BERGAMO

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CONGRESSO
NAZIONALE
BERGAMO
22-24 MAGGIO 2014
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BENVENUTO e introduzione
Impresa sostenibile risorsa della terra
Nei convegni parliamo di lungo termine, ma in azienda
agiamo sul breve. Si possono conciliare le due cose?
In un quadro di sostenibilità direi di sì: infatti nel breve bisogna ristrutturare (e magari ridurre gli organici …) ma nel
contempo bisogna pensare anche al futuro, soprattutto
se si tratta di “capitale umano”.
Quindi, mentre ci occupiamo della ristrutturazione di giornata, dobbiamo anche preoccuparci di talenti (qualunque
cosa voglia dire questa parola!), di programmazione degli organici (manpower planning per i più sofisticati), di
motivazione e di impegno (engagement) del personale (in
particolare di quello che è sopravvissuto alla ristrutturazione di turno).
L’ultima indagine BCG-EAPM sulla questione delle risorse umane in Europa indica chiaramente come, pur negli
anni volatili che stiamo vivendo, un grande contributo al
“vantaggio competitivo” dell’impresa possa venire da un
HR che riesca a bilanciare le azioni di breve con quelle di
medio-lungo termine.
Questo vuole essere un piccolo contributo per aiutare a
capire cosa vuol dire in concreto, secondo noi, “impresa
sostenibile”.
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FILIPPO ABRAMO
Laurea in Legge all’Università di Palermo, Master in
economia d’impresa e in Business Administration.
Ha lavorato in grandi aziende italiane e multinazionali; dal commercio al dettaglio, all’elettronica al
settore alimentare, chimico, farmaceutico e bancario (Banco di Sardegna, Recordati, WRGrace,
Boston, Rinascente) ricoprendo tutte le posizioni
nell’area risorse umane e organizzazione da ufficiale di reclutamento a HR Director Centrale.
Ha lavorato come consulente di direzione nel settore industriale, del commercio e del pubblico.
Presidente EAPM dal 2011 al 2013, dal 2011 è
Presidente Nazionale AIDP.
Lo spirito del congresso
Un giorno lontano ricorderò con un gruppo di cari amici
quella famosa sera in cui presero forma le prime idee sui
contenuti e sul titolo di questo Congresso.
Avevamo organizzato una serata di brainstorming, ma prima di cena più che i cervelli parevano “stormire” chiacchiere apparentemente futili e brontolii di fame.
Le idee non affluivano, i taccuini degli old style e gli ipad
dei new tecno languivano. Si passò quindi alla cena. Ma
la magia continuava a non accadere, sì qualche proposta arrivava, ognuno diceva la sua, l’impegno cresceva
ma crescevano anche l’ansia che non avremmo fatto in
tempo e che ci si sarebbe dovuti rivedere.
In quel momento arrivò la pozione magica sotto la forma
inaspettata di una bottiglia di quel vecchio, conventuale
liquore da tutti conosciuto con il nome di Nocino.
Le idee sgorgarono, le pagine di carta e virtuali si riempirono e quello che non era accaduto in tre ore si completò
prima della mezzanotte.
Come in tutti i ricordi forse la realtà si mischia con la deformazione del tempo che rende sempre più dolce il passato. Ma così sono nati questo Congresso e il suo titolo:
voi giudicherete se è cresciuto bene. Noi genitori, e tutti
quanti gli amici che poi in questi mesi lo hanno accudito
con passione, attendiamo trepidi il suo esito, amandolo
comunque con i suoi pregi e i suoi difetti.
ANDREA ORLANDINI
“
Bisogna pensare al futuro,
soprattutto se si parla
di capitale umano
”
Laureato in Scienze Politiche, ha maturato
esperienze nell’area risorse umane in aziende
italiane e multinazionali. Dal 1995 ricopre la carica di Direttore Risorse Umane e Organizzazione presso il Gruppo Sisal, operante nel settore
dei giochi, scommesse e servizi e che conta circa 2.000 dipendenti. Precedentemente ha lavorato dal 1986 al 1995 in SmithKline Beecham
Farmaceutici, dal 1984 al 1986 in Italcable e
all’inizio della sua carriera in Dalmine. Dal 2011
è Presidente AIDP Lombardia e Vice presidente Nazionale della stessa associazione.
