐5) 4. I libri dell’Antico Testamento avevano proposto la gioia della salvezza, che sarebbe diventata so‐ vrabbondante nei tempi messianici. Il profeta Isaia si rivolge al Messia atteso salutandolo con giubilo: «Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia» (9,2). E incoraggia gli abitanti di Sion ad accoglierlo con canti: «Canta ed esulta!» (12,6). Chi già lo ha visto all’orizzonte, il profeta lo invita a farsi messaggero per gli altri: «Sali su un alto monte, tu che annunci liete notizie a Sion! Alza la tua voce con forza, tu che an‐ nunci liete notizie a Gerusalemme» (40,9). La creazione intera partecipa di questa gioia della salvezza: «Giubilate, o cieli, rallegrati, o terra, gridate di gioia, o monti, perché il Signore consola il suo popolo e ha misericordia dei suoi poveri» (49,13). Zaccaria, vedendo il giorno del Signore, invita ad acclamare il Re che viene umile e cavalcando un asi‐ no: «Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giu‐ sto e vittorioso!» (Zc 9,9). Ma forse l’invito più contagioso è quello del profeta Sofonia, che ci mostra lo stesso Dio come un centro luminoso di festa e di gioia che vuole comunicare al suo popolo questo grido salvifico. Mi riempie di vita rileggere questo testo: «Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore po‐ tente. Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia» (Sof 3,17). È la gioia che si vive tra le piccole cose della vita quotidiana, come risposta all’invito affettuoso di Dio nostro Padre: «Figlio, per quanto ti è possibile, tràttati bene … Non privarti di un giorno felice» (Sir 14,11.14). Quanta tenerezza paterna si intuisce dietro queste parole! 5. Il Vangelo, dove risplende gloriosa la Croce di Cristo, invita con insistenza alla gioia. Bastano alcuni esempi: «Rallegrati» è il saluto dell’angelo a Maria (Lc 1,28). La visita di Maria a Elisabetta fa sì che Giovan‐ ni salti di gioia nel grembo di sua madre (cfr Lc 1,41). Nel suo canto Maria proclama: «Il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore» (Lc1,47). Quando Gesù inizia il suo ministero, Giovanni esclama: «Ora questa mia gioia è piena» (Gv 3,29). Gesù stesso «esultò di gioia nello Spirito Santo» (Lc 10,21). Il suo messaggio è fon‐ te di gioia: «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,11). La nostra gioia cristiana scaturisce dalla fonte del suo cuore traboccante. Egli promette ai discepoli: «Voi sa‐ rete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia» (Gv16,20). E insiste: «Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia» (Gv 16,22). In seguito essi, vedendolo risorto, «gioirono» (Gv 20,20). Il libro degli Atti degli Apostoli narra che nella prima comunità «prendeva‐ no cibo con letizia» (2,46). Dove i discepoli passavano «vi fu grande gioia» (8,8), ed essi, in mezzo alla persecuzione, «erano pieni di gioia» (13,52). Un eunuco, appena battezzato, «pieno di gioia seguiva la sua strada» (8,39), e il carceriere «fu pieno di gioia insieme a tutti i suoi per aver creduto in Dio» (16,34). Per‐ ché non entrare anche noi in questo fiume di gioia? Per meditare con papa Francesco Infine, rimarchiamo che l’evangelizzazione è essen‐ zialmente connessa con la proclamazione del Vangelo a coloro che non conoscono Gesù Cristo o lo hanno sempre rifiutato. Molti di loro cercano Dio segreta‐ mente, mossi dalla nostalgia del suo volto, anche in paesi di antica tradizione cristiana. Tutti hanno il dirit‐ to di ricevere il Vangelo. I cristiani hanno il dovere di annunciarlo senza escludere nessuno, non come chi impone un nuovo obbligo, bensì come chi condivide una gioia, segnala un orizzonte bello, offre un ban‐ chetto desiderabile. La Chiesa non cresce per proseli‐ tismo ma «per attrazione». (EG 14) ♦ Qual è il mio rapporto con gli alunni che non si av‐ valgono dell’IRC e con le loro famiglie? ♦ A tale proposito, quali sono i frutti belli che il Si‐ gnore mi ha permesso di gustare? E quali gli atteg‐ giamenti che mi suggerisce di avere? Il Vescovo deve sempre favorire la comunione mis‐ sionaria nella sua Chiesa diocesana perseguendo l’ideale delle prime comunità cristiane, nelle quali i credenti avevano un cuore solo e un’anima sola (cfr At 4,32). Perciò, a volte si porrà davanti per indicare la strada