La Suffitta n. 46, anno 12 - Associazione Magister Arrone

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Ass. MAgiSTER
Via Pie’ d’Arrone
ARRONE (TR)
E-Mail
[email protected]
Fax: 0744 401358
Anno 12, Numero 46
Periodico di cultura, folklore e tradizioni della Comunità Arronese
Eremiti in Valnerina
di Vincenzo Locci
Sommario:
Personaggi arronesi
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I nostri soci scrivono
4-5
Pubblicità
6
In ricordo di Marco
7
Poesie
8-9
Modi di dire
marzo 2014
10-11
Rassegna stampa
12
Racconti
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La Foto
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INSERTO SPECIALE:
Conte Enrico di Campello
Assemblea dei Soci
Sabato 1 marzo
alle ore 18.00
Presso la Chiesa della
Madonna della Quercia
__________________
Alle ore 20.00
al ristorante
"La mola bella"
Pizza e birra per tutti
Nel IV° e V° secolo vi fu, in Umbria, una forte immigrazione
di Siriani, che si dedicarono ad una attività mistica ma anche
di evangelizzazione. La emigrazione dei Siriani è da collegare
con le violente dispute, fra cristiani, ortodossi e i monofisiti
(dottrina teologica che riconosce in Cristo la sola natura
divina) che erano seguite in Medio Oriente, dopo il Concilio di
Caledonia del 451.
La Valle del Nera, per la solitudine degli anfratti naturali, fu
prescelta dagli eremiti al pari del deserto degli anacoreti
egiziani. La vita degli eremiti comprendeva non solo la vita
anacoretica (solitaria) ma anche cenobitica (semicomunitaria)
in una Laùra (unione di una decina di eremi).
I siriani giunti in Umbria con le loro famiglie formarono
Laùre di liberi anacoreti a Monteluco in Valle Castoriana, in
Valle Suppenga (S.Pietro in Valle) ed in Valnerina. Secondo il
I° Leggendario (f.134) del XII secolo (Arch. Capit. Spoleto), al
tempo del papa Ormisda, che si dedicò a superare i contrasti
con Costantinopoli e del re ostrogota Teodorico, fautore di
una politica di integrazione tra i romani e i barbari, S.
Lorenzo Siro, detto Illuminatore, dopo la sosta a Roma per la
benedizione del Papa, attraverso la Flaminia, giunse in
Umbria.
Si ritirò presso CASTEL DI LAGO e nel 521 fu eletto
superiore degli èremi, dirigendo la Laùra di Monteluco per un
ventennio. Nel 541, quando il vescovo di Spoleto, Giovanni, fu
decapitato dai Goti, il papa Vigilio lo elesse vescovo di
Spoleto.
Nel 552, dopo 11 anni di episcopato, si ritirò in Sabina ove
fondò l’abbazia di Farfa sotto la regola di S. Benedetto.
Fondò pure un monastero a Penolaco vicino al lago Velino,
dopo aver distrutto un tempio pagano dedicato alla dea
Vacuna; sarebbe morto nel 576.
Da Umbria mistica
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Figure arronesi
di Vincenzo Locci
ANGELA CRESCENZI
( Angelina “La postina”)
Nasce ad Arrone il 09/01/1922 da Agnese Monti e da Augusto. Angela ha
proseguito l’attività di “postina” iniziata dai suoi avi sin dal 1852 , al momento
dell’introduzione dei francobolli nello Stato Pontificio; infatti all’epoca veniva
distribuita dal “procaccia” Monti Domenico, poi dopo l’unità d’Italia, dal figlio
Monti Mariano, successivamente dalla figlia Monti Agnese e dal marito
Crescenzi Augusto.
Angelina iniziò a distribuire la posta subito dopo la morte della madre, avvenuta
il 24 giugno del 1937; aveva solo quindici anni ed inizialmente , per circa tre
anni, condivise il lavoro con il padre Augusto
La zona, che le era stata assegnata dalle Poste , era molto vasta e la quantità
giornaliera della corrispondenza era notevole; in quel periodo tutte le
comunicazioni avvenivano tramite il servizio postale, che copriva gli angoli più
remoti del territorio.
