“La Tradotta”, il giornale di trincea della 3^ Armata

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“La Tradotta”, il giornale di trincea della 3^ Armata.
1918/1919 – (seconda e ultima parte)
17 agosto 2014
Inquadramento storico e cronologia ragionata. Seconda parte: nn. 11/25 e supplementi
Con questo secondo e ultimo intervento concludiamo l’analisi del settimanale della Terza Armata,
“La Tradotta”. La prima parte di questa nostra cronologia ragionata del più celebre, del più
apprezzato, del più letto e del più curato “giornale di trincea” della Prima Guerra Mondiale è
apparsa su EreticaMente con il sottotitolo Le nuvole parlanti nelle tempeste d’acciaio.
La medaglia commemorativa per i combattenti della Terza Armata
Sarà comunque utile al lettore un fulmineo “ripasso” di quanto già affrontato. Avevamo parlato del
fumetto nel periodo bellico, sottolineando come – almeno fino alla Guerra del Vietnam – venisse
“arruolato” con i suoi personaggi e autori a sostegno della Patria… un fumetto talvolta protagonista
di periodici appositamente riservati agli ambienti militari e combattentistici. Ci eravamo poi
soffermati sulla genesi editoriale della “Tradotta” (evidenziando anche il lato “fumettistico” della sua
impostazione, che la rese una sorta di “Corriere dei Piccoli” per fanti adulti!), stilando brevi schede
bio-bibliografiche dei maggiori artisti che ne firmarono i testi e i disegni. Presentavamo dunque
Renato Simoni, Enrico Sacchetti, Umberto Brunelleschi, Riccardo Gigante, Giuseppe Mazzoni,
Arnaldo Fraccaroli, Gino Calza Bini e soprattutto Antonio Rubino – la vera “anima grafica” della
pubblicazione. Seguiva la cronologia – pagina per pagina e con i dovuti riferimenti storici – dei primi
dieci numeri dell’ebdomadario, introdotta da una rapida nota riguardante la periodicità e le tecniche
di stampa e colorazione. In ultima pagina appariva in calce la seguente scritta (che poteva variare se
il giornale veniva stampato nello stabilimento ausiliario di Reggio Emilia): “Istituto Veneto di Arti
Grafiche Venezia – in conduzione dalla Casa Editrice d’Arte Bestetti & Tumminelli – Milano” (la ditta
era stata fondata nel 1915).
Adesso non resta che occuparci dei numeri che vanno dall’undicesimo al venticinquesimo e dei tre
smilzi supplementi al n. 18 (usciti nei giorni della Vittoria), abbracciando così un periodo –
storicamente affascinante e per certi versi esaltante – che va dal 22 giugno 1918 al 1° luglio 1919.
Numero 11 – 22 giugno 1918
Copertina (pag. 1) – Illustrazione del Sacchetti, con lunghissimo titolo esplicativo: Le donne friulane
sono orgogliose, superbe, invincibili. Sprezzano i soldati tedeschi. E fra parentesi la precisazione
“Da una corrispondenza del giornale ungherese Magyaroszag di Budapest”. La grafia corretta
doveva essere “Magyarország”, che significa semplicemente “Ungheria”: si trattava di un giornale
indipendente fondato nel 1893 con una tiratura allora più che importante di 60.000 copie.
Pag. 2 – La pagina si apre in alto con il consueto “vignettone” di satira geopolitica di Sacchetti
intitolato I sommergibili dovevano affamare l’Intesa… Un Tedesco guarda sconsolato i suoi patri
sottomarini, dicendo: “Per ora gli affamati siamo noi”. Di Simoni è invece il divertente testo Le navi.
Carlo d’Austria cerca con i suoi ammiragli di uscire fuori da uno spiacevole impasse: se le navi
restano nel porto di Pola vengono affondate e se escono, pure! Le soluzioni sono a cavallo fra
l’umoristico e il fantascientifico: farle volar via fino a Vienna aviotrasportandole; insabbiare il porto;
mettere in acqua dei palombari che impediscano l’avvicinamento dei siluri; farle galleggiare anche
in presenza di falle mediante milioni di zucche! Il riferimento storico è all’Impresa di Premuda del 10
giugno 1918. Le navi austriache Szent István e Tegetthoff (quest’ultima famigerata per il
bombardamento del porto di Ancona del 1915), salpate da Pola con altre cinque unità dirette verso
sud per effettuare il blocco del Canale d’Otranto, vennero intercettate intorno alle tre del mattino al
largo della costa di Zara (presso l’isola di Premuda) dalle motosiluranti italiane. La MAS 15 del
capitano di corvetta Luigi Rizzo colpì con due siluri la Szent István; rimorchiata fino a Pola dalla
Tegetthoff la corazzata affondò tre ore dopo essere stata centrata; ci furono 89 morti. Il progettato
blocco del canale fallì.
L’affondamento della Santo Stefano a Pola
Pag. 3 – Il Territoriale (versi di Simoni e disegno di Brunelleschi) è un inno al soldato, anziano (dai
40 anni in su) che vigila sui territori, sulle città e sulle vie di comunicazione non immediatamente
attigui al fronte. Si parla anche di milite di 3 a linea, rifacendosi alla distinzione adottata per un
secolo in Europa (a partire dalla Prussia nel 1815) fra “esercito attivo” o “di campagna” (1a linea),
“milizia mobile” o “provinciale” composta da riservisti (2a linea) e “milizia territoriale”. Già con la
Prima Guerra Mondiale le prime due linee si confusero e persero un significato indipendente – e
anche al Territoriale, come nell’agrodolce poema di Simoni, con le fasi finali del conflitto, veniva
spesso chiesto di spostarsi sempre più verso la zona dei combattimenti più aspri. Con la Seconda
Guerra Mondiale ogni cittadino di sesso maschile fino a 55 anni doveva essere a disposizione
secondo necessità, senza differenza di linee.
Pagg. 4/5 – Esilarante il paginone doppio centrale a colori con L’origine dei gas di Simoni (versi) e
Rubino (disegni). La storia dell’invenzione dei fumi tossici per uso bellico viene riscritta dai due
artisti con una trovata degna del Superciuk alanfordiano: il pasteggiare pesante e l’abbondante birra
rendono pestilenziale l’alito dei Tedeschi, senza distinzione di sesso. Dopo pranzo una buona fiatata
fa strage di mosche peggio del Flit! Tubi di aspirazione vengono installati in tutte le case della
cittadinanza e ognuno dovrà soffiarvi dentro per un’ora al giorno i miasmi gastrici; le esalazioni
verranno convogliate in una macchina centrale che produrrà le terribili armi chimiche. Il primo
utilizzo di gas nei combattimenti della Grande Guerra risale al 1914, quando i Francesi utilizzarono
lacrimogeni contro i Tedeschi; il vero debutto del gas letale data però il 22 aprile del 1915, quando a
Ypres, nelle Fiandre, i Tedeschi usarono il cloro, dalle proprietà asfissianti. Il secondo arrivato nei
veleni aerei fu il fosgene (o cloruro di carbonile), il quale poteva essere anche mescolato al cloro per
aumentarne l’efficacia. Il gas mostarda o iprite (tioetere del cloroetano), altamente tossico per
l’apparato respiratorio ed estremamente vescicante, fu usato per la prima volta il 12 luglio 1917,
sempre nel settore di Ypres.
Pag. 6 – “Vignettone” del Brunelleschi intitolato Gli ultimi affondamenti con una nave
(presumibilmente la Santo Stefano) colata a picco: “La flotta austriaca sta finalmente trovando un
posto dove i siluri italiani non arrivano.” Ci sono poi Le lettere del soldato Baldoria di Fraccaroli
(testo) e Mazzoni (disegni), dove vengono riportate alcune frasi “piccanti” che i militari ricevono al
fronte dalle loro fidanzate – ovviamente inventate! Una su tutte, la più“ardita” (siamo nel 1918!):
“Anche se torni ferito non mi cale, ma procura di non farti colpire negli effettivi dell’esercito che me
ne avrei a male”!
Pag. 7 – Le tre feste del fante, corso di lezioni teorico-pratiche del caporal C. Piglio (Rubino, testo e
disegni) celebra le tre date più importanti sul calendario del soldato: Santa Licenza, San Cambio
(ovvero “quando arriva un’altra brigata a dare il cambio alla tua”) e Santa Vittoria. Tutti gli altri
giorni sono uguali, al fronte. “’Oggi’”, dice Rubino, “è un giorno feriale, un giorno in grigio-verde”.
Pag. 8 – Il “paginone” illustrato finale (versi di Simoni e disegno a colori di Brunelleschi) chiude
degnamente un numero in gran parte dedicato alle battaglie navali nell’Adriatico e alla guerra
chimica. Al posto delle maschere tradizionali italiane del Carnevale (riconosciamo Pantalone,
Arlecchino, Colombina, Brighella e Pantalone) ce ne sono di nuove, introdotte dai Tedeschi: quelle
antigas – compreso il modello a “grugno di maiale”!
Numero 12 – 4 luglio 1918
Copertina (pag. 1) – Il Sacchetti mette Carlo I d’Austria in castigo, dipingendolo come un bambino
viziato vestito alla marinara che frigna per i suoi giocattoli spezzati. Le disgrazie di Carlino. Piange
perché gli hanno rotto le corazzate, l’offensiva e l’esercito… Ci si riferisce ancora ai recenti successi
navali italiani nell’Adriatico, alle fallite offensive tedesche contro le linee francesi e soprattutto alla
cosiddetta Battaglia del Solstizio (secondo l’ispirata definizione dannunziana). Il Regio Esercito
fermò e poi respinse le penetrazioni austriache aldilà delle linee del Piave: Fagarè (oggi Fagarè della
Battaglia) fu il punto di massima avanzata nemica. A seconda delle fonti, sul campo restarono fra i
250.000 e i 300.000 senza vita, fra Italiani (intorno ai 100.000) e Austro-ungarici (dai 150.000 ai
200.000); lo scontro sul Grappa e sul Piave fu per gli Imperi Centrali l’inizio della fine (non solo per
motivi militari, ma anche a causa del malcontento e dello sfinimento delle popolazioni civile, dovuto
alla penuria di cibo e di materiali). Quello del Solstizio d’estate del 1918 fu anche una sorta di primo
“battesimo del fuoco” vittorioso degli Arditi (che sarebbero stati ufficializzati subito dopo, il 26
giugno), il corpo d’élite di assaltatori che tanta parte avrebbe avuto nei mesi e negli anni seguenti –
dal successo di novembre, alla nascita del Fascismo, all’Impresa di Fiume…
Sacchetti: copertina del n. 12
Pag. 2 – Sacchetti torna sull’argomento nel suo “vignettone” in seconda pagina con L’ombra di
Cecco a Carlo. Franz Joseph I von Österreich, ovvero Francesco Giuseppe I d’Austria (apostrofato
volgarmente in Italia come Cecco Beppe), aveva regnato su Austria (dal 1848) e Ungheria (dal 1867)
fino alla morte avvenuta nel novembre 1916. Il suo fantasma rimprovera al successore Carlo I di
avere fatto più danni con la Battaglia del Solstizio che nei precedenti sette decenni di Impero!
Superoffensiva a fondo è l’elzeviro di Simoni con disegni di Rubino: viene messo alla berlina il
feldmaresciallo Franz Conrad von Hötzendorf, comandante dell’Armata del Trentino, il generale che,
dopo la disfatta della già citata Seconda Battaglia del Piave del giugno 1918, si ritirò a riposo fino
alla morte avvenuta nel 1925.
Pag. 3 – L’offensiva è un corposo componimento poetico di Simoni, con disegno di Mazzoni. Al centro
delle sberleffo (con riferimento ancora alla Battaglia del Solstizio) Carlo I e la sua consorte toscana
Zita Maria (delle Grazie Adelgonda Micaela Raffaela Gabriella Giuseppina Antonia Luisa Agnese) di
Borbone-Parma, nata nel 1892 a Capezzano Pianore (una frazione del comune di Camaiore, in
provincia di Lucca) e morta nel 1989 in Austria, dove era tornata dopo quasi sessanta anni di esilio.
La regal consorte, vestita di stracci e attorniata da famelici ratti delle chiaviche, regge una specie di
agonizzante gallinaccio spennacchiato a due teste: si tratta dell’aquila bicipite asburgica.
Pagg. 4/5 – Di forte impatto grafico l’illustrazione unica a colori nella doppia pagina centrale
intitolata I soldati italiani in Francia, dedicata dagli autori (Simoni per i versi e Brunelleschi per il
disegno) agli eroi del Solstizio sul Piave (in visita in una splendida Parigi art noveau popolata, ai
giardini del Campo di Marte, di splendide fanciulle che vestono all’ultima moda) e agli eroi della
Marna (i Francesi che arrestarono l’offensiva tedesca di primavera): il soldato gallico veste la divisa
dei Diavoli Blu, ovvero gli Chasseurs Alpins, con il classico emblema del corno da montagna sul
basco.
