SPECIALE LA STAMPA 3 35 LA STAMPA 4 Marmolada, la Galleria Rosso, galleria d’attacco italiana verso le linee austriache Le lezioni della Storia CHRISTOPHER CLARK CAMBRIDGE (GRAN BRETAGNA) N ella primavera del 2011 ero nel bel mezzo della stesura di un capitolo sulla guerra italo-turca del 1911, un conflitto scoppiato quando il Regno d’Italia attaccò e invase il territorio ottomano oggi conosciuto come Libia. Questa guerra, ormai quasi completamente dimenticata, fu la prima nella quale un aeromobile fu utilizzato come mezzo di ricognizione per segnalare le posizioni nemiche all’artiglieria; fu inoltre la prima occasione nella quale vennero effettuati bombardamenti aerei, utilizzando ordigni sganciati dagli aeroplani e dai dirigibili italiani. Avevo a malapena cominciato a scrivere, quando giunse la notizia dei nuovi attacchi aerei in Libia. Esattamente cent’anni dopo, le bombe cadevano ancora una volta sulle città libiche e sui quotidiani si leggevano gli stessi nomi - Tripoli, Bengasi, Sirte, Derna, Tobruch, Zauia, Misurata dei giornali del 1911. SEGUE A PAGINA XVI GIOVEDÌ 16 GENNAIO 2014 I . Cento anni dopo la Grande Guerra: quante e quali eredità ha lasciato l’evento bellico che cambiò il mondo? Molte più di quante immaginate. Ve le raccontiamo in queste pagine realizzate con i nostri partner europei 4 13 © LUCA CAMPIGOTTO 2 LA STAMPA .SPECIALE GIOVEDÌ 16 GENNAIO 2014 LA GRANDE GUERRA / IL REPORTAGE II La vista da Punta Linke verso il monte San Matteo: con i suoi 3632 metri, la cima fu uno dei centri nevralgici del fronte nel gruppo Ortles Cevedale Sarajevo, terra rossa di sangue dove l’Europa è morta due volte Viaggio nei Balcani: nel 1914 qui scoppiò la guerra, oggi “pensano tutti al passato” DOMENICO QUIRICO INVIATO A SARAJEVO (BOSNIA ERZEGOVINA) Q ui l’Europa è morta, due volte. A Sarajevo. Questa è una terra rossa di molto sangue. Il 28 giugno 1914 bastarono due colpi di pistola, non sembra niente; e poi, venti anni fa, ma furono mille giorni in cui barbari versarono sangue come se fosse acqua. Sì, fino a noi è colato il veleno di Sarajevo. Questo è il cuore di tenebre, da allora la coscienza europea rantola sotto le macerie del suo universo. Bisogna venire qui, nei Balcani, per capire gli ottusi egoismi che l’hanno assassi- nata: in questo campo d’armi sconfinato per l’urto tra popoli avversi, non solo tra eserciti. La guerra, che migliora i buoni, avvilisce i deboli, animalizza i malvagi. Ed esalta ogni realtà umana. Eppure questa città esorbitante annunziatrice dello sfacelo universale è placida, grigia e gialla distesa a ventaglio su ripide montagne, son grappoli ingarbugliati di casupole, accozzaglie di tetti minuscoli, una trama troppo intricata per poterla distinguere, dove svettano solo le cupole bulbose della cattedrale ortodossa e i minareti lanciati in alto come giavellotti. I muezzin non lanciano più la loro vibrante cantilena. Ma non lontano da qui, a Gornia Maucia, ci sono i vehabi, barbuti fondamentalisti, che vivono con la sharia. Nella nubecola grigia sospesa a festone tra monte e monte che l’avvolge la montagna boscosa sembra raccogliere il tepore di tutto il giorno, conservare per questi uomini che ne hanno tanto bisogno la bontà della natura. Sì, la montagna stende le braccia e avvolge le case. Ma è nella periferia grigia, lugubre, che a poco a poco si infervora inizia a palpitare e dopo qualche gesto inatteso diventa viva, che conti ancora, dopo anni, le ferite di Sarajevo: nei palazzoni immensi di cemento sfibrato, e ti vien voglia di passarci le mani, sfiorarle ad una ad una, le cicatrici Monte Cristallo, postazione italiana sulla cresta Zurlon verso la Croda Rossa d’Ampezzo delle bombe e della mitraglia, sulle cuciture fatta alla svelta, da poveri, con mattoni diversi, che da lontano sembrano croste. Nella via principale piccoli mendicanti ti inseguono con tenacia, davanti al cippo dei caduti, nella via del maresciallo Tito, scugnizzi impudenti si scaldano beffardi al fuoco degli eroi. Al mercato dei martiri, a Markale, tutto è nascosto, anche la lapide con i nomi delle vittime, dalle casse di arance e di verdure. Contro questa serenità che già ricopre le tragedie qualcosa dentro di noi protesta come se l’oblio non fosse una legge di natura per lasciarci vivere ma una voluta ingiustizia degli uomini. Era una città che non aveva nazio- Lagazuoi, Col dei Bos: una trincea italiana in direzione SPECIALE LA STAMPA GIOVEDÌ 16 GENNAIO 2014 III . Il fotografo: “Un’avventura nel tempo” Cima Bocche, roccaforte austroungarica che fu al centro di combattimenti soprattutto nel biennio 1915-1916 ne, ma le comprendeva tutte, come accade talora per miracolo nella Storia, ognuna con la propria razza, i propri costumi la propria lingua. Oggi non esiste più, e furono quegli spari, cento anni fa che l’hanno uccisa. Scelgo due luoghi per ricordare, entrambi lungo il corso della Miljiacka che manda, nell’acqua, deboli bagliori come di ottone antico. In questo angolo, nell’estate sciagurata di cento anni fa, il fato per un vertiginoso attimo depose le sorti del mondo nelle mani del tutto inaffidabili di un piccolo studente serbo, tubercolotico e forsennato, che uccise l’erede di un impero millenario. Una data che da allora non significò più un giorno del calendario, ma un imperioso richiamo alla fine e all’inizio di opposti periodi. C’è un piccolo museo all’angolo fatale, uno dei pochi aperti della città: negli altri piove dentro, hanno tagliato i finanziamenti in questo affanno di corruzione, di avidità di riguadagnare il tempo perduto con il socialismo e la guerra dissennata. Pochi oggetti, scarne diciture che non restituiscono niente dell’immensità tragica di quel gesto e delle conseguenze. Eppure… È irraggiungibile la fuga delle idee, come queste si tramutino qui in rappresen- tazioni, è misterioso il velocissimo mec- co, non vogliono che l’eroe Gavrilo su cui canismo: le colonne dei giovani falciati fioriscono spettacoli e libri, venga dedal maglio insanguinato della Morte di- scritto come terrorista colpevole del ventata industriale, una generazione in- Grande Massacro. tera, il fiore dell’Europa spazzata via dalHusnija Kamberovic, direttore della guerra che stette ferma nelle trincee l’istituto storico che organizza il conveper anni e imputridì come le acque, l’ab- gno è un uomo mite, un modo di parlare baiare dei nazionalismi e dell’odio etnico. cordiale, consueto, eppur denso di dotQui, in questo canto, è iniziato il secolo trina, di quelli che gli scolari amano, non infelice, è stato uccisa la idea che il male è brancola scoraggiato nel labirinto minoradicato nel mondo, che, certo, è impossi- taurico di queste opposte interpretaziobile forse levarlo del tutto ma che è bello ni: «Qualcuno si è tirato indietro, è vero. e consolatore combattere per il bene; Non importa! Abbiamo già 140 lavori che, sì, il progresso è inevitabile e l’egoi- storici da 27 Paesi, non è male per un smo, alla fine, sarà istituto locale come il piegato dalla generoL’ANNIVERSARIO DIVIDE nostro. Gavrilo Prinsità. Sono sbocciati il resterà sempre un In Bosnia dal 18 al 21 giugno cip sibaritismo della eroe per i serbi e un ci sarà un grande convegno terrorista per gli alvendetta e le accuse In Serbia un altro, con i francesi tri, ma non è questo irremissibili. Sarà per questo l’approccio storico. che un anniversario IL PROBLEMA DELLA MEMORIA L’attentatore fu maniancora divide. Dal 19 dai circoli mili«Non possiamo cambiare polato al 21 giugno si terrà tari serbi. Ma anche i la Storia e migliorarla circoli militari auun grande convegno, ma ci saranno alcuni ma non possiamo ignorarla» striaci volevano la Paesi come la Serbia, guerra. Il problema, che ne ha organizzato un altro con la soprattutto qui per noi, è la memoria. Francia (la vecchia alleanza dei giorni di Non possiamo cambiare la storia invenSarajevo si rinnova). A Belgrado tutto è tandoci un passato migliore, ma non vissuto con grande fervore nazionalisti- possiamo trascurarlo perché non sa- remmo consapevoli. Una mia allieva ha fatto una tesi in cui voleva raccontare i crimini commessi dai serbi contro Sarajevo, le ho suggerito di raccontare anche quelli che sono stati commessi, qui, dentro la città». Dell’altra guerra, quella appena finita, ne parlano con una sorta di lugubre orgoglio, come nell’Europa al cospetto della peste nera. I giorni della sanguinosa epopea si sono appassiti di delusione. Al caffè Boris Smoje, dove si riuniscono i ragazzi della Accademia delle belle arti l’incalzante ed espressiva eloquenza della lingua serba giunge come uno scroscio di acqua fresca. La via si chiama Stepan Radic, un deputato croato ucciso negli anni venti da un serbo. Altri delitti… «Il problema è che a Sarajevo pensano tutti al passato nessuno guarda avanti». Marin Bersic è un giovane giornalista che lavora per Al Jazeera-Balcani: «Da voi la crisi è un momento storico, qui è uno stato d’animo. Tutti dicono di essere vittime, i bosniaci, i serbi, i croati. Come nella prima guerra mondiale: tutti erano aggrediti. Ma bisognerà prima o poi trovare qualche colpevole…». Due mesi fa hanno trovato a Tomascica una fossa comune, si continua a scavare... «Su quelle montagne ho trovato un giacimento di meraviglie. E voglio continuare a esplorarlo». Quella di Luca Campigotto è un’avventura che va al di là del reportage, oltre il classico rapporto tra un fotografo e il suo soggetto. È l’appassionato e tenace tentativo di far rivivere la storia di cent’anni fa. La ricerca dello scatto perfetto, capace di riportare a galla una guerra lontana, il suo fascino eroico, il suo odore crudele. «Può sembrare un progetto difficile spiega - ma quando senti un collegamento così forte con un paesaggio, quando senti che ti appartiene internamente, diventa quasi naturale. Io ho alle spalle una formazione storica e per me è stata ed è un’avventura piena di echi, suggestiva, un viaggio nel passato e anche nella solitudine». Spopolate e inospitali, le foto di Campigotto sono una testimonianza storica potente, d’impatto eccezionale. Sono al centro di questo speciale Europa e diventeranno a breve un libro, con il patrocinio della Presidenza del Consiglio. «Ma è un lavoro cominciato vent’anni fa, quando iniziai fotografando in bianco e nero il Pasubio, il VallortigaLuca ra, i forti di Campigotto Folgaria», racconta. «La scorsa estate sono tornato su in montagna, camminando tantissimo, a volte correndo qualche pericolo. Ho inseguito la sensazione di essere il primo ad arrivare o l’ultimo ad andar via, qualcosa che m’era successo solo davanti alle piramidi d’Egitto o ad Angkor in Cambogia. Un paio di volte mi sono perso di notte, ma spesso le luci basse e l’atmosfera delle Alpi mi hanno regalato uno straniamento impagabile, un viaggio nel tempo». Il patrimonio di memoria che le montagne continuano ancora oggi a portare sulle spalle sembra davvero sconfinato. Le tracce non serve neppure cercarle. «Sono ovunque, con un paesaggio severo ed eroico a fare da sfondo», spiega Campigotto. «Ci sono posti come il Lagazuoi che sono un museo a cielo aperto e ci trovi i bossoli, il filo spinato, le lattine. Oppure la Croda Rossa di Sesto, dove si arriva a un ex villaggio austriaco a 2.600 metri di altitudine e sembra appena finita la battaglia. Da brividi. Eppure - ed è la cosa che mi ha più colpito - gran parte di chi ho incontrato su quelle montagne, anche chi ne conosce ogni spuntone, sembra non curarsi di tutto questo». Le traduzioni I testi di questo speciale Europa «La Grande Guerra, 1914-2014» sono stati tradotti dallo Studio Melchior, Torino del Gruppo di Fanis Tra il Lagazuoi e il Col dei Bos: una postazione blindata LA STAMPA .SPECIALE GIOVEDÌ 16 GENNAIO 2014 LA GRANDE GUERRA / I COMBATTENTI IV LA LEGGENDA DEL PIAVE Quella casa vicino al fiume racconta tre anni di battaglia Casa Rossi a Visnadello fu requisita dall’esercito che ne fece un avamposto Nei diari di chi l’abitò la storia di una delle poche vittorie che possiamo celebrare M ICHELE BRAMBILLA INVIATO A VISNADELLO (TREVISO) Visnadello, piccola frazione del piccolo Comune di Spresiano in provincia di Treviso, a quattro chilometri dal Piave, c’è una casa che racconta una storia. Si chiama Casa Rossi da quando è stata costruita, cioè dal 1899. La storia che racconta è tanto gloriosa al punto che gli italiani ne hanno fatto una leggenda, «La leggenda del Piave»: «S’udiva intanto dalle amate