Dispense di Fisica e Tecnologia del Vuoto

Corso di Laboratorio di Termodinamica
per le lauree triennali in
Fisica
Fisica e Astrofisica
Tecnologie Fisiche e dell’Informazione
Dispense di Fisica e Tecnologia del
Vuoto
Fulvio Ricci
Dipartimento di Fisica,
Università di Roma La Sapienza, Roma, Italia
INDICE
Introduzione
I PARTE - I FONDAMENTI DEL VUOTO
Richiami di teoria cinetica dei gas
La distribuzione statistica delle velocità di un gas ideale
Flusso di materia e cammino libero medio
Viscosità, conducibilità termica e diffusione di un fluido
Il trasporto di un fluido
Calcolo di alcune conduttanze
Gli effetti di superficie: adsorbimento, condensazione, assorbimento e rilascio
Velocità di pompaggio e portata
Andamento nel tempo della pressione durante la fase di pompaggio
La velocità di pompaggio efficace
Metodi di misura della velocità di pompaggio
Un esempio di calcolo di un sistema da vuoto
II PARTE - LA MISURA DELLA PRESSIONE NEGLI IMPIANTI DA VUOTO
Barometri
Misuratori di basse pressioni
Manometri a diaframma
Manometri differenziali
Vacuometri di Mc Leod
l vacuometri a conducibilità termica
Vacuometro a scarica
Vacuometri a ionizzazione
III PARTE - LE POMPE DA VUOTO
Le pompe rotative
Le pompe a diffusione
Le pompe turbomolecolari
Le pompe a getter e ioniche
Le pompe criogeniche
IV PARTE – LA RICERCA DI PERDITE IN UN IMPIANTO DA VUOTO
La tecnica delle bolle.
Prove basate sull’osservazione del decadimento di pressione.
Prove di risalita di pressione.
Lo spettrometro magnetico di massa.
Uso del cercafughe a spettrometro magnetico di massa per elio.
Lo spettrometro di massa a quadrupolo.
Bibliografia
2
INTRODUZIONE
Il termine "vuoto" è riferito alla situazione fisica che occorre in un ambiente
ove la pressione gassosa è minore di quella atmosferica. A seconda che la pressione Ë
poco o molto inferiore a quell’atmosferica, i fenomeni che occorrono possono essere
assai diversi, come assai diversi possono essere i mezzi per ottenere e misurare quella
pressione.
Nel Sistema Internazionale di unità di misura (abbreviato con l’acronimo SI), la
pressione è misurata in Pascal (Pa) e rappresenta la pressione esercita dalla forza di un
Newton su 1 m2 di superficie ( 1 Pa = 1 N/m2).
Spesso però nell’ambito delle misure di pressione, si usano altre unità di misura
quali
- il millibar (mbar), pari a 101.325 Pa. Tale unità di misura è utilizzata sovente
dai metereologi, Notiamo che 1 atmosfera =1 103 mbar ~ 105 Pa.
- il mm Hg o torr, pari 133.32 Pa, utilizzata ad esempio per misure di pressione
sanguigna. 1 atmosfera =1 103 mbar =760 mm Hg
- il kg/cm2 pari a 9.81 104 Pa ~ 1 Atmosfera. Si tratta di una unità molto amata
dagli ingegneri del continente europeo.
- il psi (pound per square inch2 ‡ libbra inglese/pollice2), 1 psi è pari ~
6.89473 103 Pa, è utilizzata dagli ingegneri anglosassoni: essa appare in molti
dei manuali di provenienza anglosassone, come ad esempio quelli dell’agenzia
spaziale americana N.A.S.A.
È uso distinguere diversi tipi di vuoto in relazione al relativo intervallo di
pressione interessato:
Basso vuoto
Vuoto medio
Alto vuoto
Ultra-alto vuoto
Vuoto estremo
105 — 102
102 — 10-2
10-2 —10-6
< 10-6
< 10-10
Pa
Pa
Pa
Pa
Pa
Il vuoto può esistere in natura e può essere prodotto per scopi scientifici o
tecnici. Nello spazio extraterrestre siamo in condizioni di vuoto: ad esempio
l’atmosfera lunare è essenzialmente costituita da gas del tipo H2, He, Ne, Ar ad una
pressione totale intorno a 10-6 Pa. Nello spazio interstellare ed intergalattico la
pressione diventa ancora più piccola, tanto che si preferisce parlare in termini di
densità delle particelle gassose (numero d’atomi o molecole contenute nell’unità di
volume) invece di pressione. Nello spazio interstellare, entro il nostro sistema
galattico, si ha una densità di particelle gassose (principalmente idrogeno) dell’ordine
di un atomo in un cm3; nello spazio intergalattico questa densità è molto minore, ma
non nulla e, secondo le migliori stime, corrisponde ad un atomo d’ idrogeno in un m3.
Per quanto riguarda l’atmosfera terrestre osserviamo come la pressione
diminuisce alzandosi dal livello del mare. La variazione della densità atmosferica con
l’altezza è stata determinata con precisione grazie all’uso dei satelliti artificiali. Nella
tabella seguente sono riportate la pressione, la temperatura e la densità rilevate alle
varie altezze rispetto al livello del mare.
3
Variazione della pressione atmosferica e della densità di particelle in funzione
delle diverse altezze rispetto il livello dei mare
Altezza dal livello
del mare [km]
0
10
50
100
500
1000
Pressione [Pa]
Temperatura [K]
1,01325 x 105
3,6 x 104
85,3
0,33 x 10-1
1,3 x 10-5
0,99x10-8
288
217
276
207
1550
1600
Densità di
particelle [cm-3]
2,58 x1019
4,10 x 1018
2,20 x 1016
8,9 x 1012
5 x 107
5x105
Il vuoto è indispensabile per molte applicazioni ed è quindi necessario
produrlo a Terra in ambienti o recipienti adatti attraverso opportuni dispositivi.
Negli ultimi decenni grandissimi progressi sono stati compiuti nell’ottenimento e
nella misura di vuoti sempre più spinti. Oggi, si raggiungono pressioni anche inferiori
a 10-10 Pa in ambienti quali parti di macchine acceleratrici di particelle.
Gli obiettivi scientifici più ambiziosi richiedono un costante miglioramento delle
tecniche di vuoto e portano a grandiose realizzazioni, impensabili sino a qualche anno
fa’. Attualmente i più grandi impianti d’ultra alto vuoto al mondo sono senza dubbio
gli interferometri per la rivelazione delle onde Gravitazionali installati in Italia e negli
USA. Si tratta di tubi da vuoto di diametro superiore al metro e di lunghezza di alcuni
chilometri a pressioni inferiori a 10-6 Pa.
Il tubo da vuoto da 3 km in direzione Nord dell’interferometro per la rivelazione
delle onde gravitazionali installato a Cascina (Pisa –Italia).
La forte spinta migliorativa è derivata non solo da esigenze puramente scientifiche ma
anche da precise richieste d’alcuni settori della tecnologia. La tecnica di produzione
del vuoto si applica quindi ad un gran numero d’impianti con necessità di livello di
vuoto anche molto diverse come appare, a titolo d’esempio, nella tabella 3.
4
Applicazione
Simulazione spaziale
Preparazione di film sottili
Tubi elettronici (cinescopi,valvole termoioniche, collettori solari)
Metallurgia (fusioni e leghe sotto vuoto, metallizzazione, ecc.)
Macchine acceleratrici di particelle
Fisica dei plasmi e macchine per fusione nucleare
Studio di superficie (struttura, composizione)
Liofilizzazione
Isolamento termico
Pressione (Pa)
105 – 10-4
10-1 – 10-8
10-1 – 10-6
105 - 10-1
10-4 – 10-11
10-5 - 10-8
10-4 – 10-9
101 - 10-1
10-1- 10-3
Le molteplici ragioni per cui si desidera produrre il vuoto sono legate alla
natura dell’applicazione considerata possono essere:
- Impedire processi chimico-fisici causati dall’azione dei gas atmosferici (per es.
durante la fusione di particolari metalli reattivi, come il Ti; in tubi termoionici per
permettere un elevato cammino medio degli elettroni, evitare scariche nel gas e
reazioni chimiche sul filamento caldo).
- Per rallentare i processi di decomposizione organica dovuti ad agenti aerobici (
sistemi di imballaggio del materiale organico sotto vuoto)
- Accrescere notevolmente il libero cammino medio delle molecole di gas o vapori
onde permettere a date molecole, atomi o ioni di raggiungere una superficie o un
bersaglio opportuno, senza urti con molecole estranee (ad es. nel processo di
metallizzazione sotto vuoto e nelle macchine acceleratrici di particelle).
- Ridurre la frequenza di collisione di molecole e atomi che compongono il gas con le
superfici per allungare i tempi di contaminazione delle superfici stesse (studi di
struttura e composizione di superfici solide, preparazione di film sottili)
- Favorire l’isolamento termico eliminando il trasporto di calore per convezione (per
es. nei dewars, i contenitori dei liquidi freddi).
- Eliminare i gas disciolti contenuti in un dato materiale (per es. degasaggio di oli e
liofilizzazione), o i gas adsorbiti su una superficie (per es. "pulizia" di tubi elettronici
e acceleratori di particelle).
- Ridurre la concentrazione di uno o più gas particolari al di sotto di un livello critico
(per es. riduzioni di O2, H2O e idrocarburi in tubi elettronici o in sistemi in cui si
studia la scarica nei gas).
-Simulare particolari situazioni fisiche come quelle che occorrono nello spazio
planetario (camere di simulazione spaziale per prove su satelliti e navi spaziali).
Visto l’ampio campo d’applicazione si ritiene importante nell’ambito del
corso di studi in Fisica fornire allo studente alcune nozioni fondamentali di fisica del
vuoto e delle tecniche associate.
Nei paragrafi che seguono richiameremo alcuni concetti fondamentali di teoria
cinetica dei gas ed introdurremo le grandezze utili a caratterizzare i processi di
trasporto. Quindi illustreremo i principi di funzionamento degli strumenti di misura
del vuoto e degli apparati necessari alla sua produzione.
5
Parte I
I FONDAMENTI DEL VUOTO
6
Richiami di teoria cinetica dei gas.
La densità delle particelle di un gas reale (numero di particelle per unità di
volume) ed il numero di collisioni per unità di tempo sono in linea di principio
parametri utili per descrivere il livello di vuoto di un sistema. Allo scopo di fare
previsioni quantitative su tali grandezze, è necessario sviluppare dei modelli che
descrivano lo stato dinamico dell’insieme di particelle costituenti il gas. La trattazione
statistica di un sistema reale presenta considerevoli difficoltà dovute alla complessità
dei modelli d’interazione tra particelle e tra loro e le pareti del recipiente. Si pensi ad
esempio al fatto che lo stato delle superfici del recipiente tende a cambiare nel tempo
(esso è ad esempio funzione della temperatura); quindi cambia anche la natura delle
interazioni particella-superficie che gioca un ruolo primario nei sistemi da vuoto.
Tuttavia, quando si studiano gli stati stazionari di un tipico sistema sotto vuoto, si
giunge alla conclusione che il gas reale residuo ha un comportamento che non si
discosta in modo sensibile da quello di un gas ideale. In queste condizioni la
trattazione statistica dei problemi di trasporto del gas nell’ambito della teoria cinetica
è grandemente semplificata.
Ricordiamo che l’approssimazione di gas ideale è corretta soltanto quando.
- il libero cammino mediol delle molecole del gas
definito come
- la media statistica della distanza che intercorre tra due successive collisioni di una
particella del gas
è molto maggiore delle dimensioni del recipiente che lo contiene. l è quindi uno dei
principali parametri di riferimento che dovremo considerare per valutare la
correttezza di tale approssimazione.
La distribuzione statistica delle velocità di un gas ideale.
La distribuzione statistica delle velocità per un gas ideale è nota come
funzione di distribuzione di Maxwell-Boltzmann.
Essa, moltiplicata per l’infinitesimo dv, esprime la probabilità di avere una particella
con il modulo della velocità compreso tra v e v+dv.
Questa funzione densità di probabilità è stata ricavata esplicitamente nel corso di
Termodinamica (vedi ad esempio la trattazione riportata nel C. Mencuccini, V.
Silvestrini, parte seconda Cap. VI, par. 3 pag. 638). Ricordiamo qui che tale
trattazione è tesa a ricavare le proprietà statistiche di un sistema di particelle libere
Supporremo che le particelle siano
- indipendenti,
- distribuite uniformemente nello spazio
- in equilibrio termico
- interagiscono tra loro tramite urti elastici (assenza di dissipazioni).
A tali ipotesi è aggiunta quella d’isotropia delle proprietà del gas: in altre parole la
distribuzione statistica delle velocità delle particelle è assunta essere la stessa
qualunque sia la direzione dello spazio considerata.
L’ipotesi d’isotropia semplifica la trattazione. Poiché il vettore velocità ha
componenti (vx, vy vz) che possono variare con continuità tra –∞ e +∞, per coprire
tutto il dominio tridimensionale dei possibili valori del vettore velocità, invece
d’integrare sul volume d’elemento infinitesimo dvx dvy dvz , potremo utilizzare le
7
coordinate sferiche ed integrare sulla corona sferica infinitesima 4 p v2 dv. L’isotropia
ci garantisce che la densità di probabilità non dipende dalle variabili angolari delle
coordinate sferiche.
Inoltre la probabilità associata allo stato dinamico della particella deve dipendere
soltanto dal modulo della velocità ovvero dalla sola energia cinetica.
Consideriamo ora due particelle indipendenti d’energia cinetica E1 ed E2. Se
queste interagiscono urtandosi in modo elastico, poiché l’energia complessiva si deve
conservare, allora esisterà un nuovo stato caratterizzato da particelle d’energia E1 + X
ed E2 – X, dove X è la quantità d’energia scambiata.
Essendo il sistema all’equilibrio, gli stati prima e dopo l’urto devono essere
equiprobabili. Poiché la probabilità di avere due particelle indipendenti nello stato
iniziale caratterizzato da energie E1 ed E2, è p(E1) p(E2) ne segue che la probabilità p
deve verificare la condizione
p(E1) p(E2) = p(E1+X) p(E2-X)
Una funzione p(E) che verifica tale uguaglianza per qualunque coppia di valori
d’energia è della forma
p(E) =exp(a E) = exp[a (1/2 M v2)]
Per convincersi di ciò basta osservare che
exp(a E1) exp(a E2) = exp[a( E1+X)] exp[a( E2-X)]
Boltzmann dimostrò inoltre che tale soluzione del problema è unica, ma noi qui non
presentiamo tale dimostrazione.
La funzione densità di probabilità relativa ai moduli delle velocità dipende
quindi dalla funzione esponenziale
f(v) = A exp(a E)
Per individuare le due costanti a e A procediamo osservando che
- se integriamo su tutti i possibili valori di v la funzione f(v), dobbiamo ottenere la
certezza di individuare la particella, ovvero f(v) deve verificare la condizione di
normalizzazione
Ú
•
0
4 p f (v) v 2 dv = 1
- inoltre l’espressione esplicita di f(v) deve ricondurci al risultato (già ottenuto nel
corso di Termodinamica) che l’energia media delle particelle di un gas perfetto
monoatomico è connessa alla temperatura del gas
† 1
•
3
M Ú 0 v 2 f (v) 4 p v 2 dv = k T
2
2
Verificheremo alla fine di questo paragrafo che l’espressione di f(v) così ottenuta
consente di dedurre l’equazione di stato dei gas perfetti. Qui con il simbolo k abbiamo
indicato la costante di Boltzmann k= 1.38 10-23 J/K, T è la temperatura del gas
† kelvin e M la massa della singola particella costituente il gas (ad
espressa in gradi
esempio per l’idrogeno atomico avremo M~1.6 10-27 kg).
Se moltiplichiamo la funzione f(v) per il numero di particelle per unità di
volume del gas N otteniamo la densità di volume delle particelle dn=4pNn f(v) v2 dv
con il modulo della velocità compreso tra v e v+dv:
dn = 4 p N f(v) v2 dv = 2 N ( M3 / 2p k3 T3) 1/2 exp[-(v2/vo2) ] v2 dv
dove vo è la velocità per cui è massima la funzione v2f(v)
vo= (2k T/M)1/2
8
Questa è l’espressione della distribuzione delle velocità di Maxwell. In figura è
riportato il grafico della funzione di Maxwell-Boltzmann nel caso particolare
dell’idrogeno atomico (M=1.6 10-27 kg) per T pari a 100, 300 e 600 K.
4 1026
distribuzione della densità [m-4 s]]
3.5 1026
T= 600 K
26
3 10
2.5 1026
2 1026
T= 300 K
1.5 1026
T= 100 K
1 1026
25
5 10
0
0
1000
2000
3000
4000
5000
6000
velocità [m/s]
La velocità statistica media vm si ottiene calcolando l’integrale di non semplice
risoluzione di cui qui riportiamo soltanto il risultato finale
•
vm =
Úv
f (v) 4 pv 2 dv = (
0
2
8kT 1/ 2
)v o = (
)
pM
p
Infine il valore quadratico medio della velocità vrms è pari a
†
•
v rms =
Úv
0
2
f (v) 4 pv 2 dv = (
3kT 1/ 2
)
M
Abbiamo detto che la funzione di distribuzione di Maxwell-Boltzmann è
relativa al modulo delle velocità delle particelle. È importante anche ricordare
l’esistenza della†funzione densità di probabilità relativa alle componenti delle velocità
lungo gli assi del sistema di riferimento cartesiano (vx, vy ,vz). Per passare da f(v)
all’espressione della fx(v) è sufficiente osservare che
• • •
ÚÚÚ
-• -• -•
•
f x (v) f y (v) f z (v)dv x dv y dv z =
Ú
f (v) 4 pv 2 dv
0
Esplicitiamo allora l’espressione della probabilità infinitesima
f(v) 4p v2 dv = 2 ( M3 / 2p k3 T3) 1/2 exp[-(v2/vo2) ] v2 dv
Innanzitutto osserviamo che nell’espressione sopra riportata il fattore 4pv2dv
† il volume infinitesimo dello spazio delle velocità espresso in coordinate
rappresenta
sferiche (l’ipotesi di isotropia fa si che non vi sia una esplicita dipendenza dalle
coordinate angolari). In coordinate cartesiane il volume infinitesimo dello spazio delle
velocità è dato da (dvx dvy dvz ).
Notiamo inoltre che la funzione esponenziale dipende dal quadrato del modulo della
velocità v2=(vx2 + vx2 +vx2) e può essere riscritta come il prodotto di tre funzioni
esponenziali ciascuna dipendente da una componente del vettore velocità. Ne segue
9
allora che l’integrale in dv si può riscrivere in termini dell’integrale triplo in dvx dvy
dvz d’argomento
(1/2p) ( M3 / 2p k3 T3) 1/2 exp(-vx2/vo2 ) exp(- vx2 /vo2) exp(-vx2/vo2)
Basterà allora integrare in dvy dvz per ottenere l’espressione esplicita della fx(vx) (ed
agire in modo simile per ottenere le altre funzioni). Riportiamo qui l’espressione della
densità di particelle per la generica componente cartesiana
dni = N fi(vi) dvi = N ( M /2 p k T) 1/2 exp[-(vi2/vo2) ] dvi
con i=x, y, z.
Vediamo ora di sfruttare questa funzione di distribuzione per ricavare in modo
semplice alcune importanti relazioni.
Consideriamo l’interazione delle particelle del gas ideale con le pareti di un
recipiente che per semplicità ipotizzeremo di forma cubica. L’approssimazione di gas
ideale ci porta ad assumere che nella collisione tra le pareti del recipiente contenente
il gas e le particelle, l’urto è perfettamente elastico e che la variazione di quantità di
moto della particella sia pari a 2 M vi.
Sia hi il numero d’urti nell’unità di tempo contro un’area unitaria nella direzione i.
Essendo nota la funzione densità di probabilità fi possiamo dedurre esplicitamente hi.
Infatti, è sufficiente calcolare il numero di particelle con componente della velocità
compresa tra vi e vi+dvi contenute in un volume di sezione unitaria ed altezza pari a vi
vi d ni = vi N fi(vi) d vi
e poi integrare su tutti i possibili valori di vi
•
hi = N Ú v i f i (v i ) dv i = [N /(2 p )] (
0
2kT 1/ 2
) = (1/4)Nv m
M
Con un ragionamento analogo deduciamo ora la pressione esercitata dal gas.
