Tutto quello che dovete sapere sui bitcoin

Tutto quello che dovete sapere sui bitcoin
Sulla valuta digitale più celebre della Rete sono appena usciti due libri: ecco di cosa parlano
La cosa più folle di Bitcoin sono le reazioni che sta suscitando in tutto il mondo. Da un lato la Cina,
giorni fa, ha vietato al settore finanziario del Paese di usare questa moneta elettronica; e ora,
come prevedibile conseguenza, anche Alibaba, il gruppo cinese di ecommerce, ha appena bandito
i bitcoin dai suoi siti. Dall’altro Zynga, la nota casa di giochi social, ha invece appena aperto ai
pagamenti nella criptovaluta. Il tutto mentre le quotazioni della moneta digitale sono estremamente
volatili, e sui media mainstream si susseguono i profeti di sventura spaventati, più che dai rischi di
questo sistema di pagamento, dalla complessità di un fenomeno che sfugge a facili catalogazioni.
Per fortuna anche i lettori italiani hanno ora a disposizione due testi, appena usciti e in formato
digitale, che aiutano a comprendere i bitcoin in molti dei loro aspetti. Il primo – Affare bitcoin.
Pagare col p2p e senza banche centrali - è un agile ebook (2, 99 euro, editore Inform-ant) scritto
da un giornalista tecnologico, Gabriele De Palma (per trasparenza verso i lettori va detto che è
anche mio collega e socio nell’agenzia Effecinque). Il libro è un Abc ragionato, narrativo e
limpido di tutto ciò che bisogna sapere per familiarizzare con la criptomoneta, in cui l’autore però
non si scansa dall’analisi e da alcuni cauti giudizi. Come spiega fin dalle prime pagine, infatti, il
problema con bitcoin è che ci si sofferma più sul dito che sulla luna: “si guarda cioè più a bitcoin
come moneta che a bitcoin come sistema di pagamento. Se la prima è paragonabile ad altre monete
virtuali – dette anche alt currencies – come ad esempio l’oro di World of Warcraft, il secondo
invece è una novità”.
Infatti il sistema di pagamento sfrutta alcune tecnologie disponibili da tempo, come il peer-to-peer e
la crittografia, “ma le utilizza in modo innovativo e non facilmente comprensibile”. D’altro canto,
l’associazione con le attività criminali alla Silk Road e l’insistenza sulla volatilità delle quotazioni
della moneta non descrivono affatto la sua essenza e le sue implicazioni. De Palma cerca di
spiegare i principi del funzionamento della criptovaluta, documentando anche la sua
irresistibile ascesa nei settori più disparati, e del tutto legali, dell’economia e del commercio. Ci si
addentra così nei meccanismi che permettono effettivamente una transazione in bitcoin,
comprendendo come il controllo e la validazione della stessa siano affidate al network nella sua
totalità, e a un registro irreversibile degli scambi che si chiama blockchain. Ne emerge un sistema
che, malgrado la nomea di moneta oscura, pseudoanonima e insicura che ancora gli rimane
attaccata, risulta invece estremamente sicuro, efficiente e trasparente nel suo funzionamento.
Il libro di De Palma spazia dalle minuzie basilari su come farsi un borsellino per bitcoin alla saga
leggendaria della sua creazione per opera di un misterioso matematico, Satoshi Nakamoto,
ripercorrendo gli sforzi giornalistici per arrivare alla sua identità, senza tralasciare le ipotesi
omeriche, cioè l’idea che si tratti di un nome collettivo – una scelta che sarebbe in piena sintonia
con una serie di fenomeni culturali non troppo lontani, da Luther Blisset ad Anonymous. Alla fine
l’autore non si limita a mettere in fila le diverse teorie ma scommette anche su un paio di nomi…
Che non riveliamo per non rovinare la sorpresa.
Nell’ultima parte Affare bitcoin passa invece in rassegna i recenti successi e le minacce della
moneta digitale. E si badi bene: gran parte degli interrogativi sul futuro di questa tecnologia sono
legati soprattutto alla reazione dell’establishment politico-finanziario. Ma l’impressione è che
ormai il dado sia tratto: “anche se il sistema implodesse domattina – conclude De Palma - bitcoin
non resterà senza eredi. La possibilità pratica di allestire una piattaforma per creare e scambiare
denaro che esiste solo in forma di bit e senza alcuna relazione con l’economia reale o con la
volontà delle banche centrali è dimostrata. Se anche questa sua incarnazione si dimostrerà a un
certo punto difettosa, ce ne sarà un’altra che correggerà l’errore”.