Brunelleschi: pagina doppia centrale del n. 12
Pag. 6 – L’indomani della vittoria, massime e sentenze del caporal C. Piglio di Antonio Rubino è
dedicato ancora alle vittoriose imprese italiane della tarda primavera e dell’inizio dell’estate 1918. In
particolare, in una delle vignette vediamo un soldato germanico brandire una mazza ferrata
dall’aspetto medievale. Usate nel corpo-a-corpo durante gli scontri di trincea oppure per dare il
colpo di grazia al nemico morente, queste armi corte di secolare tradizione ritornarono in auge nella
Grande Guerra. Erano spesso costruite artigianalmente, incastrando a forza sulla sommità di un
bastone di legno un corpo di granata svuotato e arricchito con chiodi; ce n’erano anche di modelli
industriali; altre erano più simili a manganelli. La più celebre – spesso ritratta nelle vignettistica di
propaganda, come sulla “Tradotta” – si ispirava alla morgenstern tedesca: il nome di “stella del
mattino” le era stato dato sia perché somigliava a un “sole radiante”, sia perché si trattava di
un’arma veramente “infernale” (Stella del Mattino è uno dei nomi di Lucifero). Il fante italiano si
difendeva dai gas germanici con il “respiratore inglese” – ovvero la maschera antigas SBR (Small
Box Respirator) che a partire dalla fine del 1917 era stata distribuita anche al nostro esercito, in
sostituzione dell’inefficace Polivalente MZ, carente soprattutto di fronte ad attacchi con l’iprite.
Pag. 7 – Il feldmaresciallo Conrad di Simoni (versi) e Rubino (disegni) ci racconta col gusto della
satira e della parodie l’ascesa nei ranghi militari di von Hötzendorf: avendo la fissa dello Stivale fin
da piccolo (quando rifiutava il seno della balia perché“volea mangiar l’Italia”), nel giugno del 1918
dalla punta calabrese di detto Stivale si prenderà una sonora pedata nel deretano!
Pag. 8 – Il n. 12 si conclude con il ritorno a colori del fante Mattia Muscolo di Rubino. Da Berlin
l’ordine arriva, in quattro strisce a doppia vignetta si prende gioco della catena di comando
germanica. L’ordine di procedere all’offensiva partito dalla capitale tedesca si ritorce contro chi lo
ha emanato grazie a una doppia catena di eventi: in avanti per le prime due strisce e all’indietro per
le ultime due. E’ come se il punto di vista “cambiasse fianco”, dal lato sinistro al lato destro: si
capisce bene osservando Muscolo sull’estrema destra della seconda vignetta e subito dopo
sull’estrema sinistra della terza. E’ lui il cardine dell’azione: il lancio della bottiglia di rhum sul
nemico e il susseguente tiro del cerino acceso per incendiare il liquore, prima “bloccano” e poi
“respingono” gli eventi, come proiettando al contrario una pellicola cinematografica. Rubino è
indubbiamente un maestro dei codici stessi di comunicazione del fumetto! In un punto della
narrazione grafica vediamo un corto tubo giallo esplosivo di “gelatina” in mano al nemico. Si tratta
di un bangalore. Nella Grande Guerra tali ordigni venivano piazzati sotto ai reticolati di filo spinato
per farli saltare e aprire varchi nelle difese nemiche. Il composto interno era formato al 90% da
nitroglicerina e al 10% di cotone collodio, appiccicoso e stabilizzante, che saltava una volta
consumata la miccia.
Numero 13 – 23 luglio 1918
Copertina (pag. 1) – Sacchetti pare quasi anticipare gli eventi di novembre 1918 con l’illustrazione
d’apertura, intitolata Vittoria!, ma si riferisce in realtà al fallimento tedesco dell’ultima offensiva
sulla Marna e alla controffensiva dell’Intesa. Su quei campi di battaglia furono impiegati i famigerati
Buffalo Soldiers della 92a Divisione di Fanteria degli Stati Uniti. Già scatenati nelle Guerre Indiane in
vere e proprie spedizioni di sterminio contro la fiera nazione Apache alla fine del XIX secolo, i
militari negri – inquadrati nell’esercito americano all’indomani della Guerra di Secessione – si
sarebbero poi distinti per le loro efferatezze sullo scacchiere italiano, al tramonto della Seconda
Guerra Mondiale. Il nomignolo fu loro affibbiato proprio dagli Indiani, in quanto i loro capelli crespi
neri e il colore scuro del volto ricordavano ai Pellerossa il pelo e il muso dei bisonti delle Praterie. In
questo periodo il fatto saliente è la fucilazione dello zar Nicola II e degli altri Romanov suoi
famigliari a Ekaterinburg, a opera della CEKA; da questo momento sempre più presenti saranno le
incursioni della “Tradotta” nella satira antibolscevica e anticomunista (come vedremo non
antisocialista).
Pag. 2 – La teoria dell’inutile di Simoni, dedicato alle recenti sconfitte austriache, dimostra
paradossalmente come i generali di Carlo I preferiscano ritirarsi su tutti i fronti e rinunciare a
Venezia non perché hanno perso, ma per questioni umanitarie: “per evitare delle inutili perdite di
vite”! Il “vignettone” di commento del Sacchetti chiude l’argomento. Dopo il fiasco dell’offensiva,
vengono destituiti i generali “Arz, Conrad e Waldstaetten” e il tedesco Von Below assume il comando
dell’esercito austriaco. Arthur Arz von Straussenburg (1857 – 1935), consigliere di guerra di Carlo I
e reduce dalla vittoria di Caporetto, fallì invece l’offensiva sul Piave del 1918 e si ritirò dal comando;
lo stesso destino colpì Conrad, come abbiamo già detto sopra; Alfred Georg Heinrich Maria Freiherr
von Waldstätten (1872 – 1952) era al capo delle operazioni sul fronte orientale e fallimentare fu la
sua conduzione dell’azione “a tenaglia” sull’Italia con Arz, tanto che anche lui si ritirò dall’esercito;
Otto Von Below (1857 – 1944) si distinse a Caporetto contro l’esercito italiano, al comando delle
forze austro-tedesche.
Pag. 3 – Carlo I ai suoi popoli (versi di Simoni e disegno di Brunelleschi) ritorna sull’argomento del
disastro dell’offensiva austriaca sul Piave a giugno; l’imperatore tenta di spiegarla ai suoi sudditi,
asserendo che la colpa è tutta italiana. L’Italia, invece di farsi invadere limitandosi a difendersi, ha
invece contrattaccato, avanzando sul terreno!
Pagg. 4/5 – Requisizione è il superbo paginone doppio centrale a colori disegnato da Rubino su
didascalie in rima di Simoni. Si parla di una commissione tedesca che da Berlino si dirige verso il
Piave con lo scopo di rastrellare materiali e salmerie da portare in Germania; gli Austriaci si
ribellano e scoppia una sorta di piccola “guerra civile” fra alleati. Tali commissioni di requisizione
furono attive soprattutto nell’ultimo periodo bellico quando i blocchi dell’Intesa rendevano
difficoltosi i rifornimenti nelle zone interne degli Imperi. I versi sono straordinari per umorismo e
geniali nella composizione: “Han la colla pel pennello / e il pennello per la colla; / ha ciascun più d’un
cartello / che s’incolla colla colla”.
Rubino: doppia pagina centrale del n. 13
Pagg. 6/7 – Pur non essendo centrali al fascicolo le pagine 6 e 7 sono strettamente collegate. In alto
abbiamo un doppio “vignettone” del Sacchetti, intitolato L’offensiva contro l’Italia vista dagli abitanti
del Friuli invaso: all’andata l’Austriaco è baldanzoso, passando impettito in mezzo a povere e tristi
donne e bambini fiuliani; al ritorno, dopo la sconfitta di giugno, è tutto stracciato, mentre la
popolazione italiana irredenta osserva sorridendo. In basso, su tre quarti di pagina, Le lettere del
soldato Baldoria di Fraccaroli, con disegni di Mazzoni: il fante racconta a modo suo, scansando le ire
della censura militare, la vittoria di giugno alla sua fidanzata Teresina. Chiude il “paginone” una
lettera in rima di Guglielmo II a Carlo I, che inizia con Carissimo Carlo (versi di Calza Bini e disegni
di Rubino); la particolarità del componimento (sottolineata dall’uso alternato dell’inchiostro blu e
nero) è che può essere letto per intero oppure un verso sì e uno no; la versione integrale è per il
pubblico germanico e parla di vittorie e complimenti a Carlo; leggendo solo i versi neri, viene invece
fuori la verità e la rabbia di Guglielmo contro l’alleato. Provi anche il lettore, con la prima parte della
poesia, leggendola per intero e poi saltando i versi dispari: Caro Carlo ardito e forte, / Come è rotto e
macellato / l’Italian che odiava a morte / il tuo povero soldato; / e che gran soddisfazione / per la tua
Nazione invitta… / Per l’Italia, che lezione, / che terribile sconfitta!
Pag. 8 – Chiusura dall’alto impatto grafico con il Piano dell’offensiva austriaca, con versi e disegni di
Rubino. Il riferimento storico, come per tutto questo numero del giornale, è ancora alla vittoria di
giugno. Rubino disegna due volte la cartina dell’Italia del nord-est, a sud del Piave. Nella prima
mappa vediamo tutte le specialità gastronomiche dei luoghi, che fanno gola agli affamati
austro-ungarici che si illudono di avere a che fare con un popolo composto unicamente di fannulloni,
di gaudenti e di crapuloni, attenti solo ai piaceri della tavola imbandita. Ma le delizie della cucina e
della norcineria resteranno solo un sogno per gli Imperi: in quelle terre non ci sono solo radicchi e
luganeghe, bensì fanti armati fino ai denti che respingono i germanici aldilà del Grappa e del Piave.
Tre sono i generali messi alla berlina: Conrad, di cui abbiamo già parlato, Boroevic e Wurm. Il
Serbo-croato Svetozar Borojević od Bojne (1856 – 1920) era al comando delle forze austro-ungariche
durante la Battaglia del Solstizio; Wenzel von Wurm (1859 – 1921) aveva partecipato con la sua
armata alla battaglia di Caporetto.
Numero 14 – 1° agosto 1918
Copertina (pag. 1) – L’illustrazione di apertura a firma di Sacchetti (Kamarad!) vede un triste e
sconfitto Kaiser Guglielmo arrendersi a un fante americano: i Tedeschi stanno infatti per iniziare la
ritirata sul fronte occidentale, dopo la disastrosa disfatta della seconda battaglia della Marna iniziata
il 15 luglio precedente.
Pag. 2 – Alla controffensiva in Francia parteciparono anche gli uomini del Regio Esercito guidati dal
generale Alberico Albricci: ecco spiegato lo sganassone con cui il fante tricolore atterra il Tedesco
(nel “vignettone” di Sacchetti intitolato I soldati italiani in Francia). Strategia tedesca in grande stile
(di Simoni, con disegno non attribuito, forse di Brunelleschi) è invece un simpatico colloquio fra
Boroevic (reduce dalla disfatta del Solstizio) e Ludendorff, che vorrebbe insegnargli a combattere
come fanno i germanici… non trovando però argomenti! Erich Friedrich Wilhelm Ludendorff (1865 –
1937) era infatti considerato – non a torto – un grande stratega in seno agli Imperi Centrali: sua
l’organizzazione dell’evento di Caporetto. Curioso, nel testo, il riferimento alla cake-walk, una danza
ritmica in uso presso i negri delle piantagioni degli Stati Uniti del Sud, con la quale mescolarono
suggestioni originali africane con balli tribali dei Seminole della Florida; la cake-walk avrebbe
contribuito alla nascita del rag-time, del fox-trot e del jazz; in questo primitivo magma musicale
moderno affonderanno le loro radici il blues, il rock e la musica pop – fino ad arrivare alle sonorità
da discoteca dei nostri giorni.
Pag. 3 – Vanno in linea è un romantico componimento di Simoni (con disegno del Brunelleschi)
dedicato ai mille dialetti parlati dagli Italiani al fronte: veneti, napoletani, siciliani, romani, sardi…
uniti insieme – con la testa rivolta al nemico e il cuore alle fidanzate.
Pagg. 4/5 – Di gusto “orientaleggiante” il bel paginone doppio centrale a colori di Brunelleschi,
Quando il soldato tornerà a casa dopo la vittoria definitiva. I militi, con una sbrindellata bandiera
tricolore sopravvissuta al fronte, sfilano su un tappeto di rose davanti alle loro donne, vestite nei vari
costumi tradizionali regionali; sopra le loro teste un festone di lanterne cinesi accese – che forse
sono le “rificolone” fiorentine della festa del 7 settembre, viste le origini toscane del disegnatore.
