UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PARMA FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI TESI DI LAUREA IN SCIENZA E TECNOLOGIA DEI MATERIALI “METODOLOGIE FISICHE PER LA DEPOSIZIONE DI FILM SOTTILI FINALIZZATE ALLA REALIZZAZIONE DI CELLE SOLARI AD ALTA EFFICIENZA” RELATORE: Chiar.mo Prof. Alessio Bosio LAUREANDO: Silvio Bertoni Anno accademico 2012-2013 1 Alla mia famiglia Ai miei amici, Ai miei compagni e a tutte le persone a cui voglio bene e che mi sono state vicine in questa lunga avventura. 2 INDICE Capitolo 1: 1.1 INTRODUZIONE 5 TECNOLOGIE DI DEPOSIZIONE UTILIZZATE AL ThiFiLab 6 LO SPUTTERING 7 1.1.1 APPLICAZIONI INDUSTRIALI DELLO SPUTTERING 14 1.2 EVAPORAZIONE TERMICA 14 1.3 EVAPORAZIONE ASSISTITA DA CANNONE ELETTRONICO 16 1.4 LA CSS (CLOSE-SPACED SUBLIMATION) 18 FUNZIONAMENTO DELLE CELLE SOLARI 20 2.1 CELLE SOLARI PRODOTTE AL ThiFiLab 26 2.1.1 CELLE SOLARI A BASE DI CdTe 26 Capitolo 2: 2.1.1.1 LAVAGGIO DEL SUBSTRATO 27 2.1.1.2 PULIZIA DEL SUBSTARTO CON MACCHINA PULITRICE AL PLASMA 28 2.1.1.3 DEPOSIZIONE DEL FRONT-CONTACT 28 2.1.1.4 DEPOSIZIONE DEL MATERIALE FINESTRA 29 2.1.1.5 DEPOSIZIONE DEL MATERIALE ASSORBITORE 30 2.1.1.6 DEPOSIZIONE DEL BACK-CONTACT 31 2.1.1.7 CREAZIONE DEI CONTATTI ELETTRICI 32 2.1.2 CELLE SOLARI A BASE DI CIGS 32 2.1.2.1 LAVAGGIO E PULIZIA DEL SUBSTRATO 33 2.1.2.2 DEPOSIZIONE DEL BACK-CONTACT 33 2.1.2.3 DEPOSIZIONE DEL MATERIALE ASSORBITORE 34 2.1.2.4 DEPOSIZIONE DEL MATERIALE FINESTRA 36 2.1.2.5 DEPOSIZIONE DEL FRONT-CONTACT 37 2.1.2.6 CREAZIONE DEI CONTATTI ELETTRICI 37 Capitolo 3: RISULTATI SPERIMENTALI 38 3 3.1 CARATTERIZZAZIONE DELLA CELLA COMPLETA 38 3.2 CARATTERIZZAZIONE DELLE CELLE DA ME PRODOTTE AL ThiFiLab 39 CONCLUSIONE 44 BIBILIOGRAFIA 45 4 INTRODUZIONE Negli ultimi 2 decenni, il previsto rapido esaurimento delle riserve di combustibili fossili, con conseguente aumento dei prezzi e l'accresciuta sensibilità riguardo ai danni ambientali che il loro sfruttamento comporta, hanno dato un forte impulso alla ricerca di nuove fonti di energia rinnovabili (energia solare, eolica, geotermica, mareomotrice ecc...), ampiamente disponibili e a basso costo. Tra le fonti di energia rinnovabili, quella che ha conosciuto il maggiore sviluppo è stata l'energia solare fotovoltaica (PV), merito della sua grande disponibilità e delle buone efficienze di conversione raggiunte. Negli ultimi anni la produzione di moduli PV ha registrato un incremento abbondantemente superiore al 40% annuo grazie anche alle favorevoli sovvenzioni statali dedicate alla loro installazione; l'andamento del mercato è stato principalmente mantenuto grazie all'aumento della produzione di moduli fotovoltaici basati sulla ben conosciuta tecnologia del silicio monocristallino e policristallino[2]. Tale tecnologia, molto simile a quella già utilizzata da decenni per la produzione dei chip elettronici, ha dimostrato, nel caso di silicio monocristallino, di poter raggiungere efficienze di conversione[1] intorno al 22% (il record attuale è del 22,9%), valore che sale fino al 27,6% nel caso di impianti a concentrazione di luce solare con celle a multigiunzione e intorno al 18,5% per il silicio policristallino. Sebbene i moduli basati su questa tecnologia presentino buone performance nel tempo (a norma di legge deve essere garantito un funzionamento con un’efficienza dell'80% per 20 anni, ma il tempo di vita stimato per questi pannelli fotovoltaici è di almeno 40 anni), la necessità di lavorare ad alte temperature e in ultra alto vuoto nella fabbricazione del silicio di grado solare e le complesse operazioni di taglio e montaggio dei wafer rendono questa tecnologia intrinsecamente complessa e molto costosa; inoltre il silicio, essendo un semiconduttore a gap indiretta, presenta un basso coefficiente di assorbimento nella regione visibile dello spettro solare a cui è accoppiata un'alta riflettività della superficie. Infatti a grandi angoli si può perdere per riflessione fino al 30% della radiazione incidente. Questo impone l'utilizzo di tecnologie di antireflecting coating, facendo aumentare ancor di più il prezzo del modulo rendendo l’Si un materiale non particolarmente adatto ad essere utilizzato come assorbitore in una cella solare. Queste problematiche sono ancora più importanti nel caso dei film sottili di silicio obbligando ad usare strati spessi oppure complesse tecniche di intrappolamento della luce che ancora una volta aumentano la complessità e il costo della cella finita[2]. Poiché le tecniche usate per la deposizione di film policristallini (sputtering, evaporazione tramite cannone elettronico, CSS) sono decisamente più semplici ed economiche rispetto a quelle utilizzate nella tecnologia del silicio, i film sottili hanno 5 dimostrato di essere in grado di garantire produzioni su larga scala permettendo la costruzione di celle come risultato di un processo in linea piuttosto che di un assemblaggio finale di vari componenti più piccoli; dato che sono necessari elevati ritmi di produzione per rendere competitive le celle solari nei confronti delle tradizionali fonti di energia, solo la tecnologia dei film sottili è in grado di raggiungere questi obbiettivi. Grazie ai grandi miglioramenti ottenuti in termini di riproducibilità [1],[5], durata nel tempo e applicabilità a grandi superfici, i pannelli fotovoltaici basati su tecnologia a film sottili sono passati da una fetta di mercato del 6% nel 2006 al 12% nel 2010[2]. Ciò è stato soprattutto possibile grazie alla realizzazione di moduli fotovoltaici basati su film sottili policristallini di CdTe e Cu(InGa)Se2 (CIGS) di alta qualità, in grado di garantire efficienze del 12-14% con probabile raggiungimento di valori intorno al 15% in breve tempo (gli attuali record mondiali per il CdTe e il CIGS sono rispettivamente 16,1% e 15,7%)[1], valori che mettono le celle solari basate su questa tecnologia in grado di competere con i tradizionali moduli fotovoltaici al silicio; inoltre la tecnologia a film sottili permette di realizzare i moduli su supporti flessibili (ad esempio polimerici) permettendone un facile adattamento alla forma della superficie e di conseguenza una più semplice integrazione nella struttura di un edificio. L'unico problema di questo tipo di celle è insito nella loro stessa natura di materiali policristallini in quanto la presenza di un grande numero di difetti rende difficile la previsione teorica del loro comportamento, complicando l'ottenimento di risultati riproducibili e obbligando a tenere conto di diverse problematiche completamente assenti nelle celle basate su silicio monocristallino. In questa tesi mi concentrerò in particolare sulle tecniche di deposizione e sulle metodologie di realizzazione di celle basate su CdTe e CIGS sviluppate e utilizzate nel laboratorio Film Sottili (ThiFiLab) del Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra dell'Università di Parma che hanno permesso di ottenere efficienze del 15.8% e del 16.8% rispettivamente. CAPITOLO 1: TECNOLOGIE DI DEPOSIZIONE UTILIZZATE AL ThiFiLab Le tecnologie di deposizione studiate e sviluppate in oltre 30 anni di esperienza al ThiFiLab sono lo sputtering, l'evaporazione termica, l'evaporazione assistita da cannone elettronico e la CSS(Close-Spaced Sublimation). Queste tecniche appartengono alla famiglia delle deposizioni fisiche; esse basano il loro funzionamento sulla fornitura di una quantità di energia al materiale che deve essere 6 depositato (target o sorgente), tale da rompere i legami tra gli atomi che lo costituiscono permettendo loro di allontanarsi dalla superficie. Il substrato, cioè l'oggetto su cui si vuole effettuare la deposizione, è posto parallelamente alla superficie della sorgente a una certa distanza ed è mantenuto ad una temperatura inferiore rispetto alla temperatura di condensazione (brinamento) del materiale evaporato (sublimato) in modo da permetterne la deposizione. Affinché questo processo avvenga nel modo descritto, è necessario che le apparecchiature di deposizione si trovino all'interno di una camera da vuoto; questo perché il libero cammino medio delle particelle che partono dalla superficie della sorgente deve essere tale da permettere loro di raggiungere il substrato. Dato che le traiettorie di queste particelle sono approssimativamente rettilinee, tutte queste tecniche daranno origine a deposizioni di tipo direzionale, cioè ad una copertura non uniforme del substrato ma che dipende dalla posizione dei vari punti del substrato rispetto alla normale alla superficie evaporante. Passiamo ora ad esaminare più in dettaglio le varie tecniche sopra elencate. 1.1 LO SPUTTERING Nello sputtering [3] due piastre piane e parallele (target e porta substrato) sono poste all'interno di una camera da vuoto e separate tra loro da una distanza di 5-10 centimetri. All'interno della camera deve essere presente un vuoto limite di 10-6–10-7 mbar in modo da eliminare il più possibile ossigeno e altre impurezze che potrebbero interferire con la deposizione; in seguito viene inserito in camera un gas (normalmente Ar ma a seconda della particolare metodologia di sputtering adottata è possibile utilizzarne molti altri) fino a raggiungere una pressione intorno ai - 10-4–10-2mbar. A questo punto si applica una differenza di potenziale tra le piastre; in particolare il target è polarizzato negativamente (catodo) mentre il porta substrato è polarizzato positivamente (anodo). La presenza del gas ad alta pressione nella camera è necessaria affinché vengano generati ioni in seguito alla presenza di naturali fonti di ionizzazione (ad esempio raggi cosmici). Mano a mano che si aumenta la differenza di potenziale applicata alle piastre, gli ioni e gli elettroni presenti vengono accelerati fino a raggiungere energie tali da produrre altre cariche a causa degli urti contro gli elettrodi (emissione di elettroni secondari) e contro altri atomi neutri; poiché aumentano le cariche libere presenti nel sistema diminuisce la resistenza e di conseguenza la corrente aumenta mentre il potenziale rimane costante essendo il sistema connesso ad un generatore di tensione. Questa è nota come scarica di Townsend. All'aumentare delle collisioni tra gli ioni e tra questi ed il catodo, sempre più elettroni 7 secondari vengono prodotti che a loro volta producono sempre più ioni per urto contro gli atomi neutri del gas; questo processo continua finché la quantità di cariche prodotte non rimane costante permettendo alla scarica di autosostenersi. A questo punto la corrente nel sistema aumenta fortemente mentre la differenza di potenziale presente diminuisce. Questa zona è nota come scarica normale. All'inizio il bombardamento del catodo da parte degli ioni non è uniforme ma si concentra sui bordi e su ogni asperità presente su di esso ma aumentando la potenza fornita, il bombardamento ionico tende a coprire in maniera pressoché uniforme la superficie in modo da dare una densità di corrente uniforme. Una volta che il catodo è uniformemente bombardato dagli ioni del gas, un ulteriore aumento della potenza fornita porta ad un rapido aumento della differenza di potenziale proporzionalmente alla corrente della scarica; questa zona è nota come scarica anormale ed è proprio questa zona che viene sfruttata per l'azione di sputtering. Nel grafico seguente viene mostrato l'andamento della differenza di potenziale in funzione della corrente in una scarica a bagliore. Figura 1: Andamento J – V per una scarica a bagliore. Si sceglie questa zona per il funzionamento dello sputtering perché, come si vede dal grafico, tensione e corrente sono linearmente dipendenti tra loro. Tra le piastre, in seguito alla presenza della scarica, si identificano due zone: la regione attiva, in cui si concentrano gli urti tra gli elettroni secondari e gli atomi del gas con conseguente emissione di luce, e una regione scura in prossimità del catodo in cui gli elettroni secondari vengono accelerati dalla differenza di potenziale presente tra le piastre. 