sponde/ sommesso e lieve il tripudiar dell’onde./ Era un presagio dolce e lusinghiero,/ il Piave mormorò:/ Non passa lo straniero». Per intere generazioni siamo cresciuti con in testa quelle note imparate a scuola. È una delle poche vere vittorie che noi italiani possiamo celebrare. Qui, sulle amate sponde, per tre anni i nostri soldati ingaggiarono con gli austro-ungarici una delle più terribili battaglie della Grande Guerra. Alla fine, lo stranierò non passò. I Rossi abitano ancora qui. La signora che mi riceve si chiama Norina e sposò Giacomo Rossi detto Gimo, dal quale ha avuto due figli, Paola e Piero. Un altro Piero, il padre di Giacomo, aveva trentun anni nell’autunno del 1917, quando - dopo la disfat- A Il diario L’ultimo appunto dal diario che il Maggiore Mario Fiore tenne a Casa Rossi. Pochi giorni dopo il Maggiore morì nella Battaglia del Solstizio IL MAGGIORE FIORE «Di chi muore in guerra qualcosa rimane per secoli: l’opera da loro compiuta» ta di Caporetto - l’esercito italiano requisì la casa per farne un avamposto del proprio comando per la resistenza sulla linea del Piave. «Le donne - racconta la signora Norina - furono sfollate a Cento, nel Ferrarese; il mio futuro suocero Piero fu richiamato alle armi e mandato a Saronno, in Lombardia; in casa rimase suo padre a ospitare i soldati». Erano quelli del 79esimo Bat- Soldati italiani a Casa Rossi nel 1918 taglione Zappatori del Genio, al comando del maggiore Mario Fiore, un napoletano nato nel 1886 e allievo dell’Accademia militare di Torino. Su un muro della casa, una lapide posata il 17 giugno 1934 ne ricorda la presenza. Casa Rossi è oggi, nel blocco principale, praticamente uguale a com’era negli anni della Grande Guerra. Solo che allora qui era aperta campagna; c’era un maglio in cui si facevano attrezzi per l’agricoltura e un mulino alimentato da una derivazione del Piave, il canale Piavesella. In sala, accanto al sofà, è rimasta una cassa di legno rivestita di rame nella quale si tenevano i fucili. «Mio padre, Luigi Secondo Bettiol, era un ragazzo del ’99. Fu chiamato alle armi a 17 anni e fece la battaglia del Piave a Pederobba: lo nominarono Cavaliere di Vittorio Veneto», racconta la signora Norina, che ha scritto le memorie di famiglia e ha conservato il diario che il maggiore Fiore tenne in questa casa. È un cimelio. Visnadello dopo un bombardamento austriaco In Casa Rossi, Fiore era arrivato nel febbraio del 1918. «Sono qui da ieri mattina - annota domenica 24 febbraio alle ore 17 -. Si lavora al ripristino dell’argine regio di riva destra del Piave». Incontra al Montello gli alleati inglesi e il suo primo impatto è critico: «Nulla da imparare dagli inglesi. Un maggiore, comandante di una batteria inglese, ci ha dichiarato: “Noi in Italia essere in congedo”». Ha invece una buona impressione dei francesi: «Molto da imparare, soprattutto per quanto riguarda l’impiego degli aeroplani e dell’artiglieria (...) Noi invece lanciamo la fanteria avanti, senza una grande protezione di artiglieria. Parlando dei nostri soldati il maggiore francese così si espresse: “Voi avete degli uomini che soffrono e che sanno ben soffrire”». Il 28 febbraio descrive un bombardamento austriaco su Spresiano («Mi ha ucciso un soldato e ferito altri otto»), il 27 marzo è critico con i suoi supe- riori «Ci dichiarano indispensabili soltanto quando fa loro comodo. Negli altri casi ci cacciano a calci nel sedere». L’ultimo appunto è di giovedì 13 giugno: «Calma e silenzio: solo pochi colpi di artiglieria su Spresiano. S’avvicina o s’allontana l’offensiva austriaca?». Si stava avvicinando. Per respingerla, alle tre del pomeriggio del 17 giugno 1918 il Maggiore Fiore cade a San Mauro di Bavaria, ucciso da un colpo di mitragliatrice al petto. In una lettera alla sorella Gemma aveva descritto così chi combatte per la Patria: «Essi sì, vanno incontro alla morte; ma com’è diversa la loro morte da quella che colpisce l’uomo nella sua casa dopo lunga vita, quasi per legge naturale! La loro vita è troncata, ma qualche cosa di essi pur rimane per secoli e secoli: l’opera da loro compiuta, che la morte non può distruggere e che affida i loro nomi all’immortalità». SPECIALE LA STAMPA GIOVEDÌ 16 GENNAIO 2014 V . Disfatta Caporetto, tra ottobre e novembre 1917 gli austroungarici sfondano le linee italiane Difesa Nel novembre 1917, le truppe italiane impostarono la linea difensiva sul fiume Le mappe La ricostruzione delle battaglie, anche di quelle nelle pagine seguenti, è di Matteo Pericoli Casa Rossi in una fotografia al tempo della Grande Guerra Casa Rossi oggi Intervista all’erede della dinastia e ci sono scivolate dentro come sonnambuli». Carlo d’Asburgo: “La Ue è il proseguimento dell’Impero con altri mezzi” CATHRIN KAHLWEIT Quale ruolo ha avuto nella Prima guerra mondiale Suo nonno, l’ultimo imperatore? «Un ruolo piccolo, lui ha solo ereditato la guerra. Anzi, si è impegnato molto per la pace cosa che gli si è anche ritorta contro - e ha sfruttato i contatti familiari per condurre colloqui di pace. Non penso che, all’inizio del primo conflitto mondiale, qualcuno si potesse immaginare in quale livello di Dove potrebbe stare la responsabilità degli Asburgo? «In Austria c’era un preparazione militare lacunosa, quasi non avevamo soldati pronti all’impiego; uniformi molto belle, ma poco più: questo è ciò che è mancato davvero». Dopo la guerra ci fu una sollevazione contro gli Asburgo? «No, al contrario: ci fu ancora e sempre una grande simpatia verso l’imperatore, gli veniva dato atto di essersi impegnato per la pace e per gli indigenti». atrocità e di follia la guerra sarebbe degenerata. Gli austriaci hanno pensato che sarebbe stata una piccola guerra, nella quale noi avremmo sistemato un po’ di cose in Serbia». bia. Forse gli era anche chiaro di essere visto dai serbi come nemico numero uno, poiché voleva bilanciare - o magari ridurre - il dominio dei serbi all’interno della popolazione slava». Quale ruolo ha giocato il successore al trono Francesco Ferdinando? Il dibattito sul fattore scatenante si è riacceso. Domina la tesi che ci fosse una sorta di ubiqua predisposizione alla guerra. Condivide? «No, altrimenti questo significherebbe che pensavamo di esserci resi colpevoli. Aveva molto più a che vedere con il senso del dovere». «Simpatizzo per la tesi di Christopher Clark, secondo la quale tutte le parti avevano i loro specifici interessi in questa guerra, Suo padre operò come un roboante paneuropeo. La Storia ha confermato il suo entusiasmo per una grande Europa? «Francesco Ferdinando ha visto in modo molto chiaro che la situazione della popolazione slava era un problema-chiave all’interno dell’impero asburgico. E vide anche le tensioni con la Ser- Quanto poi ha fatto Suo padre, Otto d’Asburgo, fu una sorta di riparazione dei danni? «Sono contento che lo sviluppo dell’Europa sia andato nella direzione che lui aveva pensato. La Ue è, con altri mezzi, il proseguimento dell’antica idea sovrannazionale dell’impero. Esattamente ciò che ha visto e voluto Otto d’Asburgo. Le condizioni sono cambiate, ma noi continuiamo a lavorare all’idea di un ordinamento giuridico sovrannazionale e sul principio di sussidiarietà». Qual è la sua idea d’Europa? «Nella mia attività per “Blue Shield”, che si impegna per la protezione dei beni culturali nei territori di guerra, sono spesso in Africa e vedo come si guarda all’Europa. Gli africani considerano l’Europa orientata al futuro, è ammirata l’idea di una corte di giustizia europea. L’idea di Stato nazionale appartiene al secolo passato». VI LA STAMPA .SPECIALE GIOVEDÌ 16 GENNAIO 2014 LA GRANDE GUERRA / LE BATTAGLIE LA CAMPAGNA DI GALLIPOLI Il massacro sui Dardanelli che fece nascere tre nazioni Turchi, australiani e neozelandesi, allora nemici, sentono uno strano legame E la penisola è ora meta di pellegrinaggi in memoria del mezzo milione di morti JOSE MIGUEL CALATAYUD ÇANAKKALE (TURCHIA) È una mattina d’inverno fredda e luminosa, e il traghetto attraversa lentamente lo stretto dei Dardanelli da Çanakkale verso Eceabat nella penisola di Gallipoli, nel Nord-Ovest dell’attuale Turchia. L’imbarcazione trasporta qualche automobile, alcuni autobus e poche persone, che osservano il mare quasi vuoto. L’immagine era molto diversa la mattina d’inverno del 19 febbraio 1915, quando le corazzate britanniche e francesi iniziarono a bombardare le fortezze che l’Impero Ottomano, alleato delle Potenze Centrali, aveva stabilito su entrambi i lati dello stretto. Gli Alleati volevano controllare i Dardanelli e arrivare fino a Costantinopoli, sul Bosforo. La grande offensiva navale ebbe luogo un mese più tardi: 18 corazzate, accompagnate da missili e cacciatorpedinieri, riuscirono a raggiungere la parte più stretta del passaggio. Il risultato fu di tre corazzate affondate e di altre tre danneggiate. MUSTAFÁ KEMAL Disse: «Non vi ordino di combattere vi ordino di morire» IL CONSOLE SERGI Dice: «Quando l’Australia era un Paese giovane creò uno spirito nazionale» Gli Alleati, allora, decisero di attaccare via terra. Il 25 aprile, i soldati britannici sbarcarono nell’estremo sud della penisola. Le forze australiane e neozelandesi, o Anzac, sigla inglese, giunsero su una stretta spiaggia nella costa occidentale, conosciuta poi come Baia dell’Anzac. Oggi, la penisola di Gallipoli accoglie il traghetto tra il freddo e il vento, in un paesaggio di piccole spiagge ripide e sentieri che serpeggiano tra le colline ricolme di pini. E di tombe. Lapidi bianche, piccoli monumenti ed enormi memoriali che sorgono in continuazione su entrambi i lati del percorso, e che danno forma ai 32 cimiteri nei quali giacciono i soldati della fazione alleata. Inoltre, vi sono almeno 28 fosse comuni nelle quali le truppe ottomane seppellirono i propri caduti. Il giorno dello sbarco, i turchi riuscirono a contenere l’attacco, ma nell’Anzac presto restarono senza munizioni. Mustafá Kemal, tenente colonnello di 34 anni, parlò ai suoi soldati: «Io non vi ordino di combattere, vi ordino di morire. Nel tempo che impiegheremo a morire, altri comandanti e altri soldati verranno a prendere il nostro posto». Baia dell’Anzac Nella foto, un soldato dell’Anzac mette in salvo un commilitone durante l’offensiva di Gallipoli: i soldati dell’Anzac erano australiani o neozelandesi Le sue truppe, armate unicamente di baionette, si lanciarono allo scontro con australiani e neozelandesi, che furono arginati. Dopo il conflitto, Kemal guidò i turchi nella Guerra di Indipendenza contro gli Alleati e, nel 1923, diventò il fondatore della Repubblica Turca. Ricevette il titolo di Ataturk, o «padre dei turchi». Oggi, la Turchia commemora la difesa ottomana di Gallipoli come il momento chiave che diede origine alla concezione moderna dell’attuale repubblica. Durante la campagna, una tregua consentì agli australiani e ai neozelandesi di fraternizzare con i turchi, per quello che sarebbe stato l’inizio di un’amicizia molto particolare. La sofferenza condivisa finì per far nascere gesti di cameratismo. I turchi lanciavano datteri e dolci all’altro lato della terra di nessuno e gli alleati rispondevano con carne in scatola e sigari. «La Campagna di Gallipoli fu molto importante per lo spirito australiano, quando eravamo ancora un Paese giovane e desideroso di mostrare alla patria ancestrale che eravamo cresciuti», riflette Nicholas Sergi, console australiano a Çanakkale, che estende quest’impressione ai suoi vicini neozelandesi. Oggi, Çanakkale e la Penisola di Gallipoli sono diventati un luogo di pellegrinaggio. Il 25 aprile, giorno dello sbarco, per l’Australia e la Nuova Zelanda è l’Anzac Day, festa nazionale che commemora la campagna e che prevede manifestazioni ufficiali anche a Gallipoli. Non solo la Turchia, dunque, ma anche gli oceanici, considerano quella campagna alla base della nascita delle loro nazioni. Nel 1915, tra dicembre e gennaio, gli Alleati, sconfitti dalla resistenza turca e dall’asprezza delle condizioni, sgomberarono la penisola. Benché le cifre esatte non siano note, si stima che ciascuna fazione registrò circa 250 mila morti, sia a causa dei combattimenti che delle malattie. Mezzo milione di morti, dei quali circa 120 mila sono seppelliti a Gallipoli. «A quegli eroi che versarono il proprio sangue e persero la vita, ora siete sul suolo di un paese amico, perciò riposate in pace. Per noi, non ci sono differenze tra i Johnny e gli Mehmet