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ISSN 0017-4114
2001
GREGORIANUM
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Luis L a d a r i a S.I. - G e r a l d O ’C o l l i n s S.I. - Nico S p r o k e l S.I.
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g2
1
GREGORIANUM
H. PIETRAS, Le ragioni della convocazione del
Concilio N iceno d a p a rte di C o stan tin o il
G rande
N. TANNER, The E uch arist in th e Ecum enical
Councils
L.B. PORTER, S h eep an d S h ep h erd : An An­
cient Im age of th e C hurch and a C ontem po­
rary Challenge
K. DEMMER, Das e th isc h e U m feld d e r a s si­
stierten Zeugung
G.J. McALEER, Sensuality: An Avenue into th e
Political an d M etaphysical Thought of Giles
of Rom e
L. DEWAN, T hom as A quinas, G erard Bradley,
an d the D eath Penalty: Som e O bservations
PONTIFICIA UNIVERSITAS GREGORIANA
Q O/ 1
D m i a
onn 1
IMPRIMI PO TE ST
R om ae, die 7 novem bris 2000
F r a n c i s c o J a v ie r E g a n a
Vice-Rector U niversitatis
IM PR IM A TU R
D a l V ic a ria to d i R o m a , 4 d ic e m b r e 2 0 0 0
S.E.R. M o n s . L u ig i M o r e t t i , Vescovo tit. di M opta
Segretario G enerale
© 2 0 0 1 - E .P .U .G . - R o m a
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E d it r ic e P o n t if ic ia U n iv e r s it à G r e g o r ia n a
P ia z z a d e lla P ilo tta , 35 - 0 0 1 8 7 R o m a , Italia
G re g o ria n u m
82 , 1 ( 2001 ) 5-35
Le ragioni della convocazione
del Concilio Niceno da parte
di Costantino il Grande
Un ’investigazione storico-teologica
Il sinodo di Nicea convocato da Costantino per il giugno di 325 è
uno dei più studiati. Il che non stupisce, poiché è stato considerato come
il primo concilio ecumenico. Questa frase, alquanto banale, nasconde
però la mia fondamentale perplessità riguardo ai motivi della sua convo­
cazione. Si crede che la causa principale della sua convocazione sia stata
l’eresia ariana (proprio così: l'eresia, non un’opinione, una dottrina ecc.),
la quale in pochi anni quasi miracolosamente era riuscita a spargersi per il
mondo intero; che sia stata quindi un punto principale nell'agenda delle
riunioni; che il credo formulato con i suoi anatematismi sia stato redatto
soprattutto nel senso antiariano e che i condannati dal concilio siano stati
Ario e i suoi amici, in numero da due a cinque. In conseguenza, tutto ciò
che scrive Eusebio di Cesarea è tendenzioso1. È vero che l'arianesimo co­
me chiave di lettura dei testi può metodologicamente aiutare una com­
prensione maggiore di certe espressioni, non risolve però altre questioni e
crea — a mio avviso — più domande che non sono le risposte che dà.
L'attuale comprensione del concilio si fonda sul fatto che tutti i documen­
ti relativi al sinodo sono letti dalla prospettiva d ’Atanasio d'Alessandria.
Comunemente — e ogni volta che userò questa parola, si potrebbe
riportare in nota stragrande maggioranza di tutti gli studi sull'argomento,
quindi me lo risparmio — si presuppone che gli atti pertinenti al sinodo
non ci sono pervenuti e quanto è rimasto sono miseri resti di una docu-
*
In questo luogo vorrei ringraziare al P. Norm an Tanner SJ per i suoi preziosi sugge­
rimenti.
1
Le fonti: H.G. O p tiz , A thanasius Werke III, 1, Walter de G ruyter and Co, BerlinLeipzig 1934.
6
HENRYK PIETRAS. S.J.
mentazione ampia. È vero, per un famoso concilio ecumenico è poco.
Solo che quel sinodo non è stato convocato con la coscienza di comin­
ciare una lunga storia di concili, né si è svolto con questa supposizione.
Situazione prima del concilio
Nella Vita di Costantino (= VC) Eusebio riporta numerose lettere
scritte da Costantino contro eretici vari e sugli affari religiosi, con la qua­
lifica di capo della Chiesa. Tra l'altro abbiamo là una lettera ad Alessan­
dro e Ario (VC 11. 64-72). Si parla della discordia nata tra loro con il ri­
sultato di spaccare l'unione della Chiesa. Costantino sostiene che lo sba­
glio era di entrambi, perché si sono messi a discutere in pubblico di que­
stioni troppo sottili, quindi li incita alla concordia e alla pace. Secondo
lui erano cose di minima importanza che non dovevano influenzare la vi­
ta della Chiesa. Si dice che questa era una posizione dovuta all'ignoranza
teologica di Costantino, piuttosto propenso a trattare la dottrina cristiana
come le credenze delle altre religioni, dandole in pratica un'importanza
molto relativa:. Infatti nella religione romana importante era il culto e la
fedeltà alle formule usate rivolgendosi alla divinità; un pontifex aveva la
responsabilità di sorvegliare la fedeltà a queste formule. Costantino,
informato allora da qualcuno che si trattava di speculazioni, non poteva
capire come mai questo potesse essere importante per la religione. Nello
stesso tempo però si dice che Costantino ha tenuto alla corte Ossio di
Cordova con l’incarico di consigliere per gli affari ecclesiastici. Per di
più, è stato Ossio a recarsi ad Alessandria con la lettera dell'imperatore.
Non credo proprio che Costantino abbia scritto la lettera in questione di
propria testa e pugno («Caesar pontem fecit»). A Nicomedia, dove risie­
deva allora l'im peratore (doveva essere quindi già l'ottobre del 324),
c ’era pure il vescovo Eusebio, probabile fonte delle notizie per Costanti­
no. Mi sembra del tutto plausibile l'ipotesi che la questione della scomu­
nica irrogata da Alessandro ad Ario fosse stata presentata a Costantino
come una cosa da poco, un'esagerazione nell'amministrazione del potere
ecclesiastico e perciò la lettera ad Alessandria ha quel tono che ha. Euse­
bio nel VC II 73 descrive questa situazione deplorevole come phtlionos,
l'affare d'invidia. Ritengo probabile che Ossio condividesse questo pare­
re sul merito della questione e comprendesse la sua missione a Alessan-
Cfr. M. S im on e tt i , La crisi ariana nel IV secolo, A ugustinianum 1975, 36.
LE RAGIONI DELLA CON VOCAZIO N E DEL CONCILIO NICENO
7
dria come pacificatrice dal momento che all'im peratore importava che si
arrivasse a «una pronoia, pistis e synesis», nonostante la diversità nella
volontà, nell'indole e nelle idee'.
Da Socrate sappiamo che una volta Alessandro avrebbe tenuto una
esposizione in materia trinitaria, la quale ad Ario dovette sembrare trop­
po sabelliana. Quindi si lasciò portare dall'am bizione concludendo: giac­
ché il Padre ha generato il Figlio, il Figlio ha un inizio, quindi c ’era un
tempo quando Lui non esisteva, e in conseguenza la sua ipostasi è dal
nulla4. Alessandro nella sua lettera enciclica rileva ancora la mutabilità
del Figlio, come uno dei temi ariani (10.14)5. Il resoconto di Socrate non
meraviglia, perché nei suoi tempi l'arianesim o era già un'eresia del tutto
trinitaria, non cristologica.
Secondo le notizie di Socrate (I, 6), la lettera di Costantino sarebbe
stata inviata soltanto quando già il conflitto aveva acceso tutto il mondo.
L'ordine delle cose sarebbe il seguente: la discussione nell'aula tra Ales­
sandro e Ario, il coinvolgimento della Chiesa Alessandrina, una scissio­
ne ad Alessandria, l’allargamento del conflitto alle Chiese d ’Egitto, Libia
e Tebaide Superiore, e dopo a tutte le altre province e città. Eusebio di
Nicomedia avrebbe preso le parti di Ario, facendo scoppiare una vera e
propria guerra a forza di lettere. Soltanto in questo momento Alessandro
avrebbe deposto Ario dal sacerdozio; quindi dalla questione teoretica si
sarebbe passati a quella disciplinare. Il resoconto è del tutto plausibile,
solo con un «però». Eusebio nella VC 11, 61 sg descrive delicatamente i
disordini sopra nominati, ma menziona anche lo scisma meleziano come
una delle cause delle agitazioni in Egitto, Libia e Tebaide Superiore. Non
si può dire che sia stato un’atteggiamento scorretto o parziale di Eusebio,
perché la questione meleziana effettivamente era discussa a Nicea e ne
parla abbondantemente per esempio la lettera post-sinodale6. Piuttosto
parziale si mostra Socrate. Scrivendo deH’arianesimo come dell'unica
causa dei disordini e aggiungendo per di più che Melezio si sarebbe uni­
to a Ario nella lotta con il vescovo, fa di lui l'unico responsabile del ma­
le accaduto.
Stuart G. Hall ha suggerito recentemente che la lettera di Costanti­
no sia stata di fatto indirizzata al sinodo di Antiochia della primavera del
' E uskbio di C e sa r ea , Vita C onstantini (= V C ) II. 71.
4 S o crate , H E 1 ,5.
5 S o crate , H E 1,6.
6 S o crate , HE 1,9.
8
HENRYK PIETRAS. S.J.
325, come una «lettera aperta»'. Il suo vero interesse non sarebbe stato
quello del litigio tra Alessandro e Ario, che considerava di poco conto,
ma il donatismo sempre preoccupante". Costantino avrebbe pensato che
Alessandro e Ario si trovassero ad Antiochia. Oppure 1 indirizzo della
lettera è stato messo erroneamente da Eusebio il quale, d'altronde, non
avrebbe avuto alcun interesse a ricordare un sinodo che l'avrebbe con­
dannato9. Ci ritorneremo fra poco.
Pensandoci, è davvero sorprendente che nel contesto del concilio di
Nicea non si parli mai del donatismo, di cui si sa che Costantino era
preoccupato ed aveva emesso delle decisioni in proposito"’. Ma se la let­
tera fosse stata effettivamente scritta per attirare attenzione sul donati­
smo, perché lo fa in modo tanto velato e perché Costantino l'avrebbe in­
dirizzata anche ad Ario che non era vescovo, e quindi non si poteva
aspettare che partecipasse a un sinodo? Sarei propenso a supporre che
nel caso che Costantino avesse in mente un qualsiasi problema concreto,
dottrinale o riguardante uno scisma, l'avrebbe scritto chiaramente.
Nel VC III. 4, Eusebio, dopo aver descritto nei capitoli precedenti
l'incomparabile pietà dell'im peratore, scrive delle sue preoccupazioni ec­
clesiastiche: gli stavano a cuore «l'invidia» alessandrina, in altre parole il
dissenso tra Alessandro e Ario e lo scisma istallatosi a Tebaide ed in Egit­
to. quello meleziano. Per di più c'era il problema della data della Pasqua.
Eusebio presenta queste tre questioni con un crescendo: al primo consacra
una linea, al secondo un paragrafo, al terzo un capitolo. Sarebbe questo
l'ordine d'im portanza soltanto secondo Eusebio, o anche secondo l'im pe­
ratore? In ogni caso, tutto ciò avendo in mente e in cuore Costantino
avrebbe inviato Ossio con una missione di pace nelle province d'O riente".