Abbiamo osservato che l’impulso trasferito dalla particella alla parete in ciascun urto
†
è pari a 2Mvi e che le N molecole
per unità di volume si muovono isotropicamente in
tutte le direzioni urtando contro le 6 facce di un ideale recipiente cubico d’area
unitaria. La forza per unità di superficie esercita dal gas contro le pareti del cubo è
dedotta calcolando l’impulso totale trasferito nell’unità di tempo alla superficie
unitaria dall’insieme delle particelle:
•
p=
•
Ú (2Mv ) v
i
0
i
2
dn i = 2NM Ú v i f i (v i ) dv i
0
Dopo un laborioso sviluppo algebrico otteniamo questa semplice espressione della
pressione dipendente dal valore quadratico medio di v
†
p = 1/3 M N vrms2
avendo utilizzato l’espressione vrms = (3kT/M)1/2 dedotta dalla distribuzione dei moduli
delle velocità di Maxwell. Esplicitando la dipendenza della pressione dalla
10
temperatura tramite questa definizione di vrms, riscriviamo l’equazione precedente
nella classica forma
p =N k T
Questa è l’equazione dei gas perfetti, (N= n/V è per definizione il numero di
particelle nell’unità di volume). La formula scritta in questa forma è molto utile: in
essa è esplicitata la dipendenza da N, dalla pressione e dalla temperatura.
Osservando quest’equazione concludiamo, come d’altronde aveva già fatto
Avogadro nel 1811, che qualunque gas che occupa un volume assegnato V, a parità di
pressione e temperatura contiene un uguale numero di molecole.
Inoltre, nel caso di una miscela di gas che occupa il volume V ed è costituito da n1, n2,
…nn particelle di tipo diverso, è possibile separare il contributo di ciascun
componente della miscela alla pressione totale del gas. Ciò si ottiene definendo la
pressione parziale pk associata a ciascun costituente
pk =Nk k T
La pressione totale p della miscela è la somma di tutte le pressioni parziali
p=Sk pk= Sk Nk k T
Flusso di materia e cammino libero medio
Per analizzare e discutere le proprietà di trasporto dei gas occorre introdurre
alcuni concetti fondamentali quale il flusso F ed il cammino libero medio l delle
particelle.
Consideriamo una superficie S su cui incidono le particelle del gas. Definiamo
il flusso F incidente su tale superficie come il numero di particelle per unità di tempo
che incidono su essa. In generale definiamo il flusso del campo vettoriale di velocità
delle particelle come
r
r r
F(v ) = N Ú v ¥ n dS
S
r
r
dove v è la velocità delle particelle ed n è la normale alla superficie nel punto
generico.
† in un caso specifico. Supponiamo di
Calcoliamo il flusso delle particelle
considerare una superficie chiusa S immersa in un gas ideale a distribuzione isotropa.
†
†
Nel paragrafo precedente, tenendo conto della distribuzione statistica delle velocità e
dell’ipotesi d’isotropia, noi siamo giunti all’importante conclusione che il numero
d’urti delle particelle del gas a pressione p e temperatura T contro una superficie
unitaria disposta ortogonalmente all’i-esima direzione è
hi = (1/4) N vm = p / (2 p k T M)1/2
Poiché il flusso è il prodotto della superficie S per il numero di collisioni che
avvengono perpendicolarmente ad essa, giungiamo all’importante risultato,
originariamente derivato da Meyer, che
F= (1/4) N S vm = (2 p1/2)-1 N S (2 k T / M)1/2
11
Vediamo ore di valutare il cammino libero medio l , che abbiamo già definito
nell’introduzione come la media statistica della distanza che la generica particella
del gas percorre tra una collisione e la successiva.
Indichiamo con w il numero medio di collisioni nell’unità di tempo ed
osserviamo nel tempo dt come cambia il numero di particelle n che viaggiano tutte
lungo la stessa direzione. Per effetto di wdt collisioni il numero delle particelle si
riduce di una quantità |dn| proporzionale al numero di collisioni stesse ed al numero di
particelle viaggianti n
-dn = n wdt
Questa è una semplice equazione ai differenziali che possiamo integrare per
separazione di variabile, ottenendo l’andamento del numero di particelle che nel
tempo t non hanno subito urti:
n=no exp(-wt) = no exp(-wl/v’) = no exp(-l/l)
dove l è lo spazio percorso in assenza di collisione, connesso al tempo t dalla
semplice espressione l=v’ t.
Volendo dare un’interpretazione probabilistica (in senso “frequentista” ) al rapporto
n/no, diremo che il prodotto
A exp(-l/l)) dl
rappresenta la probabilità di percorrere un tratto dl in assenza di collisioni.
La costante A è esplicitabile imponendo la condizione di normalizzazione della
probabilità
•
A
Ú exp(-l / l)dl = 1
o
Calcolando l’integrale, deduciamo A= 1/ l.
La funzione densità di probabilità del percorso privo di collisioni l è quindi una
distribuzione esponenziale. Il suo valor medio è il parametro l,
il cammino libero medio †
delle particelle. A puro titolo di verifica si può applicare la
definizione di valore medio statistico e si ottiene:
1 •
Ú lexp(-l / l)dl = l
l o
Vediamo ora però di correlare l ai parametri microscopici (massa, diametro
molecolare…..) e macroscopici (temperatura, pressione...) del sistema gassoso. A
questo scopo riferiamoci al modello di gas ideale costituitoda particelle sferiche
perfettamente elastiche. †
Sia D il diametro della particella in movimento. Dovrebbe essere evidente che
i centri di due particelle sferiche non possono trovarsi ad una distanza inferiore a D
senza collidere. Allora tracciamo idealmente nell’unità di tempo un volume di
collisione rappresentato da un cilindro avente come base un cerchio di diametro 2D ed
altezza pari alla velocità media delle particelle vm (spazio percorso in media da una
particella nell’unità di tempo).
12
nm
2D
Il numero di particelle che cadono in questo volume, rappresenta il numero di
collisioni che avvengono in media nell’unità di tempo: esso è pari a (N vm p D2), e
poiché vm è la distanza media percorsa nell’unità di tempo, allora
l = (N p D2)-1
è la distanza percorsa in media dalle particelle tra due collisioni successive.
Il suo inverso rappresenta il numero di collisioni. Notiamo che il cammino libero
medio dipende quadraticamente dall’inverso del diametro molecolare D.
In realtà questa è una valutazione rozza di l , valida in condizioni d’assoluta
stazionarietà, supponendo in altre parole che la distribuzione delle molecole del tubo
non cambi, o più precisamente che il flusso di molecole entranti ed uscenti dal
cilindro sopra considerato non cambi. Inoltre non si tiene propriamente conto della
distribuzione statistica delle velocità. Uno studio più approfondito riduce
l’espressione data per l di un fattore numerico pari 21/2
l = ( 21/2 N p D2)-1
Tale fattore numerico è diverso se invece di avere molecole con velocità distribuita
casualmente, si hanno particelle tutte con la stessa velocità. Questo è il tipico modello
applicato al caso di un fluido che scorre in un condotto. In tal caso si ha:
l = 3 / (4 N p D2)
Si noti che tali espressioni variano tra loro per fattori numerici che non
alterano l’ordine di grandezza di l e la sua dipendenza esplicita dai parametri N e D .
Poichè nel paragrafo precedente abbiamo dimostrato come N possa essere espresso in
termini delle grandezza macroscopiche p e T
N=p/kT
sostituiamo allora N nelle precedenti relazioni ed osserviamo che il cammino libero
medio decresce linearmente con la pressione e cresce con la temperatura
l = ( 21/2p D2)-1 (kT / p)
Nel caso di una miscela di gas definiamo per ciascun componente un cammino
libero medio che dipende, ad esempio per una miscela a due componenti,
dall’interazione della particella di tipo “1 “ con i membri della sua specie e
dall’interazione del tipo “2” con l’altra specie:
13
-1
È
˘
M
p
l12 = Í(1+ 1 )1/ 2 N 2 (D1 + D2 ) 2 ˙
M2
4
Î
˚
Per una miscela con molti componenti si pu"ò dimostrare che l’inverso del cammino
libero medio totale di una componente è ottenibile sommando gli inversi dei singoli
† rispetto alle altre specie di gas
cammini liberi medi
1
1
=Â
l1t
i l1i
Riportiamo in Tabella i valori dei parametri molecolari per alcuni gas. Da questi dati è
possibile quindi dedurre il prodotto della pressione p per il cammino libero medio l .
†
Tipo
di
Molecola
H2 - Idrogeno
He - Elio
H2O - Acqua
N2 - Azoto
O2 - Ossigeno
Ar - Argon
Peso Molecolare
2.106
4.002
18.02
28.02
32.00
39.94
Diametro
(nm)
0.27
0.22
0.46
0.38
0.36
0.40
D
vm (m/s)
T= 300 K
1706
1255
592
475
443
397
l p (m Pa)
T= 300 K
1.23 10-2
1.96 10-2
4.40 10-3
6.66 10-3
7.20 10-3
7.07 10-3
L’aria è una miscela in cui sono preponderanti l’azoto e l’ossigeno. Per essa avremo
T= 300 K vm ~ 468 m/s
‡
l p ~ 7 10-3 m Pa.
Notiamo che per pressioni più basse di 10-3 - 10-2 Pa, valori per ottenere i quali è
necessario produrre il vuoto, il cammino libero medio è superiore al metro: esso è
quindi maggiore o uguale alle tipiche dimensioni di un recipiente da laboratorio. In
tali condizioni l’interazione tra particelle diviene rara e meno probabile delle
collisioni tra particelle e pareti del recipiente
Viscosità, conducibilità termica e diffusione di un fluido
Nel trattare i problemi di trasporto dei fluidi non è possibile trascurare i
fenomeni dissipativi che accompagnano il moto. Dobbiamo quindi introdurre nel
semplice modello cinetico di gas sinora considerato anche gli effetti d’attrito tra i vari
strati di gas e tra quest’ultimi e le pareti del condotto lungo cui avviene il moto del
fluido.
La viscosità
Ogni strato di fluido che si muove lungo un condotto esercita sullo strato
adiacente una forza tangente allo strato adiacente. Questa forza tende a decrescere la
velocità dello strato che si muove più velocemente e tende ad aumentare quella dello
strato che si muove più lentamente. Concentriamo la nostra attenzione su una
14
qualunque sezione del condotto e notiamo che la velocità di trascinamento del fluido
u cambia in modulo lungo tale sezione. Esiste quindi un gradiente di tale velocità
lungo la direzione trasversa del condotto. Noi supporremo, come fece Newton, che
questa forza riferita all’unità di superficie dello strato sia proporzionale a tale
gradiente trasversale du/dr
Ft= - h du/dr
dove h è il coefficiente di viscosità che in genere si misura in Poise (gr cm-1 s-1 ) unità
del sistema c.g.s. Si noti che Ft è più propriamente uno sforzo di taglio perchè si
tratta del rapporto tra la forza e la superficie tangente alla forza.
Proviamo ora ad estendere il nostro modello cinetico di fluido al fine di
correlare il parametro macroscopico h al cammino libero medio l. Consideriamo un
fluido che si muove lungo un condotto con velocità di trascinamento u. In altre parole
u si somma vettorialmente alla velocità v dovuta al moto casuale d’agitazione termica
delle particelle del gas. Il vettore u è costante in direzione e verso, ma cambia in
modulo da un punto all’alto di una sezione del condotto. Supponiamo di dividere
idealmente il fluido in tanti strati paralleli alla direzione di u il cui spessore è pari al
cammino libero medio l.
Facciamo riferimento alla figura. Le molecole che provengono dalla superficie AB ed
arrivano a CD, in prima approssimazione non subiscono urti, avendo lo strato una
dimensione caratteristica pari al cammino libero medio delle particelle. Ciò è vero
anche per quelle particelle che arrivano a CD partendo da EF.
Tuttavia, per effetto della viscosità alle molecole dei due strati adiacenti
compete in media una diversa quantità di moto. Ad esempio la molecola proveniente
da AB ha una quantità di moto pari a [ M (u+v)], mentre quella proveniente da EF
che viaggia in senso opposto ha [-M (u+v + 2 l du/dr)].
Osserviamo allora che la variazione di quantità di moto nel passaggio da uno strato
all’altro di una molecola è
-2 M l du/dr
Per dedurre lo sforzo viscoso dobbiamo considerare quante molecole, provenienti da
una delle due superfici (AB o EF), incidono in media nell’unità di tempo sulla
superficie CD che assumeremo d’estensione unitaria.
Supponendo che la velocità di trascinamento del fluido u sia piccola rispetto alla
velocità termica delle molecole v, e che sia quindi piccola la perturbazione allo stato
d’isotropia del moto casuale del fluido, noi possiamo valutare il numero
d’attraversamenti per unità di tempo per unità di superficie considerando che lungo
una direzione si muovono in media 1/3 N vm particelle contenute nel volume unitario
attraversato nell’unità di tempo. Quindi, se selezioniamo un verso di percorrenza della
direzione scelta, avremo
15
1/6 N vm
Concludiamo che
Ft= -h du/dr =- (1/6 N vm) (2 M l du/dr)
la viscosità h è pari a
h = 1/3 N M vml
Utilizzando le espressioni esplicite di l =( 21/2 N p D2)-1 e di v m = (8 k T / p M)1/2
otteniamo
h=
2 1
3 p D2
M kT
p
Concludiamo che h è indipendente dalla pressione del gas e cresce con la radice
quadrata della temperatura. In effetti, l’andamento linearmente crescente della densità
di particelle N con la †
pressione è esattamente compensata dalla dipendenza lineare
inversa di l da p.
La formula della viscosità che abbiamo ricavato ci suggerisce anche che da misure
macroscopiche di h a temperatura controllata è possibile ricavare il parametro
microscopico D (il diametro molecolare).
Un modello più completo dal punto di vista statistico fu sviluppato dallo
stesso Boltzmann nel 1881 che ricavò per la viscosità la relazione
h = 0,3502 N M vml
che differisce dalla quella da noi ricavata soltanto per il fattore numerico senza
alterare la dipendenza sia dai parametri macroscopici che da quelli microscopici del
fluido.
Infine ricordiamo che O. E. Meyer nel suo testo ‘Kinetic Theory of Gases” usa un
differente metodo cinetico di calcolo giungendo ad un’analoga relazione che qui
riportiamo
h = 0,3097 N M vml
La conducibilità termica
Con un ragionamento analogo a quello sviluppato per la viscosità possiamo dedurre
sulla base del modello cinetico la dipendenza della conducibilità termica di un gas dai
suoi parametri macro e micro-scopici.
Di nuovo consideriamo un gas che, in condizioni stazionarie, è sottoposto ad un
gradiente termico spaziale. Supponiamo per semplicità che tale gradiente è unidimensionale. Allora immaginiamo il gas diviso in tanti strati di spessore l a
ciascuno dei quali è associata una differente temperatura. Ne segue che è diversa da
zero la derivata della temperatura lungo la direzione perpendicolare al piano degli
strati.
16
Le molecole che partono da EF e traversano CD avranno un’energia cinetica media
più bassa di quella associata alle particelle che viaggiano da AB verso CD. La
differenza d’energia trasportata nell’unità di tempo attraverso CD è quindi pari al
salto di temperatura
(2 l dT/dz)
moltiplicato per la capacità termica associata alle particelle che attraversano la
superficie (assunta unitaria) nell’unità di tempo
(M cv) (1/6 N vm)
Diremo allora che il fluido trasmette attraverso la superficie S una potenza calorica
dQ/dt pari a
(1/S) dQ/dt = K dT/dz
dove la conducibilità termica del fluido K è pari a
K = 1/3 M N vm l cv
Ricordando l’espressione ottenuta in precedenza per la viscosità, h = 1/3 N M l vm
concludiamo che
K= h cv
Si noti che in questa trattazione abbiamo fatto uso di risultati basati sull’ipotesi di
trattare un sistema all’equilibrio termico. Questo è in contrasto con l’esistenza di
punti nel sistema a diversa temperatura, condizione che abbiamo dovuto
necessariamente imporre per ricavare la potenza calorica trasmessa. Questo calcolo ci
consente ricavare la dipendenza di K dalle grandezze micro e macroscopiche del
sistema, ma è lungi da essere una trattazione rigorosa.
In generale si deduce che
K= e h cv
dove e è un coefficiente che dipende dal fluido considerato. Si noti che in questo
regime viscoso K è indipendente dalla pressione del gas.
In regime di flusso molecolare, la viscosità non gioca più alcun ruolo e
l’interazione dominante è la collisione delle particelle con le pareti del recipiente. In
Le molecole, collidendo con pareti a temperatura diversa, trasportano il calore da un
punto all’altro del recipiente. Ne segue che la conducibilità aumenta al crescere del
numero di molecole presenti in quel contenitore e quindi dipende dalla pressione p del
gas. Nel paragrafo sui vacuometri a conducibilità termica, nella parte dedicata agli
strumenti di misura di pressione, discuteremo più in dettaglio questo punto.
17
La diffusione
In presenza di un gradiente spaziale stazionario di densità del gas, le particelle
tenderanno a migrare dalla zona a maggiore verso quella a minore densità. Tale
fenomeno di migrazione è indicato con il termine d’auto-diffusione.
Supponiamo allora di studiare il caso semplice in cui Ë diversa da zero la derivata
della densità delle particelle lungo un’asse ad esempio z, quindi dN/dz ≠ 0.
Il numero di molecole che attraversano nell’unità di tempo la superficie infinitesima
dx dy perpendicolare all’asse z è espressa dalla relazione.
dN
†
dn = -d
dxdy
dz
dove d è il coefficiente d’auto-diffusione che si misura in m2/s.
†
Ricaviamo ora d utilizzando il modello cinetico di gas e ragionando in modo del tutto
analogo ai casi trattati per la conducibilità termica e la viscosità.
Dal punto di vista statistico, in condizioni stazionarie vi è una preponderanza di
particelle che transitano attraverso la superficie CD dall’alto verso il basso rispetto al
viceversa. Andando da EF a CD il numero di particelle che transitano è
1/6 N vm
mentre da AB a CD abbiamo
-1/6 (N +2l dN/dz) vm
Avremo quindi che il flusso netto di particelle è
dn = -d
dN
1
dN
dxdy = - v m l
dz
3
dz
Per cui, ricordando che h= (1/3) N vm l M deduciamo che
†
1
h
d = lv m =
3
MN
ovvero, poiché vm=(8 k T/p M)1/2, l = ( 21/2 N p D2)-1 e N=p/kT
†
d=
41 1
3 p p D2
(kT) 3
p M
Concludiamo che la diffusione è inversamente proporzionale alla pressione p e cresce
con la temperatura T. †
18
In conclusione abbiamo ricavato le tre grandezze macroscopiche
h = (1/3) N vm l M
K= (1/3) N vm l M cv
d= (1/3) vm l
che indicano come da misure di conducibilità termica, viscosità e diffusione sia
possibile dedurre parametri microscopici quali il cammino libero medio l, che
caratterizzano il comportamento cinetico del gas.
Il trasporto di un fluido
Nei sistemi in cui si pratica il vuoto, tipicamente s’instaura una condizione di
regime dinamico in cui da un lato vi è continua immissione di gas dovuto
all’esistenza di microperdite nel recipiente e/o dal distacco di molecole dalle pareti
(fenomeno di degasaggio) e dall’altro un’evacuazione continua da parte delle pompe
da vuoto connesse al recipiente.
Questo stato stazionario è descritto utilizzando due quantità:
- la portata volumetrica S misurata in (m3 s-1), detta anche velocità di
pompaggio
S = dV/dt
che rappresenta il volume di materia che attraversa una superficie nell’unità di tempo
- la portata Q, misurata in (m3 Pa s-1 ) ed espressa dalla relazione
Q = d (p V) / dt
Essa è direttamente connessa con il flusso di materia nel recipiente a pressione p.
Infatti, ricordando che p=N k T ed in condizioni di isotermia del sistema, si ha
Q = d (NkT V) /dt = kT d(NV/dt) = kT dn/dt
dove dn/dt rappresenta il numero di molecole che attraversano la superficie nell’unità
di tempo. Quindi, poiché kT è l’energia associata alle particelle, la portata Q, indicato
in inglese con il termine “Gas Throughput”, dà una misura della potenza associata al
processo di trasporto, ovvero al moto di trascinamento delle molecole del gas. Si
noti che l’unità di misura del sistema MKS (Pa m3 s –1) coincide con il Watt.
