REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VIDIRI Guido - Presidente Dott. BANDINI Gianfranco - Consigliere Dott. NAPOLETANO Giuseppe - rel. Consigliere Dott. DORONZO Adriana - Consigliere Dott. PATTI Adriano Piergiovanni - Consigliere ha pronunciato la seguente: sentenza sul ricorso 19809/2013 proposto da: V.U. C.F. (OMISSIS), già elettivamente domiciliato in ROMA, (…), presso lo studio dell'avvocato S. T., che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato A. P., giusta delega in atti e da ultimo presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE; - ricorrente contro S. E. C. S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, (…), presso lo studio degli avvocati V.A., V. V., F. C., che la rappresentano e difendono giusta delega; - controricorrente avverso la sentenza n. 1097/2011 della CORTE D'APPELLO di BOLOGNA, depositata il 21/08/2012 r.g.n. 1115/2008; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/10/2014 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO; udito l'Avvocato R. V. M. per delega V. A.; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per: in via principale inammissibilità e in subordine rigetto. Svolgimento del processo La Corte di Appello di Bologna, riformando la sentenza del Tribunale di quella stessa sede, rigettava la domanda di V.U., proposta nei confronti della società S. E. C., d'impugnativa del licenziamento intimatogli dalla predetta società per giusta causa. A fondamento del decisum la Corte del merito, per quello che interessa in questa sede, riteneva, quanto al primo addebito - consistente nella contestazione di aver scaraventato contro il collega F. una scrivania ubicata nel magazzino e nel rifiuto di assisterlo dopo averlo colpito con il tavolo - che il fatto era stato ammesso dal V. sia pure limitatamente al solo lancio del tavolo essendo, invece, confermato nella sua integrità dal F.. Tale fatto, secondo la Corte territoriale, era dotato d'intrinseca gravità comportamentale che deponeva sfavorevolmente in merito alla correttezza e regolarità del rapporto di lavoro. D'altro canto, sottolineava la predetta Corte la condotta tenuta dal V. era stata tale da determinare una indubbia prospettazione quanto meno eventuale di aggressione alla persona. Relativamente all'altro addebito, concernente l'allontanamento dal posto di lavoro senza alcuna giustificazione quando gli era stato demandato il controllo su personale esterno, rimarcava la Corte territoriale, che tale comportamento confermava ulteriormente la mancanza della volontà del lavoratore di ottemperare alla disciplina aziendale. Avverso questa sentenza il V. ricorre in cassazione sulla base di tre censure. Resiste la società intimata che, in via preliminare, deduce l'inammissibilità del ricorso per violazione del termine di cui all'art. 327 c.p.c.. La società deposita, altresì, memoria illustrativa. Motivi della decisione Pregiudizialmente va disattesa la questione d'inammissibilità, sollevata da parte resistente, del ricorso per cassazione in quanto notificato oltre il termine di cui all'art. 327 c.p.c., atteso che dal timbro apposto a tergo della richiesta di notifica, di cui al ricorso per cassazione, emerge che l'atto è stato consegnato in data 2 agosto 2013 all'Ufficiale giudiziario per la notifica e, quindi, entro il termine previsto dalla richiamata norma di rito e tanto tenuto conto che la sentenza impugnata risulta depositata in data 21 agosto 2012 (Cfr. Cass. 30 maggio 2013, n. 13640 secondo cui laddove non venga esibita la ricevuta di cui al D.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229, art. 109, la prova della tempestiva consegna all'ufficiale giudiziario dell'atto da notificare può essere ricavata dal timbro, ancorchè privo di sottoscrizione, da questi apposto su tale atto, recante il numero cronologico, la data e la specifica delle spese, salvo che sia in contestazione la conformità al vero di quanto - da esso desumibile, atteso che le risultanze del registro cronologico, che egli deve tenere ai sensi dell'art. 116, comma 1, n. 1, del D.P.R. citato, fanno fede fino a querela di falso). Infatti a seguito delle sentenze della Corte costituzionale n. 477 del 2002 e n. 28 del 2004, la notificazione di un atto del processo civile si perfeziona, nei confronti del notificante, al momento del compimento della consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario (Cfr. per tutte Cass. 11 gennaio 2007 n.390 e Cass. 30 maggio 2013 n. 13640 cit.). Con il primo motivo del ricorso, deducendosi violazione dell'art. 246 c.p.c., in relazione alla L. n. 604 del 1966, art. 5, e all'art. 2119 c.c., comma 1, 1 periodo, e alla L. n. 300 del 1970, art. 7, si sostiene che erroneamente la Corte territoriale non ha tenuto conto dell'incapacità a testimoniare del lavoratore F. avendo questi un interesse a partecipare al giudizio. La censura è inammissibile. Secondo giurisprudenza consolidata di questa Suprema Corte qualora una determinata questione giuridica non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. 2 aprile 2004 n. 6542, Cass. Cass. 21 febbraio 2006 n. 3664 e Cass. 28 luglio 2008 n. 20518). Nella specie la questione di cui al motivo di censura in esame non risulta trattata in alcun modo nella sentenza impugnata ed il ricorrente, in violazione del richiamato principio di autosufficienza del ricorso, non ha indicato in quale atto del giudizio precedente ha dedotto la questione. Conseguentemente il motivo in discussione è inammissibile. Nè può sottacersi che questa Corte ha sancito il principio secondo il quale l'interesse che determina l'incapacità a testimoniare ai sensi dell'art. 246 c.p.c., è solo quello giuridico, che comporta una legittimazione litisconsortile o principale ovvero secondaria ad intervenire in un giudizio già proposto da altri controinteressati. Tale interesse, pertanto, non si identifica con l'interesse di mero fatto che un testimone (come, nella causa relativa alla legittimità del licenziamento, la persona aggredita dal lavoratore licenziato) può avere a che la controversia sia decisa in un certo modo (Cass. 5 gennaio 1994 n.32 e Cass. 3 ottobre 2007 n. 20731). Con la seconda critica, denunciandosi violazione dell'art. 32 lett. B) CCNL Autotrasporti e Logistica del 2000 in relazione all'art. 7 della L. n. 300 del 1970, e dell'art. 39 Cost., si sostiene che la Corte di Appello non ha preso in considerazione, le declaratorie contrattuali che prevedono per i fatti contestati una sanzione non espulsiva. La censura è inammissibile. Valgono in proposito le osservazioni già svolte in occasione dell'esame del precedente motivo atteso che parte ricorrente pur allegando di aver proposto la questione di cui trattasi sin dal giudizio di primo grado non ha indicato in quale atto ed in quali termini ha prospettato la stessa. Con l'ultima censura, prospettandosi violazione dell'art. 2119 c.c., in relazione alla L. n. 300 del 1970, art. 7, si sostiene che la Corte del merito ha erroneamente valutato l'elemento soggettivo ed in particolare si critica la sentenza impugnata per non aver la Corte del merito valutato le circostanze in cui è stata commessa la mancanza. Il motivo è infondato. La Corte territoriale, invero, ha valutato l'elemento soggettivo, sottolineando la ridotta capacità di autocontrollo nell'ambiente lavorativo e soprattutto l'intenzionalità del comportamento. Per il resto si tratta di un accertamento di fatto che in quanto non investito da specifica censura ex art. 360 c.p.c., n. 5, si sottrae al sindacato di questa Corte. Il ricorso in conclusione va rigettato. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza. Si da atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese giudiziali liquidate in E. 100,00 per esborsi ed Euro 3000,00 per competenze oltre accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 8 ottobre 2014. Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2014
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