1 PETRA RESKI Nell’estate del 2007, poco prima del massacro di Duisburg, avevo deciso di non scrivere più sulla mafia. Stavo finendo un reportage su un poliziotto di Trapani che dava la caccia a Matteo Messina Denaro – un poliziotto che viveva sotto la protezione della polizia. E mi chiedevo che senso avesse, raccontare per l’ennesima volta la storia di un poliziotto che svolgeva il proprio lavoro sotto scorta, servendosi di una macchina blindata. Poiché già nel 1989, quando arrivai per la prima volta a Palermo come giornalista, avevo ugualmente scritto di un poliziotto protetto da due guardie del corpo, che viaggiavano con lui in una limousine blindata. Allora potevo ancora credere che questa sarebbe stata un’incresciosa eccezione. Dopo non più. Nel 1989 ero arrivata in Sicilia per raccontare la „Primavera di Palermo“. Era poco prima del crollo del muro, nel mondo c’era un‘atmosfera di rinnovamento, anche a Palermo si sentiva l’entusiasmo nell’aria e la convinzione che le fondamenta della mafia cominciassero a vacillare – un’atmosfera da cui mi lasciai subito contagiare. Anch’io, con i miei reportage, volevo contribuire alla sconfitta della mafia. I giornalisti si sopravvalutano volentieri. Da allora avevo mostrato la mafia dall’interno e dall’esterno, avevo scritto sugli eroi e sulle vittime, sui preti mafiosi, sui pentiti nei loro nascondigli, su madri e mogli mafiose, su politici mafiosi – e niente era cambiato. Al contrario. 2 La mafia stava sempre meglio. Era diventata di nuovo invisibile, nobile tra i nobili, piccolo-borghese tra i piccolo-borghesi, intellettuale tra gli intellettuali. E ad ogni reportage dovevo litigare con le redazioni tedesche, perché insistevano per inserire nei miei reportage sulla mafia invisibile foto di cadaveri che nuotavano nel sangue: nessuno leggerebbe un reportage sulla mafia se non ci sono i morti, si diceva. Quando proposi un reportage sul presidente della regione Sicilia Salvatore Cuffaro – che dopo ha dovuto andare in carcere per favoreggiamento della mafia – mi chiese un redattore: perché dovrebbe interessare noi in Germania che un presidente della regione Sicilia collabora con la mafia? È normale, laggiù! Cercai di far capire al redattore che Cuffaro riguarda molto noi tedeschi perché Cuffaro è colui che deve rendere conto al Parlamento europeo sull’utilizzazione dei contributi europei – soldi che sono finiti direttamente nelle tasche della mafia. Dissi al redattore anche che la cosidetta „Agenda 2000“, quel programma di sostegno europeo che doveva servire per „la rimozione delle disuguaglianze tra le regioni“ aveva arricchito prima di tutto la mafia. Ma i redattori sbadigliavano. E mi dicevano infine: accettiamo il reportage sulla mafia solo a condizione che tu la prossima volta scrivi un pezzo sulla Toscana. Il loro atteggiamento cambiò in seguito alla strage di Duisburg. Tutte le redazioni mi chiamavano e volevano sapere come si scrive e si pronuncia correttamente la parola “ndrangheta”, e in che cosa la ndrangheta sia diversa dalla Camorra e da Cosa nostra. All’improvviso i tedeschi avevano scoperto di 3 avere la mafia davanti alla porta di casa. A questo momento storico si deve anche il fatto che il mio libro sulla mafia sia stato pubblicato, fino a quel momento tutti i libri sulla mafia erano considerati fondi di magazzino. Increduli i tedeschi si sono resi conto di ciò che i magistrati italiani avevano annunciato già da decenni: che la mafia si trova bene in Germania già dagli anni Sessanta, quando è arrivata al seguito degli immigrati stabilendosi dapprima in territori ad alta concentrazione industriale, nel NordrheinWestfalen, nel Baden-Württemberg e in Baviera. I morti di Duisburg non erano un increscioso caso singolo, ma piuttosto la punta