che giacciono insieme qui nel nostro paese», scrisse Ataturk nel 1934 per commemorare la battaglia. Oggi, ormai notte, il traghetto torna verso Çanakkale. Un’enorme scritta illuminata su una delle colline rompe l’oscurità. Sono le parole del poeta turco Necmettin Halil Onan. «Viaggiatore fermati! La terra che calpesti Una volta fu testimone della fine di un’era». SPECIALE LA STAMPA GIOVEDÌ 16 GENNAIO 2014 VII . Stallo La campagna alleata di Gallipoli durò quasi un anno, dal febbraio 1915 al gennaio 1916 Svolta La battaglia di Verdun iniziò il 21 febbraio 1916 e terminò a dicembre del 1916 VERDUN E DINTORNI Dove le armi chimiche colpiscono ancora Cent’anni dopo, il suolo ai confini tra Francia e Belgio è avvelenato dal conflitto BENOÎT HOPQUIN VERDUN (FRANCIA) S ituato a qualche chilometro da Verdun, il luogo è come un pezzo di tundra nella Francia orientale. Qualche raro lichene, qualche muschio rinsecchito che si aggrappa tenacemente al suolo, mentre tutto intorno la foresta sprigiona verso l’alto le sue molteplici essenze. La radura ha un soprannome ben noto agli agenti forestali e ai cacciatori: la Place à gaz (piazza del gas). La ragione di tale toponimo è conosciuta da pochi altri. In questo sito, dopo l’armistizio, furono trasportati per essere «neutralizzati» centinaia di migliaia di obici inesplosi provenienti dai campi di battaglia circostanti. Duecentomila di questi ordigni appartenevano all’arsenale chimico tristemente dispiegato sui campi della prima guerra mondiale. Il suolo conserva gli strascichi di tale produzione, trabocca di metalli pesanti, rame, piombo, zinco ma soprattutto arsenico e perclorato d’ammonio. La concentrazione di arsenico è da mille a diecimila volte più elevata che nell’ambiente naturale. Il terreno è inquinato e acido a tal punto che solo tre tipi di piante riescono a sopravvivervi. Nel 2005 le autorità francesi decisero recintare il luogo e successivamente, nel 2012, di interdirne formalmente l’accesso. La Piazza del gas non è il solo danno ambientale lasciato dietro di sé dalla guerra del 1914-18. Sull’antica linea del fronte, in Fort Vaux, nei pressi di Verdun, uno dei centri della battaglia Francia e in Belgio, molti luoghi che conservano le stigmate ecologiche del conflitto. Dopo la fine della guerra, i poteri pubblici hanno delimitato una zona rossa che includeva i luoghi principali dello scontro. Lo Stato ha rilevato i terreni più colpiti, ha piantato foreste su di essi e non si è più preoccupato di questi sacrari. Sotto la spinta dei residenti inconsapevoli dei rischi, le altre zone sono state poco a poco rimesse a coltura o edificate. «L’amnesia è generale da un secolo a questa parte», constata Jacky Bonnemains, responsabile dell’associazione ecologica Robin des Bois. Jacky Bonnemains lotta da 14 anni contro questo problema. Secondo lui, le armi della Grande Guerra continuano ad avvelenare l’uomo. L’arsenico contenuto nel terreno raggiunge le falde freatiche. Il piombo delle granate satura altri terreni. Materiali non degradabili come il mercurio, contaminano l’ambiente per molto tempo, se non per sempre. Circa il 15% dei miliardi di obici utilizzati durante il conflitto è rimasto inesploso; una parte di tali munizioni resta interrata. La brigata degli artificieri di Metz, che si occupa di tre dipartimenti sull’antica linea del fronte, registra mille richieste d’intervento l’anno, trattando, su questa sola porzione delle antiche trincee, da 45 a 60 tonnellate di munizioni. «Noi siamo gli spazzini dei campi di battaglia», spiega Christian Cléret, responsabile di questa squadra di undici persone, egli stesso figlio di un artificiere. L’artificiere vanta trent’anni di esperienza, in base ai quali sa valutare al primo sguardo il tipo e la pericolosità degli obici, delle granate e di altri residuati del passato. «Più passa il tempo, più si pone il problema della sensibilità. Gli involucri sono resi fragili dalla permanenza nel terreno in un ambiente umido, afferma. Tali condizioni accelerano il processo d’invecchiamento». Circa il 2% delle munizioni ritrovate è di tipo chimico, principalmente contenenti iperite (gas mostarda), fosgene e difosgene. Christian Cléret e i suoi uomini hanno imparato a trovarle. «In caso di dubbi, si procede a una radiografia». Nel 1997, dopo la firma da parte della Francia della Convenzione che proibisce lo stoccaggio di armi chimiche, è stato avviato un progetto per un centro di trattamento. Nella migliore delle ipotesi, l’impianto dovrebbe aprire nel 2016. Gli obici chimici verranno trattati in una camera di detonazione stagna e i residui recuperati e trattati in altre unità specializzate. Dopo la guerra, i paesi belligeranti nascosero le munizioni non utilizzate, in particolare quelle chimiche, in luoghi classificati top secret. In Francia, migliaia di tonnellate di esse sono infatti state immerse nel lago d’Avrillé (Maine e Loira) o sepolte nel crepaccio Jardel (Doubs). In Belgio, una parte degli stock giace al largo di Zeebruge. Le autorità militari non avevano evidentemente pensato al dopo. «Quando i popoli vogliono scendere in guerra, non si preoccupano troppo delle generazioni future», constata Jacky Bonnemains. VIII LA STAMPA .SPECIALE GIOVEDÌ 16 GENNAIO 2014 LA GRANDE GUERRA / INSEGNARE LA STORIA Germania “Il mio asso nella manica è portare i ragazzi in visita al Museo delle forze armate” FRITZ SCHÄFFER INGOLSTADT Non è mai semplice affrontare i temi della modernità in classe, soprattutto nelle scuole superiori: troppi aspetti ancora discussi e discutibili, troppe questioni ancora aperte. Così vicina eppure così apparentemente lontana, la Grande Guerra è anche la Grande Dimenticata di molti programmi scolastici Per tutte le lezioni di Storia si pone naturalmente la domanda di come si possa risvegliare l’interesse negli alunni, e se un fatto storico per non risulti troppo astratto. In linea di massima, per la Prima guerra mondiale c’è interesse per le conseguenze concrete sulle persone. Nel mio ginnasio ad Ingolstadt viene proposta anche la visita al Museo bavarese delle forze armate. Qui una mostra permanente illustra la vita quotidiana al fronte, oppure gli stenti delle famiglie in patria; qui di norma si riesce davvero a far avvicinare i ragazzi al tema. Vi si trovano ricostruite delle trincee, Schäffer, 47 anni, insegna Storia al ginnasio di Ingolstadt, Alta Baviera si può saggiare il peso degli zaini militari. Se la visita guidata al museo non si sofferma troppo sui dettagli, nei ragazzi rimangono delle impronte importanti. Ma non per tutte le scuole c’è la fortuna di avere un tale museo in città, anche se molti colleghi vengano con le loro classi da fuori. E ben più difficili si presentano le lezioni su aspetti pure astratti della guerra mondiale. Il nostro piano didattico di [testo raccolto da Johann Osel] Tre Cime di Lavaredo, caposaldo austriaco Il monte friulano Pal Piccolo, dove è possibile visitare i resti delle trincee e dei baraccamenti Abbiamo chiesto ai giornali partner del progetto Europa di cercare insegnanti di Storia particolarmente appassionati al tema, maestri veri, impegnati ogni giorno nella trasmissione del sapere: ecco che cosa ci hanno raccontato dei loro sforzi, mai banali, per coinvolgere i loro ragazzi nel racconto del Novecento Bavarese storia non è suddiviso in modo molto dettagliato per quanto concerne la distribuzione degli argomenti sulle ore. Per la Prima guerra mondiale vengono elencati blocchi tematici di massima, come la «nuova dimensione della guerra di posizione, l’impiego di uomini e mezzi e conseguenze sulla popolazione civile». Così spetta al docente decidere su quali punti concentrarsi e anche, ad esempio, fino a che livello di dettaglio trattare gli avvenimenti al fronte. In particolare il punto di svolta della Storia collegato all’ingresso degli Usa nella guerra e alla Rivoluzione d’ottobre non è affatto conosciuto da parte di molti studenti e studentesse. Sono alunni dell’ottavo anno, per la maggior parte quattordicenni. Si può pretendere la pura nozione, ma che i ragazzi davvero comprendano è molto più difficile. Manca anche il tempo per potersi confrontare su questi temi. E, certamente, il tema del nazionalsocialismo riscuote tra i ragazzi un interesse notevolmente maggiore rispetto alla Prima guerra mondiale. Francia “Parliamo solo della violenza senza spiegarne le ragioni” IANNIS RODER SAINT-DENIS Uno studente francese affronta tre volte, nel corso del suo percorso scolastico, le trincee fangose e gli assalti cruenti di quel conflitto. Dall’ultimo anno di scuola primaria, alla terza liceo passando per la scuola media, studia la Grande Guerra progredendo nel contenuto, ma con lo stesso approccio. Durante le 4-5 ore che i professori di storia di scuola media e superiore devono dedicare al conflitto, le problematiche selezionate dai programmi nazionali non mirano a una conoscenza approfondita della guerra e delle poste in palio, ma incitano gli insegnanti a concentrarsi su determinati aspetti, a discapito dell’apprendimento globale dell’argomento. Una volta affrontati rapidamente gli aspetti militari, sono le violenze di massa a costituire la tela di fondo e l’asse di studio principale. Quindi della battaglia di Verdun, simbolo della guerra di trincea e di un livello di violenza allora inaudito, il percorso didattico del professore deve permettere di comprendere il fenomeno di mobilitazione totale delle società in guerra. Di fatto la guerra non viene considerata come il punto di arrivo delle tensioni internazionali, della rivalità delle potenze europee, della creazione di alleanze, ma unicamente dal punto di vista della sofferenza e di una guerra di nuove dimensioni, che sottintende il coinvolgimento di immensi eserciti, stati e industrie, ma anche di popolazioni civili. La sofferenza dei combattenti sui campi di battaglia sminuisce il confronto franco-tedesco, quella delle popolazioni civili resta sullo sfondo o viene descritta in occasione dei massacri di massa di cui il genocidio degli armeni rappresenta un esempio emblematico. La Prima guerra mondiale non viene insegnata in quanto tale. Il trauma del fronte, lo stravolgimento delle società in guerra e le violenze dei genocidi preludono allo studio del secondo conflitto mondiale, quasi a meglio far comprendere che la Prima guerra mondiale è il punto di partenza di un percorso che conduce al culmine della violenza di massa, raggiunto in occasione della Seconda guerra mondiale. *Professore di Storia in un collegio della banlieue parigina SPECIALE LA STAMPA GIOVEDÌ 16 GENNAIO 2014 Italia “Il segreto è far capire che in quelle vicende ci sono le radici del presente” ROBERTO SANDRUCCI ROMA n Italia la Prima guerra mondiale è materia di studio per l’ultimo anno delle medie e delle superiori; al tema si dedica uno spazio importante nel programma. Parlare: per spiegare ai giovani la Prima guerra mondiale non esiste modo migliore. Bisogna raccontare che l’odio si costruisce, che i sentimenti degli esseri umani utili per fare la guerra si possono fabbricare. E quindi bisogna capire chi aveva interesse, e perché, a costruire quell’odio. Questo vuol dire interrogarsi sulle cause economiche, politiche, sociali e culturali del conflitto; sul ruolo della propaganda, ad I A Roma Sandrucci è professore di Storia e Filosofia al Liceo scientifico Newton di Roma esempio; o, in Italia, sull’interventismo della maggior parte degli intellettuali. È poi necessario trattare la guerra empiricamente, come evento con la sua cronologia, i suoi dati, le sue vicende; inserendo il tutto nel quadro internazionale e italiano di quel tempo. Sono professore di ruolo da 18 anni e sono un sostenitore della lezione tradizionale. Ritengo che l’aula rimanga il volano di qualsi- asi ragionamento: è lì che ci incontriamo come coscienze quando l’insegnante parla o legge e quando raccoglie le considerazioni, i dubbi, le richieste di approfondimento dei ragazzi. È nell’aula che l’insegnante lega il passato al presente. Il legame più immediato è con la guerra in Jugoslavia degli Anni Novanta. Parlo del clima di sfiducia democratica che c’era in quel periodo in Italia e in Europa, della convinzione che i partiti fossero il male della nazione, che il singolo potesse fare «la differenza», del culto della personalità forte, derivato dal romanticismo. Attribuisco molta importanza alla dimensione culturale della