John Irving In una sola persona Traduzione di Letizia Sacchini Rizzoli Proprietà letteraria riservata © 2012 by Garp Enterprises, Ltd. All rights reserved © 2012 RCS Libri S.p.A., Milano ISBN 978-88-17-05897-1 Titolo originale dell’opera: IN ONE PERSON Prima edizione: novembre 2012 Questo libro è il prodotto dell’immaginazione dell’Autore. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono fittizi. Ogni riferimento a fatti o a persone reali è puramente casuale. In una sola persona Per Sheila Heffernon e David Rowland e in memoria di Tony Richardson «E così, in una sola persona, faccio la parte di molte, e nessuna di esse è soddisfatta.» William Shakespeare, Riccardo II 1 Un’audizione turbolenta Comincerò da Miss Frost. Alla gente dico che sono diventato scrittore per merito di un certo romanzo di Charles Dickens letto all’età cruciale di quindici anni, ma la verità è che ero ben più giovane quando ho incontrato Miss Frost e ho immaginato di fare sesso con lei, e quell’istante di epifania sessuale ha coinciso con la timida nascita della mia immaginazione autoriale. Sono i nostri desideri a plasmarci. In un minuto scarso di accese, inconfessabili fantasie ho desiderato di diventare scrittore e di fare sesso con Miss Frost, non necessariamente in quest’ordine. Io e Miss Frost ci siamo conosciuti in una biblioteca. Amo le biblioteche, pur avendo qualche difficoltà a pronunciarne il nome, sia al singolare sia al plurale. Dacché ho memoria, alcune parole mi causano spiacevoli problemi; nomi, soprattutto, persone o luoghi, tutto ciò che nel corso degli anni si è rivelato fonte di eccitazione incoercibile, intenso conflitto o panico estremo. Questa almeno è l’opinione di svariati insegnanti di dizione, logopedisti e psichiatri che mi hanno avuto in cura; inutile dirlo, senza successo. Alle elementari fui costretto a ripetere un anno per via delle mie «gravi difficoltà di espressione orale». Ora, a quasi settant’anni, ricercare 11 le cause dei miei inciampi verbali non mi interessa più. (Sarò franco: ’fanculo l’eziologia.) A pronunciare eziologia non ci provo nemmeno più, ma con qualche sforzo riesco a tirar fuori una variante comprensibile di biblioteca o biblioteche: un suono incerto, che mi esce di bocca simile a un frutto sconosciuto. («Bibbioteca» o «bibbioteche», come lo direbbe un bambino.) Per colmo d’ironia, la mia prima biblioteca fu un luogo piuttosto anonimo. Era la biblioteca pubblica della cittadina di First Sister, nel Vermont: un edificio compatto di mattoni rossi situato nella stessa strada in cui vivevano i miei nonni. Fino ai quindici anni e al giorno in cui mia madre si è risposata, ho abitato anch’io in quella casa in River Street. Mia madre e il mio patrigno si incontrarono in occasione di una rappresentazione teatrale. La compagnia dilettantistica locale si chiamava First Sister Players, e per quel che ricordo assistetti a tutti gli spettacoli che allestirono nella loro piccola sala. La mamma faceva la suggeritrice: dava l’imbeccata a chi dimenticava le battute. (E, trattandosi di teatro amatoriale, di vuoti di memoria se ne verificavano parecchi.) Per anni ho creduto che il suggeritore fosse un attore vero e proprio che per qualche oscura ragione restava fuori dalla scena e non indossava il costume, e tuttavia era indispensabile ai fini della rappresentazione. Quando mia madre lo incontrò, il mio patrigno era appena entrato a far parte dei First Sister Players. Era venuto in città per insegnare alla Favorite River Academy, una scuola privata semiprestigiosa che all’epoca era esclusivamente maschile. Per buona parte della mia prima giovinezza ho avuto la certezza che un giorno, quando fossi stato «grande abbastanza», sarei entrato alla Favorite River. La scuola