di un iceberg. Anche perché le leggi tedesche sono per la mafia un invito a nozze: l’associazione mafiosa in Germania non è un crimine perseguibile, c’è solo il paragrafo „associazione criminale di tipo mafioso“, che non viene quasi mai applicato e che non corrisponde al 416 bis del codice italiano. Il riciclaggio di denaro sporco è in Germania un gioco per bambini. Mentre in Italia chi investe deve dimostrare che i soldi investiti provengono da fonti pulite, in Germania è l’inquirente che deve dimostrare che i soldi sono di provenienza mafiosa. Intercettare mafiosi è in Germania praticamente impossibile, perché è vietato realizzare intercettazioni in appartamenti privati e in locali pubblici. Se un magistrato dovesse insistere nel voler mettere sotto controllo il telefono di un presunto mafioso, si mette in moto un procedimento kafkiano. In Baviera decide la Staatsschutzkammer, una camera consultiva composta da tre giudici, se debba 4 essere concessa un’autorizzazione ad intercettare oppure no. Ormai nessun magistrato tedesco compie più il tentativo di chiedere un’autorizzazione in tal senso. Per quanto riguarda la confisca di beni mafiosi in Germania, questi possono essere confiscati soltanto se la condanna del proprietario dei beni per associazione mafiosa è passata in giudicato. Ora, spesso i mafiosi vivono da decenni del tutto indisturbati in Germania, dove l’associazione mafiosa non è reato. Non ci sono condanne italiane contro di loro, e se ci sono non per associazione mafiosa. In Germania i mafiosi sono considerati imprenditori di successo, che forse si sono resi colpevoli al massimo di delitti cavallereschi: possesso di droghe, evasione fiscale o eccesso di velocità, forse. Quando parlavo in Germania di queste lacune legislative, percepivo lo stupore dei tedeschi. Avevano sempre considerato la mafia un problema italiano. Erano sempre stati rassicurati che la Germania fosse al massimo un rifugio per la mafia – che non per caso suona come se i mafiosi trascorressero le vacanze estive in Germania. Increduli i tedeschi si sono accorti che nel frattempo la mafia si è diffusa in tutta la Germania, nelle grandi città come Stoccarda, Berlino, Francoforte e Monaco, nelle città universitarie come Münster ed Erlangen, nelle piccole città idilliache del Lago di Costanza, nell’Allgäu e dalla metà degli anni Novanta anche all’Est: l’isola del mar Baltico, Rügen, appartiene alla Sacra Corona Unita pugliese; ad Erfurt, Lipsia, Eisenach, Weimar, Dresda domina la ndrangheta calabrese. Ben duecento affiliati dei clan 5 di San Luca, il luogo di provenienza degli assassini e delle vittime di Duisburg, sono ufficialmente residenti in Germania. Punti di appoggio di questi clan sono secondo il rapporto della polizia federale tedesca Duisburg, Erfurt e Lipsia. E ben 300 ristoranti in Germania sono controllati dalla ndrangheta: luoghi ideali per riciclare il denaro sporco, per il traffico di droghe e per instaurare rapporti di affari. Per la camorra c’è il clan Licciardi, delle cui esperienze tedesche – con punti di appoggio da Hof in Bavaria fino a Düsseldorf, via Francoforte, hanno imparato numerosi altri clan della camorra. E i clan di Cosa nostra operano a Colonia e Mannheim, ad Amburgo e Wuppertal – fino allo Erzgebirge, dove animano le attività alberghiere. Cosa Nostra porta in Germania anche la sua esperienza nell’edilizia: manipola gli appalti, realizza subappalti, senza pagare contributi sociali e tasse, questa è una specialità dei siciliani. La Sacra Corona Unita è arrivata ultima, ma non in ritardo: Non c’è nessuna concorrenza tra le singole organizzazioni mafiose. La torta tedesca basta per tutti. E quando citavo il rapporto del BKA sulla ndrangheta in Germania, in cui si trattava di traffico delle