leggi un estratto - Novecento Editore

ITALIA / ITALIE
e tra
a cura di
Gabriele Dadati
direzione editoriale:
Calogero Garlisi
redazione:
Eugenio Nastri
comunicazione:
Gabriele Dadati
commerciale:
Marco Bianchi
realizzazione editoriale:
Veronica Bonalumi
hanno collaborato:
Giulia Corazza, Cecilia Roda
progetto grafico: Tralerighe, Milano
ISBN 978-88-95411-82-8
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Claudio Nutrito
Quant’altro
Parole di salvataggio
per parlare senza dire niente
Novecento Editore
Dedicato
ad Anna, Nicoletta e Leonardo
Indice
Prefazione
11
Parole di salvataggio
Amici
17
Bella dentro [vedi *Solare]
18
Bisogni indotti
18
Caso a sé [vedi *Eccezione]
21
Chilometri zero
21
Cionamico [vedi *Informale]
23
Collante
23
Condividere
25
Consapevole
29
Consumismo
31
Contaminazione
37
Cosiddetto
39
… della nonna
39
Destra, sinistra
42
Dietrologia
44
Disagio
46
7
Donna oggetto [vedi *Mercificazione]
48
Le Due anime
48
Eccezione
51
Eco–
52
Ecologia
53
Educare
54
Fare sistema [vedi *Lavoro di gruppo]
56
Il Fenomeno del… 56
Fra virgolette
57
Fusion [vedi *Contaminazione]
60
Gruppo di lavoro [vedi *Lavoro di gruppo]
60
Immaginario collettivo
60
Informale
62
Interiore
65
Km zero [vedi *Chilometri zero]
67
Lavoro di gruppo
67
Mediatico
69
Mercificazione
73
Metafora
76
Mi definisco…
77
A Misura d’uomo
80
Moderazione
81
Monitorare
83
Ostentazione
85
8
Peculiarità
88
Qualità della vita [vedi *A Misura d’uomo]
90
Quant’altro
90
Risorsa
91
Risorse umane
92
Sedicente
93
Significato simbolico
94
Simbolo fallico
95
Sinistra, destra [vedi *Destra, sinistra]
97
Sobrietà
97
Sociale
99
Solare
101
Solidarietà
103
I Soliti noti
105
Sostenibile
106
Spazio
108
Specifico [vedi *Peculiarità]
110
Strapotere 110
Vuoto legislativo
112
Cataloghi di salvataggio
Catalogo dei sarchiaponi
117
Catalogo degli aggettivi socialmente utili
121
9
Catalogo “dalla parte”
125
Catalogo “business dietro”
129
Catalogo italiano
131
Catalogo name dropping
135
Prefazione
“Parola sei divina!”
Gabriele D’Annunzio
“Non ho niente da dire e lo sto dicendo”.
John Cage
“Lo scopo primario della conversazione è quello
di soddisfare l’impulso a parlare”.
George Santayana
Diamolo per scontato: quando parliamo abbiamo
qualcosa da dire.
Ciò premesso – siamo realisti – non si può mica
pretendere un discorso chiaro, completo e approfondito ogni volta che si apre bocca. Ogni tanto può
succedere di dover o voler parlare senza avere gran
che da dire.
Questo libro presenta una serie di parole di salvataggio, parole cioè utili nel caso ci si trovi a corto
d’idee o d’argomenti. Intendiamoci: non si tratta di
parole vuote, prive di senso. Tutt’altro: sono utilizza11
bili anche nel corso di una discussione approfondita.
Sono parole passe-partout: il loro significato è quanto
mai elastico.
“Quant’altro”, che dà il titolo al libro, è una delle
tante parole di salvataggio esposte nelle pagine che
seguono. Sono vocaboli da esibire come segno di
distinzione sociale per dare spessore e suggestione
all’eloquio. O, comunque, per non fare scena muta.
In molti casi sono delle vere e proprie parole
strappa-applauso. Lo si può verificare nei tanti talkshow televisivi. In TV il tempo a disposizione è, per
definizione, limitato. Di conseguenza, quando non si
ha niente da dire occorre dirlo in forma sintetica: ed
è questo uno degli elementi che rendono i talk-show
un terreno quanto mai fertile per le parole di salvataggio.