Ha svolto tale lavoro con scrupolosità, responsabilità e con alto senso del
dovere; rimaneva molto preoccupata ed ansiosa quando non riusciva a
recapitare la posta, specie nelle frazioni, perché riteneva tale consegna molto
importante.
Il suo lavoro non aveva un orario, ma Lei con sacrificio andava oltre quello
stabilito dalle poste, pur di riuscire a svuotare la sua capiente, pesante borsa di
cuoio, appesa alla sua inseparabile bicicletta; infatti, senza straordinario, quasi
tutti i giorni , in fondo alla discesa del “Borgo” aspettava le persone che
ritornavano a casa a fine turno dagli stabilimenti, per consegnarli la loro
corrispondenza.
Si ricorda che a volte ,qualcuno, nel ricevere la corrispondenza le diceva
“Ngilinè”, ma chi m’ha scrittu” e lei rispondeva “Lu delegatu de Spoleto” (cioè
la massima autorità politico-amministrativa dello Stato Pontificio a cui il
territorio era stato soggetto fino al 1860; retaggio dell’esperienza postale
secolare dei suoi ascendenti).
Sposata con Giuseppe Angelini, ha avuto due figli Alvaro e Mario.
La stessa, pur assorbita dalla propria attività, ha sempre avuto la forza e la
volontà di dedicarsi alla famiglia, senza trascurare le incombenze quotidiane del
lavoro casalingo
Chiunque l’ha conosciuta la ricorda con simpatia e con stima, essendo stata una
persona affabile, sociale e cortese con tutti.
Purtroppo ha dovuto lasciare il lavoro nel 1982 per accertata inabilità fisica a
causa di servizio, ricevendo, dall’Amministrazione delle Poste e
Telecomunicazioni, l’Attestato di Benemerenza per il lodevole servizio prestato
nell’interesse del Paese, in data 31/07/1983 (N°36851), con la relativa consegna
della Medaglia d’Argento di S.Gabriele (Patrono delle Poste).
Ha concluso la sua vita terrena il 14 marzo 2007 e riposa nel cimitero di Arrone.
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Fotografia
La postina
I soci scrivono
Flavio Frontini
ORIGINE DEL NOME DI ARRONE
Faccio seguito alla nota di Paolo Valentini sul giornalino “La Suffitta” n.43 per
suggerire una seconda ipotesi sull’argomento.
Si tratta della presenza, nel dialetto della bassa Valnerina, cioè della parte più
vicina alla conca ternana e precisamente nell’arronese del sostantivo ARRONE,
nome del sostegno morto della vite.
Si tratta di un palo singolo che si differenzia dalla piagnola (o peagnola , da picu,
piede) che consisteva in due pali incrociati, capaci di sostenere meglio i tralci
della vite nel pieno del suo vigore vegetativo.
Ambedue questi sostegni (l’arrone e la piagnola) si differenziavano da quello più
classico, ossia l’olmo vivo a cui veniva “maritata” la vite.
Tornando al sostantivo dialettale “arrone” come toponimo, ricordo che, in
antico, gli abitanti dell’arronese, dicevano “vado all’Arrone” e non “vado ad
Arrone” ciò che sembra avvalorare la mia ipotesi.
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Racconti
di Luciana Bartolini
LA ZIA MARIETTA e la BENEDIZIONE DELLA CASA
Quando si avvicinava la S.Pasqua, tutte le donne del paese facevano a gara per
chi riuscisse ad avere la casa più bella e lucente per quando vi entrava Nostro
Signore.
Anche la “zi Marietta” che abitava in un casale tra i monti, nelle vicinanze di
Casteldilago, si era data da fare per abbellire la sua grande cucina dove si
svolgeva buona parte della vita di famiglia. In questo stanzone c’erano poche
cose: un grande tavolo con due lunghe panche e alcune sedie di paglia, “lu
sciacquaturu” con sopra un tavolone dove venivano poggiate “pigne e cazzarole”
di terracotta, “li piatti e li bicchieri”, una “mattora” abbastanza capiente, la
“pertica” per appendere le “sarcicce” e li “priciutti” e un grande focolare dove,
in un angolo, c’era un banchetto in legno e nell’altro un bidone con una grata di
ferro per metterci la brace e che fungeva da fornello, sul quale la zia Marietta
teneva eternamente una grande “cazzarola” con dentro pezzi di pollo o di
coniglio, oppure i “regagli” e la testa del pollo per fare il sugo per la
pastasciutta. Dal soffitto pendeva un filo della corrente elettrica con attaccato un
piatto smaltato e una lampadina.