È da osservare che abbiamo fin troppi eventi da collocare a cavallo
degli anni 324 e 325. Secondo Opitz tutta la controversia cominciò intor­
no a 31812. Forse anche un po’ più tardi, intorno al 321, come suggerisce
R. W illiams11. Qualunque sia stata la data dell’inizio della contesa, il fat­
S.G. H a l l , Som e Constantinian D ocum ents in the Vita C onstantini. in: Constanti­
ne. History, H istoriography and L eg en d ed. by S.N. C. L ieu and D. M o n tserr a t , R ou tledge. London and New York 1998. 86-103.
* Cfr. VC II. 64-66. 72.
g S.G. H all , 95sg.
l0C fr. A g o st in o , Contra Cresconium III. 7 1 ,8 2 .
" VC II. 73.
11 H.G. O pitz . p. 7.
15
R. W illia m s , A ri u s , H eresx and Tradition. Darton. Longman and Todd, London
1987. 58.
LE RAGIONI DELLA C O NVOCAZIO NE DEL CONCILIO NICENO
9
to è che Costantino non poteva intervenire se non alla fine del 32414. II
messaggero. Ossio di Cordova, in qualche modo doveva raggiungere
Alessandria. È andato per mare, come dice con certezza Boularand15?
Osserviamo che i Romani tenevano mare chiusimi dal 12 novembre fino
al 10 marzo; ma anche dopo settembre si imbarcavano solo gli audaci16.
Ci possono essere, teoricamente, tre possibilità: o è riuscito a fare andata
e ritorno prima del 12 novembre; il che è poco probabile perché in ogni
modo il viaggio sarebbe durato circa un mese; o è andato per terra, e al­
lora avrebbe tardato ancora di più; o sia venuto effettivamente per mare e
si è trattenuto a lungo, come questi vescovi che sono venuti a Roma per
in sinodo nel 382 e dovevano passare costì tutto l’inverno17. In effetti,
Ossio, arrivato ad Alessandria, non si limitò a consegnare la lettera, ma
— come ricorda Atanasio — partecipò anche a un sinodo18, il che è se­
gno che svolgeva qualche attività. Comunemente si crede che dopo sia
tornato a Nicomedia, seguito da Alessandro e da Ario. i quali — secondo
Filostorgio (HE I, 7) — volevano presentare le rispettive cause all'im peratore. Lo storico dice che Alessandro avrebbe viaggiato via mare; così
sarebbe arrivato prima del concorrente, e si sarebbe messo in contatto
con Ossio. Non vedo però che senso avrebbe congedare Ossio e subito
dopo corrergli dietro per entrare in contatto con lui. Tra quel congedo ed
il nuovo incontro doveva aver luogo qualche evento importante.
Sinodo di Antiochia
Secondo un documento pervenuto in siriaco1'’, all'inizio del 325 si
sarebbe svolto un sinodo ad Antiochia, dopo la morte del vescovo Filo­
gonio avvenuta alla fine dell'anno precedente-'0. È da notare che questo
14 Secondo O pitz (p. 32 ) — nell'O ttobre, secondo E. B o u l a r a n d (L'H érésie d'A rius
et la Foi de N icée. Ed. Letouzey and Ané. Paris 1972. 191) — nel N ovem bre, secondo
W illia m s (A riu s, 5 8 ) soltanto per Natale
15 L'H érésie d 'A rius et la Foi de N icée. 188.
16 Cfr. R. C h e v a l l i e r , Voyages et déplacem ents dans l'Einpire Rom ain, Arm and C o­
lin. Paris 1988. 119. Cfr. A.L. U ix jv itc h . Time, the Sea and Society: duration o f com m er­
cial voyages on the southern shores o f the M editerranean during the high M iddle A ges.
in: La navigazione m editerranea nell'A lto M edioevo, Settim ane di Studio 25. 11-20 aprile
1977. Centro Italiano di Studi sull'A lto M edioevo, Spoleto 1 9 7 8 ,5 0 3 -5 4 6 .
17 G ir o la m o , Ep 1 0 8 ,6 .
18 A ta n a s io , A pologia contro Ariani 74.
19 O pitz 18. p. 36.
Ne parlano tutti. Cfr. T.E. P o l l a r d , Eusebius o f Caesarea and the Synod o f A ntio­
ch (324/325), in: Überlieferungsgeschichtliche U ntersuchungen, in Zusam m enarbeit mit
10
HENRYK PIETRAS. S.J.
succederebbe dopo la convocazione del concilio ad Ancira e prima della
notizia sul suo trasferimento a Nicea; ciò si deduce soltanto da questo
documento e da una lettera di Costantino, conservata anche quella sol­
tanto in traduzione siriaca. Facendo l'elezione di un nuovo vescovo, cioè
di Eustazio detto dopo «d'Antiochia», si sarebbero discussi vari proble­
mi. legati soprattutto all'arianesimo.
La lettera sinodale viene indirizzata ad Alessandro, vescovo di «Ro­
ma nuova», che sarebbe di Costantinopoli. Ma Costantinopoli non c'era
ancora e nessuno aveva chiamato Bisanzio una Nuova Roma. Alessandro
è stato eletto vescovo di Bisanzio nel 325. E possibile che l'indirizzo, per
qualche svista, sia stato messo solo nel testo siriaco. È anche possibile
che si trattasse di un altro Alessandro, perché non si vede alcun motivo
per cui 59 vescovi si dovrebbero scomodare per mandare una lettera così
ufficiale a una Chiesa locale senza importanza ed a un vescovo noto sol­
tanto di nome. Tutto è possibile, ma il testo dice ciò che dice.
Gli storici concordano nell’accettare Ossio di Cordova come presi­
dente d'assem blea. Per arrivarci si è fatto il ragionamento seguente: il pri­
mo nome sul documento è «Eusebio», ancora prima di Eustazio. Non può
trattarsi di quello di Cesarea né di quello di Nicomedia. perché il tenore
del testo è decisamente antiariano: non si conosce alcun altro Eusebio di
tale rango da permettergli di presiedere un’assemblea così solenne, di 59
vescovi; il nome «Ossio» veniva a volte trascritto al siriaco come
Eusebio21. Sappiamo da Sozomeno che Costantino avrebbe inviato Ossio
non soltanto con una lettera ad Alessandria, ma in genere «in Oriente» an­
che con il compito di fare qualcosa nella questione della data di Pasqua” .
La questione della Pasqua stava a cuore all'im peratore, prima di
tutto. Doveva occuparsene Ossio e per questo sarebbe andato a Antio­
chia. Comunemente si dice che era un problema ecclesiale, in quanto
sottostante era una differenza di vedute teologiche, tra la «pasqua di cro­
cifissione» e quella «di resurrezione». Sarà vero anche questo. Mi sem­
bra però molto più importante in questo momento il ruolo dell'im perato­
re in quanto pontife.x maximus. Era obbligo dei pontefici stabilire il ca­
lendario delle feste, custodire le formule delle preghiere, vegliare su tutto
Jürgen Dummer. Johannes Irm scher und Kurt Treu, hrsg. von F ra n z P a sc h k e , TU 125,
Akadem ie Verlag Berlin 1981. 459sg. Cfr. M. S im o n e tt i , La crisi ariana 38 sgg.
:i C fr. H. C h a d w ic k , Ossius o f Cordova and the President o f the Council o f Antioch,
325, JT h S t 9 (1958) 295; M. S im o n e tt i , La crisi ariana, 38. n. 26.
u S o z o m e n o , HE. 1,16.
LF. RAGIONI DELLA CON VO CAZIO N E DEL CONCILIO NICENO
11
ciò che riguardava il culto pubblico e privato3. I suoi doveri sono stati
descritti da Livio:
[Numa] volle che fossero sottoposti alla giurisdizione del pontefice anche
tutti i riti pubblici e privati, in modo che vi fosse un punto di riferimento
dove il popolo potesse chiedere spiegazioni e perché non fossero introdot­
ti elementi di perturbazione nel diritto divino, se si fossero tralasciati riti
patrii o introdotti riti stranieri24.
Anche Ottaviano ha ristabilito — secondo le regole di Giulio Cesare
— il calendario, nel quale si era introdotto qualche disordine per negli­
genza dei precedenti pontefici, solo quando è diventato pontefice massi­
mo, nell'anno 12 della vecchia era25. Costantino prendeva seriamente le
sue responsabilità pontificali. Nel 321 stabilì la legge secondo la quale la
domenica doveva essere un giorno non lavorativo26 e, stando alle parole
di Eusebio, personalmente prescrisse una preghiera ai soldati, convinto
come era che a Dio bisogna rivolgersi con le preghiere stabilite27. Gli
mancava soltanto una cosa per completare l'opera: mettere nel calendario
le feste pasquali. Finché l'im peratore non si sentiva responsabile della
Chiesa, nessuno era disturbato dal fatto che ogni Chiesa avesse un pro­
prio credo battesimale, così pure si poteva passare oltre le diversità ri­
guardo alle feste pasquali. Ci sono state tensioni che hanno visto interve­
nire nel secolo II un Vittore, un Policarpo o un Ireneo ed altri, ma la situa­
zione rimaneva come era. Neanche gli Alessandrini si offendevano con i
Romani perché questi contassero i tempi in altra maniera, né viceversa28.
23 Cfr. J. G u il l e n , Urbs Roma. Vida y costum bres de los Romanos. Ili, Ed. Siguem e
Salam anca 1980, p. 303ss.
-4 L ivio , Storia di Rom a dalla fondazione I, 20; trad. G.D. M azzo la to . Grandi Ta­
scabili Econom ici. Newton 1997. Scriveva anche Cicerone: Cum est feriarum festorumque dierurn ratio, in liberis requietem habet litium et iurgiorum . in servis operum et labo­
rum; quas com positio anni conferre debet ad perfectionem operum rusticorum . Quod ad
tem pus ut sacrificiorum libam enta serventur fetusque pecorum quae dicta in lege sunt, di­
ligenter habenda ratio intercalandi est. quod institutum perite a Num a. posteriorum ponti­
ficum neglegentia dissolutum est. Iam illud ex institutis pontificum et haruspicum non
mutandum est. quibus hostiis im m olandum quoque deo, cui m aioribus, cui lactentibus, cui
fem inis (De legibus II. 29).
■" Cfr. S v eto n io , Vitae, Divino Augusto 31. Giulio Cesare si illudeva, cambiano il ca­
lendario in quanto pontefice massimo, che lo si potesse stabilire per sempre. Cfr. G. D e S an ­
t o , Storia dei Romani, voi. IV. parte II, 1.1, La Nuova Italia Editrice, Firenze, 1953,357.
Cod. Justin. III. 12, 2.
* V C IV, 19s.
' I Romani com inciavano l’anno il 21 aprile, il giorno della fondazione della Città.
Non potevano quindi accettare la festa pasquale dopo questa data, perché ci sarebbero sta­
ti gli anni con due Pasque, e gli altri senza. P er gli Alessandrini la cosa era indifferente.
12
HENRYK PIETRAS. S.J.
Dal punto di vista di un pontifex maximus la cosa era molto più seria. Ogni
Romano sapeva che la discordia nel culto poteva offendere la divinità!
