La prima nota? Era la nostra Estival 2014

Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino¶14 luglio 2014¶N. 29
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Cultura e Spettacoli
La prima nota? Era la nostra
Estival 2014 Guido Parini e Giorgio Meuwly raccontano i loro Estival e la soddisfazione
per la Smum Big Band, con cui hanno aperto la serata di sabato in Piazza
Alessandro Zanoli
Torniamo a parlare di big band, gruppi
che prendiamo un po’ a filo conduttore
dell’estate jazzistica nostrana. La presenza sabato scorso in Piazza Riforma
della Smum Big Band si prestava a una
serie di considerazioni potremmo dire
storiche, per il jazz ticinese. Da tempo
infatti mancava nel nostro cantone,
pur così attivo e autorevole nel settore,
un’orchestra di prestigio. Grazie alla
funzione catalizzatrice della Scuola di
Musica Moderna di Lugano ecco che
questa lacuna viene colmata in modo
egregio. I nostri interlocutori per una
chiacchierata sull’argomento sono
stati inevitabilmente Guido Parini e
Giorgio Meuwly, ai vertici della direzione della scuola e anche membri della Smum Big Band.
Per entrambi, la partecipazione ad
Estival non è una novità, anzi. «Direi
che la prima nota in Estival, in assoluto l’abbiamo suonata noi» racconta il
chitarrista. «Era la prima edizione di
Estival, 1979, al Padiglione Conza (perché pioveva) con Walter Schmocher al
contrabbasso e Guido, alla batteria».
Parini dal canto suo è salito sul palco
in molte altre occasioni: «Ho suonato
con Ricky Garzoni, nel gruppo Jasata
e nei Jazz Funk Express; poi c’era The
Future of Switzerland con Antonio
Faraò». Un ricordo, speciale: nel 1988
viene assegnato il premio alla carriera
ad Art Blakey: «Avevamo previsto un
trio di batterie, un pezzo di un quarto
d’ora, Art Blakey, Oliviero Giovannoni
ed io. Blakey arriva fino al palco in sedia a rotelle. Sembrava debole, malato.
Io ho cominciato a chiedermi suoniamo o non suoniamo? Jacky Marti mi
diceva: non ti preoccupare, quando è il
momento suonerà. Allora siamo saliti,
abbiamo fatto un pezzo io e Oliviero in
duo. Poi è arrivato Blakey: si è piazzato,
si sono accese le luci... si è trasformato.
Suonava più forte di me e di Oliviero
insieme!». Nella stessa edizione di Estival Meuwly ricorda un altro momento
eccezionale: «C’era stata una jam session molto bella, l’hanno ritrasmessa
alla TV qualche mese fa. Si festeggiavano i dieci anni di Estival: con Flavio e
Franco Ambrosetti, c’era Danilo Moccia, c’ero io, c’era Guido, c’era Riccardo
Garzoni. Una bella jam sul palco, di
quelle belle riuscite bene». I ricordi e gli
episodi si incatenano gli uni agli altri.
Vien quasi da pensare che questi ragazzi Estival l’abbiano visto più da dietro le
quinte che dalla Piazza... Senza contare
che da una decina d’anni la loro scuola presenta nei concerti del «Villaggio
RSI» gruppi di loro giovani allievi.
«Quest’anno erano rigorosamente
under 18, insieme a un assistente della
scuola», ci conferma Meuwly.
Per quello che riguarda però la serata ad Estival di sabato scorso, l’occasione
è stata prestigiosa: quasi una consacrazione. «La Big Band della Smum è una
formazione impegnativa. Il programma
di base è jazzistico al 100 per cento. Negli
ultimi anni abbiamo lavorato con grandi musicisti, come Bob Mintzer, Jerry
Bergonzi, che hanno portato dei loro arrangiamenti. Poi abbiamo lavorato con
quelli di Gabriele Comeglio, di Giorgio
Meuwly, di Danilo Moccia».
La Big Band della scuola luganese
è attiva ufficialmente dal 2012, quando
ha partecipato a Blues to Bop. Fanno
parte del suo organico i docenti della
Smum, che ne costituiscono la sezione
ritmica (Giorgio Meuwly alla chitarra, Mario Rusca al pianoforte, Marco
Conti al contrabbasso e Guido Parini alla batteria); altri hanno il ruolo
di primo strumento nei ranghi degli
ottoni (Emilio Soana alla tromba, Danilo Moccia al trombone e Gabriele Comeglio al sassofono). Oltre a loro, però,
Antonella Rainoldi
La Big Band della Scuola di musica moderna di Lugano. (CdT - Maffi)
le file dell’orchestra sono completate
da allievi ed ex allievi della scuola. Un
caso molto interessante di promozione
didattica, visto che ogni docente porta
con sé alcuni dei suoi studenti.
