Atti del convegno

ATTI DEL CONVEGNO
BRA // 8-13 OTTOBRE 2013
IL FUTURO NELLE TUE MANI 2013
V° EDIZIONE SETTIMANA DEI GIOVANI
MUSICA // ARTE // TECNOLOGIA // NUOVI MEDIA
EVENTI, WORKSHOP E INCONTRI SULLA CREATIVITÀ E IL TALENTO
2014 - Cooperativa Sociale Lunetica ONLUS
Viale Madonna dei Fiori 108 - 12042 Bra (CN)
www.lunetica.it
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8-13 OTTOBRE 2013
V SETTIMANA DEI GIOVANI
ATTI DEL CONVEGNO
con il contributo di:
INDICE
PRESENTAZIONE a cura di Massimo Borrelli Assessore alle
Politiche Giovanili del Comune di Bra............................................. 5
INTRODUZIONE a cura di Coop. Lunetica...................................... 6
MARTEDÌ 8 OTTOBRE - CONVEGNO: I GIOVANI E IL
FUTURO TRA CITTADINANZA, LAVORO E NUOVI MEDIA... 8
MERCOLEDÌ 9 OTTOBRE - SEMINARIO - 1° PARTE:
Approfondimenti sul tema: “Giovani, comunicazione e nuovi
media”............................................................................................................... 17
GIOVEDÌ 10 OTTOBRE - SEMINARIO - 2˚ PARTE:
Approfondimenti sul tema: “Giovani, futuro, lavoro”.............. 29
VENERDÌ 11 OTTOBRE - SEMINARIO - 3° PARTE:
Approfondimenti sul tema: “Giovani, futuro, cittadinanza e
responsabilità”............................................................................................ 40
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PRESENTAZIONE
L’iniziativa “Il Futuro nelle tue mani 2013 - V° Settimana dei giovani”,promossa
dall’Assessorato alle Politiche Giovanili della Città di Bra in stretta sinergia con
l’Associazione Culturale ARTZ, la Cooperativa Sociale Lunetica e il Gruppo Giovanile
Enzima-G, è parte dell’insieme di iniziative che l’Amministrazione Comunale di
Bra realizza a favore del protagonismo e della creatività giovanile.
L’edizione 2013 dell’iniziativa si configura come l’integrazione tra due eventi, “Il
Futuro nelle tue mani” e la “Settimana dei Giovani”, che negli anni precedenti
venivano realizzati in modo indipendente. In un’ottica di lavoro di rete e di
complementarità è stato valutato quale fattore di valorizzazione l’unificazione
delle due distinte manifestazioni in un unico evento che ha coinvolto l’intera Città
ed il suo tessuto sociale ed economico nelle sue diverse anime ed articolazioni.
L’iniziativa si pone l’obiettivo di focalizzare l’attenzione di giovani e adulti sul
tema dei “Giovani e del futuro”, declinandolo nei seguenti focus: giovani, futuro,
comunicazione e nuovi media; giovani, futuro e lavoro; giovani, futuro, cittadinanza
e partecipazione attiva.
Il cartellone dell’iniziativa prevede una ricca e complementare offerta di proposte:
convegni, laboratori di approfondimento, workshop ed eventi speciali, ognuno dei
quali si presenta come un momento di riflessione sulla condizione giovanile in
Italia e sulle prospettive di futuro delle giovani generazioni. Essi si propongono
quale momento di incontro e confronto tra gli adulti ed i giovani su alcuni
dei principali temi che pongono interrogativi sia al mondo adulto che a quello
giovanile. Al tempo stesso, i vari momenti di incontro proposti si presentano
quali occasioni di confronto anche tra gli adulti che operano con e per i giovani
(genitori, animatori, educatori, insegnanti, Amministratori), con l’obiettivo di
incontrarsi, mettere in gioco i propri punti di vista, ridefinire le strategie di
incontro con i giovani, cercare di capire come lavorare con loro ed insieme a loro,
con quali metodi ed in quali forme.
Infine, vorrei sottolineare il fatto di come la presente iniziativa si leghi
stretta,mente alla consapevolezza che nei diversi campi di intervento delle politiche
giovanili, il ruolo di un Ente Locale non sia soltanto quello di offrire servizi,
ma soprattutto sia quello di offrire ai giovani e agli adolescenti opportunità,
strumenti di conoscenza ed occasioni per sperimentarsi come uomini/donne e
cittadini/e attivi e responsabili.
Massimo Borrelli
Ass. Politiche Giovanili Comune di Bra
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INTRODUZIONE
Il lavoro con il gruppo Enzima G inizia nel 2004 quando si è deciso di fare una
proposta di impegno ad un gruppo di ragazzi che si ritrovava informalmente
poiché all’interno della nostra città non erano presenti organi di partecipazione
giovanile che stimolassero la discussione su temi che riguardavano da vicino la
vita dei giovani. Dal 2004 ad oggi il gruppo ha deciso di iniziare a trovarsi ogni
settimana con regolarità per organizzare nella Città di Bra ogni due anni un evento
pubblico ribattezzato “Settimana dei giovani” per mettere in discussione con altri
coetanei e adulti significativi i punti di vista reciproci. La prima Settimana dei
Giovani che prese il nome di “Urban Climbing - Stati Generali dei giovani di Bra”
si svolse tra il 13 e il 18 giugno del 2005 volendo dare la possibilità alle realtà
giovanili di confrontarsi e consultarsi con il mondo adulto per diventare attori
protagonisti dei progetti di educazione e aggregazione.
Gli “Enzimi” per raggiungere tale obiettivo, nei mesi che precedettero la
manifestazione iniziarono a contattare tutti i possibili gruppi interessati sul
territorio braidese con l’obiettivo di coinvolgerli nel loro lavoro. Il Gruppo aveva
inoltre elaborato 10 tesi da utilizzare come base per le discussioni degli incontri
che si sarebbero tenuti in mattinata, per arrivare poi alla stesura di un manifesto
dei giovani che contenesse indicazioni e presupposti per iniziative future.
Le altre edizioni della Settimana dei giovani di Bra, svolte negli anni 2007, 2009,
e 2011 hanno sempre avuto l’obiettivo di stimolare coscienza critica rispetto
ai temi presentati e cercare di sensibilizzare i cittadini di Bra sulle difficoltà
giovanili concertando con gli adulti alcune soluzioni possibili. Inoltre, un altro
ambizioso obiettivo del gruppo era sensibilizzare i giovani che normalmente
non aderiscono a proposte di impegno e non partecipano alla vita della Città,
cercando di smuovere alcuni pensieri critici rispetto alla realtà giovanile. Negli
anni sono stati organizzati degli eventi di preparazione alla Settimana, tra cui
una ricerca sulla partecipazione giovanile nell’anno 2006-2007 e un inteso lavoro
di collaborazione e collegamento con realtà nazionali per l’edizione 2009. Nel
2011 invece il gruppo si è concentrato sul tema della cittadinanza declinandolo in
diverse forme e ambiti (diritti, educazione, stili di vita). Parallelamente il gruppo
ha partecipato a tutte le edizioni del Campus di Montecatini, organizzato dal
Gruppo Abele, e ad altri momenti di incontro a livello nazionale.
Il presupposto del lavoro per l’organizzazione della Settimana dei Giovani 2013
è stato incentrato sull’interrogativo ricorrente di quanto il futuro sia realmente
nelle mani dei giovani e, nel caso in cui lo sia, cosa e quanto essi possono fare
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per cogliere le occasioni che si hanno.
Il futuro è stato un tema molto dibattuto in quanto in questo momento di
incertezza generale sembra che i giovani stiano ridimensionando le loro aspettative,
smettendo di sognare e di progettare. A partire da questa considerazione, il tema
del futuro è stato sviluppato in questa edizione della Settimana dei Giovani
declinandolo utilizzando le seguenti chiavi interpretative:
1. “Giovani, comunicazione e nuovi media”
2. “Giovani, futuro, lavoro”
3. “Giovani, futuro, cittadinanza e responsabilità”
Le pagine che seguiranno racchiudono il resoconto di quattro giornate di
approfondimento e riflessione durante le quali il tema del futuro e le sue
interpretazioni sono stati affrontati e dibattuti dai giovani protagonisti di questa
manifestazione.
Lunetica
Soc. Coop. Sociale - ONLUS
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MARTEDÌ 8
10
Teatro Politeama Boglione
Piazza Carlo Alberto, 23
09.30 - 13.00 | CONVEGNO
I GIOVANI E IL FUTURO TRA CITTADINANZA, LAVORO E NUOVI MEDIA
Intervengono:
Ministero PG/ Gruppo Enzima G/Associazione Gruppo Abele/Cooperativa Sociale Lunetica
V settimana dei giovani
Bra (CN) 8-13 ottobre 2013
MARTEDÌ 8 OTTOBRE - GIORNO 1 - V Settimana dei Giovani
Bra (CN)
Intervento di: Michele Gagliardo (Gruppo Abele)
MICHELE GAGLIARDO
Responsabile del Settore Giovani Famiglie e Scuola dell’Associazione Gruppo
Abele. Il settore Giovani del Gruppo Abele dal 2000 implementa il tradizionale
impegno per la costruzione di percorsi di giustizia sociale, diritti e cittananza
responsabile insieme ai giovani. Le attività intervengono in modo particolare
sulle politiche di cittadinanza e si articolano in tre direzioni principali: la scuola,
l’educativa di strada, il percorso nazionale Albachiara. Ma si occuopa anche di
progetti di prevenzione, di formazione di animatori ed educatori, di consulenza
ad amministrazioni locali su come sviluppare politiche di cittadinanza. La
filosofia che orienta il lavoro con i ragazzi e le ragazze è l’incontro. Un incontro
qualificato dalla viglia di ricercare e capire insieme qualcosa di più della realtà
nella quale viviamo; dall’intenzione di dare forma ad esperienze di conoscenza,
relazione e impegno concreti, dall’impegno a costruire reti significative tra
giovani e adulti a livello locale, nazionale e internazionale, dalla necessità di
dare maggiore continuità alla pratica della partecipazione alla realizzazione e
tutela dei beni comuni.
www. gruppoabele.org
Il “Futuro nelle tue mani” è un titolo che descrive bene ciò che molte persone della
Città insieme ai giovani di Bra stanno cercando di costruire da 10 anni a questa
parte: restituire a ciascuno la possibilità di decidere e determinare il proprio
presente e il proprio futuro.
È importante però non dimenticare che per la maggior parte dei ragazzi questa
affermazione non è vera. Ci sono moltissimi giovani che nelle loro mani non
hanno sicuramente la possibilità di definire, descrivere, pensare, sognare, costruire
un futuro dignitoso. In molti territori d’Italia la tensione verso la costruzione
di un futuro non è possibile, infatti molti giovani sono fuori dal sistema della
partecipazione, dei diritti della costruzione della città, troppo restano relegati in
ambiti marginali della vita dei territori: aggregazione, tempo libero, divertimento,
etc. Normalmente le amministrazioni preferiscono dire ai giovani “Voi organizzatevi
la vostra festa così a tutto il resto ci pensiamo noi”.