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BENVENUTO e introduzione
ISABELLA COVILI FAGGIOLI
Lavoro e sostenibilità
La crisi di questi anni ha prostrato il Paese, le sue aziende, tutti i cittadini. L’Italia non riesce a uscire dal tunnel di
un sistema bloccato da una burocrazia paralizzante, un
deficit statale non più sostenibile, un’oppressione fiscale
veramente eccessiva, un sistema industriale ammalato di
nanismo e provincialismo, un mercato del lavoro ingessato, l’assenza di investimenti internazionali, un sistema
scolastico obsoleto.
La retorica per cui la persona è al centro dello sviluppo
economico ha nascosto in questi ultimi anni una gestione
della crisi attenta solo all’immediato e non alla possibilità
di un futuro nuovo rilancio socio-economico.
Come ci ricorda l’ONU è invece concretamente possibile
uno sviluppo sostenibile: «Sviluppo sostenibile è un processo nel quale l’uso delle risorse, la dimensione degli
PAOLO IACCI
Professore all’Università LIUC di Castellanza è
Vice Presidente Nazionale AIDP e direttore della
rivista Hr On Line. Già Presidente di BCC Credito
Consumo, condirettore generale ed Executive Vice
President nel gruppo Pride. Laureato in filosofia,
master in economia e psicologia del lavoro, ha nel
tempo ricoperto crescenti responsabilità nell’ambito dell’organizzazione e direzione del personale di
grandi aziende come Italtel, Reader’s Digest, Banca Intesa e Gruppo bancario Iccrea.
È stato consigliere di amministrazione dell’Università Bocconi e di alcune altre società pubbliche e
private e docente all’Università Statale di Pavia.
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La ricchezza di AIDP: i territori
investimenti, la traiettoria del progresso tecnologico e i
cambiamenti istituzionali concorrono tutti assieme ad accrescere la possibilità di rispondere ai bisogni dell’umanità non solo oggi ma anche in futuro».
Le tre componenti dello sviluppo sostenibile - economico,
sociale e ambientale - devono essere affrontate in maniera equilibrata sia a livello politico, sia nella vita quotidiana
delle nostre imprese. Sviluppo, crescita economica, centralità della persona e sostenibilità non sono degli ossimori, ma è necessario e possibile trovare una via di reciproca
compatibilità tra i differenti driver.
Questa è la tesi del nostro Congresso, che vuole declinare questi elementi nell’operatività in cui vivono coloro
che sono impegnati nella gestione e nello sviluppo delle
risorse umane.
Non che avessi dei dubbi ma, girando
l’Italia per presentare il Congresso nelle
varie regioni, mi sono convinta ancora
di più di quante eccellenze abbiamo tra
i nostri soci e quanta passione i nostri
colleghi mettono in campo per dare a tutti quelli che operano nell’ambito delle risorse umane delle opportunità di
aggiornamento professionale e personale.
Gli incontri sono stati tutti momenti di grande coesione
associativa e calore umano. Ho incontrato tante persone
e tanti giovani che venivano invitati per rappresentare loro
un futuro più positivo di quello che possono immaginare.
E vedere che se ne andavano con la speranza negli occhi
è uno dei regali più grandi di questi incontri. Nelle regioni
la nostra associazione è un punto di riferimento, i convegni
vengono ripresi dai media locali e l’eco dura fino all’incontro successivo.
Ecco quello che penso debba essere un’associazione
come AIDP: un punto di riferimento, dove le persone trovano risposte anche tecniche e normative, ma soprattutto
umane e creano relazioni che durano nel tempo.