Brunelleschi: doppia pagina centrale del n. 14
Pag. 6 – La pagina è interamente dedicata alle Storie di appetito negli Imperi Centrali, stremati dalla
penuria di rifornimenti. La prima è intitolata In Austria (versi di Simoni e disegni di Rubino): i
Viennesi dimagriscono ogni anno di più e gli uomini, da quello che era un unico colletto inamidato
per una sola camicia, ricavano colletti per tutta la famiglia, anche per il neonato! La seconda, con
prosa di Simoni, è In Germania – I maiali di Berlino (disegno non attribuito, ma forse Brunelleschi; la
storiella prosegue e termina a pag. 7): la carestia colpisce anche gli animali di allevamento, tanto
che i maiali decidono di lasciarsi morire di fame, piuttosto che finire in forno.
Pag. 7 – Terminati I maiali di Berlino, ecco la Scuola di educazione militare per pennuti e beccuti,
un’altra delle spassose puntate dedicate alle Massime del caporal C. Piglio scritte e disegnate da
Antonio Rubino. Il graduato parla, come al solito, a un ragazzo del ’99 per insegnargli le meraviglie
del gergo militare. Stavolta tocca ai vocaboli “pennuto” (ovvero il soldato appena arruolato che deve
pagare un giro di bevute ai commilitoni più anziani di servizio) e “beccuto” (cioè il soldato da poco al
fronte, che alza il “becco” e si agita appena sente l’odore del rancio).
Pag. 8 – Da sbellicare dal ridere La carriera di von Conrad, il generale che va all’indietro, o meglio,
“per il verso deretano”, come motteggia Rubino nelle rime che accompagnano i suoi stessi disegni.
Franz Conrad von Hötzendorf era infatti arrivato al più alto gradino militare di Capo di Stato
Maggiore e Feldmaresciallo; il 1° marzo 1917 fu però rimosso dalla carica e nominato capo
dell’Armata del Trentino; con la disfatta del Solstizio si mise a riposo. Rubino infierisce e lo degrada
fino a colonnello. Poi, in un’epica vignetta a tutta striscia, lo fa regredire da maggiore a caporale.
Qui sta l’anima stessa del linguaggio del fumetto. In Italia, seguendo il senso di lettura da sinistra
verso destra, i personaggi di una tavola a fumetti si “muovono in avanti” andando da sinistra a
destra della tavola stessa (in una o più vignette); e “tornano indietro” muovendosi da destra verso
sinistra. Conrad fa come il gambero: va avanti (da sinistra verso destra), ma di schiena (perché
scende via via di grado)! Genio allo stato puro! Infine Conrad, in un futuro 1948, diventerà soldato
semplice; e intorno al 1950, coscritto ma ormai vecchio e gobbo, verrà dichiarato “non abile”!
Rubino: ultima pagina del n. 14
Numero 15 – 14 agosto 1918
Copertina (pag. 1) – Il Sacchetti con Piove sulla Marna come sul Piave (con il Tedesco che prende
botte da quattro fanti – Italiano, Francese, Inglese e Americano), torna sulle sconfitte degli Imperi,
sul fronte occidentale e su quello italico. Qualche giorno prima dell’uscita del settimanale (che, come
abbiamo visto dalle datazioni, fatica ormai sempre più a mantenere la sua iniziale periodicità) era
cominciata con la Battaglia di Amiens, la cosiddetta Offensiva dei Cento Giorni che avrebbe portato
l’Intesa a sconfiggere gli Imperi Centrali: sarebbero stati gli ultimi tre mesi della Prima Guerra
Mondiale. Il 9 agosto Gabriele D’Annunzio aveva sorvolato in squadriglia aerea Vienna, lanciando
400.000 volantini: ne riparleremo più sotto, commentando il paginone che Rubino dedicò all’impresa
sul n. 16 della “Tradotta”.
Pag. 2 – Le due sconfitte più brucianti (Dopo il Piave, la Marna) sono “fotografate” dal Sacchetti nel
suo consueto “vignettone” satirico di seconda pagina con una fulminante battuta: “Due bottoni sono
andati: presto il Tedesco calerà i pantaloni”. La giornata di Guglielmo II è invece una
“tragicommedia” in tre quadri scritta da Simoni: il Kaiser riflette sull’imminente, probabile sconfitta
e si chiede dove sia la ragione, visto che si era alleato sia con il Dio dei cattolici (in Austria), sia con
quello dei maomettani (in Turchia)…. giurando di credere a entrambi per avere doppia protezione
celeste!
Pag. 3 – L’ospedale delle incurabili (versi di Simoni e disegni di Rubino) vede distese sul letto di
morte in nosocomio le due fallimentari offensive degli Imperi Centrali: quella austro-ungarica sul
Piave e quella tedesca sulla Marna. Ogni cura (clisteri e altre medicine) è vana e ben presto Carlo I e
Guglielmo II piangeranno le loro amate figlie decedute.
Pagg. 4/5 – Mirabile doppio paginone centrale a colori di Simoni (testi in rima) e Rubino (disegni). Il
giuramento parla di un patto di sangue fra Carlo I e Guglielmo II che li legherà indissolubilmente in
eterno in modo che non si ripeta un altro vergognoso “affare Sisto”. Il riferimento è alle trattative
segrete intraprese da Carlo I nel 1917 con la Francia, per staccarsi dalla Germania e arrivare a una
pace separata, garantendo a Parigi l’Alsazia e la Lorena; come intermediario Carlo I si rivolse al
cognati principi Sisto e Saverio di Borbone, ufficiali dell’esercito belga e fratelli della moglie Zita; il
tentativo non andò in porto e la cosa cominciò a trapelare nell’aprile del 1918; Carlo negò tutto ma
fu costretto ad arrendersi all’evidenza quando il presidente francese Clemenceau rese nota la
corrispondenza con i Borbone; da qui la sudditanza di Vienna nei confronti di Berlino. Il patto lega i
due imperatori in ogni azione: se uno scivola su una pozzanghera fangosa, anche l’altro dovrà farlo;
se quello starnutisce, l’altro lo seguirà; se l’Austria viene presa a pedate sul Piave, la Germania lo
sarà sulla Marna. Il giuramento viene eseguito davanti alla statua chiodata di Hindenburg (il
comandante supremo delle forze armate tedesche), al demone Belzebù (la versione cristiana di
un’antica divinità filisteo-indoeuropea), al gatto Mammone (l’antico demone del profitto Mammona
secolarizzato nella figura popolare di una specie di gigantesco “gatto mannaro”) e alla moglie di
Belzebù dalle trenta mammelle!
Rubino: doppia pagina centrale del n. 15
Pag. 6 – Lettere dalla Francia sono inviate da Girelli Ermondo al caporale C. Piglio grazie ad Antonio
Rubino (negli usuali panni di autore completo), con una punta di amarezza… Si ricorda quando
l’Italiano all’estero era soltanto un lavoratore impiegato nei lavori più umili – quasi un “poveraccio” –
mentre oggi lo si rivede a testa alta in armi, alla pari insieme ai “grandi” di Francia, Inghilterra e
America tutti alleati contro il comune nemico tedesco. Girelli Ermondo (dal buffo nome che, in
romanesco, la dice tutta sulla sua attività preferita di lavoratore oltreconfine) detto Merica (cioè
America), si firma come “ex contremètre” (inesatto per contremaître), ovvero ex caposquadra,
presumibilmente in cantieri di gallerie ferroviarie. Il soldato parla infatti del Loeschberg (la grafia
corretta è Lötschberg), un traforo in Svizzera che costò la vita a numerosi operai fra il 1906 e il 1913;
in particolare, nel 1908, in un disastroso crollo morirono 24 immigrati italiani. Cita poi il Simplon,
cioè il Sempione, i cui lavori andarono avanti dal 1895 al 1905.
Pag. 7 – La settima pagina del fascicolo è strettamente collegata alla sesta con le Lettere di Teresina
a Baldoria (testo di Fraccaroli e disegni di Mazzoni). La ragazza scrive di vantarsi con le amiche che
il suo uomo è al fronte, mica è imboscato. E in un irriverente disegno del Mazzoni vediamo che
Baldoria, con i pantaloni calati e il sedere quasi in vista, si reca alla “ritirata” usando come carta
igienica un foglio dove c’è scritto ben evidente “offensiva” (quella del Solstizio, come sappiamo)!
Chiude la pagina una piccolissima vignetta di Sacchetti, Fiaschetteria degl’Imperi Centrali, dove il
“fiasco”è quello austriaco e tedesco sui campi di battaglia.
Pag. 8 – Di chiamar le donne all’armi (versi di Simoni e disegni di Brunelleschi) è quanto di più
poteva dare in “volgarità” sulla “Tradotta” la goliardia da caserma e trincea nel 1918: esaurita la
“carne da cannone” maschile alla Germania non resta altro che usare quella femminile. Ma le donne
sono tutte brutte: o troppo magre, o troppo grasse! E così il dottore – che rifiuta, non per moralismo,
ma per estetica, di vedersele spogliare davanti – le spedisce a marcar visita di leva da una vecchia
dottoressa inacidita. Questa sopporta le nudità, ma si lamenta: Che disdetta, senza un uomo non c’è
gusto!
Brunelleschi: ultima pagina del n. 15
Numero 16 – 29 agosto 1918
Copertina (pag. 1) – “Benvenuto!”è il saluto con il quale il fante di Roma accoglie l’omologo
statunitense nell’illustrazione d’apertura Gli Americani in Italia firmata dal Sacchetti. Ripensando ad
altri momenti di storia patria, quel “Benvenuto!” suona come una campana fessa… Ma ora siamo nel
1918 e gli Americani sono ancora “amici” (nonostante i 14 punti, come vedremo più avanti). Erano i
militi del 332° Reggimento della 83a Divisione di Fanteria dello US Army. Il reggimento si costituì
nel 1917 in Ohio e dopo mesi di addestramento, prima negli USA e poi in Gran Bretagna, giunse in
Francia il 15 giugno 1918; gli uomini di Washington arrivarono in Italia a luglio, con un ritardo
dovuto alla Battaglia del Solstizio; avrebbero preso però parte ai combattimenti di Vittorio Veneto.
Come emblema avevano un leone di San Marco dorato su campo rosso (uno stemma che richiamava
quello della Terza Armata e che era simile a quello odierno dei Marò), sfoggiato insieme alla classica
“A” inscritta in una “O” (Army of Occupation).
Sacchetti: copertina del n. 16
Pag. 2 – La grande vignetta di “commento politico” del Sacchetti, I bollettini tedeschi cercano di
attenuare la sconfitta in Francia, è dedicata alla vittoriosa controffensiva dell’Intesa sul fronte
occidentale. Più sotto, con l’esilarante testo di Simoni intitolato I Tedeschi avanzano..?, si ritorna
sull’argomento degli sforzi propagandistici germanici per indorare la pillola della mancata avanzata
in territorio gallico alle popolazioni: sulla stampa e nei dialoghi pubblici o privati si dovrà usare
obbligatoriamente la parola “indietro” al posto del termine “avanti”… e viceversa! La confusione che
nascerà sarà catastrofica!
Pag. 3 – Protagonista della poesia Che ora è? del Mazzoni (illustrata da Brunelleschi) è l’orologio
della Kaiser-Wilhelm-Gedächtniskirche, la chiesa di Berlino che Guglielmo II inaugurò parzialmente
nel 1895 (nella sua totalità solo nel 1905) e che fu eretta in onore di Guglielmo I suo nonno paterno.
Nel 1943, durante i bombardamenti alleati, fu quasi abbattuta: nel dopoguerra il moncone di
cattedrale fu restaurato affiancandovi nuovi, modernissimi edifici sacri, tra cui un campanile.
Pagg. 4/5 – Il paginone doppio centrale a colori di Antonio Rubino non poteva che celebrare
l’impresa dannunziana estiva sulla capitale austriaca – una sorta di gigantesco bis della Beffa di
Buccari di febbraio (v. prima parte della cronologia: una flottiglia di tre MAS penetrò nella baia
istriana di Buccari, sparando siluri alle unità navali austriache ancorate in porto). Gli aeroplani
italiani su Vienna e “Vienna avvisata, mezzo bombardata” sono il titolo e il sottotitolo della splendida
tavola. Il Volo su Vienna del 9 agosto 1918 fu il risultato di oltre un anno di progetti, discussioni,
riunioni, prove e addestramenti da parte di D’Annunzio e di un manipolo di aviatori. Quando si arrivò
al giorno convenuto 11 biplani Ansaldo SVA decollarono dal campo d’aviazione di San Pelagio in
provincia di Padova diretti su Vienna. Erano tutti monoposto eccetto uno, pilotato dal capitano
Natale Palli; gli altri due passeggeri erano il Vate e un bambino di nove anni, Garibaldo Marussi,
figlio di uno scultore fiumano amico del poeta. Nove aerei riuscirono a giungere su Vienna e da
un’altezza di 800 metri furono lanciati, senza suscitare reazioni di controffensiva austriache, ben
400.000 volantini che invitavano la popolazione civile a ribellarsi al potere e ad arrendersi. 50.000 di
questi foglietti avevano impresso un testo di D’Annunzio: “In questo mattino d’agosto, mentre si
compie il quarto anno della vostra convulsione disperata e luminosamente incomincia l’anno della
nostra piena potenza, l’ala tricolore vi apparisce all’improvviso come indizio del destino che si volge.
