Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino¶6 ottobre 2014¶N. 41 31 Politica e Economia Uno sbocco al mare per la Svizzera? Dibattiti Sardegna, Lombardia, Alto Adige, Valtellina, Baviera, Voralberg, Liechtenstein, Baden-Württenberg, Aosta, Savoia, Ain, Alsazia, Franche Comté: tutti chiedono in una forma o l’altra un’adesione alla Svizzera. Utopia o qualcosa di più? Johnny Canonica Se non avessimo avuto l’estate piovosa che ci siamo appena lasciati alle spalle, potremmo parlare di un colpo di sole. Come altrimenti giudicare l’idea lanciata da un gruppo di cittadini sardi di far aderire la Sardegna alla Confederazione svizzera? «Canton Marittimo» dovrebbe chiamarsi, un nuovo cantone che a detta dei suoi promotori dovrebbe portare vantaggi sia ai sardi sia ai cittadini svizzeri (che finalmente, per esempio, potrebbero passare le vacanze al mare restando entro i confini nazionali). Un’idea lanciata lo scorso aprile – e anche per questo non si può parlare di «colpo di sole» – a poco più di un anno dalla commemorazione dei 500 anni della battaglia di Marignano (combattuta tra il 13 e il 14 settembre 1515 nella località a sud est di Milano, oggi chiamata Melegnano), battaglia che vide le armate svizzere sconfitte da quelle francesi di re Francesco I, battaglia che mise fine alla politica di espansione territoriale dei confederati e che secondo la leggenda fu all’origine della neutralità elvetica. Per dimostrare che stanno facendo sul serio, i promotori del «Canton Marittimo» hanno anche già pensato alla bandiera (rigorosamente quadrata, ovviamente): la classica bandiera svizzera (croce bianca su sfondo rosso) con le quattro teste di moro del vessillo sardo a contornare la croce bianca. Come ammettono loro stessi sul loro sito (www.cantonmarittimo.com) l’idea nasce dalla volontà di staccarsi da uno Stato che si trova in una situazione di crisi e senza prospettive per una larga fetta della popolazione per aderire a un altro Stato efficiente, finanziariamente ed economicamente sano, che accetta e rispetta le minoranze linguistiche e religiose e che lascia una certa autonomia ai cantoni che lo compongono. La Svizzera non sarà forse il paese della cuccagna o quello dei balocchi agli occhi dei promotori del «Canton Marittimo», ma quanto meno permetterebbe alla Sarde- Le rocce rosse di Arbatax, in Sardegna: nonostante le ambizioni di taluni sardi di aderire alla Svizzera, la creazione di un «Canton Marittimo» resta un’illusione. (Keystone) gna uno sviluppo che l’Italia non sembra in grado di offrire. A differenza di quel che si potrebbe pensare, quella del «Canton Marittimo» non è però un’idea a sé stante; in passato di idee simili ne erano state lanciate più d’una, tanto che poco più di quattro anni fa il Consiglio federale era stato chiamato a prendere posizione sul tema da una mozione elaborata dall’ex consigliere nazionale UDC Dominque Baettig. Con il suo atto parlamentare dal titolo «Agevolare l’integrazione delle regioni limitrofe quali nuovi cantoni svizzeri», l’ex deputato giurassiano chiedeva all’esecutivo di «proporre un quadro costituzionale e legale che permetta di integrare, quale nuovo cantone svizzero, le regioni limitrofe, se auspicato dalla maggioranza della popolazione interessata». E Baettig citava quindi tutta una serie di Dipartimenti, Länder o Province confinanti con la Svizzera («Alsazia (F); Aosta, (I); Bolzano (I); Giura (F); Voralberg (A); Ain (F); Savoia (F); Baden-Württemberg (D); Varese (I); Como (I); o altri (lista aperta I)»), che nel passato – recente o lontano che fosse – avevano dimostrato interesse ad aderire alla Confederazione. Nella sua presa di posizione sulla proposta, il Consiglio federale raccomandava al Parlamento di respingere la mozione in quanto «una revisione della Costituzione federale che permetta alle regioni limitrofe al nostro Paese di unirsi alla Confederazione svizzera costituirebbe un atto politico ostile, che gli Stati vicini potrebbero considerare, a giusto titolo, provocatorio e nuocerebbe gravemente alle relazioni con i Paesi in questione. Una tale revisione non sarebbe soltanto politicamente inopportuna, bensì anche problematica sul piano del diritto internazionale (…) che non riconosce un diritto generale alla secessione. Il diritto di secessione costituisce soltanto l’ultima ratio in circostanze eccezionali, che