e sostenere la speranza del popolo, altre volte starà semplicemente in mezzo a tutti con la sua vici‐ nanza semplice e misericordiosa, e in alcune circo‐ stanze dovrà camminare dietro al popolo, per aiutare coloro che sono rimasti indietro e – soprattutto – perché il gregge stesso possiede un suo olfatto per individuare nuove strade. (EG 31) Meditazione per il ritiro di quaresima – 29 marzo 2014 – don Elio LELI ♦ lazione e lo stimolo dell’amore salvifico di Dio, che opera misteriosamente in ogni persona, al di là dei suoi difetti e delle sue cadute. (EG 44) ♦ In quali situazioni rischio di trasformare la mia aula in una sala di tortura? ♦ Quali sono i piccoli passi che come docente sono chiamato a stimolare e incoraggiare? Quando, come IDR, capisco che devo camminare davanti, quando in mezzo a tutti e quando invece dietro agli altri? Una pastorale in chiave missionaria non è ossessiona‐ ta dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine che si tenta di imporre a forza di insistere. Quando si assume un obiettivo pastorale e uno stile missionario, che realmente arrivi a tutti senza ecce‐ zioni né esclusioni, l’annuncio si concentra sull’es‐ senziale, su ciò che è più bello, più grande, più attra‐ ente e allo stesso tempo più necessario. La proposta si semplifica, senza perdere per questo profondità e verità, e così diventa più convincente e radiosa. […] Qui ciò che conta è anzitutto «la fede che si rende operosa per mezzo della carità» (Gal 5,6). Le opere di amore al prossimo sono la manifestazione esterna più perfetta della grazia interiore dello Spirito: «L’elemento principale della nuova legge è la grazia dello Spirito Santo, che si manifesta nella fede che agisce per mezzo dell’amore». Per questo afferma che, in quanto all’agire esteriore, la misericordia è la più grande di tutte le virtù: «La misericordia è in se stessa la più grande delle virtù, infatti spetta ad essa donare ad altri e, quello che più conta, sollevare le miserie altrui. Ora questo è compito specialmente di chi è superiore, ecco perché si dice che è proprio di Dio usare misericordia, e in questo specialmente si manifesta la sua onnipotenza». (EG 35.37) ♦ Qual è la gerarchia dei contenuti che il mio inse‐ gnamento intende trasmettere? ♦ E nel mio modo di essere con gli altri in generale (alunni, corpo docente, personale ATA, dirigenza), quale posto occupa la misericordia e come la mani‐ festo concretamente? Si è sviluppata una globalizzazione dell’indifferenza. Quasi senza accorgercene, diventiamo incapaci di provare compassione dinanzi al grido di dolore degli altri, non piangiamo più davanti al dramma degli altri né ci interessa curarci di loro, come se tutto fosse una responsabilità a noi estranea che non ci compete. (EG 54) ♦ Come mi pongo solitamente quando mi trovo di fronte alla sofferenza di un alunno, di un collega? Come il bene tende a comunicarsi, così il male a cui si acconsente, cioè l’ingiustizia, tende ad espandere la sua forza nociva e a scardinare silenziosamente le ba‐ si di qualsiasi sistema politico e sociale, per quanto solido possa apparire. […] È il male cristallizzato nelle strutture sociali ingiuste, a partire dal quale non ci si può attendere un futuro migliore. (EG 59) ♦ Ci sono delle situazioni ingiuste che posso cambia‐ re nella mia scuola? ♦ Ci sono delle scelte che posso fare per evitare di compiere ingiustizie? Inoltre, è necessario che riconosciamo che, se parte della nostra gente battezzata non sperimenta la pro‐ pria appartenenza alla Chiesa, ciò si deve anche ad alcune strutture e ad un clima poco accoglienti in al‐ cune delle nostre parrocchie e comunità, o a un at‐ teggiamento burocratico per rispondere ai problemi, semplici o complessi, della vita dei nostri popoli. In molte parti c’è un predominio dell’aspetto ammini‐ strativo su quello pastorale, come pure una sacra‐ mentalizzazione senza altre forme di evangelizzazio‐ ne. (EG 63) ♦ Anche il mondo della scuola richiede all’IdR atten‐ zione e competenza negli adempimenti burocrati‐ ci. ♦ Di contro, ci sono situazioni in cui l’adempimento burocratico prende il sopravvento sul resto? Anzitutto bisogna dire che nell’annuncio del Vangelo è necessario che vi sia una adeguata proporzione. Questa si