8 Figura 2: (a) Posizione delle zone luminose; (b) andamento del potenziale e (c) andamento della distribuzione di carica spaziale in una scarica a bagliore. In molti sistemi di sputtering l'anodo è posto all'interno della zona di bagliore negativo e le altre zone mostrate nell'immagine precedente non sono presenti. Di norma all’anodo viene fissato il porta-substrato. In seguito al continuo bombardamento subito dall’anodo da parte degli elettroni è necessario installare nel porta-substrato un sistema di raffreddamento ad acqua per avere un buon controllo della temperatura. Figura 3: Esempio di scarica a bagliore in Argon in uno sputtering magnetron a radiofrequenza. Il bombardamento da parte degli ioni del gas presente in camera (in questo caso ioni Ar+) rompe i legami tra gli atomi della superficie del target che, essendo liberi di muoversi, vanno a depositarsi sul substrato. 9 Il vantaggio di questa tecnica rispetto alla comune evaporazione termica risiede nel fatto che gli atomi sputterati arrivano sul substrato con energie maggiori (1-10 eV contro gli 0,1-0,5 eV dell'evaporazione termica), pertanto effettuano più salti sulla superficie del substrato per disperdere la propria energia e ciò porta ad una migliore disposizione degli atomi stessi migliorando la qualità cristallina del materiale depositato. In taluni casi, oltre al gas inerte che permette lo sputtering, nella camera può anche essere inserita una pressione parziale di un gas reattivo come O2, N2, H2, CHF3 o C2H2F4 (noto anche commercialmente come R134a) che viene a sua volta ionizzato dall'impatto con gli elettroni secondari emessi dal target producendo sia ioni positivi che negativi. Questi ultimi, accelerati dalla differenza di potenziale presente, impattano contro l'anodo (substrato) arrivando fino all'azione di sputtering su parte del materiale depositato; questo fenomeno è chiamato back-sputtering. Regolando opportunamente la pressione parziale del gas reattivo immesso si può controllare la quantità di materiale back-sputterato. Inoltre questa continua azione di bombardamento sul materiale che si sta depositando, agisce soprattutto sugli atomi che non si sono messi nelle condizioni di minima energia, e che quindi sono causa di difetti all'interno del film, migliorandone significativamente la qualità cristallina. La metodologia di sputtering descritta, si può applicare solo nel caso di materiali conduttori (ad esempio metalli od ossidi trasparenti conduttori come l' ITO)1 poiché non si deve avere accumulo di cariche positive sulla superficie del target che, neutralizzando la differenza di potenziale applicata dal generatore, rendono impossibile l'impatto di altri ioni e bloccano di fatto lo sputtering. Questo tipo di sputtering è chiamato DC sputtering (direct-current sputtering) poiché la differenza di potenziale tra target e substrato è mantenuta tramite un generatore di tensione continua. Nel caso si vogliano depositare materiali isolanti è necessario ricorrere allo sputtering RF (radio-frequency) che consiste nell'applicare agli elettrodi un segnale in corrente alternata con una frequenza normalmente compresa tra i 5 e i 60 MHz; il vantaggio di questa tecnica è che un segnale in radiofrequenza può essere applicato attraverso qualsiasi impedenza ed è perciò possibile depositare, in linea di principio, qualunque materiale. Inoltre, a causa del campo elettromagnetico oscillante a frequenze superiori al MHz, gli elettroni presenti all'interno della scarica acquisiscono sufficiente energia da causare collisioni ionizzanti con gli atomi del gas, abbassando perciò la dipendenza della scarica dagli elettroni secondari prodotti dall'impatto degli ioni contro il target. Affinché il processo funzioni è necessario che la differenza di potenziale applicata tra i due elettrodi abbia una frequenza compresa in un ben preciso intervallo. Se la frequenza è troppo 1 Indium Tin Oxide, ossido di Indio e Stagno 10 bassa i due elettrodi si invertono continuamente mantenendo le proprie caratteristiche per un tempo sufficientemente lungo da far sì che gli ioni, essendo meno mobili degli elettroni, possano raggiungere nello stesso tempo gli elettrodi di segno opposto. Questo comporta una corrente media nulla nella scarica e lo sputtering da entrambi gli elettrodi, impedendo di fatto la deposizione. Se invece la frequenza è troppo alta gli ioni non riusciranno affatto a raggiungere il target e non si avrà azione di sputtering. Per superare questo problema si usano frequenze intermedie (5 – 60 MHz) e si collega il target al generatore di radiofrequenza tramite un condensatore; in queste condizioni durante il primo semiciclo si avrà un’elevata corrente elettronica all'elettrodo positivo mentre nel secondo semiperiodo si avrà solo una debole corrente ionica allo stesso elettrodo, a causa della grande differenza di mobilità tra elettroni e ioni. Pertanto in questa condizione il grafico I – V della scarica avrà un andamento molto simile a quello di un diodo. Se è presente un condensatore all'elettrodo da cui si vuole ottenere l'azione di sputtering, non potendo passare corrente attraverso di esso, il potenziale del target si autoregolerà ad un opportuno valore negativo tale per cui la corrente elettronica e quella ionica siano uguali in modulo e si abbia perciò una corrente complessiva nel sistema nulla; queste situazioni sono illustrate nelle immagini seguenti: Figura 4: (a) Andamento I - V in uno sputtering RF nelle condizioni iniziali; (b) Stesso grafico dopo che il potenziale sul catodo si è stabilizzato ad un valore negativo tale per cui la corrente complessiva del sistema ha un valore nullo (catodo disaccoppiato mediante un condensatore). Affinché si abbia azione di sputtering solo dal target è necessario, come già spiegato poco sopra, che esso sia collegato al generatore tramite un condensatore e che la sua l'area sia piccola rispetto a quella dell'altro elettrodo (in pratica esso è la terra del sistema di sputtering 11 ed è costituito dalle pareti della camera e da tutte le altre superfici escluso il target) poiché se anche le altre superfici venissero bombardate si avrebbe azione di sputtering su di esse con possibile inquinamento della camera, peggiorando di molto la qualità del film in via di deposizione; questa condizione è quantitativamente descritta dall'equazione 𝑉𝑐 𝑉𝑑 𝐴 = ( 𝐴𝑑 )4 dove 𝑐 Vd e Vc sono il potenziale dell'elettrodo direttamente collegato al generatore e di quello collegato ad esso attraverso il condensatore, mentre Ad e Ac sono rispettivamente l'area dell'elettrodo collegato direttamente al generatore e di quello collegato capacitivamente. Pertanto, come si può chiaramente vedere da questa relazione, per minimizzare il bombardamento di tutte le superfici della camera, la loro area deve essere molto maggiore di quella del target. Delle due diverse metodologie di sputtering descritte finora (DC e RF) esiste anche la versione magnetron dove sotto al target è montato un magnete permanente con i poli orientati in modo da dare un campo magnetico perpendicolare alla superficie del target; pertanto nella regione scura vicino al target gli elettroni secondari emessi, a causa dell'effetto combinato di campo elettrico e campo magnetico, sono costretti a percorrere traiettorie elicoidali il cui raggio è dato dall'equazione 𝑟 = 𝑚∙𝑣∙sin 𝜃 𝑒∙𝐵 dove m è la massa dell'elettrone, v la sua velocità , e la sua carica, θ l'angolo di emissione dell'elettrone secondario e B l'intensità del campo magnetico presente, mentre nel plasma il campo elettrico è pressoché assente e quindi gli elettroni percorrono semplici orbite circolari, senza più riuscire a raggiungere l'anodo e quindi il substrato. Questo sistema ha un triplice vantaggio: 1) riduce il riscaldamento del substrato a causa del bombardamento elettronico; 2) l'allungamento del cammino percorso dagli elettroni, pur mantenendo costante il libero cammino medio, aumenta la probabilità di collisioni tra gli elettroni secondari e gli atomi del gas, permettendo quindi una maggiore produzione di ioni che rende possibile abbassare la pressione del gas in camera; 3) il campo magnetico permette di concentrare la scarica in prossimità del centro del target e ciò, insieme alla presenza di un anello cilindrico conduttore (anello di guardia) posto molto vicino (1- 2 mm) al target, riduce gli effetti di bordo e migliora l'uniformità dello spessore del film depositato. Inoltre, a causa della maggiore quantità di ioni prodotti e quindi del maggior numero di urti tra gli ioni e il target, la velocità di deposizione è molto superiore rispetto allo sputtering convenzionale. 12 Figura 5: Schema di funzionamento dello sputtering magnetron. Possiamo osservare, inoltre, che il substrato può essere ricondotto ad una sonda piana immersa nella scarica; Quest’ultima, messa al posto dell’anodo, acquisisce sempre un potenziale negativo rispetto al plasma; ciò è dovuto al fatto che gli elettroni, essendo molto più mobili degli ioni, tendono a collidere maggiormente con il substrato mentre la scarica, essendo gli ioni la specie dominante, presenta un potenziale maggiore. Questo fenomeno, a seconda delle condizioni in cui si svolge lo sputtering, avviene con maggiore o minore intensità e può essere sfruttato per ottenere una migliore uniformità di deposizione. Regolando l'intensità del bias negativo che naturalmente si stabilisce all'anodo (se questo viene lasciato “floating”), si può favorire il bombardamento da parte degli ioni positivi che si trovano nelle vicinanze del substrato, favorendo il distacco degli atomi o molecole non ben disposti nelle posizioni richieste dal reticolo cristallino del materiale depositato. Contemporaneamente si riduce l’effetto del bombardamento da parte degli elettroni sul substrato minimizzando il danneggiamento da radiazione (radiation-damage). Nel caso si voglia ottenere un forte bombardamento ionico il potenziale negativo al substrato può essere ottenuto collegandolo ad una sorgente esterna. 