Ineffabilità e incarnazione in ‘Amor che nella mente mi ragiona’ ROSARIO SCRIMIERI 1. Non si deve dimenticare il fatto che l’interpretazione di Amor che nella mente mi ragiona può realizzarsi secondo diversi paradigmi. Ne abbiamo parlato già rispetto a Voi che ‘ntendendo (Scrimieri 2011a) e possiamo ripetere le stesse considerazioni su Amor che nella mente mi ragiona, canzone strettamente legata a quella. I paradigmi che possono guidare l’interpretazione di ambedue le canzoni sono il libro della Vita nuova, il Convivio, la Commedia e il corpus delle canzoni distese, considerato in se stesso, indipendentemente da queste tre opere. A seconda che si adotti uno di questi paradigmi come strumento di interpretazione, la canzone rivelerà diverse potenzialità di senso che, a mio avviso, in principio, non dovrebbero escludersi fra di loro ma, al contrario, dovrebbero contribuire alla costruzione del significato globale della canzone, vista da molteplici punti di vista. Mi concentrerò qui, come ho fatto in Voi che ´ntendendo, sul paradigma della Vita nuova come mezzo di penetrazione nel significato della nostra canzone.1 95 LA BIBLIOTECA DE T ENZONE G RUPO T ENZONE In Amor che nella mente mi ragiona la donna è simbolo di qualcosa di ineffabile il cui contenuto, grazie alla presenza di diversi intertesti delle Sacre Scritture e ai termini della lode che fa Dante di lei, si corrisponde con la Sapienza divina. Considerata tuttavia all’interno della dinamica delle prime canzoni distese,2 a loro volta interpretate alla luce del paradigma vitanovistico, questa donna acquista un sovrappiù di significato in senso allegorico-cristologico, derivante dagli intertesti evangelici della Vita nuova e della canzone Voi che ‘ntendendo. In questa sede, pertanto, il paradigma di interpretazione vitanovistico non si corrisponderebbe tanto con la tematica della lode di Donne che avete intelletto d’amore, che tanti punti ha in comune con la nostra canzone, come è stato messo in rilievo dalla critica,3 ma con il senso cristico-trinitario di Beatrice in rapporto con quello della donna gentile, senso che si diffonde nelle prime canzoni distese. Questa interpretazione presuppone, dunque, la continuazione del conflitto dei capitoli finali della Vita nuova nelle prime canzoni di Dante, senza dimenticare però che il significato della donna pietosa della Vita nuova, come figura della filosofia, non è del tutto coincidente con quello della donna di queste canzoni (Scrimieri 2011a: 96).4 L’opzione di prendere la Vita nuova come punto di riferimento dell’interpretazione delle prime canzoni distese, risponde a un insieme di domande che si pongono all’interprete. Per esempio, fino a che punto, dopo la Vita nuova, si attuano nel processo di creazione delle canzoni principi d’interpretazione che hanno guidato la prosa del libello? O, detto in altre parole, fino a che punto Dante può ritornare a scrivere canzoni d’amore senza pensare che il loro contenuto possa ‘aprirsi’, come lui stesso fa nella Vita nuova, a un’ulteriore spiegazione in prosa, che vada al di là della tematica amorosa, e il cui significato possa integrarsi organicamente in una unità superiore testuale?5 E in un altro aspetto, perché l’interprete dovrebbe accogliere gli intertesti scritturali presenti nelle canzoni successive alla Vita nuova nel senso ‘frequentemente intrascendente’ degli stilnovisti, invece di poter interpretarli nello stesso senso e con la stessa funzione con cui Dante lo ha fatto nella prosa della Vita nuova? Credo che sia logico rispondere a queste domande pensando che, dopo la presa di cos96 ROSARIO SCRIMIERI Ineffabilità e incarnazione cienza intellettuale e poetica inerente alla prosa della Vita nuova, non sia più possibile in Dante fare marcia indietro e che le acquisizioni guadagnate in quella scrittura si riverseranno inevitabilmente nella sua successiva produzione poetica. 