un problema di transizione

Quaderni acp 2014; 21(6): 265-266
L’epatite A nei Paesi in via di sviluppo:
un problema di transizione
Enrico Valletta, Martina Fornaro
UO di Pediatria, AUSL della Romagna, Forlì
È possibile, paradossalmente, che il
miglioramento delle condizioni igienicosanitarie nelle zone meno sviluppate del
Nord Africa e del Medio Oriente porti
nuovi problemi di salute per quelle popolazioni e che questo coinvolga, non marginalmente, anche noi europei al di là di
un Mediterraneo sempre più piccolo e
sempre più percorso da imponenti flussi
migratori. Uno sguardo a quanto sta
accadendo all’epidemiologia del virus
dell’epatite A (HAV) può servirci da
esempio.
Il grado di endemia dell’HAV in un territorio è strettamente correlato alla disponibilità di acqua e alle condizioni igienico-sanitarie della popolazione: maggiore
è il grado di povertà tanto più precocemente l’infezione sarà contratta nel corso
della prima infanzia [1-2]. La figura 1 ci
dice che all’età di 14 anni, in un’area a
elevata endemia (Africa sub-sahariana) il
100% dei bambini avrà già contratto l’infezione; in una zona a endemia intermedia (Nord Africa - Medio Oriente) il 70%
sarà sieropositivo mentre meno del 20%
dei bambini europei (bassa endemia)
sarà venuto a contatto con l’HAV alla
stessa età.
L’epatite A è una malattia a esito sostanzialmente benigno che non cronicizza
mai e che nei primi 5-6 anni di vita
decorre in maniera asintomatica (epatite
anitterica) in oltre il 90% dei casi con
una bassissima mortalità (0,1-0,3%). Al
contrario l’85-90% degli adulti infettati
sviluppa epatite e ittero con un decorso
variabile da 2-3 settimane a 6-12 mesi e
con un tasso di mortalità che cresce con
l’età fino a raggiungere il 2% oltre i 4050 anni. In una situazione di endemia
elevata/intermedia il principale serbatoio
di infezione è costituito dai bambini che
trasmettono l’HAV per via orofecale e
con i contatti interpersonali in situazioni
di scarsa igiene ambientale.
Con una popolazione già praticamente
del tutto immunizzata in età infantile, le
FIGURA
1: SIEROPREVALENZA PER HAV IN REGIONI A ENDEMIA ALTA (AFRICA SUBSAHARIANA), INTERMEDIA (NORD AFRICA - MEDIO ORIENTE) E BASSA (EUROPA OCCIDENTALE). MODIFICATA DA [1]
Africa sub-sahariana
Nord Africa - Medio Oriente
epidemie di epatite A sono molto rare e
scarso è l’impatto sulla popolazione
adulta, sia in termini sanitari che economici. Del tutto diversa è la realtà nei Paesi sviluppati, dove la gran parte dei soggetti adulti è ancora suscettibile all’infezione e dove si verificano ricorrenti focolai da contaminazione alimentare (molluschi crudi: Shangai 1988, Puglia/Campania 1996-97; frutti di bosco congelati:
Europa/Italia 2013), da viaggiatori provenienti da Paesi a elevata endemia (Europa, 2012-13) o in gruppi a rischio (disagiate condizioni sociali, tossicodipendenti, maschi omosessuali: Repubblica Ceca,
Lettonia, Slovacchia, 2008) [3-5].
Parallelamente al miglioramento delle
condizioni igienico-sanitarie nei Paesi in
via di sviluppo, anche l’epidemiologia
dell’HAV sta cambiando e si assiste a un
progressivo spostamento dell’età alla
quale viene contratta l’infezione, dall’infanzia all’adolescenza e all’età adulta. È
quanto si sta verificando nella regione
nordafricana e del Medio Oriente dove
Europa occidentale
l’impatto dell’epatite A, modesto fino a
che la malattia è rimasta confinata all’interno della prima infanzia, assume un
significato clinico ed economico ben
diverso nel momento in cui l’infezione
interessa fasce sempre più ampie della
popolazione adulta [6]. Il fenomeno, tuttavia, così come l’evoluzione igienicosanitaria, tende a svilupparsi a macchie
di leopardo e il contatto diretto tra popolazioni a differente grado di endemia e di
suscettibilità alla malattia porta all’emergere di focolai epidemici prima pressoché sconosciuti. In Arabia Saudita la percentuale di sieropositività nei bambini di
9-10 anni è scesa dal 68% nel 1989 all’11,4% nel 2005, in un’area (Palestina,
Turchia, Iraq, Siria) che permane a elevata diffusione dell’HAV con quote di
sieropositività nell’infanzia superiori al
90% [7]. Nel 2008 l’Arabia Saudita ha
così deciso di inserire nel proprio programma vaccinale anche la vaccinazione
per HAV per tutta la popolazione pediatrica [8].