Consideriamo stati stazionari del gas nel sistema da vuoto. Per definizione la
condizione di stazionarietà di un fluido implica che il flusso totale attraverso una
qualunque superficie chiusa SC che racchiude il gas sia nullo
r
FT (Nv ) = N
r
r
Ú v ¥ n dS = 0
Sc
ovvero considerando un tubo di flusso lungo la parete laterale del quale non si ha
trasporto di materia, deve accadere che il flusso di materia entrante da una base del
tubo è pari a quello†uscente dall’altra base.
19
S1
Slaterale
S2
S1 + S2 + Slaterale = SC
Ne consegue che il numero di particelle che attraversano nell’unità di tempo una
qualunque sezione di un tubo di flusso, è costante ed indipendente dall’estensione
della sezione considerata
dn/dt = costante
Se l’impianto da vuoto è a temperatura uniforme ed indipendente dal tempo, allora la
portata Q è costante in tutto l’impianto
Q = kT dn/dt = costante
Supponiamo di avere un condotto che collega due recipienti alle pressioni p1 e
p2 rispettivamente. In condizioni stazionarie osserveremo che il trasporto delle
molecole del fluido avviene dalla zona a pressione più alta a quella a pressione più
bassa.
Regimi di trasporto e relazioni che esprimono la portata Q in funzione del
salto di pressione
In generale il regime di trasporto è classificato in tre diverse classi sulla base
del valore del rapporto tra il cammino libero medio delle particelle e la dimensione
lineare caratteristica del recipiente: ad esempio per un condotto a sezione cilindrica si
confronterà l con il raggio a del condotto.
Questo rapporto è denominato numero di Knudsen
Kn = l / a
La classificazione dei vari regimi è la seguente:
-
Kn < 0.01 regime viscoso
Kn > 1.0 regime di flusso molecolare
0.1<Kn<1.0 regime intermedio o regime di transizione
20
Il regime viscoso
A pressioni sufficientemente elevate il meccanismo d’interazione dominante è
dato dalle collisioni con le altre molecole: in tal caso si ha il regime di flusso viscoso,
e la viscosità del fluido h gioca un ruolo dominante. Tale regime prevale
principalmente nella regione del basso vuoto. La difficoltà di modellare
matematicamente il problema del trasporto in queste condizioni cresce in presenza di
vortici nel flusso di materia (regime viscoso turbolento).
La quantità caratteristica che distingue il regime turbolento dal laminare, è il
numero di Reynolds Re
Re = vm r d / h
dove r è la densità del fluido e d il diametro del tubo cilindrico. Generalmente si ha
che per Re >2200 il regime è turbolento, altrimenti le condizioni di flusso sono
laminari (Re <2200).
In assenza di vortici, vale a dire in condizioni di regime viscoso laminare,
quando il profilo dei vettori velocità delle particelle avanzanti in un tubo cilindrico è
parabolico, allora il problema del trasporto è trattato sulla base della legge di
Poiseuille. Questa legge è ricavata in molti testi di Fisica Generale e Meccanica dei
fluidi, quindi qui riportiamo solo la relazione che esprime la portata Q:
Q= (pa4/8hL)Pm (p2 –p1)
a è il raggio del condotto di lunghezza L tra i cui estremi è misurato il salto di
pressione (p2 –p1).
Pm =(p1+p2)/2 è la pressione media nel condotto e
h la viscosità del fluido.
Concludiamo quindi che in condizioni di flusso viscoso laminare il coefficiente che
connette il salto di pressione (p2 – p1) alla portata Q è una funzione della pressione
nel condotto Pm.
Il regime di flusso molecolare.
A bassi valori di pressione, dove il cammino libero medio è più grande delle
dimensioni del condotto a ( regime molecolare Kn >1) le collisioni delle molecole con
le pareti sono assolutamente prevalenti di quelle tra molecola e molecola. Alla luce
della trattazione riportata nel paragrafo precedente, relativa all’interpretazione
cinematica della viscosità dei gas, è possibile intuire come quest’ultima quantità non
giochi più un ruolo fondamentale nel trasporto del gas.
Infatti, in queste condizioni Knudsen ha dimostrato che la portata Q dipende dalla
geometria del condotto e dalla differenza di pressione p2 – p1
21
Q = C ( p2 – p1 )
Il coefficiente C prende il nome di conduttanza: essa dipende soltanto dalla
geometria del condotto e dalla natura del gas che lo attraversa e ha le stesse
dimensioni della portata volumetrica S (m3/s). L’inverso della conduttanza Z=C-1 è
denominato impedenza del condotto. Tale legge è verificata in regime di flusso
molecolare ed è nota come la legge di Ohm della fluidodinamica per la somiglianza
formale con la legge che lega la differenza di potenziale applicata ai capi di una
resistenza elettrica e la corrente che vi scorre. Riassumiamo in tabella l’equivalenza
tra grandezze elettriche e grandezze della fluidodinamica.
Differenza di pressione agli estremi di un condotto ‡ differenza
di potenziale ai poli di R
Portata ‡ corrente elettrica
Conduttanza ‡ inverso della resistenza elettrica
Dp ‡ DV
Q‡ I
C ‡ 1/R
Discutiamo in dettaglio le ragioni che portaro Knudsen a tale conclusione. La
dimostrazione della legge di Ohm della fluidodinamica è basata sull’ipotesi che il
processo d’urto contro le pareti del recipiente sia governato dal caso. Nell’interazione
molecole-superficie in pratica tutto va come se le particelle fossero adsorbite e
riemesse in una direzione casuale rispetto a quella di provenienza. Riassumiamo
allora le ipotesi statistiche formulate da Knudsen:
- la velocità delle molecole del gas rarefatto sia distribuita secondo la legge di
Maxwell-Boltzmann
- la direzione della particella dopo l’urto contro le pareti del recipiente sia
indipendente dalla direzione di incidenza
- in particolare egli ipotizza che la probabilità che una molecola dopo l’urto
lasci la superficie muovendosi in una delle direzioni contenute in un cono di
ampiezza q, è espressa da una legge del tipo dP =C sin q dq.
Le molecole che fluiscono nel tubo sono tutte sottoposte ad un moto di trascinamento
che avviene con velocità vT. A questo moto è sovrapposto il moto casuale
d’agitazione termica. Consideriamo allora gli urti delle molecole contro un’area
unitaria della parete del tubo. Se in ogni urto la direzione delle molecole diviene
casuale, allora a ciò è associato un trasferimento d’impulso dal fluido (in moto di
trascinamento) alla parete del tubo.
Il numero delle molecole che, a causa dell’agitazione termica, in media nell’unità di
tempo urtano contro la parete d’area unitaria, è 1/4 N vm .
Allora per valutare l’impulso perso in media dal fluido (DQ) a causa delle collisioni
contro la parete del tubo, è necessario moltiplicare
- il numero di collisioni nell’unità di tempo (1/4 N vm )
- per la superficie laterale del tubo che, se il tubo è cilindrico, è pari a 2 p R L
- per la velocità di trascinamento del fluido (vT)
- per la massa della singola molecola (M)
DQ = 1/2 M N p R L vT vm
22
Questa variazione d’impulso è pari alla differenza delle forze di pressione fluido
esercitata contro le sezioni iniziali e finali del tubo lungo L :
DQ = p R2 (p1 – p2) = 1/2 M N p R L vT vm
Poiché il numero di particelle che passano nell’unità di tempo nel tubo è
dn/dt= N p R2 L vT
la precedente relazione può essere riscritta nella forma
p R3 (p1 – p2) = 1/2 M dn/dt L vm
dn/dt è esprimibile in termini della portata Q
Q =k T dn/dt
e ricordando che
KT = (p M/8) vm2
deduciamo l’espressione che lega Q al salto di pressione (p2 – p1)
Q = (p R3 /16 L) vm (p2 – p1)
Calcolo di alcune conduttanze
Il regime molecolare è dominante nei sistemi a vuoto medio-alto ed ultra
alto; in queste condizioni quindi la conduttanza è una quantità indipendente dalla
pressione ed è deducibile in modo esplicito nel caso di geometrie del condotto
relativamente semplici.
Riportiamo qui l’esempio più semplice di calcolo di conduttanza, ovvero il caso di un
recipiente separato in due scomparti da una parete sottile nella quale è praticato un
foro d’area A.
Sull’area A provenienti dai due scomparti incidono rispettivamente
dn1 /dt = 1/4 N1 vm A
dn2 /dt = 1/4 N2 vm A
A
p1
p2
Il flusso netto è allora
dn/dt = 1/4 (N2 - N1 )vm A
23
Poichè il numero di particelle nell’unità di tempo che attraversa l’area A è
direttamente connesso con la portata Q dalla relazione già citata,
dn/dt = Q / k T
e ricordano al solito che NkT =p, avremo allora
Q= 1/4 (p2 - p1 ) vm A
Quindi la conduttanza C in questo caso è
C= 1/4 vm A
Per geometrie più complesse il calcolo di C è certamente più complicato. Per
un tubo lungo di lunghezza L a sezione variabile Knudsen ha dedotto la seguente
relazione per la conduttanza C:
C=
4
vm
3
L
Ú
0
1
h(x)
dx
S 2 (x)
dove S ed h sono rispettivamente la sezione ed il perimetro della conduttura nel
punto x .
Nel seguito riportiamo
alcune relazioni a condotti di forma comune. Si abbia ad
†
esempio
a) un condotto di sezione costante A e lunghezza L. Sia h il perimetro di tale sezione
A (ad esempio per un tubo cilindrico di raggio R si ha A= p R2, h=2 p R )
Ctubo a sezione costante = [1/4 vm A] [ 1+ (3 L h)/(16 A)]-1
b) un condotto a forma di tronco di cono di lunghezza L, avente le basi circolari di
raggi R1 e R2
Ctronco di cono = [4 p R1 2 R2
2
vm] [ 3 L ( R1 + R2 ) )]-1
In generale nei sistemi da vuoto vi è un susseguirsi di elementi di connessione,
ciascuno con la sua conduttanza caratteristica. In regime di flusso molecolare le
conduttanze di tali elementi, se posti uno di seguito all’altro (elementi in serie), sono
C1 C2 C3
p1
p2
24
equivalenti a considerare un’unica conduttanza tale che
Ceq-1 = C1-1+ C2-1+………+ Cn-1
Questa relazione ha senso fisico soltanto quando ciascuno degli elementi in serie
determina una significativa perturbazione alla traiettoria delle particelle del fluido.
Consideriamo il caso di due aperture identiche, praticate in pareti sottili l’una molto
vicino all’altra rispetto alle dimensioni del recipiente; in questo caso la conduttanza
totale è quella dell’apertura singola.
A1
A2
p1
p2
A1 = A2
Ceq ~ C1 ~ C2
Se poi si connettono due recipienti con due o più condotti posti l’uno in
“parallelo” all’altro, abbiamo
C1
p1
p2
C2
Ceq = C1 + C2 +……….+ Cn
Gli effetti di superficie: adsorbimento, condensazione, assorbimento e rilascio
La quantità di gas rilasciata dalle pareti può determinare la pressione finale di
lavoro a partire da condizioni di vuoto medio. Ad esempio, supponiamo di avere una
camera mantenuta sotto vuoto a 10-4 Pa da una pompa: questo significa avere una
densità di molecole allo stato gassoso di 3 1016 molecole/m3. Un monostrato di
molecole depositato sulla parete della camera contiene circa 5 1018 molecole/m2.
In genere il rapporto superficie/volume di un impianto da vuoto può variare da 10-3 m1
ad 1 m-1; se supponiamo di avere un rapporto unitario, possiamo notare come il
distacco di un centesimo delle molecole distribuite su 1 m2 di superficie avvenuto
25
nell’unità di tempo, può portare al raddoppio della pressione nella camera o meglio ad
un rilascio pari al doppio della portata della pompa.
Non ci sorprende allora che a questi valori di pressione il pompaggio delle camere
subisce un rallentamento in virtù delle molecole rilasciate dalle pareti e che
quest’ultimo fenomeno limiti poi la pressione finale.
Tra tutte le molecole che urtano la superficie di una camera da vuoto solo una
frazione vi aderisce concorrendo a formare un monostrato di ricopertura. Diremo
allora che le molecole che vi aderiscono sono adsorbite. In generale non tutta la
superficie è soggetta all’adsorbimento. S’introduce quindi un parametro q, il “grado
di ricopertura”, che rappresenta la frazione di superficie ricoperta.
Nel caso d’adsorbimento le molecole del gas sono intrappolate in una buca di
potenziale prodotta da molecole di natura diversa (quelle della parete). Le molecole
del gas possono legarsi poi debolmente con le molecole della stessa specie già
adsorbite, creando altri strati depositati sulla parete: parleremo in tal caso di fenomeno
di condensazione. In pratica si ha un cambiamento di fase dallo stato gassoso al
liquido o solido ed ovviamente in tale processo gioca un ruolo fondamentale la
temperatura della superficie.
Infine, se le molecole del gas diffondono all’interno della matrice cristallina
della parete o penetrano nelle sue porosità a tal punto da essere occluse, allora
parleremo di fenomeno di absorbimento (o più semplicemente assorbimento). La
quantità di gas che può essere assorbita da una parete dipende dal coefficiente di
solubilità e dalla costante di diffusione del gas nel solido. In realtà pochi gas
diffondono significativamente nei materiali solidi, fatta eccezione per l’idrogeno e
l’elio.
Torniamo ora a discutere in maggior dettaglio dell’adsorbimento.
Le molecole allo stato gassoso che si avvicinano alla parete del recipiente a
vuoto dell’impianto, possono essere attratte o respinte secondo la distanza r a cui si
trovano. La molecola che aderisce alla superficie si trova in uno stato corrispondente
al minimo d’energia potenziale. Possiamo classificare il processo d’adsorbimento
sulla base del valore di distanza a cui cade questo minimo:
- adsorbimento chimico rmin= 0.1–0.3 nm
- adsorbimento fisico rmin= 0.4 nm
Inoltre, se facciamo riferimento al grafico dell’energia potenziale U della molecola
nei due casi, notiamo che, nel caso di adsorbimento chimico, il minimo corrisponde a
valori di energia potenziale sensibilmente più bassi.
U
Adsorbimento chimico
Adsorbimento fisico
r
26
Nel caso d’adsorbimento chimico (chemisorzione) l’adesione della molecola
alla parete è il frutto della formazione di un legame chimico che implica quindi la
messa in comune degli elettroni di valenza dei costituenti del gas e della parete. Tale
processo è selettivo, nel senso che dipende fortemente dalla natura del gas e delle
pareti con cui interagisce. Inoltre l’adsorbimento chimico è responsabile della
formazione di uno strato monomolecolare soltanto, poiché esso può aver luogo sino a
che vi siano legami di valenza disponibili. È per questo motivo che lo stato legato è
caratterizzato da una buca di potenziale più profonda rispetto al caso
dell’adsorbimento fisico (fisisorzione).
La chemisorzione è spesso accompagnata da rotture di legami chimici con
conseguente dissociazione molecolare: a tale processo è associata un’energia
d’attivazione Ea. La forma del legame chimico che s’instaura dipende dalla struttura
dell’elemento adsorbente e da quello adsorbito e dalla disponibilità di siti
d’assorbimento. A titolo d’esempio riportiamo in figura varie possibili forme
d’adsorbimento chimico nel caso di una molecola di CO sul reticolo metallico M.
O
||
C
||
-M-M-M-Ma)
C O
|| ||
-M-M-M-Mb)
C=O
| |
-M-M-M-Mc)
O
||
C
/\
-M-M-M-Md)
Nel primo caso da sinistra a) la molecola di CO occupa un sito d’adsorbimento, negli
altri casi due siti. Nel caso b) abbiamo poi un esempio di dissociazione molecolare.
L’ adsorbimento fisico (detto anche di Van der Waals) è determinato dall’azione
di forze d’interazione più deboli quali
a) interazioni tra i dipoli elettrici permanenti delle molecole adsorbite,
b) forze di polarizzazione, legate alla distorsione della distribuzione di carica
nelle molecole adsorbite
c) forze repulsive a corto raggio: esse nascono quando si ha compenetrazione
delle nuvole elettroniche degli atomi interagenti. Per questo sono repulsive ed
hanno un ruolo rilevante solo a corta distanza
d) forze di dispersione che traggono origine dai momenti elettrici indotti dalle
nuvole elettroniche delle molecole o degli ioni adiacenti in movimento.
Le forze del tipo c) e d) sono sempre presenti. Alle forze di dispersione è associata
un’energia potenziale che, secondo il modello di London, ha un andamento con la
distanza del tipo
UA= - c / r6
dove c è una costante che dipende dalle proprietà fisiche degli atomi, quali la loro
polarizzabilità.
Le forze repulsive a corto raggio sono rappresentate dalla relazione empirica
UC= b / r12
27
dove b è una costante caratteristica del sistema interagente.
Sommando Uc e U A otteniamo la funzione potenziale complessiva che rende conto
dell’esistenza di un valor minimo Uo in corrispondenza della distanza ro. In generale
la funzione potenziale viene riscritta nella forma nota come potenziale di LenardJones
UC=Uo [ ( ro / r)12 - 2 ( ro / r)6]
L’esistenza di questo minimo nel potenziale implica che gli atomi (o molecole)
adsorbiti perdono il grado di libertà traslazionale verticale alla superficie, ma in linea
di principio possono ancora traslare parallelamente ad essa. Il loro insieme è quindi
modellabile come un gas bidimensionale. In realtà questo è vero se il gas adsorbito ha
ancora sufficiente energia termica da poter scorrere lungo la parete adsorbente. A
bassa temperatura questo non è più vero e quindi gli atomi (o molecole) mantengono
solo i gradi di libertà vibrazionali, in altre parole oscillano attorno ai loro rispettivi siti
d’adsorbimento.
Queste considerazioni ci portano a concludere che l’adsorbimento (sia chimico
che fisico) comporta una riduzione dei gradi di libertà delle particelle del gas. Questo
implica da un punto di vista macroscopico, che a parità di temperatura si ha una
variazione negativa dell’entropia S. Se ne deduce che l’adsorbimento è accompagnato
da una variazione negativa d’entalpia DH (DH rappresenta il calore scambiato dal gas
con la parete). Ciò significa che quando una molecola passa dalla fase gassosa a
quella adsorbita viene liberato calore. In altre parole il processo d’adsorbimento è
esotermico. Il fenomeno opposto, ovvero il rilascio di molecole dalle pareti, detto
desorbimento o rilascio, avviene con assorbimento di calore da parte del gas.
La probabilità d’adsorbimento pa è esprimibile dal rapporto
pa = (ua /N’)
dove ua è il numero di molecole adsorbite nell’unità di tempo, N’ è il numero d’urti
nell’unita di tempo contro la parete
N’ = p / (2 p M k T )1/2,
Il valore della probabilità è molto diverso se si considera il caso d’adsorbimento fisico
a bassa temperatura dove si ha p a ~ 1, o d’adsorbimento chimico dove possiamo
avere valori anche molto minori dell’unità nel caso in cui ci sia già un’accentuata
ricopertura delle pareti con conseguente saturazione dei siti d’adsorbimento. In questo
caso la probabilità è una complessa funzione del parametro di ricopertura q e dipende
dall’eventuale energia d’attivazione E a necessaria alla formazione dei nuovi legami
chimici. Essa è esprimibile in termini delle grandezze fisiche sinora introdotte nella
forma
pa = fa(q) exp(-Ea / R T)
dove con R= 8.3146 J K-1 mole-1 abbiamo indicato la costante di Reydelberg dei gas.
fa( q ) assume forme diverse a seconda della mobilità dell’adsorbato e del tipo
d’adsorbimento. I vari modelli d’adsorbimento sono basati su ipotesi concernenti la
28
struttura analitica di questa funzione. Sulla base di queste ipotesi su fa(q) si calcola
l’andamento velocità d’adsorbimento ua,
ua = [ p / (2 p M k T)1/2] fa(q) exp(-Ea /RT)
essendo tale quantità direttamente confrontabile con i dati sperimentali.