Il destino si volge. Si volge verso di noi con una certezza di ferro. È passata per sempre l’ora di
quella Germania che vi trascina, vi umilia e vi infetta. La vostra ora è passata. Come la nostra fede fu
la più forte, ecco che la nostra volontà predomina e predominerà sino alla fine. I combattenti
vittoriosi del Piave, i combattenti vittoriosi della Marna lo sentono, lo sanno, con una ebbrezza che
moltiplica l’impeto. Ma, se l’impeto non bastasse, basterebbe il numero; e questo è detto per coloro
che usano combattere dieci contro uno. L’Atlantico è una via che già si chiude; ed è una via eroica,
come dimostrano i nuovissimi inseguitori che hanno colorato l’Ourcq di sangue tedesco. Sul vento di
vittoria che si leva dai fiumi della libertà, non siamo venuti se non per la gioia dell’arditezza, non
siamo venuti se non per la prova di quel che potremmo osare e fare quando vorremo, nell’ora che
sceglieremo. Il rombo della giovane ala italiana non somiglia a quello del bronzo funebre, nel cielo
mattutino. Tuttavia la lieta audacia sospende fra Santo Stefano e il Graben una sentenza non
revocabile, o Viennesi. Viva l’Italia!”
Il volantino con il testo di Ojetti
Gli altri 350.000 – più sintetici e tradotti in tedesco – riportavano un incitamento di Ugo Ojetti sullo
sfondo di una bandiera tricolore: “VIENNESI! Imparate a conoscere gli italiani. Noi voliamo su
Vienna, potremmo lanciare bombe a tonnellate. Non vi lanciamo che un saluto a tre colori: i tre
colori della libertà. Noi italiani non facciamo la guerra ai bambini, ai vecchi, alle donne. Noi
facciamo la guerra al vostro governo nemico delle libertà nazionali, al vostro cieco testardo crudele
governo che non sa darvi né pace né pane, e vi nutre d’odio e d’illusioni. VIENNESI! Voi avete fama
di essere intelligenti. Ma perché vi siete messi l’uniforme prussiana? Ormai, lo vedete, tutto il mondo
s’è volto contro di voi. Volete continuare la guerra? Continuatela, è il vostro suicidio. Che sperate?
La vittoria decisiva promessavi dai generali prussiani? La loro vittoria decisiva è come il pane
dell’Ucraina: si muore aspettandola. POPOLO DI VIENNA, pensa ai tuoi casi. Svegliati! VIVA LA
LIBERTÀ! VIVA L’ITALIA! VIVA L’INTESA!” Il riferimento all’Ucraina suona squillante anche nel
2014! Il disegno di Rubino – quasi un’anticipazione delle “panoramiche” che avrebbero reso celebre
Jacovitti (v. il nostro intervento su Lisca di Pesce) – inquadra il centro storico di una Vienna scossa
da una pioggia di carta colorata. Ci sono fiaschi dappertutto, ma non hanno a che fare col Chianti o
altri vini italiani, essendo quelli delle recenti offensive austro-ungariche; la statua di Francesco
Giuseppe scappa via dal suo basamento; una forca con tanto di impiccato non ancora morto viene
portata via in tutta fretta dal boia; un ristorante ha solo topi morti nel suo menù; una latteria vende a
caro prezzo solo latte delle balie; al Caffè Concerto la musica viene eseguita dalle donne, essendo gli
uomini o al fronte o deceduti; in ogni dove cavalli imbizzarriti, cani e gatti spelacchiati – tutti
magrissimi per la penuria di cibarie; uomini con “donnine allegre” si affacciano a più di una finestra;
e persino Carlo I e Zita assistono sbigottiti allo smacco.
Rubino. doppia pagina centrale del n. 16
Pag. 6 – Con La pace russa nell’intimità (testi di Simoni e disegni non attribuiti, ma probabilmente di
Mazzoni) “La Tradotta” entra nel vivo della sua anima antibolscevica. E’ un illuminante dialogo fra
Lenin e l’ambasciatore tedesco a Pietrogrado (la città dove iniziò la Rivoluzione Russa, con la presa
del Palazzo d’Inverno). Il riferimento è al Trattato di Brest-Litovsk del marzo 1918 e alla pace
separata firmata dalla Russia leninista con gli Imperi Centrali in cambio di vaste porzioni di
territorio precedentemente controllato dallo Zar (Polonia, Ucraina, Finlandia, Paesi Baltici, etc.); si
parla apertamente dell’appoggio dell’Intesa alla controrivoluzione e all’Armata Bianca (e dunque al
coinvolgimento occidentale, militare ed economico, nella Guerra Civile Russa che non sarebbe
terminata prima del 1923) e degli anglo-americani ad Arcangelo; si cita il conte Wilhelm von
Mirbach, l’ambasciatore tedesco che fu ucciso a Mosca nel luglio 1918 dai Socialisti Rivoluzionari di
Sinistra a Villa Berg (che sarebbe poi diventata l’Ambasciata d’Italia); è un Lenin impaurito, che
medita di cedere il posto di comando, e che addirittura sogna la minacciosa figura di Rasputin (1869
– 1916), il monaco folle, consigliere dei Romanov, ucciso in una congiura.
Pag. 7 – Gli americani e le loro spacconate sono protagonisti del racconto di Calza Bini (illustrato da
Brunelleschi): il fante italiano ascolta con scarso coinvolgimento i racconti che magnificano i
grattacieli di New York e la potenza bellico-economica d’Oltreoceano; all’Italiano, dell’Americano, fa
gola solo la promessa dell’invio in Europa di truppe sufficienti a sconfiggere gli Imperi Centrali.
Pag. 8 – Brunelleschi chiude il n. 16 con un’illustrazione a tutta pagina intitolata Crocerossine
americane e inglesi in linea durante la battaglia. Si celebra l’aiuto che le belle ausiliarie in divisa (“le
nuove coraggiose sorelle del fante” vengono definite nella didascalia) possono dare ai soldati feriti
durante gli scontri.
Numero 17 – 15 settembre 1918
Copertina (pag. 1) – Il Sacchetti apre il giornale con i Tedeschi in rotta sul fronte occidentale:
Sempre in cerca di nuove posizioni prestabilite è la beffarda didascalia dell’illustrazione, con
riferimenti ai bollettini germanici che tendevano ad attenuare la disastrosa situazione dell’Esercito
Imperiale. Il riferimento è in particolare alla seconda battaglia nel bacino della Somme, in Piccardia,
dove si fecero valere soprattutto i Canadesi, che ruppero le linee nemiche conquistando Mont
Saint-Quentin.
Pag. 2 – Il Sacchetti torna, nel suo “vignettone” di satira politica, a rimarcare l’importanza dell’
Intervento americano (e canadese) nelle fasi finali della Prima Guerra Mondiale: Guglielmo II e Carlo
I tremano quando appare l’ombra minacciosa del fante statunitense. Corriere giudiziario di Simoni
immagina invece una sorta di “processo di Norimberga” ante-litteram ai “dirigenti delle Nazioni
responsabili della guerra” (secondo le parole del presidente americano Wilson riportate in citazione).
Davanti alla corte sfilano così Guglielmo II con il figlio (il principe ereditario, o Kronprinz,Friedrich
Wilhelm Victor August Ernst von Preußen; 1882-1951), Carlo I e la moglie italiana Zita, il
feldmaresciallo Hindenburg, Ferdinando I Sassonia-Coburgo (zar di Bulgaria dal 1908, imparentato
con i Savoia e con i Borbone-Parma e alleato degli Imperi Centrali; 1861-1948) e, in contumacia
perché morto, Maometto V (Mehmet V detto Rashid Effendi, ovvero “il virtuoso”, sultano dell’Impero
Ottomano e califfo dell’islam dal 1909, alleato di Guglielmo II; 1884-1918).
Pag. 3 – Spassoso il poema Le nozze di Conrad di Simoni (con disegni di Rubino). Il riferimento è alle
seconde nozze del generale Conrad (vedovo dal 1904) avvenute nel 1915. Il matrimonio creò un
notevole scandalo in tutte le corti europee perché la nuova moglie, la triestina Gina Laura Antonia
Agujari (1879-1961), aveva lasciato il precedente marito, il re della birra Hans von Reininghaus,
dopo avergli dato ben sei figli. Il divorzio era avvenuto proprio su pressioni di Conrad, amante della
donna da anni! La focosità del militare era oggetto di sarcastiche dicerie negli ambienti militari e si
mormorava che fosse quella la vera ragione della sua perdita di lucidità nell’elaborare le strategie
belliche. Ecco dunque Simoni immaginare un decreto di Carlo I che istituisce un servizio di pompieri
destinati a innaffiare di acqua gelata i generali austriaci troppo ardenti a letto: un modo come un
altro per giungere alla vittoria! “No, generali di Carletto! Abbiate / moglie oppur siate vergini o
zitelli, / siano le vostri notti immacolate / o viviate da scimmie o da porcelli / siate infrolliti o siate
intelligenti / la vittoria non è pei vostri denti”, recitano però i versi… Antonio Rubino calca la mano
nelle sue decorazioni con puttini/ufficiali che si vedono negare il “puro giglio” delle bramate
angiolette.
Pagg. 4/5 – Nel più classico stile del “Corriere dei Piccoli” (didascalie in versi ottonari a rima
alternata), Antonio Rubino scrive e disegna il paginone doppio centrale a colori con Il fante in
licenza. Si tratta in realtà di una costruzione della “gabbia” molto particolare, a tavola unica, perché
la storiella si dipana non su sei strisce da due vignette ciascuna, ma su tre strisce composte ognuna
da quattro vignette (le prime due vignette nella prima pagina, le seconde due sulla seconda, le
vignette 5 e 6 sulla prima pagina, la 7 e la 8 sulla seconda, e così via). Anche se gode di un periodo
di riposo a casa, il militare Chisachì si comporta rudemente come se fosse ancora in trincea, al
fronte, dove si trova ormai più a suo agio che in paese: va a letto con gli scarponi, fuma in camera,
spacca i divani, mangia come un reggimento!
Rubino: pagina doppia centrale del n. 17
Pag. 6 – Ancora padrone Rubino con C’è pipa e pipa, c’è cicchetto e cicchetto, con i consigli del
caporal C. Piglio ai ragazzi del ’99, sul gergo militare e la vita di trincea.
Pag. 7 – Quinta pagina di fila disegnata da Rubino (su testo di Simoni) è quella intitolata La
Germania sul piede di guerra. A causa delle requisizioni di materiali e vestiario per le truppe i
Tedeschi sono rimasti senza scarpe e vanno in giro a piedi nudi, facendo ricchi i callisti!
Pag. 8 – La sconfitta tedesca in Francia, la “paginata” a colori di Mazzoni che chiude il giornale, è un
riassunto dei disastri bellici germanici sul fronte occidentale, tutti con nomi di fiumi francesi: la
Marna (bacino parigino, teatro di numerosi combattimenti), la Lawe (che bagna Béthune, cittadina
pesantemente bombardata nel 1918), la Scarpe (sul confine belga), l’Ancre (un affluente della
Somme in Piccardia, sede di scontri nel 1916), la Somme (protagonista di numerose e decisive
battaglie), l’Oise (luogo di scontri dal 1914 fino al 1918), la Vesle (un affluente dell’Aisne), la Ailette
(testimone di una battaglia nell’agosto del 1918) e l’Aisne (sede di tre battaglie nella Grande Guerra,
l’ultima delle quali decisiva per l’Intesa).
Numero 18 – 15 ottobre 1918
Copertina (pag. 1) – L’intensificarsi dei combattimenti in tutta Europa rallenta la periodicità della
“Tradotta”, tanto che il n. 18 esce a 30 giorni di distanza dal precedente. Un anno dopo è
l’illustrazione dedicata dal Sacchetti ai tentativi di pace separata di Carlo I del 1917, che lo fece
svilire agli occhi della Germania: adesso, passati 12 mesi, è lo stesso Guglielmo II a spingere
Carletto a fare la pace! Gli eventi stavano infatti precipitando su tutti i fronti per gli Imperi Centrali
e per i loro alleati: la sconfitta di Saint-Mihiel, il crollo del fronte ottomano in Palestina e del fronte
bulgaro in Macedonia e la successiva uscita della Bulgaria dal conflitto, la caduta di Amman, la
conquista di Damasco…
Pag. 2 – La ritirata tedesca era nei nostri piani: Sacchetti si riferisce al “vizio” dei bollettini ufficiali
germanici di illustrare le sconfitte come fossero azioni strategicamente pianificate. Il discorso della
Corona di Ferdinando di Bulgaria (testo di Simoni) si riferisce, con i toni della satira e della parodia,
all’abdicazione dello zar Ferdinand I in favore del figlio Boris III il 3 ottobre 1918, dopo la disfatta in
Grecia dell’esercito bulgaro; rivolgendosi ai deputati ammette di essere stato infinocchiato per tutti
gli anni della guerra da Guglielmo II che gli aveva fatto credere che l’Intesa sarebbe stata sconfitta
in un battibaleno.