Con la festa di Pasqua la cosa era importante: doveva essere una festa an­
nuale. Per i Romani Tanno cominciava il 21 aprile, la fondazione di Ro­
ma; bisognava allora stabilire il calendario in tale maniera che effettiva­
mente ci fosse una festa ogni anno e non una volta due, un'altra nessuna, il
che si sarebbe verificato nel caso che la festa si fosse dovuta celebrare do­
po il 21 aprile. Costantino poteva sperare di vivere fino alla nuova festa se­
colare, che cadeva nel 347,1100 anni dalla fondazione di Roma. Ma anche
le vicennalia del proprio governo potevano essere un'occasione buona per
concludere l'affare del calendario festivo. Aspettava già abbastanza. Infatti
cercò di concludere prima la questione, con il sinodo di Arles nel 314, ma
senza successo’9. Da questo punto di vista, il suo discorso di apertura a Ni­
cea (VC III. 12) potrebbe passare come un discorso del pontifex maximus
davanti al collegio dei pontefici romani. Forse proprio per questo parlò in
latino, la lingua ufficiale dei pontefici, e chiamò i presenti sacerdotes (co­
me anche ad Arles) ciò che non era molto comune nella Chiesa.
Il vescovo di Cordova doveva vivere ancora a lungo, ma già allora
contava quasi 70 anni, sufficienti per riflettere prima di fare un lungo
viaggio. Supponendo che da Alessandria sia tornato a Nicomedia, avrebbe
dovuto intraprendere subito un altro viaggio di 800 chilometri in linea
d'aria, ma di 1.247 miglia seguendo le strade30. Come poteva farlo? Quan­
to dovevano aspettare ad Antiochia per l’elezione del nuovo vescovo?
Esiste un'opinione che Ossio si sia fermato ad Antiochia tornando
da Alessandria'1. In questo caso poteva presiedere il sinodo. Si compren­
derebbe così che Alessandro, prima del concilio niceno, volesse essere
informato sull'andam ento del sinodo antiocheno e che perciò fosse arri­
vato a Nicomedia prima di proseguire per Nicea. Sarebbe spiegabile an­
cora una notizia. Abbiamo citato Filostorgio secondo il quale a Nicome­
dia si sarebbero recati Alessandro e Ario, ma Alessandro, seguendo la via
marittima, sarebbe arrivato prima di Ario. Secondo l'ipotesi esaminata
Ario aveva tutto l’interesse di incontrare prima Eusebio, quindi — la­
•’9 Cfr. A. Di B f.r a r d in o , L'im peratore Costantino e la celebrazione della Pasqua, in:
Costantino il G rande dall'antichità all'um anesim o. Colloquio sul Cristianesim o nel m on­
do antico. M acerata 18-20 Dicembre 1 9 9 0 .1.1. a cura di G. B onam kntk e F ra n ca F u sc o .
U niversità degli Studi di M acerata 1992, 364 sgg.
30 R. C h e v a lu e r , Voyages et déplacem ents dans l ' Empire Romain. 60.
11
A.H.B. L o g a n , M arcellus o f A ncvra and thè Council o f A D 325: Antioch. A n c\ra
and N icaea. JThSt 43 ( 1992) 428-446.
LE RAGIONI DELLA CON VOCAZIO N E DEL CONCILIO NICENO
13
sciando da parte la questione del mezzo di trasporto, avrebbe compiuto il
viaggio passando da Cesarea. Logan pensa anche che Ossio abbia scritto
da Alessandria a Costantino, sotto l'influsso di Alessandro e di Marcello
di Ancira, suggerendogli la convocazione di un sinodo «grande e sacerdo­
tale» ad Ancira, dove si sarebbe potuto discutere le questioni della Pasqua
e quella di A rio':. L'ipotesi sembra attraente, solo che non mi pare possi­
bile concordarla con il calendario. In questo caso l’imperatore avrebbe
potuto convocare il concilio soltanto dopo l’apertura del mare, per di più
ad Ancira, da dove avrebbe dovuto ancora spostarlo a Nicea facendo un
brutto scherzo a chi doveva venire dall'A sia via terra, senza aver calcola­
to prima di dover percorrere altri 300 chilometri, più o meno.
L'ipotesi di un solo viaggio che Ossio avrebbe compiuto in Oriente
cominciando da Alessandria merita attenzione. Infatti la lettera ad Ales­
sandro e ad Ario era anche attualissima in Asia, dove Ario aveva trovato
comprensione. In tal modo non ci sarebbe neppure bisogno di far tornare
Ario ad Alessandria” . Per di più la missione di Ossio aveva anche altri
scopi, non soltanto quello di parlare con Alessandro ed — eventualmente
— con Ario. Proseguire per Antiochia sembra allora del tutto probabile.
Sempre con lo scopo indicato dall'imperatore: arrivare a una fede, a un
concetto, a un giudizio e a una data della Pasqua.
Secondo il testo vi verrebbero scomunicati Eusebio di Cesarea, Teodoto di Laodicea e Narciso di Neroniade per non voler sottoscrivere la pro­
fessione di fede. Molti sostengono che il credo contenuto nella lettera è tale
che Eusebio non avrebbe avuto alcun motivo dottrinale per non sottoscri­
verlo. ma che l'avrebbe rifiutato solo per l'amicizia con Ariou. Stando al te­
sto che abbiamo35, mi permetto di avere tutt' altra opinione. L'anatematismo
aggiunto alla professione di fede condanna coloro che avrebbero sostenuto
che il Figlio di Dio fosse immutabile di sua volontà e non per natura:
Chi pensa che fosse immutabile (atrepton) per propria volontà, come co­
loro che traggono la loro generazione dal nulla e chi non lo riconosce im ­
mutabile per natura come il Padre.
A.H.B. L o g a n , M arcellus... 434.
" Cfr. S o z o m o n o I, 15; M. S im o n e tt i , La crisi ariana 35, n. 16.
Per esem pio: D.H. H o l l a n d , Die Synode von Antiochien 324-5, ZKG (1970) 163181; M. S im o n e tt i , La crisi ariana 40 sg, T.E. P o l l a r d , E usebius o f Caesarea and the
Synod o f A ntioch (324/325) 460 sgg.
' Tranne l'edizione di O pitz Ì18, p. 36 sgg) c ’è una edizione con la traduzione fran­
cese di F. N au in Revue de l’O rient Chrétien IV ( 1909) 12-16 (traduzione), 17-24 (testo).
16 Optiz - par. 13; Nau - par. 5.
14
HENRYK PIETRAS. S.J.
Questa era un'afferm azione inammissibile da parte di Eusebio, e
non soltanto a causa dell'am icizia per Ario, ma per una profonda convin­
zione teologica. Vale la pena ricordare che a Nicea è stata pure proscritta
un’opinione sulla mutabilità del Figlio, ma senza precisare se si trattasse
di una immutabilità per natura o per volontà. Ario confessa il Figlio inal­
terabile nella lettera a Eusebio (4) e «immutabile e inalterabile» in quella
ad Alessandro (2). Alessandro però, scrivendo agli altri vescovi, accusa
Ario di professare il Figlio «mutevole e alterabile per natura» (8). Se­
guendo Alessandro, Atanasio assicura che per Ario il Figlio era per natu­
ra mutevole. Riporta un testo in questi termini:
Per natura, come tutti, così anche il Verbo stesso è mutevole, ma per il
proprio libero arbitrio rimane buono (icò 8è i5icò ai)te^o\jaicp, éox; PoùXeta i , jiévei KaA.ó<;); che se volesse, potrebbe mutarsi anch'Égli al pari di
noi, essendo di natura mutevole. Per questo, Dio, conoscendo in anticipo
che sarebbe rimasto buono, prevenendolo, Gli ha donato quella Gloria,
che in quanto uomo per merito di virtù avrebbe conseguito poi; così. Dio
Lo ha fatto subito tale e quale aveva in anticipo conosciuto che sarebbe
diventato grazie alle sue opere'7.
Un'argomentazione simile sarà adottata secoli dopo nel contesto del­
l'imm acolata concezione di Maria Vergine. L'immutabilità del Figlio sa­
rebbe per Ario un dato di fatto, un dono meritato, non una prerogativa del­
la natura divina del Figlio, perché ha un’altra natura o sostanza. Per Ales­
sandro e — dopo — per Atanasio, il Figlio è un Dio vero, quindi l'im m u­
tabilità deve appartenere alla sua natura divina e non dipendere dalle sue
scelte. L’anatematismo niceno era abbastanza generico, perché gli amici di
Ario potessero tranquillamente firmarlo, dal momento che mai dubitavano
nella immutabilità reale del Figlio. Ad Antiochia, però, la questione è stata
posta in termini precisi e Eusebio non ha potuto firmare.
La questione della mutabilità nasce dalla riflessione cristologica,
sulla natura di Gesù Cristo. Secondo la cristologia Logos/anthropos si
poteva parlare della mutabilità dell'uom o Gesù. Ma secondo la teologia
detta Logos/sarx non era così facile. L'unica persona in Gesù era il Figlio
di Dio, mentre la natura umana di Gesù appariva incompleta, senza ani­
ma umana. Eusebio scrisse altrove:
57 Un brano di Thalia in: At a n a sio , CA I, 6; cfr. Ep. Enc. A d Episcopos A egypti et
Libxae 12. Trad.: D. S pada , Le fo rm u le trinitarie da Nicea a Constantinopoli, Siibsidia
Urbaniana 32, Pont. Univ. Urbaniana, Roma 1988, 80 ss.
LE RAGIONI DELLA CO N VO CAZIO N E DEL CONCILIO NICENO
15
Dobbiamo infatti cercare di conoscere il Figlio che vive ed esiste real­
mente, non quello che è una sola cosa con il corpo che egli assunse, né
quello che è una sola cosa con Dio Padre'*.
Secondo lui esiste un parallelismo tra il rapporto la carne assunta/il
Figlio di Dio e il Figlio di Dio/il Padre. Eusebio ci tiene a elencare tre
realtà: Il Padre, il Figlio di Dio, il Figlio deH’Uomo (= il Figlio di Dio +
la carne). Il Figlio dell'U om o ha il suo inizio, «ciò che non esisteva è ve­
nuto all'essere» (xoùxo 5è yevó^evov òrcep o ù k rjv)39. Il soggetto in lui
non è altro che il Figlio di Dio; contro Paolo di Samosata prende decisa­
mente le distanze dall’opinione che ci sia stata un'anim a umana in Ge­
sù40. Eusebio scrive:
[Il Figlio di Dio] a motivo del suo straordinario amore per gli uomini, per
ordine del Padre, giunse proprio alle porte della morte... affinché come la
morte per il peccato di uno solo ha esteso il suo dominio su tutto il genere
umano, così, a motivo della sua benevolenza, anche la vita eterna regni su
tutti coloro che credono in lui e per mezzo di lui sono messi in relazione
con Dio suo Padre41.
L’obbedienza salvifica del Figlio poteva essere meritevole solo se
volontaria. Se il Figlio dell’Uomo non poteva essere disobbediente, non
avrebbe alcun merito. Penso che questo problema cristologico sia stato
l’inizio della controversia, che dopo è diventata trinitaria. Il punto di par­
tenza doveva però essere questo: la possibilità dei mutamenti d'anim o
nel Figlio dell’Uomo. Secondo i principi della cristologia Logos/Sarx,
Egli non aveva un'anim a umana, quindi neppure una volontà umana. So­
lo il Figlio di Dio poteva fare le scelte secondo la «sua benevolenza» ed
obbedire al Padre.
Il problema d ’immutabilità stava particolarmente a cuore a quelli
che hanno scritto il nostro testo. Nel credo dicono che il Padre è immuta­
bile, atreptos secondo la retroversione greca42, e lo è il Figlio (par. 10).
Lo stesso ripetono due volte neH’anatem atism o: che il Figlio non è
atreptos per volontà, ma atreptos per natura kata ton patera (par. 13).
