IL MONACHESIMO FEMMINILE NELLA TARDA ANTICHITA Fin

IL MONACHESIMO FEMMINILE NELLA TARDA ANTICHITA
FRANCA ELA CONSOLINO
Universitá di Siena
Fin dalle fasi iniziali del monachesimo é possibile cogliere alcuni elementi
che, pur all'interno di un comune sistema di valor¡, conferiscono una fisionomia
sua propria all'esperienza monastica femminile, differenziandola da¡ coevi
movimenti mas-chili. Mentre il monachesimo maschile fu caratterizzato sul
nascere da forti spinte antisocial¡ e -in opposizione alla politica 'cittadina'
delle gerarchie ecclesiastiche- ebbe stretti legami con il mondo rurale,
fenomeni analoghi non sembrano essersi verificati in ambito femminile. E,
mentre per gli uomini la scelta ascetica prevede anche la fuga dalla cittá nel
deserto, lo stesso non pub dirsi per le donne, che diedero scarsa adesione
alla vita eremitica (l.'unica eccezione sembra essere stata Sarra, di cui gli
Apophtegmata Patrum ci tramandano alcuni detti). Per comprendere queste
diversitá, bisogna rifarsi a quella che potremmo definire la preistoria del
monachesimo femminile.
Prima ancora che il movimento monastico avesse inizio, ci furono donne
-vergini e vedove- che, seguendo i consigli di Paolo (in particolare
I Corinth. 7, 25 e I Timoth. 5, 9-10), scelsero una vita di castitá e vissero
questa scelta all'!interno delle pareti domestiche. Vergini sono le quattro figlie
del diacono Filippo in Act. Apost. 21, 9; di «vergini chiamate vedove» parla
Ignazio di Antiochia in Ep. 10, 13 rivolgendosi alla Chiesa di Smirne, e
Policarpo, scrivendo al Filippesi, in Ep. 4, 3 definiste le vedove «altare
di Dio».
La necessitá di stabilire per le donne votate a Dio un tipo di comportamento che le distinguesse dalle laiche, impegnate nella vita secolare, fu
avvertita relativamente presto. Ad esigenze di questo genere rispondeva giá il
de virginibus velandis di Tertulliano, composto nel 207 circa, mentre il de
habitu virginum di Cipriano, scritto intorno al 249, rappresenta il primo
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grande tentativo di predisporre un organico schema di vita per la virgo deo
dicata. L'interesse di Cipriano a disciplinare il comportamento delle vergini
risponde sia ad esigenze pastoralii, sia alía paura di eventuali scandali. Questo
atteggiamento é confermato da un'epistola ciprianea, nella quale il vescovo di
Cartagine, richiesto del suo parere su una vicenda scottante (alcune vergini,
che continuavano a dichiararsi tali, erano state trovate a letto con degli
uomini, uno dei quali diacono), fa presente la necessitá di operare in modo che
per omnes utilitatis et salutis vías ecclesiastica disciplina servetur (Epist. IV, 1).
Ma le posizioni in materia di disciplina proprie di questa fase preliminare non
combaciano del tutto con quelle che si affermeranno nel IV secolo. Una delle
due epistole de virginitate attribuite a Clemente di Roma (ma composte, pare,
nella prima metá del III secolo), ci testimonia la convivenza sotto lo stesso
tetto di uomini e donne votati alla castitá: questa pratica sará condannata
dal sinodo di Neocesarea (tenuto fra il 314 e il 325) e, in etá monastica, si
attirerá gli strali di Girolamo (Ep. 22, 14), Giovanni Crisostomo, che al.
problema dedica ben due scritti (PG 47, 495 ss. e 513 ss., sed. J. Dumortier,
Paris, Les Belles Lettres 1955) ed un altrimenti ignoto Asterio vescovo di
Ansedonia (edito in Corp. Christ. Ser. Lat. 85). Preoccupazioni disciplinari
sano testimoniate anche dal canone 13 del concilio di Elvira (300-303), che
riguarda la penitenza per le vergini cadute.
Parallelamente alla precettistica sul vivere quotidi:ano, si sviluppa una
teorizzazione che motiva e privilegia la scelta della verginitá, e si destina ad
un pubblico preferenzialmente, se non esclusivamente, femminile. Spunti si
troyano giá in Tertulliano e Cipriano, ma la prima completa trattazione si ha,
sul finire del III secolo, nel Simposio di Metodio di Olimpo: fatto nuovo e
significativo di quest'opera, ispirata pella struttura al Simposio platonico, é che
i discorsi in lode della verginitá vengono tenuti da un gruppo di vergíni. Fin
da questo primo periodo, accanto alle vergini la Chiesa colloca le vedove, la
cui esistenza era giá contemplata nel corpus paolino: a parte il loro compito
di guida per le piú giovani, esse risultano avene uno statuto simile a quello
delle vergini, incentrato sulla continenza ed il servizio nell'ambito della
comunitá. Vergini e vedove (cui si aggiungono, per l'Oriente, le diaconesse)
saranno le categorie costitutive del movimento monastico femminile.