Pag. 3 – Il discorso bulgaro continua con I consigli di Ferdinando a Carlo I (rime di Simoni e disegno
di Brunelleschi): l’ex zar di Bulgaria, dimissionario e firmatario dell’armistizio, consiglia
all’imperatore austro-ungarico di fare altrettanto, prima che sia troppo tardi.
Pagg. 4/5 – L’Ardito si diverte (doppio paginone centrale a colori) è uno dei capolavori di Antonio
Rubino come artista di “panoramiche” ed è oltretutto molto interessante dal punto di vista della
storia militare e del Fascismo. Come si evince chiaramente dal titolo della tavola, i protagonisti sono
gli Arditi (i reparti d’assalto costituiti ufficialmente nel 1917, che si erano fatti valere nella Battaglia
del Solstizio), che qui vediamo spassarsela nella sede del loro comando con ogni genere di
armamento. Tra le armi notiamo i pugnali per il corpo-a-corpo (spesso baionette del moschetto 91
oppure del vecchio Vetterli-Vitali o prede di guerra), le mitragliatrici FIAT-Revelli Mod. 1914 (erano
usate dagli Arditi anche le più leggere Villar Perosa FIAT Mod. 1915), i moschetti Carcano Mod. 91
(ma avevano in dotazione anche i nuovissimi moschetti automatici Beretta MAB 1918), le bombe a
mano SIPE 1915 (Società Italiana Prodotti Esplodenti) ed Excelsior-Thévenot P2 (dette Ballerina, per
il governale in tela che serviva a stabilizzarne il lancio e che ricopriva il manico come la gonna di
una danzatrice; bombe letali ma utilizzabili solo da mani esperte, visto l’alto rischio di esplosione
anticipata), i lanciafiamme portatili francesi Schilt a doppia bombola modificati (furono create
apposite sezioni autonome lanciafiamme fra gli Arditi, per un totale di 6000 uomini) e le pistole
lanciarazzo americane Very 1900 da 27 mm. Vediamo sventolare lo stendardo nero dei Corpi
d’Assalto (con lo stemma formato da un gladio romano con l’impugnatura a testa di sfinge, con sopra
inciso il motto sabaudo “Fert”, inghirlandato da un ramo d’alloro e da un ramo di quercia legati
all’impugnatura dal nodo dei Savoia). Gli uomini a bordo dell’autocarro FIAT 18 che parte per
l’azione inalberano due cartelli con scritte significative: “A noi!” e “Se non ci conoscete guardateci il
maglione”. Il primo motto, ideato dal maggiore Freguglia come incitamento del suo XXVII Reparto
d’Assalto nel febbraio 1918, fu ben presto adottato da tutti gli Arditi e passò successivamente
nell’uso comune dell’Era Fascista; il secondo motto fa riferimento al pratico maglione a collo alto
grigio-verde che l’Ardito indossava in battaglia sotto la giubba, simbolo di una tenuta più versatile,
immediata e pratica rispetto agli altri militari (anche in questo caso, diciamo pure per “via estetica”,
il riferimento al Fascismo è immediato). Gli Arditi si facevano notare così al fronte, rapidi come
fulmini: arrivavano con i loro autocarri e il loro equipaggiamento personale, leggero ma fatale in
mano loro, colpivano, distruggevano, annientavano e ripartivano – magari cantando Giovinezza! Un
collegamento analogo a quello Arditi/Fascismo può esser fatto in Germania, pensando agli uomini
dei reparti d’assalto (Stosstrupp) e al ruolo che ebbero (anche nei Freikorps) nella nascita del
Nazionalsocialismo.
Rubino. pagina doppia centrale del n. 18
Pag. 6 – Fraccaroli (testi) e Mazzoni (disegni) rendono ancora pubbliche Le lettere del soldato
Baldoria alla fidanzata Teresina: il fante sogna di poter esser promosso, un giorno, a caporale…
Pag. 7 – Cure ricostituenti tedesche (versi di Simoni e disegni di Rubino) ammicca divertito alla
depressione morale e fisica, dovuta alle sconfitte belliche e alla penuria di alimenti, che fiacca il
popolo tedesco. Le cure, imposte da Hindenburg per raddrizzare la schiena ai sudditi del Kaiser,
sono peggiori del male: bagni d’amido, dieta a base di calcestruzzo e molle giganti da infilare in gola!
Da notare, nella prima striscia di vignette, il Principe Ereditario Guglielmo presentarsi davanti al
padre indossando la divisa degli Ussari Prussiani (Reggimenti 1 e 2 di Cavalleria) con il classico
copricapo in pelo (lo shako) con la Testa-di-morto: la Totenkopf delle SS affonda le sue radici proprio
in questo emblema prussiano, dopo un primo utilizzo da parte dei Freikorps tedeschi (che
contribuirono a evitare una trasformazione in senso bolscevico della Germania).
Pag. 8 – Una gioia per gli occhi dal punto di vista grafico è Il sultano di Turchia di Brunelleschi (con
versi di Simoni). Maometto V, chiuso ormai da decenni nel suo palazzo di Istanbul (circondato da
leggiadre fanciulle ed eunuchi) legge dell’armistizio firmato da Ferdinando I di Bulgaria il 30
settembre e scopre di non potersi più fidare di Guglielmo II.
Segue adesso l’esame dei tre supplementi al n. 18, composti ciascuno da sole quattro pagine
stampate in bianco-e-nero (in bicromia nero-verde nelle ristampe in volume), usciti durante i giorni
di Vittorio Veneto e della vittoria finale dell’Italia. La grafica di testata cambia; rimane il fante in
groppa alla lumaca ma con la scritta “supplemento” al posto della dicitura “giornale settimanale
della 3a armata”.
1° supplemento al n. 18 – 3 novembre 1918
Copertina (pag. 1) – Brunelleschi, unicamente per questo primo supplemento, prende il posto di
Sacchetti come copertinista: Il fante si apre la strada fra Tedeschi e Austriaci si riferisce all’inizio
della decisiva Battaglia di Vittorio Veneto, quando le truppe dell’Intesa – Italia in testa – danno luogo
all’offensiva sul Monte Grappa e sul Piave. Nel periodo intercorso fra l’uscita del n. 18 e quella del
suo primo supplemento cede la Linea Hindenburg a Occidente, l’Impero Ottomano si arrende, nasce
uno stato balcanico indipendente dagli Imperi Centrali (embrione della Jugoslavia) e persino
l’Ungheria si stacca dall’Austria. Il Piave era stato attraversato il 29 e il 30 ottobre 1918, con la
successiva liberazione di Vittorio Veneto e la continua ritirata dell’esercito austriaco; del 31 ottobre
è l’impresa di Pola, quando i MAS italiani affondarono nell’omonimo porto istriano la corazzata
austriaca Viribus Unitis; il 1° novembre iniziarono le trattative di pace fra i contendenti a Villa Giusti;
l’armistizio fu firmato due giorni dopo (massime cariche von Webenau e Badoglio), quando gli
Italiani entrarono a Trento, ma i combattimenti durarono fino al 4 novembre 1918 alle ore 15:00
(liberazione di Trieste e ritorno all’Italia delle terre redente); ben noto il proclama di Diaz.
Pag. 2 – Calza Bini (testo in romanesco) e Mazzoni (disegno) firmano Parla Pallotta, con i consigli di
un aiutante di battaglia ai suoi commilitoni: cosa fare con le popolazioni italiane liberate (sventolare
il Tricolore, prestare i primi soccorsi, donare generi di conforto ai locali… Con La corona
austro-ungarica in ribasso Antonio Rubino dimostra in quattro vignette (una per ogni anno di guerra
per l’Italia) come la potenza di Carlo I si sia via via ridotta.
Pag. 3 – Simoni (rime) e Mazzoni (disegni) raccontano con Il fante si lavora l’Austria la gioia del
soldato vittorioso, ma anche la sua rabbia, nel vedere com’erano ridotti i prigionieri di guerra e le
popolazioni italiche assoggettate all’Impero. Le mutande dell’Austria è una colonna scritta da Simoni
con illustrazione di Rubino: l’Austria, ormai vecchia e avvizzita, si risveglia nel suo letto sconfitta,
assistita nella vestizione da Heinrich Lammasch (1853 – 1920), l’ultimo Presidente del Consiglio
dell’Impero austro-ungarico.
Pag. 4 – La pena del taglione, pagina finale di Rubino, è la vendetta del fante italiano contro
l’omologo austriaco: gli si rinfacciano i furti, i vandalismi e gli stupri – rendendogli pan per focaccia!
Si pone l’accento sulla distruzione e sulla requisizione del metallo delle campane (come successe a
Monteaperta, a Udine e altrove).
Rubino: ultima pagina del primo supplemento al n. 18
2° supplemento al n. 18 – 7 novembre 1918
Copertina (pag. 1) – Torna Sacchetti all’illustrazione di apertura con Il fante in ginocchio per la
prima volta, perché bacia la terra redenta. L’ovvio riferimento allo sfondamento della linea del Piave
e all’ingresso in Trieste è superfluo approfondire. Il 4 novembre l’Italia era uscita dalla guerra, ma la
guerra continuava: la seconda battaglia della Sambre fu il momento di svolta sul fronte occidentale.
Pag. 2 – In Vittoria su tutta la linea Rubino mette in bocca al suo caporal C. Piglio le considerazioni
su una guerra che è finita ma che al tempo stesso non è finita, finché non si arrenderà la Germania.
Con i versi di Simoni e i disegni di Mazzoni ecco poi la Storiella, che narra come un furiere non
riesca a tenere il conto degli innumerevoli prigionieri nemici (furono centinaia di migliaia e furono
deportati in tutta Italia, all’Asinara, a Cosenza, etc.).
Pag. 3 – Viva il soldato! (versi di Simoni e disegni di Brunelleschi) è un altro inno alla vittoria,
beffardo nei confronti dell’Austria le cui bandiere sono ormai nel fango. Terribile e rabbiosa la
retorica novella L’angelo e il bambino (ancora Simoni e Brunelleschi): una creatura del cielo porta in
Paradiso l’anima dell’ultimo bambino morto prima della liberazione del Friuli, ma il bimbo vuol dare
un ultimo sguardo al teatro della vittoria. Prima viene colpito dal fetore lasciato dai soldati austriaci,
poi dal puzzo dei cavalli putrefatti, indi dal lezzo di altra materia in decomposizione. Ma il tanfo che
fa scappar via persino l’angelo è quello dello spirito marcio di un soldato ungherese!
Rubino: ultima pagina del secondo supplemento del n. 18
Pag. 4 – Antonio Rubino, con il “fumetto” La guerra vista dal fronte interno, ripesca Apollo Mari, la
figura del borghese rimasto in città creata mesi prima. Anche lui ora è contento per i successi
dell’esercito Italiano: l’attraversamento del Piave e del Tagliamento (fine ottobre), Conegliano (29
ottobre), Belluno (1° novembre), Trento (3 novembre) e Trieste (4 novembre). Non gli resta che
accendere un cero votivo all’immaginetta di San Fante!
3° supplemento al n. 18 – 10 novembre 1918
Copertina (pag. 1) – Sacchetti illustra anche l’apertura dell’ultimo supplemento della “Tradotta” (
Dalla sua statua a Trento…), immaginando un Dante di bronzo che stringe la mano al fante italiano
liberatore. Si tratta del monumento realizzato dallo scultore fiorentino Cesare Zocchi e inaugurato
nel 1896, per sottolineare la pacifica convivenza nell’allora Tirolo Italiano di comunità di stirpe
diversa. Fuori dalle intenzioni delle autorità austriache il monumento divenne però da subito simbolo
di irredentismo.
Pag. 2 – Nella Lettera del Caporal C. Piglio alla moglie, Rubino ci parla delle strane sensazioni
provate dai militari al fronte quando, dopo l’armistizio, erano già tre giorni che non sentivano bombe
o colpi di artiglieria. Spassosa la colonna “a fumetti” di Mazzoni con versi di Simoni. All’Albergo
della Malora giungono uno dopo l’altro, per stringersi in un unico, lurido letto (attrezzato con tanto
di pitale sotto al pagliericcio), gli sconfitti della Grande Guerra – nell’ordine in cui si erano sfilati dai
combattimenti. Per primo si sdraia “il Coburgo” (ovvero Ferdinando I Zar di Bulgaria), arriva poi “il
Turco” (cioè Maometto V Sultano di Turchia Califfo dell’Islam), il terzo è Carlo I d’Austria e infine il
quarto si presenta sulla soglia della stamberga, ancora in piedi, Guglielmo II di Germania (che
avrebbe firmato la resa l’11 novembre).
