Scarica in PDF - Teatro Massimo

Johannes Brahms
(Amburgo 1833 – Vienna 1897)
Alt-Rhapsodie* op. 53 (12')
“Aber, abseits wer ist’s?”: Adagio
“Ach, wer heilet die Schmerzen”: Poco Andante
“Ist auf deinem Psalter”: Adagio
Das Schicksalslied* op. 54 (16')
“Ihr wandelt droben im Licht”: Langsam und sehnsuchtsvoll
(Lento e con espressione)
“Doch uns ist gegeben”: Allegro
Postludio: Adagio
*Testo e traduzione su www.teatromassimo.it
***
Wolfgang Amadeus Mozart
(Salisburgo 1756 – Vienna 1791)
Sinfonia in Do maggiore kv 551 “Jupiter” (40')
Allegro vivace
Andante cantabile
Minuetto: Allegretto
Molto allegro
Direttore Stefano Ranzani
Contralto Marianna Pizzolato
Orchestra e Coro del Teatro Massimo
Maestro del coro Piero Monti
Domenica 27 aprile 2014, ore 17:30
Di carattere autobiografico, la Rapsodia per contralto, coro maschile e orchestra,
fu composta da Johannes Brahms nel 1869 intonando un frammento della Harzreise im Winter (“Viaggio invernale nello Harz”) di Goethe e si articola in tre
strofe-sezioni senza soluzione di continuità: Adagio - Poco Andante - Adagio.
Infatti in quell’anno Brahms si era recato a Baden-Baden in visita all’amica Clara Schumann, che gli avrebbe annunciato l’imminente matrimonio tra la figlia
Julie e il conte Vittorio Radicati di Marmorito. Julie era la figlia più bella degli
Schumann e Johannes ne era segretamente innamorato nella speranza ora vana
di poterla avere in moglie. Maurizio Giani nel suo libro su Brahms (L’Epos 2011)
evidenzia due passaggi epistolari in cui il compositore, proverbialmente evasivo
e timido, si riferisce alla ragazza: nel primo la definisce «fanciulla cui davvero
non si può pensare senza provare un po’ di ardore romantico»; nel secondo dice:
«ci sono dei periodi in cui mi piacerebbe sempre sperare, e molto. Ora Julie è
cresciuta […] sai, sono tentato di cercare un appartamento non ammobiliato a
Vienna, e questo significa: prendere una decisione!». La struggente Rapsodia fu
quindi pronta una settimana dopo il matrimonio e la suocera mancata commentò così: «da molto tempo non ricordo di aver provato tanta commozione di fronte
a parole e musica così profondamente dolorose […] Questo brano mi sembra né
più né meno l’espressione del suo cuore angosciato».
Lo Schicksalslied (“Canto del destino”) per coro e orchestra, iniziato nel 1868 e
di lunga gestazione, è basato sull’omonima poesia di Friedrich Hölderlin e va
accomunato ad altre composizioni come la Rapsodia e il Requiem che approfondiscono il tema della separazione dalla felicità. Articolato in tre tempi (Adagio
- Allegro - Adagio, con introduzione e postludio strumentali), il brano inizia in
Mi bemolle maggiore e termina in Do maggiore, trattando la tonalità non solo
come strumento di coesione strutturale ma adoperando le modulazioni musicali
in funzione delle “modulazioni” espressive della poesia. La prima esecuzione
avvenne a Karlsruhe nell’ottobre del 1871 con la direzione di Hermann Levi;
pochi giorni dopo Brahms espose in una lettera all’amico Karl Reinthaler alcune
sue (nuovamente timide) considerazioni circa il ruolo della musica rispetto alla
poesia: «Il Canto del destino viene stampato e il coro tace nell’ultimo Adagio. È
davvero un’idea stupida ma non ci si può fare nulla. Ero arrivato al punto di
aggiungere qualcosa per il coro, ma proprio non va. Sarà un esperimento fallito, ma da un’appiccicatura del genere sarebbe venuta fuori un’assurdità». La
lettera più avanti contiene una presa di posizione nettissima «dico qualcosa che
il poeta non dice» che, in anni di dibattito intorno alla Zukunftsmusik (“Musica
dell’avvenire”) wagneriana suona (e fa “suonare” lo Schicksalslied) come una forte
affermazione in favore del primato della musica assoluta.
Completata domenica 10 agosto 1788, nella tranquilla residenza viennese in Alsengrund n. 135 “Zu den drei Sternen”, dove Wolfgang Amadeus Mozart si era
trasferito due mesi prima con la moglie, forte della sua nomina a compositore da
camera della corte imperiale, la Sinfonia in Do maggiore kv 551 “Jupiter” (titolo
apposto forse dall’impresario Johann Peter Salomon) appartiene a un nucleo
fittissimo di brani scritti tra giugno e settembre di quell’anno. La partitura si
apre con un grande Allegro vivace basato su tre nuclei tematici: il primo marziale, il secondo galante, il terzo da opera buffa (tratto dall’arietta “Un bacio
di mano” kv 541, scritta affinché fosse inserita nella rappresentazione viennese
delle Gelosie fortunate di Pasquale Anfossi). A questa eco teatrale si ricollega lo
sviluppo del movimento, di carattere spiccatamente contrappuntistico (tecnica
che verrà progressivamente portata in trionfo da questa Sinfonia). L’Andante
cantabile, il cui timbro si caratterizza per la momentanea assenza di trombe e
timpani, intona una melodia scorrevole ai violini. Il Minuetto, nuovamente con
trombe e timpani, riprende i ritmi marziali dell’inizio e fa da preludio al centro
gravitazionale di tutto il brano: il finale, in cui la forma sonata viene fatta dialogare con la scrittura fugata, in virtuosistico tributo al contrappunto di Bach
che il Salisburghese aveva avuto modo di approfondire frequentando i circoli
viennesi degli amanti e cultori della “musica antica” (dal barone van Swieten al
principe Liknovsky alle loro rispettive cerchie di amici e intenditori). Nel 1820,
quando Georg Wilhelm Friedrich Hegel tenne una lezione sulla musica, fece
un’affermazione legata a Mozart che è facilmente associabile alla scrittura della
Sinfonia “Jupiter”, specialmente alla sua orchestrazione degli archi e dei fiati:
«nelle sinfonie di Mozart, che fu un grande maestro anche nella strumentazione e nella intelligente varietà, chiara e viva, di questa, l’alternarsi degli strumenti particolari mi è spesso parso come una concertazione drammatica, una specie
di dialogo, in cui da una parte il carattere di un gruppo di strumenti si spinge
fino al punto in cui è indicato e preparato il carattere degli altri, mentre dall’altra l’uno dà all’altro replica oppure aggiunge ciò che non è concesso esprimere
adeguatamente al suono dello strumento precedente, cosicché da tutto ciò nasce
nel modo più incantevole un colloquio di assonanza e risuonanza, di inizio,
progressione e completamento» (Estetica, “L’armonia”, γγ).
Come ha rilevato Giorgio Pestelli (Canti del destino, Einaudi 2000), sia la
Rapsodia op. 53 e il Gesang der Parzen op. 89 da Goethe, sia lo Schicksalslied op.
54 da Hölderlin, sia la Nänie (“Nenia”) op. 82 da Schiller, hanno in comune
l’uso di un motto di quattro note chiamato “Tema Jupiter” (Do, Re, Fa, Mi,
note talora evidenti, talora nascoste) che evocano l’ultima sinfonia di Mozart
e “presiedono” anche alle scelte tonali delle quattro sinfonie di Brahms, scritte
infatti rispettivamente in Do minore, Re maggiore, Fa maggiore, Mi minore.