Per corrispondenza:
Enrico Valletta
e-mail: [email protected]
internazionale
265
osservatorio internazionale
Quaderni acp 2014; 21(6)
CONVEGNO
INTERNAZIONALE
MULTIDISCIPLINARE
Nel frattempo l’Europa occidentale sta
vivendo l’altra faccia del problema:
regione a elevato sviluppo e a bassa
endemia per HAV, si confronta con una
crescente immigrazione proveniente da
Paesi a elevata diffusione del virus e con
i periodici viaggi che le prime e le seconde generazioni di immigrati effettuano
nei Paesi di origine. In Olanda, l’HAV ha
picchi di incidenza stagionali in relazione al ritorno di giovani turchi e marocchini che vanno in visita alle famiglie
nelle terre di provenienza, contraggono
l’HAV e al ritorno in Olanda trasmettono
l’infezione nelle comunità scolastiche e
successivamente agli adulti [9].
I più giovani che non avevano già avuto
contatto con l’HAV prima di emigrare e
ancor più le seconde generazioni nate e
cresciute in Europa divengono i vettori
principali di un’infezione che mette in
connessione aree distanti e a differente
grado di endemia. Per contrastare questo
fenomeno, dal 1998 diverse municipalità
olandesi hanno varato un programma di
vaccinazione per l’HAV rivolto ai giovani turchi e marocchini che hanno in programma un viaggio in patria [10].
In prospettiva non c’è dubbio che l’Italia
dovrà porre attenzione al problema e
alcuni dati relativi al Piemonte mostrano
già un elevato rischio di contrarre l’infezione per i bambini immigrati (soprattutto da Marocco, Egitto e Romania) che
trascorrono le vacanze estive nei Paesi di
origine e sviluppano la malattia, in
autunno, al loro ritorno in Italia [11]. In
Puglia, l’inserimento della vaccinazione
per HAV nel programma vaccinale, dopo
l’epidemia del 1996-97, ha consentito di
contrastare efficacemente la circolazione
del virus in una popolazione a rischio
intermedio per cause essenzialmente alimentari [12].
In sintesi, sembrano confermarsi le recenti raccomandazioni del World Health
Organization (WHO), che consigliano
un’estensiva vaccinazione per HAV nei
Paesi a endemia intermedia – o in via di
transizione da alta a intermedia – per
interrompere la circolazione del virus e
limitare il contagio in età adulta [13]. Nei
Paesi a elevata endemia la grande diffusione dell’infezione asintomatica nella
prima infanzia non giustifica una politica
vaccinale di massa, mentre nei Paesi a
266
bassa o bassissima circolazione dell’HAV la vaccinazione dovrebbe essere
attivamente offerta ai viaggiatori in zone
endemiche, come protezione individuale
e per limitare i focolai epidemici al loro
ritorno. u
Siamo grati a Rosario Cavallo per alcuni
utili suggerimenti bibliografici.
Bibliografia
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[2] Kamal SM, Mahmoud S, Hafez T, El-Fouly R.
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countries. Mediterr J Hematol Infect Dis 2010;
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virus in Saudi Arabia: a case for routine hepatitis A
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[13] WHO position paper on hepatitis A vaccines –
June 2012. Wkly Epidemiol Rec 2012;87(28/29):
261-76.
In occasione
del X “Convegno di Neuropsichiatria
Quotidiana per il Pediatra”
ACP, Centro Brazelton di Firenze,
ISIPSÉ, Associazione Natinsieme
Mi fido di te!
Valorizzare le competenze
del bambino, dell’adolescente
e dei genitori
Un tributo a T. Berry Brazelton
Roma, Auditorium Antonianum
13 e 14 marzo 2015
Il sostegno alla genitorialità passa
per il riconoscimento e la promozione, sia nei genitori che negli operatori, delle risorse, competenze e intenzionalità creative del bambino dalla
nascita fino all’adolescenza. Sostenere la fiducia in queste capacità è alla
base dell’approccio Brazelton che
dialogherà con la Psicologia dello
Sviluppo e con la Psicoanalisi Relazionale che in anni recenti hanno
contribuito al cambiamento di paradigma verso la prospettiva intersoggettiva.
Ciò ha permesso di sviluppare altri
approcci per il sostegno alla cogenitorialità, inclusa l’esperienza dell’uso
del videofeedback in un ambulatorio
del pediatra di famiglia.
L’evento è rivolto a tutti gli operatori
che lavorano con la famiglia: pediatri,
neonatologi, psicologi, psicoterapeuti,
neuropsichiatri infantili, riabilitatori,
infermieri, ostetriche, educatori.
Il Convegno vedrà la partecipazione
di esperti di fama internazionale –
Berry Brazelton, Joshua Sparrow, Kevin Nugent, Nadia Bruschweiler
Stern e Colwyn Trevarthen – che, oltre a presentarci i risultati delle recenti ricerche e il loro pensiero fortemente innovativo sulle interazioni precoci
e lo sviluppo neuropsichico nei primi
mesi di vita e nell’età dell’adolescenza, discuteranno tra loro e con i partecipanti, anche con casi clinici presentati da operatori di diversa professionalità in una cornice interdisciplinare.
Ci auguriamo che questa iniziativa
possa facilitare una reale e più fattiva collaborazione nell’assistenza al
bambino, all’adolescente e alla sua
famiglia, sia a livello ospedaliero che
territoriale, tramite percorsi formativi
comuni e lo scambio di esperienze
tra operatori di diversa professionalità, realizzando così l’obiettivo che
dieci anni fa il professor Panizon
aveva pensato per il Convegno di
NPI quotidiana per il pediatra.
Per informazioni e iscrizioni:
www.convegnobrazeltonroma.it