È importante chiederci come concretamente possiamo costruire il futuro della
nostra Città e dei cittadini così come costruiamo legami, alleanze, percorsi perché
queste grandi occasioni e questi diritti possano essere restituiti a tutti i giovani
che non li hanno. L’obiettivo deve essere concretizzare il percorso e costruire
legami con quei territori estromessi dal sistema delle possibilità. Normalmente altre
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persone decidono per i giovani attraverso dinamiche tutt’altro che collaborative
o di ascolto. I processi decisionali di oggi escludono le nuove generazioni e sono
scelte che poi pagheranno i giovani tra qualche anno. Ogni persona giovane, senza
ancora aver fatto niente, ha 330 mila euro di debito sulle spalle costruito da chi
ha deciso al posto dei giovani, per assicurarsi un ricco presente e facendo pagare
alle generazioni future i costi di queste scelte personali. Altro nodo importante
quindi è ritornare a capire come prendere in mano le questioni deliberative, come
occuparci delle cose che ci riguardano anche se alcuni temi ci sembrano lontani
(il lavoro, le pensioni…).
Prendiamo decisioni oggi che ricadranno nel domani.
Assumere responsabilità nei luoghi e negli spazi di deliberazione non solo restituisce
dignità di cittadino a ciascuna persona, ma ci aiuta anche ad intervenire in quel
futuro che noi vorremmo fortemente riprendere nelle nostre mani. Questo va fatto
da giovani e adulti insieme.
Come rimettere insieme le generazioni? Come guardare insieme, giovani ed adulti, al
mondo pensando insieme a come renderlo migliore? Non servono spazi di conflitto,
ma momenti di confronto e collaborazione e di lavoro insieme. È difficile, ci vuole
energia e motivazione. È una lotta dura.
Le difficoltà economiche che stiamo vivendo non sono un fatto casuale. È il
risultato di scelte precise che hanno individuato nelle diseguaglianze tra le persone
uno degli strumenti per far crescere alcuni territori. In altre parole per anni si
è applicata questa logica: tante persone pagano la crescita e lo sviluppo di poche
persone, ecco perché il futuro non è a disposizione di tutti. Purtroppo più di 3
milioni di ragazzi sotto i 24 anni sono in Italia in stato di povertà, ma non per
caso, non per sfortuna, ma perché pagano le logiche violente di una crescita e di
uno sviluppo per poche persone attraverso lo sfruttamento della maggior parte
degli individui che vivono quei contesti.
Bisogna costruire insieme un’altra idea di società, un altro modello di sviluppo.
Tanti giovani hanno dimostrato non solo che la democrazia per consolidarsi ha
bisogno dello sviluppo, ma che lo sviluppo per essere umano e per essere per
tutti ha bisogno di una base democratica straordinaria. La democrazia deve essere
trasversale nelle questioni economiche, non possiamo pensare un’economia che
faccia pagare l’arricchimento di pochi alla maggior parte dei cittadini.
E’ necessario allora recuperare la voglia di cambiamento, il desiderio di una
vita migliore, lo scandalo e la vergogna nelle città come la povertà sempre più
crescente, l’esclusione dai mondi delle decisioni, del lavoro, dei percorsi di sviluppo
per provare a lavorare insieme verso l’obiettivo di restituire il futuro nelle mani di
ciascuno. Non è possibile che ci siano persone che guadagno più di 11 mila volte più
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V settimana dei giovani
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di un operaio di un’azienda. E le nostre aspettative sono solo quelle di collocarci
vicino a quella posizione. C’è una cultura che ha colonizzato i nostri pensieri,
devastandoli e trasformandoli: il mercato, il consumo, la delega, la mercificazione
delle persone. Ci sono interi quartieri delle grandi città in cui abitano tutti i
poveri e tutti i poveri finiscono in quei quartieri. Perché? Perché uno straniero
non può vivere nel centro di una città ma solo nelle zone periferiche? Proprio
perché c’è una cultura che piano piano ha disumanizzato ogni cosa ed ha relegato
le persone senza capacità economica ai margini, nei luoghi che non contano.
Come immettiamo un’idea diversa di mondo nelle nostre città e nei nostri contesti?
Un’idea diversa di economia? Dobbiamo lottare tutti per questo agendo su delle leve
che riescano a trasformare il contesto, investire sulle condizioni che permettono
a chi è cittadino di riprendersi il futuro. Lavoriamo insieme perché tutti possano
essere avvicinati alla dimensione della conoscenza, del sapere, del pensiero libero.
La cultura attuale del consumo e della mercificazione ci dice che non è importante
che pensiamo con la nostra testa, che ci facciamo un’idea delle cose intorno a noi,
che giudichi la realtà. Recuperiamo il valore della conoscenza, dell’essere informati,
dell’esercitare la capacità di vedere criticamente la realtà. I giovani possono
chiedere agli adulti che hanno intorno di essere aiutati a svelare i meccanismi di
oppressione, si può lavorare insieme per cercare di cogliere i tranelli di questo
mondo poco pulito e capire quali sono gli oggetti da combattere, perché ci sia più
partecipazione vera che non sia legata solo a qualche persona che si impegna per
motivi personali e perché sia davvero possibile cambiare la città.
Un amministratore deve ascoltare, ma poi deve capire che si deve occupare di
immettere scelte rispetto a come si decide nella città e non a cosa si decide. Una
città si distingue da un’altra relativamente a come prende le decisioni. Una città
può costruire processi collettivi nei quali si ascolta, si discute e le decisioni si
prendono insieme. Si può recuperare questo modello di partecipazione.
Si può pensare di lavorare su queste sfide:
Bisogna ripartire da dare struttura e forza alla partecipazione degli individui. La
rappresentanza oggi è svuotata di senso.
Costruire maggiori legami. I territori sono costruiti senza relazioni tra le persone,
anzi chi ci è vicino spesso è visto come un potenziale concorrente per la nostra
affermazione, non un compagno di viaggio, un amico, una persona con cui
collaborare. Come immettere maggiori legami nei nostri territori? Come aumentare
la coesione sociale delle città nelle quali viviamo? I legami devono però essere
relazioni di giustizia.
Dobbiamo curare la dimensione dei diritti. Proviamo a scoprire cosa nelle nostre
città produce l’oppressione delle vite giovanili, cosa le schiaccia, cosa non permette
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V settimana dei giovani
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che si liberi la creatività e la straordinaria voglia di cambiare. Qual è l’assenza
di diritto per la quale vale la pena di lavorare? Occupiamoci di restituire spazi di
diritti alle nostre vite.
Proviamo ad interrogarci su qual è la dotazione di beni pubblici che pensiamo sia
indispensabile perché una città recuperi la sua dimensione umana e di attenzione
alle persone. Ci sono dei beni collettivi che è fondamentale avere in una città.
Non è possibile che si smantellino servizi senza che nessuno dica nulla. I servizi di
informazione, culturali, di cura e di accompagnamento delle situazioni difficili. È
importante farsi un’idea di quali sono le azioni, gli strumenti, i servizi pubblici
che sono un bene di tutti e che non possono mancare nelle città. Bisogna chiedere
che si costruiscano percorsi che aiutino i giovani nella loro crescita civile e
nell’essere cittadini. Non è semplice, l’impegno dell’essere cittadini ed esercitare
la propria cittadinanza è una scelta politica che si compie anche attraverso alcune
conoscenze e competenze. Gli adulti hanno la responsabilità di immettere elementi
che aiutino i giovani nella crescita civile, di discutere quali sono i saperi pubblici
che è importante ogni cittadino abbia per esercitare il suo ruolo, quali sono le
competenze che possono essere utili per entrare nel dibattito della città, lo spazio
della deliberazione, dall’esercizio della propria partecipazione alla costruzione
della città, quali sono le essenze umane fondamentali per un cittadino attento
agli altri cittadini, quali sono i sentimenti civili che devono essere recuperati per
aiutare a costruire persone civili e città civili.
Bisogna fare in modo che tutte queste cose non siano sporadiche ma diventino,
nella nostra città e nelle altre, politiche pubbliche perché restino e costruiscano
cultura, indichino traiettorie di vita possibili più dignitose dentro modelli di vita
differenti.
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V settimana dei giovani
Bra (CN) 8-13 ottobre 2013
MARTEDÌ 8 OTTOBRE - GIORNO 1 - V Settimana dei Giovani
Bra (CN)
Intervento di: Michele Marangi e Claudio Renzetti
MICHELE MARANGI
Media Educator che progetta e conduce percorsi formativi sull’uso dei media
in ambito sociale, sanitario, pedagogico e culturale. Insegna Media e società al
Master per Analisi di produzione cinematografica, televisiva e cross-mediale
(Facoltà di Economia e Commercio, Università di Torino). Insegna Media e
Intercultura al Master di Formazione Interculturale dell’Università Cattolica di
Milano.
CLAUDIO RENZETTI
Sociologo Clinico, si occupa come formatore e supervisore di salute mentale,
dipendenze patologiche e cure palliative. Per anni è stato docente alla Scuola
per Educatori Professionali e al Master post laurea di Medicina Palliativa. Ha
pubblicato numerosi articoli e saggi sui temi dell’adolescenza, dei comportamenti
a rischio e della prevenzione possibile. Apprezza o racconti di A. Munro, le
poesie di W. Szymborska e il Koln Concert di K. Jarrett.
Inoltre è convinto che il libro di F.G. Ledesma “Il Peccato” sia uno dei migliori
romanzi contemporanei.
Lavoro sociale come il Tetris
Michele Marangi inizia il suo intervento parlando del logo de “Il futuro nelle tue
mani”, un logo che apparentemente non significa nulla ma può significare molte
cose. Il logo può ricordare il Tetris, gioco “sovietico” ormai diventato un oggetto
vintage, la logica del tetris è quella di far quadrare tutte le cose e se sono bravo
in questo la linea scompare e il gioco prosegue. Un aspetto interessantissimo
del Tetris è che questo gioco può non finire mai. Si finisce solo se perdo, ma
non si può vincere. Il Tetris può essere utilizzato come metafora della vita e del
lavoro sociale, in cui si cerca di incastrare i pezzi di diversa forma e se riesco a
incastrarli correttamente ne arrivano degli altri da sistemare; il divertimento sta
nel provare ad incastrare i pezzi e il premio è continuare ad incastrare i pezzi.
Come ben sanno i video-giocatori l’85% del tempo in cui gioco perdo, però mi
diverto a continuare a giocare. L’altro ricordo che suscita il logo è una pista
da discoteca, un luogo luminoso dedicato al divertimento, oppure il logo può
ricordare una costruzione astratta, un bozzetto per una casa, un centro sociale che
racchiude spazi aperti con quelli chiusi in una metaforica isola che unisce tutte
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queste differenze rappresentate dalla moltitudine di sfumature cromatiche in lei
racchiuse.
I Guerrieri
Proiezione del video “#Guerrieri”
Il primo video che viene presentato è la campagna pubblicitaria denominata
“#Guerrieri” proposta da un’impresa italiana che si occupa di energia elettrica. Una
campagna che è particolarmente interessante perché vende “energia”, e come ogni
pubblicità negli ultimi venti anni non si preoccupa di vendere un prodotto ma
bensì di proporre uno stile di consumo. Il video racchiude molto ritmo ma anche
molta melodia, non si preoccupa di distinguere tra giovani e adulti, tra abbienti
e meno abbienti tra luoghi interni o esterni, ma mette tutti insieme; il video
propone una molteplicità di situazioni che vede tutti i protagonisti nello stesso
contesto di costrizione, sia fisica (un corridoio, il traffico) sia più sfumata. Tutti i
personaggi però vivono la loro situazione costrittiva e ognuno di essi ci guarda in
faccia, tecnica che in gergo cinematografico si chiama “interpellazione”. Nel video
non emerge un’idea di società, ci sono molti individui che vivono il nostro tempo
e le difficoltà che lo contraddistinguono, emerge che c’è la crisi e che ciascuno fa
i conti con essa sentendosi compresso, stanco, frustrato per poter sopravvivere a
questa vita “da schifo” devi essere un guerriero. Il video da per scontato che per
sopravvivere sia necessario lottare, essere guerrieri in un territorio socio-culturale
in cui tutti hanno bisogno ma nessuno è rappresentato.