La zia, per abbellire queste povere cose ritagliava dai fogli di giornale delle
strisce, le “spizzettava” con le forbici fino a farle sembrare merletti, poi
impastava un po’ di farina e acqua per fare la colla e le attaccava attorno alla
tavola del camino, sul tavolone sopra “lu sciacquaturu” e attorno al piatto della
luce.
Lavava con la “lisciva” (acqua e cenere) il pavimento di mattoni, poi
apparecchiava la tavola con la tovaglia di canapa e ci metteva sopra le uova, il
pane, il sale, il vino,il capocollo e la pizza, tutte cose che si mangiavano la
mattina di Pasqua e attendeva un po’ ansiosa l’arrivo del prete per la
Benedizione.
Si va avanti negli anni sempre allo stesso modo fino a quando, siamo negli anni
’50, arriva a Casteldilago un prete nuovo.
La zia vuole fare bella figura perché è la prima volta che il prete sale fino al suo
casale.
Scaccia le galline dalle scale di casa, si cambia il vestito e si mette sulla porta in
attesa; finalmente ecco……arriva il prete: La zia gli va incontro, salgono le scale
insieme ed entrano in cucina. Il prete, dopo i primi convenevoli, tira fuori
l’aspersorio e inizia a benedire: a destra – di fronte – a sinistra, tutto bene; fino
a quando si gira verso il camino, dove in un angolo seduto sul ceppo c’era “lu zi
‘Ngilinittu”, che siccome stava poco bene, era rimasto a casa e fino a quel
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momento era stato in silenzio, il prete che prima non lo aveva notato, lo guarda e
si salutano con un mezzo sorriso, poi alza gli occhi sugli “spizzetti” di giornale
che decoravano la tavola e si blocca con l’aspersorio a mezz’asta ed esclama: “
Ma qui si legge stampa anticlericale?. Allora voi non siete credenti?. E perché
mai io devo benedire gente che non crede in Dio?”.
La zia Marietta non capisce e nemmeno “lu zi ‘Ngilinittu” che lo guarda stupito
con gli occhi un po’ rossi per la febbre. Il prete sempre più irritato urla: “Ritiro
la Benedizione”.
Allora “ lu ziu” si alza in piedi e vedendo la moglie, che quasi stava per
piangere, esclama:
“Sorarciprete mia e mo voglio vedè come fai ad arcoglie su tutti sti schizzitti
d’acqua, mesà tantu che te la tocca lascià stà sta Benedizione!” Il prete lo guarda
allibito ed indica con un dito la scritta “Unità” che si intravvede tra gli spizzi di
carta.
Solo allora, i due poveretti capiscono il perché di tanta ira e subito chiariscono
l’equivoco: loro non sanno leggere i giornali che gli porta gentilmente un
cacciatore di passaggio e si ferma a bere un buon bicchiere di vino loro, e li
usano per “appiccià lu focu” e “’ncartà l’ova”.
Per la gioia di tutti, il tutto finì a sarcicce, caciu e vinu….. e già….. perché da
mio zio “su lu casale” c’era il detto, che “prima se magna e se bè, accucì doppo
se raggiona megliu”.
Finisce così, l’incredibile storia della zia Marietta e della Benedizione di casa.
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I nostri Soci scrivono
di Anita Micanti
IN RICORDO DI MIRRO
Ritornare ad Arrone è per me un piacere particolare: quello del « ritorno a
casa». Una sensazione speciale, un leggero ed invisibile legame, che non si spezza
mai.