13 1.1.1 APPLICAZIONI INDUSTRIALI DELLO SPUTTERING Lo sputtering, essendo una tecnica di deposizione originariamente nata per impiego industriale, presenta numerosissimi campi di applicazione. Oltre alla deposizione di strati di ossidi trasparenti conduttivi (complessivamente noti come TCO) per la costruzione di schermi conduttivi per ogni genere di dispositivo elettronico, trova ampia applicazione nell’industria delle celle solari realizzate sia su supporti rigidi che flessibili, la cui descrizione dettagliata affronteremo in seguito. Inoltre, questa tecnica è molto usata nell'industria dei semiconduttori per la deposizione di coating di varia natura necessari alla produzione di diodi e transistor per circuiti integrati. Un impiego simile si ha nell'industria del vetro, con la deposizione di coating per aumentare o diminuire la riflettanza del vetro oppure per diminuire la conducibilità termica nei doppi vetri, migliorandone l'isolamento e quindi l’efficienza energetica. Lo sputtering magnetron è anche molto usato per depositare nitruri di vari metalli come AlN, TiN o ZrN che, a causa della loro durezza, trovano grande applicazione nel ricoprimento di utensili da lavoro o come rivestimenti anticorrosione; Lo sputtering è anche molto utilizzato per rivestire con film atermici o metallici fibre tessili per produrre capi di vestiario dotati di una grande resistenza al calore o alla corrosione, destinati ad essere usati dai vigili del fuoco, in condizioni di rischio chimico o batteriologico o per schermare dispositivi dalle onde elettromagnetiche, in particolare infrarossi e onde radio, per usi militari. Infine esso ha importanti applicazioni in campo biomedico, permettendo di rivestire con ceramiche biocompatibili impianti e protesi metalliche utilizzate come supporto o sostituto permanente in caso di gravi fratture ossee o dentarie. 1.2 EVAPORAZIONE TERMICA L'evaporazione termica [4] è un semplice metodo di deposizione in vuoto e si basa sul riscaldamento di una sostanza fino a che essa raggiunge una tensione di vapore tale da poter evaporare o sublimare. In questa tecnica il materiale da evaporare viene posto all'interno di una camera da vuoto2 e inserito in un contenitore (crogiolo), composto da un metallo ad elevata temperatura di fusione (molibdeno, tungsteno, tantalio) o da materiali il più possibile inerti (Al2O3, BN, grafite); riscaldando il crogiolo per effetto Joule fino a una temperatura in cui la tensione di vapore del materiale considerato è vicina a 10-4 mbar, esso evapora o sublima, e raggiunge il substrato su cui inizia a depositarsi. A seconda del tipo di sostanza 2 Ciò è necessario per permettere agli atomi evaporati di raggiungere il substrato e non essere deviati (diffusi) dagli urti con gli atomi/molecole di gas residuo presente nella camera di deposizione. 14 l'evaporazione può avvenire da fase solida o liquida; non è possibile fornire una regola generale per stabilire in quali casi si abbia l'uno o l'altro comportamento ma bisogna analizzare il diagramma di fase dell'elemento o composto considerato. La velocità di evaporazione di una qualsiasi sostanza è data dall'equazione di Hertz-Knudsen 1 𝑑𝑁𝑒 = 𝛼(2𝜋 ∙ 𝑚 ∙ 𝑘 ∙ 𝑇) −2 ∙ (Π − 𝑝) 𝐴𝑒∙ 𝑑𝑡 dove dNe è il numero di molecole evaporate dall'area Ae nel tempo dt, α è il coefficiente di evaporazione della sostanza considerata, m la massa dell'atomo o molecola della sostanza evaporata, k la costante di Boltzmann, T la temperatura di evaporazione, Π la tensione di vapore e p la pressione idrostatica della sostanza evaporata in fase gassosa; nel caso di un'evaporazione condotta in vuoto si considera la velocità di evaporazione in funzione della massa e la si indica con: Γ= 𝑚∙𝑑𝑁𝑒 𝐴𝑒 ∙𝑑𝑡 𝑚 1 = (2𝜋∙𝑘∙𝑇)2 ∙ Π e il materiale totale evaporato dalla superficie è: dA dt e t , Ae L'emissione di materiale dalla sorgente di evaporazione non è uniforme; nel caso di una sorgente di area piccola la massa depositata sul substrato per unità di area è: 𝑑𝑀𝑟 (𝜃, 𝜑) 𝑀𝑒 = ∙ cos 𝜑 ∙ cos 𝜃 𝑑𝐴𝑟 𝜋 ∙ 𝑟2 dove Mr(θ,φ) è la massa infinitesima depositata per unità di area Ar, r è il raggio dell'elemento di superficie considerato, φ è l'angolo di emissione del materiale dalla sorgente e θ l'angolo di incidenza del materiale evaporato sul substrato. Come mostrato da questa equazione, la quantità di materiale depositato sul substrato, e quindi lo spessore del film, è massimo in prossimità della normale alla sorgente e per un substrato perpendicolare ad essa poiché cos 𝜑 = cos 𝜃 = 1. Se invece la sorgente può essere considerata puntuale la massa depositata sul substrato per unità di area è: 𝑑𝑀𝑟 𝑑𝐴𝑟 = 𝑀𝑒 4𝜋∙𝑟 2 ∙ cos 𝜃 Se inoltre la superficie del substrato non è liscia ma scabra, questo fenomeno sarà ancora più evidente; infatti le sporgenze presenti, poiché la deposizione avviene praticamente dalla direzione crogiolo-substrato, originano zone di ombra e penombra nelle quali la deposizione è ridotta o trascurabile. Per ovviare a questi problemi, negli impianti di evaporazione più avanzati i substrati sono fatti ruotare con un movimento planetario, in modo da ricoprire le asperità e ottenere una deposizione più uniforme. Le caratteristiche del film depositato dipendono, inoltre, dalle proprietà della sostanza evaporata; i metalli tendono generalmente ad 15 evaporare come atomi singoli o aggregati di atomi (cluster), mentre i composti raramente evaporano come molecole preferendo dissociarsi negli atomi componenti. Poiché la tensione di vapore degli atomi componenti è in generale diversa, essi tenderanno ad evaporare con velocità differenti; in alcuni casi questa differenza può diventare così grande che uno dei componenti resta in eccesso sulla sorgente come residuo. Pertanto la composizione del film depositato sarà molto diversa da quella del composto di partenza. Per ovviare a questo problema è necessario evaporare separatamente i componenti e far sovrapporre i coni di evaporazione in modo da formare le molecole del composto sul substrato. Se il composto da depositare è un ossido, il film tenderà a crescere carente in ossigeno e per riequilibrare la situazione sarà necessario immettere nella camera una pressione parziale di ossigeno. Nel caso di leghe metalliche i componenti tenderanno invece ad evaporare quasi indipendentemente l'uno dall'altro e, se le loro tensioni di vapore sono molto diverse, il film crescerà arricchito del componente a tensione di vapore maggiore; pertanto per ottenere una deposizione con la composizione opportuna è necessario utilizzare una sorgente arricchita del componente meno volatile o regolare opportunamente la temperatura del substrato. A seconda della temperatura della sorgente l'evaporazione avverrà a velocità diverse; le migliori condizioni di crescita del film si hanno quando la velocità di evaporazione è mantenuta bassa (nell'ordine di 1 angstrom/sec o inferiore) poiché in questo modo gli atomi del materiale evaporato hanno tempo sufficiente di disporsi sul substrato in maniera ordinata. Anche il riscaldamento del substrato favorirà la cristallizzazione poiché fornisce energia agli atomi in fase di deposizione, aumentandone il coefficiente di diffusione superficiale ed ottimizzando la loro disposizione nelle condizioni di minima energia. Il substrato deve infine essere in grado di sopportare la temperatura di deposizione senza subire danni e deve essere liscio (cioè con una rugosità superficiale inferiore ai 500 angstrom per uno spessore del film intorno ai 2-3 micron) e pulito (nel senso spiegato precedentemente). 1.3 EVAPORAZIONE ASSISTITA DA CANNONE ELETTRONICO La sostanza da evaporare, contenuta in un crogiolo (di solito di rame per la sua elevata conducibilità termica) raffreddato ad acqua, viene riscaldata tramite un fascio di elettroni [4], che accelerato da una differenza di potenziale tra i 5 e i 10 KV viene concentrato in un punto molto piccolo sulla superficie del materiale da evaporare mediante lenti elettromagnetiche; gli elettroni, in seguito all'urto con la superficie del materiale che si vuole evaporare, cedono la maggior parte della loro energia cinetica sotto forma di calore facendo raggiungere alla sostanza da evaporare temperature fino a 3000° C. L'evaporazione da cannone elettronico 16 segue le stesse leggi (legge del coseno) dell'evaporazione termica ma il principale vantaggio di questa tecnica risiede nella possibilità di concentrare fortemente il fascio ottenendo un riscaldamento estremamente localizzato che porta a fondere (sublimare) solo una parte molto piccola del materiale da evaporare, limitando così le interazioni chimiche tra questo ed il crogiolo; inoltre, in virtù delle elevate temperature raggiungibili, è possibile evaporare anche metalli refrattari e composti dalle alte temperature di evaporazione come l'Al2O3 e lo ZrO2. Come sorgenti di elettroni si utilizzano quasi esclusivamente dei catodi caldi costituiti da filamenti sottili di metalli refrattari3 che, riscaldati ad elevate temperature, emettono elettroni per effetto termoionico. La vita del filamento emettitore è limitata da eventuali reazioni chimiche con il materiale evaporato e dal bombardamento degli ioni originati dal gas residuo presente in camera; pertanto il cannone elettronico deve essere progettato in modo tale da rendere semplice la sostituzione del filamento stesso. Anche questa metodologia di evaporazione richiede un buon vuoto di partenza con pressioni inferiori ai 10-6 mbar per aumentare il libero cammino medio degli elettroni, ridurre le perdite di energia e focalizzazione del fascio elettronico dovute alla ionizzazione del gas residuo presente in camera. Esistono diversi tipi di cannoni elettronici che si distinguono tra loro per la diversa metodologia con cui il fascio elettronico viene accelerato sulla sostanza da evaporare (cannoni elettronici “work-accelerated” o “self-accelerated”). La tipologia di cannone elettronico più utilizzata al ThiFiLab è il cannone elettronico a fascio incurvato (bent-beam electron gun); in essa il fascio di elettroni4 prodotto viene incurvato di 270° per mezzo di un campo magnetico applicato in direzione trasversale forzando gli elettroni a percorrere traiettorie non rettilinee. Il campo magnetico può essere prodotto o da un elettromagnete che permette di focalizzare il fascio direttamente durante l'evaporazione o da un magnete permanente e la focalizzazione si effettua variando il potenziale di accelerazione. Questi cannoni sono caratterizzati da potenze comprese tra 2 e 10 KW e da potenziali di accelerazione tra i 3 e i 20 KV (nel caso dei cannoni elettronici presenti al ThiFiLAb si arriva a 12 KV per il più grande e 10 KV per il più piccolo ma al momento sono utilizzati rispettivamente a 7 e 4 KV). Il principale vantaggio di questa tecnica risiede nel fatto che, non essendo gli elettroni costretti a percorrere traiettorie 3 Tra questi il preferito è il tungsteno per le sue proprietà meccaniche e valori di resistività particolarmente alti se confrontati con i valori tipici dei metalli. Buoni valori di resistenza permettono di utilizzare correnti non troppo elevate, altrimenti necessarie per portare il filamento ad alta temperatura ed ottenere l'effetto termoionico basilare per l'emissione elettronica. 