riconosce nella frequenza con la quale si menzionano alcuni temi e negli accenti che si pongo‐ no nella predicazione. Per esempio, se un parroco du‐ rante un anno liturgico parla dieci volte sulla tempe‐ ranza e solo due o tre volte sulla carità o sulla giusti‐ zia, si produce una sproporzione, per cui quelle che vengono oscurate sono precisamente quelle virtù che dovrebbero essere più presenti nella predicazione e nella catechesi. Lo stesso succede quando si parla più della legge che della grazia, più della Chiesa che di Gesù Cristo, più del Papa che della Parola di Dio. (EG 38) ♦ Ci sono argomenti del programma su cui mi fermo per molte settimane, a scapito di altri che tratto molto fugacemente? La famiglia attraversa una crisi culturale profonda, come tutte le comunità e i legami sociali. Nel caso del‐ la famiglia, la fragilità dei legami diventa particolar‐ mente grave perché si tratta della cellula fondamen‐ tale della società. (EG 66) ♦ Quali sono i miei rapporti con le famiglie degli a‐ lunni? ♦ Quali elementi positivi devo conservare? E cosa posso migliorare? Ai sacerdoti ricordo che il confessionale non dev’es‐ sere una sala di tortura bensì il luogo della misericor‐ dia del Signore che ci stimola a fare il bene possibile. Un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente cor‐ retta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà. A tutti deve giungere la conso‐ La cultura mediatica e qualche ambiente intellettuale a volte trasmettono una marcata sfiducia nei con‐ fronti del messaggio della Chiesa, e un certo disincan‐ to. Come conseguenza, molti operatori pastorali, benché preghino, sviluppano una sorta di complesso – 2 – Meditazione per il ritiro di quaresima – 29 marzo 2014 – don Elio LELI di inferiorità, che li conduce a relativizzare o ad occul‐ tare la loro identità cristiana e le loro convinzioni. Si produce allora un circolo vizioso, perché così non so‐ no felici di quello che sono e di quello che fanno, non si sentono identificati con la missione evangelizzatri‐ ce, e questo indebolisce l’impegno. Finiscono per sof‐ focare la gioia della missione in una specie di osses‐ sione per essere come tutti gli altri e per avere quello che gli altri possiedono. In questo modo il compito dell’evangelizzazione diventa forzato e si dedicano ad esso pochi sforzi e un tempo molto limitato. (EG 79) ♦ Ci sono contesti in cui ho sofferto un complesso di inferiorità nei confronti di insegnanti di altre mate‐ rie? ♦ Se sì, cosa posso ricavare di concreto da queste parole del Papa? All’interno del Popolo di Dio e nelle diverse comunità, quante guerre! Nel quartiere, nel posto di lavoro, quante guerre per invidie e gelosie, anche tra cristia‐ ni! […] Attenzione alla tentazione dell’invidia! Siamo sulla stessa barca e andiamo verso lo stesso porto! Chiediamo la grazia di rallegrarci dei frutti degli altri, che sono di tutti. (EG 98‐99) ♦ Nel mio contesto lavorativo, ci sono persone con le quali sono in conflitto? Ci sono colleghi verso i qua‐ li provo invidia? Non possiamo pretendere che tutti i popoli di tutti i continenti, nell’esprimere la fede cristiana, imitino le modalità adottate dai popoli europei in un determi‐ nato momento della storia, perché la fede non può chiudersi dentro i confini della comprensione e dell’e‐ spressione di una cultura particolare. È indiscutibile che una sola cultura non esaurisce il mistero della re‐ denzione di Cristo. (EG 118) ♦ Anche i contenuti dell’IRC richiedono di essere “a‐ dattati” al contesto della scuola in cui lavoro (spe‐ cialmente per le scuole superiori, così diverse tra loro per indirizzo, materie scolastiche, composizio‐ ne delle classi)… I mali del nostro mondo – e quelli della Chiesa – non dovrebbero essere scuse per ridurre il nostro impe‐ gno e il nostro fervore. Consideriamoli come sfide per crescere. Inoltre, lo sguardo di fede è capace di rico‐ noscere la luce che sempre lo Spirito Santo diffonde in mezzo all’oscurità, senza dimenticare che «dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia» (Rm 5,20). La nostra fede è sfidata a intravedere il vino in cui l’acqua può essere trasformata, e a scoprire il grano che cresce in mezzo della zizzania. (EG 84) ♦ In quali situazioni mi è capitato o mi