Lo spot pubblicitario vuole venderci energia perché siamo svuotati di energia,
la metafora è che ciascuno deve trovare la sua fonte di energia per affrontare
tempi pessimi. Non si tratta di energia sociale ma energia autoreferenziale che
ci deve servire per portare avanti la nostra “battaglia” individuale. La campagna
pubblicitaria termina con una chiamata alla partecipazione e alla condivisione
delle proprie esperienze dove è la società elettrica che fornisce il campo da gioco
che da un lato ci rende protagonisti dall’altro ci fornisce il campo da gioco in cui
dobbiamo esprimerci (sito e twitter); quello che sembra un gioco alla pari invece
ha delle regole e degli obiettivi che ci vengono imposti.
Le scarpe giuste per affrontare il futuro
Cambiare prospettiva per comprendere qualsiasi fenomeno, trovare punti differenti
dai quali osserviamo il mondo. Possiamo immaginare modi diversi di costruire il
futuro se comprendiamo di aver bisogno di cambiare continuamente posizione, non
stare mai fermi, osservare gli aspetti più marginali e secondari per comprendere
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V settimana dei giovani
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i fenomeni. Questo atteggiamento potrebbe permetterci di costruire un futuro in
maniera meno improvvisata, meno ingenua e superficiale. Il video della pubblicità
della compagnia di energia elettrica è stato firmato da Andre Stringer, un regista
americano, scrittore e artista; il suo biglietto da visita recita che il suo lavoro
nasce dalla collisione di diverse culture: il design, la musica e lo skateboard.
Il suo lavoro rappresenta un prodotto di qualità e allo stesso tempo una debacle
clamorosa. Il 26 agosto viene presentato il video pubblicitario e da allora ha attirato
su di sé critiche aspre su due fronti: il primo accusa la compagnia elettrica di non
essere un attore autorevole per poter trasmettere un messaggio di tale potenza non
operando in linea con i principi che propone nel suo spot; la seconda obiezione è
che l’azienda descrive in modo epico le disavventure della gente comune quando
non c’è niente di epico nelle difficoltà quotidiane della popolazione che fatica
ad unire il pranzo con la cena. Queste due visioni non sono antitetiche rispetto
all’analisi presentata precedentemente ma, nell’ottica del continuo cambiamento
di prospettive, queste sono visioni complementari alla precedente. Il video
pubblicitario, seppur di ottima qualità, è stato calato in un contesto fatto non di
consumatori passivi che hanno accettato il messaggio proposto dall’azienda, bensì
di fruitori critici che non hanno accettato quella visione del mondo respingendo
la campagna pubblicitaria.
Un punto di forza per la costruzione del futuro potrebbe essere proprio il rifiuto
di essere consumatori passivi, complici di logiche che ci vogliono vedere solo come
acquirenti; diventando invece protagonisti delle nostre scelte, essendo pronti a
rovesciare le letture che ci vengono imposte e proponendo punti di osservazione
radicalmente diversi.
Proiezione del video “Shoes are boring. Wear sneakers”
Lo spot propone una divisione tra le scarpe e le sneakers, le prime “noiose” mentre
le seconde accattivanti. Questa divisione propone un’idea che parla di vecchi e di
giovani e non di giovani e adulti; una dicotomia slegata dal fattore anagrafico.
Sono le azioni che connotano una persona come giovane o come vecchio, addirittura
la stessa azione fatta in un certo modo è da considerarsi “giovane” ma se viene
compiuta in un altro è “da vecchi”. Non conta quello che si fa ma il contesto ed
il modo in cui si fa.
Proposta di esperimento alla platea viene fatta la seguente domanda: Che cosa
devo mettere ai piedi per andare incontro al futuro?
Il pubblico aveva a disposizione dei post-it sui quali scrivere la loro risposta.
Qui di seguito l’elenco delle risposte:
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Scarpe con le molle
Le sneakers perché sono il massimo
della comodità
Scarpe antinfortunistiche perché sei
più al sicuro
Scarpe antinfortunistiche almeno vuol
dire che ho un lavoro
Sneakers per affrontare ogni tipo di
situazione
Stivali di pelle perché sono rocker
Scarpe da ginnastica per essere
comodo in ogni situazione che
perdere terreno
Scarpe da basket per seguire quello
che mi piace
Scarpe di creta perché il futuro
dobbiamo modellarlo noi
Ballerine per camminare a contatto
con la terra e all’aria aperta
Sandali perché sono liberi e freschi
Sneakers perché ti fanno sentire
sempre a tuo agio
Babucce per rimanere al caldo e al
sicuro
incontrerò
Piedi nudi perché non ho soldi
A piedi nudi perché sono: uguali a
Scarpe da ginnastica
tutti, e perché non si comprano
Scalzi per essere se stessi
Qualunque scarpa, non importa cosa si Stivali da equitazione perché così
indossa ma chi le indossa
siamo a cavallo
Scalzo perché non ho soldi
Scarpe da ginnastica per essere
Sandali con i calzini bianchi perché
comoda
sono fighi
Nike Air Max perché sono techno folle
Ciabatte perché staremo a casa a fare
non ho gambe ho solo molle
nulla
Scarpe da ballo perché la pista è
Scarpe con le ali per vedere il mondo
l’unico posto che sento mio
da un altro punto di vista
fig. 1: Tag cloud delle risposte più
Scarpe da trekking perché affrontare frequenti
il futuro è una scalata
Scarponi da montagna perché il
futuro è in salita
Scarpe da ginnastica perché sono
adatte a tutto
Sneakers per essere comodo e pronto
a ogni situazione
Geox perché respirano
I calzari di Gesù perché solo con lui
si va avanti
Stivali chiodati per non cadere e
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MERCOLEDÌ 9
Centro Culturale Polifunzionale “Giovanni Arpino”
Via Guala, 45
09.30 - 16.30 | SEMINARIO - 1°°˚ PARTE
Approfondimenti sul tema: “Giovani, comunicazione e nuovi media”
Conducono:
Michele Marangi/Claudio Renzetti
Gruppi di lavoro a cura di: Associazione Gruppo Abele, Servizio Dipendenze Patologiche ASL Cn2
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V settimana dei giovani
Bra (CN) 8-13 ottobre 2013
MERCOLEDÌ 9 OTTOBRE - GIORNO 2 - V Settimana dei Giovani
Bra (CN)
Intervento di: Claudio Renzetti
Claudio Renzetti inizia il suo intervento parlando del fatto che nella giornata
precedente, durante l’intervento dal palco di uno dei relatori, ha notato che circa
il 60% dei ragazzi partecipanti stavano scrivendo o facendo qualcosa sul proprio
cellulare che era acceso. Qualcuno aveva il tablet. Non tutti avevano però lo
stesso comportamento: alcuni utilizzavano il telefono in maniera costante altri lo
guardavano ad intermittenza. Allora Renzetti si è interrogato su cosa significava
e ha trovato alcune possibili interpretazioni.
La prima è di tipo moralistica: siamo di fronte ad una scortesia. Una persona
parla e gli altri manifestano disinteresse e indifferenza verso quello che sta
dicendo. Ciò implica che chi parla sta dicendo delle cose o terribilmente noiose o
estremamente risapute.
La seconda interpretazione è che le persone hanno acquisito un’abilità straordinaria,
cioè “riescono a fare bene più cose”: possiamo ascoltare e allo stesso tempo a mandare
SMS o a leggere informazioni. Questa lettura tecnologica richiama il concetto di
multitasking, cioè si possono affrontare più compiti contemporaneamente dando a
ciascuno il massimo dell’attenzione anche perché la tecnologia lo permette.
La lettura di carattere filosofico/esistenziale riguarda la domanda: perché noi ci
comportiamo in questo modo? Forse perché ciò che le persone desiderano è essere
sempre e comunque altrove. Il desiderio di ciascuno di noi è avere la certezza
che non tutto si risolve nel qui ed ora ed abbiamo una spinta straordinaria ad
ampliare il nostro orizzonte, il nostro confine. Rispettiamo colui che parla in
questo momento, infatti prestiamo attenzione in termini astratti, ma ciò che
desideriamo di più è essere altrove perché è il desiderio più forte. L’altrove disegna
una possibilità altra ed ulteriore per la nostra vita e per la nostra quotidianità.
L’ultima lettura di carattere sociologico è più articolata. Ciascuno di noi è il
punto di intersezione di numerosi messaggi che subiscono una selezione terribile
e severissima. Noi siamo destinatari di messaggi che tra loro competono e alcune
volte confliggono.
La prevalenza di un messaggio sull’altro è un mistero.
Siamo circondati da una serie di informazioni di tipo diretto o indirette (es. i
manifesti pubblicitari), siamo continuamente stimolati, alcuni sono in armonia tra
di loro altri sono in contraddizione. Alcuni messaggi contemporanei rischiano di
svalutarsi tra di loro, in altre parole siamo destinatari e produttori di messaggi
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V settimana dei giovani
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continui e ad un certo punto dobbiamo scegliere qual è il messaggio dominante,
a chi prestare la nostra attenzione, e il criterio con cui lo facciamo è misterioso,
non valutabile. Noi agiamo quotidianamente in un mondo che ci arricchisce di
opportunità conoscitive a razionalità limitata, nel senso che scegliamo la fonte
del messaggio più autorevole a cui prestare la nostra attenzione con un criterio
bizzarro.
Il nostro modo di scegliere è frutto di una bizzarria perché la nostra vita è
disegnata continuamente con criteri bizzarri.
Questo discorso è servito a presentare Lisbeth Salander: Lisbeth è una giovane donna
ed è la rappresentazione più plastica, incredibile ed interessante del concetto che
noi agiamo a responsabilità limitata. Non è vero che tutte le nostre scelte sono
pensate secondo un criterio utilitaristico, di vantaggio provato o presunto, bensì
sono casuali.
Lisbeth è una testimone di questo principio. Non è particolarmente bella, ma è
molto attraente. Non è un personaggio reale, ma è la figura chiave della trilogia
di Stieg Larsson.
E’ un personaggio letterario e cinematografico, ma è anche la rappresentazione
straordinariamente fedele di moltissime persone che conosciamo, con cui ci
relazioniamo nella nostra vita.
Lisbeth ha 24 anni ed è alta 1,54 m. Non è altissima per gli standard scandinavi.
Pesa 42 Kg, si può dire che è una ragazza asciutta, muscolosa con una buona
proporzione tra l’altezza e il peso. L’autore la descrive con mani piccole, caviglie
sottili e seni che si distinguono appena. Apparentemente si presenta come una
ragazza senza emozioni, impermeabile, indifferente, pallida con capelli cortissimi
e alcuni piercing. Sul suo corpo c’è un tatuaggio di una vespa, sul braccio sinistro
ha un serpente e sulla schiena ha un drago che pochissime persone hanno potuto
vedere. Lisbeth ha trascurato le ultime classi delle medie e non ha mai messo piede
in un liceo. Sembra una ritardata, rintronata, ma in realtà Lisbeth è un genio del
computer, è un hacker formidabile con capacità straordinarie e buona parte della
sua vita si svolge sul web che è quasi la sua vera casa, il suo rifugio, è l’osservatorio
dal quale valuta il mondo.
Lisbeth si veste rigorosamente con anfibi, gonne e magliette neri e con una
cintura borchiata. Le sue magliette sono formidabili perché rappresentano una
sintesi della sua personalità. Su una t-shirt leggiamo “I am also an alien”, mentre
su un’altra leggiamo “Ieri era la fine del mondo e oggi abbiamo qualche problema”.