' Cfr._ET I, 7, 3: (uiòv yàp Beoti ^pfjv ¡^ re lv , àXr|8(i>; ^(¡5vxa x a ì xxS^eazma, otite
xòv atixòv ci) àveiXr|<j>ev ò v ta aco |iau , o m e xòv atirò v ò v ta tcò 0ew icai rcaipi).
w ET I. 3 ,1 .
40 P. es. ET I, 2 0 .40-45.
41 ET I, 13, 6.
42 Optiz, par. 8.
16
HENRYK PIETRAS. S.J.
Volevano per forza arrivare alla condanna di Ario e di Eusebio? Ma
quanti erano là i sostenitori dell’immutabilità pernaturam del Figlio? Si­
curamente Eustazio, con grande probabilità Ossio. Ma altri?
L'anatematismo in questione condanna pure quelli che avrebbero so­
stenuto che il Figlio fosse creatura o cosa fatta; ktisma e geneton e poieton, secondo la versione greca di Opitz. Sarebbe il primo caso storico di
condanna del termine ktisma: una cosa difficile da credere visto la presen­
za della parola nei Prov 8 ,2 2 riferita alla Sapienza di Dio. Il secondo caso
sarebbe l'anatematismo niceno, se non si trattasse di una interpolazione,
per non dire di una falsificazione. Giustamente osserva Wiles che il credo
niceno già si è sufficientemente pronunciato contro l'opinione che il Fi­
glio sia una creatura dicendo «ou poiethenta»A\ Che senso aveva aggiun­
gere la condanna del ktism al Wiles mostra l'im pegno di Atanasio nel
uguagliare i termini poiema e ktisma detti del Figlio. Li mette insieme
quando può, seguendo in questo il suo predecessore Alessandro. Siccome
la prima fonte dalla quale conosciamo il credo niceno è appunto Atanasio,
perché lui ha riportato la lettera di Eusebio di Cesarea alla sua Chiesa nel
De decretis, la sua versione, cioè con ktiston, è passata a Socrate e Sozomeno. Soltanto Teodoreto (I, 12, 8), tra gli storici, ha avuto probabilmente
una copia del testo di Eusebio, perché cita l'anatematismo, senza ktistonu.
Dossetti nella sua edizione critica del Simbolo Niceno riporta, tra l'altro,
il testo niceno secondo il sinodo di Seleucia del 410, dove è così come in
Teodoto45, e tre versioni della Didascalia di 318 Padri (p. 66 sgg). Propo­
nendo l'edizione del testo, omette, quindi, ktiston*h. Si potrebbe aggiunge­
re a questo anche un altro argomento. Onnipresente nei testi che riguarda­
no un credo è la preoccupazione di conservare il linguaggio biblico; l'omoousios niceno costituisce una clamorosa «prima volta». Anche il testo
siriaco che stiamo esaminando parla di questa regola: non possiamo farci
una idea su di Lui se non appoggiandosi sulle Scritture47. Chi avrebbe il
coraggio di proscrivere un termine biblico? Nella lettera a Cesarea Euse­
bio dice di firmare l'anatematismo niceno senza problemi, perché «proi­
41
M.F. WlLES, A Textual Variant in the Creed o f the Council o f Nicaea. Studia Patri­
stica 26, Peeters, Leuven 1993,428 sgg.
u Cfr. an ch e I l a rio di P o it ie r s , D e Synodis 84.
45 G.L. D o s se t ti . Il sim bolo di Nicea e di Costantinopoli. Herder Rom a ecc.. 119 6 7 ,4 1 .
*
Lo stesso fa N .P T a nner nella sua edizione: Decrees o f the E cum enical Councils I.
Sheed & Word and Georgtown Univ. Press 1 9 9 0 .5 .
" O pitz - par. 10; Nau - par. 5. Ringrazio al p. Marek Baraniak SJ per le consultazio­
ni in m ento.
LK RAGIONI DELLA CON VOCAZIO N E DEL CONCILIO NICENO
17
biva di usare termini non attestati nella Scrittura» (15). Se ci fosse stato
ktiston, con molta probabilità non avrebbe firmato né lui né molti altri.
Possiamo dire quindi, che sembra esserci soltanto un uomo intorno a 325
che si ostinava a ridurre il significato di ktisma a quello di poiema ed era
Alessandro di Alessandria, andando così contro la tradizione di Origene48,
ma accettando fu so di Dionigi Alessandrino49, il quale si faceva forte del­
la distinzione tra poiein e cheiropoiein, uguagliando il primo a ktizein.
Come mai quel modo di parlare di Alessandro abbia trovato così
largo consenso a Antiochia nel 325. per poi perderlo subito a Nicea? La
domanda vale ugualmente per ktistos e per atreptos secondo la natura.
La condanna di Eusebio suscita anche altri dubbi. 11 Concilio Ecu­
menico di Nicea. prima di acquistare l’autorità di cui gode adesso, dove­
va presentarsi come un sinodo qualunque, anche se più grande. Per di più
una pratica della condanna provvisoria non pare fosse diffusa nella Chie­
sa. Ma c ’è di più: la parte finale del documento potrebbe essere letta an­
che in un modo diverso della retroversione al greco riportata da Opitz.
Potrebbe essere infatti così:
Sappi ancora che a causa della grande umanità del sinodo, [voglio dire]
del sinodo grande e sacerdotale di Ancira, abbiamo lasciato loro la possi­
bilità della conversione e del ritorno alla verità“10.
In questo caso si potrebbe pensare che ai tre imputati è stata con­
cessa una possibilità di ripensamento prima di applicare i canoni, secon­
do lo spirito benigno del sinodo di Ancira del 314. Se tutto questo fosse
vero, sarebbe anche inutile, perché Eusebio non avrebbe mai sottoscritto
un documento del genere, almeno per i motivi indicati già sopra. In que­
sta versione si parla sì di Ancira, ma al passato, non al futuro. Con tante
possibilità di interpretazione la supposizione che si trattasse di una vera
condanna, dalla quale Eusebio avrebbe dovuto cercare di liberarsi a Ni­
cea, mi sembra altamente difficilior. Come infatti si potrebbe spiegare
una tale situazione ecclesiale di Eusebio, considerando che proprio lui
avrebbe avuto l'onore di rivolgersi all‘imperatore in nome di tutti i ve­
scovi con un saluto iniziale?
' Cfr. P. C o x , «//i m y Father's
De Principiis, Anglican Theological
49 Cfr. il m io: L 'unita di D io
459-490.
50 F. Nau, in: Rev de l'O rC hr 4
house are m any Dwelling P laces»: ktism a in O rigen’s
Review 62 (1982) 332 sgg.
in D ionigi di A lessandria, G r e g o r ia n u m 72 (1991)
(1909) 16.
18
HENRYK PIETRAS. S.J.
Alastair Logan scrive che il motivo di non firmare da parte di Euse­
bio, quindi della sua condanna, sarebbe che lui professasse due ousiai,
invece Ossio sarebbe partigiano della fede in una ousia della Trinità51.
Per questo ci sarebbe stata una possibilità di fraintendimenti nell’inter­
pretazione, alla quale Eusebio non voleva esporsi.
Secondo me, come avevo già spiegato sopra, i motivi della sua reti­
cenza riguardo al simbolo erano ben diversi e precisi. D 'altra parte, dire
che Ossio era d ’opinione che ci sia una ousia del Padre e del Figlio è un
anacronismo. In Oriente nessuno era di questo parere, tranne Sabellio,
Marcello e, dopo, Eustazio, sicuramente non Alessandro e neppure Ata­
nasio52. Neanche a Nicea omoousios voleva dire questo. Gli Occidentali
combattevano «tre ipostasi» ma non in favore di una ousia, ma della mo­
narchia; si guardi la lettera di Dionigi Romano all’omonimo alessan­
drino53. Una ipostasi detta ousia appare in un credo occidentale — sem­
bra — solo nel 343, a Sardica, sotto l'influsso di Marcello. Ossio era oc­
cidentale e probabilm ente pensava in latino «substantia» ogni volta
quando sentiva dire ipostasi. Ad Antiochia però, all’inizio del 325, se
avesse voluto imporre una sostanza comune del Padre e del Figlio (non
importa se con ousia o hypostasis), non avrebbe trovato appoggio.
Non c’è dubbio che la lettera parli della scomunica di Eusebio e di
altri due, anche se al condizionale: finché non cam biassero opinione.
Questi, però, senza essersi pentito, partecipa poi solennemente al conci­
lio. Come se qualcuno avesse seppellito quella sentenza. Lo stesso vale
per la professione di fede: sembra essere dettata da Alessandro, il quale
difficilmente poteva trovarsi là, nel suo aspetto cristologico è pure ales­
sandrina, ma dopo non se ne parla più. Se ci fosse stato davvero Ossio a
comporlo, con Eustazio, perché l’hanno abbandonato a Nicea? Sarà a
causa di una possibile manipolazione del sinodo da parte di Ossio? Sozomeno scrive che a Sardica nel 343 la frazione orientale dei vescovi ha
condannato Ossio a causa dell’amicizia con Eustazio e un Paolino, fede­
le alla memoria di Paolo di Samosata54.
Per trovare una risposta — anche se ipotetica — a questa domanda
dobbiamo farcene un’altra: perché ad Antiochia AD 325 i vescovi si so­
51 L o g a n , 435.
5iCfr. il mio: L ’unità di Dio in A tanasio di Alessandria. Una descrizione dinamicadelia Trinità, Rassegna di Teologia 32 ( 1991 ) 558-581.
53 Cfr. il mio: La difesa della monarchia divina da parte del papa Dionigi (+268),
Archivum H istoriae Pontificiae 28 (1990) 335-342.
54 S o z o m e n o . HE III, 11; cfr. H. C h a d w ic k , Ossius... 299.
LE RAGIONI D ELLA CON VOCAZIO N E DEL C ONCILIO NICENO
19
no messi a comporre una professione di fede? Comprendo che volevano
scomunicare Ario e anche Eusebio. Ma quando Demetrio condannava
Origene intorno al 230 non ha fatto un nuovo credo. Lo stesso si può dire
del sinodo che nel 268 condannò Paolo di Samosata nella stessa Antio­
chia e di tutti gli altri casi conosciuti — almeno da me. Perché adesso si
sono messi in testa di farlo? Anzi, la domanda è ancora più seria: perché
con questo sinodo comincia tutta una serie di sinodi che discutono acca­
nitamente sulle formule di fede?
La mia risposta — una proposta di risposta — sarebbe legata al fat­
to che i sinodi che formulavano un credo presentavano questo all'im pe­
ratore. Quello niceno — ovviamente — a Costantino, l'antiocheno del
341 a Costante, come pure quell'occidentale di Sardica nel 343 e la così
detta Lunga esposizione del 345. La seconda formula di Sirmio, nel 357,
è stata fatta invece per Costanzo, e così via. La conseguenza sarebbe la
seguente: finché gli imperatori non si sentirono responsabili della Chie­
sa, non serviva nessun credo comune.
La necessità di avere una professione di fede scritta e firmata dai
vescovi era il problema dell'im peratore, il quale in veste di pontefice
massimo era responsabile per tutti i culti e le religioni delflm pero. Co­
stantino era il primo a averne bisogno, per sapere chi esiliare e chi no.
Sarebbe un bel tema per un concilio? Potrebbe anche darsi, ma non sem­
bra che Costantino avesse pensato così. Lo si ricava dal fatto che il pri­
mo credo firmato da molti vescovi, con pisteuomen e non con pisteuo, è
stato fatto appunto a Antiochia, non a Nicea. Penso allora che anche que­
sto affare, cioè arrivare a una professione comune della fede, Costantino
voleva sbrigarlo prima del concilio ecumenico.