guerra. Appassiona la possibilità di smascherare i discorsi menzogneri, i populismi, i sofismi della politica, dell’economia e della cultura. Parlare del primo Novecento significa riflettere sulle origini della società di massa, con le sue istituzioni, il suo lessico politico, le sue tensioni: nella guerra entrano eserciti, partiti, movimenti, apparati statali. È a scuola, è nello studio, che ciò che è avvenuto cento anni fa può rimanere vivo, pieno di senso. [testo raccolto da Flavia Amabile] Gran Bretagna “I miei obiettivi? Superare gli stereotipi del fango e la miopia del nazionalismo” JONATHAN LISHER EDIMBURGO La Prima guerra mondiale non è realmente insegnata nelle scuole inglesi. Quasi tutti i bambini del Paese conoscono gli avvenimenti della guerra del 1914-1918, ma solamente nel ristretto contesto di un conflitto combattuto tra due nazioni, il Regno Unito e la Germania. Tutto ciò che imparano può essere riassunto in una parola: trincee. Nella stragrande maggioranza delle scuole inglesi, gli insegnanti di storia si concentrano principalmente sugli aspetti della guerra che più hanno visto coinvolto il nostro Scozzese Lisher insegna Storia al Fettes College nella capitale scozzese, Edimburgo Paese. Il risultato di questa prospettiva è che la battaglia delle Somme (1916), dominata dagli inglesi, riceve una grande attenzione, mentre la battaglia di Verdun (1916), egualmente importante ma vinta dai francesi, è quasi sempre trascurata. E così, la Prima guerra mondiale, nei ricordi di scuola della maggior parte degli inglesi, finisce per significare fango, filo spinato e mitragliatrici che sputa- . IX no fuoco sulle trincee del Fronte occidentale. Perché? Perché questa è stata l’esperienza della maggior parte dei soldati inglesi, un vissuto entrato a far parte della nostra cultura nazionale. La domanda che sorge più comunemente, dal nostro punto di vista britannico-centrico, è: «Il feldmaresciallo Douglas Haig era veramente uno ”stupido”?» O, in altre parole, il ritratto di Haig offerto da Geoffrey Palmer in Black Adder, in cui il generale, al sicuro a chilometri dal fronte, gioca con i soldatini sulla cartina, rappresenta veramente un quadro accurato della realtà storica? Il dibattito sulla questione, che dura ormai da quattordici anni, probabilmente avrà fatto rivoltare più volte il feldmaresciallo nella tomba, alimentando al contempo il mito secondo cui i soldati britannici sarebbero stati «leoni guidati da somari», abbandonati a se stessi dai ricconi al potere. Un mito che senza dubbio ha un suo fondamento nella realtà, ma che rappresenta certamente un pigro stereotipo semplicistico, facile da insegnare e da tramandare nel tempo. La Marmolada vista dal Monte Padon Spagna Polonia La Prof che racconta il conflitto con il film di Stanley Kubrick “Per farmi capire chiedo aiuto a Otto Dix e Bertrand Russell” J. A. AUNIÓN MADRID Sullo schermo, il colonnello francese soffia nel fischietto con tutte le forze, con la pistola in mano, affinché i suoi soldati, in un attacco suicida, escano dalla trincea per conquistare una posizione strategica. L’offensiva, impossibile sin dal principio, termina in un disastro e il comando decide di processare e condannare a morte alcuni uomini per codardia, per dare l’esempio. Quando arriva il momento di spiegare la Prima Guerra Mondiale, la professoressa di storia Pepa Chico Pajares ha l’abitudine di far vedere ai suoi alunni il film «Orizzonti di gloria», diretto nel 1957 da Stanley Kubrick e interpretato da Kirk Douglas, perché illustra molto bene, ci racconta, quella guerra di trincea in cui si combatteva metro dopo metro, o la pressione dell’opinione pubblica francese sulle decisioni dell’Esercito. All’inizio, quando scoprono che il film è in bianco e nero, i ragazzi borbottano un po’, «fino a quando non vengono coinvolti» ed entrano nella storia, spiega questa docente con oltre trent’anni di esperienza. In Spagna, la Grande Guerra si insegna a tutti gli alunni dell’ultimo anno della scuola obbligatoria, ossia il quarto anno di Eso, a 15 anni. All‘interno di un vastissimo programma che inizia con la caduta dell’Antico Regime, la Rivoluzione francese e che arriva fino ad oggi, in alcuni libri di testo la Pri- ma guerra mondiale non è inclusa come argomento a sé stante, ma è unita all’Imperialismo europeo della fine del XIX secolo. «È troppo poco», sostiene la professoressa. Ma più che per il fatto che la Spagna non prese parte alla Prima Guerra Mondiale, attribuisce ciò alla quantità di argomenti da insegnare: «Prima si arrivava alla Seconda guerra mondiale; ora c’è la guerra fredda, la caduta del muro di Berlino e si arriva fino ai giorni nostri. Ma il tema affascina me e anche i ragazzi. È uno dei nostri argomenti principali, insieme alla Seconda Guerra Mondiale». Perché? «Perché nonostante siano ragazzi del XXI secolo, il XX secolo per loro è certamente il più vicino. Inoltre, grazie ai film è entrato nell’immaginario collettivo». ANNA DZIERZGOWSKA VARSAVIA emo che i miei studenti non scoprano molto delle gesta dell’esercito polacco durante la Prima guerra mondiale. Spero che capiscano perché è chiamata la Grande Guerra. E che ricordino cosa di cela dietro alle parole «Niente di nuovo sul fronte occidentale». Il vantaggio dello studio del XX secolo per gli studenti che non ha Storia come materia dell’esame di Stato è la libertà dai vincoli imposti dall’esame. Lo svantaggio è che io non tanto insegnolaStoria,malafaccioconoscere. Devo scegliere un determinatomododiraccontarla:propongo quello in cui la prima guerra T mondiale segna un momento epocale. Spiego quindi una guerra che, sul finire del XIX secolo, era attesa e auspicata da larga parte dell’opinione pubblica. Leggiamo testi che raccontano come la borghesia vivesse una guerra immaginaria e una gloria immaginaria e la confrontiamo con estratti di racconti e di memorie dalle trincee del fronte occidentale o con le opere di Otto Dix. Le memorie di Bertrand Russell, i frammenti del «Dottor Faustus»oladescrizionedel«Giardino immaginario della cultura liberale» di Steiner consentono di mostrare la narrazione modernista sul XIX secolo come epoca di progressoeinsiemedicrisi.LaGrande Guerra segna il punto in cui la narrazione si interrompe e dopo il quale diviene impossibile. La Polonia è uno dei Paesi che acquistarono l’indipendenza a se- guito della guerra. La storia della Grande Guerra non è la storia di una catastrofe, ma di un avvenimento eccezionale che permise la ricostruzione dello stato polacco dopo 123 anni. Nella mia scuola tutte le terze iniziano l’anno con un viaggio a Sarajevo. Il viaggio nei Balcani permette di intavolare una discussione sul nazionalismo delle nazioni senza Stato, tema importante anche per la storia polacca. La GrandeGuerraèancheunpuntocruciale nella storia dell’emancipazione femminile. La Polonia introdusse il diritto di voto per le donne già nel 1918. Fu un grande successo, taciuto nel 2008 nel corso delle celebrazioni ufficiali dell’anniversario dell’indipendenza. * Insegnante di Storia al Liceo classico Jacek Kuron di Varsavia LA STAMPA .SPECIALE GIOVEDÌ 16 GENNAIO 2014 LA GRANDE GUERRA / I RICORDI X Gran Bretagna “Wilfred diceva sempre che un conflitto così non aveva vinti né vincitori” Germania Dorothy Ellis sposò il soldato Wilfred nel 1942 STEVEN MORRIS LONDRA La questione della guerra non venne fuori durante il corteggiamento. Fu solo dopo il matrimonio che Dorothy notò la cicatrice, delle dimensioni di una moneta da 50 centesimi, che suo marito aveva sulla gamba. «All’inizio - racconta lei - avevamo molte altre cose di cui parlare. E come tanti uomini di allora, non era molto propenso a raccontare quanto accaduto. Ma poi vidi la ferita e li mi disse: “È il foro di un proiettile”, e le cose cominciarono a venire a galla un pezzo dopo l’altro». A 92 anni, Dorothy è l’ultima vedova ancora in vita di un soldato della Prima guerra mondiale. Lei nacque tre anni dopo la fine del conflitto e sposò Wilfred nel 1942. Ma i suoi ricordi di Wilfred, delle loro conversazioni e i pochi oggetti che ancora conserva degli anni trascorsi dal marito sotto le armi, nel fangoso inferno del fronte occidentale, rappresentano un legame straordinario, fragile e prezioso con la Grande Guerra: «Mio marito mi disse che era stato colpito alla caviglia e che riusciva a malapena a camminare - racconta - si appoggiò alla spalla di un amico che lo guidò attraverso la terra di nessuno. I proiettili sibilavano tutt’attorno a loro ma, nonostante questo, riuscirono a non farsi colpire e a giungere dall’altra parte». I feriti venivano caricati su degli appositi carri. Wilfred chiese se poteva salire e riuscì a issarsi a bordo. «Si accaparrò l’ultimo posto sul carro», spiega Dorothy. Ma la mente di Wilfred fu segnata come il corpo da quanto accaduto sul fronteoccidentale?«Miomaritodicevasemprecheisoldatisentivanocheunasimile perdita di vite umane non avrebbe mai dovuto verificarsi. Alla fine della giornata non ci sono vincitori, solo vinti, in un modo o nell’altro. Wilfred ha sempre detto che quella da lui combattuta avrebbe dovuto essere una guerra per fermare tutte le guerre. Ma non è stato così. Le guerre esistono ancora oggi». Polonia “Nel mio paese si continuò a dire Dzien Dobry ma anche Guten Tag” Jozef Lewandowski era bambino al tempo della guerra BYDGOSZCZ Contrariamente a quanto si possa pensare, la prima guerra mondiale fu un periodo molto tranquillo, almeno per me e la mia famiglia. Di quei giorni non ricordo spari, battaglie o spargimenti di sangue. La fine della guerra? Andammo a dormire in Germania e il giorno dopo ci risvegliammo in Polonia. Non vi furono grandi festeggiamenti. Cambiarono la bandiera e tutta l’amministrazione. Nella strade di Bydgoszcz si sentivano ancora sia «Dzien dobry» che «Guten tag». I giornali tedeschi continuavano a uscire. Facevamo la spesa dagli stessi negozianti, principalmente tedeschi. Dopo la fine della guerra, nel 1919 a Poznan scoppiò l’insurrezione della Grande Polonia. La situazione a Bydgoszcz rimase calma, anche se nelle località vicine imperversavano gli scontri. E dopo l’insurrezione, le relazioni tra i polacchi e i tedeschi rimasero buone. Ci rispettavamo, anche perché avevamo vissuto fianco a fianco per molti anni. I polacchi parlavano benissimo il tedesco. Il mio maestro di scuola era un tedesco. Parlava piuttosto male il polacco. Ma ricordo che era una brava persona e un ottimo insegnante. In classe spesso ridevamo. Grazie a lui ho pure imparato il tedesco. Quando, ormai diversi anni dopo la guerra, decise di ritornare in patria i suoi allievi lo accompagnarono alla stazione e lo salutarono piangendo. Vi erano ovviamente anche tedeschi che non si sentivano a loro agio nella Polonia indipendente. Attaccavano briga e cercavano di vendicarsi. Io stesso da bambino ebbi un diverbio con il figlio del macellaio Wolf. Voleva picchiarmi perché parlavo polacco. Dovetti nascondermi a casa qualche giorno per non incontrarlo. La famiglia Wolf per fortuna si trasferì quasi subito a Danzica. Come loro, una parte di tedeschi se ne andò. Una buona fetta rimase però a Bydgoszcz. E vivemmo in armonia fino allo scoppio della successiva guerra mondiale. [testo raccolto da Wojciech Bielaw] “Primafuiinansia permiopadre, poipermiomarito” Gertrud Dyck è nata a Berlino nel 1907 ANNA GÜNTHER MONACO DI BAVIERA Quando Gertrud racconta la sua vita, i ricordi fanno un balzo. Come bambini che saltano da una pietra all’altra. Ogni balzo le viene in mente un aneddoto. Ciò che dimentica è la piccola stanza in una casa di riposo vicino a Monaco dove vive da tempo. Gertrud Dyck nacque a Berlino nel 1908. Durante la Prima guerra mondiale rimase in ansia per suo padre, durante la Seconda per suo marito. Quando arrivò la Prima guerra mondiale, in casa vivevano estranei. Per racimolare un po’ di soldi, la madre Lina dava in affitto le stanze a gente che era fuggita dalle regioni dell’Est. Ogni lettera di suo padre veniva attesa con ansia. Dal Belgio scriveva di uomini che giocavano a biglie per la strada. I soldati potevano tornare a casa una volta all’anno. L’anziana signora idealizza «il papà» anche a 105 anni, come fanno molte bambine, in particolare se si devono allontanare dal padre anzitempo. La fortuna per il padre di essere sopravvissuto alla guerra non durò a lungo. Fritz Bandow morì per un ictus quando sua figlia aveva 14 anni. E lei trattiene