capita di esse‐ re pessimista o scoraggiato? ♦ In queste situazioni (se ci sono), quali sono gli a‐ spetti positivi che riesco a cogliere? Ci ricorda che la Chiesa è madre e predica al popolo come una madre che parla a suo figlio, sapendo che il figlio ha fiducia che tutto quanto gli viene insegnato sarà per il suo bene perché sa di essere amato. Inol‐ tre, la buona madre sa riconoscere tutto ciò che Dio ha seminato in suo figlio, ascolta le sue preoccupa‐ zioni e apprende da lui. Lo spirito d’amore che regna in una famiglia guida tanto la madre come il figlio nei loro dialoghi, dove si insegna e si apprende, si cor‐ regge e si apprezzano le cose buone […] La predica cristiana, pertanto, trova nel cuore della cultura del popolo una fonte d’acqua viva, sia per saper che cosa deve dire, sia per trovare il modo appropriato di dirlo. […] Questo ambito materno‐ecclesiale in cui si svi‐ luppa il dialogo del Signore con il suo popolo si deve favorire e coltivare mediante la vicinanza cordiale del predicatore, il calore del suo tono di voce, la mansue‐ tudine dello stile delle sue frasi, la gioia dei suoi gesti. Anche nei casi in cui l’omelia risulti un po’ noiosa, se si percepisce questo spirito materno‐ecclesiale, sarà sempre feconda, come i noiosi consigli di una madre danno frutto col tempo nel cuore dei figli. (EG 139‐ 140) ♦ Quali caratteristiche del predicatore e del suo mo‐ do di dialogare con il popolo posso applicare anche al contesto scolastico e quali no? ♦ Mi curo che gli alunni sappiano di essere amati? Una sfida importante è mostrare che la soluzione non consisterà mai nel fuggire da una relazione personale e impegnata con Dio, che al tempo stesso ci impegni con gli altri. Questo è ciò che accade oggi quando i credenti fanno in modo di nascondersi e togliersi dal‐ la vista degli altri, e quando sottilmente scappano da un luogo all’altro o da un compito all’altro, senza cre‐ are vincoli profondi e stabili: «Imaginatio locorum et mutatio multos fefellit». È un falso rimedio che fa ammalare il cuore e a volte il corpo. È necessario aiu‐ tare a riconoscere che l’unica via consiste nell’impara‐ re a incontrarsi con gli altri con l’atteggiamento giu‐ sto, apprezzandoli e accettandoli come compagni di strada, senza resistenze interiori. Meglio ancora, si tratta di imparare a scoprire Gesù nel volto degli altri, nella loro voce, nelle loro richieste. È anche imparare a soffrire in un abbraccio con Gesù crocifisso quando subiamo aggressioni ingiuste o ingratitudini, senza stancarci mai di scegliere la fraternità. (EG 91) ♦ Riesco a creare rapporti di collaborazione solidi con dirigenti e colleghi? ♦ So interagire con i docenti delle altre materie? E con gli altri IdR? ♦ Dinanzi a situazioni problematiche, sono fedele all’incarico che mi viene affidato, o cerco di sfuggi‐ re al problema chiedendo il trasferimento in altre scuole? La preparazione della predicazione è un compito così importante che conviene dedicarle un tempo prolun‐ gato di studio, preghiera, riflessione e creatività pa‐ storale. […] Un predicatore che non si prepara non è “spirituale”, è disonesto ed irresponsabile verso i do‐ ni che ha ricevuto. (EG 145) ♦ Come preparo le lezioni? – 3 – Meditazione per il ritiro di quaresima – 29 marzo 2014 – don Elio LELI ♦ Quanto tempo dedico allo studio e all’aggiorna‐ mento? suggerimenti concreti ne posso trarre in questa prospettiva? Quando uno si sofferma a cercare di comprendere qual è il messaggio di un testo, esercita il «culto della verità». È l’umiltà del cuore che riconosce che la Paro‐ la ci trascende sempre, che non siamo «né padroni, né arbitri, ma i depositari, gli araldi, i servitori». (EG 146) ♦ Il mio insegnamento è sempre coerente con il Vangelo e con la dottrina della Chiesa? Per giungere ad un punto di maturità, cioè perché le persone siano capaci di decisioni veramente libere e responsabili, è indispensabile dare tempo, con una immensa pazienza. (EG 171) ♦ Quali sono le maggiori difficoltà che incontro nel dover aspettare i tempi di crescita di ogni alunno? ♦ Quali le situazioni o gli atteggiamenti che mi por‐ tano più facilmente a perdere la pazienza? Anche in questa epoca la gente preferisce ascoltare i testimoni (EG 150). ♦ In che modo concretamente