La composizione di opere che esortano vergini e vedove a consacrarsi a
Dio non cesserá con il progressivo affermarsi del monachesimo, Vd avrá anzi
un notevole incremento nel corso del IV secolo, che sancisce ed istituzionalizza
la nuova dignitá di quelle che ripudiano il mondo per votarsi a Cristo. Per
quanto riguarda la produzione greca, fra i piú antichi scritii esortatori (ma
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non ne conosciamo la data) va posta un'omelia di Atanasio pervenutaci in
traduzione copta (testo edito da Lefort in «Le Muséon» 42, 1929, pp. 197 ss.).
A metá circa del IV secolo risale il de virginitate di Basilio di Ancyra (1'identificazione dell'autore é di F. Cavallera, «Rev.Hist.Ecclés.» VI, 1905, pp. 5-14);
degli anni 70 (del 371 secondo Aubinau, Sources Chrét. 119; del 378 secondo
Gribomont, «Rev.Asc.Myst.» XLIII, 1967, pp. 249 ss.) é il de virginitate di
Gregorio di Nissa; intorno al 382 si colloca quello di Giov+anni Crisostomo.
In ambito latino giá Ossio di Cordova, consigliere di Costantino per gli affari
ecclesiastici, aveva composto un de laude virginitatis, per no¡ perduto come il
trattato di Damaso sullo stesso argomento; un de continentia cié trádito fra
i tractatus di Zenone di Verona (PL 11, 301 ss.); particolare rilievo, per
ampirezza e autorevolezza, ha la produzzione di Ambrogio (del 377 é il de
virginibus; di poco successsivi sano il de viduis e il de virginitate; del 392 é
il de institutione virginis; del 393 l'exhortatio virginitatis). Agostino contribuiste
con il de saneta virginitate (come il de bono coniugali, polemizza con Gioviniano ed entrambe le opere sono del 401 circa), con il de bono viduitatis (del
414, dedicato ad Anicia Juliana), con due sermoni sulla continenza (iI 354 e
il 290), e con il piú generico de continentia, che peró non é rivolto esclusivamente a vergini e vedove. Ci sono poi le epistole geronimiane sulla verginitá
(Ep. 22 del 384 ed Ep. 130 del 414) e le due sull'educazione delta futura
vergine (Ep. 107 a Laeta ed Ep. 128 a Pacatula), nonché l'adversus Iovinianum.
In tutti questi trattati la rinuncia al sesso é considerata la via regia attraverso
la quale la donna pub superare la propria congenita inferioritá, diventando
una mulier virilis, maestra di virtú anche per gli uomini. La condizione di
sponsa Christi, adombrata anche nella cerimonia della velatio, acquista una
pregnanza ancora maggiore dal momento in cui, soprattutto ad opera di Ambrogio, la sposa del Cantico dei Cantici é allegoricamente interpretata come figura
dello virgo. E adulterio é generalmente definito il matrimonio di una vergine
(ma anche di una vedova) che rinneghi i suoi voti. In ambito maschile invece,
anche se ci furono persone votate a continenza e/o castitá, e benché ad Origene
si debba il primo serio sviluppo di una mistica dell'amor sacro (basta pensare
al suoi commenti al Cantico dei Cantici), no esiste, né sul piano della teorizzazione, né su quello della precettistica, una produzione paragonabile per mole
ed impegno a quanto si veniva scrivendo per le donne.
La diversitá che le vie dell'as.aesi hanno giá assunto per i due sessi
fará sentire i suoi effetti nel corso del IV secolo, quando 1'ideale monastico verrá a sostituirsi a quello del martirio. Infatti, mentre sul versante
maschile i padri del monachesimo non sono -almeno agli inizi- espressione
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delle gerachie ecclesiastiche, sul vecsante femminile la pratica dell'ascesi é
sotto .il diretto controllo della Chiesa. E mentre per i monaci vanno fissandosi norme atoe a disciplinare le forme spesso disordinate assunte dall'ascetismo, mancano (e mancheranno per un bel pezzo) regale monastiche femminili, e le donne continuano a ricevere esortazioni alba verginitá o, se
vedove, alla monogánnia. Forse proprio perché l'ascesi femminile, almeno
nell'ambito della Grande Chiesa, si é sempre svolta sotto la guida eeclesiastica, per i Padri ció che piú canta é convincere vergini e vedove a
votarsi a Dio ^(cedendo all'occorrenza i loro beni), mentre il modo in cui tale
scelta si realizza ha un'importanza solo relativa. Sintomatico al riguardo é il
comportamento di Atanasio, il quale, attraverso i molti viaggi delta sua
movimentata carriera, e soprattutto grazie alía sua vita Antonü (scrita nel 357,
fu un bestseller della tarda antichitá, ed ebbe due traduzioni latine in meno
di venti anni) diede un enorme impulso alla diffusione dell'ideale monastico
sia in Oriente che in Occidente. Per il monachesimo maschile, preesistente
alla sua attivitá ed ancora solo in parte controllato dalla Chiesa, egli cercó
un inserimento ed un riconoscimento ufficiale, ed accrebbe il prestigio suo
e dalla sua sede con il carisma che gli veniva dalla frequentazione di Antonio,
da lui proposto come concreto esempio di santitá monastica. Alle donne, invece,
egli dedicó opere di esortazione alla verginitá: almeno a giudicare dall'omelia
che ci resta, l'aspetto teorico prevaleva ampiamente su quello organizzativo.
