VIVERE CON LA SPADA

La VOCE ANNO XVI N°9
maggio 2014
PAGINA a - 25
VIVERE CON LA SPADA
Ci è sembrato utile e interessante portare all’attenzione dei nostri cari
lettori un " testo importante boicottato in tutto il mondo dalle lobby
ebraiche per il suo valore di verità sui crimini dei sionisti.", come
afferma il compagno Diego Siracusa, che ne ha curato traduzione e
introduzione della edizione in lingua italiana, e che ha una prefazione di
Noam Chomsky: VIVERE CON LA SPADA,di Livia Rokach, uno studio
basato sul diario di Moshe Sharett, edito da Zambon.
Vergogna alla manifestazione del 25 aprile. Aggrediti i palestinesi, spezzato il corteo
Comunicato stampa
Il corteo ufficiale per il 25 Aprile a Roma, è stato oggi testimone di un episodio gravissimo.
La delegazione palestinese e le reti solidali con la Palestina si stavano concentrando al Colosseo per partecipare
come tutti gli anni alle manifestazioni che celebrano la Resistenza e la Liberazione dal nazifascismo. Ma i palestinesi e
gli attivisti sono stati aggrediti da una quarantina di squadristi della comunità ebraica romana, non nuovi ad episodi di
aggressione come questa. Si è scatenato un corpo a corpo impari, da una parte giovani palestrati tra i 25 e i 40
anni, dall’altra donne, mannifestanti anche di una certà età, attivisti.
Ad aggravare le cose è stato l’atteggiamento delle forze di polizia che si sono schierate in mezzo – ovviamente
rivolte contro gli aggrediti e non contro gli aggressori. Questo fatto ha consentito agli squadristi di agire a proprio
piacimento, con incursioni che – passando in mezzo alla fila degli agenti - prelevavano gli attivisti filopalestinesi e li
trascinavano tra le loro file per essere pestati.
A quel punto l’Anpi ha fatto partire lo stesso il corteo – con lo striscione e la bandiera israeliana ben visibile e
“scortata” dai gorilla della comunità – ed ha fatto sì che la polizia tenesse fuori e bloccato lo spezzone con le
bandiere palestinesi.
Diversi gruppi di manifestanti – esponenti del Pdci, Prc, Pcl e altri – sono rimasti per solidarietà insieme allo spezzone
palestinese. Lo stesso ha fatto un circolo dell’Anpi (quello universitario dedicato a Walter Rossi).
Eppure dieci giorni fa c’era stato proprio un incontro tra i palestinesi, le reti solidali e l’Anpi per concordare la
partecipazione al corteo della Liberazione. Evidentemente nelle manifestazioni che celebrano la Resistenza e la
Liberazione si è preferito avere nel corteo la bandiera dell’oppressione (quella dello Stato di Israele e non solo quella
della brigata Ebraica che ha invece titolo per essere nella manifestazione) ma non quella di una lotta popolare di
Liberazione (quelle palestinesi).
Oggi è stata una vergogna per la giornata del 25 aprile, una vergogna anche per l’Anpi. Un nuovo episodio da
aggiungere al lungo dossier sull’impunità da parte di polizia e magistratura di cui gode lo squadrismo nella città di
Roma.
Roma, 25 aprile 2014
Reti di solidarietà con il popolo palestinese
La VOCE ANNO XVI N°9
maggio 2014
PAGINA b - 26
Diradando la nebbia sull’uso dei droni israeliani a Gaza
I media stranieri sostengono che Israele usa i droni per incursioni sulla Striscia [di Gaza]. Un ricercatore palestinese respinge la tesi che
tali attacchi siano ’chirurgici’.
di Am ira Hass
Haare tz 1, Mar.2014
In una sala confe re nze de lla città di R am allah in C isgiordania, sotto un grande ritratto de gli inizi de l XX° se colo, de lla rivoluzionaria e bre apolacca R osa Lux e m burg, la scorsa se ttim ana si è te nuta una discussione sull’uso da parte de gli Stati Uniti e di Israe le di ve icoli ae re i
se nza e quipaggio pe r la ricognizione e pe r l’attacco. I parte cipanti hanno anche parlato de i m odi pe r contrastare que sta m odalità di gue rra
"alla vide o gam e ", com e l’ha de finita un rice rcatore di Gaza.