Una carriera nell’ambito delle risorse umane in aziende
internazionali (Buton Vecchia Romagna, Intertaba Philip Morris, FinRitz) con responsabilità crescenti fino a
ricoprire la posizione di direttore del personale. Oggi è
partner di I.C. Consulting, società di head hunting che
opera su tutti i settori merceologici con specializzazione nel settore moda e beni di lusso.
Vicepresidente Nazionale AIDP e Presidente
AIDP Emilia Romagna,
è Presidente di UP
Università delle Persone e Vicepresidente
esecutivo della Fondazione Enzo Spaltro.
Socio fondatore di
FederProfessional è
anche socia fondatrice
dell’Associazione Donne senza Guscio.
Tutto questo l’ho trovato nelle Regioni dove sono stata e
questo è un patrimonio che porterà la nostra associazione a festeggiare ancora tanti anni di vita e a organizzare
ancora tanti congressi indispensabili per dare a tutti un
senso comune.
Non ci sono ostacoli se si è convinti che quello che si fa
ha un senso e io il senso profondo di questa associazione
l’ho trovato sui territori, sempre.
Dobbiamo non dimenticarlo mai.
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BENVENUTO e introduzione
Condividere per crescere
E se provassimo una volta tanto a rompere i gusci entro cui
racchiudiamo noi stessi, le nostre organizzazioni e le nostre
esperienze? Se decidessimo, per una volta, di aprirci e di
mettere in comune le nostre esperienze? Se provassimo a
crescere insieme condividendo esperienze, difficoltà, sfide,
successi e non solo? Da questa intuizione e da questa volontà è nata l‘idea del Concorso Buone Pratiche che vede
andare in scena a Bergamo la sua terza edizione.
Inaspettato: ci siamo accorti che l’invito ad aprirsi e a
condividere risponde a una domanda inespressa di fare
Comunità professionale. Il numero di aziende partecipanti
ha continuato a crescere, quest’anno 46 organizzazioni ci
hanno affidato i loro progetti.
Siamo orgogliosi come AIDP di aver saputo fornire
quest’occasione per mettere in comune, condividere e
raccontare storie ed esperienze, un’opportunità che abbiamo legato ai temi di questa edizione congressuale.
Comunità (professionale) fa rima con Sostenibilità.
“
Se decidessimo di aprirci
e di mettere in comune
le nostre esperienze?
”
ENRICO CAZZULANI
Laurea in Giurisprudenza, inizia in Farmitalia Carlo Erba
(Gruppo Montedison). Nel 1982 presso la Holding
Montedison è a capo della funzione Corporate Formazione e Sviluppo. Direttore Personale e Organizzazione
in Recordati, nel 1984 entra in Smith Kline & French
come Direttore HR & Organizzazione. Dopo la fusione tra ISF, Sk&f e Zambeletti, che porta alla nascita di
SmithKline Beecham Italia, diviene V.P. HR della nuova
Società e membro del Consiglio di Amministrazione.
Dal 2000 al 2006 è Direttore HR, Organizzazione e
Qualità di Albacom (oggi Bt Italia). Dal 2004 al 2011 è
Presidente AIDP Gruppo Lombardia.
Presidente di Corvette Group, Partner di Arethusa, è
Segretario Generale AIDP e Presidente AIDP Promotion.
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LUCA VILLANI
Una terra-uomo che ci guarda
Viviamo un’epoca di prosperità senza precedenti. Dirlo ora sembra una provocazione, ma la verità è che il
mondo non è mai stato così felice: qualunque analisi
globale ci dimostra che le guerre sono in diminuzione,
le democrazie in aumento (provate a pensare all’America Latina di soli 40 anni fa), la vita si allunga, la mortalità infantile diminuisce e la povertà si restringe.