Avevo già espresso il mio dubbio riguardo all'indirizzo della lette­
ra: perché proprio ad Alessandro di Bisanzio? Alla luce del detto sopra si
potrebbe pensare che Ossio non volesse aspettare con il credo fatto fino
al suo ritorno a Nicomedia, ma che volesse far arrivare la lettera a Co­
stantino quanto prima. Ma allora l'avrebbe spedita direttamente a lui con
il primo tabellarius che passava. L'altra possibilità potrebbe essere che il
suo intento era di consultare anche gli altri vescovi; ma per ora aveva
soltanto la possibilità di incontrare quelli di Egitto, Siria e Palestina. In­
viarla a Nicomedia sarebbe stato controproducente, perché Eusebio di là
non l'avrebbe certamente ricevuta di buon animo, come amico di Ario e
— forse — di Eusebio Panfilo. Bisanzio poteva apparire come un luogo
d'incontro di molti vescovi d'Europa in viaggio per Nicea, quindi per
questa via si poteva anche divulgare la lettera. Con la prima nave che
passava la lettera poteva arrivare a Bisanzio in tre settimane al massi­
20
HENRYK PIETRAS. S.J.
ino55. E Ossio? 0 voleva riposare un po' ed andare più tardi, o stava per
continuare la sua missione ritornando per la Cappadocia e la Galazia.
Qualunque sia stato però il suo agire, è un fatto che a Nicea di questa let­
tera non si è parlato come non si è fatto caso della condanna di Eusebio.
Questo può significare che un credo così radicalmente antiariano
non abbia trovato consenso già prima del concilio. Costantino voleva
una formula di fede che fosse di comune accordo. D 'altra parte Eusebio
Panfilo era non soltanto il suo adulatore ma anche in qualche modo il
suo uomo di fiducia, che non perse durante il concilio, anche perché Co­
stantino aveva incaricato proprio lui a fornire le nuove chiese di Costan­
tinopoli di libri sacri56. La carriera di Ossio invece sembra finire proprio
qui. Dopo il concilio evidentemente non aveva niente da cercare a corte.
Forse perché la sua missione era fallita in tutto? È proprio da imperatori
pretendere che le missioni da loro affidate finiscano bene...
Abbiamo visto che la lettera sinodale non parla necessariamente del
sinodo di Ancira che avrebbe dovuto svolgersi in futuro, ma dal punto di
vista linguistico è ben probabile che alludesse al sinodo del 314. Esiste
però una lettera, anche in siriaco, con la quale Costantino sembra sposta­
re il concilio da Ancira a Nicea, con il motivo che sarebbe più comodo a
quelli che dovevano arrivare dall'Italia e da altre parti d'Europa, come
pure a causa del clima più mite e perché voleva parteciparvi anche lui57.
La lettera è preceduta da un commento, secondo il quale il concilio sa­
rebbe stato convocato
per il tredicesimo giorno prima delle calende di luglio (19 giugno), vicen­
nali dell'am ico del M essia. C ostantino il G rande, im peratore fedele, il
quale dal momento che prima i Padri si sono radunati a Ancira in Galazia,
li ha chiamati da Ancira a Nicea con la lettera seguente...5*
Infatti stiamo d'avanti a una penosa questione della data di convo­
cazione del concilio. Se fosse vero quello che si scrive comunemente,
Costantino avrebbe compiuto la seguente serie di atti:
1) tom a a Nicomedia (ottobre 324);
2) invia Ossio con una missione di pace «in Oriente»;
55 C fr. T. L e w ic k i , Les voies m aritim es de la M editerranée dans le Haut M oyen-Age
d 'après les sources Arabes, in: La navigazione mediterranea nell'A lto M edioevo, Spoleto
1978,451.
56 S o c r a t e . HE 1 ,9.
57 P itr a , A nalecta Sacra IV, 224; Opitz n. 20, p. 41.
54 Cfr. F. N a u , Rev de l'O rC hr 4 ( 1909) 5 sg.
LE RAGIONI DELLA CON VOCAZIO N E DEL C ONCILIO NICENO
21
3) aspetta il suo ritorno, ascolta un resoconto sull’andamento delle co­
se a Alessandria o almeno una sua lettera e convoca il concilio ad Ancira;
4) cambia idea e fa venire tutti a Nicea per il 19 giugno 325.
Dei primi due punti ci siamo già occupati, passiamo quindi agli al­
tri due.
Prima domanda: con quanti mesi d'anticipo bisogna convocare un
sinodo universale, con la speranza che venissero i vescovi da tutte le par­
ti? Scrive Eusebio, e ripete Socrate (I. 8) che effettivamente c'erano rap­
presentanti delle Chiese di Europa, Libia e Asia; risparmiamoci i dettagli.
L'idea di invitare tutti quanti ad Ancira mi sembra alquanto sciocca. Tutti
gli argomenti usati nella lettera convocatoria, cioè la comodità per i ve­
scovi e il clima non erano una novità; ci si arriva subito, guardando anche
solo una carta geografica. Loro hanno avuto l'esperienza di viaggi che
non abbiamo noi, sapevano allora benissimo, quanto tempo ci vuole per
arrivare ad Ancira. collocata proprio così da garantire ai viaggianti dei
problemi. Non riesco a immaginare, perché Costantino avrebbe voluto fa­
re un concilio proprio là. Non vedo perché non dare retta a Nau, quando
scrive che la menzione di Ancira nella lettera convocatoria è da tradurre
nel senso che come prima c ’è stato un sinodo a Ancira, adesso facciamo­
ne uno a Nicea, ma quel «prima», proteron nella retroversione di Opitz
(20. p. 42) sarebbe da capire come un richiamo al sinodo del 31459.
Si dice che il concilio si è riunito il 20 maggio 325, secondo Socra­
te (1,16)60. Ma la lettera di Costantino che avrebbe spostato il concilio da
Ancira a Nicea parla del 19 giugnoM; il che è molto più verosimile. Co­
me abbiamo già accennato, il mare era «chiuso» tra il 12 novembre al 10
marzo. Ma formalmente «aperto» era soltanto dal 27 maggio tino al 14
settembre. Lo sapevano bene altri imperatori che hanno avuto idea di
convocare un sinodo universale. Teodosio II invita a Efeso per il 7 giu­
gno (e quelli di Roma non arrivano in tempo!); Marciano, a Nicea per il
1 settembre del 451. La data del Concilio Costantinopolitano I, l'inizio
del maggio di 381 mi sembra sospetta, nonostante che doveva essere un
sinodo solo orientale. Sembra infatti che i vescovi avrebbero dovuto ab­
bandonare le loro Chiese prima della Pasqua e celebrarla in viaggio. I sinodi più frequenti si potevano svolgere solo nei limiti di una provincia,
59 F. N a u , in Rev de l'O rC hr 4 (1909) 6.
“ P. Es. M. S im o n e tti, L i crisi ariana 38, G. A l b e r i g o (ed.). Storia di concili ecu­
m enici 26.
61 Gli da retta N. T a n n e r , Decrees... 1.
22
HENRYK PIETRAS. S.J.
dove le distanze non erano così spaventose. Perciò il Concilio di Nicea
poteva prescrivere i sinodi provinciali due volte all'anno (can. 5).
Gli imperatori invitavano sempre con un certo anticipo. Teodosio II
convoca il concilio Efesino già il 19 X I 430; Graziano e Teodosio invitano
a Costantinopoli alla fine dell'anno precedente, Marciano manda la lettera
per convocare il calcedonense il 23 maggio (per il 1 sett.); ma primo, la
cosa era stata già ampiamente ventilata nella corrispondenza imperiale (e
papale) ed era da aspettarsi; secondo era la piena stagione di navigazione.
Quindi si potrebbe dire che l’aveva mandata con le prime navi di quell'an­
no. Quando Costantino poteva inviare la lettera convocando il concilio
universale per il 19 giugno? Era possibile che aspettasse il ritorno di Ossio
di Cordova dalla missione a Alessandria, o almeno una sua lettera? Abbia­
mo visto sopra che questo non poteva avvenire che nella primavera del
325, col mare aperto. Le lettere spedite soltanto allora potevano arrivare ai
destinatari, dando loro la possibilità di arrivare in tempo?
Mi permetto di pensare che l'imperatore Costantino abbia convocato
il concilio a Nicea nell'autunno dell'anno precedente. Ossio sarebbe anda­
to a Alessandria non soltanto con la missione di pace, ma anche con l'invito
al concilio. Così si arriva anche a comprendere, perché la lettera ad Ales­
sandro e ad Ario richiedesse che fosse affidata a un messaggero di tale ran­
go come Ossio. La risposta sarebbe che non si trattava di fare il postino, ma
di risolvere, coll'appoggio imperiale, il problema della discordia tra il ve­
scovo e un suo presbitero e cercare di calmare la situazione creata dallo sci­
sma meleziano. Egli doveva anche trovare l'accordo sulla data della Pa­
squa e procurare un credo. Era il primo tentativo di risolvere questi proble­
mi da parte di Costantino. Non c ’è traccia della notizia, che avrebbe già
tentato prima e che non ci sarebbe riuscito. Inviando Ossio sperava che la
sua missione riuscisse — altrimenti, perché l'avrebbe scomodato? Ma allo­
ra, perché ha convocato il concilio universale? La domanda può essere an­
che formulata in un modo opposto: se Costantino si è degnato di convocare
il Concilio per vari affari ecclesiastici, come fa credere Eusebio, o a causa
dell’arianesimo come fa credere Atanasio, perché manda Ossio con una
missione che poteva anche risolvere questi problemi?
Visto che nessuno di questi problemi ecclesiastici poteva essere
causa sufficiente per convocare il concilio, che cosa lo era?
Secondo me lo poteva essere soltanto ciò che viene indicato anche
da Eusebio, cioè l'intento di cominciare le celebrazioni in occasione del­
le vicennalia con i vescovi di tutta la Chiesa, offrendole un calendario fe­
stivo unificato. Infatti, il cristianesimo era l'unica religione dell'impero
che non l'aveva!
LE RAGIONI DELLA CO N VO CAZIO N E DEL C ONCILIO NICENO
23
Anche Diocleziano ha cominciato a festeggiare le sue nel 303, a ll'i­
nizio del ventesimo anno, e non dopo averlo compiuto. Lo stesso Co­
stantino celebrava le decimalia nel 305, — ne è testimonianza l'arco di
Costantino con la formula tradizionale: «sic X sic XX» che significava
un augurio per l'altro decennio. Le vicennalia costantiniane dovevano
iniziare il 25 luglio del 325 e prolungarsi per l'anno intero.
Affari al concilio Niceno
Di che si sono occupati i Padri ci informano soprattutto i canoni
conciliari. Mi sembra molto importante che nel canone 19 si consideri
invalido il battesimo dei seguaci di Paolo di Samosata e non si dica al­
trettanto degli ariani. Senza dubbio il dissenso tra il clero alessandrino
che ha coinvolto anche gli altri, con i vescovi di Nicomedia e di Cesa­
rea, doveva essere trattato in aula, visto che Ossio non aveva concluso
niente. Dalle prime fonti però non ne sappiamo molto. E anche pensa­
bile che A lessandro abbia ottenuto qualche decisione in suo favore,
perché l'h a ricambiato firmando il canone 19; chi ha mai visto un ve­
scovo di A lessandria dichiarare invalido un battesim o? Chi dà per
scontato lo svolgim ento antiariano del concilio suppone che sia stato
Ossio a guidare l’assemblea. Non ci sono però fonti sufficienti per af­
fermare questo. Anzi, come avevo osservato a proposito della sua mis­
sione «orientale», egli non soltanto non è riuscito a inclinare Alessan­
dro e Ario a un accordo, ma prese le parti di Alessandro in modo da
provocare altri disordini, voglio dire la condanna di Eusebio, metropo­
lita di Palestina. È quindi probabile che Ossio abbia perso la grazia
dell'im peratore.