4 Anche in questo caso si utilizza come sorgente un catodo caldo ma di forma più allungata rispetto a quelli usati in altri tipi di cannoni elettronici per massimizzare la corrente emessa, facilitando così l'evaporazione a potenziali di accelerazione inferiori ai 10 KV. 17 rettilinee, è possibile porre il catodo in una posizione defilata, sebbene ancora vicina al materiale da evaporare, permettendo così di schermarlo da fenomeni di deposito ed erosione; inoltre essi sono poco costosi, poco ingombranti, utilizzabili in pressoché ogni situazione e con qualsiasi materiale e non sono limitati nell'intensità e nella focalizzazione del fascio sul target dalla posizione in cui si trova la sorgente. Figura 6: Schema di un cannone elettronico a fascio incurvato (bent beam). Per misurare lo spessore di materiale depositato si utilizzano delle bilance al quarzo, costituite da una sottile lamina di quarzo (che è piezoelettrico) la cui frequenza di oscillazione varia, rispetto al suo valore naturale, in funzione dell''aumento di massa dovuto alla deposizione del materiale evaporato; dalla differenza tra le due frequenze è possibile risalire allo spessore depositato sul quarzo e quindi sul substrato. Questi strumenti di misura tendono però a dare valutazioni sbagliate a causa dell'accumulo di cariche su di essi; per evitare ciò si utilizza una griglia elettrostatica in modo da rimuovere le particelle cariche dal flusso di materiale evaporato. 1.4 LA CSS (CLOSE - SPACED SUBLIMATION) La CSS [4] è una particolare tecnica di evaporazione in cui il target, costituito dal materiale da evaporare, viene posto in un porta-target di grafite e riscaldato, mediante lampade riscaldanti5, per irraggiamento fino a temperature superiori alla temperatura di evaporazione/sublimazione 5 Queste lampade sono costituite da un tubo di quarzo al cui interno è stato fatto il vuoto e in cui si trova un filamento di tungsteno riscaldato per effetto Joule tramite correnti dell'ordine dei 10 A; una volta riscaldato esso ha uno spettro di emissione concentrato nell'infrarosso. 18 del materiale da depositare. Il substrato è posto molto vicino alla sorgente (5-7 mm) e in camera è mantenuta un’elevata pressione (intorno ai 500 mbar) di gas inerte (normalmente Argon) Si forma così una nuvola di atomi o molecole evaporate in prossimità della superficie della sorgente. La nuvola viene mantenuta in quella posizione dalla contropressione esercitata dal gas presente in camera. Successivamente si diminuisce la pressione del gas inerte presente in camera portandola a valori intorno a 1 mbar. In seguito al pompaggio anche gli atomi o molecole già evaporati tenderebbero ad essere pompati fuori dalla camera ma a causa della piccola distanza tra target e substrato essi si depositeranno prima di poter essere allontanati; contemporaneamente la sostanza da depositare, per restare in equilibrio con il suo vapore, riprenderà a sublimare. Poiché anche il substrato è riscaldato fino ad elevate temperature, gli atomi o molecole evaporati appena depositatisi sul substrato tenderebbero immediatamente a rievaporare ma a causa della contropressione presente in camera non possono farlo; pertanto, vista l'elevata temperatura del substrato, essi termalizzandosi acquisiranno una elevata mobilità superficiale che gli permetterà di disporsi più facilmente nelle posizioni richieste dal reticolo cristallino, migliorando di molto la qualità del film depositato. Il funzionamento della CSS è mostrato nella figura seguente Figura 7: Schema di funzionamento della CSS. Il principale vantaggio di questa tecnica risiede nel fatto che, a seconda della pressione mantenuta in camera, è possibile aumentare la temperatura di condensazione del materiale che si vuole depositare. Questo permette di eseguire deposizioni ad alta temperatura, che non sarebbero possibili in alto vuoto, necessarie per ottenere film di alta qualità cristallina. L'altro vantaggio di questa tecnica è che gli atomi o molecole evaporati tendono a diffondere in seguito agli urti con gli atomi del gas ancora presente in camera permettendo di ottenere una deposizione uniforme su tutta la superficie del substrato, superando così i limiti imposti dalla legge del coseno. Al ThiFiLab questa tecnica è utilizzata per depositare CdTe; con essa si 19 ottengono film di buona qualità e dello spessore di alcuni micron in tempi abbastanza brevi, molto inferiori a quelli richiesti dallo sputtering. CAPITOLO 2: FUNZIONAMENTO DELLE CELLE SOLARI Prima di parlare più in dettaglio delle celle solari progettate e realizzate al ThiFiLab è opportuno descrivere il funzionamento delle celle solari in generale. L'elemento più importante di una cella solare è la presenza di una giunzione p–n cioè la presenza di una giunzione metallurgica tra un semiconduttore di tipo p (cioè un semiconduttore drogato con atomi di tipo opportuno per ottenere un eccesso di lacune nel materiale) e un semiconduttore di tipo n (cioè un semiconduttore drogato per ottenere un eccesso di elettroni nel materiale). Lo schema di una giunzione p-n è mostrato nella figura seguente: Figura 8: Rappresentazione schematica di una giunzione p-n con indicato l'andamento della densità di carica, del campo elettrico e della differenza di potenziale in funzione della posizione x. 20 A causa della presenza di un gradiente di concentrazione tra i due tipi di portatori (elettroni e lacune) alla giunzione, per ritornare in una condizione di equilibrio, si avrà diffusione termica di elettroni nel semiconduttore di tipo p e di lacune nel semiconduttore di tipo n. I portatori diffusi, che saranno di tipo minoritario nel materiale ricevente, causano l'annichilimento di una parte dei portatori maggioritari presenti (lacune nella regione p e elettroni nella regione n) e di conseguenza si formerà all'interfaccia tra i due semiconduttori una zona chiamata zona di svuotamento o di carica spaziale, in cui non sono presenti cariche libere. In seguito alla formazione della regione di svuotamento si instaura un campo elettrico , chiamato campo elettrico intrinseco ed orientato dal semiconduttore di tipo n a quello di tipo p. Quando l'intensità del campo elettrico instaurato diventa tale da impedire un ulteriore passaggio netto di cariche attraverso al giunzione si raggiunge un equilibrio termico stabile. La larghezza della regione di svuotamento nel materiale n è Wn mentre la larghezza nella regione p è Wp, pertanto la sua larghezza complessiva, che si indica con W, è espressa dall'equazione 2𝜖 ∙ (𝑁𝑝 + 𝑁𝑛 ) ∙ 𝑉𝑏𝑖 𝑊 = 𝑊𝑛 + 𝑊𝑝 = √ 𝑞 ∙ 𝑁𝑝 ∙ 𝑁𝑛 con 𝑉𝑏𝑖 = 𝑞∙𝑁𝑝 2𝜖 ∙ 𝑋𝑛2 = 𝑞∙𝑁𝑛 2𝜖 ∙ 𝑋𝑝2 che indica la differenza di potenziale tra i due estremi della zona di svuotamento, Nn la concentrazione di elettroni liberi nel materiale n, Np la concentrazione di lacune nel materiale p, ε la costante dielettrica media dei due materiali e q la carica dell'elettrone. Le ampiezze delle regioni di svuotamento dipendono dalla concentrazione di portatori liberi nei rispettivi semiconduttori, cioè dal loro grado di drogaggio, e devono essere tali da rispettare il principio di bilanciamento della carica elettrica, espresso dall'equazione 𝑊𝑝 ∙ 𝑁𝑝 = 𝑊𝑛 ∙ 𝑁𝑛 . La presenza della zona di svuotamento è fondamentale per garantire il corretto funzionamento della cella; infatti, la luce solare attraversa il materiale finestra (costituito dal semiconduttore di tipo n) e raggiunge il materiale assorbitore ( costituito dal semiconduttore di tipo p)6 dove si verifica l'effetto fotoelettrico interno, che consiste nell'assorbimento di un fotone della luce incidente e nella produzione di una coppia elettrone-lacuna. Se non fosse presente il campo elettrico dovuto alla regione di svuotamento le coppie elettrone-lacuna prodotte si ricombinerebbero dopo breve tempo e non si avrebbe un flusso netto di cariche ovvero una corrente elettrica che permette di erogare potenza su un carico esterno. L'effetto combinato dell’effetto fotoelettrico interno e la presenza della zona di svuotamento dovuta alla giunzione 6 Il materiale assorbitore è sempre costituito da un semiconduttore di tipo p poiché le lacune, a causa della loro maggiore massa efficace, sono molto meno mobili e hanno un tempo di vita molto inferiore rispetto agli elettroni; pertanto, se generate nel materiale p, esse dovranno percorrere una distanza inferiore per essere portate fuori dal circuito. 21 p-n origina l'effetto fotovoltaico. Per massimizzare l'assorbimento della luce nel materiale p si utilizza un materiale di tipo n molto più drogato rispetto al p così che 𝑋𝑝 > 𝑋𝑛 ; inoltre, affinché tutta la luce incidente compresa in un certo intervallo di lunghezza d'onda sia assorbita, lo spessore della zona di svuotamento nel materiale p deve essere maggiore o uguale alla lunghezza di assorbimento D data dalla legge di Lambert 𝐼 = 𝐼0 ∙ 𝑒 −𝛼∙𝐷 che per i semiconduttori a gap diretta è intorno ai 10-4 cm-1. In condizioni ideali una cella solare in assenza di luce può essere approssimata ad un diodo. Dato che la cella può essere paragonata ad un diodo, la densità di corrente che 𝑞∙𝑉 circolerà al suo interno sarà data dalla seguente equazione: 𝐽(𝑉) = 𝐽0 ∙ (𝑒 𝑘∙𝑇 − 1) dove 𝐽0 è la corrente di saturazione del diodo. Rc Figura 9: Circuito che rappresenta una cella solare ideale. Pertanto in assenza di luce essa avrà la stessa caratteristica densità di corrente-tensione (J-V) di un diodo; in pratica, poiché la cella lavora sempre come un diodo in polarizzazione diretta, si può trascurare la parte di grafico relativa a tensioni negative. In presenza di luce all'interno della cella saranno prodotte coppie elettrone-lacuna e l’equazione precedente diviene: 𝑞∙𝑉 𝐽(𝑉) = 𝐽0 ∙ (𝑒 −𝑘∙𝑇 − 1) − 𝑞 ∙ 𝐺𝑒𝑠𝑡 ∙ (𝐿𝑛 + 𝐿𝑝 ) dove Gest è un termine che indica il numero di coppie elettrone-lacuna generate per unità di superficie e unità di tempo e Ln e Lp sono rispettivamente la lunghezza di diffusione dei portatori minoritari nel materiale di tipo n e nel materiale di tipo p rispettivamente; poiché in generale lo spessore della zona di svuotamento è uguale a 𝑊 ≠ (𝐿𝑛 + 𝐿𝑝 ), l’espressione per J(V) diventerà: 𝑞∙𝑉 𝐽(𝑉) = 𝐽0 ∙ (𝑒 −𝑘∙𝑇 − 1) − 𝑞 ∙ 𝐺𝑒𝑠𝑡 ∙ (𝐿𝑛 + 𝐿𝑝 + 𝑊). La caratteristica J-V della cella sotto luce si modifica come mostrato nella figura seguente 22 Figura 10: Caratteristica J – V di una cella solare ideale in assenza e in presenza di luce. Se nel precedente schema circuitale, che rappresenta la cella ideale, si toglie il carico esterno, cioè Rc = 0, non si ha nessuna caduta di potenziale nella cella, quindi V = 0; se ora si collegano direttamente tra loro i due poli della cella si ottiene Jsc che è la densità di corrente di corto circuito e rappresenta la massima densità di corrente teoricamente estraibile dalla cella. Se invece si collega la cella ad una differenza di potenziale variabile esterna si noterà che, in polarizzazione diretta, continuando ad aumentarla ad un certo punto non circolerà più corrente all’interno del circuito; ciò avviene perché polarizzando direttamente la giunzione si spianerà la barriera di potenziale al suo interno finché la corrente fotogenerata non ha esattamente lo stesso valore (ma con segno negativo) rispetto a quella di polarizzazione diretta del diodo (che ha segno positivo). Questo valore di tensione corrisponde a Voc che è la tensione di circuito aperto della cella. Voc e Jsc sono due dei parametri fondamentali per descrivere una qualsiasi cella solare. Oltre alle due condizioni appena citate, che permettono di determinare Voc e Jsc, è fondamentale stabilire la condizione in cui la cella solare può erogare la massima potenza in funzione del carico ad essa applicato; ad essa corrispondono V = Vmax e J = Jmax da cui si ottiene P = 𝑃𝑚𝑎𝑥 = 𝑉𝑚𝑎𝑥 ∙ 𝐽𝑚𝑎𝑥 dove Pmax è la massima potenza erogata. Graficamente essa corrisponde al massimo valore dell’area dei rettangoli dati dal prodotto 𝑉 ∙ 𝐽 ed è determinata sperimentalmente costruendo tutte le aree di questi rettangoli e prendendo quella di valore massimo. Una volta noti Voc, Jsc, Vmax e Jmax si possono determinare gli altri parametri fondamentali per la caratterizzazione di una qualsiasi cella solare; essi sono il fattore di riempimento o fill factor, indicato con ff, e l’efficienza della cella, indicata con η. 23 Il fill factor è dato dalla seguente equazione: 𝑓𝑓 = 𝑉𝑚𝑎𝑥 ∙𝐽𝑚𝑎𝑥 𝑉𝑜𝑐 ∙𝐽𝑠𝑐 esso rappresenta il rapporto tra la massima potenza effettivamente estraibile e la massima potenza ottenibile, cioè in pratica quanto la cella si discosta dall’idealità, pertanto ha sempre valori minori di 1. L’efficienza della cella è invece data dall’equazione 𝜂= 𝑃𝑚𝑎𝑥 𝑃𝑖𝑛𝑐 = 𝑉𝑚𝑎𝑥 ∙𝐽𝑚𝑎𝑥 𝑃𝑖𝑛𝑐 = 𝑓𝑓 ∙ 𝑉𝑜𝑐 ∙𝐽𝑠𝑐 𝑃𝑖𝑛𝑐 dove Pinc rappresenta la potenza incidente sul dispositivo; pertanto l’efficienza non è altro che il rapporto tra la potenza massima prodotta e la potenza incidente sulla cella. Poiché l’illuminazione, cioè la potenza incidente, varia a seconda della latitudine, della stagione e dell’ora del giorno, anche l’efficienza della cella varierà di conseguenza. Per avere dei valori di efficienza di conversione confrontabili, si è stabilito a livello internazionale di misurarla illuminando le celle con uno spettro di radiazione simulato in funzione della massa d’aria (air mass o A.M.).7 Infatti la radiazione solare, quando il sole si trova allo zenit, deve percorrere il tragitto minore per raggiungere il suolo mentre il suo valore tenderà ad aumentare mano a mano che il sole si avvicina all’orizzonte. Lo spettro A.M.0 simula le condizioni di illuminazione appena al di fuori dell’atmosfera terrestre, dove lo 0 indica appunto l’assenza di atmosfera. Gli spettri A.M.1 e A.M.1,5 simulano rispettivamente le condizioni di illuminazione sulla superficie della Terra ad una latitudine media e per valori del coefficiente di massa d’aria 1 cos 𝜃 rispettivamente di 1 e 1,5 (corrispondenti a valori dell’angolo di incidenza della radiazione solare sul dispositivo rispettivamente 𝜃 = 0° e 𝜃 = 48,2°); i valori della potenza della luce incidente sono rispettivamente di 1367 Wcm-2 e 962 Wcm-2. Convenzionalmente si è scelto di indicare in tutte le pubblicazioni sia scientifiche che commerciali, i valori di efficienza di qualunque dispositivo solare misurandoli con l’A.M.1,5. 7 Si indica con massa d’aria il rapporto tra il cammino che la luce percorre effettivamente all’interno dell’atmosfera e il minimo valore che può effettivamente assumere. 24 Figura 13: Confronto tra la radiazione di corpo nero di un oggetto a 6000°K (Sole) e spettri A.M.0 e A.M.1,5. In realtà nessuna cella solare avrà un comportamento ideale; pertanto essa sarà descritta dal più complesso schema circuitale mostrato nella seguente figura RS RP RC JL Figura 11: Circuito che rappresenta una cella solare reale. Rispetto allo schema circuitale di una cella ideale, in questo schema sono state aggiunte due resistenze Rs e Rp, che indicano rispettivamente la resistenza serie e la resistenza parallelo interne alla cella; la resistenza in serie serve per tenere conto della resistività dei materiali attivi, della non perfetta ohmicità dei contatti e dei fenomeni di ricombinazione dei portatori mentre la resistenza in parallelo serve per tenere conto della presenza di difetti nei materiali attivi, come grani di fasi spurie e bordi di grano, a bassa resistività attraverso i quali possono passare più facilmente i portatori, portando addirittura in alcuni casi al corto circuito della cella. Confrontiamo ora la caratteristica J – V di una cella ideale e di una reale: 25 Figura 12: Caratteristica J-V di una cella solare ideale e reale. Come si può notare dal grafico la pendenza della curva reale è inferiore a quella della curva ideale e ciò è dovuto proprio alle resistenze presenti all’interno della cella, che causano una diminuzione sia di Voc che di Jsc. I valori della resistenza in serie Rs e di quella in parallelo Rp possono essere determinati graficamente; 1 𝑅𝑠 corrisponde al coefficiente angolare della retta 1 tangente alla curva della cella reale passante per il punto indicante Voc mentre 𝑅 corrisponde 𝑝 al coefficiente angolare della retta tangente passante per il punto J sc. La presenza di resistenze in serie e in parallelo nella cella causa un calo rispettivamente di Jsc e Voc e di conseguenza anche del fill factor (poiché diminuiscono anche Vmax e Jmax) e dell’efficienza η complessiva; per ridurne il più possibile gli effetti sono molto importanti la bassa resistività dei materiali, l’ohmicità dei contatti, la passivazione dei bordi di grano e la mancata presenza di fasi spurie e difetti che favoriscono la ricombinazione dei portatori. 2.1 CELLE SOLARI PRODOTTE AL ThiFiLab Le celle solari basate sulla tecnologia a film sottili policristallini prodotte al ThiFiLab sono costruite utilizzando due diversi materiali assorbitori: CdTe e CIGS. Parleremo ora più in dettaglio delle metodologie costruttive di entrambi questi tipi di celle. 2.1.1 CELLE SOLARI A BASE DI CdTe Una cella solare a base di CdTe [7] può essere realizzata in due diverse configurazioni: 26 substrato e superstrato. Nella configurazione substrato si depositano sul substrato prima il contatto posteriore (back-contact) positivo, il materiale assorbitore (CdTe), il materiale finestra (CdS) e il contatto anteriore (front-contact) negativo, costituito da uno strato di ZnO (ossido di zinco) e uno di ITO (In2O3:Sn ossido di indio drogato con stagno); infine sul frontcontact sono fatti i contatti metallici che permettono di collegare la cella ad un carico esterno. Affinché la cella in questa configurazione funzioni è necessario che il front-contact e il materiale assorbitore siano il più possibile trasparenti alla luce visibile. Nella configurazione superstrato (o back wall) si depositano invece sul substrato prima il front-contact, poi il materiale finestra, il materiale assorbitore e infine il back-contact. In questa configurazione la luce incide sulla cella dalla parte del substrato e perciò anch’esso, oltre al front-contact e al CdS, deve essere trasparente alle lunghezze d’onda del visibile. Tutte le celle solari basate sul CdTe realizzate al ThiFiLab utilizzano quest’ultima configurazione che è anche quella che ha dato le più alte efficienze di conversione. Back – contact (Mo) CdTe (materiale assorbitore) CdS (materiale finestra) ZnO ITO TCO (front – contact) Substrato (vetro soda – lime) Luce solare Figura 14: Schema di una cella solare basata su CdTe in configurazione superstrato. Passiamo ora a descrivere più in dettaglio i processi di realizzazione di questo tipo di celle. 2.1.1.1 LAVAGGIO DEL SUBSTRATO La prima operazione da effettuarsi è una accurata pulizia del substrato; infatti qualunque impurezza presente impedisce la corretta adesione degli strati depositati inficiando la qualità della cella prodotta. Al ThiFiLab si utilizzano come substrati lastrine di vetro soda lime (vetro a base di sodio e calcio, cioè il comune vetro da finestra) di 3,0 x 3,0 cm2. Questi vetri arrivano dal produttore ricoperti di un sottile strato di sali con funzione antigraffio; perciò la prima operazione che è 27 necessario svolgere consiste nella rimozione di questo strato di sali. Dopo aver controllato che sul vetrino non siano presenti graffi evidenti e dopo averlo pulito dalle impurezze macroscopiche strofinandolo con i guanti di lattice, lo si immerge in una soluzione di acido acetico (CH3COOH) sotto cappa per eliminare residui di sali sulla sua superficie. Nel frattempo si puliscono le pinzette, che serviranno per maneggiare il vetrino pulito, con carta scottex imbevuta di acetone (CH3COCH3) per poi risciaquarle per qualche secondo in un becker contenente acetone. Nello stesso becker si immerge per qualche secondo il vetrino. In seguito lo si strofina con carta scottex imbevuta di acetone stando molto attenti a non toccarlo con i guanti di lattice per non lasciare residui; entrambe le facce del vetrino devono essere accuratamente pulite e la faccia pulita per ultima sarà in generale la più pulita, perciò la più adatta alla deposizione. Il vetrino pulito è poi posto in un altro becker contenente una soluzione al 60% di acetone e al 40% di alcool isopropilico (CH3CHOHCH3) per qualche secondo; infine si estrae il vetrino con le pinzette e lo si asciuga tramite un soffio di Azoto ad alta pressione stando attenti a non lasciare tracce di sporco o aloni sulla sua superficie. Per controllare che il vetrino non si sia graffiato e che non siano ancora presenti tracce di sporco lo si controlla sotto una lampada sia in riflessione che in trasparenza. 2.1.1.2 PULIZIA DEL SUBSTARTO CON MACCHINA PULITRICE AL PLASMA L’operazione successiva consiste in un’ulteriore pulizia del vetrino effettuata tramite una macchina pulitrice al plasma. Questa macchina funziona facendo un basso vuoto tramite una pompa rotativa e lasciando al suo interno una pressione di aria residua; questa pressione residua permette poi di generare un plasma a base di ioni ossigeno e azoto che effettua un lieve sputtering sulla superficie del vetrino eliminando così le impurità residue sulla superficie, in particolare quelle di natura organica che reagendo con gli ioni ossigeno producono anidride carbonica. Il tempo totale di quest’operazione è di circa 10 min. 2.1.1.3 DEPOSIZIONE DEL FRONT-CONTACT Una volta che il vetrino è stato tolto dalla macchina pulitrice al plasma lo si pulisce dalla eventuale polvere depositata con un altro getto di azoto ad alta pressione e lo si monta in una delle due camere di sputtering per depositarci sopra il front-contact. Il front-contact [6],[7] o contatto negativo è costituito da due strati di diversi materiali, il primo di ITO e il secondo di ZnO, complessivamente noti come TCO (Transparent Conducting Oxides). Questi materiali presentano una trasparenza del 90% alla luce visibile e 28 sono buoni conduttori, caratteristica necessaria perché possano svolgere la funzione di elettrodo negativo della cella, inoltre sono fisicamente e chimicamente stabili nel tempo; poiché gli ossidi, essendo materiali a grande energy gap, sono normalmente degli isolanti elettrici, per renderli conduttori è necessario drogarli fortemente con impurità di tipo donore in modo da fargli ottenere una conducibilità di tipo n. L’ITO è direttamente depositato per sputtering a partire da un target di ITO; poiché si tratta di un materiale conduttore (ha una resistività di 10-4 Ω×cm), può essere utilizzato lo sputtering DC. Dato che in seguito allo sputtering si verifica la rottura della molecola del composto, l’ITO tenderebbe spontaneamente a crescere con vacanze di ossigeno, che è il suo componente più volatile, pertanto per evitare questo fenomeno si deve inserire nella camera una pressione di bilanciamento di ossigeno atta a riportare il composto alla stechiometria voluta. Lo strato di ITO depositato ha uno spessore di circa 4000Å (400nm). Sopra l’ITO si deposita uno strato di ZnO, con la funzione di buffer per impedire la diffusione di atomi metallici dall’ITO e dal substrato che potrebbero danneggiare il materiale finestra drogandolo di tipo p. Lo ZnO è sempre depositato per sputtering ma non si parte direttamente da un target di ZnO bensì da uno di zinco metallico; perciò per ottenere lo ZnO è necessario inserire in camera una pressione di ossigeno superiore a quella utilizzata per l’ITO ed essendo lo ZnO abbastanza isolante è preferibile utilizzare lo sputtering RF. La deposizione avviene a circa 200°C per una decina di minuti poiché lo spessore depositato non deve superare i 1000Å (100nm) per evitare di avere una eccessiva resistenza serie dato che lo ZnO ha una resistività dell’ordine dei 102-103 Ω×cm. Complessivamente lo spessore depositato del TCO non deve superare i 5000 Å (500nm) per evitare un eccessivo assorbimento della luce da parte del front-contact e per non aumentare troppo la resistenza serie. 