Arrivati fino a qua, i lettori che si stanno appassionando a bitcoin possono (anzi, devono) fare un
passo successivo e passare al testo di un altro italiano, l’hacker e mediattivista Denis Jaromil
Roio, che oltre ad essere uno dei più importanti studiosi di monete digitali e dei loro algoritmi, è da
anni coinvolto in prima persona nella comunità di bitcoin. Nel lungo articolo appena pubblicato
online, sia in inglese che in italiano su Quaderni di San Precario, e intitolato Bitcoin, la fine del
tabù della moneta, Jaromil va in profondità, fino alle radici storiche e filosofiche di questa
tecnologia, ai suoi legami con altri aspetti della cultura digitale e al suo significato biopolitico.
“Bitcoin non è solo “moneta digitale”. La sua nascita e crescita sono state favorite da una rete di
attività che, per alcuni aspetti, condivideva i principi etici e di gestazione di una comunità: sto
parlando della comunità hacker”, scrive lo studioso, individuando due momenti cruciali nella
diffusione di bitcoin: il blocco finanziario di Wikileaks nel gennaio 2011 e la pubblicazione di un
articolo su Forbes nel giugno dello stesso anno.
“Per la comunità hacker in senso ampio, il blocco finanziario di Wikileaks è stato un momento in
cui si è consumato in modo del tutto nuovo un tradimento profondo della fiducia. Quindi è stato un
momento cruciale per la crescita di bitcoin: molti hackers iniziano proprio in quei giorni a farne
uso, ritenendo che sia, razionalmente, generosamente, la cosa da fare. La crescita di bitcoin inizia
allora…”. Jaromil, sottolineando l’aspetto comunitario della criptovaluta, affronta anche la
spinosa e vexata quaestio dei rapporti fra questa tecnologia e i traffici illeciti della Rete.
“Le prime comunità ad avere utilizzato bitcoin – esclusa la comunità hacker che di fatto non l’ha
mai usato molto come valuta per scambiare beni – sono i capri espiatori perfetti per coloro che
vogliono contrastare bitcoin. Infatti chiunque voglia assumere un approccio moralistico e impedire
l’innovazione di cui stiamo parlando non ha nemmeno bisogno di trattare fastidiosi concetti come
la sovranità statale. È molto facile per i cacciatori di streghe enfatizzare il fatto che con bitcoin è
stata acquistata e venduta droga, che i giocatori d’azzardo amano i bitcoin e che alcuni siti internet
dichiarano di accettare pagamenti in Bitcoin per compiere missioni omicide”.
Ma, avvisa Jaromil, quando di parla di nuove tecnologie, non bisogna giudicare la loro natura e
scopi dai loro primi utilizzi. “È naturale che coloro che erano esclusi dall’uso di affermate
tecnologie cercheranno nuove piattaforme ancora non regolate: i pionieri che si trovano ai margini
sono sempre attenti alle possibilità concrete di liberazione offerte da nuove e sconosciute
tecnologie. Quando parliamo di tecnologie di comunicazione ciò diventa molto chiaro: ogni genere
di comunità marginalizzate e criminalizzate ricorrono a canali di comunicazione meno
conosciuti per i loro bisogni, mentre i canali di comunicazione di massa sono ben controllati e in
generale dominati dal discorso sterilizzato della maggioranza conforme”.
Jaromil non lo dice, ma la miglior controprova è stato il sequestro di Silk Road, il più grande
mercato nero del deep web. All’epoca i bitcoin hanno subito un contraccolpo e qualcuno ha anche
immaginato che potessero implodere insieme ai gestori del sito, ma così non è stato. Anzi, da allora
la criptomomneta si è diffusa ancora di più, improvvisamente liberata da un pesante fardello di
immagine.
È davvero impossibile sintetizzare la densità concettuale del testo di Jaromil ma ci sono ancora due
punti su cui bisogna soffermarsi: il primo è un affascinante resoconto della ricerca di un simbolo
per bitcoin – una quest che fa emergere i legami culturali di quella comunità con altre realtà
contemporanee: Occupy, Anonymous, Wikileaks. “La scena culturale attorno a bitcoin è modellata
attorno a nuovi valori che, malgrado le molte insidie, incarnano la ribellione contro Il Sistema”,
scrive l’autore. Il secondo è che bitcoin avrà un ruolo importante, secondo Jaromil, per le economie
migranti e per le comunità dislocate in giro per il mondo. Insomma, entrambi i testi fanno capire
una cosa: non possiamo leggere con certezza la sfera di cristallo, ma nella storia delle criptomonete
un dato è certo: siamo solo all’inizio.
