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L’approfondimento
giovedì 15 maggio 2014
2
di Marco Cagnotti
Le macchie sulla superficie della nostra stella ne rivelano l’attività
Quelle ombre sul Sole
Da Oriente a Occidente, tutti i giorni:
poche cose sono sicure nelle nostre vite
come il Sole. Tanto importante da essere
divinizzato presso molte antiche civiltà.
Poi è arrivata la scienza, così il Sole si è
trasformato in una stella ed è diventato
ancora più interessante. Alla Specola
Solare di Locarno, dove lo studiano da
più di mezzo secolo, lo sanno bene.
La grafite scivola sul foglio. La mano è ferma, lo
sguardo concentrato. Ombra, penombra, conteggio. Poi un nuovo gruppo. E un altro e un altro
ancora. Infine si conclude: cupola chiusa, motore del telescopio spento, comunicazione a Bruxelles della misura. Da mezzo secolo, immutabile, questa è la procedura di osservazione dell’attività fotosferica presso la Specola Solare Ticinese. In parole semplici, il conteggio dei gruppi e
delle macchie sul Sole. Nel solco di una tradizione tutta svizzera, risalente alla metà del XIX secolo, quando Rudolf Wolf inventò il metodo per
misurare, con un unico parametro (il numero di
Wolf, appunto), l’attività del Sole sotto forma di
macchie.
Le macchie non le aveva scoperte Wolf. Quasi
due secoli e mezzo prima, Galileo Galilei e i suoi
contemporanei muniti di telescopi si erano accorti di quelle patacche scure sul disco solare.
Non ci avevano fatto molto caso: erano una delle
tante stranezze di quei primi, emozionanti anni
dell’astronomia strumentale. Come i crateri lunari e le fasi di Venere. Ma bisogna arrivare al tedesco Heinrich Schwabe e poi allo svizzero Rudolf Wolf, a metà dell’Ottocento, per riconoscere
una periodicità: ogni 11 anni circa le macchie diventano più numerose, poi scompaiono, poi tornano di nuovo. Come quantificare il fenomeno?
Ecco l’idea dell’astronomo zurighese: contiamo i
gruppi, contiamo le macchie, mettiamo tutto in
una formula… ed ecco il numero di Wolf di quel
giorno. Poi si disegna un bel grafico per vedere
l’andamento nel tempo, così il ciclo undecennale
appare in tutta chiarezza.
La tradizione di Wolf, presso l’Osservatorio del
Politecnico di Zurigo, si trasmette di generazione in generazione, da un direttore al suo successore: Wolf, Wolfer, Brunner, Waldmeier. E proprio Waldmeier decide di aprire una stazione di
osservazione a sud delle Alpi nel 1957, per sostituire la misura di Zurigo quando lì il cielo è coperto. Nasce così la Specola Solare Ticinese. Nel
1981 il Politecnico abbandona questi studi, il cui
coordinamento viene rilevato dall’Osservatorio
reale del Belgio, con un gruppo di ricerca oggi
chiamato Silso (Sunspot Index and Long-term
Solar Observations). La Specola diventa indipendente ma, nel network degli Osservatori del
Silso, rimane come stazione principale di riferimento mondiale proprio perché è l’erede ufficiale del metodo di Wolf e può garantire un’elevata
qualità e continuità nel tempo delle proprie misure. Sicché da più di mezzo secolo a Locarno
Monti si procede, tempo meteorologico permet-
tendo, a disegnare ogni giorno il disco solare e a
conteggiare i gruppi e le macchie. Tutto a mano
e a occhio, per conservare la tradizione di Zurigo. Sembra paradossale, no? Nel XXI secolo ormai inoltrato possediamo osservatori spaziali
puntati verso la nostra stella, capaci di raccogliere immagini ad altissima risoluzione di minuscole porzioni del Sole, per poi processarle con
computer e software sofisticati. Eppure il rilevamento dell’attività solare, a Locarno come a Bruxelles e in decine di altri osservatori solari nel
mondo, si fa ancora con un metodo ottocentesco. Perché? Semplice: se si cambiasse la procedura, per esempio passando dal disegno alla fotografia e dal conteggio visuale a quello automatico, si perderebbe la coerenza temporale delle
osservazioni. In sostanza, nel grafico del ciclo
solare apparirebbe una discontinuità. E non potremmo più confrontare le misure moderne con
quelle antiche. Ciò impone il rispetto scrupoloso
della tradizione del conteggio di Wolf.
Una stella ancora capace di sorprenderci
Ma serve? Insomma, a chi importa delle macchie sul Sole? Ci cambiano qualcosa? La risposta
è sì, com’è ovvio. La quantità e l’estensione dei
gruppi di macchie non hanno conseguenze dirette per noi: non influenzano il tempo meteorologico, non ci fanno venire il mal di testa, non
fanno nascere bambini più svegli o più stupidi.