Il dibattito è com inciato [con una re lazione ] de lla com pone nte pale stine se de lla R osa Lux e m burg Foundation, un istituto te de sco
"im pe gnato pe r il socialism o de m ocratico", affiliato, pur rim ane ndone indipe nde nte , al partito te de sco Die Link e .
L’e sposizione fa rife rim e nto allo studio com m issionato dalla se de di R am allah al Dr. Ate f Abu Saif, doce nte di scie nze politiche alla
Unive rsità Al-Azhar di Gaza, pe r far fronte a una lacuna [pre se nte ] ne lla rice rca. Me ntre m olti Stati com e anche le Nazioni Unite hanno
studiato il se m pre più criticato uso di attacchi con i droni, i dati sull’im pie go di que sti ne lla Striscia di Gaza da parte di Israe le non sono
disponibili, alm e no non pe r la ge nte com une .
Se condo studi stranie ri e pale stine si, l’aviazione israe liana utilizza in m odo inte nsivo i droni ne i suoi attacchi su Gaza, m a le autorità
m iltari israe liane non hanno m ai confe rm ato l’im pie go di tali siste m i d’arm a. Il rapporto di Abu Saif "Insonnia a Gaza, la gue rra israe liana
con i droni contro Gaza" si aggiunge a studi e rice rche de i m e dia inte rnazionali ne l confutare l’affe rm azione , da parte de i fabbricanti e de i
pae si che li utilizzano, che i droni e ffe ttuino “attacchi chirurgici” che non coinvolgono la popolazione civile innoce nte o che le causano i
m inori danni possibili.
L’am m inistrazione O bam a, pe r e se m pio, ha affe rm ato in dive rse occasioni che le vittim e civili da un attacco di drone , se ci sono , si
contano sulle dita di una m ano. Se condo una se rie di studi am e ricani e britannici, i dati re ali sono m olto più alti.
In asse nza di rapporti ufficiali statunite nsi o israe liane sul loro uso di droni, incluse le cifre sulle vittim e , le organizzazioni inte rnazionali e
pale stine si hanno im parato a ide ntificare gli attacchi de i droni sulla base de lle fe rite infe rte , de lle sche gge trovate in loco e de i te stim oni
oculari che hanno rife rito di ave r visto o udito ve icoli in volo prim a e durante l’attacco.
"E ’com e un vide ogioco, m a è con noi e con le nostre vite che stanno giocando", ha de tto Abu Saif, che raccom anda una inte grazione de lla
docum e ntazione e un aggiornam e nto de lle vittim e da droni ne lla Striscia. Abu Saif scrive che in base alle stim e , durante i 23 giorni
de ll’ope razione Piom bo Fuso ne l 2008-09, Israe le ha e ffe ttuato 42 attacchi con droni che hanno ucciso 87 civili, tra i quali 29 bam bini. Altri
73 civili sono rim asti fe riti in que sti attacchi. Durante l’ope razione “C olonne di dife sa” (nove m bre 2012), gli attacchi de i droni israe liani
hanno ucciso 36 pale stine si, di cui 24 e rano civili (quattro de i quali bam bini).
Sulla base de lle stim e de l C e ntro pe r i Diritti Um ani Al-Me zan con se de a Gaza, e de l C e ntro pale stine se pe r i diritti um ani di Gaza, m e ntre
le incursioni ne l nove m bre 2012 sono stati il 5 pe r ce nto di tutti gli attacchi israe liani, i droni sono stati re sponsabili de l 20 pe r ce nto de i
de ce ssi (36 su 178).