Meuwly e Parini possono vantare una certa esperienza in formazioni
di grande dimensione, progetti che
segnano importanti momenti nella
storia del jazz ticinese. Il chitarrista è
stato per due anni direttore e arrangiatore di una eccellente Lugano Big Band:
«Era nell’84. Abbiamo toccato l’apice
facendo un concerto con Phil Woods,
nell’anno in cui lui aveva preso il premio come miglior sassofonista».
Nei ricordi dei due jazzmen luganesi ci sono altre occasioni prestigiose,
in particolare nelle collaborazioni con
l’Osi. «Nel 2004 abbiamo accompagnato la cantante Patty Austin, nell’omaggio alla Fitzgerald: c’era una parte di
orchestra sinfonica unita alla big band
di Comeglio» ricorda Meuwly. A Parini
invece è rimasta impressa (con un certo
rimpianto) una esecuzione della suite
di Ellington Black Brown &Beige in occasione di un altro Estival: «Era il 1999,
centenario della nascita del compositore americano: avevamo preparato un
vero evento storico. Purtroppo a causa
di uno spiacevole problema tecnico non
siamo riusciti a registrarlo...».
Lo stretto rapporto che lega Smum
e Estival viene continuamente sollevato, nel corso della nostra conversazione. «Estival per noi è uno stimolo e
una vetrina importante. Permette di
evidenziare le doti della scuola ed è una
motivazione per noi e per gli allievi»
conclude Parini. Un caso esemplare di
sinergia tra istituzioni che è una vera
ricchezza per il patrimonio musicale
del nostro cantone.
Cinema Andrea Arnold, una regista che rappresenta la realtà senza concessioni
Andrea Arnold in pochi anni è diventata una regista acclamata di fama internazionale. Il suo nome incute rispetto e
ammirazione e i festival di mezzo mondo si contendono i suoi film che sono
attesi dalla critica con immensa curiosità, come se Miss Arnold possedesse un
fluido in grado di trasformare la realtà
in qualcosa di magico e inaspettato. Tre
lungometraggi al suo attivo tra i quali
ben due (Red Road e Fish Tank) vincitori del prestigioso premio della giuria
di Cannes, una vera e propria prodezza
per una regista che ha girato il suo primo
cortometraggio solo una decina di anni
fa. Il suo legame con il Festival di Cannes
si è rafforzato quest’anno grazie alla sua
presenza alla testa della giuria della Semaine de la critique, un onore accordato
solo alle stelle del panorama cinematografico internazionale.
A catturarla sin dall’adolescenza e
a spingerla sotto i riflettori nel ruolo di
presentatrice di programmi famosi all’epoca come Number 73 o ancora Top of
the Pops (dove si esibisce come ballerina
«fissa») è stata la televisione. Difficile indovinare il suo passato, vista la sua apparente timidezza e la sua propensione alla
discrezione, al riparo dietro a una cinepresa che ora è lei a controllare. A parlare
per lei sono giustamente i suoi film, e non
la sua vita privata, universo che Arnold
vuole mantenere segreto.
La sua carriera di regista cominciò
con il botto visto che il primo cortometraggio Wasp (2003) vinse un Oscar e
la lanciò sulla scena internazionale. In
occasione della premiazione, il suo discorso di ringraziamento, rimasto negli
annali grazie all’utilizzo di una parola
in slang tipicamente inglese che lasciava
poco all’immaginazione, mostrò il suo
carattere determinato e fedele alle radici. Originaria del Kent, cresciuta in un
complesso di case popolari della contea
del Dartford, la regista inglese trae ispirazione per i suoi film da quello che la circonda, dai ricordi della sua infanzia nella
periferia inglese, una miscela di natura
selvaggia e di fattorie abbandonate.
Il suo lavoro è stato spesso (ingiustamente) etichettato come tetro e deprimente, quasi a voler suggerire che la vita
dei protagonisti dei suoi film, confinati
in luoghi periferici, difficili, in complessi
Visti in tivù Al
Quotidiano un
servizio di rara
mestizia sulla
kermesse luganese
del 26 luglio
Un mondo non sempre perfetto
Muriel Del Don
RSI abbassa
il tiro
con la moda
architettonici dai toni militari, sia triste
e senza speranza. Ma la regista britannica svela la strana e misteriosa bellezza
nascosta negli apparentemente freddi
paesaggi urbani. La periferia, le case popolari, sono per lei la quotidianità, l’immagine stessa di una certa fetta della
popolazione che troppo spesso guardata
con sospetto e commiserazione. I suoi
film mostrano l’altra faccia della medaglia e mettono in avanti il lato misterioso
e selvaggio di un paesaggio solo all’apparenza triste e soffocante. Red Road e Fish
Tank, i suoi primi due lungometraggi,
usano lo stesso dispositivo narrativo, che
consiste nel mettere in luce i brandelli di
speranza che si trovano anche in situazioni apparentemente senza via di fuga.
Il sentimento di sollievo è però lieve,
quasi microscopico, ed è facile lasciarsi
sopraffare dall’angoscia.