Gli interventi dei Padri a proposito di castitá femminile possono ricondursi
ad una duplice esigenza. Da un lato, essi ribadiscono la specificitá ed il valore
della verginitá consacrata, differenziandola sia da quella rituale dei pagan che
dalle forme di soverchio rigorismo assunte da movimenti como quello encratita.
Dall'altro si prendono tutte le misure opportune ad evitare scandali, sconsigl!iando una consacrazione troppo precoce [il concilio di Saragozza (380 d.C.)
can. 8 pone l'etá minima a 40 anni; il concilio di Cartagine del 397 d.C.
(Corp. Christ. Ser. Lat. 149, p. 297, n. 121) prevede 25 anni per chierici e
vergini; quello del 418, can. 126 (ibídem, p. 227), autorizza il vescovo ad
anticipare la consacrazione se la castitá é minacciata; 40 anni sopo prescritti
nella novella VI di Maioriano (458 d.C.) e dal concilio di Agde (506 d.C.),
can. 191, ed esortando ad una condotta ineccepibile, che trovasse conferma
anche nell'aspetto esteriore (vita ritirata, austeritá nel vestire, assenza di trueco).
Sugli inizi del monachesimo femminile le fonti ci dicono piuttosto poco
e spesso incidentalmente. Apprendiamo dalla vita di Antonio che egli «affidó
la sorella :a delle vergini fedeli... perché fosse allevata nella verginitá» (Vita
Ant. 3, 1): siamo nel 270 circa d.C. Una trentina di anni dopo, Pacomio
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(276-349 d.C.) fará costruire a Tabennisi per sua sorella Maria una cella che
presto, con il concorso di altre ^aderenti, si trasformerá in un monastero vero
e proprio, il primo dei tre monasteri femminili (quelli maschili erano ben nove)
di fondazione pacomiana (gli altri due erano a Tesmine -e a Fakna). Non
abbiamo notizie sulla organizzazione interna di queste prime comunitá femminili, ma la cosa piú probabile é che si adottassero per esse criteri analoghi,
anche se forse meno rigorosi, di quelli in vigore presso i monaci.
La previa esistenza di un ascetismo vissuto neli'ambito della. domus
costituisce un importante retroterra per 1'esperienza monastica femminile, sia
in Oriente che in Occidente. In Cappadocia, Macrina utilizza le strutture
domestiche e non si separerá mai dalla madre; a Milano, in anni non molto
successivi (la vita Macrinae é del 380 circa d.C., il de virginibus del 376 circa),
Ambrogio fará osservare a genitori perples9i che, se le figlie scelgono la
verginitá, esse resteranno in casa con loro (de virginib. 1, 32 virgo individuum
pignus parentum, quae ... non emigratione destituat; cfr. anche Inst. virg. 1).
Ad un ambiente in cui le vergini non fanno vita separata rimandano i consigli
di Basilio di Ancyra riguardo alle frequentazioni da evitare, al modo di
vestirsi, al pericolo rappresentato dagli eunuchi (de virg. 19 ss.; 34 ss. e 61 ss.
edito in PG 30, 669 ss.), e consigli di analogo tenore ritroviamo, piú di venti
anni dopo, nell'epistola di Girolamo ad Eustochio (Ep. 22, 27 ss.), del 384 d.C.,
ed in quella, di altri trenta anni posteriore, a Demetriade (Ep. 130, 12, 18 e 19).
Proprio nell'epistola a Demetriade (Ep. 130, 17) é contemplata la possibilitá di
una scelta fra monachesimo domestico e vita in comunitá, il che mostra come
nel secando decennio del V secolo l'organizzazione monastica femminile fosse
ancora in una fase fluida. Un monachesimo domestico o semidomestico deve
essere perdurato abbastanza a lungo, anche quando si erano giá imposte le
prime forme organizzate di vita comunitaria. Nel 378 la ricca e influente
senatrice Melania Seniore faceva costruire sul Monte degli Olivi un convento
maschile ed uno femminile, nel quale ultimo sarebbe vissuta per 27 anni.
Monachesimo domestico conducevano invece a Roma la vedova Marcella e le
altre dame che si radunavano nella sua casa sull'Aventino, mentre la patrizia
Paola, che di quella casa era stata assidua frequentatrice, sul finire degli anni
80 fondava a Betlem il suo monastero. Ascesi domestica e vita cenobitica,
infine, sono entrambe ben bestimoniate nei resoconti della Historia Lausiaca.
Insomma, ad una «regolarizzazione» in senso monastico le donne giunsero
abbastanza tardi, dopo un periodo, piú o meno lungo, durante il quale il
perseguimento della castitá non era ancora necessariamente affidato ad una
istituzione.