2. Per sostanziare questa interpretazione, devo riferirmi brevemente alla canzone Voi che ’ntendendo (Scrimieri 2011a), dato che il significato simbolico della donna di questa canzone, secondo la mia ipotesi, continua a gravitare sulla canzone successiva, Amor che nella mente mi ragiona. Come nella Vita nuova rispetto di Beatrice, in Voi che ‘ntendendo si apre rispetto della nuova donna la possibilità di un secondo significato in senso simbolico cristico-trinitario, grazie all’intertesto evangelico dell’annunciazione («Ecce ancilla Domini: fiat mihi secundum verbum tuum», Luc. I 38): «Chè se tu non t’inganni» – dice all’ anima «uno spiritel d’amor gentile» – «tu vedrai / di sì alti miracoli adornezza, / che tu dirai: “Amor, segnor verace, / ecco l’ancella tua, fa’ che.tti piace”» (vv. 49-52). In questi versi, tramite l’intertesto dell’annunciazione, gravita sulla canzone la numinosità del mistero dell’incarnazione, permettendo di rivelarsi così la natura miracolosa della donna («tu vedrai / di sì alti miracoli», vv. 4950)) come quella del mistero dell’unione dell’anima e del corpo, della dimensione soprannaturale e naturale dell’uomo. Se Beatrice, dopo la sua morte, era la figura femminile del Logos, della saggezza divina che è ritornata dal Padre e rimane eternamente unita a Dio, la donna di Voi che ’ntendendo rappresenterebbe una seconda incarnazione di Beatrice-Cristo, ma adesso capace di attualizzarsi nell’anima del soggetto e di manifestarsi così sulla terra. Analogicamente parlando, l’anima dopo le grandi intuizioni finali della Vita nuova e dopo aver adottato lo stesso atteggiamento di umiltà e di ubbidienza avuto da Maria nell’annunciazione, rende possibile, accettando la nuova donna come domina, l’incarnazione di una nuova figura animica, capace d’integrare le più alte intuizioni dell’anima intellettuale e gli aspetti più bassi e umili dell’anima vegetativa e sensitiva. Ricordiamo in questo senso che l’ubbidienza e il servizio a Amore 97 LA BIBLIOTECA DE T ENZONE G RUPO T ENZONE da parte dell’io è un tratto ricorrente nel gruppo delle prime canzoni di Dante. Dopo la partita di Cristo, il mistero della sua seconda incarnazione in ogni anima, grazie all’azione dello Spirito Santo, costituisce il referente che fonda il significato simbolico, in senso cristico-trinitario, della donna di Voi che ’ntendendo, significato che si diffonde nella successiva canzone. Dopo l’ascensione in cielo di Cristo, la sua manifestazione sulla terra solo può accadere singolarmente in ogni anima, quando quest’ultima, grazie all’umiltà e alla ubbidienza, lascia uno spazio all’azione dello Spirito Santo, in modo che possa verificarsi in lei la seconda incarnazione del Verbo, cioè la sua trasformazione cristica.6 Simbolicamente parlando, nella canzone la nuova donna rappresenterebbe la Sapienza divina, la seconda persona della Trinità, che grazie all’intervento di Amore, simbolo dello Spirito Santo, prende corpo nell’anima di Dante. La nuova donna e Beatrice, malgrado la loro somiglianza, rimangono nettamente distinte, nello stesso modo in cui Cristo nei cieli resta nettamente distinto dalla sua manifestazione sulla terra in ogni singola anima. Ambedue le figure però si trovano intimamente collegate in base alla necessità che Beatrice ha della donna gentile: senza questa seconda incarnazione non potrebbe attuarsi nella vita e nell’opera concreta di Dante quanto egli intuisce grazie alla prima incarnazione di Beatrice-Cristo, nello stesso modo in cui senza la seconda incarnazione di Cristo in ogni singola anima non potranno manifestarsi sulla terra e nella storia gli effeti della sua incarnazione e redenzione. Questa interpretazione è possibile, come ho detto prima, grazie all’apertura di senso proveniente dal paradigma scritturale, dagli intertesti evangelici e biblici della Vita nuova e delle due canzoni, il cui senso rimane attivo e passa dal libello alle canzoni e da una canzone all’altra.7 Nello stesso modo in cui grandi interpreti come Singleton hanno individuato un significato di Beatrice nella Vita nuova in senso cristico, basandosi sugli intertesti evangelici del libello, considero che nelle successive canzoni Dante continui a mantenere questa risorsa testuale con la stessa intenzionalità semantica. Non credo che queste citazioni abbiano il carattere di 98 ROSARIO SCRIMIERI Ineffabilità e incarnazione una allusione irrilevante, ma compiono una specifica funzione semantica e aprono nella dimensione paradigmatica del testo un referente simbolico che può mantenersi attivo lungo le prime canzoni dantesche. In questo senso, si possono applicare all’interpretazione di queste canzoni le stesse considerazioni che lo stesso Dante adduce nel capitolo XXV della Vita nuova quando parla della «vesta di figura o di colore rettorico» (XXV, 10): «grande vergogna sarebbe», per un poeta, non avere «alcuno ragionamento […] di quello che dice»; in questo caso, non sapere spiegare perché ha usato certi riferimenti