Dogecoin, la valuta digitale nata da un meme
Partita a inizio dicembre sulla scia del fenomeno “Doge”, l’ultima arrivata tra le valute digitali figlie
dei Bitcoin sta lentamente guadagnando terreno. E non è l’unica
A guardare il logo, circondato da scritte colorate e senza senso, potrebbe sembrare uno scherzo. E
invece è tutto vero: nell’affollatissimo mondo delle valute digitali, capitanate dal Bitcoin , è arrivato
anche il Dogecoin, un omaggio al meme che impazza un po’ ovunque in Rete e che vede
protagonista un docile cane di razza Shiba. Creata da Jackson Palmer e Billy Markus, questa
criptovaluta si è guadagnata un suo spazio soprattutto grazie alla community “Dogemarket” su
Reddit, un luogo dove scambiare, comprare e vendere non solo Dogecoin ma anche Bitcoin e
oggetti reali.
Certo, per ora i valori sono molto bassi. Basti pensare che un singolo Dogecoin vale appena
0.00000036 BTC oppure 0.00023 dollari, anni luce dai prezzi folli raggiunti dalla madre di tutte le
criptovalute. Ma è anche vero che siamo appena agli inizi: è stato minato solo il 6% dei 100
miliardi totali disponibili, una cifra di molto superiore ai 21 milioni di tetto massimo previsto per i
Bitcoin, di cui la metà già minati. E anche se non è ancora possibile scambiarlo con valute fisiche, il
Dogecoin ha già un suo exchange dove effettuare transazioni con le tante altre criptovalute che
vivono all’ombra di sua maestà Bitcoin.
Se vuoi iniziare a minare la tua scorta di Dogecoin, basta visitare il sito ufficiale e scaricare il
software adatto.
Ma questa buffa trovata è solo l’ultima in un mare di concorrenti: si stima che in giro per la Rete ci
siano più di 60 criptovalute differenti. Il primo di tutti è il Litecoin, che attualmente vale circa 23
dollari. Lanciato nel 2011, è tecnicamente simile al Bitcoin, ma si distingue per alcune peculiarità:
l’algoritmo di mining processa un blocco di dati ogni 2 minuti e mezzo, contro i 10 del Bitcoin.
Inoltre il tetto massimo imposto ai Litecoin è di 84 milioni, quattro volte quello del fratello più
anziano. In più la struttura del network Litecoin impedisce l’uso di hardware progettato per
velocizzare il mining, cosa invece possibile con il Bitcoin.
E la lista continua, tra valute tutte simili tra di loro se non per alcune differenze strettamente
tecniche a livello di meccanismi di mining: il giovane Novacoin a 13 dollari, il Namecoin a 4,30
dollari, il Peercoin, che punta molto su un algoritmo a basso consumo energetico, a 3,25 dollari e
tantissimi altri. Insomma, per iniziare da dove iniziare a “scavare” le tue monete virtuali c’è solo
l’imbarazzo della scelta. E forse scoprirai che quel vecchio computer che stavi per buttare potrebbe
tornarti improvvisamente utile.
CAPITALIZZAZIONE DELLE CRIPTOVALUTE = 9.5 Miliardi di EURO
#
Name
1 Bitcoin
Market Cap
$ 9,733,977,913
Price
$ 791.07
2
3
4
5
Ripples
Litecoin
Peercoin
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8
9
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11
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14
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16
17
18
DogeCoin
MasterCoin
Namecoin
Quark
ProtoShares
Megacoin
WorldCoin
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Infinitecoin
Novacoin
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Devcoin
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$ 54,271,804
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Digitalcoin
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Tickets
NetCoin
Particle
Copperlark
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EarthCoin
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LottoCoin
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Frozen
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MILANO - L’Italia è pronta ad accogliere i Bitcoin (qui la nostra guida semplice )? Questo auspica
e propone il deputato di Sinistra Ecologia e Libertà Sergio Boccadutri. Il decreto di riferimento è
Destinazione Italia (n.145/2013 ), per il quale scadranno domani, giovedì 23, i termini per la
presentazione degli emendamenti. L’inizio delle discussioni è previsto per lunedì 27. Boccadutri il
suo di emendamento lo ha già messo sul piatto, sottoponendo per la prima volta la questione delle
valute digitali ai nostri legislatori.