Per quanto riesco a immaginarmelo, ciascuno a Nicea aveva le pro­
prie preoccupazioni. Alessandro voleva far condannare Ario. Eusebio di
Nicomedia voleva difenderlo, perché era suo amico di scuola luciana e
credeva lo stesso. Eusebio di Cesarea, pur convinto che il linguaggio teo­
logico dovrebb’essere il più biblico possibile, non vedeva motivo per in­
criminare Ario; anzi, la sua teologia gli appariva come una vera e propria
teologia ecclesiastica. Ciascuno dei vescovi aveva un tema da tirare fuo­
ri, come accade al solito nelle assemblee. Le questioni proposte erano
tante che Costantino avrebbe fatto bruciare le petizioni senza leggerle62.
63 S ocrate H E I; 8.
24
HENRYK PIETRAS. S.J.
È vero che ha invitato i vescovi per far vedere loro, come era buono, ma
tutto ha i suoi limiti...
Veniva pure menzionato lo scisma meleziano.
Resoconti sullo svolgimento degli eventi
Prendiamo in esame prima i documenti di tipo ufficiale.
1) Lettera dei Padri conciliari alla Grande Chiesa di Alessandria"1
Lasciando da parte le perplessità suscitate dal fatto di trovare una
sola lettera sinodale, scritta da tutti ad Alessandria, come se non ci fosse­
ro le altre sedi importanti. Roma inclusa, vediamone il contenuto. Secon­
do essa il primo tema trattato a Nicea era l'eresia di Ario; tutti gli anatematismi vengono spiegati come antiariani. Ario è stato condannato insie­
me a Theonesto e Secondo. Dopo si sono prese le decisioni intorno ai
meleziani e sulla data di Pasqua. Segue un conclusione con la condanna
della Thalio di Ario. La lettera quindi contiene tutte le notizie buone per
Alessandro e lo presenta come «il» protagonista del concilio.
2) Lettera di Costantino Imperatore alla Chiesa di Alessandria^
L'imperatore si precipita a informare gli Alessandrini sulla condan­
na di Ario, lasciando a parte tutti gli altri problemi. Vorrei osservare un
particolare che mi sembra rilevante per il carattere della lettera. Costanti­
no scrive che a Nicea c ’erano più di 300 vescovi, e «se una cosa viene
accettata da 300 vescovi, non può essere che una sentenza divina». Euse­
bio nella VC III, 8 informa di 250 partecipanti, Eustazio di Antiochia
parla di 200 o 2706\ Più di 300 avrà soltanto Atanasio, e da lui — proba­
bilmente — lo saprà Giulio, che scrisse parole simili agli Orientali nel
340/341“ . Una coincidenza, ma potrebbe essere anche una equazione
adoperata forzosamente da Socrate, come fece per esempio riportando un
brano di Eusebio, dove 250 cambia in 300hT. Rimane aperta la questione.
61 S o crate HE 1 .9 (preso da A t a n a sio , De D ecretis): O pitz 23. p. 47.
M S o cr a te , HE 1 ,9 (preso da A t a n a sio , De D ecretis); O pitz 25. p. 52.
65 Cfr. G. A i.b e rig o (ed.). Storia dei concili ecumenici, Q ueriniana 1990. 25.
66 Da Ata n a sio , A pologia c. ariani 23.
67 VC 111, 8; S ocrate HE 1 ,8.
LE RAGIONI DELLA CO NVOCAZIO NE DEL C ONCILIO NICENO
25
perché Atanasio non si è mai servito di questa lettera prima di scrivere
De decretis....
3) Lettera di Costantino a tutte le Chiese68
La lettera riguarda solo la questione della data di Pasqua e suscita
l'impressione che la questione delle festività pasquali fosse la più impor­
tante per l'imperatore.
4) Lettera di Eusebio a Cesarea (Ces)M
Eusebio scrive la lettera preoccupato che la sua gente non venisse a
essere equivocata dalle dicerie varie sul suo comportamento al sinodo;
quindi descrive le cose dal suo punto di vista:
ho ritenuto necessario inviarvi prima il testo relativo alla fede presentato
da me, e poi il secondo c h ’è stato pubblicato con l'inserzione di alcune
aggiunte alle nostre parole (Ces 1).
Non scrive, perché doveva proprio presentare la professione di fe­
de, ma dice che l'imperatore aveva approvato. Si pensa che anteriormen­
te, in un sinodo di Antiochia, sia stato accusato di favorire Ario e adesso
doveva presentare il credo per scagionarsi. La condanna di allora sarebbe
stata condizionale, vuol dire avrebbe dovuta essere approvata o revocata
dal concilio ecumenico. Avevo già espresso i miei dubbi in proposito. Ri­
cordiamo che era proprio lui a rivolgersi a Costantino con un saluto so­
lenne da parte di tutti i vescovi presenti, nel quale avrebbe introdotto un
inno di ringraziamento a Dio711.
Anche Costantino ha parlato della gratitudine per Dio, ha salutato i
vescovi presenti (probabilm ente insieme ai presbiteri, diaconi e altri
presenti) come sacerdotes Christi ed è passato alle discordie nella Chie­
sa, che sarebbero da riparare. Quindi ha invitato tutti all'unanim ità e al­
la pace. L'accento posto sulla gratitudine non era casuale. Eusebio lo
accentua ancora di più quando con ammirazione suprema parla dei par­
“ E u seb io . V C III. 17 ss. S o crate H E 1 ,9; 6 7 , 8 9 -9 3 : O p itz 26. p. 54.
w S o crate H E I, 8 (p reso d a At a n a sio , De Decretisi', O pitz 22, p. 4 2 ; la tra d u z io n e
c itata: Il Cristo 2. Testi teologici e spirituali in lingua greca dal IV al VII secolo , a c u ra di
H. S im o n e tti , F o n d a z io n e L o ren z o V alla - A rn a ld o M o n d ad o ri E d. 1986.
70 S o z o m e n o H E I. 19.
26
HENRYK PIETRAS. S.J.
tecipanti venuti da tutte le parti del mondo e finisce il capitolo con se­
guenti parole:
Da secoli soltanto un imperatore, Costantino, ha offerto al Cristo una co­
rona allacciata con i legami di pace, come un dono di ringraziamento al
Salvatore per le vittorie sui nemici e sugli avversari: ha convocato nei no­
stri giorni quell'im m agine del coro apostolico71.
Infatti molti imperatori facevano feste giubilari. molti altri ringra­
ziavano a Dio per le vittorie, ma la celebrazione di ringraziamento, con
l'invito di tanti servi di Dio, non si è ancora vista. Notiamo che Eusebio
descrive le celebrazioni del vigesimo anno di governo nella VC III, 15 e
nel 22 da notizia che per questa circostanza Costantino fece distribuire
denaro al popolo — segno di una celebrazione di alto rango.
Ritornando a Eusebio notiamo il solo fatto di presentare il credo da
parte sua e osserviamo che ciò che è accentuato in modo più specifico
nel credo proposto è la fede trinitaria antimonarchiana con l’elenco enfa­
tico «il Padre veramente Padre, Il Figlio veramente Figlio, lo Spirito
Santo veramente Spirito Santo»(Ces 5).
Eusebio comincia la professione con «crediamo» e non «credo» co­
me si aspetterebbe se si trattasse della sua professione personale. Rappre­
sentava forse un gruppo? Con il credo della Chiesa di Cesarea non potreb­
be rappresentare altri che questa Chiesa. Ma che bisogno aveva la Chiesa
di Cesarea di presentare la professione di fede? Come ho detto, la Chiesa
di Cesarea no, ma l'imperatore sì, per poter controllare «l’ortodossia». So­
spetto fortemente che questa parola non significava per lui una fedeltà alla
verità divina, ma la conformità al credo che attualmente avrebbe tenuto in
mano. Il credo proposto ad Antiochia doveva essere squalificato già prima
della «gara» e bisognava al più presto possibile stabilirne un altro.
La narrazione di Eusebio dimostra amaramente la scissione dell'as­
semblea in «noi» e «loro». «Loro» hanno composto il credo, «noi» —
scrive Eusebio — abbiamo fatto loro delle domande sul significato delle
espressioni. Nella discussione venne chiarito nel testo della professione
di fede quanto suscitava dei dubbi:
«dalla ousia» equivale a «dal Padre» (ex tou patros)\
«generato» va meglio di «fatto», perché così si dice delle creature
fatte per mezzo del Figlio;
71 v e III, 7.
LE RAGIONI DELLA CON VOCAZIO N E DEL C ONCILIO NICENO
27
«consustanziale» significa che il Figlio «è simile in tutto al solo Pa­
dre che lo ha generato, e non deriva da una qualsiasi altra ipostasi o ousia, ma dal Padre» (Ces 13).
«Loro» hanno fatto pure un anatematismo. Eusebio dice di non aver
problemi con esso, perché era d ’accordo dal momento che proscrivevano
le espressioni non bibliche. Termina la lettera assicurando che tutto quel­
lo che ha fatto, l'h a fatto per scelta propria, volontariamente e non per­
ché qualcuno glielo faceva fare. Sarebbe molto interessante poter stabili­
re chi erano «loro». Se si volesse credere ad Atanasio, era la stragrande
maggioranza antiariana che condivideva le opinioni teologiche del suo
protettore Alessandro. Solo che non si capisce in questo caso da dove so­
no venuti fuori quelli che nei prossim i anni avrebbero espulso dalla
Chiesa Atanasio e Marcello, gli aderenti a Basilio di Ancira, quelli di An­
tiochia del 341 ecc., e perché per venticinque anni nessuno ha fatto ricor­
so a questo credo. Anche gli Occidentali, presente Atanasio e Marcello,
cercavano continuamente un'altra formula.
Ci sono anche documenti composti vari anni dopo, soprattutto i te­
sti di Atanasio e di Ilario di Poitiers. Concentriamoci però sui primi. Os­
serviamo che tutti, tranne la lettera di Eusebio e quella di Costantino sul­
la Pasqua, sono di provenienza alessandrina, anzi, atanasiana, riguardano
gli affari di questa Chiesa, mettono in rilievo i meriti del suo vescovo.
Creano anche l'im pressione che tutto il concilio fosse stato soprattutto
antiariano, ciò che non risulta né dalla VC né dalla Ces, prescindendo
dall'introduzione del ktiston nel testo deH’anatematismo niceno, come
indicato in precedenza. Analizzando questi documenti (e solo questi), ci
si presenta una gerarchia d'im portanza delle cose trattate al concilio:
1) fissazione della data della festa pasquale;
2) precisare «una fede»;
3) soluzione dei problemi vari come lo rispecchiano i canoni;
4) presa di posizione riguardo allo scisma meleziano e arianesimo.
L'ordine d'im portanza non dev’essere necessariamente uguale al­
l'ordine cronologico. La discussione sulla formula della fede doveva es­
sere agitata. Fortissime preoccupazioni antipaoloniane e antisabelliane
da una parte, il contrasto tra Alessandro e Ario, che coinvolse tutti i colluzianisti, dall'altra, dovevano rendere l'opera di formulazione assai dif­
ficile. La famosa funzione pacificante di Costantino, della quale tanto
scrive Eusebio, doveva servire molto. Sembra che a lui non importasse
28
HENRYK PIETRAS. S.J.
quale doveva essere questo credo, perché non ci comprendeva molto.