Basandosi su una se nte nza de lla C orte pe nale inte rnazionale riguardante i crim ini com m e ssi in Jugoslavia, Abu Saif sostie ne che gli
om icidi m irati di pe rsone quando sono con le loro fam iglie o occupate in qualche attività civile , giustificati con la te si che e rano
"com batte nti" ne l passato o probabilm e nte pronti ad e sse rlo anche in futuro, è im m orale e ille gale . All’e ste ro cre sce se m pre di più
ne ll’opinione pubblica la critica ne i confronti de lla facilità con cui "qualcuno se duto in un ufficio clim atizzato, all’inte rno di una base m ilitare
lontano dal te atro de lle ope razioni, studia le inform azioni e analizza le foto raccolte e de cide che la vita di qualcun altro de ve finire ", scrive
Abu Saif.
Abu Saif è andato anche oltre le que stioni solle vate da altri rice rcatori. Ad e se m pio, se i droni sono così pre cisi che chi li guida può sape re
qualè il colore de l ve stito indossato dal be rsaglio, com e è possibile che siano fe riti e uccisi così tanti civili? Una de lle risposte è che ,
se condo i rapporti e ste ri e pale stine si, i droni non pre ndono di m ira solo i be n de finiti uom ini arm ati o que lli rite nuti "com batte nti" sulla
base di inform azioni di inte llige nce , m a anche que i com portam e nti o azioni che i com andanti de lla cam e ra di controllo inte rpre tano com e
corre late ad azioni te rroristiche . Pe r e se m pio andare in m oto, o il form arsi di un gruppo di pe rsone in un luogo ape rto (che potre bbe ro
e sse re agricoltori), passare il te m po sul te tto (bam bini che giocano o che danno da m angiare ai piccioni) o il trasportare ogge tti lunghi.
Tali attacchi sono chiam ati "colpi con la firm a", scrive Abu Saif.
La rice rca di Abu Saif inte gra le inform azioni re se pubblicam e nte disponibili su Inte rne t dai fabbricanti di arm i israe liani, grazie alle indagini
da parte di gruppi pale stine si e israe liane pe r i diritti um ani sulle vittim e di attacchi israe liani, agli studi inte rnazionali, alle inform azioni de i
m e dia, alle inte rviste e alle e spe rie nze dire tte .
Se condo Abu Saif, il drone che ronza fre que nte m e nte in sottofondo appartie ne alla vita quotidiana di Gaza. Ma quando il ronzio de l drone
(chiam ato "zanana" ne l diale tto arabo) aum e nta, la vita quotidiana si inte rrom pe bruscam e nte , le pe rsone cre dono che si tratti de l
se gnale di un im m ine nte attacco e non hanno m odo di sape re se si trovano vicino al be rsaglio o se e ssi ste ssi lo sono a causa de l loro
com portam e nto "sospe tto". Scolari e stude nti trovano difficoltà a conce ntrarsi, soprattutto durante i pe riodi de gli e sam i, m olti soffrono pe r
la ricom parsa di traum i passati e la fam iglia e gli incontri sociali si dispe rdono rapidam e nte . "Attrave rso il loro utilizzo di droni, [gli
israe liani] sono pre se nti pe rsino ne lle cam e re da le tto de lla ge nte di Gaza," Abu Saif cita que llo che ha de tto il dire ttore di Al-Me zan Esam
Younis. La giornalista Asm a al-R oul è citata ne lla ste ssa m anie ra: "Mi se nto com e se fossi nuda. Il drone ve de tutto que llo che faccio".
Abu Saif condivide la conclusione di m olti rice rcatori, scrittori e osse rvatori che i te rritori occupati da Israe le ne l 1967, in particolare la
Striscia di Gaza, sono dive ntati un laboratorio pe r la spe rim e ntazione de lle arm i. Succe ssi ope rativi sulla pe lle de i pale stine si aum e ntano il
valore di que sti ordigni sul m e rcato globale de lle arm i, che è il m odo in cui Israe le è dive ntato uno de i principali e sportatori di arm i de l
m ondo, in particolare di droni, scrive Abu Saif. "Di conse gue nza, la com unità inte rnazionale , e soprattutto l’Europa, parte cipa in m olti m odi
dive rsi alla gue rra di Israe le con i droni contro i pale stine si a Gaza."