evangelici e biblici e non essere capace di mostrare il suo «verace intendimento».8 3. In Amor che nella mente mi ragiona si verifica la prima gran lode della nuova donna delle canzoni, dovuta alla sua elevata qualità di essere simbolo dell’incarnazione in ogni singola anima della Saggezza del Verbo divino; nel caso della canzone, nell’anima di Dante. Per questo motivo, la sua lode ricorda quella di Beatrice. Due intertesti delle Sacre Scritture sostengono l’interpretazione della donna come la Sapienza divina, che più tardi, nella prosa del Convivio, Dante svolgerà ampiamente (III, XIV, 7; III, XV, 16): il verso 54, ultimo della terza strofa: «Però fu tal da eterno ordinata»: «Ab aeterno ordinata sum» (Prov. VIII, 23); e il verso 72, ultimo della quarta strofa: «costei pensò Chi mosse l’universo»,9 che rimanda allo stesso contesto dei Proverbi (VIII, 27-30): «Quando praeparabat caelos, aderam…», e al Libro della Sapienza (IX, 9: «Et tecum Sapientia tua» («Con te la sapienza […] che era presente quando creava il mondo»). Come si sa, la figura della Sapienza dell’Antico Testamento sarà raccolta dal Nuovo e applicata alla persona di Cristo. Gesù è denominato Sapienza di Dio in diversi passi evangelici ma specialmente nel prologo del Vangelo di Giovanni dove si attribuiscono al Verbo i tratti della saggezza creatrice, passo che Dante, nel suo commento del verso 54 della canzone, cita insieme al libro dei Proverbi: «e nel principio di Giovanni, nell’Evangelio, si può la sua etternitade apertamente notare» (Convivio III, XIV, 7). 99 LA BIBLIOTECA DE T ENZONE G RUPO T ENZONE D’altra parte, il verso 27: «Suo esser tanto a Que’ che glie .l dà piace», come suggerisce De Robertis (in Alighieri 2005: 41),«è probabilmente sotto la suggestione del “Filius meus dilectus in quo mihi complacui” di Matt. III, 17, Marc. 1, II, Luc. III, 22», intertesto evangelico che situa la figura della donna sotto il simbolo della Trinità e della seconda persona del Figlio. 4. D’accordo con gli intertesti scritturali sopra citati e con il paradigma simbolico trinitario che dalla Vita nuova si diffonde nella canzone, si possono distinguire nei suoi due primi versi: «Amor che nella mente mi ragiona / della mia donna disïosamente», ‘vestigi’ – secondo la terminologia agostiniana – dell’immagine della Trinità, proiettati negli attori della canzone. Secondo Sant’Agostino (De Trinitate IX) «Existe en el hombre, imagen de Dios, una cierta trinidad; a saber, la mente, su conocimiento y el amor con que se ama a sí misma y a su conocimiento. Se demuestra que estas tres realidades son iguales entre sí y de una misma esencia» (Arias 2006: 457). Se trasferiamo il dinamismo della vita trinitaria a quello della vita psichica, la ‘mente’ corrisponderebbe simbolicamente alla persona del Padre; la ‘donna’, a quella del Figlio: la Saggezza e il Verbo divini, proiettati sulla nuova figura femminile; e ‘Amore’, a quella dello Spirito Santo, cioè, all’amore che congiunge il Padre e il Figlio, secondo la versione patriarcale del Nuovo Testamento; o che lega Dio e la Sapientia secondo la tradizione dell’Antico Testamento, citata negli intertesti segnalati della canzone. La qualità dell’azione di ‘Amore’ viene rappresentata dall’avverbio «disïosamente» (v. 2). In effetti, l’amorosa unione del Padre e del Figlio, o di Dio e la Sapienza, corrisponde simbolicamente nell’anima all’intenso desiderio – «fervido e continuo» (Convivio III, III, 12)10 – di conoscenza da parte della mente. In questo senso, non si deve dimenticare che in Sant’Agostino il desiderio è un tratto rilevante dello Spirito Santo come amore. Il teologo si interroga sul terzo vestigio della Trinità divina nell’anima, l’amore e il suo rapporto con la mente: «cur itaque amando 100 ROSARIO SCRIMIERI Ineffabilità e incarnazione se non genuisse dicatur amorem suum; sicut cognoscendo se genuit notitiam suam?» (De Trinitate IX, 12, 18).11 Qui l’autore formula molte domande in un registro altamente emotivo perché è entrato in contatto con la radice ultima del dinamismo della vita psichica: il desiderio. L’amore precede la conoscenza sotto la forma di ricerca di questa conoscenza; la ricerca (inquisitio) è appetitus inveniendi, appetito di trovare, che è sinonimo di generare: «quod idem valet si dicas, reperiendi. Quae autem reperiuntur quasi pariantur» (De Trinitate IX, 12, 18). Le cose che si trovano è come se si partoriscono e sono simili alla filiazione («unde proli similia sunt»). L’appetito che palpita sotto la ricerca procede da chi cerca («porro appetitus ille, qui est in quaerendo, procedit a quaerente») e pende come sospeso («pendet quodam modo»), e non riposa nel fine desiderato fino a quando si trova l’oggetto ricercato e quest’ultimo si unisce a colui chi cerca («neque requiescit fine quo intenditur, nisi id quod quaeritur inventum quaerenti copuletur»).12 Dunque, al parto della mente, precede un appetito («appetitus quidam»), in virtù del quale, quando cerchiamo e troviamo ciò che desideriamo conoscere, diamo alla luce un figlio, che è la conoscenza («nascitur proles ipsa notitia»). Lo stesso desiderio che spinge a conoscere («idemque appetitus quo inhiatur rei cognoscende») diventa amore per la cosa conosciuta («fit amor cognitae»), e tiene e abbraccia la sua prole, cioè la sua conoscenza («dum tenet atque amplectitur placitam prolem, id est, notitiam»), e la congiunge al suo principio generatore («gignentique coniungit»). È dunque una sorta d’immagine della Trinità, la stessa mente; la sua conoscenza: figlio e verbo di se stessa; e in terzo luogo, l’amore; e queste tre cose sono una sola sostanza («Et est quaedam imago Trinitas, ipsa mens, et notita eius, quod est proles eius ac de se ipsa verbum eius, et amor tertius, et haec tria unum atque una substantia» (De Trinitate IX, 12, 18).13 Sant’Agostino propone dunque il desiderio come la radice ultima del dinamismo della vita trinitaria e quindi della vita dell’anima, fatta a immagine di Dio, e lo fa, come si può notare, in un linguaggio altamente connotato dal campo semantico della sessualità votata alla procreazione, 101 LA BIBLIOTECA DE T ENZONE G RUPO T ENZONE campo dove trova le immagini più pregnanti per la rappresentazione del desiderio di conoscenza e di creazione artistica.14 5. Nella canzone, letta come continuazione di Voi che ’ntendendo, Dante, in principio, farebbe la distinzione fra Beatrice-Cristo, che si trova nei cieli, e la nuova donna che sarebbe la sua re-incarnazione sulla terra; distinguerebbe fra ciò che Sant’Agostino denomina Saggezza creatrice, che è increata perché è coeterna e uguale a Dio, suo Padre (Confesiones, XII, 15), che si identifica con il Verbo, e che è ineffabile; e una Saggezza creata: la «naturaleza intelectual [del alma], que es luz por la contemplación de la Luz», che procede dalla Saggezza increata e fa partecipe chi la riceve della natura divina. Infatti, il verso 37 della nostra canzone: «in lei discende la Virtù divina», ricorda il versicolo 3, 15 dell’epistola di San Giacomo: «ista sapientia de sursum descendens»,15 e mette in evidenza la distinzione fra i due ambiti dove si trovano, dopo la partita di Cristo, ognuna di queste due saggezze: l’ambito sopralunare o celestiale, la prima; e quello sublunare o terreno, la seconda, ambito dove la Saggezza increata prende corpo e s’incarna. Ma, la qualità o la natura originaria della nuova donna è così ineffabile come quella di Beatrice-Cristo perché l’ineffabilità è un tratto che appartiene tanto al mistero dell’incarnazione di Cristo sulla terra (significativamente nella Somma teologica il tratto dell’ineffabilità viene riferito in modo particolare al mistero dell’incarnazione) come a quella di Cristo in ogni anima dopo la sua ascesa ai cieli; nell’anima di Dante, nel caso della nostra canzone. Per questa ragione, la lode di Amor che nella mente mi ragiona, interpretata come continuazione di Voi che ‘ntendendo, sarebbe indirizzata alla nuova donna, simbolo dell’anima nella sua miracolosa potenzialità: «tu vedrai / di sì alti miracoli adornezza» (vv. 49-50 di Voi che `ntendendo), parole che possono riportarsi a quelle di Gesù nell’ultima cena: «colui che crede in me, farà anche le cose che io faccio, e le farà ancora maggiori delle mie» (Giov. 14, 12).16 Ma, in realtà, la canzone, e anche il commento del Convivio, finiscono per non discernere con chia102 ROSARIO SCRIMIERI Ineffabilità e incarnazione rezza i limiti fra l’una e l’altra saggezza. A differenza di ciò che accade nella Commedia dove Dante distingue fra l’idea agostiniana della Saggezza creatrice o increata17 – Cristo, il Verbo di Dio –, e della Saggezza creata18 di cui, prima, Virgilio è la figura e, poi, Beatrice, dall’Eden in poi,19 ambedue dotati di saggezza e del dono della parola per poterla trasmettere, Dante nel tempo della scrittura della canzone, malgrado la folgorante intuizione inerente