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Dietro alcune forme di organizzazione regolare é testimoniata l'azione
ordinatrice di vescovi e uomini di chiesa, i quali contribuirono con donne della
propxia famiglia all'incremento dell'istituzione monastica. E' questo il caso di
Ambrogio a Milano (sua sorella Martellina dirigeva un convento di vergini) e
di Agostino, che aveva fondato ad Ippona un monastero retto da una sua
sorella vedova ed in cui si trovavano cugine e nipoti del santo (Possidio, Vita
Aug. 26). Leggermente diverso era stato in Cappadocia il caso di Macrina, che
-a detta di suo fratello Gregorio di Nissa- avrebbe addirittura anticipato il
grande Basilio, additandogli l'ideale ascetico (Vita Macrinae 6, 8 ss.). Ma la
stessa Macrina trovó un propagandista di eccezione proprio nel Nisseno, chedopo le riflessioni teoriche condotte nel de virginitate, nella vita Macrinae
propose, con il ritratto della sorella, il primo equivalente femminile di Antonio
(e d'altra parte in Occidente, nel de virginibus a lei dedicato, Ambrogio era
stato prodigo di lodi per le virtú della sorella Martellina).
Al sorgere di forme associative organizzate si accompagna la necessitá di
stabilire norme di convivenza: ma non esiste sul versante femminile quella
ricca produzione di regole che contraddistingue invece il monachesimo maschile.
All'iniziiale mancanza di regale comporte per monache hanno concorso fattori
di vario genere. C'é intanto da tener presente che scritti sulla vita monastica
come il de institutis coenobiorum e le Conlationes di Cassiano, o le Regulae
basiliane -di cui le fusius tractatae furono note all'Occidente nella traduzione
di Rufina (CSEL LXXXVI)- forniscono indicazioni generali valide per asceti
di ambo i sessi. Era inoltre possibile utilizzare per le donne, con le variazioni
del caso, le regole giá in uso presso gli uomini. Ci illuminano a questo riguardo
i due casi, opposti e complementara, di Basilio e Agostino. Nei migliori
manoscritti della recensione vulgata dell'Asketikon basiliano, e aggiunto in
appendice un altro scritto assai breve, simile per argomento alle Regole
Morali, e che ha la forma di una lettera rivolta alta canonica Teodora: si
trattava assai probabilmente di un riassunto, semplificato e con alcune
precisazioni, di quanto Basilio aveva giá trattato nelle opere maggiori.
Dall'intero testo fu estrapolata la parte piú schiettamente normativa, che ebbe
poi circolazione autonoma come Epist. 22, mentre la parte iniziale e quella
finale ci sano conservate da Epist. 175, che mantiene casi le tracce dell'originaria
destinazione dello scritto. Tracce che risultano invece del tutto perdute in una
redazione al maschile dello stesso testo (Ep. 175 + Ep. 22), la cosiddetta
«redazione misogina» (cfr. J. Gribomont, «Antonianum» 54, 1979, pp. 255 ss.).
Agostino, al contrario, avrebbe originariamente composto il Praeceptum, regola
maschile, poi riportata al femminile con pochissime variazioni (Reg. 4, 7 e
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5, 6). Analoga sorte avrebbe avuto il piú breve elenco di norme trádito sofito
íl nome di ordo monasterü, la cui versíone femminile (Tordo monasterü fenúnis
datus) potrebbe essere stata redatta addirittura in ambiente visigoto.
1 due casi di Basilio e Agostino mostrano che non solo nella coscienza
degli estensori, ma anche in quella dei frulitori non esistevano particolari
distinzioni fra le norme di comportamento valide per i monaci e quelle per le
monache e che, con opportuni, minimi adattomenti, una regola destinata agli
uomini poteva andare bene per le donne e viceversa. Questa situazione di
intercambiabilitá dovette durare a lungo: della regala agostiniana in versione
maschile si servirá Cesario d'Arles per il monastero femminile da lui fondato,
mentre il suo successore Aureliano (537-558) adoperó sia la regola masschile
che quella femminile di Cesario per stendere la sua regola maschile che
modificó in seguito per farla adottare in un convento di monache. Non
va infine sottovalutato il ruolo che ebbero le lettere di direzione spirituale
scritte da autorevoli uomini di chiesa: la tradizione manoscritta degli epistolar¡
di autor¡ come Girolamo e Agostino mostra l'esistenza di raccolte per le quali
il criterio di scelta sembra essere stato quello di fornire una guida spirituale,
e talora anche pratica, ad una comunitá di monache.