la scuola mi stimola ad essere esempio? ♦ In quali fatti si nota chiaramente il mio essere e‐ sempio? In quali non si nota? Quattro criteri (cfr. EG 222‐237) Il tempo è superiore allo spazio ♦ Progettare il futuro perché dia frutti a lunga sca‐ denza è meglio che tamponare provvisoriamente occupando spazi immediati. Qual è il mio progetto a lunga scadenza in grado di incidere in maniera si‐ gnificativa sulle strutture della società del futuro? Si tratta di collegare il messaggio del testo biblico con una situazione umana, con qualcosa che essi vivono, con un’esperienza che ha bisogno della luce della Pa‐ rola. […]occorre accrescere la sensibilità per ricono‐ scere ciò che realmente ha a che fare con la loro vita. Ricordiamo che non bisogna mai rispondere a do‐ mande che nessuno si pone. (EG 154‐155) ♦ In che modo avviene l’ascolto degli alunni nel mio modo di insegnare? ♦ La scelta degli argomenti sa tenere conto anche di questo, oltre che delle necessarie indicazioni dei programmi ministeriali e degli OSA? L’unità prevale sul conflitto ♦ Saper amalgamare tutte le differenze e valorizzarle come ricchezze è necessario per costruire l’unità. Come posso applicare questa indicazione del Papa agli alunni della mia classe? Quali strategie mi sug‐ gerisce? La realtà è più importante dell’idea ♦ È necessario essere realisti, partire dalla situazione reale concreta. Il mio programma parte dalla realtà della classe? La situazione concreta dei miei alunni, quali attenzioni mi suggerisce di tenere presenti in fase di programmazione? Alcuni credono di poter essere buoni predicatori per‐ ché sanno quello che devono dire, però trascurano il come, il modo concreto di sviluppare una predicazio‐ ne. Si arrabbiano quando gli altri non li ascoltano o non li apprezzano, ma forse non si sono impegnati a cercare il modo adeguato di presentare il messaggio. (EG 156) ♦ Con quali modalità nuove posso provare a tra‐ smettere i contenuti, nelle classi più “difficili”? ♦ Il Papa suggerisce al predicatore di parlare per immagini, di utilizzare un linguaggio semplice, chiaro e positivo (che non dica tanto quello che si deve fare, ma piuttosto quello che si può fare me‐ glio): può diventare un consiglio adatto all’IRC? Il tutto è superiore alla parte ♦ Anche gli elementi peggiori possono dare il loro buon contributo alla classe. Questa prospettiva come mi suggerisce di gestire il rapporto con gli a‐ lunni più “difficili”, e tra questi e il resto della classe? Il dialogo sociale come contributo per la pace (cfr. EG 238‐243) ♦ Quali sono i miei rapporti con i colleghi di altre di‐ scipline, specialmente con i colleghi non credenti? ♦ E con il dirigente scolastico, i suoi collaboratori, i Consigli di classe? ♦ E con le istituzioni e le associazioni presenti sul ter‐ ritorio? La centralità del kerygma richiede alcune caratteristi‐ che dell’annuncio che oggi sono necessarie in ogni luogo: che esprima l’amore salvifico di Dio previo all’obbligazione morale e religiosa, che non imponga la verità e che faccia appello alla libertà, che possieda qualche nota di gioia, stimolo, vitalità, ed un’armo‐ niosa completezza che non riduca la predicazione a poche dottrine a volte più filosofiche che evangeli‐ che. Questo esige dall’evangelizzatore alcune dispo‐ sizioni che aiutano ad accogliere meglio l’annuncio: vicinanza, apertura al dialogo, pazienza, accoglienza cordiale che non condanna. (EG 165) ♦ Queste indicazioni possono essere applicate in maniera interessante anche al docente (come all’annunciatore) e al suo modo di essere nella re‐ lazione con gli studenti (come all’annuncio). Quali Evangelizzatori con Spirito (cfr. EG 259‐288) Docilità all’azione dello Spirito Santo significa curare la propria vita spirituale: ♦ Come curo la preghiera, l’adorazione eucaristica, la celebrazione comunitaria domenicale? ♦ Che rapporto ho con il sacramento della Riconcilia‐ zione? Ogni volta che guardiamo a Maria torniamo a credere nella forza rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto. In lei vediamo che l’umiltà e la tenerezza non sono virtù dei deboli ma dei forti, che non hanno bisogno di mal‐ trattare gli altri per sentirsi importanti (EG 288) – 4 –
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