Ma comprendere l’origine e le conseguenze del
ciclo solare può consentire di trovare delle eventuali correlazioni fra il Sole e il nostro clima sul
lungo termine, su periodi dell’ordine dei decenni
e dei secoli. I mutamenti climatici attuali, verso
un riscaldamento globale, sono quasi di sicuro
frutto delle attività umane: questo ormai lo sappiamo. Tuttavia, per distinguere il contributo
antropico dalle fluttuazioni naturali, bisogna
anzitutto comprendere il ruolo del principale
“motore” del clima terrestre: il Sole, appunto. La
stella più vicina e meglio conosciuta, ma ancora
capace di sorprenderci.
Siamo nel pieno del massimo di attività solare,
per convenzione identificato con il numero 24.
Ma è un massimo anomalo: il nuovo ciclo è iniziato alla fine del 2009 con due anni di ritardo,
dopo molte centinaia di giorni senza alcuna
macchia, e ora il nuovo picco è assai inferiore,
come intensità, alle previsioni. Perché? Non si
sa. Le macchie sono una conseguenza delle irregolarità nel campo magnetico del Sole. Ma i modelli teorici della fisica solare faticano a spiegare
il fenomeno. Tuttavia, per spiegarlo, bisogna anzitutto conoscerlo. Ecco perché il modesto, continuo, tenace lavoro quotidiano di disegno e di
conteggio è tanto prezioso. È importante ogni
singolo disegno, ogni singolo conteggio effettuato a Locarno e poi comunicato a Bruxelles, dove
viene processato per produrre il valore ufficiale e
quotidiano del numero di Wolf, poi messo a disposizione della comunità scientifica e di chiunque sia interessato. Proprio come fa la Specola:
sul suo sito web (www.specola.ch) sono disponibili tutti i disegni e i conteggi dal 1981 in poi. Perché il sapere, se non diventa patrimonio collettivo, è inutile.
L’APPUNTAMENTO
Locarno per cinque giorni capitale mondiale della ricerca sui cicli solari
Sembra astronomia semplice: si contano le
macchie e i gruppi sul Sole, si mettono i numeri in una formula, si ricava il numero di Wolf, si
disegna un grafico. Cosa c’è di tanto complicato?
Invece, come sempre accade in fisica, dietro
questa procedura si nascondono non pochi
problemi. Tanto da meritare da alcuni anni
una serie di workshop internazionali, il quarto
dei quali è programmato proprio a Locarno dal
19 al 23 maggio 2014 ed è organizzato dalla
Specola Solare Ticinese, dove si studia proprio
il ciclo solare con il metodo di Wolf (vedi articolo sopra), e dall’Istituto Ricerche Solari di
Locarno (Irsol), specializzato invece nella spettropolarimetria. Sicché per cinque giorni Locarno diventerà una vera e propria “capitale
mondiale del Sole”.
Sul Verbano convergeranno ricercatori da tutto il mondo per fare il punto sullo stato dell’arte nello studio del ciclo solare. I problemi aperti non sono pochi né semplici. In sostanza, si
tratta di trasformare il numero di Wolf nel parametro più affidabile per determinare l’attività solare nel passato e nel futuro. E non è così
scontato, al di là della procedura semplice solo
in apparenza.
Tanto per cominciare, il metodo di Wolf viene
impiegato soltanto dalla metà del XIX secolo. E
prima? Prima c’erano solo i disegni occasionali del disco solare fatti da molti osservatori indipendenti, dai quali bisogna poi ricavare il
numero di Wolf a posteriori per estendere il
grafico temporale nel passato. Si può fare, ma
le serie di misure ottenute devono essere riconciliate fra loro per avere una continuità su
400 anni, fino a Galileo Galilei e ai suoi contemporanei. La prospettiva storica è quindi fondamentale e verrà approfondita durante il workshop.
C’è poi la questione della stabilità delle osservazioni. Il numero di Wolf, determinato grazie
a un disegno manuale e a un conteggio visuale,
risente di elementi di soggettività determinati
dall’osservatore. Quanto pesano? Come evolvono? Inoltre c’è il sospetto di una modifica
nella procedura di conteggio intervenuta in almeno due occasioni: alla fine dell’Ottocento e
ancora negli Anni Quaranta.
Le discontinuità sono reali e, se lo sono, come
vanno confrontate le misure per ottenere un
insieme omogeneo su quattro secoli? In gioco
c’è la possibilità di correlare l’attività del Sole
con l’andamento del clima terrestre: un argomento di grande interesse non solo scientifico
ma anche politico.