Le nostre conoscenze sul primo monachesimo femminile presentano molte
zone d'ombra. Sappiamo poco sul piano della disciplina, ma casi difficili
dovettero certamente esisterne: basta pensare alba rivolta scoppiata nel
monastero di Ippona contra una badessa poco gradita (Agostino, Epp. 210 e
211), o alíe sadiche sgarberie cui veniva sottoposta dalle consorelle una
monaca che simulava la follia (Palladio, HL 34). Mancano dati certi sulla
composizione sociiale delle prime comunitá femminili, né trova conferma nelle
testimonianze pervenuteci 1'ipotesi, avanzata da Penco («Studia monastica»
4, 1962, pp. 257 ss.) secondo cui la forte partecipazione della nobilitas avrebbe
in qualche modo bloccato 1'•affermarsi del movimento monastico femminile
presso le altre componenti sociali. E' certo invece che della partecipazione
aristocratica risente molto il tipo di documentazione pervenutaci. 1 monasteri
femminilli antichi su cui sismo meglio informati sono infatti fondiazioni di
vergini o vedove dell'alta aristocrazia. II contributo di queste nobildonne
all'affermazione del monachesimo femminile é senz' altro superiore a quello
che la stessa classe ha dato alío sviluppo del monachesimo maschile. Trattandosi
di donne infuenti le cui rdecisioni coinvolgevano beni, schiavi, persone della famiglia e , nel caso di Melania Iuniore, perfino un marito dapprincipio riluttante,
la loro scelta monastica non fu priva di conseguenze sociali, anche grazie all'abile
intervento di alcuni vescovi, che ne orientarono l'attivitá caritativa.
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Donne come Olimpiade, Paola o le due Melanie ebbero biografi ammirati
e zelanti, al quali no¡ dobbiamo molto di cib che si sa sugli antichi monasteri.
E' peraltro stupefacente che questi biografi, generosi di particolari sulle
virtú delle fondatrici, risultino invece assia parchi di notizie sulla gestione dei
monasteri. Sul piano disciplinare, é mal definito lo status di queste signore,
che non sempre avevano un ruolo direttivo ufficiale all'interno del loro
convento: sappiamo p.es. che Melania Maiore !aveva preferito non essere le¡
la badessa, attribuendosi il piii gratificante ruolo di mitigare i rigori di
quest'ultima (Vita Melaniae 41). Esaminando il tipo di testimonianza offerto
dagli agiografi di Paola, Melania Iuniore e Olimpiade, Elizabeth A. Clark
(«Byz.Forschungen» 9, 1985, pp. 17 ss.) é giunta alla convincente conclusione
che queste signore traessero la loro autoritá non da una regola, ma dalla loro
preminenza sociale ed economica: solo cos! possono spiegarsi la reticenza o il
silenzio delle fonti su aspetti non certo secondari dell'organizzazione conventuale. Sul piano del sostegno econom!ico, infatti, i biografi si limitano ad
ammassare notizie di donativi, ma non ci spiegano i modi dell'amministrazione,
e neppure se le donazioni fatte al conventi fossero totali o parziali. Paola
avrebbe dato tutto in beneficenza, al punto da lasciare la figlia senza un soldo
e i bilanci del monastero in rosso (Ep. 108, 2, 2; 5, 2; 30, 1). Melania luniore,
che insieme al marito Piniano aveva fondato e dotato due monasteri (uno
maschile e uno femminile) a Tagaste (Vita Melaniae 21), viveva in un altro,
sito sul Monte degli Olivi (ibidem, 40): quando decise, dopo la morte di
Piniano, di fondare un monastero maschile, le fu obiettato che era troppo
povera per farlo (ibidem, 49). Demetriade dipende sul piano economico dalla
madre e dalla nonna, alle cui generositá si deve la ricca dote che ella consacra
al servizio di Dio (Hier., Ep. 130, 7): ma nel programma di distribuzione dei
beni che Girolamo traccia per le¡ quando, morte nonna e madre, avrá piena
disponibilitá dei suoi averi, non e previsto che il patrimonio pass¡ integralmente
al monastero (ibidem, 14).
In ogni caso, dovette esistere una certa confusione fra cassa del convento
e averi delle fondatrici, che fino all'ultimo li spendono come e dove vogliono.
E c'é anche da chiedersi quale fosse il ruolo delle madri in queste distribuzioni
di beni. Paola dilapida anche l'ereditá della figlia Eustochio, che vive con lei
in convento e la lascia fare con gioia (Hier., Ep. 108, 26, 4). D'altro canto,
nelle sue largizioni Marcella deve fare i conti con i troppo terreni affetti della
madre, che preferirebbe lasciare i beni di farniglia al parenti (Hier., Ep.
127, 4). In questi due casi -anche se non sappiamo fino a che punto
influissero le ragioni affettive (sembrerebbe essere il caso di Marcella), e fino
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a che punto invece quelle legali (Girolamo non ci dice niente sulla condizione
giuridica di Eustochio)- resta l'impressione che, nell'amministrare il proprio
patrimonio, le figlie non si sottraess+ero ad un sorba di controllo (sostanziale
se non formale) esercitato dalle loro madri. Poco sappiamo anche sul sopravvivere delle distinzioni social¡ all'interno dei monasteri di fondazione aristocratica. Macrina aveva ceso le vergini della sua casa lx lou)Kíamv xai únoXELPíwv
dhkCPúC xai óµoTíP.ous (Vita Macrinae 7, 7 s., ed. Maraval, Sources Chrét. 178)
e insieme con sua madre ne condivideva la vita (ibidem, 11, 5 ss.); ma sono
di rango elevato le donne del suo monastero che ne curano le esequie e ne
conoscono le ultime volontá (ibidem, 28 ss.). Melania (Vita Melaniae 41) e
Paola (Ep. 108 , 15, 2) si erano messe al servizio delle consorelle , ma non
sappiamo nemmeno se, trascinando nell'ascesi anche le schiave, avessero sempre
curato di garantirme 1'emancipazione. 11 convento di Paola era diviso in tre
sottosezioni, ma Girolamo non dice se tale suddivisione rispecchiasse il diverso
stato sociale delle appartenenti, le quali si riunivano insieme solo per pregare
(Hier., Ep. 108, 20).