Tutto bene, quindi? Quasi. Il prezzo - molto salato - di
questo benessere è il suo impatto ambientale. Il mondo consuma in un anno quello che produce in un anno
e mezzo e molte risorse sono ormai prossime all’esaurimento. La vera sfida, quindi, è l’adozione di un
modello di sviluppo nuovo che consenta all’umanità di
continuare a crescere e a prosperare senza mettere a
repentaglio la sua stessa sopravvivenza.
Per questo ci siamo appassionati a realizzare il logo di
questo 43° Congresso Nazionale. L’immagine si ispira
a un’incisione rupestre camuna (un omaggio alla regione ospite, la Lombardia) che rappresenta la terra,
nella quale abbiamo inserito un abbozzo di volto, a significare la profonda identità fra l’uomo e il pianeta.
Una terra-uomo (o donna?) che sembra guardare l’osservatore, per rammentargli il destino comune.
Luca Villani è partner e managing director di The Van
Group, un’agenzia di comunicazione specializzata nel content management, nell’editoria
aziendale e nella comunicazione interna, nata dall’integrazione di Pub Srl con Numero20.
Nato a Milano nel 1965, è
giornalista professionista dal
1991 e ha lavorato nella stampa economica e finanziaria. In
seguito è stato responsabile
della comunicazione nel settore dell’asset management (a Templeton Italia e Sanpaolo IMI Asset Management, oggi Eurizon).
Nel 2001 è stato socio fondatore di Brand Portal, che ha lasciato
nel 2011 per creare The Van. È docente di web content presso
l’Accademia di Comunicazione di Milano.
Una ottimistica terra verde che verso l’alto trascolora in
un caldo giallo-arancio che evoca il sole e quindi la vita.
Ci auguriamo di avere contribuito a un Congresso
davvero speciale, che metta - una volta per tutte - la
sostenibilità al centro della cultura d’impresa, non più
come un piacevole benefit, un “nice to have”, ma come
una necessità assoluta. E non solo la sostenibilità ambientale, quella della “carbon footprint” (pur importantissima), ma anche quella della “human footprint”, di
un’attenzione ai comportamenti, alle decisioni (o alle
non decisioni) e al loro impatto lungo tutta la filiera
che dai decisori si scarica a valle verso dipendenti,
collaboratori, fornitori, clienti. Una filiera che, forse, è il
momento di ricostruire con maggiore consapevolezza,
nel segno della sostenibilità.
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BERGAMO
GIANCARLO TRAINI
Giancarlo Traini è un esperto di Organizzazione Aziendale e si occupa, per
conto di Imprese ed Enti pubblici, di
progetti di cambiamento organizzativo
collegati a modifiche strutturali e realizzazione di investimenti tecnologici e
informatici. Fa parte del Consiglio Direttivo di AIDP Lombardia ed è vicepresidente di Assochange, Associazione
Italiana per il Change Management.
Ho con Bergamo lo stesso rapporto che ho con mia moglie: ci vogliamo bene da più di quarant’anni e litighiamo
da altrettanti. Questa città mi fa disperare, ma ho passato
una vita in giro per il mondo tenendo sempre casa qui.
Non capisci Bergamo se non sei disposto ad accettarne
le contraddizioni: nulla è più lontano dalla realtà dello stereotipo del bergamasco chiuso in una comunità autosufficiente; questa città non è mai stata al centro di niente, è
sempre stata una frontiera, un mercato, un luogo di scambio di merci, idee e persone.
Una frontiera, innanzitutto geografica: metà della provincia è nelle Alpi, l’altra metà in pianura e la città stessa è
così, divisa fra la Città Alta e la Città Bassa (berghem de
sura e berghem de sota, come amano dire i milanesi).
La piazza più caratteristica della città bassa si chiamava Piazza Mercato della Legna (ora si chiama Piazza
Pontida, da molti decenni prima di Bossi) proprio perché
quelli che venivano dalle montagne portavano la legna e
quelli che venivano dalla pianura portavano il frumento e il
granoturco, e poi se li scambiavano.