Lisbeth ha un passato turbolento e doloroso, al punto tale che le è stato affidato
dal Tribunale di Oslo un tutore, una persona che si occupa di giovani problematici.
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Bra (CN) 8-13 ottobre 2013
La funzione educativa del tutore si può riassumere in due criteri:
1. “Tutti hanno diritto ad un’opportunità”. Lisbeth ha avuto una vita turbolenta,
disastrosa, ma il suo tutore crede in questa frase e le procura un lavoro che ha a
che fare con le sue abilità sui computer in un’agenzia. Lisbeth lo svolge con rigore
e risultati straordinari. Il criterio del tutore sull’opportunità è in questo caso
vincente.
2. “Considera le conseguenze”. Nel senso che ogni nostra azione e ogni nostra
scelta si trasforma in una sequenza di effetti e tu dovresti essere in grado di
valutarne gli effetti ex ante. Questo è quanto spesso ci viene raccomandato dai
nostri genitori o dagli insegnanti: “Fai ciò che vuoi ma considera gli effetti delle
tue scelte”.
Funziona con Lisbeth?
Lisbeth ha una vita disordinata, una vita sessuale vivace e un consumo significativo
di droghe e alcol e alcune volte questa raccomandazione funziona, mentre altre
volte no.
Non sempre abbiamo la capacità di valutare le conseguenze dei nostri atti e
scegliamo la strada più tortuosa, più fallibile. Vediamo e valutiamo il meglio e
poi scegliamo il peggio (Cit. Ovidio. Le Metamorfosi). Lisbeth come ciascuno di
noi alcune volte è portata a fare delle scelte di tutela, di protezione evitando
comportamenti a rischio, altre volte non le importa, nel senso che sa cos’è il
meglio ma sceglie il peggio.
Questo comportamento si può chiamare “sconto iperbolico del futuro”.
E’ una nostra modalità di pensiero, ad esempio prima di uscire per andare ad una
festa pensiamo che saremo bravi e berremo solo una birra, ma poi quando siamo
sollecitati dagli amici e dalla situazione cediamo e diamo libero sfogo alla parte
ludica di noi. Il giorno dopo poi possiamo dirci che il giorno prima abbiamo
sbagliato, non abbiamo seguito le nostre convinzioni, possiamo tornare a ragionare
dentro un criterio di tutela della salute. Questo significa che il nostro modo di
agire e di scegliere ha questa caratteristica: è situazionale e relazione, dipende cioè
da dove ci troviamo e con chi siamo e dipende dalle sollecitazioni che riceviamo
nei diversi contesti. La nostra razionalità è debole, la nostra volontà è fragile e noi
dobbiamo fare i conti con questo dato di fatto. Noi siamo a volte molto padroni
di noi stessi, a volte siamo molto vulnerabili. Ci piace essere controllori dei nostri
impulsi e un po’ ci piace lasciarci andare. La nostra natura diventa umana se siamo
in grado di tenere dentro tutte queste componenti.
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V settimana dei giovani
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MERCOLEDÌ 9 OTTOBRE - GIORNO 2 - V Settimana dei Giovani
Bra (CN)
Intervento di: Michele Marangi
I media non sono solo dei testi o dei concetti comunicativi, bensì sono sempre e
comunque dei contesti comunicativi: c’è qualcuno che introduce (la grande novità
è che può essere chiunque), qualcuno che mette le competenze (musiche, sfondi,
grafiche, messaggi, etc) e soprattutto c’è qualcuno che li guarda e che li ascolta. E’
un discorso molto complesso.
Spesso i media raccontano una storia, sono oggetti narrativi che ci permettono di
esprimere la nostra visione del mondo, confrontarci su alcune situazioni.
Proiezione dello spot “PlayStation 4”
La Sony da 9 mesi sta curando l’uscita di questo oggetto facendo uscire una serie
di spot su youtube (anziché in TV), alcuni più tecnici altri veri e propri film.
Lavorare sui media vuol dire capire che tipo di strumenti abbiamo, questo spot
visto sul cellulare senza cuffie fa un effetto, mentre visto sul grande schermo con
i bassi che pulsano fa un altro effetto, quindi lo stesso messaggio cambia con il
contesto in cui lo percepisco.
I video sono proposti per guardare, raccogliere, connettere, esplorare e provare
a dare degli spunti. Ci sono tre ritmiche musicali differenti, talvolta immagini
digitali e talvolta immagini reali. A volte non si comprende cos’è reale e cos’è
digitale (e non virtuale).
Il primo snodo: reale e virtuale non sono oppositivi. Il contrario di reale è irreale,
il virtuale è il reale in potenza, ciò che potrebbe diventare, ciò che in qualche
modo presumiamo. E’ interessante perché in qualche modo il virtuale è un’altra
dimensione del reale ma non è oppositiva al reale. Questo richiama al concetto
dei social network, es. gli amici su facebook non sono amici veri. E’ ovvio: si
chiamano amici e non contatti per un buon senso del marketing. Meglio la parola
amici della parola contatti. C’è tutta una branca dell’industria di produzione che
si chiama “naming” e che si occupa dello studio della scelta dei nomi dei prodotti,
dei servizi e delle aziende. E’ interessante perché è fondamentale dare il nome
giusto ai prodotti in vendita. E’ emblematico per cui il reale è un pezzo, l’irreale
è un altro pezzo ma non sono affatto in contraddizione.
Emerge in questo video il verbo To Play che in inglese significa almeno tre cose:
giocare, suonare o recitare (idea di creatività), far funzionare o far andare avanti.
Questo triplice significato vale anche per il francese e per il tedesco. Il “to play”
viene spesso letto solo come giocare, come una cosa da adolescenti anche se l’età
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media del giocatore in Italia è 30 anni, quella del gioco è la prima industria
di intrattenimento contemporaneo che ha superato il cinema ed è una galassia
sterminata di tantissimi generi diversi.
Oggi i formati mediali, vecchi e nuovi indifferentemente, sono sempre più immersivi
e sempre più legati a delle modalità in cui non sono disuniti il piacere di fare le
cose da strategie per cui esplico in maniera più o meno consapevole dove voglio
andare a parare. Dobbiamo costruire strategie in maniera molto seria, sapendo
leggere gli elementi che ho intorno decidendo su che stile e con che gioco giocare
ma senza mai perdere il piacere di farlo.
Il secondo snodo: non si può parlare di media senza ragionare di medium. I media
sono solo i formati mediali, ma ogni media è sempre un medium che mette in
contatto elementi scissi. La parola sintetizza ed esprime dei pensieri ma cerca
di essere plausbile e coinvolgente rispetto a chi ascolta. Il primo medium è il
tradurre con noi stessi ciò che pensiamo.
I medium sono anche una dialettica, una mediazione, una necessità di trovare
una sintesi dei concetti, sono il modo migliore per rendere efficace un’idea, un
pensiero, una percezione o sensazione. Siamo tutti dotati di smartphone (che
nessuno chiama più telefonino perché telefonare è residuale e si fanno soprattutto
altre cose) o di tablet, di strumenti cioè che concretizzano ciò che anni fa sembrava
fantascienza e che si chiama convergenza. Possiamo mettere dentro tantissimi
linguaggi: parlare, registrare, fare foto, filmare, unire pensieri a faccine o a
disegni. La multimedialità è l’elemento chiave. Diventa emblematico come una cosa
così semplice, touch, così immediata, non perde di vista strategie che sono invece
molto complesse: per capire se ciò che faccio segue certe logiche ovvie, scontate,
rigorose oppure segue logiche imprevedibili. Es. ho deciso di non bere invece sto
bevendo, ne prendo atto.
Proiezione di un frammento della serie inglese “Misfits”
La sequenza introduce la capacità di raccontare qualcosa che è molto interiore con
uno stile piuttosto esagerato, ma parlando di cose molto concrete.
I protagonisti sono alcuni ragazzi seguiti dai servizi sociali e ciascuno di loro ha
un super potere. Si legge nel frammento l’idea del futuro come tema dominante:
cosa vuol dire pensare al futuro quando si hanno 16 anni? Per esempio pensare ai
30 anni? 30 è una cifra che non vuol dire nulla, forse 30 e 50 sembrano essere
la stessa cosa, mentre per chi ha 30 anni è tutta un’altra cosa. L’età quindi non
significa nulla. C’è tutta un’idea legata a quanto posso, riesco, voglio, mi permetto
e so sperimentare. Viene citata la frase di Darwin “Non si fa la frittata senza
rompere le uova”. Nel gergo classico fare la frittata vuol dire fare un disastro, però
per i cuochi le frittate da mangiare sono buonissime. Per cui cosa scelgo? L’uovo
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intero o per gustarlo devo romperlo? Tutto questo viene proposto ragionando sulla
messa in scena: la parola chiave della sequenza è virtù. I latini dicevano che la
virtù sta nel mezzo, ma mezzo non è medium. Stare nel mezzo è sempre possibile?
Certe volte non possiamo stare a metà, ma dobbiamo scegliere (Es. Se torno a casa
dopo aver bevuto e vado piano, ma in mezzo alla strada per non correre rischi
in realtà rischio di fare un frontale). Nella sequenza, la virtù sta nel mezzo, ma
talvolta i personaggi sono in alto, talvolta in basso, talvolta sono sull’orlo di un
precipizio.
IL MANDATO DEI GRUPPI DI LAVORO
Il mandato ai gruppi di lavoro di Michele Marangi
I gruppi dovranno sviluppare un ragionamento che vedrà i media non come
oggetto tecnologico, ma come processo comunicativo che mette insieme
ciò che pensiamo, proviamo, come lo esprimiamo (elemento personale) e
un pubblico, in altre parole la mediazione tra i nostri pensieri e come li
comunichiamo.
Il ragionamento dovrà essere collegato con quanto detto su Lisbeth
Salander, come personaggio sulla linea di confine, e sulla Ps4 che
ci invitava a oltrepassare i limiti della realtà. Contemporaneamente
bisognerà approfondire il nostro rapporto con il rischio, sapendo che un
conto è cercare di ragionare su alcuni terreni virtuali e/o reali, un altro è
praticarlo concretamente.
Il mandato ai gruppi di Claudio Renzetti
Il mandato è legato ai materiali visti e alla storia su Lisbeth Salander.
Pensiamo inoltre a due motti popolari che ogni tanto ripetiamo in maniera
alternata:
1. Chi non risica non rosica
2. Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino
Il primo è un invito d affrontare il rischio, a corteggiarlo, ad accettarlo.
Freud diceva “Una vita senza rischio è una vita insapore”, quindi senza
gusto e tutta la nostra esistenza è un rischio continuo. Dall’altra parte, il
secondo ci dice che se noi rischiamo come pratica usuale e ricorrente ci
rimettiamo le penne, cadiamo e ci facciamo male.
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I gruppi dovranno provare a venire fuori da queste due polarità o accettarle.
La domanda: dove ci posizioniamo? Guardando verso il futuro, come ci
giochiamo queste due avvertenze? Dove stiamo noi e perché?
Posso immaginare che questi due motti siano entrambi veri, ma quando
sono veri? Quando è più vero uno piuttosto dell’altro? Quando sposiamo il
primo e perché? Quando il secondo e perché?
Come comunichereste l’appartenenza al primo o al secondo motto? Il
come significa tutto: attraverso quali strumenti, con quale stile, a chi e il
contesto comunicativo che sembra più efficace per far passare il messaggio.