Le molecole o gli atomi adsorbiti possono ritornare nella fase gassosa. Esiste quindi
un tempo t di permanenza caratteristico dell’adsorbato sulla superficie. Esso è legato
al calore liberato nel processo e viene espresso tramite l’equazione di Frenkel
t = to exp(-DHa /R T)
to è il periodo d’oscillazione caratteristica dell’atomo (o molecola) attorno al sito
d’adsorbimento (in pratica si assume pari al tempo di vibrazione caratteristico
dell’atomo adsorbente, 10-14 – 10-12 s). t dipende esponenzialmente da D Ha, quindi
variazioni di un ordine di grandezza nell’entalpia si riflettono in cambiamenti enormi
nel tempo di permanenza dell’atomo nel sito d’adsorbimento. Ad esempio a T=298
K, assumendo to ~10-13 s, i t ottenuti nel caso in cui si ha DHa 1 = -4.19 102 J/mole e
DHa 2 = -1.25 105 J/mole è
t1 ~ 10-13 s
t2 ~ 109 s ~ 100 anni
I siti di adsorbimento che diventano liberi sono poi disponibili ad accogliere nuove
particelle del gas. In condizioni stazionarie s’instaura un equilibrio dinamico tra
particelle adsorbite e quelle rilasciate che determina la pressione limite raggiunta
nell’impianto a vuoto.
Il rilascio o desorbimento è caratterizzato da un’energia d’attivazione Ed data
da
Ed=-DHa+ Ea
dove E a è l’energia d’attivazione della chemisorzione. Il tempo di permanenza
dell’atomo sul sito è allora dato da
t = to exp[-(Ea -DHa) /R T]
e la velocità di rilascio ha una forma analoga a quella della velocità d’adsorbimento
ud = K fd(q) exp(-Ed /RT)
dove fd( q ) rappresenta la frazione di siti disponili al rilascio e K è una costante di
veloci"tà.
29
Tabella 4
Calori d’adsorbimento di gas su metalli in forma di film evaporati. Il fattore di ricoprimento è
assunto q = 0.
Gas
Idrogeno molecolare
Idrogeno molecolare
Idrogeno molecolare
Ossigeno molecolare
Ossigeno molecolare
Ossigeno molecolare
Ossigeno molecolare
Ossigeno molecolare
Azoto molecolare
Azoto molecolare
Ossido di carbonio
Ossido di carbonio
Ossido di carbonio
Etilene
Etilene
H2
H2
H2
O2
O2
O2
O2
O2
N2
N2
CO
CO
CO
C2 H 4
C2 H 4
Metallo ( film sottile)
Tantalio
Ta
Molibdeno
Mo
Tungsteno
W
Titanio
Ti
Niobio
Nb
Tantalio
Ta
Molibdeno
Mo
Tungsteno
W
Tantalio
Ta
Tungsteno
W
Oro
Au
Ferro
Fe
Nichel
Ni
Tantalio
Ta
Tungsteno
W
- DHa (J/mole)
1.9 105
1.7 105
2.2 105
9.9 105
8.7 105
8.9 105
7.2 105
8.1 105
5.9 105
3.8 105
3.8 104
1.3 105
1.5 105
5.8 105
4.3 105
Dalle considerazioni fatte in precedenza è evidente che, per accelerare il
rilascio delle molecole adsorbite occorre fornire energia alle pareti. Ciò è fatto nei
modi più disparati, quali il bombardamento della superficie tramite particelle cariche
o radiazione elettromagnetica. Il modo più semplice, suggerito da tutte le relazioni
scritte in precedenza ed applicato sistematicamente nei sistemi d’alto vuoto, è il
riscaldamento delle pareti dell’impianto. Questa operazione è indicata con il termine
tecnico di “degasaggio” (ottenuto storpiando la parola inglese degassing). Negli
impianti d’alto vuoto tale operazione è ritenuta indispensabile ed è attuata riscaldando
l’impianto tra i 200 oC e i 450 oC per ore o addirittura per diversi giorni secondo la
pressione finale d’esercizio dell’impianto. In genere ciascuna parte dell’impianto è
trattata separatamente prima dell’assemblaggio; inoltre la scelta dei materiali, lo stato
delle superfici ed il tipo di guarnizioni giocano un ruolo decisivo nel limitare i
fenomeni d’adsorbimento e assorbimento facilitando il degasaggio.
Tuttavia, se da un lato l’adsorbimento costituisce un aspetto negativo per il
raggiungimento di un alto vuoto, dall’altro esso è abilmente sfruttato in alcuni casi
fondamentali.
L’adsorbimernto fisico è alla base delle pompe chiamate comunemente criogeniche.
Quando bisogna evitare l’utilizzo di pompe che lasciano negli impianti tracce
d’idrocarburi (back stream dell’olio utilizzato dalle pompe), allora si opta per questi
sistemi basati sull’uso di polveri o granuli di materiale raffreddati a bassa temperatura
Sono materiali porosi che hanno un alto rapporto superficie/volume. Ad esempio le
Zeoliti sono portate a 77 K (temperatura d’ebollizione di N2 a pressione atmosferica),
mentre le temperature d’esercizio delle pompe a carbone attivo sono tipicamente più
basse (da 4 a 20 K).
L’uso delle basse temperature è cruciale perché come abbiamo visto i legami dovuti
alle forze di Van der Walls della fisisorzione sono deboli e quindi l’energia termica
30
delle molecole deve essere ridotta in modo da consentire l’intrappolamento nella buca
di potenziale del sito d’adsorzione.
L’adsorbimento chimico trova applicazione in diversi tipi di pompe dette
“getter”, la cui utilità è notevole soprattutto se i gas da adsorbire sono attivi. Tali
pompe sono costituite da sottilissimi strati di metallo quali Ti, Ba, Zr, Ta o leghe
come Zr-Al, Ti-Zr che sono portate ad una temperatura d’esercizio tra i 20 oC e 400
o
C. Il titanio (Ti) è impiegato spesso in sistemi che sono destinati a sopportare
numerosi cicli di pressione tra la condizione di vuoto e quella di pressione
atmosferica, mentre il bario (Ba) lo troviamo depositato all’interno di piccoli sistemi
da vuoto, come le valvole elettroniche e i tubi a raggi catodici dei cinescopi che, una
volta costruiti, restano sotto vuoto tutta la loro vita.
Infine ricordiamo che l’adsorbimento chimico è un processo selettivo e questa
proprietà è sfruttata nel processo di purificazione dei gas rari. Questi ultimi sono
generalmente i gas nobili che non reagiscono con i “getter” che al contrario adsorbono
le impurezze presenti nel gas.
Velocità di pompaggio e portata.
In precedenza abbiamo definito le due quantità S e Q. Tuttavia, dopo
l’introduzione del concetto di conduttanza C che apparentemente ha le stesse
dimensioni di S, è bene far notare che si tratta di concetti ben diversi. La velocità di
pompaggio S p associata ad una macchina che produce il vuoto è definita
operativamente misurando il volume di gas che transita nell’unità di tempo
attraverso la sezione che delimita l’imbocco della pompa. Lungo i punti di quella
superficie la pressione pp è definita in modo univoco e ne consegue l’espressione
definente Sp in funzione della portata Q
Sp = Q/pp
Si noti allora la differenza concettuale con la definizione di conduttanza C: in questo
caso stiamo considerando un condotto ai capi del quale è applicata una differenza di
pressione Dp. C è definita come il rapporto tra la portata Q ed il salto di pressione ai
capi del condotto.
In realtà, quando una pompa è connessa ad una camera da vuotare, la sua
velocità effettiva d’aspirazione non è costante.
Qb.s.
Infatti, alla portata Q associata al trasporto delle molecole del gas aspirato via dal
recipiente verso la pompa occorre
- sommare la portata Qo il trasporto di materia “entrante” nel recipiente, dovuto
al fenomeno di degassamente delle pareti e
- sottrarre l’inevitabile flusso all’indietro (back stream) dalla pompa verso il
recipiente Q b.s, la cui entità dipende dalla tensione di vapore dei fluidi
presenti nella pompa.
31
Vediamo allora come si modifica S p tenendo conto di questi effetti. La portata
complessiva, misurata all’imbocco della pompa, è
Q + Qo – Qb.s.= p Sp
Ponendo
Q = p Sp(tot)
Qo - Q b.s= plimSp
dove plim è la pressione limite della pompa, otteniamo l’effettiva velocità di
pompaggio:
Sp(tot) = Sp ( 1 - plim / p )
Andamento nel tempo della pressione durante la fase di pompaggio.
Vediamo ora di ricavare qual è l’andamento nel tempo della pressione di un
recipiente di volume V, quando ad esso è attaccata una pompa avente una velocità di
pompaggio nominale indipendente dal tempo Sp.
Supporremo il gas contenuto nel recipiente in condizioni isoterme, quindi
kT dn/dt = d(pV) / dt = p dV/dt + V dp / dt = V dp /dt
L’ultimo passaggio di questa sequenza deriva dall’aver osservato che il gas occupa
sempre il volume V del recipiente in qualunque momento del pompaggio.
Le molecole del gas che nell’unità di tempo abbandonano il recipiente (- dn), entrano
nella pompa di portata Q alla pressione p, per questo formalmente scriveremo:
Q = p Sp = kT dnp /dt = - kT dn/dt = - V dp/dt
avendo indicato con dnp il numero di molecole estratte dalla pompa ed avendo
assunto per ovvie ragioni di conservazione della materia dnp = - dn.
Ne segue che
p Sp = - V dp/dt
Nell’ipotesi Sp =costante, questa equazione è risolvibile per separazione di variabili
ottenendo
p(t) = p(0) exp(-t/t)
dove t = V/ Sp è il tempo caratteristico di svuotamento e p(0) il valore della
pressione all’istante iniziale.
Se si tiene conto dell’effetto di degassamento del recipiente e dell’esistenza
di una pressione limite p lim, allora dovremmo modificare la relazione precedente
imponendo che
p Sp (tot) = - V dp/dt = p Sp ( 1- plim / p)
32
che sviluppata porta all’equazione a variabili separate
dp / ( p- plim) = - ( V / Sp) dt
che ammette come soluzione
p(t) – plim = [p(0) - plim] exp (-t/t) ~ p(0) exp (-t/t)
essendo tipicamente p(0) >> plim.
La velocità di pompaggio efficace
In genere le specifiche pubblicate dai costruttori di pompe da vuoto indicano
l’andamento della velocità di pompaggio in funzione la pressione nella condizione in
cui la pompa è opera chiusa su se stessa. In fase di reale utilizzo dell’oggetto, occorre
studiare in modo accorto le limitazioni introdotte dai condotti di connessione per
prevedere in modo corretto quale Ë il tempo di svuotamento caratteristico del sistema
e la pressione a cui si riesce a portare la camera da vuoto.
È allora molto pratico utilizzare il concetto di portata volumetrica efficace S eff (o
velocità di pompaggio efficace) che consente di includere nella velocità di pompaggio
della pompa anche l’effetto della presenza delle conduttanze dei tubi di connessione
alla camera da vuoto. Definiamo ora questa nuova quantità e ricaviamo la sua
dipendenza da Ctot e S p. In condizioni stazionarie del sistema pompa – camera da
vuoto la portata Q assume ovunque lo stesso valore. Sia p la pressione nella camera e
po la pressione all’imbocco della pompa.
Definiamo la velocità di pompaggio efficace Seff
Seff =Q / p
Trattiamo ora il problema del trasporto del fluido nel modo in cui abbiamo imparato a
fare in precedenza e scriviamo che
po Sp = Q = Ctot (p-po) = p Seff
Sostituendo po = p (Seff / S p) otteniamo
Ctot [1-(Seff / Sp )] = Seff
da cui
Seff-1= Ctot-1 + Sp-1
Questa formula consente di valutare quanto la conduttanza della connessione
condiziona la portata efficace della pompa.
33
Metodi di misura della velocità di pompaggio.
Riportiamo brevemente i metodi usuali per la determinazione della velocità
d’aspirazione delle pompe.
Metodo a volume costante.
Questo metodo è applicabile per misurare piccole velocità d’aspirazione. In
questo caso la pompa è collegata ad un gran recipiente di volume V e si osserva la
diminuzione esponenziale di pressione nel tempo durante la fase di svuotamento.
In realtà la velocità misurata è quella effettiva, quindi l’andamento p(t) è
p(t) ~ p(0) exp (-t/t) + plim
Inoltre, se la conduttanza di collegamento ha un valore C comparabile alla velocità di
pompaggio allora il tempo caratteristico misurato, è
t = V Seff-1=V ( C-1 + Sp-1)
Conoscendo V e C si deduce Sp dalla misura del tempo caratteristico t.
Metodo a pressione costante.
Per grandi velocità d’aspirazione la variazione di pressione nel tempo è
troppo rapida e difficilmente si riesce a dedurre l'andamento esponenziale della
funzione p(t). In tal caso si presta bene il metodo indicato in Figura. In essa è
disegnato un recipiente di volume V connesso alla pompa di cui si deve misurare la
velocità di pompaggio.
La camera da vuoto V è connessa ad un tubicino di vetro tramite una valvola ad
apertura micrometrica (valvola a spillo). La valvola consente di regolare la
pressione della camera ad un valore costante. Il tubicino di vetro contiene una goccia
di mercurio. In fase di pompaggio, l’aria aspirata muove la goccia. Monitorando
questo movimento si deduce la velocità del fluido aspirato dalla pompa.
Un esempio di calcolo di un sistema da vuoto.
Supponiamo di avere a disposizione una pompa da vuoto che, alla pressione po=
10 mbar ha una portata volumetrica (indicata spesso dai costruttori di pompe da
vuoto come velocità di pompaggio) S =100 l/s. La pompa è connessa ad una camera
a vuoto tramite, un tronco di cono e due condotti cilindrici disposti a L. Le
dimensioni dei condotti sono riportate in figura. Vogliamo dedurre qual è la
pressione finale p1 a cui si porta la camera da vuoto a regime.
-6
34
Si noti l’uso d’unità di misura diverse da quelle del sistema internazionale. Si tratta
dell’usuale problema in cui il fisico si trova ad operare partendo da dati forniti dagli
ingegneri delle case costruttrici di materiale da vuoto.
c
Pompa
po
b
R1
a
R2= 2 R1 = 3 cm
a = b = 30 cm
p1 2 R2
c= 10 cm
Camera da vuoto
Calcoliamo innanzitutto la conduttanza equivalente del condotto, come
somma delle conduttanze dei due cilindri e del tronco di cono. Assumiamo che il gas
pompato sia aria a 300 K (vm= 468 m/s) abbiamo C cilindro = 0.070 m3/s, Ccono = 0.088
m3/s e quindi
Cequivalnete = (2 Ccilindro-1 + Ccono –1)-1 = 0.025 m3/s = 25 l/s
Facciamo notare come in questo caso il valore della conduttanza è più basso della
velocità di pompaggio della pompa a disposizione. Questo, come vedremo dal valore
finale di p 1, si riflette in modo significato sullo stato d’equilibrio dinamico del
sistema.
La portata della pompa per po = 10-6 mbar = 10-4 Pa è
Q = po S =1 10-4 mbar l/s
Ne segue che
p1= po +Q/Cequivalente = 5 10-6 mbar = 5 10-4 Pa
Questo semplice esempio c’insegna immediatamente che non conviene connettere la
camera da vuoto ad una pompa avente S >> Cequivalente, perché il costo della pompa
cresce al crescere di S e con queste connessioni di pompaggio non usufruiremo della
sua elevata portata volumetrica. Va detto altresì che il precedente calcolo della
conduttanza totale del sistema è stato semplificato: non abbiamo tenuto conto della
configurazione a “gomito” dei due tubi cilindrici che sono montati in forma di L
“rovesciata”. Noi abbiamo calcolato la conduttanza come se fosse la serie di due tubi
cilindrici messi in linea: in realtà, nel caso del gomito, le molecole del gas devono
urtare almeno una volta la parete del tubo per poter percorrere tutto il condotto. Un
calcolo più accurato in cui si tiene conto dell’effettiva dinamica del fluido nei tubi ad
35
L, porta ad un aumento della conduttanza complessiva. In pratica tutto va come se i
due tubi fossero ancora in linea uno rispetto all’altro, ma ad essi è associata una
lunghezza equivalente Leq pari a
Leq = L+(8/3) R
dove R è il raggio interno dei tubi cilindrici.
Vediamo allora di concludere questo paragrafo affrontando in concreto la
questione del degassamento della camera da vuoto. Riferiamoci di nuovo all’esempio
citato in precedenza della camera da vuoto con 5 1014 molecole/cm2 depositate sulla
superficie delle pareti ed avente un rapporto volume/superficie dell’ordine di 1. Il
flusso di particelle rilasciato da uno strato di molecole N adsorbite per unità di
superficie è proporzionale a N ed inversamente proporzionale al tempo caratteristico
di rilascio t.
In generale il flusso specifico [(d N /dt) (1/ N)] è esprimibile come
(d N /dt) (1/ N) ~ [ to exp(Ed /RT)]-1
Assumendo to~ 10-13 s (valore di riferimento per un ampio numero di sistemi), e Ed ~
|DHa| ~ 1 105 (J/mole), il flusso specifico è dell’ordine di 10-4, che corrisponde,
tenuto conto del rapporto unitario volume/superficie del contenitore da vuoto, ad
un’immissione nella camera di ~ 5 1010 molecole cm-3 s-1. Supponendo di avere una
camera di 1 m3, la portata associata è
Q = k T dn/dt ~ 2 10-4 Pa m3/s
essendo n il numero di molecole che fluiscono nella camera.
Tale flusso di materia deve essere compensato dalla pompa che aspira il fluido, quindi
converrà evacuare i gas desorbiti a pressioni di 10-3 - 10-4 Pa per non utilizzare le
costose pompe con alte velocità di pompaggio S = Q/p.
36
Parte II
LA MISURA DELLA PRESSIONE NEGLI IMPIANTI DA VUOTO.
37
Esistono decine di metodi e di dispositivi atti a misurare la pressione residua
ma soltanto pochi di questi sono largamente utilizzati. Gli strumenti che misurano la
pressione sono detti manometri. Essi possono distinguersi in strumenti atti a misurare
il valore assoluto della pressione, manometri assoluti, o la differenza di pressione tra
due punti o due ambienti specifici, manometri differenziali.
Vediamo innanzitutto di presentare i manometri assoluti che misurano la
pressione nell’intorno di quella tipica dell’atmosfera terrestre: tali strumenti sono detti
barometri.
Barometri
Il barometro più semplice è mostrato in figura. In linea di principio è
sufficiente rovesciare un tubo pieno di liquido in modo che la sua apertura sia
immersa nel liquido del contenitore a più gran sezione. L’altezza del liquido nel tubo
rovesciato è una misura della pressione p esercitata dal gas sulla superficie del
contenitore più grande. Infatti, per la legge di Stevino la pressione è proporzionale
all’altezza h del liquido
p = rgh
dove r è la densità del liquido la sua altezza e g l’accelerazione di gravità.
h
Affinché si possa dedurre p dalla misura di h, occorre conoscere g e
r. Si noti che queste quantità non sono costanti: la prima varia con la latitudine
mentre la seconda è funzione della temperatura. Inoltre in linea di principio occorre
correggere le misure per l’effetto della pressione residua di gas intrappolato nella
parte alta del tubo rovesciato.
Il manometro assoluto meccanico più comune è il barometro aneroide: il
principio su cui si basa è quello di contrapporre una forza elastica alle forze di
pressione. Nella sua versione più semplice (vedi figura) è una scatola d’acciaio (S)
sottile in cui si è praticato il vuoto. Si tratta di un cilindro basso a base larga ed a
pareti ondulate onde aumentare la superficie esposta. Una robusta molla (R) connessa
al cilindro evita che quest’ultimo si schiacci per effetto della forza dovuta alla
pressione atmosferica. Una base della scatola è fissata al supporto dello strumento
(A), cosi che ad ogni variazione della pressione atmosferica la scatola si espande o si
contrae. Un sistema di leve (C) amplifica tali variazioni dimensionali e le trasforma in
rotazioni di un indice su una scala graduata.
38
Sebbene barometri di concezione simile fossero stati proposti in precedenza, il
barometro aneroide di tipo classico fu messo a punto dal francese Lucien Vidie (18051866) negli anni quaranta del XIX secolo.