evidentemente non sono date nella fattispecie» (e sulla base di questa presa di posizione dell’esecutivo, si potrebbe consigliare ai promotori del «Canton Marittimo» di mettersi il cuore in pace: un’adesione della Sardegna alla Svizzera appare decisamente improbabile). Il Parlamento alla fine non ha mai messo in agenda la mozione Baettig, non perché temesse di avviare «un atto politico ostile» a uno Stato vicino, ma semplicemente perché nel 2011 l’esponente democentrista non è stato rieletto e la sua mozione è stata di conseguenza «tolta dal ruolo». E se anche così non fosse stato, possiamo immaginare che la maggioranza del Parlamento avrebbe fatto sue le considerazione del Consiglio federale e respinto la proposta di Dominique Baettig. Ma non è solo in Sardegna che si pensa – si vagheggia? – di trasferire la propria sovranità sotto lo stendardo rossocrociato. Molte altre entità politiche vicine ai confini elvetici (quelle elencate da Baettig) riflettono più o meno seriamente se cercarsi una nuova patria sotto le gonne di «mamma Elvezia». I primi a pensarci – 95 anni or sono! – furono i cittadini del Voral- berg, Land austriaco che confina con i Grigioni e San Gallo. Al termine della Prima guerra mondiale videro nell’adesione alla Svizzera la soluzione ai problemi ai quali erano confrontati. In una votazione popolare, l’80% dei votanti si espresse a favore del cambio di sovranità. La proposta però non venne raccolta dall’altro lato della frontiera, dove il Consiglio federale preferì non approfondirla per non sbilanciare il delicato equilibrio tra cantoni tedeschi e latini, tra cittadini riformati e cattolici. Ed è proprio a causa di questo equilibrio – oggi comunque ben diverso da quello del 1919 – che appare decisamente improbabile che la Svizzera possa vivere un’espansione territoriale, sebbene l’idea possa risultare affascinante almeno dal punto di vista turistico. Malgrado certe idee di tipo federalista che spingono delle regioni a chiedere il distacco dal potere centrale (pensiamo in primo luogo alla Lombardia in Italia), chi per secoli è vissuto in un sistema centralista farebbe molta fatica a cambiare le proprie abitudini. In questo senso l’integrazione del Land tedesco del Baden-Württenberg (in un sondaggio condotto dalla «Schwäbische Zeitung» l’86% dei partecipanti si è espresso a favore di un’adesione alla Svizzera) o del Voralberg nella Confederazione appare decisamente più fattibile che non quella ipotetica della Lombardia o dell’Alsazia. Senza contare che oltre alle abitudini, la gente dovrebbe cambiare anche la propria mentalità: se lo Stato in Svizzera viene identificato come qualcosa a cui tutti i cittadini appartengono, in Italia invece una larga fetta della popolazione lo considera come un «nemico», una visione non compatibile con il modello elvetico. A 499 anni dalla battaglia di Marignano, insomma, il cuore in pace se lo devono mettere in molti. Chi all’estero sogna di aderire alla Confederazione, chi in Svizzera vorrebbe estendere i confini nazionali. Anche solo per non restare in colonna in dogana quando si reca o torna dalle vacanze al mare. Cenni di distensione sul mercato dell’alloggio Edilizia Il numero di alloggi vuoti è in leggero aumento, ma meno marcato nei grandi centri. L’attività di costruzione è ancora intensa e l’influsso sul costo degli affitti a breve scadenza potrebbe ancora provocare aumenti Ignazio Bonoli Dopo un periodo abbastanza lungo di tensione in alcune regioni, anche tale da far pensare a interventi di freno, il mercato immobiliare svizzero dà ufficialmente i primi segni di rallentamento anche per quanto concerne il settore abitativo. L’Ufficio federale di statistica ha comunicato i dati concernenti il rilevamento del 1. giugno 2014: si sono, infatti, registrati 45’748 alloggi vuoti, pari all’1,08 per cento di tutti gli alloggi a disposizione nell’intero Paese. Rispetto all’anno precedente si è quindi eviden- ziato un sensibile aumento del 14 per cento , cioè di 5740 alloggi vuoti. Tutte le principali grandi regioni del Paese hanno fatto segnare un aumento di alloggi non occupati con un incremento particolare nella regione del lago Lemano, in quella del «Mittelland», di Zurigo e della Svizzera orientale. L’aumento di alloggi vuoti è stato un po’ meno marcato nella Svizzera centrale e nel Ticino. Secondo questa