le lacrime a fatica anche dopo 90 anni. La storia si ripete per Dyck quando scoppia la Seconda guerra mondiale. Gerhard, suo marito, era di stanza in Norvegia; lei rimase a casa con le figlie Margarete e Dorothea. Del «tempo dei nazisti», così Gertrud chiama gli anni nei quali visse nuovamente la paura, preferisce non parlarne. Quando a 98 anni si trasferì nella casa di riposo, vi trovò gruppi di confronto sull’epoca della guerra. Lei si disse: «Mai più! Di questo tu non parli, chiuso e passa oltre. Se dici qualcosa è perché hai ancora ostilità verso le persone». Gerhard Dyck morì nel 1977, dopo 55 anni di matrimonio. Da quel giorno lei è vedova, ma non ha mai perso l’allegria. Le figlie, cinque nipoti e otto pronipoti vengono a trovarla. E lei racconta loro le vecchie storie e canta le canzoni dell’epoca in cui sui tedeschi dominava l’Imperatore. SPECIALE LA STAMPA GIOVEDÌ 16 GENNAIO 2014 . XI Francia “Dio mi ha lasciata in vita per raccontare al mondo del genocidio armeno” Italia “Così persi Augusto il mio primo promesso sposo” Emma Morano è l’europea più anziana: 114 anni CARLO BOLOGNA VERBANIA Sulle alture di Monfalcone, la Caverna Vergine, ricovero lungo la seconda linea di difesa Una postazione austro-ungarica sul Monte Sass de Stria «Con l’Augusto sognavamo una vita insieme, eravamo giovani e fidanzati. Era nato nel 1899, come me. Anche lui partì per andare a combattere in montagna, con gli alpini. Ci siamo salutati, per un po’ ho ricevuto le sue lettere. Certo, parlavano di amore. E della guerra. Poi le lettere non sono più arrivate. E non ho più rivisto l’Augusto». Emma Morano ha 114 anni, è la donna più longeva del Vecchio Continente e della sua cavalcata tra i secoli conserva ancora molti ricordi. Alcuni nitidi, altri che si confondono a mille altri ormai sbiaditi. Oggi la nonna d’Europa abita a Pallanza, Verbania, a 150 passi dal monumento che dal 1932 - quattro anni dopo la morte - accoglie le spoglie del generale Luigi Cadorna, il capo di Stato maggiore dell’Italia del 1915-18. Poco distante, centodue nomi sono ricordati sulla modesta lapide per i caduti in battaglia. Tenenti, capitani, caporali. Ragazzi. Storie e volti che potrebbero sovrapporsi a quelli di Augusto, ragazzo del ’99. «Era di Villadossola - racconta Emma - . In quegli anni abitavamo in una delle case degli operai dietro l’acciaieria. Ero giovane, mi piaceva cantare e quando la gente passava sotto la mia finestra si fermava ad ascoltare. Anche Augusto si innamorò. Erano gli anni dei sogni, anche se c’era la guerra. Andavamo a ballare e se non tornavamo a casa all’ora giusta mia mamma ci prendeva a bacchettate. Anch’io portavo i soldi a casa, avevo iniziato a lavorare a 13 anni allo Jutificio Ossolano, facevamo i sacchi di juta con una macchina da cucire lunga nove metri e guai se rompevi qualcosa, dovevi pagarlo. La mia salute era cagionevole e il medico mi consigliò di trasferirmi a Pallanza. La guerra era finita, era iniziato un altro capitolo della mia vita». Senza Augusto, ragazzo del ’99 caduto su quei campi da battaglia che un giorno l’Europa avrebbe riunito. Ovsanna Kaloustian vive a Marsiglia come molti armeni GUILLAUME PERRIER MARSIGLIA Non esce più molto per le strade di Marsiglia. Si sposta piegata su un bastone, protetta da sua figlia e dai nipotini. Ma quando le si rammenta la sua infanzia, i suoi occhi s’illuminano e i ricordi le ritornano alla mente. Ovsanna Kaloustian a 106 anni è una degli ultimi sopravvissuti del genocidio armeno del 1915. «Dio mi ha lasciata in vita perché possa raccontare», ripete da molti anni. Ovsanna è nata nel 1907 ad Adabazar, una città a un centinaio di chilometri a est di Istanbul. Aveva otto anni nel 1915 quando il governo dei Giovani Turchi emanò l’ordine di deportazione degli armeni. A Adabazar, l’ordine venne ricevuto in piena estate. «Era domenica, la mamma di Ovsanna tornava dalla chiesa. Il curato annunciò che la città doveva essere svuotata in tre giorni», racconta Frédéric, il nipote, depositario della memoria familiare. Migliaia di armeni furono così spediti verso il deserto della Siria dentro a carri bestiame. Ma il treno che trasportava la famiglia di Ovsanna si fermò. Venne ordinato ai prigionieri di montare un accampamento. Furono dispersi due anni dopo e andarono a nascondersi nelle campagne circostanti. Dopo l’armistizio del 1918, i sopravvissuti si miseroinmarciaversocasa.LafamigliadiOvsannatrovòlapropriacasacarbonizzata. Nel 1924 gli zii, le zie e i cugini s’imbarcarono per gli Stati Uniti. Quattro anni dopo, la giovane Ovsanna salì su una nave diretta a Marsiglia. «Arrivammo a dicembre sotto la neve», ricorda. Insieme a tanti altri: il 10% della popolazione di Marsiglia è composto da discendenti di profughi sfuggiti al genocidio armeno. Lì giunta Ovsanna si sistema, si mette a cucire per guadagnarsi da vivere, si sposa con Zave Kaloustian, unico sopravvissuto di una famiglia massacrata, apre una drogheria orientale. Continua a testimoniare per combattere il negazionismo. «E negare il genocidio significa negare la parola di mia nonna», dice il nipote. Spagna “Ci accorgemmo soltanto che i prezzi salivano e che non c’erano più soldi” Isidro Ramos nacque a Aldeadávila de la Ribera (qui sopra) CHARO NOGUEIRA MADRID Isidro Ramos oggi compie «cinque mesi». Cinque mesi più 103 anni: con un secolo sulle spalle, festeggia i complimese. Nacque in un paese castigliano, Aldeadávila de la Ribera (provincia di Salamanca), il 20 luglio 1910. Tra i suoi primi ricordi c’è la Prima guerra mondiale. «Ne sentii parlare poco, e non me ne resi conto. Si diceva che in Europa c’era una grande guerra. Temevo che arrivasse in Spagna». Non arrivò, ma ebbe i suoi effetti: una prosperità economica dovuta alle conseguenze delle esportazioni. Ramos ricorda solo che «a causa della guerra i prezzi aumentarono, le cose diventarono più care». E in famiglia «eravamo a corto di denaro». Parla con voce ferma e frasi brevi. Snocciola cifre. Allora, da bambino, «le libbre di pane costavano due reali e due perras, cioè 12 centesimi», afferma. «Una fanega di grano valeva 15 pesetas, una di segale 12, e una di orzo 11». «Una fanega equivaleva a 43 chili. I prezzi salivano poco a poco, diunaperraocinquereali...»affermaquestoanzianocheassicura di sapersi destreggiare con gli euro. A metà della Grande Guerra, il piccolo Ramos iniziò un cammino che abbandonerà solo moltissimi decenni dopo: il lavoro. «All’età di sei anni e mezzo, mio padre acquistò un gregge di pecore». Lasciò la scuola, che tornò a frequentare solo per tre mesi alle lezioni serali, a 17 anni. Allora imparò «a leggere, a scrivere e a far di conto». A questo conflitto ne seguirono altri, che si affollano nella memoria dell’anziano che vive in una casa di riposo in una località di Madrid. Prestò il servizio militare nel Nord del Marocco, allora in mano spagnola, dove vide il mare per la prima volta. Ma lo obbligarono a fare il bagno, e non gli piacque. «Il mare non mi dispiace, ma va guardato da fuori», sentenzia. Tuttavia, ricorda l’anno del servizio militare come il periodo più bello della sua vita. Furono le sue uniche vacanze: «Non avevo niente da fare», afferma ridendo. LA STAMPA .SPECIALE GIOVEDÌ 16 GENNAIO 2014 LA GRANDE GUERRA 1914-2014/ LE CELEBRAZIONI XII Una postazione austro-ungarica sul monte Sass de Stria, da cui si potevano difendere la Val Badia e la Val Pusteria Italia Quattro anni di commemorazioni tra musei multimediali e un film firmato da Olmi “Un patrimonio per le future generazioni” RAFFAELLO MASCI ROMA Poiché le parole hanno un senso e un peso, l’Italia - che ripudia la guerra secondo il dettato dell’articolo 11 della Costituzione - non «celebra» il primo conflitto mondiale, ma lo «commemora». Intende cioè raccogliere il portato di questa esperienza storica e l’impatto che ha avuto sulla vita della popolazione, sulla cultura, sullo sviluppo delle istituzione e sulla memoria collettiva, e conservarlo a futura memoria, affidandolo alle tecnologie informatiche, affinché resti per chi verrà dopo di noi: quindi tutto altamente scientifico, tutto fruibile dal grande pubblico e nulla di effimero. Il programma di commemorazioni è stato affidato dalla Presidenza del Consiglio ad un comitato interministeriale presieduto al sottosegretario Giovanni Legnini, che si avvale di un comitato storicoscientifico e - operativamente di una «unità di missione» incaricata di tradurre in fatti le indicazioni ricevute e di armonizzare le attività promosse dai diversi enti coinvolti. L’inizio delle commemorazioni sarà comune a tutti i Paesi interessati dal conflitto e avverrà nel giugno prossimo a Sarajevo, dove la guerra deflagrò. Dopo di che, il programma delineato ma non ancora definitivo dato il lungo arco temporale del suo sviluppo (2014-18) - si articolerà in tre filoni principali. Il primo è costituto da una serie di convenzioni con soggetti già di propria iniziativa interessati dal centenario. L’idea è quella di coordinare per evitare sovrapposizioni e dispersione di risorse. E così - per esempio - si coinvolgeranno in un più complessivo disegno i ministeri della Difesa, dell’Istruzione e dei Beni culturali, l’Istituto per la storia del Risorgimento, l’Istituto Luce, l’Archivio centrale dello Stato, la Rai, l’Archivio ligure di scrittura popolare, l’archivio delle memorie private di Pieve Santo Stefano, e così via. Dopo di che - ed è il secondo filone - si metteranno in atto una serie di iniziative con lo scopo di raccogliere la memoria dell’evento bellico e di renderla disponibile per sempre: un lavoro di ricerca, di indagine, di collazione di documenti scritti, visivi, sonori e materiali, che possano confluire in un «memoriale virtuale» disponibile per i ricercatori, per le scuole ma anche per i singoli cittadini. In quest’ottica si attiveranno cinque grandi progetti: un piano di documentazione fotografica, l’ allestimento mu- seale e il restauro dei 10 sacrari militari, tra cui la «Casa della terza Armata» che consentirà un percorso sensoriale (visivo, sonoro, tattile e perfino olfattivo) tra la realtà della vita al fronte, il riallestimento del museo storico dell’Arsenale di Venezia e - infine - un itinerario ragionato tra i luoghi della Grande Guerra, articolato su 1500 chilometri tra lo Stelvio e Redipuglia. Un altro filone - e siamo al terzo - sarà È la lunghezza dei percorsi quello della ricervisitabili sui luoghi della ca scientifica e guerra tra lo Stelvio storica, realizzata e Redipuglia con le università e gli archivi. Da questi studi procederanno attività espositive e anche una collana di pubblicazioni specifiche. Una serie di iniziative verranno prese, poi, dalle regioni teatro del conflitto: Veneto, Lombardia, Friuli e Trentino. Anche «Rai Storia» avvierà una programmazione di memoria e di didattica per le scuole. A coronare il tutto, un film già in lavorazione – titolo provvisorio «14-18» - scritto e diretto da Ermanno Olmi e destinato ad essere presentato al Festival di Venezia. 1500 chilometri SPECIALE LA STAMPA GIOVEDÌ 16 GENNAIO 2014 Gran Bretagna Germania . XIII Francia Tanti dubbi e tabù Richiesta all’Unesco Cerimonie tra ignoranza per i tour sui luoghi congiunte sui campi di battaglia e politicamente corretto dei grandi massacri Mostra speciale a Berlino “La gente confonde gli eventi” Un progetto controverso A Mosca BEN QUINN LONDRA BERLINO L’anno 2014 segue una drammaturgia tristemente conosciuta: si celebra soprattutto là, dove le battaglie tra il 1914 ed il 1918 furono più difficili e sanguinose, e non restò nulla se non paesaggi distrutti: nel Nord della Francia ed in Belgio, soprattutto nelle Fiandre. I belgi commemorano anzitutto il centenario dell’attacco tedesco alle «città martiri» e ai loro abitanti ogni luogo che venne deliberatamente distrutto dai tedeschi, tra cui anche Lovanio, la cui biblioteca venne incenerita nel 1914. La Francia, che ha considerato a lungo la «Grande Guerre» come questione nazionale, partecipa alle celebrazioni assieme a Belgio e Gran Bretagna, in un’azione comune, il cui motto è «mai più È la data della cerimonia guerra». A Londra congiunta tra il presidente l’Imperial War Mutedesco Gauck seum viene appositae il francese Hollande mente ricostruito (http:// www.iwm.org.uk); nella francese Peronne il Museum Historial de la Grande Guerre viene dedicato alla guerra con una mostra di nuova concezione (http://de.historial.org). Il presidente francese Hollande si incontrerà Il 3 agosto 2014 in Alsazia con il presidente tedesco Joachim Gauck: su quelli che un tempo furono campi di battaglia si terranno numerose manifestazioni ufficiali. E in Germania, Paese degli sconfitti, c’è una gran quantità di mostre, progetti e pubblicazioni. A Berlino, dal 5 giugno al 7 dicembre 2014, il museo di storia tedesca dedicherà alla Prima Guerra Mondiale una mostra (http://www.dhm.de/ausstellungen/1914-1918). Tuttavia non è ancora stato organizzato alcun piano generale per le manifestazioni ufficiali nella Repubblica Federale. 