Lo strumento va tarato mediante confronto con un barometro assoluto a liquido di
mercurio, ponendo ambedue i barometri sotto una campana da vuoto in cui si varia la
pressione con l’ausilio di una pompa. La sensibilità può essere di 10 Pa (~ 0.1
mmHg), ma la precisione arriva raramente a 100 Pa (~1 mmHg). I barometri possono
anche servire per misurare l’altezza sul livello dei mare (altimetri) poiché la pressione
atmosferica varia con l’altezza. Riportiamo anche la foto di un barometro assoluto
basato su questo principio: si tratta di un misuratore particolarmente diffuso in
commercio reperibile nei negozi che vendono articoli inerenti alla meteorologia.
Misuratori di basse pressioni
Gli strumenti che misurano pressioni inferiori a quell’atmosferica, sono
denominati vacuometri. Per le applicazioni concernenti il vuoto, si tratta di coprire un
vastissimo intervallo di pressioni da 105 a 10-9 Pa. Occorre allora concepire strumenti
di natura diversa, basati in altre parole su differenti proprietà dei gas rarefatti, per
coprire un intervallo di quattordici ordini di grandezza. Generalmente possiamo
affermare che lo strumento di misura è tanto più complesso quanto più il gas è
39
rarefatto. Tipicamente esso è utilizzato in uno specifico intervallo di pressione al di
fuori del quale lo strumento non fornisce valori significativi.
I vari tipi di vacuometri possono essere raggruppati sia sulla base
dell’intervallo di pressione in cui operano, sia secondo il criterio del principio fisico
su cui si basa lo strumento. Noi abbiamo già presentato i barometri, misuratori di
pressione basati sulla misura diretta della forza di pressione. Esistono, in effetti,
analoghi vacuometri basati sullo stesso principio. Altri strumenti determinano la
pressione mediante la misura d’alcune proprietà fisiche dei gas residui nel recipiente
in cui è praticato il vuoto, come la viscosità, la conducibilità elettrica, o mediante
l’applicazione dell’equazione caratteristica dei gas. Infine, per intervalli di pressione
particolarmente bassi, esistono strumenti basati sulla misura delle correnti elettriche
associate al gas residuo ionizzato.
Vediamo allora una tabella riassunta di vacuometri, classificati secondo il principio
fisico alla base del loro funzionamento.
Vacuometri basati sulla
misura di una forza
Manometro a tubo ad U
Vacuometro McLeod
Vacuometro Bourbon
Manometro capacitivo
Manometro piezo-resistivo
Vacuometri a
conducibilità termica
Pirani
Termocoppia
Vacuometri a ionizazzione
Vacuometri a scarica
Vacuometri a catodo caldo
Vacuometri a catodo
freddo
Questa tabella è ben lontana dall’essere esaustiva dei tipi di vacuometri esistenti,
tuttavia cerca di racchiudere quelli più comunemente utilizzati. Descriviamo nel
seguito il principio di funzionamento della maggior parte di questi strumenti.
Vacuometri a diaframma
I misuratori di pressione, basati sull’effetto di deformazione meccanica della
parete sottile di un recipiente a tenuta d’aria, hanno subito un’evoluzione legata allo
sviluppo della tecnologia. Il vacuometro capacitivo a diaframma è basato sullo stesso
principio del barometro aneroide ed in aggiunta sfrutta la variazione di capacità
elettrica di un condensatore per misurare gli spostamenti della parete sottile della
scatola (diaframma) che si deforma quando la pressione esterna alla scatola a tenuta è
diversa da quell’interna.
Il manometro Bourbon è costituito da un involucro a tenuta di vuoto con una
parete costruita di materiale trasparente che consente di traguardare una scala
graduata ed un indice. L’elemento fondamentale dello strumento è un tubicino di
40
materiale metallico che si deforma elasticamente sotto l’azione della differenza di
pressione che si viene a creare tra l’interno del tubo e il recipiente a tenuta che lo
contiene. Il tubetto è curvo ed uno dei suoi estremi è connesso, tramite un sistema di
leve, all’indice che scorre sulla scala graduata. Sotto l’effetto della differenza di
pressione tra l’esterno e l’interno del tubo, il tubo si deforma e la deflessione della sua
parte terminale è trasformata in moto di rotazione dell’indice dall’apposito sistema di
leve. I manometri Bourbon sono molto utilizzati in ragione del loro basso costo.
Una variante del manometro Bourbon è quello di Blondelle dove il tubicino è
corrugato per aumentare l’elasticità e la superficie che risente della differenza di
pressione, e quindi la sensibilità dello strumento.
Esistono dei Bourbon piccoli, con il diametro della scatola cilindrica esterna
dell’ordine di 5 cm, che possono funzionare da pressione atmosferica (105 Pa) sino a
10 mbar (103 Pa). Quelli più grandi e più costosi, hanno un diametro dell’ordine di 25
cm ed arrivano a coprire sino ad 1 mbar (102 Pa).
Infine dobbiamo necessariamente ricordare che con l’avvento della
miniaturizzazione sono stati sviluppati dei sensori piezo-resistivi robusti ed a basso
costo. Un piccolo volume pressurizzato a bassa pressione è chiuso a tenuta da un
diaframma; su esso è depositato il materiale piezo-resistivo in modo da formare un
ponte di Wheatstone di resistenze (vedi oltre quando parleremo dei vacuometri
Pirani).
Il materiale piezo-resistivo ha la proprietà che, se sottoposto a sforzo meccanico,
cambia la sua resistività elettrica. Con le tecniche di costruzione dei componenti
elettronici si riesce allora ad integrare in un solo chip questo piccolo sensore di
pressione con l’elettronica di rivelazione, ottenendo uno strumento robusto ed a basso
costo.
41
Manometri differenziali a tubo ad U.
Un esempio di manometro differenziale è il manometro ad aria libera. Esso
misura la differenza di pressione fra un determinato ambiente e l’atmosfera. Si
rappresenta schematicamente con un tubo ad U riempito di un liquido di densità nota
(ad es. mercurio), i cui estremi sono uno in comunicazione con l’ambiente a pressione
incognita e l’altro con l’aria. La differenza di pressione è proporzionale al dislivello h
del liquido fra i due rami.
Dp = rgh
Vacuometri di Mc Leod
Nella figura I riportiamo lo schema generale del vacuometro di Mc Leod;
nella figura accanto (II) vi è un doppio ingrandimento della parte dello strumento
cruciale ai fini della misura. Questo vacuometro viene in genere adoperato per la
misura assoluta di basse pressioni. Il principio di funzionamento dello strumento è
molto semplice: esso si basa sulla compressione isoterma di un dato volume di gas
che da una pressione p1 ed un volume V1 iniziali passa ad una pressione p2 ed un
volume V2 finali. Dalla conoscenza della pressione finale e dei volumi in gioco è
possibile ricavare, mediante la legge di Boyle, la pressione incognita.
Fig. I
Fig. II
42
Il sistema è costruito in vetro e si biforca nel punto M (vedi figura I ) in due
rami. Uno di questi porta ad un bulbo V, di volume noto, a cui è saldato un capillare
K di sezione costante chiuso alla "sommità. L’altro ramo è costituito da un tubo C che
comunica attraverso R col recipiente nel quale si vuole misurare la pressione. Al tubo
C è saldato in parallelo un capillare A affiancato al primo (K) d’uguale diametro per
compensare nella lettura (vedi oltre) gli effetti di differenza di pressione che
insorgono alla superficie di un liquido per effetto della capillarità.
La parte sotto M è collegata, per mezzo di un tubo flessibile T ad un recipiente G
contenente mercurio.
Per eseguire una misura di pressione si procede come segue:
a) Inizialmente il recipiente G è abbassato in modo che il mercurio sia sotto M.
L’altezza B del mercurio è circa 760 mm. Il gas in V è alla stessa pressione del
recipiente in cui si vuole misurare la pressione.
b) Il livello del recipiente G è poi alzato. In tal modo il mercurio sale, supera il punto
M e invade i due rami isolando il gas che si trovava in V.
c) Continuiamo ad alzare G finché il mercurio non abbia invaso tutto il volume V e
non sia salito parzialmente anche nel capillare K comprimendo in esso il gas. A
questo punto la pressione dei gas nel capillare K è sufficientemente elevata per
produrre una sensibile differenza di altezza fra i due menischi di mercurio nei due
capillari A e K. Il rapporto tra il volume del gas che occupava inizialmente il bulbo V
e quando è confinato nel capillare è in genere dell’ordine di 105; questo corrisponde
ad un pari aumento di pressione nel capillare.
Si può ora procedere alla misura in due modi diversi.
1) Vediamo ora il primo metodo.
Si alza G fino a che il mercurio salga in K fino ad un livello L prestabilito (vedi figura
II a). Sia p1 la pressione iniziale del gas in V (p1 è la pressione che si vuol misurare) e
V1 il volume del bulbo e del capillare; siano poi p 2 e V 2 la pressione ed il volume
finali del gas. Applicando la legge di Boyle, otteniamo
p1 V1 = p2 V2
La pressione p2 è
p2 = p1 + r g H
dove H è il dislivello fra le altezze del mercurio nei capillari A e K, r è la densità del
mercurio e g l’accelerazione di gravità. Notiamo come alla quantità ( r g H) si
aggiunga p1 perché questa è la pressione sopra il mercurio in A. Se h è l’altezza del
capillare K non invasa dal mercurio e s la sua sezione, il volume V2 è
V2 = h s
Essendo p1<< r g H, si può inoltre porre:
p2 ~ r g H
Risulta quindi
p1 = r g H h [s / V1]
43
2) Il secondo metodo per eseguire la misura consiste nell’a1zare G fino a che il
mercurio salga in A al livello che corrisponde all’estremo superiore dei capillare K
(vedi figura II b). Si misura quindi il valore H della differenza d’altezza fra i due
menischi. Applicando ancora la legge di Boyle
p1 V1 = H s ( p1 + r g H)
se p1 << r g H si ottiene:
p1 = r g H 2 [s / V1]
Se il vacuometro è usato nel primo modo la pressione, come si vede
facilmente della relazione ricavata precedentemente ha un andamento lineare in H.
Nel secondo modo la pressione ha un andamento quadratico in H; ne risulta una scala
notevolmente dilatata al decrescere della pressione. Quindi è certamente più
conveniente applicare il secondo metodo quando si devono misurare basse pressioni.
In entrambi i casi, il fattore da cui dipende l’intervallo di pressioni entro cui il
dispositivo può eseguire misure è (s / V1). (Valori tipici per V e per i diametri dei
capillari A e K sono ~500 cm3 e ~ 0.5 mm).
Il vacuometro di Mc Leod è uno strumento assoluto. Il suo uso è particolarmente
delicato e si possono introdurre errori sistematici nella misura. Vediamo di elencare
alcuni di questi problemi:
1) Nel recipiente in cui si vuoi misurare la pressione sono immessi vapori di mercurio
la cui pressione può falsare la misura
2) Il vacuometro non misura correttamente la pressione dei vapori che non
obbediscono alla legge di Boyle.
3) Nell’uso di questo vacuometro occorre prestare particolare attenzione a non alzare
G troppo in fretta alterando così la condizione d’isotermia della trasformazione del
gas. (Si tenga conto anche che un’operazione troppo rapida può causare la rottura del
bulbo contenente il mercurio).
4) Si deve evitare di introdurre aria nel sistema da vuoto se il mercurio non è
completamente uscito da V: l’introduzione d’aria avrebbe lo stesso risultato di un
troppo brusco innalzamento del serbatoio.
I vacuometri a conducibilità termica.
I risultati ottenuti mediante l’applicazione della teoria cinetica dei gas
mostrano che la conducibilità termica K dei gas (tipicamente espressa in W cm-1 K-1) a
pressioni superiori di 100 Pa (~1 mmHg), è indipendente dalla pressione del gas. Essa
è
K = e h cV
in cui e è un coefficiente compreso tra 1 e 1,25 caratteristico del gas, cV è il calore
specifico a volume costante e h è il coefficiente di viscosità.
In regime di flusso molecolare, ovvero quando la pressione dei gas è inferiore
ad 100 Pa, la conducibilità termica diminuisce linearmente con la pressione. In queste
condizioni Knudsen ha ricavato la quantità di calore per unità di superficie W
44
(W/cm2) che passa per conduzione molecolare attraverso un gas a pressione p posto
tra due superfici unitarie a temperatura T2 e T1, con T2 >T1 :
W = (a/4) ( 2 R/ p M)1/2 [(g +1) / (g -1)] { (T2-T1) / T11/2} p
dove g = cp /cV è il rapporto tra i calori specifici a pressione costante cp ed a volume
costante cV del gas, R è la costante dei gas, M il peso molecolare dei gas ed a una
costante che dipende dalla geometria del sistema.
Dalla relazione precedente si rileva come le perdite di calore per conduzione
molecolare nei gas dipendono dalla loro natura (M) e dalla pressione p. Questa
circostanza permette di costruire vacuometri in cui la variazione di una grandezza
misurabile direttamente, legata alla conducibilità termica dei gas, può essere correlata
alla variazione di pressione.
Il vacuometro a conducibilità termica è costituito da un contenitore foggiato in
modo che possa essere collegato al sistema in cui si vuole misurare la pressione. In
esso è posto un filamento di metallo avente un elevato coefficiente di temperatura per
la resistenza elettrica (in genere si usa platino o tungsteno). Il filamento è attraversato
da una corrente opportuna e si scalda per effetto Joule, ma non è portato
all’incandescenza per mantenere trascurabili le perdite di calore per irraggiamento.
Per questa ragione occorre mantenere bassa la temperatura del filamento (~100°C).
Trascurato l’irraggiamento, il calore si può trasmettere attraverso i conduttori
necessari al collegamento elettrico ed attraverso il gas. Per minimizzare la prima
causa citata di trasmissione del calore si utilizzano conduttori sottili; in tal modo la
temperatura del filamento dipende essenzialmente dalla quantità di calore che è
scambiata con il gas. La temperatura di regime del filamento e quindi la sua resistenza
elettrica, dipendono dalle perdite di calore del filamento stesso. In questo modo la
misura della pressione è ottenibile sia da una misura diretta della temperatura del
filamento che dalla misura della variazione della sua resistenza elettrica.
Lo strumento concettualmente più semplice basato sulla misura della
conducibilità termica del gas è il vacuometro a termocoppia. Un filamento elettrico è
posto in un recipiente da vuoto ed in esso è fatta scorrere una corrente elettrica
mantenuta costante nel tempo. Una termocoppia, oggetto atto a misurare la
temperatura, è saldata in un punto del filamento. Non appena la pressione del gas nel
recipiente varia, cambia anche il numero di molecole che urta contro il filamento e ne
consegue un cambiamento di temperatura direttamente misurato dalla termocoppia.
Poiché l’efficienza dello scambio termico tra molecole del gas e filamento dipende
dalla natura del gas, la risposta di questo tipo di strumento cambia in funzione del tipo
di gas considerato.
45
In figura è riportato un disegno artistico di un vacuometro a termocoppia e lo schema
che riassume il principio di funzionamento con il relativo circuito di controllo. Questo
vacuometro funziona correttamente nell’intervallo di pressioni che va da 1 sino a 10-3
mbar ( 100 - 10-1 Pa). Si tratta di strumenti largamente usati in ambito industriale,
grazie al loro basso costo, alle piccole dimensioni e alla facilità d’installazione. Il loro
limite è rappresentato dal lento tempo di risposta del sensore alle variazioni di
pressione. Questo li rende inadatti ad essere utilizzati nei sistemi di controllo in linea
dei recipienti da vuoto.
Nel caso del vacuometro Pirani il filamento è inserito in un ponte di
Wheatstone, che può essere configurato nei seguenti due modi:
1) si fa passare nel filamento una corrente costante,
2) si mantiene costante la resistenza del filamento.
La figura mostra lo schema di montaggio del Pirani nel primo modo come ramo AB
di un ponte di Wheatstone. Nel ramo adiacente BC viene montata un contenitore
identico chiuso in precedenza a pressione bassissima ( 10-4 Pa).
Lo scopo di questo secondo filamento è quello di ottenere a basse pressioni,
resistenze approssimativamente uguali nei rami adiacenti AB e BG in modo che
questo lavori in condizioni di massima sensibilità.
La resistenza variabile nel ramo AD serve all’azzeramento del ponte che è effettuato
ad un valore di pressione di riferimento (per esempio 10-4 Pa). Quando la pressione
aumenta la resistenza dei filamento diminuisce, il ponte si sbilancia ed il
galvanometro sul ramo centrale misura una corrente diversa da zero. Mediante la
resistenza variabile R2 si può agire in modo di mantenere costante la corrente che
circola nel ramo AB (filamento del Pirani). Allora la deviazione del galvanometro
risulterà univocamente legata alla variazione di resistenza del filamento per effetto
della variazione di pressione. Si può poi tarare la scala del galvanometro adoperando
per confronto il vacuometro di Mc Leod.
Il modo d’impiego nel caso 2) è illustrato nella figura successiva.
46
R1, R2, R3 sono tre resistenze il cui valore non varia sensibilmente al variare della
corrente che le attraversa, la quale peraltro è sempre dell’ordine d’alcune decine di
milliampere. Una di esse, per esempio R2, consente di azzerare il ponte in
corrispondenza ad un’opportuna condizione di riferimento e in seguito non va pi"ù
variata. Mediante il potenziometro B si può variare la differenza di potenziale
elettrico (d.d.p.) applicata al ponte in modo che la temperatura del filamento del
Pirani e quindi la sua resistenza, si mantenga sempre costante. Se l’equilibrio del
ponte si verifica in corrispondenza ad una certa pressione p del gas e ad un certo
valore della d.d.p. letta sul voltmetro V, la potenza P dissipata nel filamento del Pirani
è data da
P = a V2= b T + c p
in cui a, b, c sono costanti opportune. Il termine b T tiene conto dell’energia dissipata
nell’unità di tempo dal filamento a temperatura T attraverso i collegamenti elettrici.
Supponendo ora di azzerare il ponte agendo su R, a pressione estremamente
bassa per cui il termine c p sia trascurabile, l’energia dissipata risulta:
P o = a Vo 2 = b T
Combinando le due equazioni precedenti otteniamo
(V2 - Vo2)/Vo2 = c p /b T
Notiamo che il rapporto (V2 - Vo2)/Vo2, nei limiti di pressione indicati
precedentemente, risulta una funzione lineare di p. Anche in questo caso il Pirani va
calibrato con un Mc Leod.
Il vacuometro Pirani presenta alcuni vantaggi tra cui la leggerezza e la
praticità d’impiego, ma la sua precisione in genere non è superiore al 5% e va tarato
per ogni gas.
Vacuometro a scarica
Un metodo molto approssimativo per stimare la pressione di un gas è quello di
esaminare la forma ed il colore di una scarica prodotta attraverso il gas nel recipiente
in misura nelle vicinanze di una parete trasparente. A tale scopo si usa una bobina di
Tesla: si tratta di un trasformatore avente un secondario formato da una bobina con un
numero notevole di spire. Il primario è accoppiata ad una bobina nella quale la
corrente fornita da un generatore è ritmicamente interrotta. In maniera analoga a
quanto accade in un rocchetto di Ruhm-korff, ai capi della bobina di Tesla si hanno
delle tensioni impulsive di valore elevato (10.000 Volt) e di alta frequenza. Uno dei
capi è messo a massa, l’altro è connesso con una punta P che è disposta vicino alla
parete non elettricamente conduttrice del recipiente. Il campo elettrico nel gas
rarefatto produce una scarica nel recipiente con differenti tipologie secondo il valore
della pressione. Questo è riassunto nella tabella seguente.
47
Aspetto della scarica
Non si ha scarica
Scarica a forma di sottili filamenti luminosi che
si allargano al diminuire della pressione
La scarica riempie la sezione del tubo
La scarica diventa sempre più debole e si ha
fluorescenza alle pareti del tubo
Non si ha scarica
Pressione (Pa)
> 2000
100 - 2000
<100
10
< 10-1
I vacuometri a ionizzazione
I vacuometri a ionizzazione sono costruiti basandosi sul fatto che se un gas è
opportunamente ionizzato, il numero di ioni positivi prodotti nel gas dipende dal
numero di molecole presenti e quindi dalla pressione del gas considerato. In figura
riportiamo un vecchio tipo di vacuometro a ionizzazione il cui funzionamento è di più
immediata comprensione. Esso è costituito da un’ampolla di vetro (la versione
moderna prevede l’uso di contenitori metallici) che si può collegare opportunamente
al recipiente in cui si deve misurare la pressione. Nell’ampolla vi sono tre elettrodi:
un filamento, il collettore di ioni ed il collettore d’elettroni.