statistica, in 19 cantoni il numero di alloggi è aumentato, e in 14 di questi ha superato il limite dell’1 per cento. A livello di singoli cantoni, la percentuale più alta di alloggi vuoti Anche in Ticino molti cantieri al lavoro: gli alloggi vuoti sono 1847, lo 0,83 per cento del totale. (Tipress) è stata registrata nel canton Giura con il 2,25 mentre la più bassa è da attribuire al semi-cantone di Basilea-Città (0,23). I due semicantoni di Basilea fanno pure parte della minoranza di cantoni nei quali l’offerta di appartamenti non è aumentata, ma piuttosto diminuita, il che spiega in parte anche la bassa percentuale di alloggi vuoti. I cantoni di Obvaldo e Nidvaldo, di Glarona, di Appenzello Interno e Argovia hanno pure fatto registrare una diminuzione di alloggi vuoti a un livello abbastanza elevato e non presentano quindi seri problemi di mancanza di abitazioni. Il canton Zurigo continua invece a presentare una situazione piuttosto tesa sul mercato dell’alloggio, nonostante la proporzione di abitazioni vuote sia leggermente aumentata rispetto all’anno precedente (dallo 0,6 allo 0,76 per cento). Tuttavia, delle 703’000 abitazioni presenti nel cantone, oltre 5300, e cioè 1100 in più rispetto all’anno precedente, risultano vuote. Di queste abitazioni, 4400 sono offerte in affitto e un po’ meno di 1000 sono invece in vendita. Questa situazione si è creata a causa della forte attività edile nel cantone. Di conseguenza, secondo la statistica dell’Ufficio federale, ben 1023 di queste abitazioni vuote si trovano in immobili con meno di due anni di vita. Quello degli alloggi vuoti è un im- portante indicatore della penuria di abitazioni sul mercato, ma non riflette completamente la situazione reale. Esso indica, infatti, le abitazioni vuote (appartamenti e case monofamiliari) al giorno del rilevamento. Non contempla invece le abitazioni che sono affittate senza interruzione al 1. giugno, oppure previste più tardi per l’affitto o per la vendita. L’offerta di alloggi è, in effetti, più ampia di quanto risulti dalla statistica degli alloggi vuoti. Il Ticino continua ad avere un mercato dell’alloggio piuttosto teso. Gli alloggi vuoti sono 1847, cioè lo 0,83 per cento (0,82 nel 2013) del totale di abitazioni a disposizione, in crescita dell’1,5 per cento. L’intensa attività edile fa pensare che in realtà il numero di alloggi vuoti possa essere superiore. Ma già con i dati pubblicati dall’UFS, la situazione appare abbastanza tesa, e da qualche anno. Pur muovendosi sotto l’1 per cento, non raggiunge i livelli di guardia di centri economici importanti come Basilea, Zurigo o Ginevra. In Ticino, l’attività edile resta comunque intensa. La statistica degli alloggi vuoti non lascia quindi prevedere un rallentamento, come invece segnalano altri indici. Per esempio, la diminuzione delle transazioni immobiliari nel secondo trimestre è stata del 10,1 per cento, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Anche il valore delle transazioni per le tre principali tipologie (proprietà per piani, fondi edificabili e fondi non edificabili) è diminuito dell’1,3 per cento. È sicuramente un altro indizio di un rallentamento del settore immobiliare nel cantone. In realtà, per la statistica nazionale, l’indice degli alloggi vuoti, da solo, non è molto significativo. Viene per esempio falsato dalla posizione geografica o dalla qualità dell’abitazione stessa, di modo che non è sempre in grado di rispondere alla domanda del mercato. Difficile poi calcolare quale influsso l’indice possa avere sulle pigioni. Avenir Suisse ha calcolato, qualche anno fa, il rapporto necessario per avere prezzi costanti per le pigioni ed è giunta alla conclusione che il tasso «naturale» di alloggi sfitti, che non incide cioè sulle pigioni, deve essere dell’1,15 per cento. Valori inferiori provocano un aumento delle pigioni, epurate dal rincaro, mentre un tasso più alto provoca una diminuzione. Oggi ci troveremmo perciò ancora in una fase di penuria, con tendenza all’aumento delle pigioni. Molti altri fattori incidono però sul prezzo degli affitti. Un rallentamento dell’immigrazione potrebbe provocare un aumento degli alloggi vuoti. Le proporzioni sono però ancora ben lontane dal «boom» del 1973, quando le nuove costruzioni erano quasi il doppio di quelle attuali.
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