Abu Saif è nato ne l cam po profughi di Jabalya da una fam iglia e spulsa da Jaffa ne l 1948. E’ riuscito a com ple tare i suoi studi unive rsitari di
prim o grado pre sso l’Unive rsità Bir Ze it, prim a che Israe le lim itasse e poi im pe disse de l tutto agli stude nti unive rsitari prove nie nti da Gaza
di andare in C isgiordania. È andato all’e ste ro, in Inghilte rra e in Italia, pe r[com ple tare ] i suoi studi unive rsitari. In re altà Abu Saif non e ra
pre se nte alla riunione di R am allah, non ave ndo rice vuto il pe rm e sso dalle autorità israe liane di ve nire in C isgiordania. Ha fatto la sua
pre se ntazione in un vide o pre re gistrato e ha pre so parte alla discussione attrave rso Sk ype .
Q uando gli è stato chie sto da Haare tz in che m odo la gue rra te cnologica ad alto conte nuto di innovazione di Israe le incide sull’opzione
pale stine se pe r la lotta arm ata, ha risposto: "A m io pare re , con que sto pote re m ilitare m olto sbilanciato, è la lotta politica che può portare
frutti. Ma suppongo che ci siano pe rsone , che l’uso inte nsificato de i droni da parte di Israe le li spinge se m plice m e nte a proge ttare e
im m aginare il lancio di più razzi al di la de l m uro ve rso Israe le . "
La VOCE ANNO XVI N°9
maggio 2014
PAGINA c - 27
Non c’è posto al
mondo più
militarista e
razzista di
Israele
14 febbraio 2014
Marco Santopadre
A denunciarlo sono la refusenik Sahar
Vardi e l’ex soldato di Tsahal Micha
Kurz (nella foto). Entrambi, israeliani, si
scagliano contro la ‘politica del terrore’
con la quale il paese in guerra
permanente educa e condiziona tutta
la società.
Anche loro, fin da piccoli, hanno
respirato la cultura colonialista e
militarista alla quale però ad un certo
punto hanno detto no. A prezzo di
enormi sacrifici. Sahar Vardi ha pagato
carissima la sua scelta di rifiutarsi di
entrare nell’esercito israeliano per
prestare il servizio militare.
La ragazza di Gerusalemme è passata per le prigioni militari per ben 3 volte, nonostante la giovane età, trattata dallo
Stato e dalla società nel suo complesso come una traditrice. Alla fine è scampata alla persecuzione della
magistratura solo perché definita ‘malata di mente’ e quindi esentata dal prestare servizio nell’esercito.
Micha Kurz, anche lui di Gerusalemme, ha combattuto nelle truppe con la Stella di David, più che altro durante la
Seconda Intifada, contro palestinesi inermi e spesso giovanissimi. Poi però gli si è accesa una lampadina ed ha
abbracciato la causa della resistenza Palestinese all’occupazione e della denuncia delle discriminazioni israeliane.
A parlare di loro è oggi un lungo articolo del quotidiano spagnolo Publico, che dà voce ai due israeliani dissidenti in
questi giorni a Madrid per tenere delle conferenze sulla situazione in Israele e in Medio Oriente. Spiegano al
giornalista che li intervista come la stragrande maggioranza degli israeliani vivano la loro intera vita senza conoscere
– e senza preoccuparsi di conoscere – le reali implicazioni dell’occupazione dei territori palestinesi. E’ una
conseguenza di quella che chiamano ‘politica della paura’ inculcata ai cittadini ebrei dello stato dalla culla alla morte.
“Siamo cresciuti all’epoca della Seconda Intifada. Ci raccontavano che il mondo intero voleva la nostra morte, che ci
avrebbero ucciso per strada” dice Vardi, che ha incontrato per la prima volta un palestinese a 12 anni, in un villaggio
palestinese distante appena 15 minuti da casa sua. Kurz, invece, ricord di non aver mai interagito con un palestinese
in vita sua finché non li ha cominciati a ‘frequentare’ ma da soldato, da occupante, da aguzzino. “Sono cresciuto
senza conoscere un solo palestinese, senza aver mai visto uno dei loro quartieri, senza aver visto mai neanche un
colono ebreo, senza sapere cos’era una colonia e cosa significava. La prima volta che ho avuto a che fare con
l’occupazione è stato quando ho messo la divisa” ricorda il giovane dissidente. Che poi spiega: “Gli israeliani vivono
terrorizzati, un esempio è una canzone che si canta durante la Pasqua ebraica un verso della quale recita ‘in ogni
generazione c’è qualcuno che vuole sterminarci’”. Kurz punta il dito con un’educazione basata sulla militarizzazione a
sua volta giustificata da elementi del linguaggio biblico. “Sei circondato da simboli militari fin da quando stai in un
asilo nido” aggiunge Vardi secondo il quale l’ideologia ufficiale israeliana impone il messaggio secondo il quale “occorre
sopravvivere attaccando per primi”.