Sergio BoccadutriPubblicato su Twitter dal deputato, il testo definisce il
Bitcoin come “la crittovaluta elettronica complementare utilizzata a mezzo
scambio senza finalità di riserva di valore sulle reti di comunicazione
elettronica”. L’intenzione è quella di identificare i titolari delle “transazioni
superiori ai 1.000 euro” con modalità da stabilire “entro sei mesi dall’entrata
in vigore della legge di conversione” con “apposito decreto del Ministero
dell’Economia e delle Finanze” e di applicare “alle operazioni di pagamento
effettuate tramite Bitcoin o altre crittovalute le disposizioni […] in materia di
antiriciclaggio”. Il pionieristico e coraggioso tentativo è quindi quello di
regolamentare e tracciare la circolazione delle monete digitali. La peculiarità
di questo strumento nato nel 2009, lo ricordiamo, è quella di non fare capo ad
alcuna banca ma di basarsi sugli scambi criptati fra gli utenti che operano le transazioni. Non si
tratta solo di una valuta, ma di un complesso sistema di acquisto e vendita delle monete e della
circolazione delle stesse per vendere e comprare beni di qualsiasi tipo.
I singoli stati, fa notare a Corriere.it l’avvocato esperto di digitale Guido Scorza, “non hanno la
possibilità di introdurre una moneta nuova. L’intento non può essere quello di dire che da domani in
Italia si userà anche il Bitcoin, si tratta di un problema di competenza dell’Unione europea”.
Provare ad anticipare una decisione di Bruxelles ci metterebbe nella stessa situazione della Web tax,
la norma per tassare gli introiti delle Web company statunitensi approvata dopo un lungo dibattito e
rinviata di sei mesi in zona Cesarini per rimettersi al parere dell’Ue. In questo senso, prosegue
Scorza, “il testo di Boccadutri deve per forza fare riferimento al Bitcoin come nuovo strumento di
pagamento. Scrivere Bitcoin però è come scrivere Fiat, si restringe un campo in cui ci sono decine
di strumenti alternativi”. E non ci si può riferire a un marchio, per quanto indicativo di quello di cui
si sta parlando. Proseguendo con il paragone con le automobili, sarebbe come mettere nero su
bianco l’imposizione di un limite di velocità alle vetture del Lingotto. Se di strumento di pagamento
si tratta, spiega Scorza, “non ha senso fare una legge legata una soluzione specifica perché
l’accettazione o meno è un fatto convenzionale, si basa su un accordo fra i privati”. Si pensi a
Paypal, per citare un’altra soluzione nata in Rete, e alla possibilità o meno di utilizzarlo per
acquistare da differenti soggetti che decidono se abilitarlo come opzione. In Italia, per quanto in
misura limitata, esistono già negozi o liberi professionisti che accettano Bitcoin (segnalati su questa
mappa). Boccadutri sembra accorgersi del problema nell’ultimo comma, quando inizia a parlare
anche di “altre crittovalute”.
Altro aspetto da considerare è quello dell’affidabilità: “Boccadutri lo prende in considerazione
definendo la valuta utile allo scambio e non a fini di deposito”. Dice, in sostanza, di voler
regolamentare gli acquisti ma non prende in considerazione l’accumulo, e quindi il valore oggettivo
di quello di cui sta parlando. Il problema attuale della moneta elettronica è proprio la volatilità del
valore. Nel giro di poche ore si può oscillare di cifre ancora importanti, aspetto che la rende quasi
più appetibile per chi vuole investire un po’ di soldi piuttosto che per gestire le somme accumulate
per effettuare i pagamenti. Secondo Scorza “non ci sono ancora i requisiti tali da consentire a un
legislatore di sbilanciarsi”. A livello mediatico, un emendamento di questo genere rischierebbe di
scaraventare una pratica ancora in via di definizione nel quotidiano di consumatori non abbastanza
consapevoli. E, ancora, si pensa all’identificazione in un contesto basato sull’anonimato invece di,
come stanno facendo gli Stati Uniti e l’Europa, concentrarsi sullo scambio di Bitcoin in dollari o
euro. Il firmatario del testo entrerà nel merito della questione il prossimo 30 gennaio con un
incontro a Monetecitorio e si è detto su Twitter disponibile a ricevere osservazioni entro le 22 di
oggi. Bisogna, ha spiegato, “avviare un percorso fattivo sul Bitcoin poiché la sua innegabile
diffusione non può essere lasciata senza una concreta osservazione istituzionale e relativa
regolamentazione”. Ed è solo al termine di un percorso di questo tipo che si avranno,
eventualmente, gli strumenti per intervenire o per decidere di non farlo.
(corriere 22 gennaio 2014)
Che il bitcoin sia uno strumento di risparmio e speculazione lo dimostra il fatto che esista un trading
http://bitcoincharts.com/charts/bitcurexEUR#rg90ztgSzm1g10zm2g25zi1gRSIzps