all’intertesto evangelico della precedente, Voi che ’ntendendo, dove la saggezza increata – Beatrice-Cristo nei cieli – appare nettamente distinta dalla saggezza creata, incarnata nella figura della nuova donna; malgrado dunque aver intravisto il mistero della seconda incarnazione come chiave di interpretazione del significato della nuova donna e come punto di partenza della sua produzione poetica dopo la morte di Beatrice, Dante non stabilisce ancora con chiarezza i limiti fra la rappresentazione della Saggezza increata e quella creata, cioè, fra la rappresentazione della Sapientia eterna-Figlio-Logos, e la saggezza che corrisponde alla natura intellettuale dell’anima, quella re-incarnata in ogni anima grazie alla quale l’uomo partecipa della natura divina. Questa saggezza, che Dante chiama nel Convivio Filosofia, comprende anche quella che si è manifestata prima della venuta di Cristo, guidata dal lumen naturale e conducente a un ‘trasumanare’ naturale, propria dei filosofi dell’antichità, della quale Virgilio è la figura fino all’arrivo di Beatrice. Dante nel tempo della canzone non ha trovato ancora lo strumento retorico adatto per rappresentare il mistero della seconda incarnazione, che non è altro che l’allegoria figurale dove tutto quanto viene rappresentato appare come storia, è o è stata storia. In questo senso, Singleton, quando si riferisce alla donna di questa canzone, tale come è commentata nel Convivio – ma le sue parole possono anche applicarsi alla donna della canzone – osserva che in lei la Saggezza «è verbo che non si fa carne. E solo il verbo fatto carne può innalzare l’uomo a Dio. […] l’allegoria di un poeta cristiano della rettitudine dovrà essere fondata nella carne – il che vuol dire, nella storia – […]. Il difetto, insomma, di Madonna Filosofia era lo stesso che Sant’Agostino trovava nei Platonici: «Sed quia verbum caro factus est et habitavit in nobis, non ibi legi”» [Ma ciò che non ho potuto 103 LA BIBLIOTECA DE T ENZONE G RUPO T ENZONE leggere in quei libri è che il verbo si è fatto carne e abitò fra noi] (Singleton 1978: 127). In opposizione a questa donna, marcata dall’ineffabilità, le figure della Commedia sono concrete e storiche. Virgilio, Beatrice, San Bernardo sono ‘effabili’: di essi si può parlare perché si mostrano in una azione che viene presentata «nel suo primo senso, /…/ come un evento storico, reale – un evento ricordato da colui che, come dice un verso del poema (Par., X, 2227), se ne è fatto ‘scriba’» (Singleton 1978: 127).20 E al tempo stesso essi parlano e esprimono i contenuti della saggezza incarnata. È ineffabile il mistero dell’incarnazione, il Dio fatto uomo, tanto riguardo all’incarnazione di Cristo, come a quella che si verifica in ogni anima. Ma i contenuti della saggezza increata, una volta che quest’ultima si è incarnata nell’anima, sono ‘effabili’, come comincerà Dante a darne la prova nella canzone Le dolci rime d’amor ch’io solea, dopo la sua decisione di abbandonare la poetica di Amor che nella mente mi ragiona: qui Dante si rende conto che rimanere sospesi nell’ineffabilità del mistero, nella lode della saggezza creata ma ancora in potenza, senza intraprendere la via della trasformazione cristica dell’anima,21 non è sufficiente. E ne darà la prova, dopo l’abbandono del Convivio, nella Commedia, dove si manifesta in forma suprema il mistero della seconda incarnazione: la saggezza incarnata nella sua scrittura. La numinosità di questo mistero, a mio avviso, aveva già cominciato ad agire nella sua immaginazione nel tempo dei capitoli finali della Vita nuova e delle prime canzoni, forse in un modo inconscio, forse, come lui stesso direbbe, «quasi come sognando». Si tratterebbe di una attrazione esercitata dalla numinosità e ineffabilità del simbolo che rappresenta la distanza insondabile e, al tempo stesso, l’avvicinamento inconcepibile della divinità e dell’uomo; un mistero che rappresenta anche, come nessun altro, il processo poetico e artistico di creazione nell’uomo. 104 Ineffabilità e incarnazione ROSARIO SCRIMIERI NOTE 1. Questa opzione non impedisce che si possa fare, come ho detto, una lettura della canzone considerata solo dall’interno della dinamica del corpus delle canzoni distese. Si tratterebbe di studiare il processo di creazione in Dante secondo la prospettiva mitica e archetipica del suo tempo dove si sta costellando l’archetipo femminile dell’anima. Da questa prospettiva, la donna sarebbe la manifestazione di un aspetto di questo archetipo, grazie alla sua progressiva presa di coscienza da parte dell’io. Interpretata così, la canzone rappresenterebbe i processi di presa di coscienza di contenuti inconsci e la loro integrazione nell’opera di creazione, grazie all’attività dell’immaginazione. 