era dotata di una bibliote12 ca più moderna e meglio illuminata, ma la biblioteca pubblica di First Sister è stata la mia prima biblioteca, e la bibliotecaria responsabile la prima bibliotecaria della mia vita. (In caso ve lo stiate domandando, no, con la parola bibliotecaria non ho mai avuto problemi.) Inutile dire che Miss Frost fu un’esperienza ben più memorabile del luogo in sé. Per mia colpevole negligenza, fu solo molto dopo il nostro primo incontro che venni a conoscenza del suo nome di battesimo. La chiamavano tutti Miss Frost, e quando mi rivolsi a lei per iscrivermi alla biblioteca a occhio e croce le avrei dato l’età di mia madre, forse qualche anno in meno. Mia zia Muriel, donna dal piglio deciso, mi aveva detto che Miss Frost «da giovane era stata molto attraente», ma a me riusciva impossibile credere che potesse essere stata più attraente di com’era quando la conobbi, nonostante a quell’età avessi già una fervida immaginazione. A quanto raccontava la zia, Miss Frost aveva fatto girare la testa agli uomini della città, ma ogni volta che uno di loro trovava il coraggio di farsi avanti la bellissima bibliotecaria lo fissava freddamente e replicava in tono impassibile: «Mi chiamo Miss Frost. Non mi sono mai sposata e non ho in programma di farlo». E infatti era ancora nubile. Incredibilmente, gli uomini disponibili di First Sister avevano smesso da tempo di provarci con lei. Il romanzo di Dickens decisivo, quello che mi fece desiderare di diventare scrittore, è Grandi speranze. Avevo quindici anni quando lo lessi e anche quando lo rilessi. Fu prima che iniziassi a frequentare l’accademia, perché ricordo che lo presi in prestito dalla biblioteca di First Sister – due volte. Prima di allora non mi era mai venuta voglia di rileggere un romanzo per intero. Miss Frost mi trapassò con lo sguardo. All’epoca non 13 le arrivavo nemmeno alla spalla. «Un tempo Miss Frost aveva un fisico statuario» mi aveva rivelato la zia, come se l’altezza e la corporatura della bibliotecaria esistessero soltanto al passato. (Per quel che mi riguarda, è sempre stata statuaria.) Era una donna dalla postura eretta e dalle spalle larghe, benché ad attirare la mia attenzione fosse soprattutto il seno, piccolo ma incantevole. In apparente contrasto con la stazza virile e la palese forza fisica, il suo petto aveva una freschezza acerba e il turgore improbabile di quello di un’adolescente. Non capivo come fosse possibile per una donna della sua età, e comunque quel seno doveva aver colpito l’immaginazione di ogni adolescente che vi si era imbattuto, o perlomeno così credevo al tempo del nostro primo incontro, nel 1955. Dovete sapere inoltre che Miss Frost non vestiva mai in modo provocante, almeno non nelle aule silenziose della biblioteca di First Sister, dove, a qualsiasi ora del giorno e della notte, era raro incontrare anima viva. Una volta avevo sentito zia Muriel dire a mia madre: «Miss Frost ha passato da un pezzo l’età in cui è sufficiente un reggiseno a fascia». Avevo tredici anni, e compresi che, secondo il giudizio della mia severissima zia, i reggiseni di Miss Frost erano del tutto inadeguati al suo seno, o viceversa. Non ero affatto d’accordo! E per i lunghi minuti che trascorsi a confrontare mentalmente le divergenti opinioni circa il seno di Miss Frost, lei non smise mai di trapassarmi con lo sguardo. L’avevo conosciuta quando avevo tredici anni; all’epoca di quella prima impasse ne avevo già quindici, ma il suo sguardo era così intenso che mi parve di aver trascorso gli ultimi due anni sotto il suo incantesimo. Alla fine, di fronte alla mia intenzione di rileggere Grandi speranze, Miss Frost commentò: «Questo l’hai già letto, William». 14
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