La magia dei film di Andrea Arnold
risiede nel permettere a questi miseri spiragli di luce di emergere dal buio. Il suo
è un modo velato per dire che la vita va
avanti, malgrado la crudeltà del passato
e le difficoltà della quotidianità. Arnold
non vuole di certo fare evadere il pubblico con un happy end da fuochi artificiali,
ma vuole dargli gli strumenti per riflettere. Il tutto trascritto con una perfezione e un’esattezza estetica che la rendono
unica.
I suoi film non sono mai facili o banali e per questo sono difficilmente etichettabili, sfuggono al controllo e si insinuano sotto la pelle dello spettatore che
ne esce quasi fisicamente trasformato.
Essi nascono in terreni aridi, in zone re-
sidenziali semi abbandonate dove anime
brutalizzate lottano per sopravvivere,
per trovare una scappatoia che gli permetta di andare avanti fino al raggiungimento di un’inevitabile catarsi emotiva.
Fish Tank è un intenso dramma
realista che mette in scena la relazione
ambigua tra un’adolescente e il fidanzato
di sua madre, stupendamente interpretato da Michael Fassbender. Andrea Arnold gioca sull’ambiguità del rapporto
tra questi due personaggi in equilibrio
precario tra lecito e illecito, tra affetto e
attrazione sessuale. La loro relazione è
innocente o pericolosa? La regista non
vuole darci alcuna risposta, ma ammette
di amare l’ambiguità di relazioni complesse, spesso incomprensibili e per certi
versi inaccettabili. È indubbiamente difficile essere in empatia con i personaggi
dei suoi film, che sembrano voler mantenere una certa distanza dal pubblico,
coscienti della propria «diversità». Nei
suoi film aleggia sempre un’aura di vizio,
di pericolo, come a voler cogliere il lato
selvaggio e grezzo dei suoi protagonisti.
A questo proposito è emblematico l’utilizzo, nella maggior parte dei sui film, di
attori non professionisti che regalano ai
personaggi una spontaneità difficile da
ritrovare in attori con un grande bagaglio di esperienza alle spalle.
Andrea Arnold è una regista da seguire da vicino, che al pari di colleghi
quali Lynne Ramsay (We Need to Talk
About Kevin) e Steve McQueen (Shame)
mette in primo piano la qualità e il coraggio di una cinematografia britannica di
grande valore.
Solo il senso del dovere impone di resistere al desiderio di fuggire a gambe
levate. Ma anche la resistenza ha un limite. Giuriamo che se vediamo ancora
una volta un servizio di Leila Galfetti
su Moda sotto le stelle, cambiamo canale (RSI La1, il Quotidiano, martedì,
ore 19.30).
«La kermesse internazionale di
alta moda torna a Lugano il prossimo
26 luglio. Per i giovani stilisti ticinesi è
un’occasione per farsi conoscere e per
l’industria della moda della Svizzera
italiana un incentivo per un suo ulteriore sviluppo». Ma quale kermesse
internazionale? Un’occasione per farsi
conoscere da chi, se buyers e stampa
specializzata brillano per assenza? Sarebbe stato interessante capire quanto
ha giovato finora ai giovani stilisti ticinesi il traino dei «nomi» in passerella. Sarebbe stato interessante capire a
quanti ragazzi Moda sotto le stelle ha
procurato stages sul campo. Invece
niente, il vuoto, pochi minuti di aria
fritta. Maurizio Canetta dovrebbe
prendere nota.
Che cos’è Moda sotto le stelle? Per
lo spettatore a digiuno di fashion, impossibilitato a uscire dall’indifferenziato dei lustrini e delle paillettes, si
deve trattare di una manifestazione galattica, al pari o anche al di sopra delle
kermesse di Milano, Parigi, New York.
A furia di sentirsi ripetere frasi del tipo
«Moda sotto le stelle è un evento al top»,
«Moda sotto le stelle porta il nome di
Lugano nel mondo», lo sprovveduto
finisce per crederci. Per lo spettatore
più avvertito è un incontro modaiolo
come se ne vedono tanti, nonostante
la tendenza dell’organizzatore Franco
Taranto a confondere i sogni con i bisogni: il bisogno di ergersi a guru di riferimento, il bisogno di raccontare la storia di una resistibile ascesa, il bisogno
di compiacersi dei propri insuccessi.
Franco Taranto, per i più distratti,
nasce come fotografo diversamente rinomato, perché non risulta abbia mai
pubblicato scatti su riviste rinomate.
In passato è stato anche un modello,
non di vita ma da passerella, anche se
i luoghi delle sue apparizioni sono misteri impenetrabili. In Ticino, spinto
dall’urgenza di ottenere un risarcimento artistico-culturale, si è triplicato, indisturbato, rifondando il concorso di Miss e Mister e dando vita a
un’agenzia di modelle e alla Camera
Nazionale della Moda Svizzera, motore della manifestazione luganese. E poi
dicono che per i giovani stilisti è difficile spiccare il volo.
Lustrini e paillettes a Lugano. (CdT Maffi)