Gli elettroni sono emessi dal filamento incandescente e sono accelerati verso il
corrispondente elettrodo collettore (anodo) sotto l’azione di una differenza di
potenziale opportuna. Alcuni elettroni urtano le molecole dei gas e, se hanno energia
sufficiente, le ionizzano: così è possibile raccogliere gli ioni positivi prodotti per
ionizzazione del gas sul collettore polarizzato negativamente. La corrente raccolta da
quest’ultimo elettrodo è proporzionale al numero di molecole presenti per unità di
volume, vale a dire alla pressione nel recipiente.
Anche qui riportiamo due metodi per eseguire la misura della pressione schematizzati
nelle parti a) e b).
Nel primo (a) la griglia è resa negativa rispetto al catodo e l’anodo è ad un potenziale
positivo. Nel secondo (b) le polarità della griglia e dell’anodo sono invertite. Nel
primo caso la pressione p è data dalla seguente formula empirica:
p = K c (ig/ia)
dove K è una costante che dipende dalla forma dell’ampolla, c è una costante che
dipende dalla probabilità di ionizzazione del gas ed ig, ia sono la corrente di griglia e
la corrente anodica rispettivamente.
48
L’energia degli elettroni è regolata scegliendo opportunamente la differenza di
potenziale fra catodo emettitore ed elettrodo acceleratore.
Nel secondo caso
p = K c (ia /ig)
Misurando le correnti ia e ig si deduce la pressione p. Si definisce sensibilità del
vacuometro la quantità
S = (1/p) (ig /ia)
S = (1/p) (ia /ig)
(nel primo caso)
(nel secondo caso)
dove S ha le dimensioni del reciproco di una pressione.
I vacuometri a ionizzazione non possono essere usati tutte le volte che i gas di cui si
vuole misurare la pressione, attaccano chimicamente il catodo. L’intervallo normale
di funzionamento è fra 10-1 e 10-4 Pa. A pressioni superiori a 10-1 Pa, la corrente
ionica in sostanza non varia più con la pressione. Questo comportamento è dovuto a
diversi effetti. In particolare a pressioni elevate (maggiori di 10-1 Pa) il numero degli
elettroni che prende parte alla ionizzazione aumenta: un elettrone può ionizzare più
volte così che la corrente aumenta sensibilmente e non è più proporzionale alla
pressione. Il limite inferiore d’impiego di un vacuometro a ionizzazione è posto dalle
difficoltà di misurare con precisione basse correnti ioniche. Infatti, per pressioni
inferiori a 10-4 Pa, la probabilità di collisione atomo del gas - elettrone emesso dal
filamento nel percorso dal filamento all’anodo è molto bassa e quindi la corrente è
sempre più piccola. A pressioni inferiori a 10-6 Pa, si nota una corrente residua al
collettore degli ioni che è completamente indipendente dalla pressione. Questa
corrente è causata dall’emissione di fotoelettroni estratti dal collettore degli ioni.
Questi fotoelettroni sono emessi per effetto dell’arrivo di raggi X molli, prodotti a
loro volta nell’urto degli elettroni del catodo che colpiscono l’anodo.
La corrente prodotta dall’emissione dei fotoelettroni dal collettore degli ioni ha lo
stesso segno di quella prodotta dalla raccolta degli ioni positivi e quindi non è
distinguibile. Essa determina il limite inferiore di sensibilità dello strumento.
Questo limite è ridotto ulteriormente nel vacuometro Bayard-Alpert mostrato nella
figura.
Come si vede, in questo vacuometro il filamento è posto all’esterno di una griglia
cilindrica (la spirale disegnata in figura) che costituisce il collettore d’elettroni; il
collettore degli ioni, consistente in un filo molto sottile, è sistemato all’interno della
griglia. Gli elettroni emessi dal filamento sono accelerati dalla griglia (positiva) e
49
ionizzano nello spazio da essa delimitato. Una larga frazione degli ioni così formati
sono raccolti dal filo centrale (negativo). Con questa disposizione il collettore degli
ioni intercetta solo una piccola frazione dei raggi X prodotti alla griglia. La piccola
superficie del filo presenta un angolo solido ai raggi X che è varie centinaia di volte
più piccolo che nel caso dei vacuometri a ionizzazione convenzionali.
Il vacuometro più diffuso per misure di pressione nell’ intervallo 10-3 – 10-6 Pa è
senza dubbio il Penning, detto anche vacuometro a catodo freddo (cold-cathode
gauge). Esso è molto più semplice rispetto ai vacuometri a ionizzazione già descritti e
non presenta gli inconvenienti dovuti alle eventuali reazioni dei gas col filamento
incandescente. Il vacuometro Penning va tarato con un Mc Leod. Di nuovo per
ragioni di semplicità nella presentazione, riportiamo in figura lo schema di un
Penning ad ampolla di vetro ormai desueto. Il principio di funzionamento dei Penning
moderni, di cui mostreremo uno schema alla fine del paragrafo, è però assolutamente
identico.
Nell’ampolla sono sistemati due elettrodi (anodo e catodo) di materiale a basso
potenziale d’estrazione (zirconio, torio, etc...) alimentati con una differenza di
potenziale d’alcune migliaia di volt. Il catodo è costituito da due piastre connesse
elettricamente, mentre l’anodo è costituito da un piccolo telaio opportunamente
sagomato. L'ampolla è collegata al recipiente sotto vuoto.
Se il vuoto è tale che il libero cammino medio delle molecole del gas è uguale
all'incirca alle dimensioni lineari dell'ampolla, gli ioni presenti in esso (prodotti ad
esempio dall’azione ionizzante dei raggi cosmici, di radiazioni elettromagnetiche od
altri agenti ionizzanti naturali) migrano verso gli elettrodi ed ivi strappano degli
elettroni, che, accelerati dal campo, possono produrre altri ioni e quindi determinare
una corrente circa proporzionale al numero delle molecole presenti nel vacuometro.
Tale corrente è misurata mediante un microamperometro inserito nel circuito. Per
aumentare l’intensità di corrente in modo che la misura possa essere eseguita più
facilmente e con più elevata sensibilità, si utilizza un magnete permanente che
produce un campo d’alcune centinaia di Oersted e le cui espansioni polari sono
mostrate in figura. In virtù della particolare configurazione degli elettrodi e della
disposizione del magnete, il campo elettrico ha in ogni punto una componente
ortogonale al campo magnetico. In pratica le linee di forza del campo elettrico e di
quello magnetico s’intersecano e quindi le forze di natura elettrica e magnetica
applicate agli elettroni determinano la traiettoria a forma di una spirale degli elettroni.
Il percorso che essi compiono, aumenta di un centinaio di volte rispetto a ciò che
avverrebbe in assenza di campo magnetico (come nel caso del vacuometro a
filamento incandescente). Aumenta così la probabilità di collisione tra gli elettroni e
le molecole del gas ed è prodotto un numero maggiore di ioni a parità di pressione.
I grandi vantaggi del Penning sono una maggiore robustezza rispetto agli strumenti a
“catodo caldo”, giacché questo tipo di vacuometri puÚ sopportare le brusche
variazioni di pressione che al contrario provocano la rottura dei filamenti prossimi
all’incandescenza degli altri tipi di vacuometri. Riportiamo infine in figura lo schema
di un Penning moderno detto a magnetron inverso, in cui gli elettrodi sono a
simmetria cilindrica ed il magnete toriodale li circonda.
50
Infine mostriamo la foto di un moderno sensore dell’ALCATEL: nello stesso
contenitore metallico sono stati integrati un Pirani ed un Penning a magnetron
inverso.
Nella tabella conclusiva sono riportati gli intervalli di funzionamento dei vari tipi di
vacuometri, di cui pero soltanto per alcuni abbiamo illustrato il principio di
funzionamento.
51
52
Parte III
LE POMPE DA VUOTO.
53
Esistono diversi tipi di pompe di vuoto che coprono differenti intervalli di
pressione. Ogni tipo di pompa è caratterizzato dal valore della portata volumetrica S
(indicata anche con il nome di velocità di pompaggio) e mediante il valore della
minima pressione raggiunta (pressione limite).
Nella prima parte di queste dispense abbiamo già discusso perché l’effettiva velocità
di pompaggio dipende dalla pressione all’ingresso della pompa e presenta un
andamento decrescente al diminuire della pressione di lavoro. La pressione limite,
misurata nel punto d’ingresso della pompa, tende a diminuire lentamente nel tempo,
poiché si riduce il flusso di molecole distaccate dalle pareti del recipiente a vuoto. Si
assume allora come valore di pressione limite quello misurato quando ogni successiva
riduzione di pressione nel tempo è trascurabile.
Ricordiamo ancora qui che la pressione finale pf di un impianto a vuoto non coincide
con la pressione limite della pompa p l. La conduttanza dei tubi che connettono il
sistema alla pompa a vuoto influenzano la pressione limite nel sistema secondo la
relazione già discussa in precedenza
Q = C( pl - pf )
In ogni caso la misura della pressione limite di una pompa, ottenuta mettendo in
comunicazione diretta un piccolo volume con la bocca della pompa, non presenta
particolari problemi. Al contrario la misura della velocità di pompaggio è più
complessa ed è influenzata da effetti di riflusso del gas dalla pompa verso il recipiente
(back stream), dall’esistenza di eventuali perdite nell’impianto a vuoto e/o dal
processo di degasaggio.
Nei paragrafi successivi illustreremo il principio di funzionamento e le caratteristiche
generali delle pompe da vuoto più diffuse.
Le pompe rotative
Tra i vari tipi di pompe meccaniche che producono il vuoto primario (basso e
medio vuoto) noi ci soffermeremo su due tipi di pompe rotative comunemente usate:
le pompe a palette e le pompe a pistone rotante.
Iniziamo col discutere il principio di funzionamento delle rotative a palette. Nella
figura che segue, sul suo lato sinistro, sono riportate le varie fasi di funzionamento di
una pompa a palette; discuteremo più tardi la parte destra della figura.
Il corpo centrale di una pompa rotativa a palette è costituito da una cavità
cilindrica entro la quale ruota, attorno ad un’asse traslato rispetto all’asse della cavità
(eccentrico), un rotore che ha una scanalutara lungo una direzione diametrale. In lei vi
sono alloggiate due palette che aderiscono alla parete della cavità cilindrica in virtù
dell’azione della molla compressa tra le due palette.
Qui abbiamo schematizzato l’azione della pompa dividendola in tre fasi successive:
(a1)
Il gas dell’impianto da vuotare è aspirato nella zona punteggiata.
(a2)
Il gas è quindi trascinato in rotazione e compresso.
(a3)
Esso è quindi espulso attraverso la valvola.
54
In generale nelle pompe meccaniche, la lubrificazione delle parti in moto e la
tenuta da vuoto del sistema è assicurata da oli speciali (a bassa tensione di. vapore).
La pressione di scarico dei gas compressi deve essere più elevata della pressione
atmosferica, per cui sono necessari rapporti di compressione molto grandi (dell'ordine
di 105) per ottenere una pressione finale di 1 Pa all’ingresso della pompa. La
pressione finale delle pompe rotative ricade tipicamente nell'intervallo che si estende
da 1 Pa (per le pompe di piccola portata volumetrica S < < 50 m3/h) a 10-1 Pa (per le
pompe con velocità di pompaggio più elevata). Tale limite non è determinato dal
meccanismo di pompaggio, ma è imposto dalla solubilità dei gas nell'olio lubrificante.
L'olio, espulso attraverso la valvola di scarico e saturo dei vapori che si sono disciolti
in esso durante la fase di compressione, ritorna nel serbatoio e poi è immesso di
nuovo nella cavità cilindrica. Lì rilascia parte dei gas o vapori disciolti nell’olio ed in
questo processo si possono determinare le condizioni per un sensibile peggioramento
delle prestazioni della pompa. In particolare, quando i gas aspirati sono in prevalenza
vapori che si condensano nella fase di compressione (ad esempio vapori d’acqua), per
evitare il verificarsi di questa circostanza si ricorre ad un particolare accorgimento:
zavorrare la pompa con l'aria dell'ambiente (apertura del gas ballast). Questo è
possibile perchè la pompa rotativa presenta un’entrata supplementare posta in
comunicazione con l’ambiente: in pratica vi è una valvola manuale V ad apertura
regolabile dall'operatore. Durante la rotazione del pistone, quando il recipiente da
evacuare è isolato dal vano d’aspirazione e di compressione della pompa, si apre la
55
valvola V ed il vano si riempie d’aria addizionale (la zavorra). In questo modo la
pressione di scarico è raggiunta molto prima che possa aver luogo la condensazione
dei vapori e quindi la pompa espelle contemporaneamente i gas ed i vapori. Occorre
però notare che in condizioni di gas ballast aperto la pompa perde d’efficienza. Il
funzionamento della pompa dotata di gas ballast è riportato sul lato sinistro della
figura.
Per aumentare la velocità di pompaggio e diminuire la pressione limite, sono state
realizzate pompe rotative a doppio stadio. Riportiamo qui uno schema semplificato di
tali pompe.
Per avere pompe meccaniche con velocità di pompaggio ancora più elevata in
questi intervalli di pressione, è stato concepito un secondo metodo che illustriamo
nella figura seguente.
56
Questa pompa è denominata a pistone rotante; in essa l’albero di rotazione del
rotore è coassiale rispetto alla cavità cilindrica mentre il corpo del rotore (camma) è
eccentrico rispetto all'albero.
(1) Un pistone cavo trascinato dalla camma eccentrica pone in comunicazione il
recipiente da evacuare con la cavità cilindrica.
(2) La camma nella sua rotazione fa sì che il pistone scorra con moto oscillante
nella sua sede e metta alternativamente in comunicazione la camera di
compressione con il recipiente da evacuare oppure la isoli.
(3) Il rotore durante il suo moto comprime i gas fino ad espellerli nell'atmosfera
attraverso la valvola di scarico.
Notiamo infine che le pompe a pistone rotante per le loro caratteristiche
costruttive sono più adatte delle pompe a palette per le grandi portate volumetriche (S
= 50 – 500 m3/h).
Le pompe a diffusione
Le pompe a diffusione non possono immettere i gas aspirati direttamente
nell'atmosfera come nel caso delle pompe rotative, perchè la loro pressione di lavoro
si estende da qualche 10-1 a 10-8 Pa per tutti i gas. Occorre prevedere allora che il
recipiente da vuotare sia inizialmente connesso ad una pompa meccanica (pompa
primaria) che porti il vuoto a valori tali da cadere nell’intervallo operativo della
pompa a diffusione.
Nelle pompe a diffusione si utilizza un getto di vapore ad alta velocità che ha la
funzione di trasferire per urto quantità di moto alle molecole del gas da evacuare in
direzione della bocca di pompaggio. Le prime pompe erano a vapori di mercurio, oggi
si utilizzano oli speciali con tensioni di vapore a temperatura ambiente di 5 10-7 - 10-8
Pa. In figura è mostrato lo schema di funzionamento del getto molecolare.
Le molecole di vapore, provenienti dal liquido in ebollizione localizzato alla base
della pompa, passando attraverso una strozzatura anulare (a forma di becco),
acquistano velocità di alcune centinaia di m/s dirette verso il basso, dove si trova la
bocca di aspirazione connessa alla pompa meccanica che assicura il pre-vuoto, e verso
la parete fredda della pompa. Le molecole del gas che arrivano alla bocca della pompa
a diffusione, sono trascinate nel getto di vapore ed acquistano una quantità di moto
diretta verso il basso. Quando le molecole di vapore del getto incidono sulla parete
57
fredda, sono condensate e ritornano sotto forma di liquido nel bagno che sta alla base
della pompa, assicurando la continuità del meccanismo di pompaggio.
Il trasferimento di quantità di moto alle molecole del gas che attraversano il
getto, si traduce in una differenza di densità e quindi di pressione tra le due regioni
separate dal getto di vapore. Il rapporto tra i valori di pressione nelle due regioni è
espresso approssimativamente dalla seguente relazione:
p2/p1 = ervL/D
dove r è la densità del vapore, v la sua velocità, L lo spessore del getto. D è un
coefficiente che dipende dai pesi molecolari delle molecole di gas e delle molecole di
vapore secondo la relazione
D = k {( M1 + M2) / (M1 M2)}1/2
Il peso molecolare degli oli impiegati (M1 = 400 - 500 masse atomiche) è
notevolmente superiore al peso molecolare dei gas residui. Da ciò e dalle formule
precedenti segue immediatamente che il rapporto p2/p1 è tanto più piccolo quanto è
più basso M 2, quindi questo tipo di pompa è meno efficiente per i gas leggeri come
l'idrogeno e l'elio.
Mostriamo ora un tipico schema di pompa a diffusione a più stadi.
Essa consiste di un cilindro con una flangia superiore per il collegamento al recipiente
da evacuare e con un fondo contenente una resistenza da fornello elettrico per
produrre i vapori del fluido di pompaggio (negli attuali sistemi commerciali più
diffusi si tratta d’olio minerale particolare). La camicia esterna della pompa è
raffreddata per circa due terzi della sua altezza con una serpentina in cui circola
acqua. Una bocca d'uscita posta in prossimità del fondo permette di scaricare i gas a
pressione più elevata verso la pompa rotativa.
Sulla bocca di connessione al recipiente da vuotare sul condotto con la pompa
meccanica sono poste trappole ben raffreddate ad acqua o con freon o azoto liquido.
Questo serve ad evitare la diffusione dei vapori d'olio nel recipiente da evacuare (back
58
stream) e nella pompa meccanica che assicura il prevuoto. Notiamo infine che la
pressione finale è determinata principalmente dalla tensione di vapore del fluido di
pompaggio e più specificatamente dai prodotti che si formano attraverso il processo di
rottura delle grandi molecole del fluido stesso ("cracking").
Le pompe turbomolecolari
In questi tipi di pompe le molecole dei gas sono trascinate verso la bocca di
evacuazione da un sistema di palette poste in rapida rotazione. Nelle pompe
turbomolecolari, disponibili commercialmente solo verso la fine degli anni 50,
l’azione di trascinamento sulle molecole dei gas è esercitata da un sistema di palette
opportunamente distanziate ed inclinate (rispetto alla direzione di moto) e poste in
rapida rotazione all'interno di un corpo cavo cilindrico. Per il loro funzionamento è
necessario avere una pompa meccanica primaria che mantiene una pressione di 10–1
Pa nella regione a pressione più elevata. Si ottengono pressioni finali dell'ordine di 107
Pa e la velocità di pompaggio presenta un andamento costante in tutto l'intervallo
operativo.
Le molecole che si trovano nelle due regioni di spazio, separate dal sistema di
palette in moto, hanno probabilità diverse di diffondere nei due sensi, ciò provoca
densità molecolari differenti nelle due regioni e quindi un gradiente di pressione. Ci si
può rendere facilmente conto di questo se si considera il caso limite in cui la velocità
vp delle palette è notevolmente superiore alla velocità vm delle molecole. In tale
ipotesi, si possono studiare i processi di diffusione delle molecole considerando le
palette ferme e le molecole in moto relativo rispetto alle palette . Per renderci meglio
conto di ciò, facciamo riferimento alla figura.
Osserviamo lo schema di sinistra (a). Le molecole provenienti dalla regione A
incidono sulla superficie delle palette in prossimità dello spigolo C (vp > vm).
Le molecole, dopo l’urto con la parete delle palette sono diffuse in maniera omogenea
in tutte le direzioni senza subire cioè una riflessione speculare. Quelle riemesse
nell'angolo a1 ritornano nella regione A di provenienza, quelle riemesse nell'angolo
a2 passano nella regione B, mentre quelle riemesse nell'angolo a3 si ripartiscono tra le
due regioni A e B in maniera simmetrica. Nella parte di sinistra della figura (b)
osserviamo come le molecole che provengono dalla regione B incidono sulla
superficie delle palette in prossimità dello spigolo D, cosicché quelle riemesse
nell'angolo b2 ritornano nella regione di provenienza, quelle riemesse nell'angolo b1
passano nella regione A e quelle riemesse nell'angolo b 3 si ripartiscono
simmetricamente nelle due regioni. Da un confronto degli angoli si ricava che il
59
processo, in cui le molecole provenienti dalla regione A passano nella regione B, ha
una probabilità più elevata del processo inverso.