Rubino e Mazzoni: pag. 2 del terzo supplemento al n. 18
Pag. 3 – Il discorso sul Kaiser che ancora resiste continua con Lui (versi di Simoni e disegni di
Rubino), ultimo rappresentante ancora combattente delle nazioni che si opposero all’Intesa. Il
generalissimo (testo di Simoni per i disegni del Brunelleschi) riflette invece con arguzia su Carlo I
che nomina comandante delle forze armate austriache – a guerra finita e con un esercito
praticamente annientato – Hermann Kövess von Kövesshaza (1854 – 1924), generale operativo
nell’area dei Balcani.
Pag. 4 – Chiude la serie dei supplementi un paginone di Sacchetti con l’aquila bicipite degli Asburgo
imperatori d’Austria impiccata – con una forca per ognuna delle sue due teste. E’ la pena del
contrappasso, con il patibolo usato per giustiziare gli irredentisti come Cesare Battisti.
Numero 19 – 11 novembre 1918
Copertina (pag. 1) – Dopo quasi un mese dal numero precedente torna la versione completa della
“Tradotta”. Con la sua illustrazione (Non solo non mi riconosco più io) Sacchetti sottolinea il fatto
clamoroso dell’abdicazione di Guglielmo II, avvenuta il 9 novembre (sulla spinta di rivolte e
sommosse di matrice socialista/comunista in Germania) e il suo esilio in Belgio. Nasce in quel
momento a Berlino un’incerta Repubblica, prodromo della Repubblica di Weimar del 1919. La
Germania si arrende formalmente due giorni dopo, con l’armistizio di Compiègne.
Pag. 2 – Con la vignetta L’onorata società si scioglie il Sacchetti paragona l’alleanza fra Germania,
Austria-Ungheria, Bulgaria e Turchia a un’associazione di stampo mafioso! Guglielmo e Carlo –
ormai abdicati e sconfitti – si scambiano i saluti telefonici: L’ultima comunicazione fra i due
Imperatori (testo di Simoni e disegni non attribuiti ma forse di Brunelleschi).
Pag. 3 – Uno dei rari momenti di retorica senza umorismo del settimanale “La Tradotta”è il
componimento poetico Il Re di Simoni (con disegno di Mazzoni). E’ un’ode un po’ stucchevole, molto
probabilmente richiesta e dovuta, al sovrano Vittorio Emanuele III di Savoia e al giovanissimo
principe Umberto, appena quattordicenne. Al Re viene dedicata la Vittoria.
Rubino: pagina doppia centrale del n. 19
Pagg. 4/5 – Il doppio paginone centrale a colori viene riservato da Antonio Rubino alla Ripercussione
delle batoste in Germania. Con la neonata repubblica, con tutti i socialisti e i comunisti che
scalpitano per prendere il potere, con l’idea di indire ibere votazioni a suffragio universale, con tutti
i mea culpa che alti si levano dai cuori tedeschi per le vittime da loro procurate nella Grande
Guerra… ormai “Berlino è diventata umanitaria e democratica”! Ecco dunque la gente che piange
(con i gas lacrimogeni) alla rievocazione dell’affondamento del Lusitania (colpito da un U20 tedesco
nel 1915), sventola la bandiera rossa, il Principe Ereditario che (nella sua divisa da Ussaro
Testa-di-morto) brinda con il sangue alla Osteria del Popolo, un coccodrillo piange calde lacrime da
vendersi a 1 marco e 25 al litro…
Pag. 6 – Prosegue Rubino con Il sogno del caporal C. Piglio. Nonostante la dichiarazione di pace è
sempre meglio per il fante stare all’erta, come se si fosse ancora in guerra.
Pag. 7 – Il concetto viene ribadito da Simoni (con disegno di Mazzoni) nel testo La resistenza
austriaca: nonostante l’ordine di ritirarsi qualcuno continua a sparare; ecco il perché del vignettone
di Rubino intitolato L’ultima corvé, nel quale vediamo i fanti italiani, giganteschi e armati di ramazze,
spazzare via gli ultimi fastidiosi insetti nemici.
Pag. 8 – Brunelleschi chiude il fascicolo celebrando la bellezza delle ragazze alleate di Italia, Francia,
America e Inghilterra – ritratte in divisa o nei costumi tradizionali in Viva l’Intesa!
Numero 20 – 30 novembre 1918
Copertina (pag. 1) – Sacchetti utilizza l’illustrazione di apertura del fascicolo (Chi cresce e chi cala)
per sottolineare il fatto delle cessioni territoriali dell’Austria all’Italia: oltre alle “terre redente” del
Friuli, dell’Istria e così via… finì sotto il tricolore anche l’Alto Adige, zona a maggioranza tedesca. In
questo periodo Austria e Ungheria (com’era capitato alla Germania) diventano repubbliche; la
Cecoslovacchia proclama la sua indipendenza; i Tedeschi terminano l’evacuazione dal Belgio e dal
Lussemburgo. Da notare che questo n. 20, la prima uscita regolare dopo Vittorio Veneto, ha
un’occasionale e speciale foliazione maggiorata – da 8 pagine a 12 (anche se le quattro in più sono
riservate a illustrazioni “propagandistiche” a tutta pagina).
Pag. 2 – Desolante il “vignettone” sacchettiano di pag. 2 – Soli! – con Carlo I e Guglielmo II sperduti
in una sorta di deserto, senza più cariche né alleati… Parla poi di nuovo il soldato “de Roma” Pallotta
in L’epoca migliore (tramite Calza Bini) e fa riferimento addirittura al 2015, cent’anni dopo l’entrata
in guerra dell’Italia a fianco dell’Intesa, quando sembrava che gli Imperi Centrali volessero
mangiarsi il mondo. I commilitoni sognano l’era dei Paladini o quella di Noè o quella di Nerone – ma
Pallotta dice che gli anni del presente vittorioso sono i più belli!
Pag. 3 – No e sì di Simoni (versi) e Sacchetti (disegno), naviga sull’onda della citazione dantesca, per
cui “l’Italia è detta il bel paese dove suona il Sì” (il verso esatto del XXXIII canto dell’Inferno, nella
celebre invettiva del Divin Poeta contro Pisa, recita “del bel paese la dove ‘l sì suona”); l’espressione
di “bel paese” o Belpaese come antonomasia dell’Italia ebbe subito una grandissima fortuna e fu
usata da mille altri autori, a partire dal Petrarca. L’Italia, secondo la tripartizione dantesca delle
parlate romanze, è infatti il paese della “lingua del sì” (dall’abbreviazione dell’espressione latina sic
est), contrapposto ai paesi della “lingua d’oil” (dal progenitore dell’oui nella parlata della Francia del
nord che avrebbe dato origine al francese moderno) e della “lingua d’oc” (dal “sì” della parlata
occitana della Francia del Sud). In questo caso gli Italiani invece di “sì” dicono “no”… all’Austria!
Pag. 4 – Con superbo scherno Simoni (versi) e Sacchetti (disegni) mettono a confronto nella striscia
Contro l’Italia i risultati di Conrad e quelli del vittorioso Armando Diaz; da notare come il Capo di
Stato Maggiore dell’esercito italiano venga citato pochissime volte, e di sfuggita, negli albi della
“Tradotta”, così come non vengono quasi mai citate le altre alte cariche militari e politiche d’Italia.
Si trattava di una mossa editoriale voluta e ben studiata: il protagonista del settimanale era e doveva
rimanere il semplice fante, l’anonimo e vero artefice della Vittoria del 4 novembre, non il nobile. La
partita a tre sette, immaginata da Simoni, si svolge in un ideale ospizio per vecchi capi di stato
sconfitti; al tavolo siedono Guglielmo II ex Kaiser di Germania, Ferdinando I ex Zar di Bulgaria e
Costantino I ex Re di Grecia (1868 – 1923); quest’ultimo, cognato di Guglielmo II e con evidenti
simpatie per gli Imperi Centrali, mantenne Atene neutrale, ma su pressione francese e inglese fu
costretto all’abdicazione e all’esilio con il primogenito, facendo salire al trono il figlio secondogenito;
fu dunque Alessandro I a portare la Grecia in guerra a fianco dell’Intesa nel 1917.
Pag. 5 – Il mare nostro di Brunelleschi è la prima illustrazione “riempitiva” a tutta pagina del
ventesimo fascicolo: armata di spada l’Italia finalmente si ricongiunge a nord con l’Adriatico
Pagg. 6/7 – Dopo la grande vittoria italiana è il paginone doppio centrale a colori di Rubino. Il tema è
quello dei rastrellamenti e delle retate di truppe austriache sbandate ma ancora presenti sui territori
riconquistati. I reparti di fanteria e di cavalleria del Regio Esercito le trattano come fossero branchi
di tonni, merluzzi, carpe e trote da pescare (un militare, al posto della baionetta, ha innestato sul
Moschetto 91 una fiocina a tridente)!
Pag. 8 – Strepitoso fumetto di Rubino (con versi di Simoni) dal grande impatto grafico. Cecco Beppe,
defunto tiranno – partendo appunto da Francesco Giuseppe – fa vedere come inutili siano stati i
tentativi dell’Austria di “germanizzare” l’Istria: l’anima italiana ribolle indomita sotto la facciata
tedesca, fin quando la penisola viene finalmente liberata con Vittorio Veneto. Per rendere
graficamente l’idea Rubino immagina un’Istria ridipinta dagli austriaci con i colori della bandiera
gialla e nera degli Asburgo; ma la vernice periodicamente si scrosta lasciando trasparire il Tricolore
sottostante, che torna a risplendere fulgido – con tanto di stemma sabaudo – il 4 novembre 1918.
Rubino: pag. 8 del n. 20
Pag. 9 – Con Le lettere del soldato Baldoria (testi di Fraccaroli e disegni di Mazzoni) gli autori
riassumono gli ultimi splendidi mesi vittoriosi: il Monte Grappa, il Piave, il Livenza, il Tagliamento,
l’Isonzo, Trieste…
Pagg. 10/11 – Due illustrazioni a tutta pagina abbinate e “riempitive” (sono la 2a e la 3a inserite in più
sul n. 20, di tono propagandistico) realizzate dal Sacchetti: L’austriacaccio diceva che l’Istria era
sua… ecco invece di chi è! Una donna istriana, personificazione dell’intera penisola, viene
strattonata da un volgare soldato austriaco, al quale si ribella, per infine abbracciare un fante
italiano.
Pag. 12 – Un’ultima grande illustrazione “riempitiva” e propagandistica chiude il giornale: Le
ragazze di Trieste. Raffinato omaggio di Brunelleschi alle giovani bellezze triestine finalmente
tornate in seno all’Italia. Sullo sfondo la cattedrale di San Giusto.
Numero 21 – 15 dicembre 1918
Copertina (pag. 1) – Tristissima illustrazione di apertura del Sacchetti con il fante che, Nelle terre
liberate, abbraccia un gruppetto di bambini ridotti a scheletri (a causa della penuria di rifornimenti
su tutto il territorio austro-ungarico ) e vestiti di stracci, sullo sfondo di catapecchie. In questo
periodo nasce la Jugoslavia e le truppe dell’Intesa occupano la Renania; l’ultimo militare tedesco si
arrende il 9 dicembre in Nuova Guinea (il tenente Hermann Detzner, soldato, esploratore, etnologo e
scrittore).
Pag. 2 – Sacchetti rievoca nel suo vignettone il terrore delle forche austriache, ora vuote, e del loro
manovratore, il boia di stato Josef Lang (1855 – 1925), carnefice di Cesare Battisti. Con Giammai! il
bravo Simoni rinfaccia a Carlo I il suo proposito di tenersi per sempre Trieste.
Pag. 3 – Solitamente “La Tradotta”, foglio destinato a giovani fanti scavezzacollo, canta la bellezza
delle giovani fanciulle… ma Le nostre donne di Simoni (poesia illustrata da Brunelleschi) si rivolge
all’universo femminile di ogni età e soprattutto alle madri in ansia per i figli al fronte.