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MERCOLEDÌ 9 OTTOBRE - GIORNO 2 - V Settimana dei Giovani
Bra (CN)
Restituzione dei gruppi di lavoro
GRUPPO VERDE:
I ragazzi hanno affrontato il tema del rischio analizzandolo, attraverso delle
metafore, sia nel lato positivo (”chi non risica non rosica”) sia in quello negativo
(“tanto va la gatta al largo che ci lascia lo zampino”).
Dovendo poi decidere quale fosse la metafora che più
li rappresentasse il gruppo ha fatto emergere come sia
difficile collocarsi da una parte o dall’altra. Questo
perché secondo loro le situazioni di rischio esistono
in entrambi i casi, di conseguenza quello che hanno
constatato è che l’unico modo per affrontare con
serenità questi momenti è utilizzare dei filtri, dei
paracaduti per attutire l’atterraggio.
I ragazzi hanno anche toccato il tema delle
dipendenze che secondo loro sono portate anche dai
comportamenti dei ragazzi stessi.
GRUPPO ARANCIONE:
Questo gruppo ha subito espresso come ragionando di questo tema in relazione
al futuro ci si ritrovi spesso anche nella condizione di non voler rischiare per
potersi basare di più sulle certezze e sulle sicurezze
che ognuno di noi ha. Parallelamente hanno discusso
anche delle scelte che bisogna prendere nella vita
evidenziando come sia più facile andare incontro ai
rischi quando si è più giovani rispetto a quando si è più
adulti. Tutto ciò per via delle responsabilità. Hanno
parlato anche di rischio consapevole paragonandolo
alla storia di Ulisse e le sirene
e di quello non
consapevole rievocando la disavventura di Icaro .
Non hanno soltanto utilizzato la mitologia come
metafora ma hanno anche proposto un video
attualissimo del programma televisivo “Jersey Shore”
per sottolineare come a volte il rischio sia inteso
molto di più nel suo lato negativo e futile rispetto ad
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un rischio mirato e costruttivo. Essendo il rischio un grande punto interrogativo
hanno deciso di lasciare questo messaggio fotografandosi in una bella foto di
gruppo dove loro stessi formavano questo grande punto interrogativo esprimendo
come l’unione tra le persone possa dare la forza per affrontare la finta felicità
proposta dai mass media.
GRUPPO BLU:
Discutendo delle grandi potenzialità di internet hanno
constatato che nonostante sia così facile proporre cose
sulla rete non è ancora avvenuto il passaggio dove NOI
in prima persona proponiamo alla rete. Anche perché
fortunatamente è ancora forte il desiderio di contatto
diretto tra le persone. Secondo il gruppo internet
cerca di farci entrare in processi di partecipazione “
virtuali” e non reali, portandoci a fare cose condivise
dalla massa solamente perché di tendenza (“harlem shake” etc.).
Scelte e rischi vanno di pari passo ed è per questa ragione che secondo i ragazzi
a volte gli schemi che ci circondano non devono essere presi per partito preso.
Distaccarsi lievemente da questi schemi può portare ad affrontare il rischio, quello
di vedere quello che altri non vedono o quello di andare verso una direzione
sbagliata, pericolosa. Una loro intuizione è stata anche che il non rischiare comporta
un rischio, quello di non averci provato.
GRUPPO GIALLO
La scelta della scuola è un rischio che questi ragazzi hanno fatto emergere, ed
è il futuro che li preoccupa. La perdita dei valori fondamentali sono collegati
all’ascesa del dio denaro che a loro avviso ha complicato il processo di crescita
morale di molte persone diminuendo le ambizioni della civiltà ed in particolare
i sogni dei giovani. Il rischio lo intendono come una scelta collettiva mirata a
migliorare il pensiero delle persone. Una scelta meditata e di gruppo fatta per
opporsi ai falsi miti inventati dalle pubblicità, dalle televisioni e da tutto ciò che
li porta a credere ad una realtà finta, di plastica, quella dei giorni nostri.
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MERCOLEDÌ 9 OTTOBRE - GIORNO 2 - V Settimana dei Giovani
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Commenti ai lavori dei gruppi: Michele Marangi e Claudio Renzetti
Dopo aver ascoltato i ragionamenti fatti dai ragazzi nei propri gruppi, Renzetti
si dice entusiasta dei loro pensieri sostenendo che il confronto non soltanto
mobilita l’uomo ma lo nobilita. Il confronto ci spinge a considerare un diverso
punto di vista che a volte può contagiarci in maniera positiva.
Si esprime sull’argomento del rischio dicendo che la parola stessa ha radici arabe
ed è legata alla posta in gioco, cosa si è disposti a mettere in gioco per ottenere
un risultato.
Non sappiano l’esito delle nostre scelte, non ne conosciamo gli effetti collaterali.
C’è chi corre dei rischi senza averne la consapevolezza. Noi facciamo delle scelte
a volte meditate ma non siamo in grado di prevederne il futuro. Dobbiamo fare i
conti con gli effetti delle nostre scelte che non siamo stati in grado di valutare.
Le nostre scelte sono sempre a razionalità limitata.
Sarebbe bello, continua Renzetti, riuscire a rischiare sapendo che ogni rischio
porta delle conseguenze che possono essere rimediabili.
L’idea del rischio è complicata perché dobbiamo decidere la posta in gioco e
l’eventuale vantaggio possibile. L’età adulta non rappresenta una garanzia rispetto
ai rischi, ad esempio sulle interruzioni di gravidanza le statistiche dicono che non
riguardano gli adolescenti. Tutto questo perché tutte le volte che ci si pone un
problema riguardo al rischio noi mettiamo in gioco una variabile straordinaria che
è il desiderio.
In questi casi siamo spinti in parte dalla ragione e dall’altra dal desiderio di
ottenere il massimo del piacere.
Parlando del digitale ammette che non è in competizione con il verbale, il rapporto
faccia a faccia, ma sono due aspetti complementari della comunicazione. Diventa
un problema nella misura in cui prende il sopravvento sulla comunicazione vera e
propria: la parola. È giusto sfruttare tutte le possibilità comunicative che abbiamo
a disposizione ma diventa pericoloso chiudersi in quel mondo tanto da dover
iniziare a porsi delle domande. Tutto questo perché può diventare il sintomo di
una difficoltà comunicativa.
Sul futuro cita Paul Valéry: “ il futuro non è più quello di una volta”. Ciò significa
che le nostre biografie, quelle del terzo millennio, non sono così predefinite. Gli
studi sulle prospettive di lavoro dei giovani ci dicono che le generazioni attuali
sono destinate ad attraversare almeno quattro o cinque diverse attività lavorative
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che non sono neanche congrue tra di loro.
Ognuno di noi dovrà sentirsi pronto a fare più lavori nella propria vita cosa che
è già entrata fortemente negli ingranaggi della cultura statunitense. Svolgere
attività diverse in momenti diversi della propria vita può essere un punto di
forza, una qualità. Il problema è che ciò avviene in una momento storico di forte
crisi facendo perdere il senso della solidarietà e aumentando il rischio di dover
affrontare il futuro da soli.
Michele Marangi porta come esempio la foto del punto interrogativo formato dai
ragazzi proposta da uno dei gruppi del meeting. La analizza sottolineando come
questa fotografia possa essere vista in più modi ed evidenzia come non ci sia un
modo corretto ed uno esatto per osservarla. La stessa cosa vale per le dinamiche
di lavoro che hanno adottato i ragazzi, l’importante è che ogni persona porti il
proprio punto di vista sulle cose. Quest’ultimo può essere confrontato con altri
punti di vista che ci permettono di avere un quadro più esteso e ragionato dei
nostri pensieri.
Percorre i tempi passati parlando della Torino degli anni ’50, delle difficoltà
a cui hanno dovuto fare fronte gli immigrati meridionali che andavano al nord
alla ricerca di lavoro. La Fiat diventò una grande famiglia per quelle persone che
cercavano una direzione, una strada. Oggi tutto questo è impossibile perché le nostre
direzioni sono diventate molteplici, bisogna riposizionarsi, essere flessibili, elastici
ricordando sempre che i modelli imposti dai mass media non devono diventare
i nostri riferimenti. Dobbiamo riuscire a schiarirci le idee vicendevolmente ed
essere sempre alla ricerca di elementi da prendere, interiorizzare e condividere.
Marangi conclude dicendo che la società non esiste perché la società siamo noi,
noi siamo parte sociale.
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GIOVEDÌ 10
Centro Culturale Polifunzionale “Giovanni Arpino”
Via Guala, 45
09.30 - 16.30 | SEMINARIO - 2˚ PARTE
Approfondimenti sul tema: “Giovani, futuro, lavoro”
Conducono:
Michele Marangi/Claudio Renzetti
Gruppi di lavoro a cura di: Associazione Gruppo Abele, Servizio Dipendenze Patologiche ASL Cn2
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GIOVEDÌ 10 OTTOBRE - GIORNO 3 - V Settimana dei Giovani
Bra (CN)
Intervento di: Claudio Renzetti
La terza giornata della Settimana dei Giovani inizia con una riflessione di Claudio
Renzetti sul futuro e sull’atteggiamento che bisognerebbe adottare per affrontarlo.
Claudio Renzetti esordisce citando una frase di senso comune che sostiene che i
suonatori di jazz siano persone assolutamente poco raccomandabili poiché negli altri
generi musicali, la sezione ritmica (nella grande maggioranza dei generi musicali
composta da batteria e contrabbasso, batteria e basso, batteria e contrabbasso e
batteria e basso) crea una base sulla quale tutti gli altri strumenti, compresa la
voce, costruiscono i motivi, le armonie, i fraseggi, gli accordi, in qualche modo
in tutti gli altri generi musicali quello che accade è al 90% prevedibile, già
scritto, in qualche modo provato e riprovato insomma. Ma nel jazz, il saxofono o
il pianoforte vanno per conto loro e la sezione ritmica si deve adeguare.
Cosa significa? Noi come possiamo stare dentro il cambiamento? Come possiamo
stare dietro al cambiamento? Come possiamo stare davanti al cambiamento?
Il cambiamento a volte ha a che fare con eventi assolutamente turbolenti, forti
e quindi ha a che fare con l’inatteso, anzi qualcuno sostiene che gli eventi più
significativi della nostra vita hanno a che fare con l’inatteso, con qualcosa che
non ci siamo aspettati. La CIA, che è un apparato potentissimo, non aveva previsto
il crollo del muro di Berlino nell’89 o l’attacco alle Torri Gemelle. Per dire appunto
che l’inatteso a volte è ciò che caratterizza la svolta, il cambiamento più radicale.
Il problema è riuscire a capire che cosa facciamo di fronte all’inatteso, a qualcosa
che è spiazzante, per la quale tu non siamo attrezzati. Allora se ci muoviamo con
un atteggiamento restistente oppure, come dire, seguendo quel movimento che è il
movimento dei delfini, ci giriamo attorno e abbiamo una dinamica più flessibile.
Sono sicuramente eventi singolari che ci mettono in discussione. Il segreto è
stare dentro questi processi in maniera duttile. Ci sono dei processi molto lenti
a cui possiamo adeguarci di volta in volta e ci sono processi di cambiamento che
rappresentano delle svolte brusche e improvvise. A volte siamo dentro situazioni
in cui le regole e gli attori cambiano continuamente, e noi dobbiamo decidere se
possiamo permetterci il lusso di dire “no io questa partita non la gioco, questo
non è il mio gioco”, oppure proviamo a starci dentro, a tutelare la nostra identità
e soprattutto a stare dentro il cambiamento non subendolo, ma in qualche modo
arricchendolo.