Entrambi affermano che la critica all’interno della società israeliana è debole e minoritaria e che l’unico modo di
sostenerla è esercitando pressioni internazionali su Israele, anche attraverso il rafforzamento delle campagna BDS
(Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni) che può mettere in discussione l’equilibrio precario sul quale si poggia il
cosiddetto ‘stato ebraico’.
La VOCE ANNO XVI N°9
maggio 2014
PAGINA d - 28
CISGIORDANIA, 20 anni fa la strage di Hebron
22 feb 2014
La Città dei Patriarchi ricorda i 29 palestinesi uccisi dal colono Baruch Goldstein venti anni fa. La popolazione chiede che la zona
H2, controllata da esercito e coloni israeliani, torni a vivere. A cominciare da Shuhada Street, ora una via fantasma. A Tel
Rumeida i settler avviano “scavi archeologici” rendendo prigioniera una intera famiglia, gli Abu Haikal
di Michele Giorgio – Il Manifesto
Hebron, 22 febbraio 2014, Nena News – Fidaa Abu Hamdiyyeh era alla Tomba dei Patriarchi quel 25 febbraio. «Avevo 12 anni,
con le mie tre sorelle e mio padre andammo a pregare prima dell’alba», racconta con voce rotta dall’emozione. «Ricordo che
nell’aria c’era qualcosa di strano – prosegue Fidaa -, i soldati (israeliani) all’ingresso della moschea avevano assegnato a noi
donne uno spazio diverso da quello abituale. Papà ci salutò e andò a pregare con gli uomini». Poi scoppia l’inferno nel luogo
dove, secondo la tradizione, riposano i patriarchi e le matriache delle tre fedi monoteistiche. «All’improvviso – aggiunge Fidaa
– ci fu un boato, poi le raffiche di un’arma, seguite da urla e dalla fuga degli uomini che scappavano in preda al panico.
Tornammo di corsa a casa ignare dell’accaduto, nostro padre rientrò dopo due ore». Fidaa e le sue sorelle appresero dalla
madre che un colono, Baruch Goldstein, un medico del vicino insediamento ebraico di Kiryat Arba, era entrato nella moschea e
aveva aperto il fuoco sui palestinesi in preghiera, uccidendone 29. Fu poi sopraffatto e linciato dagli altri fedeli inferociti. Oscuri
i motivi della strage. A Kiryat Arba Goldstein fu sepolto come un eroe, in una tomba divenuta con il tempo una sorta di
mausoleo dove i coloni più militanti e gli ultranazionalisti ancora oggi vanno a rendergli omaggio.
Hebron ricorda quei morti 20 anni dopo e chiede che sia rimarginata la ferita della sua divisione in due parti, H1 e H2, sfociata
nella chiusura di strade e centinaia di negozi arabi nella zona (H2) dove molte migliaia di palestinesi vivono di fatto in balia di
rigidissime misure restrittive applicate dall’esercito israeliano a protezione di 600 coloni ebrei insediati a ridosso della Tomba
dei Patriarchi. Coloni giunti negli anni passati da diverse parti del mondo, dagli Usa all’Europa orientale, che affermano di avere
diritti “biblici” sulla città, prevalenti su quelli di famiglie arabe che da secoli vivono stabilmente a Hebron. Migliaia di palestinesi
ieri hanno manifestato affinché la zona H2 non sia più una città fantasma, che la casbah torni a ripopolarsi e, soprattutto, che
torni alla vita Shuhada Street, fino al 2000 principale via commerciale della Hebron antica. Guidati da Issa Amro di “Giovani
contro gli insediamenti” (Gci), dal deputato Mustafa Barghouti e dai leader dei comitati popolari, sostenuti da dozzine di attivisti
internazionali e israeliani, i manifestanti palestinesi hanno raggiunto gli ingressi della zona H2 dove i soldati li hanno respinti
con granate assordanti, lacrimogeni e proiettili di gomma. Alcuni manifestanti sono stati arrestati e feriti.