3 agosto ANTOINE REVERCHON PARIGI Ora che nel Regno Unito incombono le celebrazioni per il centenario della guerra altrettanto pressanti si sono fatte alcune preoccupazioni in merito alle complessità che circondano il conflitto. Quale prospettiva storica (ammesso che debba essercene una) dovrebbe guidare gli organizzatori? Il governo cerca di glorificare le guerre contemporanee? Oppure l’ossessiva ricerca della massima correttezza politica e la paura di offendere gli europei ci portano a negare i risultati militari britannici? E soprattutto al pubblico importa almeno qualcosa degli avvenimenti che ci apprestiamo a commemorare? «Alle persone importa molto della guerra, anche se ne È la cifra in sterline che sanno pochissimo e, il governo britannico ha in alcuni casi, la condeciso di stanziare fondono o ne scambiano per le cerimonie gli avvenimenti con quelli della Seconda guerra mondiale», dice Sunder Katwala di British Future, think tank che effettua sondaggi e tiene seminari in tutto il Regno Unito per rilevare l’interesse del pubblico sul conflitto. «Uno degli aspetti più conosciuti è quello delle trincee, del fango e del fatto che i tedeschi rappresentavano il nemico. Molto, molto famosa è anche la Tregua di Natale. Tuttavia, in generale, le persone sembrano non possedere sufficienti conoscenze storiche e, almeno al momento, aver bisogno di aiuto per dare un senso ai vari avvenimenti». Nel frattempo il governo porta avanti i piani per la commemorazione, finanziati con 50 milioni di sterline, cifra certamente non trascurabile in un Paese che dovrebbe osservare un piano di austerità a lungo termine. 50 milioni L’atto di candidatura è ornato da una colomba stilizzata che sorvola un campo di battaglia. Con questa allegoria alata si propone la classificazione di 80 siti francesi della guerra come patrimonio dell’Umanità. Il progetto è solo all’inizio. A gennaio è stato presentato a un comitato nazionale francese che si farà carico di depositarlo presso l’Unesco. La domanda sarà in effetti franco-belga. Dal 2002 la regione delle Fiandre ha fatto iscrivere diversi luoghi della memoria del 1914-18, in particolare dei dintorni di Ypres, nell’elenco indicativo belga. Nel 2008 la Vallonia ha fatto lo stesso. Nello stesso anno 12 dipartimenti francesi si sono uniti al moviSono i luoghi francesi mento. Nel 2012 i due che sono stati proposti Paesi hanno deciso di all’Unesco come riunire le iniziative. «Patrimonio Essendo impossibile dell’Umanità» richiedere la classificazione dell’insieme della linea del fronte che si estende per 750 chilometri dalla frontiera Svizzera al Mare del Nord, 105 località, nell’Est e nel Nord della Francia, nelle Fiandre e in Vallonia, sono quindi state selezionate. Si è scelto di privilegiare cimiteri e memoriali invece dei campi di battaglia. «Crediamo che questi siti rivestano valore universale», spiega Luc Vandael, incaricato della missione Grande Guerra. Anche ponderata e simbolica, la scelta risulta obbligatoriamente arbitraria considerando l’immensa, interminabile serie di sofferenze di questa guerra. Il suo carattere di barbarie collettiva è stato uno degli scogli principali incontrati in fase di costituzione del dossier. Può un massacro essere iscritto tra i patrimoni dell’umanità? 80 siti Commemorazioni in sordina in Russia, ma Putin inaugurerà un nuovo monumento A Londra Il museo di guerra più celebre è l’Imperial War Museum: riaprirà in una veste rinnovata LA STAMPA .SPECIALE GIOVEDÌ 16 GENNAIO 2014 LA GRANDE GUERRA/ LE EREDITÀ XIV Politica Tecnologia Per il movimento Le innovazioni operaio e socialista sperimentate in prima linea choc e rilancio ROBERTO GIOVANNINI ROMA Per il movimento operaio e socialista europeo, e per il nascente movimento sindacale, lo scoppio della Prima guerra mondiale rappresenta uno choc terribile. Nonostante la grande forza organizzata in Paesi come Germania, Gran Bretagna e Francia, le direzioni dei partiti socialisti e socialdemocratici non riescono nella fatale estate del 1914 a mobilitarsi contro la guerra; l’Internazionale va in frantumi. I partiti e le prime organizzazioni sindacali (con l’eccezione iniziale dell’Italia, che conserva la neutralità fino al maggio del 1915 e dove i socialisti maggioritari resteranno ostili alla guerra) vengono cooptati nello sforzo produttivo e bellico. Per molto tempo gli operai delle grandi industrie – in particolare gli operai specializzati, decisivi per la produzione di macchinari e armamenti indispensabili per alimentare la mostruosa battaglia di materiali al fronte – non solo vengono esentati dal reclutamento nelle fila dell’esercito, che quasi ovunque è un esercito di contadini, ma godono anche di condizioni salariali e alimentari particolarmente favorevoli. In cambio, sono vietati gli scioperi e le industrie strategiche sono sottoposte alla disciplina militare. Ma la guerra continua anno dopo anno a distruggere vite e risorse: mentre sul fronte la situazione militare sembra di stallo, peggiora gradualmente lo stato degli approvvigionamenti alimentari, il tenore di vita delle popolazioni civili, la condizione degli operai in fabbrica. Nei diversi partiti socialisti, fazioni di minoranza cominciano dal 1916 a intrecciare un dialogo per cercare una composizione pacifica del conflitto, mentre in Russia esplode la Rivoluzione di febbraio e poi di ottobre del 1917. Lo scenario cambia totalmente: la spinta politica e sociale rivoluzionaria, insieme alla insostenibilità dei sacrifici e alla disperata voglia di pace, rivitalizza e trasforma in modo radicale i partiti e le organizzazioni sindacali di tutti i paesi belligeranti. La fine del conflitto, nel novembre del 1918, consegna alla Storia un movimento sindacale europeo aggressivo e organizzato. GUILLERMO ALTARES MADRID Il conflitto che doveva porre fine a tutte le guerre fu in realtà l’inizio dei conflitti moderni, l’origine delle «tempeste d’acciaio» descritte da Ernst Jünger. Lo storico Max Hastings lo illustra con precisione nel libro «1914. L’anno della catastrofe», in cui narra come i soldati francesi, con i loro vestiti dai colori brillanti, avanzarono verso il fuoco nemico al ritmo di trombe e tamburi. «Le conseguenze furono evidenti - scrive Hastings - il 22 agosto l’esercito francese registrò un numero di perdite che non fu mai superato da nessun altro esercito nel corso di una guerra». Con la Prima guerra mondiale la rivoluzione tecnica raggiunse i campi di battaglia e cambiò per sempre le modalità di scontro tra gli eserciti. La tecnologia diventò un elemento essenziale nell’arte della guerra. Si potrebbe sostenere che ciò era già accaduto (sarebbe stata possibile la conquista dell’America senza la polvere da sparo? Roma avrebbe potuto conquistare il mondo senza la superlativa organizzazione dei suoi eserciti?), ma non fu mai così importante e tanto distruttiva, anche se per ammetterlo i militari impiegarono molte battaglie e troppe vittime. Nel suo saggio «Porre fine a tutte le guerre», Adam Hochschild descrive il modo in cui queste novità fecero ingresso sul campo di battaglia: il sottomarino e i bombardamenti aerei di civili, il carro armato (pesava 28 tonnellate e avanzava a una velocità di tre chilometri l’ora), gli attacchi con i gas tossici... Ma più delle altre, l’innovazione più importante fu il filo spinato, l’arma definitiva e anche la più semplice, che fece sì che le guerre stagnassero nelle trincee. Douglas Haig, discusso comandante delle forze britanniche in Francia, scrisse con indubbia lucidità al termine del conflitto: «Alcuni fanatici sostengono che l’aereo, il carro armato e l’automobile sostituiranno il cavallo nelle guerre del futuro, ma io credo che probabilmente, nell’avvenire, il valore e le possibilità offerte dal cavallo resteranno sempre enormi. Gli aerei e i carri armati sono solo accessori dell’uomo e del cavallo». Come tante altre volte, non poteva sbagliarsi più di così. Geopolitica Con la nuova mappa del Medio Oriente i semi dei conflitti futuri IAN BLACK LONDRA La Prima guerra mondiale e i trattati che ne seguirono ridisegnarono la mappa del Medio Oriente con la creazione nuove realtà politiche sui territori dell’ormai sconfitto Impero ottomano. La rivalità tra Gran Bretagna e Francia, il crescente nazionalismo arabo, le ambizioni sioniste in Palestina e la nascita della Turchia moderna sono fattori che concorsero al cambiamento del volto della regione. L’accordo SykesPicot del 1916, un’intesa segreta tra Londra e Parigi, divise le terre dell’ex Impero ottomano in zone di influenza britannica e francese. Il sistema del Mandato ideato dalla Società delle Nazioni promise un eventuale autogoverno, non l’immediata indipendenza per la quale lo sharif Hussein della Mecca aveva proclamato la rivolta araba contro i turchi con l’aiuto di Lawrence d’Arabia. E la Dichiarazione Balfour del 1917 offrì il sostegno della Gran Bretagna a favore della creazione di un focolare ebraico in Terra Santa, gettando così le basi per la nascita di Israele e del conflitto contemporaneo più complesso al mondo. Le differenze etniche, settarie e tribali furono questioni di scarso interesse per le potenze coloniali che ridisegnarono i confini della regione. L’Iraq fu creato dall’unione di tre province ottomane dominate rispettivamente da sciiti, sunniti e curdi. Il Paese fu separato dal Kuwait, innescando la miccia dei conflitti che seguirono. A capo del regno fu posto un sovrano hashemita originario della penisola arabica esiliato dalla Siria; stesso destino hashemita toccò alla Giordania, nata dalla penna di Winston Churchill. Il Libano venne scorporato dalla Grande Siria per creare un territorio cristiano che avrebbe rafforzato l’influenza francese. Ma i grandi perdenti della lotteria del primo dopoguerra in Medio Oriente sono stati i curdi. Oggi, questo gruppo etnico gode di un’ampia autonomia regionale e di una relativa pace all’interno della struttura federale dell’Iraq, mentre in Siria controlla aree fuori portata per le forze di Bashar al-Assad. Tra i nemici di Assad vi è anche un gruppo jihadista legato ad Al Qaeda. Il suo nome in arabo significa «Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Siria e Libano)», una deliberata abolizione delle frontiere del dopoguerra. Cinema I film si scoprono arma di propaganda di massa FULVIA CAPRARA ROMA In una conversazione con il filosofo Bogdanov, nel 1907, Lenin parla del cinema come di «uno dei più importanti mezzi di istruzione delle masse». In Italia, nel 1922, Mussolini dichiara che il cinema è «l’arma più forte dello Stato» e nel 1936 pone la prima pietra per la costruzione di Cinecittà. Basterebbero questi due proclami a testimoniare il legame che, fin dai suoi albori, ha tenuto insieme grande schermo e propaganda. Solo negli Stati Uniti, dove nel 1914 David Wark Griffith aveva girato «Nascita di una nazione» sulla fondazione degli Stati Uniti d’America, furono prodotte, tra il 1915 e il 1918, 2.500 pellicole. Durante la Grande Guerra, in Usa e in Europa, il grosso della produzione, sia che si trattasse di cinegiornali, sia di film veri e propri, spesso anche con posizioni critiche nei confronti del primo conflitto mondiale, aveva intenti propagandistici. In «Civilization» (1916) Thomas Harper Ince lanciava, tra metafora e fanta-politica, il suo grido in favore della Pace. In Francia, nel 1919, Abel Gance affidava a «J’accuse» un potente messaggio anti-bellico, sottolineato dal finale in cui le giovani vittime della guerra si risvegliano per rinfacciare ai vivi l’inutilità del loro sacrificio. In Italia, nella scia del successo di «Cabiria» di Giovanni Pastrone, «Maciste alpino», di Luigi Romano Borgnetto e Luigi Maggi (1916), esalta i valori della battaglia spingendo il pubblico a identificarsi con l’eroe protagonista. Ma il gioiello