Nassim Nicholas Taleb, autore de “Il cigno nero”, parte nel suo saggio da un assunto:
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siccome noi abbiamo visto sempre e soltanto cigni bianchi, pensiamo che tutti i
cigni siano bianchi. Poi abbiamo scoperto in Australia che ci sono anche dei cigni
neri, che rappresentano delle eccezioni e che sono per noi fonte di apprendimento.
L’autore ha scritto un altro libro che s’intitola “Antifragile: come prosperare nel
disordine”, in cui sostiene che ci sono 3 tipi di atteggiamenti di fronte ai fenomeni
di cambiamento: c’è un atteggiamento resistente, un atteggiamento fragile e un
atteggiamento anti-fragile. Noi tutti stiamo vivendo dei cambiamenti straordinari
nell’economia, negli stili di vita, nel mercato del lavoro. Stiamo assistendo a
dei cambiamenti che per molti hanno degli effetti traumatici e l’autore ci dice
“dobbiamo decidere come ci muoviamo dentro questi cambiamenti”. Possiamo essere
resistenti,e ci da una definizione di resistente: è un sistema vivente che si oppone
con successo agli scossoni, agli stress, alle turbolenze della vita e così facendo
mira, se questo è possibile, a restare sempre se stesso. Il ramo dell’albero resistente
mira a restare sempre se stesso finché il peso della neve non lo spezza. Poi ci
sono i sistemi viventi che sono fragili, sono quelli che di fronte al cambiamento,
alle sollecitazioni così stressanti si spezzano, soccombono. E poi c’è la terza
categoria di sistema vivente, che dal mio punto di vista, è quella più affascinante,
è quella che viene definita anti-fragile. L’anti-fragile che caratteristiche ha?
L’anti-fragile ama il caso e l’incertezza, affronta l’ignoto, riesce a trarre più
vantaggi che svantaggi dagli eventi casuali e scioccanti della vita. L’anti-fragile
affronta le sfide dell’ignoto e arriva a fare cose anche se non le ha capite bene.
Forse per affrontare il futuro, per affrontare un mercato del lavoro assolutamente
imprevedibile, bisogna essere in grado di adottare queste qualità, queste che Taleb
chiama l’essere l’anti-fragile, quindi affrontare l’incertezza con atteggiamenti
flessibili, duttili, non stando fermi insomma ed evitando comportamenti rigidi.
Proiezione dello spezzone del film “Il Laureato” (1967)
Il film è del ’67, ma è incredibilmente attuale. Ben, il protagonista torna a
casa, ha finito l’università, la sua borghesissima famiglia della classe medio
alta americana, gli ha preparato una festa, un’accoglienza che dovrebbe apparire
strepitosa, il padre gli ha regalato un’Alfetta. Pochi secondi prima che cominci
la festa, Ben è li che guarda, con lo sguardo perso, dei pesci nella vasca. Allora
arriva suo padre e gli dice “Cosa c’è che non va?” “Sto pensando al futuro”. Tutti
gli fanno un sacco di complimenti, ma lui sta pensando al futuro e si sente molto
impreparato. Tutti sono prodighi di suggerimenti su cosa deve fare e c’è questa
scena straordinaria del signor Mc Gregor, un amico di famiglia, che gli dice “Ti
devo dire una sola parola: plastica.” Tra l’altro questa è stata votata tra le battute
più formidabili della storia del cinema. “Il futuro del mondo è nella plastica,
pensaci”. Ben ha sempre questo sguardo perso, non capisce. Siamo quindi di fronte
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V settimana dei giovani
Bra (CN) 8-13 ottobre 2013
ad una situazione apparentemente ricca di opportunità: 1967, negli Stati Uniti,
momento di grande espansione, appena laureato e appartenente alla classe media
americana. Nonostante questo lui, il giovane laureato, non si sente affatto a suo
agio, anzi si sente spaventato.
Questo frammento di film introduce la seconda storia raccontata da Renzetti che
ha come protagonista il grafene, un materiale monoatomico, cioè composto da un
solo atomo ed è utilizzato in applicazioni sempre più estese, come ad esempio
nella realizzazione dei transistor. Ci sono grandi case produttrici che hanno
puntato la loro attenzione sul grafene, tra cui: la Samsung, l’IBM e la Apple.
Come mai è così interessante il grafene? Perché è un materiale formidabile, è
un grande conduttore, resistente e flessibile ed è un prodotto messo a punto in
laboratorio soltanto 9 anni fa e chi l’ha scoperto ha ricevuto il premio Nobel
perché questa invenzione sembra, come la plastica nel film, possa cambiarci la
vita. In un articolo su Repubblica in cui si parlava di Rashid: un ragazzo di 26
anni che chiunque può aver incontrato decine di volte in via Po a Torino perché
continua ad andare in giro vendendo accendini e braccialetti. Perché Repubblica
gli ha dedicato un articolo ieri? Perché Rashid a 26 anni si è laureato alla facoltà
di ingegneria al Politecnico di Torino con una tesi sul grafene. Rashid è venuto
a Torino 10 anni fa dal Marocco insieme ad altri fratelli e vive in condizioni
estremamente precarie, ma nonostante questo riesce a combinare tre cose: di giorno
vende accendini, la sera studia, poi da esami e poi si laurea in ingegneria. Allora
il giornalista nell’intervista gli chiede “Ma perché hai scelto il grafene?” e Rachid
risponde: “perché il grafene è un materiale leggero, flessibile, elastico, è 200 volte
più resistente dell’acciaio, è un conduttore di elettricità migliore del rame, è quasi
trasparente ma è incredibilmente denso. E’ la sintesi della mia vita, è quello che
cerco e che ho cercato di fare; quando vendo accendini e vengo preso in giro,
tempo fa qualcuno mi ha preso a pugni chiamandomi sporco arabo ed io in qualche
modo resisto ma mi adatto, resisto e sono flessibile, a volte mi rendo trasparente.
E poi sono un conduttore”. Noi possiamo dire conduttore di valori soprattutto di
un valore, che si riassume in questa domanda: come possiamo attraversare i tempi
bui, i tempi di carestia che stiamo vivendo? La storia di Rashid forse è una risposta
formidabile a questa domanda.
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V settimana dei giovani
Bra (CN) 8-13 ottobre 2013
GIOVEDÌ 10 OTTOBRE - GIORNO 3 - V Settimana dei Giovani
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Intervento di: Michele Marangi
La scena de “Il Laureato” ha un fermo immagine più o meno casuale e racconta il
nostro percorso: il bersaglio è “target”.
Bisogna avere un target, chi studia economia ad esempio dovrà in qualche modo
posizionarsi molto sulla capacità di raggiungere gli obiettivi. Questa scena è
interessante perché quella è la camera del protagonista, il laureato che deve
diventare uomo e la famiglia in qualche modo è fiera dei titoli, del curriculum, non
sa che pesci prendere, letteralmente. I pesci iniziali sono emblematici. Ha tutto
ma è spaesato. C’è un parallelo con l’adolescenza, dove poteva permettersi di tirare
le freccette ma notate cosa fa la regia: nessuna freccetta è al centro quindi sono
tutti tiri che valgono poco. Un film costa un mucchio di soldi perché c’è qualcuno
che sta dietro a questi particolari. Chi inquadra il target da una parte e dall’altra
e qui c’è un’analogia tra il suo volto e il bersaglio. E’ interessante: da adolescente,
già nel ‘67 in un’epoca in cui ci si drogava e si faceva sesso liberamente, tutto
sembrava possibile, non c’era la crisi, erano tempi di espansione. E nel ‘67 abbiamo
questo personaggio che ha tutto ma si sente spaesato, è emblematica l’idea della
regressione.
Da giovani si può giocare, da adulti bisogna fare centro. Questa inquadratura è
interessantissima perché da una parte se tiriamo al bersaglio siamo il soggetto che
cerca di colpire un target, che appunto è strategia comunicativa, pubblicitaria, di
marketing ma è anche strategia organizzativa in senso lato, bisogna darsi degli
obiettivi e degli step attraverso cui passare e verificare se si sono raggiunti.
Contemporaneamente il target è lui. Osserviamo: da una parte il bersaglio è
questo, dall’altra il bersaglio è il protagonista. E lui è il target di che cosa?
Ogni video del web si apre con alcuni spot pubblicitari, a volte non parte la
sequenza ma gli spot partono. Alcuni si possono saltare dopo 5 secondi, anche se
le ricerche di mercato dicono che 3 persone su 4 non le saltano, una volta che c’è
funziona. Questi invece non si possono nemmeno saltare. Il target anche se non ce
ne rendiamo conto siamo noi e non abbiamo potere se non mettere in pausa, fare
altro, ecc. Tra l’altro loro lo spot viene mandato in maniera massiva, se apriamo 5
video tendenzialmente c’è lo stesso spot, come in televisione.
Non molti giovani oggi possono essere certi del lavoro che faranno ma non per
la disoccupazione, ma perché proprio come la plastica è l’avvenire nel ‘67 e oggi
è uno dei drammi della contemporaneità, per cui nessuno pensava di riciclarla
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all’epoca ma di produrla; oggi il futuro è il grafene. Non potremmo immaginare
cosa ci capiterà, ma questo non deve essere soltanto un elemento di ansia, ma
anzi quello di, aldilà delle competenze che uno ha, degli studi che ciascuno
continuerà, dei campi in cui ognuno andrà a specializzarsi, riuscire a mantenere
delle competenze di base che siano improntate alla flessibilità, riuscire a far stare
dentro gli opposti in maniera sintetica, non prima uno e poi l’altro. Chiaramente
le scelte sono utili in certe situazioni, ma sono problematiche per altre. La storia
di Rashid è perfetta. Visto che si parla di futuro come tema dominante, non
possiamo esimermi dal parlare di quella branca narrativa che di futuro vive, cioè
la fantascienza. La fantascienza è interessante già dalla sua idea, “science fiction”,
da una parte c’è qualcosa di molto scientifico, molto rigoroso, dall’altra la fiction,
qualcosa di molto creativo, di molto poetico. Di nuovo l’idea di opposti che creano
un elemento molto potente. Ad esempio il film “Gravity” di Alfonso Cuaron con
Sandra Bullock e George Clooney, parla di due persone che sono nello spazio e non
tornano più a terra, non succede nulla ma ragiona sul senso dell’esistenza. Un altro
è quello con Matt Damon “Elysium” che racconta di un futuro non troppo lontano
in cui i ricchi si costruiscono una città nello spazio perché la Terra è inabitabile
e i poveri, la grande massa, devono rimanere sulla Terra. La fantascienza non parla
mai di futuro, ma attraverso la scusa del futuro, ragiona sul presente. Un film
interessante, di cui vediamo solo il trailer, s’intitola “In time”, il regista è Andrew
Niccol, lo sceneggiatore negli anni ‘90 di “The Truman Show. Claudio Renzetti
ha parlato di come siamo passati dalla plastica al grafene, una cosa che è sempre
esistita e sempre esisterà ma il cui valore sta cambiando nel presente.
Il lavoro è anche sempre una percezione, una segmentazione del tempo: quanto
tempo lavoriamo? In che turni? La rivoluzione industriale ha cambiato il senso
della giornata. Per cui di notte si lavora perché la fabbrica non può fermarsi mai,
la miniera non può smettere di produrre. Dal ‘700 ad oggi è cambiato il senso della
giornata, mentre una volta nelle culture contadine di notte si dormiva, piuttosto
che d’estate si lavorava in un certo modo e in inverno in un altro. Il tempo era
un tempo “naturale”, la rivoluzione industriale lo fa cambiare completamente, lo
diventare un tempo segmentato su altre cose. Sul tempo bisogna ragionarci, perché
i giovani sono spesso oggetto di discussione sul tempo: perdono tempo, fanno
troppe cose in un momento situato, non hanno una concezione di organizzazione
del tempo, ecc.