2. Tranne la prima, Così nel mio parlar vogli’ esser aspro, canzone progettata probabilmente come sesta del trattato del Convivio, e che diventerà canzone proemio del Libro delle canzoni (Tanturli 2003: 264). 3. Rimando specialmente a Barbi-Pernicone (in Alighieri 1969: 398) e allo studio di R. Pinto (2008: 115) che considera le due prime canzoni una manifestazione esemplare della poetica dell’umiltà, in contrapposizione ai testi riconducibili alla cavalcantiana e dantesca poetica del disdegno. 4. La differenza fra la donna gentile della Vita nuova, come figura della filosofia, e la donna delle prime canzoni distese sarebbe quella esistente fra la filosofia e la Sapienza come dono divino; la prima, intesa come ragione votata a guidare la dimensione naturale dell’uomo e le sue esigenze sulla terra; intesa dunque a guidare, secondo ragione, le richieste dell’anima vegetativa e sensitiva; nel caso di Dante nella Vita nuova, tentando di liberarlo dall’invilita vita del lutto. Non per nulla la donna gentile è soprattutto pietosa, e non per nulla sull’episodio della donna gentile gravita la potente presenza di Cavalcanti, esponente della filosofia logico naturale; e la seconda, la filosofia intesa come sapienza dell’intelletto, propria della dimensione soprannaturale dell’anima e accomunante l’uomo alla divinità. Una possibile spiegazione dell’enigmatico rifiuto della donna gentile da parte di Dante nella Vita nuova potrebbe basarsi sull’idea che una esclusiva e unilaterale ascrizione alla logica della filosofia naturale, nella linea cavalcantiana, sigillerebbe irremissibilmente la disintegrazione delle diverse potenze dell’anima. E dunque questo atteggiamento di unilaterale ascrizione alla logica della filosofia naturale è ciò che Dante rifiuta. La condizione di «avversario della ragione» (XXXIX) non si riferirebbe dunque alla donna gentile ma al «gentil pensero» 105 LA BIBLIOTECA DE T ENZONE G RUPO T ENZONE (XXXVIII), legato in modo ossessivo alle ‘ragioni del cuore’, cioè dell’anima sensitiva. Questo atteggiamento, come Dante dice nella prosa del libello, rappresenta l’immoderato ‘appetito’ che si sta destando in lui verso una filosofia intesa esclusivamente come ragione naturale. Se questa donna rappresenta la filosofia nel senso di guida della ragione nella vita terrena dell’uomo, la stessa ragione è cosciente dei propri limiti e comprende che non è ragionevole abbandonarsi a una filosofia guidata in modo esclusivo e unilaterale dalla ragione, come fa Cavalcanti. 5. In questo senso, Leporatti (2009) considera che «dopo aver raccolto un’ampia selezione delle poesie giovanili nella Vita Nuova, consentendo loro di circolare secondo un ordine compatto dotato di un senso organico forte, riesce difficile pensare che Dante non si sia preoccupato del destino della sua produzione lirica successiva, che si orientava sempre più verso la canzone come forma di espressione privilegiata e quasi esclusiva. Abbandonati a un destino individuale, i nuovi testi, per quanto importanti e impegnativi, si sarebbero trovati comunque in una posizione di debolezza rispetto alla solida compagine della “fervida e passionata” opera giovanile» (2009: 105-106). E più avanti l’autore continua: «dopo la Vita Nuova la poesia di Dante non potè più essere la stessa. La composizione del libro non fu una parentesi neutra tra la poesia giovanile e la nuova poesia della maturità, bensì un´esperienza centrale e direi irreversibile: aveva aperto prospettive nuove che non potevano più essere ignorate. Questo, a mio avviso, è confermato da due aspetti: l’evidente tensione intertestuale che caratterizza tutte le più importanti rime successive alla Vita Nuova e una loro potenziale predisposizione al commento» (2009: 106). 6. Così lo promisero le parole di Gesù ai suoi discepoli: «Ma il Paracleto, lo Spirito Santo, che il Padre invierà in mio nome, vi mostrerà tutto e vi farà ricordare tutto quanto vi ho detto» (Giov. 14, 26). 7. In questo senso ricordo ancora una volta Leporatti quando parla della potenziale capacità delle canzoni di divenire parte integrante di un corpus organico (2009: 105-106), sia quello delle canzoni distese, o quello del Convivio. 