armi, omicidi e riciclaggio, traffico di droga, smaltimento di rifiuti tossici ed estorsioni, di alberi genealogici di intere famiglie mafiose, capiclan e scagnozzi – fino alle mogli tedesche, agli avvocati tedeschi, ai commercialisti tedeschi, ai direttori di banche tedeschi e ai politici tedeschi - allora i tedeschi erano sbalorditi. Momentaneamente. Fino a quando, 6 pochi mesi dopo il massacro di Duisburg, non si è affermata la convinzione, che in fin dei conti si è trattato solo di un omicidio tra italiani. La mafia in Germania aveva fatto di tutto, per riportare i tedeschi nel lungo sonno in cui hanno trascorso gli ultimi anni. Sì, dicevano i mafiosi: la mafia esiste. Ma non in Germania. Però soltanto in villaggi italiani sottosviluppati. Sapevano, che questa convinzione era condivisa dai tedeschi. Non per caso è stato un calabrese che ha avuto ad Amburgo l’idea di produrre la cosiddetta Musica della mafia. Una musica che festeggia l’assassinio del generale Dalla Chiesa e che viene considerata dai giornalisti tedeschi ancora oggi come „autentica cultura mafiosa calabrese “, come se la mafia non fosse altro che un piccolo popolo minacciato dal rischio dell’estinzione, qualcosa come i Chiapas. Un piccolo popolo invischiato in faide arcaiche, celebra riti incomprensibili, canta, balla e i cui membri prima o poi si uccidono tra di loro. Un anno dopo il massacro di Duisburg, il magazine DER SPIEGEL, in un editoriale, si vantava che due dei suoi reporter erano stati guidati nella realizzazione di un reportage sulla ndrangheta proprio da questo produttore di musica della mafia perché egli «gode della fiducia dei boss». Per essere più precisi: il più grande magazine d’informazione in Germania comunicava con orgoglio che le sue informazioni sulla mafia erano determinate dalla mafia stessa. 7 Non sarebbero gli unici giornalisti tedeschi che si sono trasformati in servi della propaganda mafiosa: esattamente com’era già accaduto in Italia, anche gli avvocati dei mafiosi concedevano numerose interviste: e così i giornalisti tedeschi non informavano sulla mafia in Germania, ma su pizzaioli innocenti perseguitati e ad alcuni dei miei colleghi furono dettate strazianti storie di emigranti. E poiché così si colpiscono sempre i tedeschi, i mafiosi sostenevano che per l’ennesima volta i tedeschi condannavano in loro l’appartenza culturale ad un altro popolo. Parlavano di razzismo. Ma non dei 229 clan e delle 900 persone che il BKA (Ufficio federale Anticrimine) nella sua relazione conta tra gli appartenenti alla ndrangheta in Germania: quell’organizzazione criminale calabrese che con un fatturato di almeno 44 miliardi di euro all’anno non è solo l’organizzazione mafiosa più ricca in Italia, ma anche quella più dinamica. Perché può fondare sedi anche all’estero. Non solo a Duisburg, ma anche ad Amsterdam, Barcellona, Nizza o Lugano. In un secondo momento si trattava di chiudere la bocca a quei pochi giornalisti che avevano informato sulla mafia in Germania. Cosa che in Germania non è difficile. Contro di me e il mio libro sono stati promossi ben cinque processi e due denunce. Durante il primo procedimento credevo ancora che si sarebbe chiarito presto l’equivoco per cui io in questo processo ero l’accusato. Perché se ci fosse davvero qualcosa da deplorare, allora dovrebbe essere la vittoria della mafia nel mondo. E non il fatto che un giornalista scriva di ciò. Tuttavia, non solo io, ma anche altri due colleghi siamo stati querelati. Il 8 mio libro può essere venduto solo con pagine annerite, il libro del mio collega Francesco Forgione è stato completamente ritirato dal mercato tedesco. Come si dice in Italia: colpirne uno per educarne cento. La mafia in Germania: una storia di successi.
© Copyright 2024 ExpyDoc