Proviamo a ricavare in che relazione sono le pressioni nelle due regioni ed il flusso di
molecole con le probabilità di diffusione da un lato all’altro del sistema di palette in
moto. S’indichi con fAB la probabilità che una molecola proveniente dalla regione A
arrivi nella regione B ed analogamente con fBA la probabilità del processo inverso.
Siano poi NA e NB i flussi di molecole incidenti sulle palette dalle due regioni A e B.
Sia inoltre W il rapporto tra il flusso di molecole dalla regione A alla regione B ed il
flusso incidente NA. Si potrà scrivere:
NAW = NA fAB - NB fBA
da cui si ricava:
NB / NA = ( fAB / fBA) – (W / fBA)
Il rapporto (NB / NA) è uguale al rapporto tra le densità molecolari nelle due regioni e
quindi uguale al rapporto tra le pressioni pB e p A nelle due regioni. Questa relazione
assume allora la forma:
pB / pA = ( fAB / fBA) – (W / fBA)
Notiamo che il rapporto tra le pressioni decresce linearmente al crescere del flusso
molecolare W. Per un flusso nullo (W = 0) il rapporto tra le pressioni è dato da
pB / pA = ( fAB / fBA)
e per una differenza di pressione nulla (pB = pA) il flusso di molecole è dato da:
W = fAB - fBA
Per avere un rapporto di pressione elevato ed un flusso netto elevato (requisiti base
per una pompa da vuoto) è necessario massimizzare fAB e minimizzare fBA. Ciò è
ottenibile agendo sull'angolo d’inclinazione delle palette e sul rapporto tra la distanza
tra due palette successive h e la loro larghezza d. Guardando la figura si può intuire
che f AB (proporzionale al rapporto a 2/al) aumenta al crescere di q , angolo
d’inclinazione delle palette, e del rapporto h/d mentre f BA (proporzionale a b 1/b2)
diminuisce al diminuire dell'angolo q e del rapporto h/d. Le due condizioni sono tra
loro discordanti ed è quindi necessario trovare un compromesso sulla geometria delle
palette.
Nelle pompe turbomolecolari moderne la velocità di rotazione delle palette è
dell'ordine di 104 giri al minuto e la velocità periferica raggiunge le centinaia di metri
al secondo (tipicamente 300 - 400 m/s); disponendo più sistemi di palette in cascata si
ottengono rapporti di pressione sino a 106.
In figura è mostrato lo spaccato di una pompa turbo. Si tratta di un modello di pompa
per applicazioni ove occorre assicurare l’assoluta assenza di agenti inquinanti del
vuoto. Questo è ottenuto sospendendo l’asse di rotazione della pompa con cuscinetti
magnetici che limitano l’attrito ed eliminano allo stesso tempo la necessità di
lubrificazione.
60
Le pompe a getter e ioniche
Queste pompe sono state sviluppate e commercializzate agli inizi degli anni
60. Esse sfruttano due processi distinti per evacuare le varie specie di gas presenti in
un impianto a vuoto: l'adsorbimento chimico per i gas reattivi (ad esempio H2, N2, 02,
H20, CO, CO2) e l'assorbimento per i gas nobili o poco reattivi (He, Ne, Ar, CH4... ).
Noi abbiamo già parlato nei paragrafi precedenti di “Adsorbimento chimico”
dei gas reattivi (gettering). Ricordiamo ora che alcuni materiali come il titanio, lo
zirconio ed il tantalio hanno notevoli capacità d’adsorbimento chimico a temperatura
ambiente nei confronti dei gas reattivi presenti nell'atmosfera. Il titanio è stato
preferito per le applicazioni del vuoto a causa della relativamente alta tensione di
vapore e della sua alta reattività chimica con una gran varietà di gas.
In una pompa a getter una sorgente di titanio è riscaldata sino alla temperatura di
sublimazione (1500 oC) in maniera che produca un deposito (film) di titanio altamente
reattivo sulle pareti che circondano la sorgente. Le molecole dei gas attivi che
incidono sul film di titanio, reagiscono chimicamente formando composti stabili quali
ossidi, idruri e nitruri di titanio: si ha cosi un’efficace azione di pompaggio nei
confronti di tali gas. Riportiamo in Tabella le reazioni chimiche per i vari gas di
maggiore interesse per il vuoto.
61
Reazioni chimiche di gas con il Titanio
H2 + Ti fl‡ TiH2
N2 + 2Ti ‡ 2 TiN
O2 + Ti ‡ TiO2
H2O+ 2Ti ‡ TiO+H2O +Ti ‡ TiO+TiH2
CO +Ti ‡ TiCO
CO2 +Ti ‡ TiCO2
Si noti che Tabella la reazione dell'idrogeno con il titanio è indicata come reversibile
(fl‡ ) perchè il composto TiH2 è termicamente instabile. Gli idruri di titanio devono
trovarsi ad una temperatura minore o uguale di quella ambiente per limitare a valori
accettabili le pressioni d’equilibrio per il processo di dissociazione.
Negli impianti a vuoto il film di titanio è in grado di pompare i gas attivi per un tempo
limitato (sino a quando la superficie dei film non è saturata) e quindi si rendono
necessarie frequenti deposizioni e, se la portata dei gas è elevata, è richiesta una
deposizione continua di titanio.
Una stima della velocità di pompaggio, nel caso di film di titanio depositato con
continuità, è data dalla relazione:
S= s A C [1+ (s A C B G p /R)]-1
dove s è il coefficiente di cattura per il gas in esame, A l’area coperta dal film di
titanio (in cm2), B il numero d’atomi di titanio consumati per adsorbire la molecola in
esame, p la pressione parziale dei gas, R il numero di atomi di titanio depositati per
secondo sulla superficie, C e G sono rispettivamente dati da:
C = 3.64 (T/M)1/2
G = 9.63 1021(1/T)
essendo M il peso molecolare del gas adsorbito e T la temperatura assoluta dei film di
titanio. Ad esempio per H2 avremo valori di
M=2
B=1
s=0,04 a 77 K
s=0.06 a
s = 0.95 a 77 K
s=0.7 a
300 K ,
mentre per il CO
M=28 B=1
300 K.
A pressioni sufficientemente alte (p > 10-3 Pa), il secondo termine nel
denominatore della precedente espressione di S è molto più grande di 1, quindi si ha
S ~ R/ (B G p)
da cui risulta che la velocità di pompaggio cresce al diminuire della pressione.
A pressioni sufficientemente basse (p < 10-5 Pa) il termine (s A C B G p /R) è
molto minore di 1, perciò la velocità di pompaggio tende al valore limite S l,
indipendente dalla pressione,
Sl = s A C
62
In alcune di queste pompe, dette ioniche, il pompaggio dei gas nobili e dei gas
meno reattivi (ad esempio il metano) è attuato mediante ionizzazione delle molecole
con un fascio di elettroni. Gli ioni del gas nobile, prodotti per ionizzazione, sono
indirizzati da intensi campi elettrici sul film di titanio dove sono intrappolati e poi
ricoperti dal deposito di nuovi strati di titanio. Il fascio d’elettroni, prodotto con un
procedimento analogo a quello utilizzato nei triodi di potenza e nelle valvole ad
ionizzazione, ha un’efficienza di ionizzazione piuttosto limitata. Per questa ragione si
è preferito adottare un procedimento analogo a quello descritto per il vacuometro di
tipo Penning che aumenta l’efficienza di ionizzazione del gas.
La pompa ionica in questo caso è costituita da un sistema di celle Penning adiacenti
ed immerse in un campo magnetico diretto assialmente d’intensità. 0.1 - 0.2 T. Le
differenze di potenziale tra la struttura anodica e quella catodica possono variare tra 2
e 10 kV. La scarica si auto-sostiene attraverso la ionizzazione multipla del gas residuo
e attraverso l’estrazione d’elettroni dal catodo freddo bombardato dagli ioni prodotti
nella scarica stessa.
Gli ioni che incidono sul catodo con energie di parecchie decine di eV, possono
liberare, oltre agli elettroni, anche gli atomi superficiali del materiale (effetto
“sputtering”) e penetrare in profondità rimanendo intrappolati nel reticolo cristallino
del catodo. Costruendo il catodo in titanio si ottiene, oltre all’assorbimento dei gas
nobili ionizzati, la formazione continua di un film di titanio che provvede
all’adsorbimento chimico dei gas reattivi.
II processo d’assorbimento dei gas nobili è in realtà più complesso in quanto, a causa
dello sputtering che erode progressivamente il catodo, gli atomi imprigionati nel
reticolo possono essere rimessi in circolazione. In pratica si studiano forme degli
elettrodi e del catodo tali da ottimizzare il processo d’assorbimento degli ioni.
Prima di concludere dobbiamo sottolineare che le pompe ioniche hanno bisogno di
una pompa ausiliaria che produca un vuoto primario compreso tra 1 e 10-1 Pa, cosi da
consentire alle pompe ioniche di arrivare a vuoti dell’ordine di 10-7 Pa.
Uno dei successi più spettacolari delle pompe a getter è rappresentato dal
raggiungimento delle condizioni di vuoto estremo nella ciambella di 27 km di
lunghezza della macchina acceleratice di particelle LEP (acronimo di Large Electron
Positron collider) sita presso il CERN di Ginevra. In questo caso sono state usate
delle pompe getter denominate NEG ( Non Evaporated Getter). Si tratta di strisce di
ZrAl (zirconio-alluminio) che formano composti stabili con i prodotti desorbiti dalle
pareti d’alluminio della lunga camera da vuoto di LEP.
63
Quando la superficie del getter è satura, può essere rigenerata scaldando il materiale
così da consentire la diffusione del composto stabile all’interno della matrice solida
del getter.
Per dare un‘idea del modo d’utilizzo di tali pompe, mostriamo infine lo
schema in sezione della camera da vuoto di LEP ( la ciambella di 27 km) e la foto di
un settore della macchina acceleratrice completamente equipaggiata.
64
Le pompe criogeniche
Come abbiamo già discusso nei paragrafi iniziali, una parete fredda esplica
un’azione di pompaggio nei confronti di quei vapori o gas che hanno un’elevata
temperatura d’ebollizione e presentano quindi una piccola tensione di vapore alla
temperatura della parete fredda. Osserviamo il grafico in cui è riportato il logaritmo in
base 10 delle tensioni di vapore di vari elementi in funzione della temperatura T.
L’acqua ed il CO2 hanno valori inferiori a 10-9 torr (10-7 Pa) a 77 K, mentre per il
metano (CH4), l’argon (Ar), l’azoto (N2) e l’ossido di carbonio (CO) occorre arrivare
sino a 20 K per avere simili valori della tensione di vapore. Per il Neon (Ne) ciò è
ottenuto a T~7 K, mentre l’idrogeno (H2) e l’elio (He) rappresentano il maggior
problema.
L’idrogeno solidifica a temperature inferiori a quella d’ebollizione dell’elio liquido e
quindi il suo crio-assorbimento è ottenuto abbassando la temperatura della parete
fredda sotto 4 K o sfruttando particolari meccanismi quali l’intrappolamento
criogenico (cryotrapping) e l'assorbimento criogenico (cryosorption).
La solidificazione dell’elio non è osservabile scendendo semplicemente in
temperatura e quindi la percentuale d’elio negli impianti deve essere abbassata
utilizzando altri metodi.
È importante osservare che con le pompe criogeniche la pressione ultima di un
gas è sempre superiore alla tensione di vapore saturo dei gas alla temperatura della
parete fredda. Indichiamo con a C il coefficiente di condensazione delle molecole
sulla parete fredda (in altre parole la percentuale di molecole incidenti che rimane
vincolata per condensazione alla parete fredda). Il flusso di molecole catturate
sull'area A della parete fredda a temperatura Tr è dato da
65
FC=dNC /dt =(1/4) aC A n vm = (aC A pr /4kTr )(8kTr/p M)1/2
essendo n = pr/kTr la densità numerica delle molecole, vm la velocità media delle
molecole del gas, p la pressione del gas nel recipiente, M il suo peso molecolare e k la
costante di Boltzmann. Si può dimostrare che, in condizioni stazionarie, il flusso di
molecole del gas, evaporate da un’area A della parete fredda, è dato da un’espressione
analoga
Fe=dNe/dt = (aCA ps/4kTp )(8kTp/p M)1/2
essendo Tp la temperatura assoluta della parete fredda, ps la tensione di vapore saturo
alla temperatura Tp. La pressione ultima pf del gas in esame è raggiunta quando il
flusso delle molecole catturate F C è pari al flusso di quelle evaporate, F e. Allora,
ponendo FC = Fe, si ricava dalle relazioni precedenti la pressione finale
pf=ps (Tr / Tp)1/2
Poiché le pareti della camera a vuoto si trovano ad una temperatura T r più
elevata della temperatura T p della parete fredda, la pressione ultima è sempre più
elevata della tensione di vapore saturo del gas condensato. Assumendo T r = 300 K,
per le diverse temperature della parete fredda la pressione ultima è
pf ~ 2 ps (77 K )
pf ~ 4
pf ~
ps (20 K )
8.5 ps (4.2 K )
Per determinare la velocità di pompaggio di una pompa criogenica è sufficiente
tener presente che il flusso di molecole catturate effettivamente dalla parete fredda è
dato da:
Ft= Ft(1- Fe / Ft) =(1/4) aC A n vm) [1- (ps / pf ) (Tr / Tp)1/2 ]
La velocità di pompaggio (S = dV/dt = Ftt/n) è quindi espressa da:
S = (aC A /4 ) (8kTr /p M)1/2 [1- (ps / pf ) (Tr / Tp)1/2 ]
La velocità di pompaggio tende a zero quando la pressione nella camera a vuoto
si avvicina alla pressione ultima. Riportiamo qui alcuni valori di velocità di
pompaggio massima per unità di superficie fredda a 77 K, ottenibili aspirando vari
gas.
66
Gas
H2
N2
Ar
O2
H2O
CO2
CH4
Hg
S /A [l s-1 m-2]
2.3 105
6.0 104
5.1 104
5.6 104
7.5 104
4.8 104
8.0 104
2.3 104
In realtà, per valutare la velocità effettiva di pompaggio nel caso di pompe
operanti alla temperatura dell'elio liquido, bisogna tener conto della presenza di un
eventuale schermo termico. Quest’ultimo è normalmente raffreddato con azoto
liquido ed ha la funzione di ridurre la potenza d’irraggiamento termico incidente sulla
parete fredda e di ridurre quindi la potenza refrigerante necessaria a mantenere fredda
la parete. Tale schermo riduce la velocità effettiva di pompaggio sia attraverso una
diminuzione della conduttanza sia attraverso una riduzione della velocità media delle
molecole e quindi del loro flusso.
La quantità di gas che può essere pompata da una parete fredda è limitata dal
fatto che lo spessore di solido depositato sulla parete riduce progressivamente
l'efficacia di pompaggio. Per comprendere come ciò si produca è sufficiente tener
presente che la temperatura della superficie libera del solido si discosta sempre di più
da quella della parete fredda al crescere dello spessore della sostanza condensata.
Questo è dovuto al fatto che il calore che viene trasmesso alla superficie libera del
solido, per effetto dell’irraggiamento da parte delle pareti del recipiente e dell’energia
termica delle molecole catturate, deve essere portato via attraverso lo strato solido che
possiede una bassa conducibilità termica.
Per questa ragione la pompa criogenica deve essere attivata soltanto dopo aver
fatto un pre-vuoto nel recipiente (tipicamente 10-1 Pa) con un'altra pompa e deve
essere periodicamente rigenerata. La rigenerazione consiste nell’isolare la pompa dal
recipiente da evacuare e nel portare la superficie fredda a temperatura ambiente in
maniera che lo strato solido evapori ed i vapori siano evacuati dalla pompa meccanica
ausiliaria.
La pompa criogenica può essere realizzata utilizzando come elemento
refrigerante un bagno di liquido (N2, H2, He) oppure un gas freddo (in genere He) che
è fatto circolare in maniera continua. Una pompa a bagno è semplice da realizzare e
poco costosa. In pratica si costruisce un criostato ad elio liquido in cui la parete del
recipiente più interno serve come superficie di condensazione.
Per limitare il consumo d’elio liquido, il recipiente è circondato da uno schermo
raffreddato con azoto liquido che riduce, come si è detto in precedenza, la velocità di
pompaggio ma agisce come pompa criogenica dei gas o vapori che hanno un’elevata
temperatura d’ebollizione (ad esempio CO2).
Nelle pompe a flusso continuo di gas, la superficie fredda è uno scambiatore di calore
in cui evapora tipicamente dell’elio liquido pompato continuamente in esso.
In anni recenti si sono diffuse le criopompe in cui la parete fredda è realizzata
sfruttando la potenza refrigerante prodotta da criogeneratori. La gran parte di esse
sono macchine termiche che funzionano secondo un ciclo di Stirling semplificato che
viene chiamato Gifford-McMahon. Hanno bisogno di un robusto compressore d’elio
che può arrivare a pressioni dell’ordine di decine d’atmosfere, connesso alla macchina
67
termica tramite conduttanze flessibili d’acciaio inox.
Per talune applicazioni il limite principale di questa soluzione è rappresentato dalle
vibrazioni associate al compressore. In figura riportiamo lo spaccato di una moderna
pompa criogenica della ditta americana CTI che utilizza un refrigeratore GiffordMcMahon. Nella parte alta si vede una serie di dischi sovrapposti. Questi fungono da
parete fredda che adsorbe il gas. Infatti, i dischi sono connessi meccanicamente e
termicamente con il punto freddo del refrigeratore, rappresentato dalla cima del tubo
centrale di colore avana.
Punto freddo
del
refrigeratore
Scambiatore
freddo
I vantaggi offerti da una pompa criogenica sono rappresentati da elevate
velocità di pompaggio (alcune migliaia di l/s) ottenute con dimensioni della pompa
abbastanza contenute. Esse sono particolarmente adatte a produrre il vuoto in ambenti
in cui occorre ridurre i prodotti contaminanti (assenza dell’effetto di back stream
tipico delle pompe a diffusione). Inoltre, nel caso delle pompe criogeniche a bagno è
possibile disegnare la superficie di condensazione secondo le esigenze sperimentali e
ridurre drasticamente il livello di vibrazioni.
Gli svantaggi sono rappresentati dalla scarsa attitudine a pompare l'idrogeno,
dall'impossibilità di pompare l'elio e dalla ridotta autonomia (necessità di rigenerare la
superficie fredda in maniera periodica).
68
Parte IV
LA RICERCA DI PERDITE IN UN IMPIANTO DA VUOTO.
69
La minimizzazione delle perdite è condizione necessaria per il corretto
funzionamento di un impianto da vuoto. La perdita è il flusso di massa che si ha
attraverso un foro o una cricca dell’impianto da vuoto. Essa corrisponde quindi al
volume di materiale che è trasferito nell’unità di tempo dall’ambiente al recipiente ad
una determinata pressione. L’entità della perdita è dedotta misurando la portata Q nel
punto ove fluisce fuori il gas. Era consuetudine esprimere la perdita in lusec (mmHg
litri/s), unità di misura che differisce di circa il 25% da quella oggi più in voga, mbar
litri/s i cui valori numerici risultano a loro volta molto vicini a quelli espressi in
atmosfere cm3 /s.
Notiamo infine che l’unità di misura del sistema SI (Pa m3/s = Watt) è ancora poco
diffusa.
Riportiamo qui per comodità i vari fattori di conversione:
Q =1 mbar lt/s = 0.1 W =1.01323 atm. cm3 /s =0.75007 lusec
Sono state sviluppate svariate tecniche per la ricerca e la localizzazione di
perdite. Qui esamineremo solo alcuni metodi non distruttivi illustrandone il principio
ed i limiti di sensibilità.
La tecnica delle bolle.
La prova delle bolle è il metodo più antico per la verifica delle perdite. Esso
consiste nell’immergere in una vasca un pezzo riempito con un gas ad una pressione
più elevata di quella atmosferica. Un operatore quindi osserva attentamente il
componente e conta le eventuali bolle: più esse sono grandi e frequenti, maggiori
sono le perdite.