8. Nel commento del Convivio alla canzone Voi che ‘ntendendo, Dante non menziona l’intertesto evangelico dell’annunciazone dei versi 51-52, che ci consentono di sostenere la nostra interpretazione, ma continua a mantenere implicito il significato cristologico della donna gentile, come figura della seconda persona della Trinità, quando considera questa donna come la «bellissima e onestissima 106 ROSARIO SCRIMIERI Ineffabilità e incarnazione figlia de lo Imperatore de lo universo, a la quale Pittagora pose nome Filosofia» (II, XV, 12), cioè, Figlia del Padre, Logos femminile incarnato sulla terra, come lo era stato Beatrice nella Vita nuova. 9. «In realtà la Sapienza è il ‘pensiero’ di Dio creatore; qui pensò significa piuttosto ‘ideò’, ‘concepì’, ‘ordinò’ nella sua mente. Mosse riassume in un sol verbo /…/ la serie degli atti di Prov. VIII 27-30 (e XV 16): diede ‘moto’ all’universo» (De Robertis in Alighieri 2005: 49). 10. È da notare il parallelismo esistente fra i termini che usa Dante per spiegare nel suo commento l’avverbio «disïosamente»: «dico poi disïosamente, a dare ad intendere la sua continuanza e lo suo fervore» (Convivio III, III, 12), e gli avverbi con cui Sant’Agostino rappresenta il desiderio di conoscenza nel passo che stiamo citando: «quod si ardenter et instanter vult» (IX, 12, 18). 11. «Cur itaque amando se non genuisse dicatur amorem suum; sicut cognoscendo se genuit notitiam suam» (IX, 12, 18). 12. In questo senso, è importante mettere in rapporto queste parole di Sant’Agostino con il verso 26 della canzone: «quando Amor fa sentir della sua pace», e con il verso 60 di Amor che movi la tua vertù dal cielo: «che negli occhi porta la mia pace», dove «pace», intesa come riposo nel fine desiderato, si può interpretare allegoricamente come pacificazione dell’intenso desiderio di conoscere nell’atto della speculazione filosofica, come Dante spiega nel Convivio: «che de la pace di questa donna non fa lo studio [sentire] se non ne l’atto de la speculazione» (III, XIII, 7). Il testo agostiniano continua: «Qui appetitus, id est, inquisitio, quamvis amor esse non videatur […] tamen ex eodem genere quiddam est. Nam voluntas iam dici potest, quia omnis qui quaerit invenire vult; […] Quod si ardenter atque instanter vult, studere dicitur» (De Trinitate III, 12, 18). («E questo appetito, cioé, ricerca, anche se non sembra ancora amore /…/ partecipa in certo modo del suo genere. E la si può già chiamare volontà, perché chiunque cerca, vuole trovare. […] E se con ardore e continuità lo desidera, si chiama studio»). 13. Dante in Paradiso XXXIII, 14-126 raggiunge la rappresentazione poetica piena dell’idea della trinità agostiniana: «O luce etterna che sola in te sidi, / sola t’intendi, e da te intelletta / e intendente te ami e arridi!». 14. Si tratterebbe di un desiderio che è stato sublimato, se parliamo secondo la psicologia di Freud; o di un desiderio la cui energia non è un derivato istintivo ma punta direttamente verso un bersaglio spirituale, secondo la prospettiva di Jung, per cui il principio spirituale, in senso stretto, non sarebbe antagonistico 107 LA BIBLIOTECA DE T ENZONE G RUPO T ENZONE all’istinto: «anche lo spirito si manifesta nella psiche come istinto, più ancora come una vera passione; o come Nietzsche lo espresse una volta. “come un fuoco consuntivo”. Lo spirito non è un derivato istintivo, come pretende la psicologia degli istinti, ma un principio sui generis: quello della forma imprescindibile per l’energia istintiva”» (Jung 2004: 60). (La traduzione è mia). E in altra sede Jung afferma: «spesso, nei casi concreti, è quasi impossibile affermare cosa è spirito e cosa è impulso. Ciò che troviamo è una mescolanza inseparabile di ambedue, un vero magma procedente dalle profondità del caos originale» (Jung 2006: 169). (La traduzione è mia). 15. Il passo di San Giacomo dice: «Non est enim ista sapientia de sursum descendes, sed terrena, animalis, diabolica». San Tommaso cita l’espressione «de sursum descendes» quando distingue fra saggezza come dono divino dello Spirito Santo e saggezza acquisita attraverso lo studio (Summa Theologiae II-II, q. 45, a. 1, ad 2). 16. E anche: «Ma il Paraclito, lo Spirito Santo, che il Padre invierà in mio nome, vi insegnerà tutto e vi farà ricordare tutto quanto vi ho detto» (Giov. 14, 26). 