Proiezione del trailer del film “In Time” (2011)
A livello filosofico il film è interessantissimo, alcune frasi già nel trailer sono
emblematiche, il tempo è gratis. Tutti vengono pagati non in soldi, ma in tempo
e si caricano il proprio timer. Il riferimento ai campi di concentramento è
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evidentissimo. E’ particolarmente affascinante l’idea che chi ha molto tempo può
disporre del tempo degli altri e può creare i ritmi degli altri. Ora è interessante
anche l’ossessione di non invecchiare mai, a 25 anni tutti si fermano, come aspetto
fisico. Anche qui è fantascienza, ma è sempre legato ad un ossessione emersa
nei gruppi di lavoro del pomeriggio, per esempio in tutte le slide sui muscoli, la
pancia. Come superiamo quelle colonne d’Ercole per cui non siamo più, non solo
non più desiderabili agli altri, ma riconoscibili a noi stessi?
E quanto tempo investiamo per apparire come pensiamo che gli altri ci possano
volere?
Apparire-essere. E chi l’ha deciso? Senza fare moralismi sulla moda, sullo stile, ecc
Ma attenzione in che misura il tempo, per esempio, del lavoro è un tempo troppo
dilatato rispetto a quello della vita? O se faccio un lavoro piacevole in che misura
è un tempo che non mi sembra lavorativo?
Una volta, se si faceva una cosa, si era più o meno sicuri che da lì poco si sarebbero
raggiunti gli obiettivi, il target. Oggi è più comodo pensare di non investire
fatiche in qualcosa che forse non capiterà mai. Quel simpatico paradosso per cui
bisognerebbe invertire i tempi, essere in pensione da giovani, non dover lavorare,
cambiare completamente la piramide.
Michele Marangi propone la visione di due spot, entrambi legati a uno strumento
che tutti noi utilizziamo: i social network, in particolare facebook e lo smartphone.
Mesi fa Zuckerberg ha cercato di proporre il suo smartphone che non è un
prodotto, poiché oggi è fondamentale il gioco delle application, quindi possiamo
avere qualsiasi tipo di smartphone ed abbiamo un applicativo che me lo rende il
“facebookfonino” in cui l’ambiente di facebook struttura tutta la nostra attività.
Non solo siamo sempre connessi a facebook, ma proprio la stessa filosofia è quella
che gestisce tutto lo smartphone, cioè la community. L’idea è in qualche modo
quello di poter fare tutto con lo stesso stile.
Proiezione dello spot “Facebook home” e del video “I forgot my phone”
“I forgot my phone” è molto creativo, è letteratura classica, è una tipica giornata
dal mattino alla sera, è contemporaneità. Se l’avesse fatto un adulto utilizzando
uno slogan sarebbe stato moralistico, non ci sono slogan, solo pezzi di vita in
qualche modo legati alle situazioni quotidiane.
Zuckerberg invece sostiene che oggi i confini fisici non esistono più, il dentro
e il fuori sono situazioni che bisogna rompere. Ad esempio in alcune situazioni
scolastiche si è a scuola, ma non si è a scuola. Oggi la scuola italiana sta perdendo
una scommessa, si sta rinchiudendo tra le mura, sbagliando completamente la
gestione dei tempi, nel Nord ad esempio si iniziano a ristrutturare le aule con le
reti wireless e le ore sono di 50, 55, 60 minuti, dipende da cosa si fa. Talvolta si
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lavora 2 ore e mezza sulla stessa cosa, ma non si nota, altre volte un quarto d’ora
è sufficiente. Sembra fantascienza, ma la vita del quotidiano ormai non può essere
contingentata in maniera rigida perché altrimenti perdiamo velocità rispetto alla
flessibilità. Tra un po’ ci spezzeremo perché avremo un carico eccessivo. Allora
Facebook, che deve vendere prodotti, funziona su questa idea. Una bella analogia è
il touch, il touch continuo con cui accarezzo il cellulare, che diventa una ripresa
del touch vero, con cui stringo mani, con cui stringo oggetti, con cui cucino.
Quindi è emblematico perché se per analogia la casa non ha più confini e le stanze
sono quotidianamente in espansione, il concetto di famiglia non può limitarsi
alla famiglia di sangue. Ci è richiesto di essere cittadini aperti. E’ vero però anche
quello che ci dice “I forgot my phone”: tutte le ritmiche quotidiane sono decise
dal telefono, per cui bisogna sempre rispondere, oppure ogni cosa che viviamo non
ha valore se non viene registrata e comunicata.
La scena della festa di compleanno è geniale, tutti sono lì a festeggiare, molti
fanno la foto della torta ma nessuno spegne la candelina, mentre c’è qualcuno che
fa la foto di se stesso mentre guarda la torta.
La domanda che scaturisce da queste riflessioni è: in che misura rischiamo di
essere iperproiettati sul sé e sul me, dimenticando il noi? In che misura questo
tipo di strumenti, che hanno delle potenzialità enormi, se utilizzati in maniera
convergente con le cose che facciamo quotidianamente rischiano di creare una
sorta di atrofizzazione?
Tutto questo ha a che fare con i progetti di vita: in che misura se sono sempre
più autoreferenziale farò più fatica oggi a inserirmi in un mercato del lavoro in
cui la condivisione di idee, il file sharing, l’idea di aggiungere dei pezzi a chi ha
progettato un pezzettino, che è tipico del digitale, ci richiede sempre di più la
capacità di saper lavorare con gli altri senza perdere la propria creatività?
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IL MANDATO DEI GRUPPI DI LAVORO
La proposta per i gruppi è articolata in tre passaggi, tutti legati al tema
del lavoro, scelto come filo conduttore della giornata.
1) Il primo passaggio è questo: scrivere sui post-it a disposizione la risposta
al quesito “io e il lavoro 10 ottobre 2023, dove sono e che lavoro faccio”.
2) Il secondo passaggio parte da fare i conti con una serie di frasi raccolte
casualmente:
- Lavorare stanca (Cesare Pavese)
- Chi non lavora, non fa l’amore (Celentano)
- L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro ( la nostra carta Costituzionale)
- Arbeit macht frei (Auschwitz)
- Il lavoro è il rifugio di chi non ha niente di meglio da fare (Oscar Wilde)
- Lavoro è vita e senza quello esiste solo la paura e l’insicurezza (John
Lennon)
- Il lavoro nobilita l’uomo (anonimo)
- Sto lavorando duro per preparare il mio prossimo errore (Bertold Brecht)
A partire da queste frasi bisognerà rispondere a queste domande: qual è la
bugia più insopportabile che ascoltate quando si parla di lavoro? Qual è la
falsità più ignobile che sentite quando qualcuno vi parla di lavoro?
3) La terza proposta è quella di mettere in scena il primo colloquio di lavoro
sul palco oppure filmarlo ma dovete darci l’idea di come vi immaginate tra
10,12,15 anni durante il vostro primo colloquio.
Da una parte quindi ci saranno dei selezionatori, dei cacciatori di teste,
un possibile datore di lavoro e dall’altra parte ci siete voi, delle ragazze o
dei ragazzi che si sottopongono una serie di domande.
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GIOVEDÌ 10 OTTOBRE - GIORNO 3 - V Settimana dei Giovani
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Restituzione dei gruppi di lavoro
I gruppi di lavoro sulla base del mandato dettatogli da Michele Marangi e Claudio
Renzetti, si sono cimentati nella messa in scena di un colloquio di lavoro. I lavori
sono stati filmati e proiettati alla platea dei partecipanti.
GIOVEDÌ 10 OTTOBRE - GIORNO 3 - V Settimana dei Giovani
Bra (CN)
Commenti ai lavori dei gruppi: Michele Marangi e Claudio Renzetti
MICHELE MARANGI
Marangi ritiene che i gruppi di lavoro abbiano dimostrato grande ricchezza narrativa
e capacità di rendere i differenti spunti proposti. I ragazzi si sono dimostrati
portatori di un valore chiave, la creatività, life skill fondamentale oggi per potersi
posizionare nel mondo, non solo lavorativo.
Altro valore emerso dal lavoro dei gruppi e sottolineato Marangi è la velocità
esecutiva, a testimonianza di un enorme cambio generazionale. I gruppi hanno
trattato temi reali, esistenziali quali l’atteggiamento personale nei confronti del
mondo del lavoro, la valenza dei titoli di studio e il talento, non come qualcosa
che si studia, né come qualcosa che si trova per caso, il talento va coltivato e
riconosciuto a se stessi. Ultimo valore della restituzione dei lavori sottolineato da
Michele Marangi è la naturalezza della performance, che conferma come le nuove
generazioni siano abituate a stare davanti ad una telecamera, a mettersi in scena
attraverso il modo di vestire e quello di parlare, attitudini che spesso vengono
interpretate in modo negativo, ma che in realtà rappresentano una competenza
nuova, che può aiutare a costruire situazioni goliardiche, giocose o scandalose,
ma anche situazioni molto serie e molto comunicative, che possono aiutare a
comprendere e a costruire significati attraverso sensazioni ed emozioni.
CLAUDIO RENZETTI
“Siamo nelle mani di Dio, speriamo che non applauda”.
Renzetti offre questa citazione come chiave interpretativa, suggerimento di una
direzione di marcia: non è una buona cosa affidarsi ad occhi chiusi ad un’entità
superiore e invisibile che opera a nostro favore.
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Claudio Renzetti spiega inoltre che forse i giovani non saranno protagonisti del
futuro, ma devono provarci con tenacia, con metodo, con passione e con un pizzico
di avventatezza, coraggio e senso di avventura.
L’intervento si conclude con la citazione: “Il Messia non sta arrivando e forse non
arriverà mai, però dobbiamo andargli incontro”. Forse il futuro non sta arrivando
esattamente come ciascun individuo se lo può aspettare, ma bisogna andargli
incontro.
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VENERDÌ 11
Centro Culturale Polifunzionale “Giovanni Arpino”
Via Guala, 45
09.00 - 16.30 | SEMINARIO - 3°°˚ PARTE
Approfondimenti sul tema: “Giovani, futuro, cittadinanza e responsabilità”
Conducono:
Michele Marangi e Claudio Renzetti
Gruppi di lavoro a cura di: Associazione Gruppo Abele, Servizio Dipendenze Patologiche ASL Cn2
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VENERDÌ 11 OTTOBRE - GIORNO 4 - V Settimana dei Giovani
Bra (CN)
Intervento di: Michele Marangi e Claudio Renzetti
La proposta di Claudio e Michele è di ascoltare un brano musicale, che consiste nei
primi 10 minuti di un concerto del pianista Keith Jarrett tenuto a Colonia nel
1975. La storia del concerto, e quello che il musicista mette in atto improvvisando,
rappresentano una lezione straordinaria di vita. Il brano merita di essere discusso.
Keith Jarret non è una persona simpatica, è un terribile rompiscatole, lui terrorizza
e minaccia tutti gli organizzatori dei suoi concerti; quest’estate è stato ospite a
Umbria Jazz nella meravigliosa piazza di Perugia, è apparso sul palco e quando lui
è apparso c’è stato un boato ed è esplosa una raffica di flash. Lui immediatamente
si è ritirato dietro le quinte ed ha imposto agli organizzatori due condizioni per
poter iniziare il concerto: buio totale nella piazza e silenzio di tomba. Il pubblico
lo ha accontentato ed il concerto ha avuto inizio.