2.1.1.4 DEPOSIZIONE DEL MATERIALE FINESTRA Il materiale finestra [7] è costituito da solfuro di cadmio (CdS); esso è un semiconduttore di tipo n8 dotato di una band gap di 2,42 eV. Questo alto valore di band gap insieme a un basso coefficiente di assorbimento della luce visibile, lo rende trasparente permettendogli di svolgere correttamente al sua funzione di materiale finestra. Inoltre, essendo un semiconduttore di tipo n, accoppiato con il CdTe forma la giunzione p-n necessaria al 8 Il CdS è un semiconduttore che può essere prodotto solo di tipo n poiché lo zolfo ha una tensione di vapore molto superiore al cadmio perciò il materiale tende spontaneamente a crescere con vacanze di zolfo che danno una conducibilità di tipo n; inoltre non è nemmeno possibile sostituire il cadmio con elementi del 1° gruppo che darebbero una conducibilità di tipo p poiché essi sono troppo mobili e tenderebbero spontaneamente ad uscire dal reticolo cristallino. 29 funzionamento della cella. Dato che il CdS è un materiale isolante, esso viene depositato tramite sputtering RF per 15 minuti a una temperatura di circa 200°C ottenendo uno spessore di circa 1500 Å (150nm); nella camera di sputtering oltre all’argon viene anche inserita una pressione parziale di CHF3 che, liberando ioni F- nella scarica, ha la funzione di effettuare back-sputtering sulla superficie del CdS permettendo così di eliminare gli atomi che non si sono ben disposti sulla superficie del materiale e riducendone i difetti. Inoltre gli ioni F- in vicinanza del substrato reagiscono con il cadmio formando il floruro di cadmio CdF2 che tende a segregare ai bordi di grano e, essendo isolante, li passiva riducendo la probabilità di ricombinazione dei portatori ai bordi di grano stessi. [2] Lo spessore depositato deve essere maggiore della lunghezza di svuotamento all’interno del materiale n in modo da permettere l’uscita dei portatori minoritari dal materiale ma non deve nemmeno essere troppo spesso altrimenti una quantità eccessiva di luce solare verrebbe assorbita dal materiale finestra riducendo l’efficienza del dispositivo. In ogni caso lo spessore depositato non può essere troppo sottile perché in questo caso si potrebbe avere una deposizione non uniforme con la presenza di buchi (pin-holes) nel film che potrebbero portare al corto circuito della cella. 2.1.1.5 DEPOSIZIONE DEL MATERIALE ASSORBITORE Il materiale assorbitore è costituito da tellururo di cadmio (CdTe) [7]; esso è un semiconduttore a gap diretta dotato di una band gap di 1,45 eV. Queste caratteristiche, unite all’elevato coefficiente di assorbimento nel visibile, rendono teoricamente possibile assorbire il 99% della luce incidente in 1 micron di materiale; in pratica, a meno di non utilizzare strati perfettamente monocristallini, sono necessari almeno 5-6 micron di materiale per ottenere buone efficienze. Il CdTe costituisce la parte p della giunzione p-n che permette il funzionamento della cella; per drogarlo di tipo p si possono introdurre al suo interno impurezze del I°, II° o V° gruppo (rame, argento ecc..) ma questa metodologia presenta dei rischi poiché, essendo il materiale policristallino, questi atomi possono migrare ai bordi di grano segregando delle fasi metalliche che possono mettere in corto circuito la cella oppure si può sfruttare la tendenza del CdTe a crescere spontaneamente con vacanze di cadmio (a causa della maggiore tensione di vapore del cadmio rispetto al tellurio) che gli conferiscono una conducibilità di tipo p. Uno dei principali vantaggi del CdTe è che a temperature sufficientemente elevate esso sublima coerentemente, cioè lo stesso numero di atomi di cadmio e tellurio evaporano dal target nello stesso tempo. Per depositare il CdTe al ThiFiLab si utilizza la CSS che sfrutta proprio la sua proprietà di sublimazione coerente. Per effettuare la deposizione si riscalda il target fino a una temperatura di circa 600°C mentre 30 il substrato è mantenuto a circa 500° con una contropressione di argon nella camera di circa 100 mbar; si mantiene il sistema in queste condizioni per qualche minuto dopodichè si abbassa la pressione in camera ad 1 mbar e si fa evaporare per circa 6 minuti in modo da ottenere una deposizione di circa 6 micron di materiale. Durante la deposizione inizia anche il processo di mescolamento di CdTe e CdS all’interfaccia. Una volta terminata la deposizione si controlla lo spessore del film depositato eseguendo uno scribing meccanico sulla superficie e controllandone lo spessore tramite microscopio ottico. In seguito esso viene sottoposto ad un annealing a 400°C in un’ampolla di vetro in presenza di HCl per circa 5-10 minuti (si potrebbe fare anche in presenza di cloro puro ottenendo gli stessi risultati). A questa temperatura la superficie del film acquisisce una sufficiente reattività da permettergli di reagire con l’HCl. Questa interazione è caratterizzata dalla seguente reazione chimica: 𝐶𝑑𝑇𝑒(𝑠) + 4𝐻𝐶𝑙(𝑔) = 𝐶𝑑𝐶𝑙2 (𝑔) + 𝑇𝑒𝐶𝑙2 (𝑔) + 2𝐻2 (𝑔) in seguito il CdCl2 e il TeCl2, a causa della maggiore affinità tra cadmio e tellurio, reagiscono riformando il CdTe con una migliore qualità cristallina, poiché i grani più piccoli del materiale vengono inglobati dai grani più grandi riducendo i difetti (dato che essi tendono a migrare sulla superficie dei grani) e soprattutto riempiendo di fatto i bordi di grano che si trasformano in addensamenti di dislocazioni e altri difetti migliorando il passaggio della fotocorrente (permettendo così di fatto un migliore assorbimento della luce solare ed un migliore effetto fotovoltaico). Inoltre, questo trattamento ha l’importantissima funzione di favorire, all’interfaccia, la diffusione di zolfo nel CdTe e di tellurio nel CdS portando alla formazione di un composto misto CdS1-xTe (dove 𝑥 ≅ 0,07); questo mescolamento permette di ridurre il mismatch (cioè la differenza di passo reticolare) tra i due materiali sotto il valore dell’1,5% oltre il quale si creano dislocazioni e altri difetti all’interfaccia che peggiorano molto la qualità della giunzione, permettendo di far così funzionare questa etero-giunzione come una omo-giunzione. 2.1.1.6 DEPOSIZIONE DEL BACK-CONTACT Anche il back-contact[7] o contatto positivo è costituito da diversi strati: un primo strato di Bi2Te3 depositato direttamente sul CdTe con la funzione di buffer, un sottile strato di rame e infine uno strato di molibdeno che costituisce l’elettrodo vero e proprio. Prima di depositare il back-contact si ritaglia con una punta di acciaio il film di CdTe trattato (scribing) in modo da isolare una superficie nota del film e si rimuove tutto il materiale in eccesso in modo da scoprire il TCO, che è troppo duro per essere asportato dalla punta. Lo strato di Bi2Te3 ha principalmente la funzione di buffer per limitare la diffusione di atomi di rame provenienti dallo strato successivo, che tenderebbero ad accumularsi ai bordi di grano 31 formando fasi metalliche che cortocircuiterebbero la cella; l’efficacia del Bi2Te3 come buffer è dovuta alla sua capacità di formare un composto stabile (tramite una reazione allo stato solido che sostituisce il Cu al Bi) e allo stesso tempo di resistere alle temperature di processo9. Inoltre questo composto permette la formazione di un buon contatto ohmico con il CdTe. Il Bi2Te3 si deposita per evaporazione da cannone elettronico per circa 3-4 minuti ottenendo un film di circa 2000Å di spessore. Sopra il Bi2Te3 si deposita uno strato di rame di circa 20 Å; il rame è necessario perché, diffondendo all’interno del Bi2Te3, forma, sostituendo il bismuto, uno strato di CuxTe (con 0 ≤ 𝑥 ≤ 1,4). Quest’ultimo è un materiale di tipo p+, necessario per collegare elettricamente la funzione di lavoro del CdTe a quella del molibdeno. Se il processo è ben fatto lo strato di rame dovrebbe diffondere completamente all’interno dello strato buffer e perciò scomparire completamente. Infine sopra il rame si deposita, per sputtering, uno strato di circa 500-1000 Å di molibdeno in modo da completare il contatto elettrico. 2.1.1.7 CREAZIONE DEI CONTATTI ELETTRICI Una volta depositato il back-contact si effettua un secondo scribing in modo da ridurre l’area complessiva della cella a 1 cm2; la cella completa costituisce l’elettrodo positivo mentre il back-contact depositato direttamente sul front-contact costituisce l’elettrodo negativo che potranno poi essere collegati ad un generatore di tensione per la caratterizzazione. 2.1.2 CELLE SOLARI A BASE DI CIGS Le celle solari a base CIGS realizzate al ThiFiLab sono sempre depositate in configurazione substrato; in questa configurazione si depositano sul substrato prima il back-contact (molibdeno) che è il contatto positivo, poi il materiale assorbitore (CIGS), il materiale finestra (CdS) e il front-contact (TCO) o contatto negativo, costituito anche in questo caso da uno strato di ZnO con funzione di buffer seguito da uno strato di ITO che svolge la funzione di contatto elettrico vero e proprio. Infine sopra all’ITO si depositano i contatti di molibdeno che permetteranno di collegare la cella ad un carico esterno. 9 Oltre al Bi2Te3 sono stati provati anche l’As2Te3 e l’Sb2Te3 ma finora il Bi2Te3 è risultato essere quello dotato delle migliori proprietà. 32 Luce solare Mo Mo ITO ZnO TCO (front – contact) CdS (materiale finestra) CIGS (materiale assorbitore) Back – contact (Mo) Substrato (vetro soda – lime) Figura 15: Schema di una cella solare in configurazione substrato sulla base di CIGS. Passiamo ora a descrivere più in dettaglio i processi di realizzazione di questo tipo di celle. 