Parole strappa-applauso, si è detto. Agiscono
come gli acuti in un pezzo cantato: la melodia è dolce, regolare, ripetitiva poi, all’improvviso, ecco l’acuto (la parola di salvataggio) che scuote ed esalta chi
ascolta sino a suscitare l’applauso.
A proposito di applausi: sono parole non solo
da pronunciare, ma anche da scrivere. Per esempio,
nel nostro blog o sito web. Magari in versione pluri-lingue, per favorire una sorta di “globalizzazione
dell’applauso”.
Le parole di salvataggio danno gusto al discorso,
così come l’uva sultanina dà gusto al panettone. Con
una differenza: non dobbiamo preoccuparci della
12
consistenza dell’impasto che sostiene i chicchi d’uva.
Fuor di metafora: non curiamoci troppo della sostanza del discorso.
Avvertenza. Molte parole di salvataggio esprimono
concetti positivi: indicano cioè la retta via da seguire.
È il caso, ad esempio, di “solidarietà”, “sobrietà”, “a
misura d’uomo”, “condividere” ecc. Purtroppo però
tanto più nobile è il significato di una parola, tanto
più si tende a eccedere nell’uso di tale parola sino a
screditarla.
Queste parole pertanto vanno usate con moderazione, evitando un sovradosaggio che può portare
effetti indesiderati. Come nell’esempio che segue.
“Liberté, egalité, fraternité”: in Francia, queste tre
parole erano ripetute ovunque, fino alla noia. Lo statista austriaco Klemens von Metternich (1773-1859)
di ritorno da un viaggio a Parigi dichiarò: “Sono così
stomacato dall’abuso che i francesi fanno della parola
fraternità che se avessi un fratello lo chiamerei cugino”.
13
Parole di salvataggio
Amici
Dice il proverbio: “Chi trova un amico trova un tesoro”.
Bene. C’è una formula magica per fare amicizie
con facilità: “Preferisco chiamarli amici, anziché…”
• “I nostri clienti? Siamo sempre a loro disposizione. Si è creato un rapporto di cordialità e fiducia.
Preferisco chiamarli amici, anziché clienti”.
• “Da anni organizziamo un festival della canzone
regionale, grazie all’intervento di alcuni sponsor.
Sono al nostro fianco sin dalla prima edizione: preferiamo ormai chiamarli amici, anziché sponsor”.
Per inciso: ovviamente, giacché li chiamiamo amici, si spera che i nostri clienti non si rivolgano alla
concorrenza, e che gli sponsor continuino a elargire
il loro contributo.
Altro esempio: abbiamo fondato un partito, un
movimento, un’associazione. Come definire quelli
che aderiscono? Seguaci? Affiliati? Militanti? Macché:
“Preferisco chiamarli amici”. Segue puntualizzazio17
ne: “A patto che si attengano scrupolosamente alle
mie direttive”.
C’è, del resto, un illustre precedente. Gesù disse
ai suoi discepoli: “Voi siete miei amici, se fate le cose
che io vi comando” (Vangelo di Giovanni, cap. 15).
Bella dentro [vedi *Solare]
Bisogni indotti
Una disquisizione sui mali della società dei consumi
deve tassativamente menzionare i “bisogni indotti”.
Sono, infatti, proprio i bisogni indotti ad alimentare
la spirale del consumismo [vedi *Consumismo].
Ma quali sono i bisogni indotti? Secondo l’accezione più comune, sono i bisogni che non nascono
in maniera naturale e spontanea, ma che si formano
in seguito a stimolazioni esterne (es. la pubblicità). Si
possono quindi definire indotti tutti quei bisogni che
non rientrano nei cosiddetti bisogni primari, quelli
che lo psicologo Abraham Maslow, nel suo modello
di scala dei bisogni, chiama bisogni fisiologici/organici: mangiare, bere, dormire, coprirsi…
In quest’ottica, possiamo catalogare come indotti
la maggior parte dei nostri attuali bisogni: non solo
il bisogno di indossare abiti firmati, ma - estremizzando - anche semplicemente quello di vestirsi. Vestirsi, infatti, non è un bisogno primario (nel senso di
18