Il brano, a parere di Renzetti, è un capolavoro; al di là degli aspetti acustici e
armonici il concerto insegna alcune cose degne di nota:
1. Keith Jarrett ama la musica e ama suonare, il verbo amare ha un significato
preciso, tra una nota e l’altra si può sentire la sua voce oppure batte il piede sul
pavimento. I suoni di Keith Jarrett sembrano i rumori di chi sta facendo l’amore,
nei video di lui che suona lo si può vedere suonare in piedi muovendo il bacino
come durante un rapporto sessuale. La fisicità del suo gesto è la prima lezione da
trarre: non puoi fare bene una cosa se non ti piace al punto da “accoppiarti” con
essa, godendo dell’atto di compierla, identificandosi con essa e amandola.
Se nella nostra vita non riusciamo, almeno in alcuni suoi momenti, a provare
queste emozioni la vita rischia di non essere degna di essere vissuta.
2. Le condizioni del concerto di Colonia sono state disastrose. Keith Jarrett è
arrivato a Colonia devastato dalla stanchezza del viaggio intercontinentale poche
ore prima del concerto. Appena arrivato scopre che il pianoforte sul palco non era
quello che aveva richiesto, uno Steinwey, e dopo una sfuriata si rassegna a suonare
con il pianoforte mediocre che gli avevano procurato. Jarrett comincia il concerto
ed improvvisa tirando fuori il meglio da quello strumento non ritenuto alla sua
altezza e nei primi 13 minuti suona utilizzando due soli accordi: il La minore
settima ed il Sol maggiore. In sostanza si è misurato con due limiti immensi: ha
suonato con un pianoforte non suo e si è imposto un limite interno provando a
comporre un pezzo intrigante capace di coinvolgere il pubblico improvvisando
su due soli accordi. In questo caso ciò che appare una limitazione esterna può
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diventare una sfida straordinaria, è questa la seconda lezione che ci da Keith
Jarrett.
3. In tanti hanno provato a trascrivere il concerto di Colonia sul pentagramma, ma è
stato impossibile perché Keith Jarrett ha ripetutamente sbagliato dal punto di vista
teorico effettuando tutti i suoi passaggi musicali al di fuori del tempo metronomico
e perciò impossibile da scrivere su di uno spartito. Il terzo insegnamento di
Keith Jarrett è che se si vuole fare qualcosa di nuovo, di rivoluzionario, si devono
infrangere delle regole uscendo da schemi predefiniti.
4. Non esiste uno stile di Keith Jarrett che accomuni tutti i suoi concerti. La
sua caratteristica è la contaminazione, lui mescola Reg Time, Blues, Gospel, Jazz,
Musica classica e melodica. Il quarto insegnamento è che non c’è una sola modalità
di esecuzione, non c’è un solo stile, ma la grande sfida è combinare e unire diversi
stili.
Il mescolare, combinare gli stili nel linguaggio giovanile si traduce con mixare
oppure con l’ancor più contemporaneo mesh up nel quale prendendo pezzi di altri
e mescolandoli e facendoli stare insieme in modo piacevole si crea qualcosa di
originale, di nuovo.
Andare fuori dagli schemi non vuole dire “me ne fotto”, “sono creativo e non ho
regole”; vuole dire negoziare con le regole.
Proiezione del video: “(D)Istruzione”
IL MANDATO DEI GRUPPI DI LAVORO
Il mandato ai gruppi di Michele Marangi
Il mandato della giornata lanciato da Michele alla platea è quello di creare
un qualcosa, mediando tra le esperienze reali e concrete, i luoghi fisici in
cui ci si trova e la soggettività.
Proiezione del video: “SimCity”
Il mandato è: disegnare, costruire, descrivere con tutti gli strumenti desiderati la città in cui si va a scuola. Non è richiesta una mappa, ma più
mappe suddivise su più livelli: primo livello è il dovere, i luoghi del dovere,
dove devo andare e perché devo. Secondo livello è il piacere, dove mi piace
andare e perché. Il terzo livello è l’imprevisto, l’incognita, il rischio, dove
non voglio andare e perché.
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VENERDÌ 11 OTTOBRE - GIORNO 4 - V Settimana dei Giovani
Bra (CN)
Restituzione dei gruppi di lavoro
GRUPPO VERDE:
Il gruppo ha deciso di interpretare il mandato girando un video.
I ragazzi spiegano che il loro video ha avuto origine da un brainstorming avente
come tema le emozioni suscitate dal brano proposto al mattino da Claudio Renzetti.
Il passaggio successivo è stato quello di abbinare amore, tristezza, energia e
rischio ai luoghi che le suscitano. Successivamente il ragionamento del gruppo ha
sottolineato l’impossibilità di abbinare ad un luogo un’unica emozione, giungendo
alla conclusione che i luoghi sono caratterizzati dalle persone che li vivono,
dai sentimenti che ad esse suscitano e dagli individui con cui si accompagnano.
Quest’idea ha preso forma nel video che hanno creato: la scuola, la piazza, la
stazione ferroviaria, la casa, la famiglia sono accompagnate dai vissuti positivi
e negativi, senza cioè attribuire ad un luogo un’unica emozione, bensì emozioni
contrastanti e antitetiche allo stesso tempo.
GRUPPO ARANCIONE:
Il gruppo ha iniziato la riflessione con un brainstorming sul tema della cittadinanza;
le discussioni sui temi di “diritto e dovere”e “discriminazione, uguaglianza e
equità” hanno portato alla conclusione che l’Amministrazione deve garantire a
tutti l’uguaglianza e rispondere alle esigenze personali del singolo cittadino.
Il gruppo ha espresso l’idea di cittadinanza articolata su tre livelli, illustrati
rispettivamente da tre cartelloni:
- cartellone 1: rappresenta tutti i luoghi del piacere racchiusi in una nuvola, poiché
stanno al di sopra di tutti i luoghi materiali; si possono vedere posti realmente
esistenti (come il cinema e il centro sportivo), ma anche non (la stazione del
teletrasporto, il wifi, il bluetooth); l’importanza di quest’ultimi risiede nella
possibilità di dar spazio alla fantasia, oltre che una libera circolazione ed espressione
di idee e proposte per i coetanei e/o per l’intera cittadinanza.
- cartellone 2: rappresenta i tre doveri principali quali il lavoro (raffigurato da
un grattacielo), la scuola e la casa (in quanto i ragazzi non sono autosufficienti).
Tutto ciò, in relazione al cartellone uno, è ad un livello inferiore e le persone sono
chiamate ad assumersi le proprie responsabilità e a fare delle scelte.
- cartellone 3: rappresenta i luoghi che non dovrebbero esistere raffigurati dalla
centrale nucleare (luogo tetro e pericoloso posto ai margini della città), la caserma
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e la prigione (luoghi dove si preferirebbe non andare), il fantasma del solito posto
(monotonia generata dai soliti posti, persone e attività). Tutti questi elementi
si ricollegano al cartellone uno perché l’individuo ha bisogno di spazi propri per
allontanarsi dalle cose che non gli piacciono.
GRUPPO BLU:
Il gruppo ha riflettuto sui concetti di piacere e dovere,
collocandoli nel tempo da spendere all’interno dello spazio
collettivo. Il dovere è percepito come qualcosa di grigio e
scuro: lavoro, famiglia, studio, scuola, regole e il rispetto
degli altri. Il piacere, invece, è visto come qualcosa di
colorato e più vivace: conoscersi, andare a ballare, coccole,
sesso, sport, amici, sentimenti, motori, il fumare (anche cose
illegali) e amare.
Successivamente
i
ragazzi
hanno affrontato il tema delle
paure, raffigurandolo in un tatuaggio a forma di
cuore nero il cui contorno però è sfumato. L’idea è
quella del buio e della paura che si ha nel cuore; tali
sentimenti però svaniscono a mano a
mano che si acquisisce sicurezza.
GRUPPO GIALLO:
Il gruppo ha elaborato quattro cartelloni ragionando sul rapporto
con la propria città e il rapporto che ha con gli edifici, i luoghi e le persone che
li caratterizzano.
• Cartellone 1: rappresenta il tempo che i giovani trascorrono nei luoghi che
amano frequentare, nei luoghi che sono obbligati a frequentare o nei luoghi che
non vogliono assolutamente frequentare.
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• Cartellone 2: i luoghi che i ragazzi amano frequentare perché li scelgono perché
divertenti e popolati da gente amica (chiesa, scuola, bar, feste, biblioteca, parco).
• Cartellone 3: i luoghi del dovere (casa, scuola, allenamenti, caserma).
• Cartellone 4 : i luoghi che non si vorrebbero frequentare perché considerati
pericolosi o generatori di disagio (scuola, stazione, parco, ospedale, caserma).
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Commenti ai lavori dei gruppi: Michele Marangi e Claudio Renzetti
In questi anni, la città è vissuta come una trappola senza vie d’uscita, dove
tutto è già programmato e tutto è prevedibile. In un tale contesto, il concetto
di sicurezza ha un’accezione totalmente negativa in quanto non concede spazio
all’imprevedibile.
L’imprevisto, infatti, dona alla città un insieme di opportunità, una scena aperta
dove la vita non è più una sequenza di accadimenti già predefiniti, ma è un’avventura
dagli esiti che si aprono all’inatteso.
Le persone all’interno degli spazi della città hanno un ruolo fondamentale poiché
la animano, la caratterizzano e la plasmano a seconda di come sono fatte: i luoghi
sono fatti dalle persone che li vivono, che li creano e che danno loro vitalità.
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...UN SALUTO POETICO
Da “Le città invisibili” di Italo Calvino (1972) Einaudi, Torino
A ottanta miglia incontro al vento di maestro l’uomo raggiunge la città
di Eufemia, dove i mercanti di sette nazioni convengono a ogni solstizio
ed equinozio. La barca che vi approda con un carico di zenzero e bambagia
tornerà a salpare con la stiva colma di pistacchi e semi di papavero, e la
carovana che ha appena scaricato sacchi di noce moscata e di zibibbo già
affastella i suoi basti per il ritorno con rotoli di mussola dorata. Ma ciò
che spinge a risalire fiumi e attraversare deserti per venire fin qui non è
solo lo scambio di mercanzie che ritrovi sempre le stesse in tutti i bazar
dentro e fuori l’impero del Gran Kan, sparpagliate ai tuoi piedi sulle
stesse stuoie gialle, all’ombra delle stesse tende scacciamosche, offerte
con gli stessi ribassi di prezzo menzogneri. Non solo a vendere e a
comprare si viene a Eufemia, ma anche perché la notte accanto ai fuochi
tutt’intorno al mercato, seduti sui sacchi o sui barili, o sdraiati su mucchi
di tappeti, a ogni parola che uno dice – come “lupo”, “sorella”, “tesoro
nascosto”, “battaglia”, “scabbia”, “amanti” – gli altri raccontano ognuno la
sua storia di lupi, di sorelle, di tesori, di scabbia, di amanti, di battaglie.
E tu sai che nel lungo viaggio che ti attende, quando per restare sveglio
al dondolio del cammello o della giunca ci si mette a ripensare tutti i
propri ricordi a uno a uno, il tuo lupo sarà diventato un altro lupo, tua
sorella una sorella diversa, la tua battaglia altre battaglie, al ritorno da
Eufemia, la città in cui ci si scambia la memoria a ogni solstizio e a ogni
equinozio.
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...cartoline dalla V Edizione della Settimana dei Giovani
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...la Settimana dei Giovani è anche “Il Futuro nelle tue
mani”:
incontri, workshops, laboratori e concerti a cura
dell’Associazione Culturale ARTZ
50
LUNETICA SOC. COOP. SOCIALE - ONLUS
VIALE MADONNA DEI FIORI, 108 12042 BRA (CN)
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