Pagg. 4/5 – Uno dei più riusciti paginoni doppi centrali a colori del nostro Antonio Rubino (su rime
di Simoni, il poeta ufficiale del settimanale della 3a armata). Si tratta di Bello è l’amore. L’inizio è
davvero “da adulti” (relativamente al 1918!): una bambino non ancora nato sceglie di nascere in
Italia, il miglior Paese del Mondo; nella seconda vignetta i riferimenti sessuali e alla procreazione
sono più che evidenti, con pesci dalla lunga coda (gli spermatozoi), margherite (l’ovulo) e gigli (i
genitali femminili). Estremamente significativa (pensando soprattutto agli anni Venti) la settima
vignetta, che sembra quasi un manifesto politico per un “socialismo nazionale” fondato con il
contributo dei reduci: il fante in grigioverde – illuminato da un “sol dell’avvenire” che sovrasta
fabbriche, gru, incudini, mazze e ingranaggi – regge un martello nella mano destra e una spiga di
grano nella mano sinistra…
Rubino: doppia pagina centrale del n. 21
Pag. 6 – Con Il fante ubiquitario e campionario (testi e disegni di Rubino) il rustico caporal C. Piglio
spiega al ragazzo del ’99 – grazie a un’infinità di termini gergali militareschi – come comportarsi
nelle terre appena redente, dove occorre essere dappertutto contemporaneamente e farsi in quattro
per le popolazioni locali. Abbiamo mandato via il Kaiser! (autori non attribuiti, ma probabilmente
Simoni e Brunelleschi) allude all’esilio di Guglielmo II e alla nascita della Repubblica a Berlino il 9
novembre 1918, il cui primo Cancelliere fu Friedrich Ebert (1871 – 1925).
Pag. 7 – Termina Abbiamo mandato via il Kaiser! e appare Il buon fante di Rubino con versi di
Simoni. Agiografico nei confronti del militare di stanza nelle terre redente che cede via via tutto
quello che ha alle povere popolazioni un tempo sottomesse: la pipa, la cinquina (ovvero la paga del
soldato, che veniva assegnata ogni cinque giorni), il rancio e la gavetta, il telo per la tenda, il
mantello, il tascapane, la borraccia, l’elmetto, la vanga per scavare le trincee… Cede tutto eccetto il
fedele Moschetto 91 e la giberna con le munizioni!
Pag. 8 – Terminata la Grande Guerra i soldati iniziano a tornare a casa e vengono contesi da tutti: le
mamme, i padri, le fidanzate, le ragazze da maritare, le zitelle, gli animali domestici, le mogli, i figli,
gli amici, il parentado tutto! Sono Le nuove fatiche del fante (versi di Simoni e disegno di Mazzoni)
nell’illustrazione a tutta pagina di chiusura.
Numero 22 – 1° gennaio 1919
Copertina (pag. 1) – Nel Friuli e nell’Istria liberate, durante le festività natalizie, il fante italiane è
accolto con tutti gli onori nelle umili case: Il caro ospite delle sere invernali delle terre redente di
Sacchetti.
Pag. 2 – Natale in Olanda è il truculento vignettone del Sacchetti: Gesù Bambino appare a Guglielmo
II e ai suoi alleati con le mani mozze (il riferimento è ai casi di civili mutilati durante il primo periodo
bellico). Nella storiella morale di Simoni intitolata I ladri di Pisa vediamo l’Ungheria, l’Austria, la
Germania e il Tirolo bussare tutti alle porte dell’Italia per chiedere perdono; gli sconfitti si
rinfacciano però a vicenda le devastazioni del Veneto e l’Italia mette tutti alla porta. Il titolo fa
riferimento a un desueto proverbio toscano, “fare come i ladri di Pisa”, che andavano a rubare
insieme di notte nelle case e nelle botteghe e poi litigavano di giorno in Piazza dei Miracoli per
spartirsi il malloppo, attirando così l’attenzione della gente e facendosi arrestare.
Pag. 3 – Le classi vecchie se ne vanno (versi di Simoni e illustrazione di Mazzoni) è una lode
all’Invitta Terza Armata e al suo comandante, il Duca d’Aosta Emanuele Filiberto; è una lode alla
tradotta, il treno che portava i fanti al fronte e che aveva dato il nome al giornale; ora il treno riporta
i fanti a casa, nelle loro regioni d’origine, a riprendere il lavoro da civili. Nell’angolo in basso a
sinistra del suo disegno anche Mazzoni (come aveva fatto Rubino sul n. 21) ammicca a un
“socialismo nazionale” riunendo gli strumenti del contadino (la falce e la vanga) con quelli
dell’operaio (il martello e l’incudine).
Pagg. 4/5 – Il Calendario per l’anno 1919 è l’occasione per Antonio Rubino di rappresentare le
Quattro Stagioni viste dal fante in due versioni: in combattimento al fronte e durante il progressivo
ritorno alla vita civile. L’inverno a casa significa stare al caldo davanti al camino, gustandosi il
pranzo natalizio con la famiglia; al fronte significava rimanere in piedi a far la guardia sotto la
tormenta. La primavera a casa è la stagione dell’amore; al fronte era il momento di ricacciare il
nemico oltre il Piave (giugno 1918). Nei campi natii in estate viene falciato il grano; al fronte si
doveva indossare la fastidiosa maschera antigas anche sotto al Solleone! In Autunno al paese proprio
si vendemmia il vino, mentre al fronte veniva vendemmiato… il nemico.
Rubino: pagina doppia centrale del n. 22
Pag. 6 – Finalmente arriva Il congedo del Caporale Trincerini, nuovo personaggio di Simoni e
Mazzoni! Ma le fatiche sono appena iniziate: tutti lo fermano, lo strattonano, se lo trascinano dietro
per farsi raccontare le avventure degli anni al fronte. Mazzoni usa per i suoi disegni i “fumetti” veri
e propri, anche se il povero soldato conteso dai civili riesce solo a dire…. BUUUMMM!
Pag. 7 – Simoni (testi) e Brunelleschi (disegni) raccontano a modo loro La fioritura delle bandiere
italiane nelle terre redente. Tricolori creati sul momento, accostando teli e arredamenti di svariata
provenienza. Oppure riunendo in un insolito terzetto un signor Bianchi, un signor Rossi e un busto di
Verdi! Prima e… ora di Mazzoni spiega come i fanti, che avevano cacciato via gli austro-ungarici con
il canto delle mitragliatrici, provvedevano adesso a disinfettare il lezzo lasciato nel nemico con le più
svariate sostanze: il lysoform (con una composizione diversa dal moderno marchio di disinfettante)
era una combinazione di lysol (un disinfettante inventato in Germania nel 1899 per combattere il
colera, contenente acido fenico) e formaldeide (un potente battericida usato anche per le
imbalsamazioni); anche la creolina era un potente disinfettante battericida (composto
originariamente da soda caustica, catrame, sapone e acqua, e arricchito successivamente con acido
fenico). La calce viva, ovvero l’ossido di calcio, associata ad acqua genera calore e ha un forte potere
ustionante, corrosivo e disinfettante (veniva usata nelle stalle).
Pag. 8 – Suggestivo disegno finale a tutta pagina del Brunelleschi: Il 1919 al 1918. L’anno nuovo,
raffigurato come un piccolo bambino nudo, trattiene il vecchio 1918, supplicandolo di non andarsene,
perché ormai è“immortale”. E’ infatti l’anno della Vittoria.
Numero 23 – 1° febbraio 1919
Copertina (pag. 1) – L’italianità di Fiume: Sacchetti apre il fascicolo con un Tricolore piantato con
“robuste radici” sulla terra fiumana. Una questione annosa, ancora oggi per certi versi irrisolta,
essendo Fiume parte della Croazia con artificioso nome straniero. Il Trattato di Londra del 1915, pur
prevedendo in caso di vittoria dell’Intesa il ritorno all’Italia delle “terre irredente” di Trento e
Trieste, lasciava fuori Fiume (come “enclave” ungherese) e parte della Dalmazia. Ma la maggioranza
degli abitanti di Fiume era di lingua, cultura e sentimenti italiani, tanto che il 30 ottobre 1918
Antonio Grossich, presidente del Consiglio Nazionale Italiano, aveva proclamato autonomamente
l’annessione della città al Regno d’Italia; a metà novembre gli Arditi avevano ammainato sul Palazzo
del Governo la bandiera croata, che era stata issata circa un mese prima, alzando il Tricolore; il 20
novembre si era costituito a Fiume un governo dell’Intesa, con il Corpo di Occupazione Interalleato
guidato dal generale italiano Grazioli; il Regno di Jugoslavia di Alessandro I (proclamato il 1°
dicembre del 1918) rivendicava però Fiume come parte del proprio dominio. Circa un anno prima,
l’8 gennaio 1918, il Presidente americano Wilson, parlando al Senato degli Stati Uniti, aveva
pronunciato un discorso basato su 14 punti: in esso si introdusse per la prima volta il concetto per
cui le nuove frontiere statali che sarebbero nate in seguito alla fine della Grande Guerra (con
l’auspicata vittoria dell’Intesa), avrebbero dovuto riconoscere le identità nazionali; il nono punto
parlava in termini estremamente generici dei confini d’Italia, ma Wilson non considerava di
nazionalità italiana Fiume (e parte della Dalmazia): ecco dunque che il Patto di Londra del 1915, per
quanto atteneva le rivendicazioni di Roma, fu solo in parte rispettato. In realtà dietro gli sbandierati
ideali – di democrazia, pace, unità dei popoli e abolizioni doganali – evocati nei 14 punti si
nascondeva un abile progetto geopolitico: la nascita di stati meno forti – e “spezzettati” secondo
mille lingue, usi e costumi – nella vecchia Europa avrebbe garantito una duratura supremazia
globale economico/militare agli USA, come di fatto sarebbe avvenuto… Il 14 gennaio 1919, Gabriele
D’Annunzio (il poeta-eroe di Buccari e di Vienna che nei mesi e negli anni successivi sarà
protagonista dell’Impresa legionaria di Fiume e della Reggenza del Carnaro, argomento affascinante
ed epocale, ma che per forza di cosa rimane fuori da questa nostra piccola trattazione, visto che “La
Tradotta” cesserà di uscire il 1° luglio 1919) pubblica sulla “Gazzetta di Venezia” la Lettera ai
Dalmati (che sarà ripresa il giorno successivo da numerosi quotidiani nazionali) nella quale si
afferma che all’Italia deve andare tutta la Dalmazia, inclusa Fiume e il suo territorio. Si apre così la
questione della Vittoria Mutilata. Fra gli altri avvenimenti importanti – diretta conseguenza della
fine del conflitto – si registra soprattutto in questo periodo la Rivolta Spartachista a Berlino contro il
nuovo governo della neonata Repubblica di Weimar; il movimento di ispirazione
socialista/comunista/bolscevica – guidato fra gli altri da Rosa Luxemburg – fu schiacciato dal potere
centrale con l’aiuto essenziale dei Freikorps, i Corpi Franchi che si erano costituiti ufficialmente nel
dicembre 1918 arruolando fra le proprie fila i reduci della Grande Guerra; molti esponenti dei
Freikorps (seppur non la totalità) avrebbero avuto pochi anni dopo un grande ruolo nella nascita del
Nazionalsocialismo.
Sacchetti: copertina del n. 23
Pag. 2 – Anche la vignetta di Sacchetti (Per l’Italia compiuta porta di ferro, e ben vigilata), con il
fante a guardia delle nuove frontiere blindate, ritorna sulla questione dei confini, questione che sarà
l’indiscussa protagonista degli ultimi numeri della “Tradotta”. I fiumi di Simoni è una sorta di
appello ai quei corsi d’acqua che furono testimoni delle più celebri battaglie combattute dagli
Italiani, soprattutto nel 1918: l’Adige, il Brenta, il Tagliamento, l’Isonzo, il Piave, il Timavo…
dialogano fra loro ricordando le eroiche imprese.
Pag. 3 – I salutisti integralisti odierni inorridirebbero leggendo l’originalissimo componimento
poetico Il tabacco di Simoni (illustrato da Mazzoni)! E’ una sentita ode all’unico piccolo lusso e vizio
che il fante poteva permettersi al fronte, quello del fumo – fosse del Toscano, della pipa piena di
Virginia o della sigaretta. “Serbava, chi t’avea fumato ingordo, il puzzo tuo, non certo il tuo ricordo. /
Ma il soldato t’amò: tu non gli fosti / il superfluo, ma un avido bisogno: / nelle lunghe vigilie agli
avamposti, / nelle cupe trincee fosti il suo sogno, / e nelle brevi soste del bivacco / fosti il suo amore,
o ruvido tabacco”.
Pagg. 4/5 – Vera e propria tavola panoramica a fumetti (con tanto di “nuvolette” standard!) il
paginone doppio centrale a colori La famiglia del congedato di Mazzoni. Il fante è tornato alla vita
civile ma ha organizzato la sua vecchia cascina rurale come fosse una caserma, inquadrando tutti i
famigliari!