17. «Sabiduría que es coeterna contigo, Dios mío, e igual a ti que eres su Padre, por la cual fueron creadas todas las cosas, el Principio en el cual creaste el cielo y la tierra» (Confesiones XII, 15) 18. «Me refiero a aquella sabiduría creada, o sea la naturaleza intelectual, que es luz por la contemplación de la Luz. […] La misma distancia que existe entre la luz iluminadora y la luz reflejada existe entre la sabiduría [increada] creadora y esta sabiduría creada» (Confesiones XII, 15, 20). Si tratta tuttavia di una saggezza che può anche digradarsi, come osserva Sant’Agostino, perche «existe en ella la posibilidad misma de cambio. Esta posibilidad de cambio o mutabilidad la llevaría, por consiguiente, a caer en las tinieblas y en el frío, si no fuera por el grande amor que la vincula contigo y la hace brillar y arder de ti en una especie de mediodía eterno» (Confesiones XII, 15, 21). In questo senso, è importante non dimenticare la distinzione che fa la teologia fra la saggezza che si ottiene per adquisitionem e quella che si raggiunge per donum, distinzione che rende ‘equivoca’ la saggezza: «aequivocatio est in sapientia, ut dictum est». Così: «sapientia quae ponitur donum Spiritus Sancti differt ab ea quae ponitur virtus intellectuallis acquisita. [...] haec autem est “de sursum descendens”, ut dicitur Jac. 3, 15. […] Et ideo donum sapientiae praesupponit fidem» (Summa Theolo- 108 ROSARIO SCRIMIERI Ineffabilità e incarnazione giae II-II, q. 45, a. 1, ad 2). Il versicolo di San Giacomo 3, dice: «non este enim ista sapientia de sursum descendens, sed terrena, animalis, diabolica». (Vid. per tutta questa problematica Singleton 1978: 282 e ss). Non si deve dimenticare questa possibilità di cambiamento o mutabilità della saggezza creata, ovvero, la sua possibilità di «cadere nelle tenebre e nel freddo», perché proprio nella dinamica delle canzoni di Dante, a partire della settima, Al poco giorno ed al gran cerchio d’ombra, le cosiddette canzoni invernali, appare una trasformazione dell’amore e della donna che può essere interpretata come «caduta nell’oscurità e nel freddo». 19. Singleton in questo aspetto osserva: «la Sapientia […] è un dono di Dio […] discende dall’alto, innalzando l’uomo /…/. La Sapientia è quindi uno dei modi in cui Dio può manifestarsi in una creatura razionale. Come tale, essa è qualcosa di creato e rappresenta il modo in cui la creatura partecipa alla Sapientia increata, che è il Figlio. Come si vede, ci sono valide motivazioni teologiche perché Beatrice, venendo come Sapientia creata, de sursum descendens, debba rivelare la somiglianza con Cristo che infatti rivela» (Singleton 1978: 282-283). Il ragionamento di Singleton sulla Beatrice della Commedia, come Sapientia creata, è molto simile a quello nostro sulla donna delle prime canzoni di Dante. Qui la donna è figura della saggezza che, come dono divino, si incarna in ogni anima, dunque, saggezza creata; mentre, invece, la Beatrice della Vita nuova, interpretata in senso simbolico cristico, a mio avviso, sarebbe piuttosto figura di Cristo, della saggezza increata e delle vicissitudini della seconda persona della Trinità nel tempo della sua incarnazione sulla terra e, dopo la sua morte, nel suo ritorno al seno della vita trinitaria. La differenza dunque del senso della Beatrice della Commedia e quella della Vita nuova si fonderebbe, a mio avviso, in queste considerazioni. 20. Una tecnica che si mostrava già in germe nella Vita nuova (Scrimieri 1999). 21. Questa trasformazione cristica del soggetto si attua in Io sento sì d’amor la gran possanza, nei versi: «ché nullo amore è di contanto peso / quanto quel che la morte / face piacer per ben servire altrui. / Ed io ´n cotal voler fermato fui» (vv. 36-39). Questi versi lasciano trasparire l’intertesto evangelico di San Giovanni (XV, 13): «Maiorem hac dilectionem nemo habet, ut animam suam ponat quis pro amicis suis», e la qualità di un amore non presente nelle canzoni precedenti; mostrano nel soggetto poetico una trasformazione che ha come punto di riferimento il mistero dell’incarnazione di Cristo nell’anima. Purtroppo dopo questa 109 LA BIBLIOTECA DE T ENZONE G RUPO T ENZONE canzone, a partire delle canzoni invernali, centrali nelle distese, si verificherà un crollo tematico di grande rilevanza dove il paradigma della Vita nuova e delle prime canzoni non potrà più sostenersi come punto di riferimento dell’interpretazione. 110
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