Egli premeva però di arrivare finalmente a una formula, che avrebbe po­
tuto usare come metro. Per di più. la data del 25 luglio, inizio delle vi­
cennalia. non si poteva spostare. Se così sono andate le cose, come cre­
do, la professione di fede (con l’anatematismo) non sarebbe altro che un
prodotto di compromesso alquanto forzato dall'im peratore, compromes­
so che ha portato a l'inserim ento nel credo delle varie espressioni accet­
tabili — anche se a malincuore — da tutti. Chi era troppo orgoglioso,
presuntuoso o prendeva le cose troppo seriamente, non l'aveva accettato.
Ma erano pochi. Gli altri hanno firmato e gli hanno dato l'im portanza
che si meritava, cioè pressoché nessuna. La sua portata teologica origina­
le sembra essere infatti molto limitata.
La controversia seguita dopo il Concilio, e soprattutto dopo l'ele­
zione di Atanasio alla sede vescovile di Alessandria, non sembra abbia
avuto inizialmente carattere teologico. Già Costantino chiamò il con­
flitto tra Alessandro e Ario una questione di invidia per cose da poco
conto. Come avviene in tutti i conflitti tra la gente religiosa, sono state
usate le etichette com e ariani, arianom aniaci, sem iariani, eusebiani,
marcelliani, sabelliani ecc.; ma lettura dei documenti dell'epoca rivela
piuttosto un gioco di potere e ambizione. A tanasio è stato esiliato 5
volte, ma mai per motivi dottrinali. Da parte sua. quando lui si difende
dalle accuse, dà più spazio alle accuse «criminali» che non alle que­
stioni dottrinali. Si è meritato, però, di essere chiamato Grande, perché
non ha tralasciato la questione di fede, ma proprio in base a quella cer­
cava l'accordo e l’unione della Chiesa. Questo avvenne però solo in un
secondo momento, quando le Chiese Orientali si sono schierate intorno
alla nuova formula di A ntiochia (341), quelle Occidentali intorno al
credo di Sardica (343) e bisognava trovare un altro punto di riferim en­
to. Il credo niceno, negli occhi di Atanasio, poteva servire a quello sco­
po, anche se doveva essere altamente ri formulato. Così come è stato
fatto a Nicea non serviva a niente; almeno così sembra partendo dal
fatto che nessuno se ne serviva. Ma a Costantino bastava. Finalmente si
poteva passare a fare festa.
Perché, allora, tutti abbiamo imparato a scuola che il Concilio Nice­
no fosse stato soprattutto antiariano e il credo ivi pubblicato lo è? Così ci
ha fatto credere il grande Atanasio. E si è dimenticato che neppure lui
aveva dato a quel credo la pur minima importanza per i primi venticin­
que anni della sua lotta con ¡'arianesimo.
A rriv ati a q u esto p u n to , b iso g n e re b b e risp o n d e re a n ch e alla d o m a n ­
da p e rc h é il cre d o non è sta to firm a to da d u e v e sco v i. S ec o n d o di T ole-
LE RAGIONI DELLA CON VOCAZIO N E DEL C ONCILIO NICENO
29
maide e Teona di Marmarica, e perché hanno rischiato la condanna insie­
me a Ario. Doveva essere una questione di principi che gli altri hanno
preferito sacrificare, accontentandosi delle spiegazioni date. Non c 'è
dubbio, infatti, che le affermazioni condannate neiranatem atism o sono
state prese dagli scritti di Ario. Ricordiamo comunque che rispetto al te­
sto prodotto ad Antiochia, la versione nuova era abbastanza pacata. Si ha
l'impressione che le sia stata tolta l’impronta antiariana proprio per ren­
derla più generica e a doppio taglio, vuol dire anche antipaoliniana. Per
rendersene conto vale la pena vedere le spiegazioni di Eusebio di Cesa­
rea. Infatti anche se qualcuno volesse accusarlo di parzialità, non era si­
curamente più parziale di Atanasio ma in senso opposto.
Eusebio scrive della sua firma sotto il credo con l'anatematismo:
Ces 15. ...ritenni che fosse senza danno, perché proibiva di usare termini
non attestati nella Scrittura, a causa dei quali suole nascere quasi ogni oc­
casione di disordine e confusione nella Chiesa. Perciò, dato che in nessu­
na scrittura divinamente ispirata si fa uso di «dal nulla» e di «c’è stato un
tempo in cui non esisteva» e di ciò che segue, non sembrò ben fatto dire e
insegnare tali cose.
Per comprendere meglio queste spiegazioni propongo di formulare
le frasi condannate a Nicea (per ora solo quelle commentate da Eusebio)
in modo esattamente contrario. Sembrerebbe che con l’anatematismo in
questione i Padri conciliari volessero proclamare ciò che segue:
1)
2)
3)
4)
non c ’era [un tempo], quando non esisteva il Figlio;
il Figlio esisteva prima di essere generato;
non è stato creato dal nulla;
non deriva da una ousia o da una hipostasis estranea.
I
commentatori comunemente ritengono che le prime due afferma­
zioni si riferirebbero alla coeternità del Figlio con il Padre, le altre due
parlerebbero invece dell'origine della sua esistenza. Non vedo perché la
prima proposizione (in forma negativa o positiva, come sopra) dovrebbe
riguardare solo l'eternità del Figlio. Mi sembra che il soggetto della frase
sia il tempo che non c ’era, non il Figlio, quindi la frase parlerebbe piut­
tosto della esistenza reale del Figlio prima dei tempi («prima di tutti i se­
coli») e anche se presa da Ario, sarebbe contemporaneamente rivolta
contro i sostenitori di Paolo di Samosata. Infatti, il credo niceno sarebbe
l'unico (?) credo orientale d'allora dove sarebbe mancata la frase sulla
generazione del Figlio prima dei secoli; deH'etemità non se ne parla prò­
30
HENRYK PIETRAS. SJ.
prio7:. Per di più le dottrine di Paolo si associavano in un certo senso a
quelle sabelliane, in quanto una variazione del monarchianismo tanto te­
muto in Oriente. Eusebio nella Teologia ecclesiastica (= ET) non sa de­
cidersi se paragonare l’insegnamento di Marcello d'A ncira a Paolo di
Samosata o a Sabellio. La frase non è univocamente antiariana, anche
perché Ario ammette chiaramente che il Figlio era stato generato prima
dei tempi eterni71. Rimane aperta la questione, come mai i Padri abbiano
messo la frase sulla generazione prima del tempo soltanto nell'anatematismo e non nel corpo del Simbolo. Non lo so. È pensabile però che a
forza di moltiplicare le precisazioni, come generato non creato, dall'oz/sia, consustanziale ecc., quella proposizione sia caduta in oblio, anche se
probabilmente tutti ne sarebbero stati d ’accordo; infatti, la troviamo do­
po nel credo di Antiochia di 341, in quello degli Orientali e di Occidenta­
li da Sardica (343), anche se in quell’ultimo con la forma «prima di tut­
to». Dopo ritorna al suo posto a Costantinopoli. Eusebio si limita a dire
che la frase incriminata non si trova nella Bibbia, quindi è da rigettare.
L'argom ento non è troppo forte, ma si potrebbe citare in appoggio di
questo tutta la ET, dove ampiamente polemizza con la tesi sostenuta da
Marcello, che del Figlio si poteva parlare soltanto a partire della sua na­
scita terrena. In base a queste osservazioni ritengo, anche se ipotetica­
mente, che la prima proposizione dell'anatem atism o niceno non fosse
esclusivamente antiariana, non toccasse affatto l'eternità del Figlio ma
soltanto la sua anteriorità rispetto al mondo creato e salva la sua fondamentale missione di mediatore della creazione.
La seconda proposizione, presa fuori dal contesto, sembra essere
assurda. È vero che anche questa è stata presa dalle lettere di Ario a Eu­
sebio e ad Alessandro. In questa seconda si dice che il Figlio non esiste­
va prima di essere generato» (4), come negazione della frase «esistendo
dapprima dopo è stato generato o creato» (3). Ario si riferisce qua alla
teoria dei due stadi di esistenza del Logos, come lo professavano gli
Apologeti del II secolo a modo di Filone Alessandrino, oppure di Tertul­
liano. Per quanto io sappia, tra i Padri conciliari non c ’erano stati soste­
nitori di una tale concezione, da tempo — sembra — abbandonata. Teo­
ricamente però si poteva sempre prenderla in considerazione. E certo pu­
re che Ario voleva sottolineare che la generazione, ossia la creazione del
73 Ho trovato soltanto tre posteriori, m olto simili tra di loro: fo rm a longior del credo
di E pifanio (DS 44), Ps. - A tanasiano (DS 46) e arm eno (DS 48).
73 C redo 2.
LE RAGIONI D ELLA CON VOCAZIO N E DEL C ONCILIO NICENO
31
Figlio, era avvenuta fuori del tempo e non si poteva parlare del tempo
prima di Lui. Infatti il tempo dovrebbe appartenere a quel patita, che è
stato creato mediante il Figlio. Ario certamente professava che il Figlio
«non è eterno, né coetemo, né ingenerato insieme col Padre, né ha Tes­
sere insieme col Padre» (4). Se fosse eterno, sarebbe a dire che era coe­
temo al Padre, quindi anche ingenerato, con che né lui né molti altri po­
tevano essere d ’accordo. Eusebio era della stessa opinione. N ell'ET I, 8,
2 scrive:
ET I, 8, 2. La Chiesa... riconosce l'unigenito Figlio di Dio, Gesù Cristo,
nato dal Padre prima di tutti i secoli, che non esiste col Padre, ma che esi­
ste e vive in sé e in quanto Figlio vive realmente col Padre (où xòv a m ò v
òvxa t (5 Tiatpi, KaO’écm tòv 8è òvxa tcaì ^(òvta Kaì àXtiGcot; u iòv
auvóvTa), Dio da Dio, luce da luce...
La frase di Ario presa fuori contesto diventa tautologica se applicata
alla generazione prima dei secoli. Eusebio attesta, che in realtà essa si ri­
feriva alla generazione da Maria, quindi alla preesistenza di Cristo rispet­
to all’incarnazione oppure all'esistenza del Figlio nel Padre come la po­
tenza prima di diventare atto74. Viene sospettato di falsa testimonianza '.
Giustamente? Penso di no. L'accusa sarebbe giustificata, se fosse stato
l'arianesim o unica preoccupazione dei Padri. Ma proprio questo è dub­
bio. Se davvero in quella frase si trattasse della generazione eterna dal Pa­
dre, la frase contraria a quella si presenterebbe alquanto sciocca. Voleva­
no dire i Padri che il Figlio esisteva prima di essere eternamente genera­
to? Assurdo. D ell'eternità qui non si parla. Non dimentichiamo che fin
ora solo Origene riusciva a spiegare la coeternità del Padre e del Figlio.
Chi dei suoi seguaci diceva altrettanto a Nicea? Probabilmente solo Ales­
sandro che nella lettera ai colleghi nell'episcopato professa l’eternità del
Figlio. Ma non sembra che a Nicea proprio lui suonasse il primo violino.