Mazzoni: pagina doppia centrale del n. 23
Pag. 6 – Le lettere del soldato Baldoria a Teresina (testi di Fraccaroli – che in questi giorni è anche
corrispondente per altre testate – e disegni di Mazzoni) arrivano ora da Trieste: si parla dei 14 punti
di Wilson e dei confini contesi…
Pag. 7 – Antonio Rubino mette in bocca al suo caporal C. Piglio 4 parole in croce. Il soldato ricorda
l’impegno al fronte e pregusta il ritorno alla vita civile, ma per ultima cosa porta all’attenzione di
tutti un macigno, un enorme blocco di marmo come quelli cavati a Carrara. Sul blocco c’è scritta a
pennello la parola “vittoria”. Da quel blocco – dice C. Piglio – dovrà venir fuori una bella statua, ben
definita (e non certo – sembra suggerire – mutilata).
Pag. 8 – La toilette dei colpevoli è la spassosissima tavola finale disegnata da Rubino su versi di
Simoni. Alla vigilia della Conferenza di Pace (che si sarebbe aperta a Parigi il 18 gennaio 1919) le
alte cariche dei Paesi usciti sconfitti dalla Prima Guerra Mondiale si ripuliscono dalle lordure e
tentano di rifarsi una verginità: il Principe Ereditario di Germania, nonostante Verdun, ha messo le
ali d’angioletto e regge un candido giglio; Guglielmo II tenta di lavar via tutto il sangue che gli copre
le mani; Ludendorff, il vincitore di Caporetto, si fa ritingere tutto di bianco immacolato, anche lui
con mano gigliata; Hindenburg si fa invece levare di dosso tutti i chiodi (che i Tedeschi mettevano
sul vecchio elmetto); l’ammiraglio Alfred Von Tirpitz (il capo della Marina Militare tedesca fino al
1916 che inaugurò la strategia della guerra oceanica con gli U-Boot) è costretto a rimangiarsi i suoi
sommergibili; Ferdinando I di Bulgaria si fa amputare il grosso naso da bugiardo dalla Turchia;
Conrad rade via tutto il pelo che ha sul cuore; Carlo I, anche lui con le mani lorde di sangue, chiede
il sapone, ma non ce n’è più perchéè stato tutto usato per far scorrere meglio le corde delle sue
forche!
Rubino: ultima pagina del n. 23
Numero 24 – 15 aprile 1914
Copertina (pag. 1) – All’avvicinarsi della cessazione delle pubblicazioni (in quanto stava per finire il
suo compito di intrattenimento e sollazzo per il soldato al fronte) “La Tradotta” dirada sempre più la
periodicità delle uscite. Nella seconda parte del 1918 era passata da settimanale a quindicinale, e
infine a mensile; adesso, fra il n. 23 e il n. 24, il penultimo della serie, intercorrono ben due mesi e
mezzo! La copertina del Sacchetti (Il soldato italiano al croato!) è dedicata alle rivendicazioni croate
(contro le popolazioni di lingua non italiana nella Venezia Giulia). Sotto il profilo storico siamo nel
vivo della Conferenza di Pace, che si era aperta a Parigi il 18 gennaio e che sarebbe andata avanti –
con andamento sincopato – fino al gennaio del 1920. L’Italia non riesce a far valere fino in fondo le
proprie ragioni, soprattutto per quanto riguarda le questioni fiumana e dalmata.
Pag. 2 – Clima di smobilitazione per il consueto “vignettone” di commento politico del Sacchetti:
Prima di tornare a casa… il fante si deve assicurare che l’Austria – morta e sepolta – non si rialzi mai
più! Storia di una vacca del Simoni è invece una riflessione – molto nascosta sulle righe – sul
comunismo, che pare applicare alla rovescia la massima di buon senso “meglio un uovo oggi che una
gallina domani”.
Pag. 3 – Croce Rossa è una lunga poesia di Simoni (con illustrazioni insolitamente “realistiche” di
Rubino, che per un attimo abbandona il suo usato “pupazzettismo”), concepita come tributo alle
Crocerossine che tanto aiutarono al fronte, e in particolar modo alla Duchessa d’Aosta: il riferimento
è a Elena d’Orléans (1871 – 1951), moglie del Duca Invitto Emanuele Filiberto, che durante la Prima
Guerra Mondiale fu Ispettrice Generale delle Infermerie Volontarie della Croce Rossa Italiana; la
CRI fu fondata a Milano nel 1864, un anno dopo la creazione della Croce Rossa Internazionale a
Ginevra.
Pagg. 4/5 – Si fanno sentire i primi, parziali effetti della Conferenza di Pace di Parigi, con Gli Italiani
a Vienna di Rubino: nel doppio paginone centrale a colori vediamo che l’Italia (nell’ambito della
Missione Militare) comincia a riprendersi in denaro e in merce (soprattutto opere d’arte) il maltolto
degli anni di conflitto. Viene addirittura riportato al di sotto delle Alpi un “quadro rubato nel 1866”…
ai tempi della Terza Guerra d’Indipendenza!
Pag. 6 – Con Calcinatura e cucinatura il Caporale C. Piglio di Rubino è tornato alla vita civile… ma
non riesce ancora ad adattarsi al 100%: quella che più gli manca, rispetto al fronte, è la disciplina! E’
tutto “abbacchiato” e per tirarsi su occorre ingessarlo con un bel po’ di “calcina” fatta di “calcare
del Carso, sabbia del basso Piave e calcestruzzo del Grappa”…
Pag. 7 – Le lettere del soldato Baldoria (testo di Fraccaroli e disegni di Mazzoni) non arrivano più dal
fronte o dalle terre redente ma addirittura da… Vienna! Baldoria è infatti ora addetto militare alla
Missione Italiana, all’Ambasciata, sita nel 1910 in Palazzo Metternich sul Ring, rimasta chiusa
durante gli anni del conflitto. E per la prima volta si ammette sulla “Tradotta” che la capitale
austriaca “è una città bella e architettonica”.
Pag. 8 – Antonio Rubino chiude il numero con una simpatica tavola a colori dedicata al Ricupero
materiale bellico. Il paletto da reticolato di filo spinato (del tipo “a coda di porco”, alcuni dei quali
sono ancora visibili nelle zone alpine, e che, nella sua versione più corta, una volta avvitato nel
terreno, serviva a ostacolare le cariche della fanteria nemica) diventa un palo da vigna; il cavallo di
Frisia (dal nome della città olandese dove fu utilizzato per la prima volta nel XVI secolo) si trasforma
in cavalletto per le botti di vino; i proiettili inesplosi in ghisa per i cannoni italiani da 120 mm
diventano paracarri; la maschera antigas inglese si ricicla in maschera da carnevale; i petardi con la
“gonnella” Excelsior-Thévenot P2 diventano le Ballerine di un teatro dei burattini, mentre le bombe
a frammentazione SIPE vengono riempite di confetti per Pasqua; i nastri da mitragliatrice si
trasformano in accessori di moda femminile; con i sacchi di sabbia delle trincee si costruiscono
alloggi popolari; le bombarde 58b (per i cannoni a tiro parabolico) diventano mandolini mentre le
lanciarazzo Very 1900 sparano fuochi d’artificio; il filo spinato, infine, serve a proteggere le aiuole!
Rubino: ultima pagina del n. 24
Numero 25 – 1° luglio 1919
Copertina (pag. 1) – L’ultimo numero della “Tradotta” esce due mesi e mezzo dopo il precedente,
cinque mesi dopo in n. 23 e 16 mesi dopo il primo numero del 23 marzo 1918. Ormai la guerra è
davvero finita: occorre costruire una pace giusta e il “Giornale settimanale della 3 a Armata” ha
cessato ormai il suo compito di sostegno morale al combattente! Il fante a Wilson di Sacchetti
riassume in un’unica illustrazione tutti i dubbi italiani sui 14 punti e sulla Conferenza di Pace di
Parigi che non stava rispettando il Patto di Londra del 1915 e non voleva riconoscere – proprio su
pressione americana – l’italianità di Fiume e della Dalmazia. Ad aprile Vittorio Emanuele Orlando
aveva chiesto di rispettare gli antichi “confini naturali” d’Italia del Monte Nevoso, compreso Fiume;
il 24 aprile 1919, dopo che Wilson aveva ribadito che Fiume doveva andare alla Jugoslavia, l’Italia
abbandona il tavolo di pace a Parigi; D’Annunzio comincia a preparare l’impresa fiumana con marce
e bandi di arruolamento legionario; il 7 maggio l’Italia torna a Parigi per discutere le questioni
irrisolte di Fiume e della Dalmazia; a fine maggio iniziano a Fiume pesanti disordini fra Italiani e
Francesi, quando un gruppo di soldati d’Oltralpe (della forza interalleata) aveva strappato dal petto
di donne fiumane la coccarda tricolore con scritto “Italia o morte”. Questa azione arrogante segna
l’inizio del precipitare degli eventi che porteranno nei 18 mesi successivi al Giuramento di Ronchi,
all’Impresa di Fiume, alla Reggenza del Carnaro e al ritorno definitivo della città all’Italia (settembre
1919 – dicembre 1920). Il Trattato di Versailles firmato il 20 giugno 1919 risulta estremamente
punitivo per la Germania: ingenti perdite territoriali ed enormi risarcimenti da pagare agli stati
vittoriosi (l’ultima tranche dei debiti della Prima Guerra Mondiale, di 70 milioni di euro, fu versata
dalla Germania nel 2010!). La Repubblica di Weimar entrò così in una spirale di stagnazione,
carestia e super-inflazione dalla quali uscì solo con il Nazionalsocialismo.
Sacchetti: copertina del n. 25, l’ultimo della collana
Pag. 2 – Ultimo vignettone di seconda pagina del Sacchetti, Il Croato, dedicato agli alleati degli
Austro-ungarici e alle loro mazze ferrate con le quali finivano i feriti. A Parigi (alla Conferenza di
Pace) il Croato rimane la belva che era nonostante indossi il frac. Più sotto, a firma della Redazione
(testo di Calza Bini), Un caldo appello in favore di un povero giovincello chiamato “Diritto di
autodecisione” (quello che oggi chiameremmo “diritto all’autodeterminazione dei popoli”); nato a
Fiume secondo i 14 punti di Wilson il ragazzo è in pericolo di vita a Parigi per colpa di Wilson stesso!
Pag. 3 – Lettera bolscevica (versi di Simoni per i disegni di Mazzoni) è un gustoso pezzo di satira
politica antisovietica dove si vede che l’aspirante bolscevico, sogna di diventar tale più che altro per
arraffare il più possibile e poi ritirarsi a comoda vita borghese! Numerosi i riferimenti alla Guerra
Civile Russa, che si combatté dal 1918 ai primi anni ’20 tra i rivoluzionari “rossi” e i
controrivoluzionari “bianchi” (appoggiati anche dalle potenze che furono dell’Intesa).
Pagg. 4/5 – Anche il paginone doppio di Antonio Rubino – ultimo della serie e strabiliante –è dedicato
alla Rivoluzione d’Ottobre: La Russia Bolscevica vista a volo d’uccello. All’interno del Cremlino pochi
agiati alti dirigenti del Soviet vivono alle spalle della popolazione ridotta alla fame (la situazione
durava fin dalla firma del Trattato di Brest-Litovsk); le scuole e le fabbriche sono chiuse; l’unico
genere alimentare in circolazione è la vodka con la quale si ubriacano le Guardie Rosse; le malattie e
la carestia imperversano nell’ex-granaio d’Europa; il terrore politico regna ovunque; la famiglia è
abolita; ricchi e poveri sono finalmente uguali… nella miseria più nera! La verve satirica di Rubino è
identica a quella che abbiamo visto proprio qui su EreticaMente quando ci siamo occupati di Hergé e
della sua storia “Tintin nel Paese dei Sovieti”.
Rubino: doppia pagina centrale del n. 25
Pag. 6 – Nere raccapriccianti atrocità compiute dagli Italiani nella Venezia Giulia (testo e disegni
dell’irredentista Riccardo Gigante, la cui firma mancava da molti numeri) si prende beffe delle
lamentele (anche a mezzo stampa sui quotidiani di Zagabria) delle popolazioni slave contro gli
Italiani nelle terre redente.
Pag. 7 – Ultimo appuntamento con il personaggio di soldato istruttore dei ragazzi del ’99 creato da
Antonio Rubino: Il testamento oleografo del caporal C. Piglio. La lista dei lasciti in caso di morte
(prevista non prima degli anni ’80) è lunga: Wilson eredita un fazzoletto col nodo per ricordarsi che
il 4 novembre l’Italia era fra le potenze vincitrici.
Mazzoni: pagina finale del n. 25 e dell’intera serie della “Tradotta”
Pag. 8 – La saga della “Tradotta” chiude definitivamente con una straordinaria illustrazione a tutta
pagina realizzata dal Mazzoni (con tanto di “fumetti” regolamentari): Gli artiglieri sono sempre in
gamba. Protagonista, una volta tanto, non è la fanteria, ma l’artiglieria e i suoi cannoni!
(fine)
Francesco G. Manetti