2.1.2.1 LAVAGGIO E PULIZIA DEL SUBSTRATO Le operazioni di lavaggio e pulizia del vetrino che costituisce il substrato sono le stesse di quelle descritte nel caso della cella basata sul CdTe e perciò non saranno qui ripetute (per maggiori dettagli vedere a pagina 24-25). 2.1.2.2 DEPOSIZIONE DEL BACK-CONTACT Una volta terminate le operazioni di pulizia si rimuove dal vetrino l’eventuale polvere depositata su di esso tramite un getto di azoto secco ad elevata pressione dopodiché lo si monta all’interno della camera di sputtering che contiene 5 diversi target. Il back – contact è costituito anche in questo caso da due strati composti entrambi da molibdeno che essendo un conduttore permette di utilizzare la tecnica dello sputtering DC. Il primo strato è molto sottile (circa 30 nm) ed è depositato ad una pressione di 4,5 x 10-3 mbar di argon[2]; in questo modo il film cresce molto poroso e ciò è necessario per garantire una buona adesione al substrato poiché si minimizzano sia lo stress dovuto alla differenza di coefficiente di dilatazione termica tra vetro e molibdeno sia quello dovuto alla loro differenza di passo reticolare. Il difetto di questo strato è che un’alta porosità implica una sensibile diminuzione della conducibilità del film. Per ovviare a questo problema si deposita un secondo strato di molibdeno di circa 500 nm di spessore ad una pressione inferiore (1,5 x 10-3 mbar)[2]. Il film così ottenuto ha ottima densità, molto vicina alla densità del materiale bulk oltre che una migliore conducibilità elettrica. Si utilizza il molibdeno per realizzare il back – contact poiché 33 esso è particolarmente adatto a formare un buon contatto ohmico con il CIGS in virtù delle seguenti proprietà: 1. buona conducibilità elettrica; 2. basso coefficiente di diffusione all’interno del CIGS alle temperature di processo; 3. all’ interfaccia tra Mo e CIGS si forma uno strato superficiale di MoSe2 che essendo un materiale di tipo p a piccola gap e quasi degenere, favorisce la formazione di un buon contatto ohmico; 4. buona adesione del CIGS sul Mo, soprattutto in virtù della formazione dello strato di MoSe2, che diminuisce il mismatch di passo reticolare, riducendo così tensioni e difetti all’interfaccia. Lo spessore complessivo del back – contact deve essere opportunamente scelto in modo da permettere la diffusione di sodio dal substrato al CIGS poiché questo ne migliora la crescita e ne aumenta il drogaggio di tipo p. 2.1.2.3 DEPOSIZIONE DEL MATERIALE ASSORBITORE Il materiale assorbitore è costituito da diseleniuro di rame, indio e gallio con composizione data dalla formula CuIn0,75Ga0,25Se2; esso è un semiconduttore a gap diretta con una energy gap di 1,14 eV. Queste caratteristiche, unite ad un coefficiente di assorbimento della radiazione visibile 𝛼 = 105 𝑐𝑚−1, tra i più alti tra tutti i semiconduttori noti, rende possibile assorbire oltre il 90% della luce solare incidente in meno di 200 ÷ 300 nm. Questo materiale presenta inoltre il vantaggio di crescere spontaneamente con grani colonnari (caratteristica che permette una maggiore lunghezza di diffusione dei portatori minoritari (maggiore di 2 µm) poiché all’interno del grano sono presenti pochi difetti che possono indurre ricombinazione) e con bordi di grano autopassivati che non influiscono sul funzionamento del dispositivo. Il principale problema di questo materiale è che, essendo composto da quattro diversi elementi, può facilmente formare, durante la crescita, formare fasi indesiderate (In2Se3, Ga2Se3, Cu2Se) che normalmente tendono ad essere segregate ai bordi di grano; esse causano variazioni locali della stechiometria con conseguente perdita di efficienza del materiale e, nei casi peggiori, possono anche cortocircuitare la cella. Il CIGS costituisce la parte p della giunzione p – n che permette il funzionamento della cella; per drogarlo di tipo p si utilizzano due diversi meccanismi: la presenza di vacanze di rame e la diffusione di atomi di sodio dal substrato. Il CIGS tende comunque a crescere anche in presenza di un rapporto stechiometrico Cu/In+Ga molto lontano da 1 (fino a 0,7÷0,8). Per ottenere vacanze di rame sarebbe perciò sufficiente fornire meno rame al materiale in crescita, in modo da drogarlo di tipo p, anche se è difficile 34 prevedere se il composto formato avrà esattamente il comportamento richiesto. Il secondo metodo per drogare di tipo p il CIGS consiste nello sfruttare la naturale diffusione di sodio dal substrato (che essendo costituito da vetro soda – lime ne contiene fino al 15÷16%) al CIGS; il sodio tende a sostituire il rame nel reticolo cristallino del CIGS e, poiché appartiene al I° gruppo mentre il rame appartiene al II°, fornirà meno elettroni al legame chimico, formando così vacanze. Inoltre il sodio è anche considerato un co-attivatore della crescita, aumentando la reattività degli elementi a parità delle condizioni termodinamiche, favorendo la crescita di grani più grandi e meno difettivi e migliorando così la conducibilità del materiale quindi l’efficienza fotovoltaica del dispositivo finale. Il meccanismo con cui il sodio influenza la crescita non è però ancora ben chiaro. Il CIGS, essendo un materiale molto complesso (è un composto quaternario poiché è costituito da rame, indio, gallio e selenio) rispetto al CdTe (che è un materiale binario composto da cadmio e tellurio), non può essere depositato per sputtering a partire da un target della stessa composizione, ma deve essere ottenuto depositando vari strati di sostanze diverse (precursori) che sono poi fatte reagire tra loro. I precursori del CIGS vengono depositati nella stessa macchina utilizzata per depositare il molibdeno; essa è equipaggiata con 4 target: Mo, Cu, InSe seleniuro di indio e GaSe seleniuro di gallio[2]. Si utilizzano InSe e GaSe invece di In e Ga puri poiché questi metalli presentano temperature di fusione molto basse (rispettivamente di 156°C e 29,8°C) pertanto durante lo sputtering i target potrebbero fondere spruzzando gocce di metallo fuso sul substrato perdendo di conseguenza il controllo della stechiometria. Una volta terminata la deposizione del back – contact in molibdeno si chiude il flusso di gas e si ritorna ad una pressione in camera intorno ai 10-6 mbar; nel frattempo si riscalda il substrato per circa 30 minuti in modo da permettergli di raggiungere una temperatura di circa 400°C, necessaria per permettere una buona deposizione e mescolamento dei precursori. Gli strati dei vari precursori vengono depositati in sequenza e con queste tempistiche[2]: 1. uno strato di InSe di circa 1,5-2 µm in circa 10 minuti; 2. uno strato di GaSe di circa 300-500 nm in circa 20 minuti; 3. uno strato di Cu di circa 300-500 nm in circa 5-8 minuti; 4. un ulteriore strato di GaSe di circa 300-500 nm in circa 20 minuti. L’ordine di deposizione di questi strati non è casuale ma è stato accuratamente scelto tenendo conto delle proprietà chimico-fisiche dei precursori[2]; infatti se il rame ed il seleniuro di indio sono posti a contatto, essi tendono a formare il diseleniuro di indio e rame CuInSe 2 oltre a In2Se3 e Cu2Se, che sono fasi stabili e tendono a segregare ai bordi di grano, sottraendo materiale al composto e peggiorandone di conseguenza la stechiometria. Il secondo strato di GaSe serve per migliorare il profilo di diffusione del gallio all’interno dell’assorbitore[2] 35 poiché esso, essendo meno reattivo dell’indio, tende a legarsi meno e a diffondere verso l’interfaccia tra il CIGS e il molibdeno lasciando povera di gallio l’interfaccia tra CIGS e CdS. La presenza del gallio all’interfaccia con il molibdeno alza la band gap del CIGS verso il contatto e ciò genera un campo elettrico che spinge gli elettroni verso la giunzione e le lacune verso il contatto (effetto mirror dei portatori minoritari): Anche all’interfaccia tra CdS e CIGS è necessaria un’alta concentrazione di gallio perché ciò alza ancora una volta la band gap aumentando il voltaggio a circuito aperto della cella. Per ottenere questo particolare profilo di diffusione è necessario depositare un secondo strato di GaSe.[2] La reazione tra precursori porta alla formazione di CuInSe2 (CIS), InSe e GaSe; il selenio, che ha una tensione di vapore più alta rispetto agli altri elementi presenti, a meno che non reagisca subito con rame, indio e gallio per formare il CIS evapora lasciandone una quantità insufficiente nel film. Per risolvere questo problema e ottenere la formazione di CIGS con la stechiometria voluta, terminata la deposizione dei precursori il film costituito dai precursori viene estratto dallo sputtering e posta in una camera di selenizzazione. Il selenizzatore è costituito da una camera da vuoto contenente un crogiolo da cui viene fatto evaporare il selenio per via termica. Raggiunta una pressione in camera intorno ai 10-5 mbar si riscalda il crogiolo di grafite contenente Se, per una ventina di minuti, in modo da raggiungere una temperatura di 370°C alla quale si ha un’ evaporazione costante di selenio. A questo punto si riscalda il substrato fino a una temperatura di circa 400-450°C che è la temperatura alla quale i materiali costituenti i precursori entrano nel diagramma di fase. Si continua poi a riscaldare il film fino a 530°C, lasciandolo a questa temperatura per una decina di minuti. Complessivamente questo processo di anneling (trattamento termico) e selenizzazione dura circa 15 minuti. Durante questo processo si portano i precursori alla temperatura per cui il CIGS sia il composto più stabile da formare, poi si fornisce selenio in modo che questo reagisca con gli altri elementi in modo da produrre effettivamente CIGS.[2] Oltre al CIGS si possono formare anche altre fasi spurie stabili. Nel caso dei composti a base di indio e gallio la loro presenza non è del tutto sgradita perché si tratta di composti isolanti che contribuiscono a passivare i bordi di grano; un diverso discorso vale per i composti a base di rame riassunti nella formula Cu2-xSe (con1 ≤ 𝑥 ≤ 2) che essendo molto conduttori, se presenti ai bordi di grano tendono a cortocircuitare la cella. 2.1.2.4 DEPOSIZIONE DEL MATERIALE FINESTRA Anche in questo caso il materiale finestra è costituito dal CdS e pertanto per le sue caratteristiche si rimanda alla descrizione già fatta a pagina 27. L’unica importante differenza 36 è che in questo caso si deposita uno strato più sottile (circa 600-800 Å) in circa 10 minuti. Per ottenere una buona omo-giunzione si sfrutta la naturale diffusione di atomi di cadmio dal CdS al CIGS; gli atomi di cadmio tendono a drogare n il CIGS formando un sottile strato n in prossimità dell’interfaccia che riduce i difetti facendo funzionare l’eterogiunzione come se fosse un’omo-giunzione. Lo strato di tipo n non deve però essere troppo spesso (non superiore ai 150-200 Å o 15-20 nm) poiché nel CIGS il 90% della radiazione solare può essere assorbito in circa 1000 Å (il valore reale dipende dalla energy gap e quindi dalla stechiometria), quindi uno strato n troppo spesso causerebbe una eccessiva riduzione dell’efficienza della cella. 