Ogni volta ritornare ad Arrone per me era, prima di tutto, andare da Mirro, il
mio amico di sempre. Siamo cresciuti praticamente insieme ; abbiamo fatto le
stesse classi della scuola elementare ; scorazzato per i campi, sotto il cimitero; al
Licinetto e su per la montagna a cogliere cerase marine abbiamo studiato
insieme nelle cucina calda di casa mia; ascoltato Maria, la « Vecchia » (la
chiamavamo cosi perché sembrava vecchissima) che raccontava storie confuse,
ma affascinanti, e di tanto in tanto « tenere » Maria che voleva « uccidere »
Mirro, il quale, con innocente monelleria, provava un gusto matto a farla
arrabbiare.
Mirro non era solamente amico mio, ma di tutta la mia famiglia. Aveva un
grande affetto e rispetto per mia madre. E, nel tempo, ha sempre partecipato
alle nostre gioie e ai nostri dolori ; che sono la componente della vita.
Ricordo che, alla prima nevicata, Lavinia e Romana « staccate dai loro studi », si
univano a Mirro e a me per scatenate battaglie di neve nel solito Licinetto, teatro
di molte azioni comuni. In estate, a sera tarda, Romana, Mirro ed io andavamo a
ranocchie, tra le « forme » che abbondavano intorno al tiro al piattello, armati
di fiocina, lampada e..... un po’ di paura.
Mirro era un bambino che amava l’aria libera e la libertà. Profondamente
sensibile, ma non abituato ad esprimerla ; fedele nella sua amicizia. Con gli anni
gli studi ed il lavoro ci hanno portato a vivere in luoghi diversi ; a fare
esperienze diverse. Ma ogni volta che ci rivedevamo era come se non ci fossimo
allontanati mai. Non c’era l’impaccio di chi non sa più che dirsi. Il discorso
fluiva, i ricordi si riraccontavano, l’attualità si discuteva.
Lo ritrovavo, attraverso gli anni, marito, padre – alla sua famiglia volevo e
voglio bene - ma noi eravamo sempre gli stessi come se il tempo non avesse mai
logorato quella meravigliosa intesa creatasi nella nostra infanzia. E’ difficile per
me pensare ad Arrone senza Mirro. Non è e non sarà più come prima.
Mirro per me era, e resta, un uomo dal cuore integro, dai sentimenti profondi,
dal sorriso raro, ma speciale. Per me resta quel bambino che amava l’aria libera
e la libertà.
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Poesie
LA POESIA È:
PERDONA LORO…
- sentire, comunicare, suggerire emozioni;
- leggere immagini preservate all’usura
del tempo;
- cogliere il senso della vita e il mistero
dell’uomo;
- captare la voce del silenzio;
- abbattere confini contrapposti;
- descrivere la solitudine;
- dare spazio alla speranza;
- volare nel sole tra i gabbiani;
- raccontare i valori che sembra non
esistano più;
- covare nell’ombra tensioni ancestrali;
- irretire nella suggestione della memoria;
- ampliare nel quotidiano l’impronta
dell’Essere;
- scorgere nella luce del tempo il riflesso
dell’Eterno.
“Chi si’ straccione che vai predicanno
lu socialismu, la libbertà, l’amore,
a chi ha chiestu j’hai datu anchi lu core
perdoni mo’ , chi te va biastimanno?
Non ci stai bene Tu su ‘stu creatu
‘ndove la gente non cià più lu core
‘ndo l’odiu è più forte de l’amore
‘ndo l’omu non vol’esse’ commannatu..
Tu, co’ l’esempio T’eri riprumissu
de ‘mparacce a campà’ senza tant’odì
pure la pelle invece ciai rimissu
ché su ‘sta terra de Giudi Scarioti
ci sta chi nasce pé’ esse’ crucifissu,
chi ‘nvece nasce pé’ piantà li chiodi!
Ivano Grifoni
LA POESIA, E’.
Antonietta Zazzeroni
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Poesie
IL MIO RAGAZZO
Ti ho visto piangere, mi ha fatto
male,
quando ti vedo affranto il cuore
mi fa male,
ti rivedo giovane, innamorato di
me,
sento ancora il calore del tuo
sguardo,
ti ho scelto perché
le tue mani grandi e tenere, gli
occhi neri
e un po’ timidi
mi dicevano che tu saresti stato il
mio ragazzo,
ricordo la tua voce, il tuo viso
sorridente,
ti volevo come ti voglio ora,
non posso vederti piangere,
non siamo stati sconfitti dalla vita,
siamo sempre noi, il tempo non ci
ha logorati,
siamo sempre noi,
devi solo appoggiarti a me e,
anche se ho voglia di piangere,
consolerò il tuo dolore perché è
uguale al mio,
ascolta il mio cuore,
passerà questa angoscia, passerà
questo momento
e canteremo ancora davanti ad un
camino acceso,
giocheremo e rideremo
passerà questo momento, devi
avere fiducia,
sei tra le mie braccia.