Un altro aspetto poco chiaro riguarda il lavoro monastico. In de moribus
Ecclesiae catholicae 68, Agostino ci parla di donne che offrivano agli indigenti
i propri prodotti, e scambia-vano con cibi le vesti da loro tessute; dalla stessa
opera apprendiamo di vedove e vergini che vivevano insieme e si procuravano
da vivere con il proprio lavoro (ibidem, 70), ma non risulta che l'autosufficienza
fosse raggiunta ovunque. Sappiamo da Palladio (HL 32, 9) che a Panopoli i
monasteri femminili (oltre che le prigioni) erano miantenuti da¡ monaci pacomiani. Una autonomia economica di base, procurata dalle fondatrici stesse,
doveva caratterizzare i conventi di fondazione aristocratica: in effetti, per le
esponenti della nobilitas, prima che un mezzo di sussistenza, il lavoro manuale
sembra essere una terapia dell'anima. Esemplari al riguardo cono le raccomandazioni di Girolamo a Demetriade: l'invito ad organizzare il lanificium,
guidando l'attivitá delle ancelle, nasce non tanto da esigenze pratiche, quanto
dall'opportunitá di evitare pigrizia e cattivi pensiieri (Ep. 130, 15). E c'é,
semmai , il gusto snobistico di fare a madre e nonna regali da lei stessa
confezionati. Ma anche l'automortificazione é pagante, e non solo sul piano
dell'immagine. Macrina si sobbarca alle peggiori fatiche per risparmiare la
madre e umiliare se stessa: ma é pur vero che la situazione patrimoniale trae
vantaggio dalla sua abile amministrazione (Vita Macrinae 5).
Quanto abbiamo finora visto spero basti a mostrare la varietá di realizzazioni e gli aspetti problematici del primo monachesimo femminile. In particolare, c'é il sospetto che certi silenzi delle fonti si motivino almeno in parte
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con una situazione fluida per la miancanza di norme consolidate e per il forte
influsso dell'alta aristocrazia femminile, influsso reso anche maggiore dall'
assenza di precise prescrizioni di vita. Mi é parso opportuno cercare una
verifica a questa ¡potes¡ analizzando alcuni dati che ci vengono, circa un secolo
dopo e sempre in ambito prebenedettino, dalla Galliia Merovingia. E' infatti in
questa zona che troviamo la piú antica regola datata d'Occidente scritta
esplicitamente ad uso di un monastero femminile, la regula sanctarum virginum
di Cesario d'Arles, da luí composta nel 512 per il monastero di S. Giovanni,
diretto dalla sorella Cesaria. Nel 534 di questa regola Cesario scrisse una
recapitulatio che nelle sue intenzioni avrebbie dovuto sostituire il testo originario,
da cui si differenzia per una maggior brevitá e per l'attenzione ad alcuni
particolari trascurati nella stesura precedente.
Basata principalmente sulla versione maschile delta regola di Agostino e
sull'esperienza ascetica dell'autore a Lérins, la regola di Cesario si differenzia
da quelle maschili per una enunciazione preliminare sul privilegio e i doveri
delta verginitá consacrata, e per iil riconoscimento che multa in monasteriis
puellarum a monachorum institutis distare videntur (Reg. 2). Di fatto, varíe
norme (in particolare la clausura stretta, la condanna del trueco e di qualsiasi eleganza , il tipo di lavori da esegwire , primo fra tutti il lani f icium)
tengono conto del sesso delle fruitrici. 11 lavoro é d'obbligo, e mira ad una
produzione autarchica dei beni necessari alía sussistenza; non si prevede un
mercato per i prodotti eccedenti, che vengono destinati alía beneficenza. Con
questo quadro, in sé organico e coerente, contrasta per5 la disposizione dello
stesso Cesario, che ha voluto per il suo monastero una dotazione, costituita
alienando (con l'autorizzazione papale e contro ogni norma vigente) alcune
proprietá delta chiesa di Artes. Lascia pensare anche il fatto che Cesario
chiedesse al papa di sancire l'autonomia del monastero dalla giurisdizione dei
futuri vescovi :arelatensi. Questo provvedirnento, singolare da parte di un
vescovo, mostra che Cesario ben conosceva la forza con cui la tutela episcopale
poteva esercitarsi, e ne temeva gli effetti per il convento da luí fondato.