2.1.2.5 DEPOSIZIONE DEL FRONT-CONTACT Anche la deposizione del front – contact non presenta molte differenze rispetto al caso della cella a base di CdTe quindi per la sua descrizione rimando alla trattazione effettuata a pagina 25. L’unica differenza nella cella a base di CIGS consiste nel fatto che sopra al TCO è depositato un ulteriore strato di molibdeno per sputtering DC a temperatura ambiente, che serve a migliorare la conducibilità del contatto e permette di saldare i contatti elettrici esterni; se non fosse presente il molibdeno che funge da buffer l’argento presente all’interno della pasta usata per fare i contatti diffonderebbe all’interno del film inquinandolo. Poiché il molibdeno non è trasparente alla luce è necessario depositarlo su una superficie molto piccola, in modo da non ridurre eccessivamente la superficie di assorbimento della cella. Per ottenere ciò si pone una mascherina sulla cella che permette al molibdeno di depositarsi sotto forma di 4 contatti circolari disposti a quadrato, come mostrato nella figura seguente Figura 16: rappresentazione di una cella a base di CIGS completa vista dall’alto. 2.1.2.6 CREAZIONE DEI CONTATTI ELETTRICI Terminata la deposizione dell’ultimo strato di molibdeno si divide la cella ottenuta, tramite 37 uno scribing meccanico, in quattro celle più piccole con un’area di 36 mm2 ciascuna e con il contatto circolare di molibdeno posto il più possibile al centro di ognuna delle nuove celle; questa disposizione è molto importante al fine di ridurre il più possibile la distanza che gli elettroni devono percorrere per passare dall’ITO al molibdeno, riducendo in questo modo la resistenza serie al contatto superiore. Infine si saldano, utilizzando della pasta d’argento, dei fili di rame stagnato dello spessore di 10 nm ai contatti di molibdeno; questi fili verranno poi collegati ai morsetti degli strumenti utilizzati per la caratterizzazione della cella. Per la realizzazione del contatto inferiore si raschiano via da un angolo del dispositivo tutti gli strati depositati fino ad arrivare allo strato di molibdeno e a questo si salda un altro filo di rame stagnato con lo stesso procedimento appena descritto. CAPITOLO 3: 3.1 RISULTATI SPERIMENTALI CARATTERIZZAZIONE DELLA CELLA COMPLETA Una volta terminata la cella questa viene caratterizzata a temperatura ambiente collegandola, in polarizzazione diretta, ad un generatore di tensione sotto la luce di un simulatore di luce solare che fornisce una densità di potenza luminosa di circa 100 𝑚𝑊 𝑐𝑚2 in AM 1,5. L’unica differenza tra i due tipi di celle prodotte è che nel caso del CdTe, terminata la deposizione, si ottiene un’unica cella con un area di 1cm2 mentre, nel caso del CIGS, dalla stessa deposizione si ottengono quattro celle con un’area di 36 mm2. Il generatore fornisce alle celle una rampa di tensione con passo e set point impostabile dall’utente. Quando la tensione esterna fornita dal generatore è nulla con la cella posta sotto luce si misura una densità di corrente negativa dovuta ai portatori fotogenerati; essa corrisponde alla densità di corrente di corto circuito J sc. In seguito il generatore comincia a fornire una tensione che si oppone alla differenza di potenziale presente alla giunzione; quando le due differenze di potenziale sono esattamente uguali la corrente che scorre nella cella è nulla e questa differenza di potenziale corrisponde al potenziale di circuito aperto Voc. Aumentando ancora la tensione applicata dall’esterno la corrente assume verso positivo (poiché è assorbita dalla cella e non generata da essa). La caratteristica J – V ottenuta è quella già mostrata in figura 10 a pagina 20. 38 3.2 CARATTERIZZAZIONE DELLE CELLE DA ME PRODOTTE AL ThiFiLab Al fine di rendermi meglio conto del funzionamento delle varie tecniche di deposizione trattate e del modo in cui sono realizzate le celle solari al ThiFiLab ho prodotto alcune celle sia a base di CdTe che di CIGS seguendo le metodologie descritte in precedenza e le ho confrontate con le celle migliori realizzate nel laboratorio. Di seguito sono mostrate le caratteristiche J –V di queste celle. Per prima viene presentata la caratteristica J –V di una cella a base di CIGS Figura 17: caratteristica J-V di una cella solare a base di CIGS senza alcun trattamento. Come si può notare questo grafico è molto simile alla caratteristica J –V di una cella solare reale illuminata già mostrata in figura 12 a pagina 21. Ciò deriva dalla presenza di una resistenza serie Rs e una resistenza parallelo Rp dovute alla resistività e ai difetti presenti nel materiale che portano ad un allontanamento dal comportamento esponenziale della curva ideale e, di conseguenza, di Voc e di Jsc. Per cercare di migliorare le caratteristiche della cella completa la si sottopone ad un ultimo trattamento chiamato light soaking (“bagno di luce”). Durante questo trattamento, il normale processo di esposizione al sole del dispositivo viene accelerato tramite un simulatore in grado di fornire potenze luminose incidenti fino a 10 “soli”; in questo modo si innalza la temperatura della cella fino a 150-200°C e questo favorisce sia il mescolamento dei materiali che la costituiscono, migliorandone la stabilità, sia 39 la reazione dell’ossigeno con il CIGS. Infatti il CIGS presenta sempre vacanze di selenio, essendo questo l’elemento costituente con la più alta tensione di vapore, e queste vacanze tendono a drogare di tipo n il materiale, compensandolo e peggiorando significativamente l’efficienza di conversione fotovoltaica della cella solare; l’ossigeno tende a reagire con le vacanze di selenio riempiendole e, poiché appartiene allo stesso gruppo del selenio, tende a neutralizzarne l’effetto drogante migliorando la conducibilità di tipo p del materiale. Inoltre l’incremento di temperatura aumenta anche la diffusione di atomi di cadmio all’interfaccia CdS/CIGS favorendo così la formazione dell’omogiunzione. Figura 18: caratteristica J-V della stessa cella dopo il light soaking. Si nota dalla figura 18 che in seguito al trattamento la curva mostra un andamento più vicino all’idealità, segno della diminuzione della resistenza serie e anche il fill factor è cresciuto mentre stranamente sia Voc che Jsc sono peggiorati; questo potrebbe significare che il trattamento sottoluce si manifesta mediante un equilibrio tra diversi effetti contrastanti, come ad es. la formazione di una omogiunzione sepolta, che migliorerebbe le prestazioni del dispositivo, e la possibilità che questa si formi troppo in profondità diminuendo di conseguenza l’efficacia della fotoconversione. Questi due effetti devono essere finemente controllati con i parametri tipici del light-soaking ovvero potenza della illuminazione (n.ro di “soli”), temperatura e tempo del trattamento. 40 A titolo di confronto viene mostrato il grafico di una delle migliori celle a base di CIGS ottenute al ThiFiLab: Figura 19: caratteristica J-V di una delle migliori celle a base di CIGS ottenute al ThiFiLab. Ora viene mostrata anche la caratteristica J-V di una cella a base di CdTe: Figura 20: caratteristica J-V di una cella solare a base di CdTe senza alcun trattamento. 41 Anche questo grafico è simile alla caratteristica J –V di una cella solare reale illuminata già mostrata in figura 12 a pagina 21 tranne per la presenza di un punto di flesso. Questo punto è dovuto al fatto che il back-contact non ha un comportamento ohmico ma quello di un diodo in polarizzazione inversa e questo limita la corrente che può scorrere attraverso di esso. Per cercare di migliorare le caratteristiche della cella completa anche in questo caso la si sottopone ad un ulteriore trattamento; esso consiste in un annealing in aria a una temperatura di circa 200° per 15 minuti. Questo trattamento favorisce la diffusione di rame verso la superficie del CdTe e ciò porta alla formazione di CuxTe (x ≤ 1,4) [7] che è un composto in grado di costituire un buon contatto ohmico con il CdTe di tipo p. Figura 21: caratteristica J-V della stessa cella dopo l’annealing in aria. Notiamo dalla figura 21 che in seguito al trattamento la pendenza della curva è aumentata, segno della diminuzione delle resistenze presenti; soprattutto è sparito il punto di flesso la cui presenza denuncia la non ohmicità del contatto. Inoltre anche il fill factor e l’efficienza sono aumentati. 42 Anche in questo caso a titolo di confronto riportiamo il grafico di una delle migliori celle al CdTe ottenute al ThiFiLab: Figura 22: caratteristica J-V di una delle migliori celle a base di CdTe ottenute al ThiFiLab. 43 CONCLUSIONE La grande esperienza maturata al ThiFiLab ha permesso di sviluppare macchine e metodologie produttive uniche per la deposizione di film sottili finalizzati alla realizzazione di celle solari [5]. Sebbene le efficienze record raggiunte nel laboratorio si attestino al 15,8% per il CdTe e al 16,8% per il CIGS, valori ancora inferiori alle celle prodotte da altri laboratori (gli attuali record mondiali sono rispettivamente del 19,7% e del 20,4%), queste tecniche permettono di ottenere elevate riproducibilità su grandi superfici [5] e pertanto si prestano maggiormente ad un loro trasferimento su scala industriale. Questo è particolarmente vero per le tecniche dello sputtering e della CSS; infatti la prima, nata originariamente per applicazioni industriali, permette velocità di deposizione abbastanza elevate con ottime uniformità del film depositato e bassi costi di produzione mentre la seconda permette di depositare film, di ottima qualità cristallina su grandi superfici in tempi molto brevi (velocità di deposizione superiore a 10 µm/m). Inoltre, tutte le tecnologie di produzione analizzate in questo lavoro di tesi non necessitano di apparecchiature particolarmente complesse e costose per produrre dispositivi ad alta efficienza costituendo un ulteriore vantaggio ai fini di una futura industrializzazione e produzione su vasta scala dei moduli fotovoltaici a film sottili policristallini [2][5]. 44 BIBLIOGRAFIA [1] Martin A. Green, Keith Emery, Yoshihiro Hishikawa, Wilhelm Warta and Ewan D. Dunlop: “Solar cell efficiency tables (version 42)”,Prog. Photovolt: Res. Appl. 2013; 21:827– 837 [2] A. Bosio, D. Menossi, A. Romeo, N. Romeo (2013). Polycrystalline Cu(InGa)Se2/CdS Thin Film Solar Cells Made by New Precursors. In: Solar Cells - Research and Application Perspectives, Ed. Arturo Morales Acevedo, p. 79-106, RIJEKA: InTech, ISBN: 978-953-511003-3, doi: 10.5772/51684 [3] John L. Vossen, Werner Kern: “Thin film processes”, part II, Academic Press INC. 1978 [4] Leon I. Maissel, Reinhard Glang: “Handbook of thin film technology”, chapter I, McGraw-Hill INC. 1970 [5] Alessio Bosio, Daniele Menossi, Samantha Mazzamuto, Nicola Romeo: “Manufacturing of CdTe thin film photovoltaic modules”, Thin Solid Films 519 (2011), 7522-7525 [6] T. Nakajima, H. Groult (Ed.): “Fluorinated materials for energy conversion”, Elsevier Ltd. 2005, chapter 23, pag. 535-548 [7] Alessio Bosio, Alessandro Romeo: “Polycristalline CdTe thin films solar cells”, Thin Film Solar Cells: Current Status and Future Trends, 2010, chapter 7, pag. 159-198 45
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