dell’epoca, datato 1918, è «Shoulders arms» («Charlot soldato») che illustra, sospeso tra leggerezza e tragedia, gli orrori della vita al fronte. Molti anni dopo, quando il cinema di propaganda, in Urss, nella Germania nazista, nell’Italia fascista e negli Stati Uniti, sarà ormai divenuto strumento fondamentale di orientamento delle coscienze, toccherà ancora a Charlie Chaplin, con «Il grande dittatore», dimostrare che, facendo ridere, si può lanciare il più antiguerrafondaio dei messaggi. Società Vittorie e sconfitte del nuovo pacifismo del XX secolo RONEN STEINKE MONACO DI BAVIERA Bertha von Suttner, la prima donna che - nel 1905 - ricevette il premio Nobel per la pace, disse una volta con sarcasmo: «Umanizzare la guerra sarebbe come, per un uomo seduto nell’olio bollente, abbassare la temperatura di un paio di gradi. Oppure, come promettere di frustare un schiavo un po’ meno». L’austriaca Suttner all’inizio del Ventesimo secolo era alla guida di un pacifismo europeo di estremo rigore. Tuttavia, quando scoppiò la guerra in Europa, l’esperienza nelle trincee portò molti pensatori della Armamenti La prima volta del gas ordigno crudele e indiscriminato MONACO DI BAVIERA Nell’estate del 2013 lo si poteva capire. Le immagini dei bambini morti a Damasco. La rabbia nelle parole del presidente Barack Obama. Obama parlò di una «linea rossa», e non dipendeva dal solo numero dei morti. L’impiego del gas velenoso come arma di guerra oggi è universalmente considerato come un crimine, perché è ancora vivo il ricordo del 1915, di un crudele esperimento che portò a una diffusione agghiacciante. L’esperimento iniziò il 22 aprile 1915. I soldati tedeschi, sponda opposta a un ripensamento: lo scrittore tedesco Kurt Tucholsky, per esempio, nei primi giorni della guerra come preso dall’ebbrezza decise di arruolarsi. E ora, disilluso, chiamava la guerra «una latrina mondiale, piena di sangue, filo spinato e di inni all’odio». Anche i pacifisti della prima ora, della scuola di Suttner, per così dire, superarono la Prima guerra mondiale non senza sconcerto. Al termine del conflitto i pacifisti ebbero sì molto più seguito di prima (ad esempio in Germania i gruppi pacifisti raggiunsero i 70 mila aderenti), tuttavia erano ancora pochi in confronto ai 500 mila membri delle associazioni di soldati. Ma la guerra soprattutto sgretolò una parte delle loro certezze. Prima del 1914 i pacifisti avevano ancora sognato che le guerre potessero essere completamente impedite con i trattati – un’idea che poi si dimostrò completamente scollegata dalla realtà del mondo. Dopo, i movimenti pacifisti mirarono soprattutto a obiettivi più umili e realistici, come il disarmo, l’intesa tra i popoli, la riconciliazione e anche l’umanizzazione della guerra attraverso la rinuncia a specifiche e determinate armi particolarmente distruttive. trincerati presso Ypres in Belgio, aprirono circa seimila bombole d’acciaio con cloro liquido. Il vento portò il gas, 2.5 volte più pesante dell’aria, dall’altra parte del campo di battaglia, dove c’erano i nemici inglesi, per un fronte largo all’incirca sei chilometri. Il gas, velenoso per i polmoni, colse gli inglesi impreparati. Morirono in tremila. Subito, tutti i contendenti avversari iniziarono a impiegare il gas: si propagava sui campi di battaglia, rese inaccessibili e inospitali alcuni territori, danneggiò oltre un milione di persone e ne uccise 70 mila. Una delle caratteristiche del gas velenoso, che infine portò alla sua messa al bando a livello internazionale, è la sua crudeltà: già il 10 luglio 1917, per la prima volta, le truppe tedesche erano in grado di sparare l’agente chimico «Croce blu», che poteva penetrare nel filtro della maschera antigas e, a causa della suo insopportabile effetto irritante, costringere a togliersi la maschera. L’avevano ribattezzato «Rompi-maschera». La seconda caratteristica è il modo indiscriminato con cui il gas uccide. Non è possibile fare una selezione. I soldati vengono uccisi allo stesso modo dei civili e dei bambini. [R. STO.] SPECIALE LA STAMPA GIOVEDÌ 16 GENNAIO 2014 Forze armate . XV Frontiere Gli eserciti di popolo I nuovi Stati europei dall’entusiasmo poveri, turbolenti al disinganno all’orrore e con troppi confini JORGE MARIRRODRIGA MADRID «Il tuo Paese ha bisogno di te». Quando nel settembre 1914 gli inglesi cominciarono a vedere questo motto sui cartelloni affissi nelle strade, ancora non si era placato l’eco dei canti patriottici che risuonarono nella stazione Victoria di Londra per i soldati che partivano per combattere contro la Germania. Scene simili accaddero a Parigi e Berlino. Nell’opinione pubblica europea si era radicata l’idea che la guerra sarebbe stata breve. «A Natale, tutti a casa», era la frase. Con le nuove armi, le vittime giornaliere non si contavano a decine, ma a migliaia. La risposta al richiamo «Il tuo Paese ha bisogno di te» fu entusiasta, in centinaia di migliaia si presentarono, e fu applicato il principio «Chi si arruola insieme, combatterà insieme». Fu così che si formò il Battaglione dei commilitoni di Liverpool, costituito principalmente da intermediari commerciali. Si arruolarono insieme, servirono insieme e morirono insieme. La guerra si infangò. Letteralmente. L’unico elemento che cambiava erano gli uomini che occupavano le trincee. Nel marzo del 1916 il Regno Unito, per la prima volta nella sua storia, reclutò tutti gli uomini celibi di età compresa tra i 18 e i 41 anni a eccezione dei religiosi, dei professori, di qualche professionista che si occupava di metallurgia e di coloro che erano stati dichiarati incapaci. A maggio, toccò agli uomini sposati. A giugno, qualche settimana dopo l’arruolamento, le reclute furono lanciate nella battaglia della Somme, la più grande tragedia militare nella Storia del Regno Unito. Le vittime britanniche salirono a 419.654. L’entusiasmo aveva lasciato spazio prima al disinganno, poi all’orrore. Negli ultimi mesi di battaglia, il governo estese l’età di arruolamento a 51 anni, che restò tale fino al 1920. «Il tuo Paese ha bisogno di te» diventò il simbolo del sacrificio che i civili dovettero pagare. Con gli interessi. La fine del 1918 vide mutare radicalmente la mappa dell’Europa centrale e orientale. Al posto dei tre potenti imperi tedesco, russo e austro-ungarico fecero la loro comparsa alcuni Stati creati ex-novo o risorti dopo secoli. Erano poveri, turbolenti e saldamente circondati da una fitta rete di frontiere e dogane. Ebbero sfortuna quei popoli che, come gli ucraini, non riuscirono a conquistarsi uno Stato, perché i rivali si dimostrarono più forti. Quando nel settembre 1918 l’Austria-Ungheria provò di propria iniziativa a stringere contatti con le potenze occidentali e chiedere l’armistizio, il governo degli Stati Uniti, la potenza più forte e meno provata dalla guerra, rispose che la sua posizione era stata esposta dal presidente Woodrow Wilson nei «Quattordici punti» già nel gennaio 1918. Oltre a prevedere pubblici trattati internazionali, la libertà di navigazione per mare, la soppressione delle barriere al commercio internazionale, essi auspicavano nuove frontiere in Europa basate su principi etnici e la rinascita della Polonia. Come sarebbe emerso alla conferenza di Versailles nel 1919, il proposito di «frontiere basate su principi etnici» si rivelò non soltanto utopico, ma anche foriero di conflitti. Nell’Europa centrale i popoli erano mescolati e rivendicavano i medesimi territori. Ogni risoluzione adottata delle grandi potenze finiva per sollevare proteste diplomatiche e non di rado anche conflitti armati. Il più grande dei nuovi Stati era la Polonia, risorta dopo 123 anni di spartizioni. Aveva difeso le proprie frontiere in una serie di conflitti con la Germania, la Lituania, l’Ucraina e la Cecoslovacchia e in una vera guerra con la Russia rossa. Nel 1923, quando vennero finalmente definite le frontiere polacche, la Repubblica polacca era in buoni rapporti con due soli vicini: la piccola Lettonia a Nord e la distante Romania a Sud. A breve tale stato di cose le sarebbe costato caro. civili e militari furono teatro di una chirurgia sperimentale. In questo conflitto, il ricorso ad armi nuove, in particolare ai bombardamenti massicci e ai gas, fecero la differenza. La guerra di posizione e le trincee ebbero l’effetto di aumentare il numero di ferite al capo e al viso. Numerosi combattenti ne uscirono vivi ma storpi, mutilati, sfigurati. Si tratta delle cosiddette «gueules cassées» (facce sfigurate) secondo l’espressione coniata in Francia dal primo presidente dell’Unione feriti al volto e al capo, fondata nel 1921 dal colonnello Yves Picot. Alla fine della Prima guerra mondiale la Francia contava 6,5 milioni d’invalidi di guerra. I chirurghi dei paesi belligeranti dovettero far fronte a un afflusso considerevole di queste Facce sfigurate alle quali si dovette tentare di ridare un viso umano e attenuare il calvario al momento del ritorno alla vita civile. Mancava la carne, mancavano le ossa. Si dovette ricorrere all’innesto, un’innovazione che si sviluppò per tentativi, come avvenne nello stesso periodo e per le stesse ragioni per la trasfusione di sangue. Vennero utilizzati innesti ossei o cutanei, ma anche protesi e apparecchi che assomigliavano a strumenti di tortura, senza riuscire a fare sempre dei miracoli, ma con risultati molto spesso da essi ben lontani. Economia delle risorse e della forza lavoro. L’industria fu organizzata in 170 «associazioni di guerra» basate su precedenti consorzi di settore. Il programma arrestò il crollo della produzione e riuscì a soddisfare le necessità dell’esercito, anche se l’industria dei consumi e l’agricoltura subirono una contrazione. I prezzi dei prodotti alimentari di prima necessità crebbero di otto volte durante la guerra e milioni di tedeschi soffrirono la fame, poiché le razioni garantivano 700-900 calorie al giorno. La mobilitazione bellica della Germania fece impressione sui bolscevichi: nel 1918 Lenin introdusse in Russia il «comunismo di guerra», un’economia basata sulla nazionalizzazione generale e su requisizioni forzate. Ma l’economia pianificata piaceva ai politici di diverso orientamento. Nel periodo interbellico, segnato da una pesantissima inflazione e dalla Grande Crisi, si diffuse l’idea che il capitalismo portasse caos e una sperequazione delle forze produttive. L’estrema sinistra e l’estrema destra ritenevano che causasse l’arricchimento di pochi e la miseria delle masse, mentre l’economica pianificata avrebbe consentito l’equa distribuzione del reddito. Dopo la Grande Crisi furono sperimentate diverse forme di pianificazione in molti Paesi, non solo in quelli totalitari come Germania e Urss, ma anche in Polonia. [A. LES.] giormente rilevanti in un certo numero di Paesi (come ad esempio la Gran Bretagna). Ed è del tutto evidente che determinate mode, come quella dello stile androgino detto «garçonne», evocavano l’emancipazione dei codici femminili tradizionali. Attenzione però a non giudicare solo dalla superficie: in realtà l’occupazione femminile era già in aumento prima del 1914 e inoltre, una volta finita la guerra, molte donne fecero ritorno alle mansioni precedenti. La femminilizzazione del lavoro era limitata e dipendeva dai settori. Si presentava superiore nei settori bancario, del commercio e delle libere professioni. Inoltre, alle donne venivano negati parecchi diritti (in Francia, il diritto di voto per le donne risale solo al 1944. In Germania, venne loro concesso nel 1919, nel Regno Unito nel 1918 ma esclusivamente a partire dai 30 anni, e infine nel 1928 a 21 anni come per gli uomini). E soprattutto le forme di emancipazione dei ruoli tradizionali erano spesso molto limitate a livello sia sociale sia quantitativo. Alcuni studi recenti, pongono l’accento su questo periodo storico come un tempo di transizione che preludeva semplicemente all’evoluzione a venire. Partiti Filo spinato sulla Cima Bocche, in Trentino, oggi Medicina La “facce sfigurate” hanno bisogno di una nuova chirurgia PAUL BENKIMOUN PARIGI La chirurgia si è in gran parte sviluppata in base a ciò che è appreso dalle guerre. La Prima guerra mondiale non fece eccezione, ma al momento in cui scoppiò, la chirurgia stava appena entrando nella sua era moderna. Si dovrà attendere la Seconda guerra mondiale per assistere all’arrivo degli antibiotici, per guarire e perfino prevenire le infezioni