Era una città di frontiera quando i romani la conquistarono
combattendo con le tribù di Galli che occupavano le Pre-
alpi e fortificarono il colle per creare una colonia sicura.
Ancor oggi, la Città Alta si affolla intorno al Cardo e al Decumano della città romana, e non puoi scavare una buca
senza trovare marmi e pietre scolpite.
Il nome restò quello di prima: Berghem (berg-heim,
casa sul monte). Ci sono altre dieci Berghem/Bergen
in Europa, e tutte al di là delle Alpi, fin su in Norvegia.
E il nome continua a portare con sé una contraddizione:
Bergamo vive da sempre con un pezzo di cuore (e di por9
BERGAMO
tafogli) al di là delle Alpi, che sia la Svizzera, la Francia,
l’Austria o la Germania.
Bergamo non ha mai avuto dei Signori in grado di tenere
unito tutto il territorio, ma ha sviluppato per secoli le sue
piccole comunità comunali, ciascuna fiera di difendere
il suo pezzo di terra, con meccanismi di decisione e di
solidarietà basati sulla comune difesa nei riguardi di una
natura avara, dove devi conquistarti ogni frutto con una
fatica straordinaria.
E la carestia veniva quasi tutti gli anni, poiché i poveri raccolti di montagna duravano a fatica sino alla fine
dell’inverno e poi, per sopravvivere sino al nuovo raccolto,
dovevi cercare di mangiare tutto ciò che c’era in giro di
commestibile (la polenta e uccelli non è un vanto culinario, è la memoria di una maledizione).
La fatica, direi quasi l’amore per la fatica, è una caratteristica culturale che rappresenta il cuore della mia gente.
E con la fatica, c’è anche la solidarietà fra chi fatica.
Un’istituzione pubblica nata nel 1200, in pieno periodo
comunale (e ancor oggi viva e attiva), la Misericordia
Maggiore, era in grado, nei periodi di carestia, di sfamare
il trenta per cento della popolazione della città, con una
pagnotta da una libbra e un quarto di vino al giorno.
Ancor oggi Bergamo ha tassi di partecipazione ad attività
di volontariato laico o religioso che non hanno uguali nel
resto del Paese.
Non capirete i bergamaschi se non considererete il loro
straordinario amore per Venezia: Bergamo non è mai
stata così bene come nei quasi quattro secoli (dal 1428
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al 1797) in cui ha fatto parte della Repubblica Veneta,
che ne ha esaltato la caratteristica di frontiera, inserendola nel suo grande sistema di commercio internazionale.
La Repubblica iniziava a Cipro e finiva a Bergamo. E da
Bergamo passava il commercio fra Venezia, e quindi l’oriente, e la Svizzera. Lungo questa via si inventò anche
il primo servizio postale, che poi si estese all’impero tedesco, e dato che era gestito dalla famiglia Tassi, sulle
diligenze apparve la scritta “Taxi” (marchio più noto della
Coca Cola, ma del tutto sconosciuto nella sua genesi).
E sempre nella logica della frontiera (contro i nemici di
sempre, i milanesi) i veneziani compiono lo straordinario investimento della costruzione delle Mura, uno dei sistemi difensivi cinquecenteschi meglio conservati al mondo (anche perché, per fortuna, non è mai stato usato).
E i bergamaschi invadono l’Europa con la loro voglia di lavorare: l’Arsenale di Venezia e tutta la città sono
pieni di “lavoratori di fatica” bergamaschi, a Genova per
secoli (1340 - 1800) i trasporti e lo stivaggio nell’area portuale sono monopolio della Compagnia dei Caruana,
e per entrarvi è necessario, tassativamente, “essere nati
nella città di Bergamo o nella Valle Brembana”, i trasporti
transalpini dei veneziani sono in mano ai bergamaschi.
Strana gente, grandi lavoratori ma anche furbacchioni,
come le maschere della Commedia dell’Arte, portate
dagli Zanni da Bergamo in tutta Europa, raccontano nel
loro gramelot (e Arlecchino, servitore furbo e un po’ disonesto è il prototipo).