Patrizia Giacobbi
NINNANANNA PER LA FIGLIA
CRESCIUTA
Null’altro fece tuo padre
che darti vita e fu sua
poi la seguì trepidante
ed ogni giorno più tua.
Null’altro fece tuo padre
che darti fantasia
non fruste ali di sogno
concrete ali per via.
Null’altro fece tuo padre
che vivere di te
oltre la vita sciogliendo
i tuoi lunghi perché…
LA SPERANZA
Pianticina,
piccina piccina
ma portentosa,
nel cuore dell’uomo:
la sua stella alpina
+ Felice Fatati
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Vocaboli dialettali
di Alberto Ascani
Nomi del vocabolario Arronese
1. cìnicu (un po’ di …)
2. cintinàru (centinaio)
3. ciòcchia (testa)
4. ciòccu (zoccolo di legno o grosso pezzo di legna da mettere sul fuoco)
5. cioncà (tagliare di netto)
6. cioppicà (zoppicare)
7. ciòppu (zoppo)
8. cippìttu (pezzo di tronco tagliato per sedersi vicino al fuoco)
9. cìppu (base della pianta dopo il taglio)
10.cirècia o ceràsa (ciliegia o pianta di ciliege)
11.cirècia marina (corbezzolo)
12.cirièciu (ciliegia grande o albero della ciliegia)
13.cirmìttu (stomaco di ragazzino)
14.cirquigliòne (giovane albero di quercia)
15.cirùsicu (medico)
16.cirviòttu (serpente mitico)
17.cìscu (persona un po’ folle e pericolosa)
18.ciuccià (succhiare il latte)
19.ciuccicarèlla o ciùccicu (solletico)
20.ciuèa (carrettino per portare i bigonci)
Modi di dire
1. si natu co’ la camicia (sei molto fortunato)
2. c’hai ‘n culu come ‘n’ora de notte (sei fortunatissimo)
3. c’hai le recchie foderate de priciuttu (proprio non vuoi capire)
4. c'ha du' palle (è molto in gamba)
5. è un Santantoniu (uomo molto grosso)
6. c’hai lo grassu sopra lu core (non sei proprio magnanimo)
7. c’hai lu pilu sopra lu stommicu (sei veramente insensibile)
8. mica no! (perché no)
9. aaù (pare proprio vero)
10.mamàncu! (espressione che a seconda dei casi può essere affermativa o
negativa)
PER MIGLIORARE E RENDERE SEMPRE PIU’ INTERESSANTE IL NOSTRO GIORNALINO
“LA SUFFITTA”, SI GRADISCONO SUGGERIMENTI, PROPOSTE E ARTICOLI
EDITORIALI DA TUTTI I LETTORI, CON LO SCOPO DI OTTENERE UNA PUBBLICAZIONE
SEMPRE PIU’ GRADEVOLE
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Proverbi più usati
di Alberto Ascani
1. Mejiu l’ou la sera che la jina la matina
Meglio l’uovo la sera che la gallina il giorno dopo
2. Nun te rallegrassi de li mali antrui, oji li mii e dimane li tui
Non ti rallegrare dei mali degli altri, poiché domani potresti averne anche tu
3. Alloja quanno alloja la jina, quannu lu gallu canta tu cammina
Vai a dormire all’ora delle galline, ma quando canta il gallo mettiti in movimento
4. Chi nasce de jina in terra ruspa, chi nasce de puzzajia sempre puzza
Chi nasce da gallina ruspa in terra, chi nasce da persone poco pulite sempre
maleodora
5. La puvirtà ‘n’ha guastatu mai gentilezza
La povertà non ha mai compromesso l’essere gentile
6. Quillu che a te non piace a l’antri non fa
Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te
7. Chi se vanta se sbrodola
Chi si vanta, spesso si fa danno da solo
Soprannomi
1. Grandotell
2. Mipeppe
3. Mischinu
4. Misterluc
5. Miùcciu
6. Mmastaru
7. Mommu
8. Moppongo
9. Moretta
10.Moru (lu) Tomasso
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Rassegna stampa
PROGRAMMA DI MASSIMA
E INIZIATIVE 2014
Marzo:
1
Assemblea ORDINARIA dei soci
Aprile 19-20-21:
Mostra fotografica
Giugno: 21-22-23-24 e 25
Mostra fotografica.