Ci sono due momenti centrali che permettono di capire le ragioni della tragedia quotidiana di Hebron. Il primo risale all’aprile
1968, quando il rabbino ultrasionista Moshe Levinger assieme a un manipolo di suoi studenti chiese all’esercito – che aveva
occupato i Territori palestinesi meno di un anno prima – di poter trascorrere la Pasqua ebraica a Hebron. Non sono mai più
andati via e hanno dato luce verde alla colonizzazione della città. Il secondo è la strage compiuta da Baruch Goldstein. Quella
carneficina non mise fine alle pretese e alle imposizioni dei coloni, al contrario ha aperto la strada alla divisione “termporanea”
di Hebron in H1 e H2 (sotto controllo israeliano), sancita dall’accordo Israele-Olp del gennaio 1997. Le conseguenze di
quell’intesa Feryal Abu Haikal, 68enne ex direttrice di un istituto scolastico, le vive sulla sua pelle ogni ora, minuto e secondo
della sua vita.
«Viviamo a Tel Rumeida e i coloni di recente hanno iniziato lo scavo archeologico su dei nostri appezzamenti di terra dove,
affermano, ci sarebbero delle tombe antiche (di Yishai e di Ruth la Moabita). Su quelle terre però ci sono le quattro case della
mia famiglia», racconta Feryal con tono preoccupato. «A inizio gennaio i coloni hanno tagliato una cinquantina di mandorli e
altri alberi. Ogni giorno ne capita una nuova, vogliono renderci la vita impossibile e costringerci ad andare via», aggiunge
l’anziana direttrice. Gli scavi, in corso accanto alle case palestinesi, sono finanziati con oltre un milione di euro dal ministero
israeliano della cultura e sport ed eseguiti dall’Autorità Israeliana per le Antichità e dall’Università di Ariel (una colonia). Il fine
è quello di dare vita a un “parco archeologico” simile a quello che i coloni di Gerusalemme hanno creato tra le case palestinesi
a Silwan. Secondo l’associazione israeliana “Breaking the Silence” l’archeologia serve a sdoganare le colonie di Hebron, a
renderle attraverso il turismo “ufficiali” agli occhi del resto degli israeliani.
«Era già un tormento continuo avere i coloni accanto – spiega Feryal – siamo costretti dal 2002 ad attraversare posti di blocco
tutte le volte usciamo o rientriamo in casa. I controlli avvengono proprio davanti alla nostra abitazione», aggiunge Feryal. Se il
progetto del “parco archeologico” andrà avanti per gli Abu Haikal si farà ancora più complicato. «Nei giorni scorsi – riferisce
Feryal – un gruppo di coloni ha attaccato le nostre case e quelle dei vicini lanciando dei sassi e hanno distrutto i vetri di otto
finestre. Mio nipote è stato arrestato solo per essere passato per l’area degli scavi».
«Il problema non è solo la vicinanza dei coloni, i posti di blocco, lo stretto passaggio che ci hanno lasciato per l’ingresso di
casa. Siamo oppressi anche dal modo in cui pensano e ci vedono questi estremisti», sottolinea l’anziana palestinese ricordando
che tra i suoi scomodi vicini c’è anche Baruch Marzel, l’ex portavoce del gruppo razzista Kach, incluso nell’elenco delle
organizzazioni terroristiche di Usa, Ue, Canada e dello stesso Stato di Israele. L’anziana direttrice di scuola in ogni caso non ha
alcuna intenzione di arrendersi. «I coloni non riusciranno a mandarci via, abbiamo resistito tanti anni e resisteremo ancora,
nelle nostre case». Nena News