Per dire del Figlio, come fece Ario, che «non c'era prima di essere stato
generato», bisogna sì negare la sua eternità. Ma per dire il contrario, cioè
che «c'era prima di essere stato generato», in che bisogna credere? Non
vedo che due possibilità: i vari stadi di esistenza del Logos o la genera­
zione in questione è quella nella carne. Sono propenso, quindi, di dar retta
a Eusebio, quando egli dice nella Lettera: «tutti furono d'accordo che il
74 Lettera a Cesarea 16.
75 C fr. Il Cristo 2, c o m m e n to di M . S im o n e tti, 556.
32
HENRYK PIETRAS. S.J.
Figlio di Dio esiste prima di nascere secondo la carne». Tutti, cioè gli
Orientali con le loro preoccupazioni antisabelliane e antipaoliniane, come
pure i pochi Occidentali, abituati a delle professioni di fede, dove della ge­
nerazione si parlava soltanto nel contesto dell*incarnazione. L'unico non
soddisfatto poteva essere Marcello di Ancira. di cui abbiamo detto che Eu­
sebio non sapeva decidersi se era più neosabelliano o neopaoliniano. Eu­
sebio accetta queste formulazioni deH'anatematismo, perché non lo com­
promettono in nessun modo. Nella ET I, 14, 2 ricorderà ancora che i Padri
espulsero dalla Chiesa Paolo di Samosata, «poiché non professava che il
Cristo è il Figlio di Dio e che è Dio prima della sua nascita carnale».
Eusebio si è deciso pure di accettare la proscrizione della formula
«dal nulla», ex ouk onton, indubbiamente ariana, nascondendosi dietro le
Scritture. Infatti, Paolo scrive (1 Cor 8. 6) che tutto proviene dal (ek) Pa­
dre, quindi tanto più il Figlio. Il rapporto d'Eusebio con questa formula
tuttavia merita un po' più d'attenzione. Ricordiamoci che Ario le dava un
significato seguente:
Così abbiamo detto, in quanto [il Figlio] non è né parte di Dio né deriva
da un sostrato. Per questo siamo perseguitati'".
Eusebio dichiara che sono da biasimare quelli che parlano del Fi­
glio come «fatto dal nulla come le altre creature» (¿^ o ù k ò v t c o v ò^oitog
K t i o | i a o i v y e v ó | i e v o v ) (ET 1 ,9 , 1). Riporta in seguito vari testi biblici
sulla creazione di tutte le cose mediante il Figlio (Gv 1, 3; Col 1, 16), sul
suo essere immagine (Col 1, 15), riflesso della luce (Sap 7, 26) e Figlio
(Mt 17.5, Gv 1, 18, Gv 3, 16). Quindi conclude:
ET I, 9, 6. Chi dunque dopo queste testimonianze ritiene che il Figlio sia
generato dal nulla e sia una creatura derivata dal nulla, da un lato gli ac­
corda senza accorgersene solo il nome, dall'altro nega di fatto che egli è
vero Figlio di Dio. G iacché chi è generato dal nulla, poiché non è
nient'altro che una creatura, di fatto non può essere vero Figlio di Dio (ó
yàp
oi)K òvtcjv yeyovdx; o i k [àv] àX.r)0(ò^ Y é v o ifà v uiòq 0eoi3, ò n
jar|5è a l l o ti icàv yevvr|T(5v).
Probabilmente del tutto intenzionalmente Eusebio mette insieme gignom ai, gennaio e ktizein. A Nicea ha accettato la formula «generato
76 Ario, Lettera a Eusebio di Nicom edia 5.
LE RAGIONI DELLA CON VO CAZIO N E DEL C ONCILIO NICENO
33
non fatto» solo in quanto queirultim o termine veniva assegnato al creare
le cose mediante il Figlio". Sembra allora che per Eusebio l’espressione
«dal nulla» avesse un significato: «essere come una delle creature fatte
per mezzo del Figlio». Il Figlio non è stato fatto per mezzo di nessuno,
tanto meno per mezzo di se stesso, quindi è una generazione tutta specia­
le, particolare, e solo Lui può essere detto unigenito e primogenito. Ha la
propria ipostasi (contro l'affermazione di Marcello — ET I, 10. 4) non
paragonabile con altre creature.
Tutto il resto deH'anatematismo niceno7* Eusebio può accettarlo co­
me non biblico e non dirà mai — a mia conoscenza — che il Figlio po­
tesse provenire dalla sostanza del Padre; sempre dice semplicem ente
«dal Padre» (ex tou patros).
Una particolare attenzione merita la proscrizione deH’affermazione
sulla derivazione del Figlio «da una altra ipostasi o ousia». Nel credo è
stato detto che il Figlio è «daW ousia del Padre». Quello si potrebbe dire
antiariano, ma dicendo il vero, l’espressione non era vista bene dagli
Orientali in genere. Loro erano continuamente preoccupati di non cadere
nel materialismo nel parlare di Dio. Secondo Eusebio l'interpretazione
autentica sarebbe che «dalla sostanza» vuol dire lo stesso che «dal Pa­
dre». Abbiamo allora tre modi di parlare:
dal nulla — ariano;
dal Padre — biblico;
dalla sostanza — niceno.
Per Ario la formula — poco felice — stava per dire che il Figlio
non è una parte del Padre, come scriveva nella lettera a Eusebio di Nico­
media. Eusebio Panfilo vuol credere che il modo proposto al sinodo
equivale a quello biblico, perché lo può usare anche nel senso antipaoliniano oppure contro tutti coloro che vorrebbero professare Gesù Cristo
come puro uomo.
Come particolarmente antiariano viene compreso e commentato il
famoso homoousios. Di fatto anche in questo caso non doveva essere ne­
cessariamente così. La prima spiegazione — ricordiamo — della lettera
a Cesarea scritta da Eusebio, dice che la parola stava per significare che
il Figlio è simile in tutto al Padre e che non deriva da un’altra ipostasi o
Eusebio, Lettera a Cesarea 11.
' [Quelli che] afferm ano che egli deriva da altra hypostasis o ousia o che il Figlio è o
m utevole o alterabile, tutti costoro condanna la Chiesa.
34
HENRYK PIETRAS. S.J.
ousia. ma dal Padre (Ces 13). Notiamo: Eusebio non dice che il Figlio sa­
rebbe generato «dalla sostanza del Padre», ma «dal Padre», tornando al
linguaggio biblico. Dopo, per molti anni, non se ne parlava proprio, per­
ché i Padri non hanno dato nessuna importanza al credo composto. Quan­
do tuttavia Atanasio lo riprende rendendosi conto — probabilmente —
che non c 'è nessuna altra possibilità, spiega la consustanzialità nel senso
che «il Figlio non è solo simile, ma è la stessa cosa per somiglianza dal
Padre»79 e cerca un avvicinamento a quelli che non parlavano che della
somiglianza, a causa del biblico modo di parlare di una immagine o di
una impronta. Anche Ilario scriveva che Vomoousios è accettabile soltan­
to nel senso di una simile sostanza*0. Infatti né per Atanasio né per Ilario
c ’erano dubbi che ci siano due hypostasis, del Padre e del Figlio, oppure
due ousiai perché le parole erano sinonimi. Soltanto qualche anno dopo i
Cappadoci arriveranno alla convenzione secondo la quale ousia designas­
se ciò che è comune ai Tre, invece l'ipostasi — ciò che è particolare. Homoousios è stato condannato nel 264, in quanto termine usato da Paolo di
Samosata. Adesso Atanasio mostra che era possibile spiegarlo nel senso
antiariano, Eusebio — nel senso antimonarchiano, perché sempre rima­
neva inteso che si parla della consustanzialità di Uno rispetto all'Altro.
Conclusioni
L'investigazione condotta esaminando i documenti ma anche i ca­
lendari, permette di formulare ciò che segue.
Il
sinodo Niceno è stato convocato dall'imperatore Costantino con
lo scopo di festeggiare i vicesimali. In quanto pontifex maximus egli era
responsabile di tutte le religioni e tutti i culti nell'impero, quindi si inte­
ressava anche di quello che riguardava la Chiesa. Prima dell'adunanza
voleva allora garantire l’unità dei cristiani intorno ad una professione di
fede comune, a una festa di Pasqua, arrivando alla pace tra le parti in con­
trasto. Infatti, nelle competenze del pontefice massimo era la fissazione
del calendario delle feste, la conservazione delle formule sacre, nonché la
responsabilità perché tutti i riti fossero eseguiti fedelmente alle prescri­
zioni. Parallelam ente alla convocazione dei vescovi, nell’autunno del
324. ha inviato il suo consigliere per gli affari ecclesiastici, il vescovo Os­
sio di Cordova, perché visitasse le Chiese d ’Oriente. istaurasse la pace tra
” A ta n a s io , D e decretis 20.
80 I l a r i o di P o itik r s , De Synodis 91.
LE RAGIONI DELLA CO NVOCAZIO NE DEL CONCILIO NICENO
35
Ario e il suo vescovo Alessandro, mettesse fine allo scisma meleziano in
Egitto, arrivasse a stabilire una data della Pasqua, e portasse all'imperatore
un simbolo di fede che potesse essere accettabile da tutti. La sua missione
è fallita: Ario e Alessandro non si sono scambiati la pace, i meleziani con­
tinuavano a complicare la vita dei legittimi vescovi in Egitto, tutti teneva­
no alle proprie tradizioni riguardo alla Pasqua e il credo composto ad An­
tiochia era cosi unilateralmente antiariano che non si poteva in nessuna
maniera chiamarlo universale ed ammissibile da tutti. Così Ossio terminò
la carriera alla corte, e le cose bisognava aggiustarle al concilio, il che si è
fatto abbastanza velocemente a scapito della qualità del credo stabilito. Si
cercava di soddisfare i desideri di quelli schierati con Alessandro contro
Ario e dei colluzianisti preoccupati soprattutto del monarchianismo di
Paolo da Samosata e dei suoi epigoni. Finito il Concilio, tutti hanno di­
menticato il credo firmato a Nicea per circa venticinque anni, fino a quan­
do Atanasio d'Alessandria cominciò a battersi per il suo riconoscimento.
H e n r y k P ie t r a s ,
S.J.
RÉSUMÉ
La thèse de l'article est que Constantin aurait invite les évêques à Nicée
pour fêter son jubilé. L'arianism e ne pouvait en être la raison, car à la fin de 324
l’empereur le considérait une chose de peu d'im portance, même si scandaleuse.
En tant que Pontifex M axim us, il était aussi responsable pour établir le calendrier
des fêtes de la nouvelle religion et était tenu de conserver les formules sacrées.
Les chrétiens n ’avaient pas réussi jusqu'alors à se mettre d'accord sur la date de
la Pâque; Constantin voulait donc la faire établir. Il semble en fait que lui seul
désirait un symbole de foi signé par tous; ju sq u ’alors chaque église locale avait
le sien propre. Pour établir la date de la Pâque, garantir la paix dans l 'Eglise et
produire un credo, C onstantin envoya son conseiller ecclésiastique, O ssio di
Cordova, en mission en Orient. Celui-ci échoua et le credo formulé à Antioche
était si radicalement anti-arien qu'il devait paraître assez monarchien, vu q u 'à
Nicée il n’en fut pas question. A Nicée, donc, les évêques, avant de célébrer le
jubilé, durent solutionner toutes ces questions. Le credo établi s ’y est présenté
com m e un com prom is assez artificiel entre les tendances antiochiennes et
alexandrines. Comme tel malgré la signature de l’empereur, il ne fut accepté par
aucune eglise locale. Celles-çi continuèrent pendant des décennies à formuler de
nouveaux symboles, ju sq u 'à ce que Athanase d'A lexandrie comm ença à oeuvrer
pour le faire reconnaître.