E poi, a partire dal ‘700, via con le industrie.
Città Alta, scrigno d’arte e di storia
Lo stemma di Bartolomeo Colleoni, il condottiero di ventura bergamasco che nel XV secolo diede grande lustro alla città.
L’elemento decorativo è a ornamento della cancellata che racchiude il mausoleo in cui si trovano le spoglie del capitano e dell’amata figlia Medea.
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BERGAMO
Il tessile lo portano gli svizzeri, che scappano dalle persecuzioni religiose a casa loro per rifugiarsi nella Repubblica Veneta, notoriamente laica e del tutto indifferente a
ciò che non fosse business.
Ricordate il lavoratore tessile Renzo Tramaglino che varca
l’Adda per fuggire dalla Milano spagnola?
Il meccanico viene dall’intenso scambio con la vicina Brescia, siderurgica sin dalla preistoria, e si avvia sulle ben conosciute vie per la Svizzera e la Germania (ancor oggi ci
sono molti più componenti “made in Bergamo” nelle Mercedes e nelle BMW di quanti ce ne siano nelle FIAT).
E poi negli anni successivi l’agroalimentare, e la chimica, che parte dalle filande e arriva alle fibre di carbonio, e
l’elettromeccanico, dove Bergamo per decenni ha rappresentato un enclave particolarissimo.
Quattrocento anni di regime repubblicano (sia pur oligarchico come quello di Venezia) sono il detonatore dell’epopea risorgimentale, con i bergamaschi in aiuto ai milanesi nelle Cinque Giornate e poi con Garibaldi e i Mille,
a cercare di costruire una Repubblica nuova e comune. I
bergamaschi rappresentano il gruppo più numeroso della spedizione garibaldina: giovani borghesi e nobili, presi
dalle idee mazziniane, pronti a rischiare la pelle in nome
di un ideale.
Forse, contraddittori come sempre, oggi sarebbero pronti
a pentirsene. Ma è rabbia da delusione, rabbia da affetto.
Il mix così unico fra indipendenza e solidarietà porta ai
primi del Novecento alla nascita di straordinarie
istituzioni legate al mondo del lavoro. Le banche di
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credito cooperativo, che nascono a decine nelle Parrocchie per aiutare i contadini a finanziare il ciclo agricolo svincolandosi dai vincoli della mezzadria, le leghe
bianche, sindacati cattolici che cercano di realizzare le
idee della “Rerum Novarum” e, dall’altro lato, iniziative
di “capitalismo illuminato” come il Villaggio operaio
di Crespi d’Adda.
Due grandi Papi del secolo scorso, Giovanni XXIII bergamasco e Paolo VI bresciano sono certamente un
frutto di questo clima, che cercava un modello di convivenza fra capitale e lavoro che oggi potremmo definire
una “terza via” rispetto alle ideologie che hanno insanguinato il paese negli anni violenti che abbiamo vissuto.
Oggi Bergamo è in crisi come tutto il resto del nostro Paese, ma non ha per niente dimenticato che
la sua fortuna è sempre stata legata all’internazionalità. I bergamaschi viaggiano come disperati, forse più
per lavoro che per svago (e Orio al Serio è lì a dimostrarlo), e la città stessa si è globalizzata a causa di un’immigrazione che, con grande fatica, si cerca di integrare.
Avreste mai pensato che il gruppo nazionale più numeroso fosse rappresentato dai boliviani? Forse solidarietà
fra gente di montagna. Città difficile, contraddittoria,
ombrosa, ma viva e sanguigna.
Un detto assai conosciuto, definisce così il carattere dei
bergamaschi: “fiamma di rado, ma brace sotto la cenere”.
Lo scrivo in italiano, poiché nella lingua locale sarebbe
incomprensibile, ma vi assicuro che è proprio così.
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