Riunione conviviale con gli
Arronesi lontani.
Agosto:
10
Partecipazione alla festa di
S. Lorenzo a Tripozzo
Periodico di cultura, folklore e tradizioni
della Comunità Arronese N° 46/2014
Non in vendita, riservato ai soci
MAgiSTER.
REDAZIONE: Alberto Ascani,Vincenzo Locci
Ivano Grifoni
LE RUBRICHE SONO A CURA DI:
Personaggi Arronesi:
Vincenzo Locci
Tradizioni dialettali:
Alberto Ascani
Storie e ricordi:
Ivano Grifoni
FOTO: Vincenzo Locci
Novembre: 9
Dicembre:
Festa di S. Martino “Castagne e raspatu”
Feste di Natale
STAMPA:
Copisteria Il Copione Terni
Si ringraziano gli inserzionisti per il contributo
dato alla pubblicazione di questo numero.
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PRODUZIONE PIANTE
ORNAMENTALI – FRUTTA – VITI - OLIVI
PROGETTAZIONE E REALIZZAZIONE
GIARDINI PARCHI E IMPIANTI D’IRRIGAZIONE
Strada Madonna del Monumento (zona cimitero) TERNI
telefono 0744.422629 -347.7863933
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Racconti
di Ivano Grifoni
Il carrettiere: Cascianelli- Ettore- Mirandolo
(lu carrettiere)
Il carro fu uno dei mezzi di trasporto più usato dagli artigiani per ritirare a
Terni le merci.
Tutte le mattine Cascianelli partiva con gli ordini, andava a Terni, ritirava la
merce ed il pomeriggio la distribuiva, a chi ne aveva fatto richiesta, dalle
sigarette ai valori bollati, sale , ferro, lamiere, legno ecc. questo tutti i giorni e
molti erano gli artigiani ad usufruire di questo servizio.
Ettore invece lavorava per se stesso, caricava pelli, le metteva a magazzino e le
rivendeva, ed era anche: “Sinibaldi Ettore negoziante in cereali Arrone”.
Anche Mirandolo commerciava in cereali ed altro che andava a “montagna” a
prenderli: Leonessa, Villa Pulcini, Monteleone.
Mirandolo era un tipo “curioso” scherzava sempre, a più di uno fece credere che
aveva un’agenzia matrimoniale, è riuscito a combinare anche qualche
matrimonio.
Una volta si fece portare da un poveruomo quattro o cinque cani, per provare le
loro capacità, perche avrebbe dovuto mandarli in America a fare delle gare in
un cinodromo e gli e li avrebbe pagati in dollari, quando il pover’uomo gli e li
portò, lui li lascio corre su per il borgo, ma non li prese perché uno correva di
traverso, uno era troppo corto, e l’altro con le orecchie troppo pendenti.
Un giorno la moglie sentì bussare alla porta, aprì, e un uomo chiese di parlare
con Mirandolo.
Non c’è gli disse la moglie,si trova a montagna forse torna dopodomani.
L’uomo gli disse: ero venuto a portare questa scatola, mi ha chiesto dei
formiconi che avrebbe mandato in Cina per l’allevamento.
La donna conoscendolo molto bene il marito cercò di fargli capire che era uno
scherzo.
Allora l’uomo si riprese la scatola e prima di uscire l’aprì spargendo le formiche
per tutto l’ingresso.
Si può crederci o no, ma Mirandolo era così, aveva sempre in mente uno scherzo
nuovo, e “lu cricchettu” schioccava le dita tra i capelli dei ragazzi tirandoglieli.
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La Foto
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