Finalmente in presenza di una regola femminile scritta, possiamo interrogarci su¡ suoi effetti e la sua applicazione. Siamo abbastanza documentati su
due conventi in cui tale regola fu adottata. 11 primo é quello di Artes, dove
l'indipendenza dalla sede episcopale sembra ayer conferito autorevolezza alle
badesse. Cesaria la Giovane, che lo dirigeva alía morte del santo, fu la
comittente delta Vita Caesarii, cui posero mano ben tre vescovi (Cyprianus,
Firminus e Viventius) oltre ad un presbitero (Messianus) e un diacono
(Stephanus). Liliola (559-574), che le successe, e Rusticula, badessa del 574
42
al 632, la cui vita Rché ha scagionato da¡ sospetti di Krusch («Analecta
Bollandiana», LXXII, 1954, pp. 369 ss.) ebbero un qualche ruolo nella vita
politica del tempo (cfr. Hist. Franc., IV, 26 e Vita Rusticulae; 9-12. SRM III).
L'altro caso su cui siamo assai ben documentati é quello del convento
della Sainte-Croix a Poitiers, fondato dalla regina Radegonda. La scelta della
regola di Cesario rispondeva alla neces^sitá di sottrarre il chiostro alto sgradito
controllo del vescovo Maroveo, che a Radegonda mostró ostilitá fino alla
morte di le¡. Sulla vita alla Sainte-Croix troviamo testimonianza nelle due
biografie della regina (MGH, SRM II, pp. 358 ss.) nei carmi a le¡ indirizzatú
dal poeta Venanzio Fortunato, nella Historia Francorum di Gregorio di Tours.
Nei suoi carmi Venanzio, oltre ^a testimoniare 1'eroismo ascetico di Radegonda,
ricorda •sontuosi banchetti allestiti in suo onore, e lascia intravvedere una
frequentazione piuttosto assidua. Entrambe le cose erano assolutamente proibite
dalla regola di Cesario (Reg. 39). Ma, anche a prescindere dalle eventuali
esagerazioni di un poeta cortigiano e riconoscente, restano i due libri delta
Vita Radegundis, test¡ al di sopra di ogni sospetto perché intesi a mostrare la
santitá della fondatrice: anche li troviamo alcune notizie che contrastano con
le prescrizioni di Cesario. Infatti Radegonda ha una celta personale (il che
non era tecito), dinanzi alla quale fa piantare un alloro (Vita 1, 33); pur non
essendo la dispensiera, ha una botticella di vino da cui attinge per tutti (Vita
II, 10); la sua ricerca di macerazione procede piú sul piano dell' iniziativa
personale che secondo le regole della convivenza monastica. Inoltre, pur non
essendo badessa, é le¡ che tiene alto il prestigio della Sainte-Croix, opponendosi
a re Chilperico, che vorrebbe ritirare una sua figlia dal monastero (Hist. Franc.
VI, 34), ed é leí a prendere le misure necessarie per mettere il suo convento
al riparo da future interferenze politiche e religiose (ibídem, IX, 42). Ritroviamo insomma, dopo piú di un secolo e mezzo, ed in presenza di una regola
scritta, quello stesso corredo di prestigio e ambiguitá che contraddistingueva le
fondazioni monastiche di Paola o di Melania. E che l'autorevolezza venisse
dall'"influenza personale piú che dalla posizione uffici,ale (Radegonda non era
la badessa, ma neanche Melania Iunore lo era stata) ci é confermato dallo
scandalo scoppiato a Poitiiers dopo la morte delta santa, e promosso da due
principesse merovingie scontente della nuova badessa.
La situazione or ora esaminata é certo eccezionale, perché non dappertutto
ci sano regine che fondano chiostri. Essa mostra per¿) come l'aristocrazia
barbarica si fosse fatta erede di quell' influenza che era stata prerogativa
dell'aristocrazia senatoria romana, la quale pieraltro non aveva rinunciato al
suoi privilegi neanche in presenza di piú consolidate tradizioni di monachesimo
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regolare . E' noto che il futuro Gregorio Magno aveva fondato gin Roma, su un
terreno di sua proprietá, il monastero di S. Andrea, in cui si era poi ritirato
come monaco. In Dial. IV, 57, 8-16 egli descrive l'esemplare punizione da ini
escogitata per salvare l'anima del confratello lustus, il quale, contravvenendo
all'obbligo della povertá, aveva tenuto con sé del denaro. Non c'é alcuna prova
che Gregorio fosse abate, ed anzi, per mettere ad effetto il suo piano, egli
ricorre al praepositus del momento, Pretiosus (IV, 57, 11). Ex praefectus (rbi,
Gregorio era anche il fondatore del convento, e dalla combinazione di questi
due elementi traeva la sua speciale autoritá. L'analogia di situazioni fra un
monastero maschile romano ed uno femminile merovingio mostra 1'esistenza e
la vitalitá di una auctoritas che vecchia nobilitá senatoria e nuova aristocrazia
barbarica continuarono ad esercitare nel chiostro, indipendentemente dalia
regola adottata.
APPENDICE BIBLIOGRAFICA
Si danno qui alcune informazioni essenziali , generalmente limitate agli ultimi contributi
usciti: da essi si potra risalire alla bibliografia precedente.