che lasciavano fino ad allora i chirurghi impotenti e per l’adozione della rianimazione medica. Nondimeno, durante e soprattutto all’indomani della Grande Guerra, gli ospedali Pari opportunità La donna si emancipa grazie o malgrado lo scontro di civiltà NICOLAS OFFENSTADT PARIGI Il tema è complesso, materia di dibattito tra storici e non solo, ma tra le conseguenze della Prima Guerra Mondiale ci sarebbe anche l’emancipazione femminile. È uno dei concetti che vengono trasmessi e che travisano, in diverse narrazioni, la realtà del conflitto. La questione fa ancora discutere. Quel che è certo è che durante la Grande Guerra le donne hanno svolto attività in precedenza considerate prevalentemente maschili, hanno ottenuto diritti politici mag- ADAM LESZCZYNSKI VARSAVIA Prima dell’Urss la Germania inventa la pianificazione VARSAVIA Prima che l’Urss imponesse l’economia pianificata a mezza Europa, l’aveva scoperta la Germania. Le prime leggi che riorganizzavano l’economia furono introdotte il 3 agosto 1914. Lo Stato assunse il controllo dei risparmi dei cittadini, del commercio con l’estero, della produzione e vendita di articoli alimentari, fissò prezzi massimi per diverse merci e organizzò l’approvvigionamento di materie prime carenti per uso bellico. Nel novembre 1916 fu istituito un ufficio incaricato della pianificazione e fu decisa la mobilitazione generale Francia, nasce il Solco e irrompe sulla scena la Democrazia Cristiana MICHEL LEFÈBVRE PARIGI La vastità della catastrofe provocata dalla prima guerra mondiale condusse intellettuali e uomini politici francesi a militare all’insegna della parola d’ordine «mai più la guerra». Tra di loro emerse un personaggio, Marc Sangnier, che fondò alla fine del XIX secolo il movimento del Solco, una corrente del cristianesimo sociale che invocava la riconciliazione tra Chiesa e Repubblica in nome di una terza via tra capitalismo e socialismo. Al pari di Jean Jaurès, Sangnier divenne nemico giurato dei cattolici monarchici. Distaccato durante la guerra come tenente del genio, Sangnier venne incaricato da Aristide Briand nel 1916, senza successo, di una missione a favore della pace presso il Papa. Terminò la guerra come comandante insignito della Legion d’onore e della Croce di guerra. Dal 1919 al 1924, ricoprì la carica di deputato. Suscitò il sarcasmo dei colleghi caldeggiando una collaborazione internazionale che non escludesse né la Russia né la Germania per la restaurazione d’Europa. Solo la sinistra e l’estrema sinistra plaudevano a questo idealista cristiano dal pacifismo radicale e visionario eletto grazie alla destra moderata che i conservatori etichettano come «bolscevico cristiano». La sua visione era quella di organizzare la «Pace con la gioventù» attraverso l’Internazionale democratica. Quest’ultima tenne alcuni congressi internazionali, raggiungendo l’apice con quello di Belleville del 1926 che vide la partecipazione di oltre 5.000 congressisti da 33 nazioni dei quali la metà erano di nazionalità tedesca. Alla morte di Sangnier nel 1950, gli ideali che aveva difeso salirono al potere attraverso la democrazia cristiana in Francia, Germania e Italia. Anche l’idea di Europa che sfocerà nel trattato di Roma del 1957 si è infine realizzata. XVI LA STAMPA .SPECIALE GIOVEDÌ 16 GENNAIO 2014 LA GRANDE GUERRA / UN SECOLO DOPO Il confronto 1914 2014 REGNO UNITO FRANCIA 90,8 Aspettative di vita Lavoro femminile Nascite (*Nati vivi ogni 1.000 abitanti) Mortalità materna (ogni 100.000 nati vivi) Elettricità nelle case Componenti per famiglia 58,69 n.d. 67% 1.032.734 813.200 394 8,2 850.000 29.687.000 55,1% (1911) 60% 743.240 822.000 n.d. 9,6 3.000.000 33.000.000 UTENZE UTENZE 2,4 36.100.000 Popolazione n.d. ITALIA 81,9 78,7 49,9 47,4 42,84 9,9% 53,1% 4,6* 1,32* 43 6 1.874.389 673.500 n.d. n.d. n.d. n.d. 26,5% 46,6% 30,5* 9* 235,5 2,6 49,8% 100% ABITAZIONI COLLEGATE 2,27 41.630.000 4,25 2,58 19.995.686 2,9 1,38 67.000.000 4,5 2,3 37.255.000 645.000.000 65.590.000 46.609.652 4.017.000 1.478.400 205.850 80.500.000 4.500.000 298.240 Centimetri - LA STAMPA Dal 1914 al 2014 le lezioni della Storia CHRISTOPHER CLARK * SEGUE DALLA PAGINA I e corrispondenze erano incredibili, ma cosa significavano? La risposta è tutt’altro che chiara. Il conflitto del 2011, infatti, è stato completamente diverso dal suo predecessore del secolo scorso. La guerra italo-turca del sibili - e in alcune di 1911 innescò la catena di attacchi opportunisti- esse, come l’attuale stallo sulla queci all’Europa ottomana sud-occidentale cono- stione delle Isole Senkaku - sono coinvolti disciuti come Prima guerra dei Balcani, spaz- rettamente gli interessi di grandi potenze. zando via un sistema di equilibri geopolitici Chiunque analizzi, dal punto di vista di un che permetteva di contenere i conflitti locali. osservatore degli inizi del ventunesimo seSi trattò di un punto di svolta (uno tra tanti) colo, lo svolgimento della crisi dell’estate del sulla strada verso una guerra che avrebbe 1914 non può fare a meno di stupirsi dell’atconsumato prima l’Europa e poi gran parte tualità della vicenda. Tutto cominciò con un del mondo. Al contrario, non vi era e non vi è gruppo di attentatori suicidi e un corteo di tuttora alcuna ragione per supporre che gli at- automobili. Dietro l’offesa di Sarajevo vi era tacchi aerei del 2011 condurranno a conse- un’organizzazione votata al culto del sacrifiguenze altrettanto gravi e drammatiche. cio, della morte e della vendetta. Ma questa La Storia non si ripete anche se, come sot- organizzazione era frammentata in piccole tolineava Mark Twain, cellule sparse in diversi qualche volta fa rima con COME SCRISSE MARK TWAIN Paesi. Era misteriosa, e i se stessa. Ma cosa signifilegami con qualsivoIl passato non si ripete suoi cano queste rime? Esse poglia governo nazionale ma qualche volta erano indiretti, celati. trebbero essere semplicefa rima con se stesso mente sintomo del miope Perfino l’attuale polve«presentismo» di una culrone sulla questione tura occidentale che non riesce a vedere nel Wikileaks, sullo spionaggio e sui cyber-attacpassato null’altro che gli infiniti riflessi dei chi cinesi ha la propria controparte degli inizi propri timori, una cultura ossessionata dagli del XX secolo: negli ultimi anni prima dello anniversari e dalle commemorazioni. Tutta- scoppio del conflitto, infatti, la politica estera via, non dovremmo escludere la possibilità francese era stata compromessa da fughe miche tali momenti di déjà vu storico rivelino le rate di notizie di intelligence di alto profilo; il autentiche affinità tra un periodo e un altro. Regno Unito era preoccupato dallo spionagNegli ultimi anni, queste affinità si sono ac- gio russo in Asia centrale e, all’inizio dell’estacumulate. È ormai un fatto diffusamente rico- te del 1914, una spia presso l’ambasciata russa nosciuto che il mondo nel quale viviamo asso- di Londra teneva Berlino al corrente dei negomiglia sempre più al mondo del 1914. Essendo- ziati navali tra Regno Unito e Russia. Il caso più eclatante si verificò quando venci lasciati alle spalle la stabilità bipolare della Guerra fredda, facciamo sempre più fatica a ne a galla che il colonnello Alfred Redl, a capo dare un senso a un sistema che sta divenendo del controspionaggio austriaco, era in realtà in misura crescente multipolare, opaco e im- una spia dei russi, ai quali, fino all’arresto (a prevedibile. Proprio come nel 1914, un potere seguito del quale gli fu concesso di togliersi la sempre più grande si scontra con una logora vita nel maggio del 1913), aveva fornito infor(anche se non necessariamente in declino) mazioni di intelligence militare di alto profilo. egemonia. Intanto, crisi scoppiano incontrol- La Storia sta tentando di dirci qualcosa? E se late in regioni del mondo strategicamente sen- sì, cosa? 122.979 59.685.227 303.023 224.565 Armi L GERMANIA 82,29 81,6 56,64 n.d. SPAGNA 184.000 253.311 Ieri e oggi aperto a molte possibili interpretazioni) almeno quanto quello degli eventi presenti. Prendiamo il caso della Cina. La Cina odierna è, come essa stessa ha spesso dichiarato, paragonabile alla Germania imperiale del 1914? E se anche decidessimo che l’analogia sia affettivamente accettabile, quale lezione dovremmo trarre da questa similitudine? Se partiamo dal presupposto che l’aggressione tedeNell’estate del 2008, dopo un breve con- sca sia stata il principale motore della Prima flitto tra Russia e Georgia per l’Ossezia del guerra mondiale, potremmo concludere che Sud, l’ambasciatore russo presso la Nato, gli Stati Uniti dovrebbero assumere una liDmitri Rogozin, per spiegare il dramma che nea molto dura contro le odierne condotte si stava svolgendo nel Caucaso lo paragonò al- della Cina. Ma se nella guerra del 1914-1918 vediamo, come io sono propenso a fare, le la crisi di luglio 1914. L’ambasciatore arrivò ad auspicare che il conseguenze delle interazioni tra una plurapresidente della Georgia (che egli considerava lità di poteri, ciascuno dei quali pronto a ril’aggressore, all’interno di quel conflitto) non correre alla violenza per far valere i propri passasse alla storia come «il nuovo Gavrilo interessi, allora potremmo arrivare alla conPrincip», con riferimento al giovane serbo-bo- clusione che sia necessario ideare modi misniaco che il 28 giugno 1914 assassinò l’erede al gliori per integrare i nuovi grandi poteri altrono d’Austria e sua moglie. All’indomani di l’interno del sistema internazionale. In fin quelle uccisioni, infatti, il conflitto tra Serbia e dei conti, il 1914 rimane (come fu per il presiImpero austro-ungarico si estese alla Russia, dente John F. Kennedy durante la Crisi dei trasformando una questione locale in una missili cubani del 1963) un monito su quale guerra mondiale. Se la Georgia fosse riuscita pessima piega possano prendere le politiche ad assicurarsi il sostegno della Nato, sarebbe estere, a quanto velocemente possano degenerare e a quali terribili conseguenze possaaccaduto qualcosa del genere? Questi oscuri presagi non si sono mai rea- no condurre. È fondamentale confutare letture manipolatorie o rilizzati. La Nato, infatti, ci pensò due volte prima di leORACOLI DA INTERPRETARE strette del passato quanesse vengono tirate in gare il proprio destino alla La Storia è maestra di vita do causa per sostenere stella dell’irascibile presidente georgiano, Mikheil ma è un’insegnante eccentrica obiettivi politici attuali. e parla solo per divinanzioni Le analisi storiche sono Saakashvili. E dopo una limolto più utili quando mitata dimostrazione della Marina statunitense nel Mar Nero, la crisi nel compierle adottiamo una prospettiva rientrò. La Georgia non era la Serbia degli inizi aperta quanto quella che dovremmo adottadel Ventesimo secolo, la Nato non era la Russia re effettuando riflessioni sul presente. La storia è ancora «maestra della vita», cozarista e il presidente Saakashvili non era Gavrilo Princip. Il tentativo di Rogozin di parago- me disse Cicerone. Dopotutto, non potendo nare il presente a quanto accaduto nel passato prevedere il futuro, non abbiamo altre cononon era un’onesta analisi basata su una solida scenze alle quali rivolgerci per basare le noprospettiva storica, quanto un monito all’Oc- stre decisioni. Tuttavia, essa è un’insegnante cidente affinché esso si tenesse fuori dal con- eccentrica. La saggezza della Storia non giunflitto. Si trattava di un paragone storicamente ge a noi sotto forma di lezioni preconfezionate, quanto piuttosto sotto forma di divinazioni, impreciso ed ermeneuticamente vuoto. Oltretutto, anche in mani più informate e oracoli, la cui rilevanza per i problemi odierni meno manipolatorie, le analogie storiche non deve essere materia di discussione. sono affatto immuni da interpretazioni quantomeno opinabili. E il problema è rappresentato solo in parte dal fatto che la similitudine * Christopher Clark è professore di Storia tra il passato e il presente non è mai perfetta moderna europea all’Università di Cambridge. È autore de «I sonnambuli. né sempre rilevante. Ancor più fondamentale è il problema che il Come l’Europa arrivò alla Grande Guerra», significato degli eventi passati è misterioso (e edito in Italia da Laterza A fianco, la prima pagina de La Stampa del 29 giugno 1914, con la notizia dell’assassinio dell’Arciduca Francesco Ferdinando A destra, lo storico Christopher Clark
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