Il metodo presenta però il limite che il pezzo va posto a pressione e quindi se
le sue condizioni d’impiego prevedono al contrario il vuoto al suo interno, il test
solleciterà il pezzo ed i suoi punti di tenuta in maniera opposta.
La limitazione principale di questo test, oltre alla difficoltà di renderlo
quantitativo, è la bassa sensibilità, ovvero il basso valore della perdita minima
rilevabile.
Assumiamo che si forma soltanto una bolla di forma sferica in un tempo tipico Dt, ad
una pressione p prossima a quella atmosferica. Il volume di gas fuggito attraverso la
perdita nel tempo D t è pari al volume della bolla e quindi la portata della perdita Q è
Q= (4/3 π r3) p / D t
dove r è il raggio della bolla.
In assenza di un sofisticato sistema di rivelazione di bolle tipicamente la più piccola
bolla che riesce ad identificare un operatore, ha un raggio dell’ordine di 1 mm a cui
-3
3
corrisponde un volume di circa 4 10 c m . Il tempo di formazione della bolla è la
variabile critica che determina la sensibilità del metodo; anche qui considerazioni di
buon senso legato all’osservazione dei tempi caratteristici delle normali attività
umane, rendono ragionevole assumere che al massimo siano osservabili bolle che si
formano in D t ~ 30 s. Dalla formula sopra riportata deduciamo che l’ordine di
grandezza della perdita minima rilevabile è
70
-3
Qmin ~ 1 x 10 atm cm3/s
.
Questa sensibilità è poi influenzata da fattori difficilmente quantificabili quali la
posizione del pezzo, la sua illuminazione, la trasparenza ed il moto dell’acqua stessa.
Tutto ciò concorre ad abbassare la sensibilità che, sulla base di considerazioni
statistiche, è attestarsi al meglio attorno a valori dell’ordine di
-3
Qmin ~ 5 x 10 atm cm3/s
Questo metodo, applicato per la ricerca di grosse perdite negli impianti da
vuoto, è ben noto a tutti i riparatori di pneumatici ed è quindi gioco forza applicare
queste definizioni all’esempio in cui una camera d’aria per bicicletta si sgonfia
immettendo nell’atmosfera 1 litro di gas in 8 ore.
-2
Questo corrisponde ad una perdita Q ~ 3,5 10 atm cm3/s che dovrebbe essere
localizzabile con la tecnica delle bolle poiché può indurre la formazione di 8 bolle al
secondo del diametro di 2 mm.
Prove basate sull’osservazione del decadimento di pressione.
La ricerca di fughe a decadimento di pressione consiste nell’innalzare la
pressione del gas contenuta nel pezzo da vuoto sotto osservazione. Quindi, dopo
averlo isolato rispetto alla fonte di pressione e collegato ad un manometro, si studia
l’andamento della variazione di pressione ∆p nell’intervallo di tempo ∆t.
In questo caso la perdita Q (leak rate) si deduce calcolando la quantità
Q = (∆p VR ) / ∆t
dove il volume VR è costante e pari a quello del pezzo da vuoto in osservazione.
Il test è notevolmente influenzato da fattori esterni, quali la temperatura e le
deformazioni meccaniche del pezzo, mentre la sua sensibilità è determinata
dall’accuratezza del manometro e da quella della misura degli intervalli di tempo,
oltre che dal tempo d’osservazione complessivo del decadimento del valore di
pressione interno al pezzo.
Ad esempio
a) se il manometro è tale che siamo in grado di apprezzare 1 mbar,
b) osserviamo il fenomeno per un tempo pari a 60 s,
c) il recipiente ha un volume interno pari ad 1 lt,
-2
la perdita minima rilevabile è pari a 1,67 x 10 mbar lt/s.
In pratica questo test è impiegato per mettere in luce l’esistenza di perdite prossime a
-2
10 mbar lt/s in grossi serbatoi o grandi linee di pompaggio. Per localizzare la
perdita, spesso il test è accoppiato al metodo a bolle insaponando le zone sospette per
produrre più facilmente le bolle.
Prova di risalita della pressione.
71
La prova di risalita di pressione sfrutta il principio opposto del decadimento di
pressione. In questo caso il pezzo da provare è posto sotto vuoto e quindi collegato ad
un misuratore di pressione con cui si misura p ad istanti di tempo successivi. Gli
strumenti di misura di pressione che operano molto al di sotto della pressione
atmosferica, possono apprezzare anche lievi variazioni di p e quindi il test può essere
-2
adatto anche per rilevare piccole perdite. In realtà già con un vuoto inferiore a 10
mbar si manifestano fenomeni di degasaggio all’interno del pezzo che possono
rendere il test del tutto inattendibile. Ad esempio la presenza di pochi grammi d’acqua
all’interno di un pezzo limita la pressione a valori dell’ordine della sua tensione di
-4
vapore (a temperatura ambiente è ~20 mbar). Eliminata l’acqua, al di sotto di 10
mbar il degassamento delle impurezze adsorbite sulle pareti può divenire l’effetto
dominante: le particelle intrappolate sulla superficie esterna del pezzo tendono a
staccarsi determinando un aumento di pressione che non dipende dalla presenza della
perdita.
Lo spettrometro magnetico di massa.
Lo spettrometro di massa per la ricerca delle fughe fu sviluppato più di 40
anni fa per eseguire prove di laboratorio per le quali era richiesta un’estrema
sensibilità. Poco tempo dopo esso trovò spazio anche nell’industria ed è oggi inserito
come elemento in una linea di produzione.
Generalmente lo spettrometro di massa è costruito per rivelare ioni d’elio. La
prova di tenuta con elio è la soluzione migliore per diverse ragioni: l’elio è un gas
inerte che non reagisce con il prodotto e non inquina l’ambiente, è sicuro e le perdite
possono essere localizzate e misurate con un alto livello di precisione.
Il cercafughe ad elio è costituito da un gruppo per alto vuoto e da un
analizzatore di pressione parziale dell’elio. Questa ultima è una cella costituente lo
spettrometro di massa costruita per rivelare ioni d’elio. Facendo ferimento alla figura
seguente, è più semplice capire il principio di funzionamento.
72
Un filamento in tungsteno a 1600 K genera elettroni che, accelerati da un
-4
campo elettrico, bombardano le poche (siamo a valori di pressione di 10 mbar)
molecole di gas presenti nella cella formando diversi tipi di ioni. La separazione dei
vari tipi di ioni avviene per effetto del campo magnetico presente nello spazio della
cella. Infatti, la forza di Lorentz FL, applicata agli ioni di carica elettrica q, massa M,
aventi velocità v ed accelerazione a, dipende dal campo d’induzione magnetica B
generato da un magnete permanente posto attorno alla cella:
FL= q v x B = M a
Essendo tale forza sempre perpendicolare al vettore velocità v della particella,
eserciterà su di essa un’azione centripeta; allora la proiezione delle traiettorie delle
varie particelle sul piano perpendicolare alla direzione di B è una circonferenza, il
cui raggio di curvatura rC varia secondo il peso molecolare degli ioni. Se ci limitiamo
ad osservare il moto nel piano perpendicolare a B e indichiamo con vp la componente
della velocità della particella su questo piano, dalla relazione precedente avremo
q vp B = M vp2 / rC
e quindi
rC = (M/q) (vp / B)
In conclusione, collocando nella posizione opportuna la fessura di raccolta degli ioni
a 180°, con massa M=4 e carica q=1, solo gli ioni d’elio vi passeranno attraverso. La
debole corrente dovuta al passaggio dell’elio ionizzato è amplificata e poi misurata
direttamente.
Il gruppo di pompaggio ha il compito principale di mantenere la cella spettrometrica
ad un vuoto inferiore a 10-4 mbar e può essere impiegato anche per evacuare il pezzo
da provare. L’elio filtrato nel cercafughe, è convogliato dalle pompe da vuoto
all’interno della cella spettrometrica dove è misurata la sua pressione parziale. La
perdita QHe è calcolata come prodotto di pHe, la pressione parziale dell’elio, per SHe
la velocità di pompaggio
73
QHe = pHe SHe.
La velocità di pompaggio per l’elio è una caratteristica tecnica generalmente
nota dell’apparato; dunque dalla misura di pHe, ovvero dalla misura della corrente di
ioni d’elio che raggiungono il catodo della cella, si è in grado di dedurre la perdita
QHe. Dai primi cercafughe, ancorché robusti ma lenti, delicati e con procedure di
calibrazione complicate, la strumentazione impiegata oggi ha beneficiato di notevoli
progressi tecnici.
L’uso di pompe turbomolecolari che producono l’alto vuoto e non richiedono
l’utilizzo di trappole di N2 liquido, della microelettronica e del software di controllo,
hanno trasformato questi delicati strumenti di misura in sistemi robusti, compatti e
completamente automatici.
Infine ricordiamo che sono stati sviluppati anche cercafughe basati sulla
rivelazione d’idrogeno molecolare H2 o di He3, il ben più raro isotopo dell’elio. Si
tratta di strumenti poco diffusi, basati sullo stesso principio di funzionamento dello
spettrometro magnetico per He4.
Uso del cercafughe a spettrometro magnetico di massa per elio.
I metodi principali per misurare una perdita con uno spettrometro a
deflessione magnetica sono due. Nel primo il sistema da provare è pressurizzato con
l’elio, nel secondo è messo sotto vuoto.
Nel primo metodo, dopo aver introdotto nel sistema elio ad una pressione
superiore ad 1 atmosfera, si collega al cercafughe una sonda detta annusatore
(sniffer). Si tratta in pratica di un capillare connesso al sistema da vuoto del
cercafughe attraverso il quale è aspirato l’elio che fugge via dal punto del pezzo
(mantenuto in pressione) dove è localizzata la perdita.
74
Se non siamo interessati alla localizzazione della perdita, possiamo procedere
ponendo il sistema, sempre pressurizzato con elio, in una camera da vuoto più
grande. Questa ultima, dopo essere stata ben chiusa, è posta sotto vuoto per mezzo del
cercafughe stesso. In tal modo si possono analizzare le molecole di gas residuo
presenti nella camera più esterna. Se il componente presenta perdite, il cercafughe dà
la misura totale dell’entità della perdita senza fornire alcuna informazione della sua
localizzazione (metodo globale).
Esiste poi il secondo metodo che consente di localizzare perdite sino a 10-12
mbar lt/s. Il sistema da provare è posto sotto vuoto tramite il cercafughe mentre l’elio
è spruzzato esternamente tramite un diffusore. Tale metodo è chiamato in gergo lo
spraying test. Discutiamo ora più in dettaglio questi metodi.
Lo sniffing test.
L’attrezzatura richiesta per il test con l’annusatore è un cercafughe dotato
dello sniffer. Lo sniffer è collegato da un lato alla pompa del cercafughe, mentre la
parte sensibile è aperta verso l’atmosfera attraverso un orifizio calibrato che consente
un flusso d’aria (e d’elio) nella sonda. La quantità di gas che passa nello sniffer è
determinata dalle dimensioni della bocca dell’orifizio.
Dopo che il pezzo da testare è stato messo in pressione con elio, lo sniffer è spostato
intorno alla zona in cui potrebbero essere delle perdite. L’aria dell’ambiente
circostante e l’elio uscito dalla perdita sono attirati attraverso lo sniffer e raggiungono
il cercafughe attraverso il tubetto di collegamento.
La sensibilità di questo metodo è limitata dalla concentrazione di elio presente
nell’atmosfera pari a 5 ppm (parti per milione). Deduciamo la pressione parziale
dell’elio moltiplicando la pressione atmosferica p per la concentrazione
pHe = 5 10-6 p
Il flusso entrante nello sniffer dipende dalla velocità di pompaggio efficace per l’elio
3
SHe. Nel caso in cui si ha SHe = 1 cm /s, il valore del rumore di fondo dello strumento
è
-6
QHe = PHe SHe = 5x10 mbar lt/s
Notiamo inoltre che l’impiego di un annusatore con un orifizio di sezione prefissata
garantisce che il rumore di fondo sia stazionario e che il tempo di risposta sia fissato.
La sensibilità è proporzionale alla velocità di pompaggio, ma scegliendo un valore più
basso di SHe si allunga il tempo di risposta dello strumento perché l’elio raggiunge più
lentamente la cella spettrometrica all’interno del cercafughe.
L’intervallo di tempo necessario per avere un segnale di misura dal cercafughe dopo
che l’elio è entrato in uno sniffer standard con un tubetto di collegamento di qualche
metro, è dell’ordine del secondo. La velocità con cui l’annusatore è spostato intorno al
pezzo in prova, la distanza dal pezzo stesso sono aspetti critici del test. Più la sonda è
vicina alla perdita, maggiore è la quantità d’elio che entra nel cercafughe. Viceversa,
più veloce è il movimento dell’operatore, più piccola sarà la quantità d’elio aspirata.
Ciò significa che lo sniffing test mal si presta per prove quantitative, ma è in grado
solamente di segnalare localmente una perdita. Se ci limita a verificare che la perdita
complessiva della parte da esaminare deve essere al di sotto di un valore di soglia ben
determinato (vincolante per la sua funzionalità), è necessario utilizzare un metodo di
75
test globale. Questo perché il pezzo potrebbe perdere in più punti e la perdita totale,
somma delle fughe locali, potrebbe superare il valore di soglia impostato.
Metodo globale (global hard vacuum test)
Nel metodo in vuoto il pezzo, pressurizzato con elio, è posto in una camera a
tenuta di vuoto, che è quindi evacuata. Una volta raggiunto il valore di vuoto
desiderato, la valvola d’ingresso del cercafughe è aperta ed ogni molecola d’elio che
sfugge dal pezzo è convogliata e misurata nel cercafughe. Al contrario dello sniffing
test, l’hard-vacuum test è un metodo globale, che definisce quantitativamente la
perdita totale del pezzo, ma che non ne determina la posizione. In molte applicazioni
industriali, per raggiungere in tempi accettabili il livello di vuoto nella camera di test,
è necessario l’impiego di un gruppo per vuoto ausiliario. Il dimensionamento del
gruppo per vuoto è funzione di diversi parametri, quali l’entità della perdita, le
dimensioni del pezzo da testare ed il tempo di ciclo d’ogni test. Per eseguire
correttamente un test con questo metodo sono necessari dunque tre elementi: il
cercafughe, la camera di test, il gruppo vuoto ausiliario. Questi pezzi devono essere
collegati tra loro e costituiscono un impianto di collaudo. In funzione della
complessità del test e del grado d’automazione richiesto, possono essere realizzati
differenti impianti di collaudo dai più semplici ai più elaborati. Lo sniffing test
richiede soltanto un cercafughe e l’abilità dell’operatore, l’hard-vacuum test richiede
attrezzature più complesse e costose ma limita enormemente l’incidenza del fattore
umano.
Se la parte da provare è molto piccola od è impossibile realizzare una
connessione per introdurre l’elio, il test di tenuta deve prevedere una fase preventiva
detta bombing. In questa fase, il pezzo è posto in una camera opportuna nella quale si
realizza un’alta pressione d’elio. In questo modo le particelle d’elio, se vi è una
perdita, entrano nel pezzo che in una fase immediatamente successiva sarà quindi
trasferito in una camera di test del tutto analoga al caso precedente. La fase di
trasferimento richiede una certa attenzione perché va evitato che l’elio presente in
gran quantità nella camera di bombing possa “inquinare” la camera di test, inoltre il
pezzo non deve avere una geometria tale da intrappolare elio in cavità o parti che non
devono essere verificate.
Metodo ad accumulo.
Il metodo ad accumulo è un sistema per utilizzare lo sniffer per determinare
una misura globale e quantitativa della perdita di un pezzo. Questo metodo consiste
nel pressurizzare con elio un pezzo e nel disporlo in seguito in un contenitore a tenuta
d’aria. Noto il volume d’accumulo (il volume libero tra contenitore e pezzo),
attraverso lo sniffer si convoglierà la quantità d’elio somma delle diverse perdite del
pezzo ed il cercafughe ne darà una misura globale. Sebbene il pezzo sia in un
contenitore a tenuta d’aria, l’aria che occupa il volume d’accumulo rimane a pressione
atmosferica, (non si deve fare il vuoto nello spazio libero). Questo metodo ha però
diversi limiti ed in pratica s’impiega in applicazioni particolari in cui si devono
rilevare grosse perdite (ad esempio in pezzi di fusione) o perdite medie in piccoli
componenti (ad esempio le valvole per liquidi). I fattori penalizzanti sono il volume
d’accumulo e l’entità della fuga. Più grande è il volume d’accumulo, maggiore è il
tempo per verificare e misurare la perdita. L’entità della perdita e la sensibilità
76
dipendono dal volume libero e dal tempo disponibile per il test ed il limite di tale
metodo è deducibile dalla seguente formula
∆pHe = (QHe ∆tacc)/V,
dove ∆pHe è l’incremento della pressione parziale dell’elio, QHe è la portata d'elio che
esce dal pezzo in pressione, ∆tacc è il tempo di accumulo e V è il volume libero.
Spraying Test
Questo metodo consente di individuare con buona approssimazione la zona
della fuga del pezzo da testare. E’ l’unico metodo in cui il pezzo è messo sotto vuoto
e collegato direttamente al cercafughe, mentre l’elio è spruzzato nel suo intorno con
un diffusore. Questo tipo di test è impiegato laddove è necessario localizzare perdite
anche molto piccole, QHe > 10-12 atm. cm3 /s, perché non presenta il limite di
sensibilità del test con sniffer dovuto alla presenza dell’elio nell’atmosfera. Presenta
però un limite di tipo operativo, in quanto l’ambiente di lavoro, se non è ben ventilato,
tende a saturarsi di elio e quindi risulta difficile localizzare la perdita (la prova si
trasforma quasi in un test globale). È comunque un tipo di test che trova molti
impieghi nel settore della ricerca, ma molto meno nel settore industriale dove vanno
eseguiti controlli in serie o su linee di montaggio.
Lo spettrometro di massa a quadrupolo
Una soluzione alternativa allo spettrometro descritto sinora è uno strumento
che separa gli ioni in virtù della presenza di un campo elettrico a geometria
quadrupolare (spettrometro di massa a quadrupolo). Esso ha il vantaggio di rilevare
anche altri gas, ma è nettamente più costoso rispetto alla cella spettrometrica a
deflessione magnetica.
Questo analizzatore è costituito da quattro barre metalliche parallele, due caricate
elettricamente a potenziale positivo e due a potenziale negativo (il quadrupolo) come
schematizzato qui di seguito. Ad esse è applicato un potenziale
+ UDC + Vo cos(w t)
dove UDC e' una tensione continua a cui si somma una tensione sinusoidale di
ampiezza Vo e pulsazione w (la frequenza tipica w/2 p è dell'ordine di 100 MHz).
Gli ioni provenienti dallo ionizzatore attraversano il quadrupolo parallelamente alle
barre con una traiettoria oscillante e per un dato valore dei potenziali solo gli ioni con
un singolo valore del rapporto M/q raggiungono il rivelatore (ioni in risonanza), tutti
77
gli altri ioni, aventi valori maggiori o minori di M/q, vanno a collidere sulle barre
(ioni fuori risonanza). La scansione di uno spettro di massa si ottiene facendo variare
simultaneamente VDC e Vo , mantenendo costante il loro rapporto.
78
BIBLIOGRAFIA
1) M. W. Zemansky, Calore e Termodinamica, Zanichelli (1970)
2) E. Fermi, Termodinamica, Boringhieri (1972)
3) P. Fleury, J. P. Mathieu Calore, Termodinamica Stati della Materia, Zanichelli
(1968)
4) C. Mencuccini, V. Silvestrini, Fisica I - Meccanica e Termodinamica , Liguori
Editore – Napoli ( 1987)
5) A. Roth, Vacuum technology, Elsevier North Holland Inc. (1978)
6) A. Guthrie, Vacuum Technology, John Wiley & Sons (1963)
7) M. Bertolotti, T. Papa, D. Sette, Metodi d’Osservazione e Misure, Virgilio Veschi
Editore - Roma (1968)
8) E. Acerbi, Metodi e Strumenti di Misura, CittàStudi Edizioni s.r.l. – Milano (1999)
9) B. Ferrario, Introduzione alla Tecnologia del Vuoto, edizione riveduta da A.
Calcatelli, Patron Editore – Bologna (1999)
79