Sul monachesimo antico in generale, oltre a DACL XI, s.v. Monachisme, coll. 1774 ss.,
possono consultarsi la trattazione di G. M . Colombas, El monacato primitivo , voll. I-II,
Madrid, 1974-1975 e, da ultimo, R. Teja, Los orígenes del Monacato (Siglos IV-V), in
«Codex Aquilarensis», 1, Aguilar de Campoo, 1988, pp. 15 ss., e il contributo dello stesso
Teja in questa sede. Un aggiornamento bibliografico sugli studi e testi piú significativi
in L. Dattrino, II primo monachesimo , Roma, 1984, pp. 243 ss. Sulla spiritualitá monastica
in generale cfr. C . Leonardi , Alle origini della cristianitá medievale: Giovanni Cassiano
e Salviano di Marsiglia , « Studi medievali », 18, 2, 1977, pp. 491 -608. Sugli aspetti teorici
del lavoro monastico cfr. il contributo di A. Giardina qui pubblicato; sull'organizzazione
pratica, si veda A. Quacquarelli , La teologia del lavoro nell ' antico monachesimo femminile prebenedettino , «Vetera Christ .», 22, 1985, pp. 233 ss.; e Lavoro e ascesi nel
monachesimo prebenedettino del IV e V secolo, Bar¡, 1982.
Sulla posizione della donna nella Chiesa delle origini , utile la raccolta ragionata di
pass¡ compiuta da E. A. Clark, Women in the early Church, Wilmington Delaware, 1983
(Message of the Fathers of the Church, 13). Per vedovanza e verginita cristiane cfr. le
dure voci Vierge, virginité e Veuvage, veuve curate da H. Leclercq in DACL XV, 3100 ss.
e 3007 ss. Sulle diaconesse ved¡ A. Kalsbach, Diokonisse in RLAC III, coll. 917-928 e
A. G. Martimort, Les diaconesses, Essai historique, Roma, 1982. Sul monachesimo fem-
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minile si veda la vote Nonne in DACL XII, 1557 ss.; cfr. anche A. Soulígnac, Monachisme
f éminin, «Dict. Spir.», X fasc. 68-9, 1603-1609. Le piú antiche testimonianze e deliberazioni
ecclesiastiche sulle donne consacrate seno raccolte da J. Mayer, Monumenta de viduis,
diaconissis virginibusque tractantia, «Florilegium Patristicum», XLII, Bonn, 1938. Di
grande importanza i lavori di E. A. Clark ora riuniti in Ascetic Piety arad Women's Faith,
Queenston, Ontario, 1986, in particolare Authority and Humility: a Con f lict o f values in
fourth-Century female Monasticism, pp. 209 ss. (giá in «Byzantinische Forschungen», IX,
1985, pp. 17 ss.). Su¡ modelli di santitá femminile si rimanda ad E. Giannarellí, La
tipologia femminile nella biografia e nell'autobiografia cristiana del IV secolo, Roma, 1980;
e a F. E. Consolino, Modelli di comportamento e modi di santificazione per l'aristocrazia
femminile d'Occidente in Societá romana e impero tardoantico, 1, a cura di A. Giardina,
Roma-Bari, 1986, pp. 273 ss. Sulle implicazioni economiche che ebbe la partecipazione
dell'alta aristocrazia femminile alía vita monastica, cfr. A. Giardina, Carita eversiva: le
donazioni di Melania la Giovane e gli equilibri delta societá tardoromana, «Studi Storici»,
XXIX, 1988, pp. 127 ss., e R. Lizzi, Una societá esortata all 'ascetismo : misure legislative
e motivazioni economiche, «Studi Storici», XXX, 1989, pp. 129 ss. Per la vita di Macrina
si veda A. Momigliano, The Life of St. Macrina by Gregory of Nyssa, in The Craft of
the Ancient Historian. Essays in Honour of Chester G. Starr, New York, 1985, pp. 443 ss.
(rielaborazione italiana in Le donne in Grecia, a cura di G. Arrigoni, Roma-Bari, 1985,
Macrina: una santa aristocratica vista dal fratello, pp. 331 ss.). Un'ampia introduzione
con aggiornamento bibliografico in S. Gregorio di Nissa. La vita di S. Macrina, Introduzione, traduzione e note di Elena Giannarelli, Milano, 1988. Per Radegonda ved¡
F. E. Consolino , Due agiografi per una regina: Radegonda di Turingia Ira Fortunato e
Baudonivia, «Studi Storici», XXIX, 1988, pp. 143 ss.
Suile prime regole monastiche si veda l'analisi ragionata di A. De Vogüé, Les régles
monastiques anciennes (400-700), Brepols, 1985, cui si rimanda anche per le indicazioni
bibliografiche. Sulla regola di Cesario e la sua importanza per la normativa monastica
femminile si veda ora Césaire d'Arles, Oeuvres monastiques, 1, Oeuvres pour les moniales,
intr., texte critique, trad. et notes par A. De Vogüé et J. Courreau, Paris, 1988, Sources
Chrét. 345 (in precedenza M. C. Carthy, The Rule for nuns of St. Caesarius of Arles,
Washington, 1960).
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