PARTE CLINICA Bio-anatomia delle vie ottiche Giuseppe Carella · Luigi Cavanna · Egidio Carella · Angelica Cerulli · Giovanni Peretto Introduzione “We are highly visual creatures” Charles Darwin “La morfologia è l’immagine plastica della funzione” Angelo Ruffini Per comprendere compiutamente le sofisticate finalità strutturali della grande via sensitiva attorno alla quale si è costruita nei millenni la civiltà dell’uomo, bisogna cercare di capirne la progettazione. È necessario allora risalire all’origine della luce e degli esseri elementari che da essa traggono letteralmente la vita. L’architettura delle vie ottiche segnano, passo per passo, l’evoluzione degli organismi viventi sul pianeta, ampliandosi, modificandosi, adattandosi sulla spinta di una prospettiva teleologica condizionata da circostanze peristatiche e dall’enorme implementazione delle informazioni sensoriali. Prospettiva sempre in bilico, parafrasando Jaques Monod, tra il caso e la necessità. Vedere è molto di più che percepire gli stimoli luminosi, le stupefacenti strutture della via ottica ne sono la esplicita attestazione materializzata. Si rendono perciò indispensabili i riferimenti retrospettivi o paralleli alla filogenesi, ontogenesi, organogenesi, anatomia comparata; discipline tutte che troppo spesso sfiorano appena i giovani nei banchi dell’Università, lasciando un sottile 26 PARTE CLINICA senso di nostalgia per le scienze biologiche pure in chi, ha poi intrapreso un più pragmatico e meno soffice indirizzo clinico. Non ci sembrano perciò mal spesi tali riferimenti propedeutici, specie se appena abbozzati. Come non ci sembra uno sterile ed irrichiesto esercizio il seguire, per grandi cenni, l’evoluzione del pensiero scientifico sul tema, percorso peraltro illuminato dai nomi più prestigiosi della storia della conoscenza. Pensiamo, anzi, che i quadri di bio-anatomia che oggi l’imaging consente e che consegneremo alla vostra attenzione, possano guadagnare in vivezza interpretativa ed acquistare un retrogusto culturale, che ci auguriamo gradevole. Solo con la comparsa della luce sulla terra, la biologia potrà scrivere la prima pagina della vita. Il “fiat lux” quindi, fu il fiat vita della Creazione. Tutto ciò incominciò ad accadere nell’era Archezoica, quando ogni essere vivente iniziò ad imparare ad interagire con la luce dalla quale era nato. Dapprima organizzando siti foto-sensoriali (figura 1) che servivano da recettori di impulsi per risposte elementari e stereotipate, e poi strutturando sistemi e percorsi sempre più complessi atti non solo a registrare, ma ad articolare, elaborare ed integrare l’energia luminosa: le vie ottiche. In alcuni protisti unicellulari, il corpo della cellula è differenziata in due poli opposti: uno distale, dove si organizzano specializzazioni cuticola- ri adatte alla ricezione dello stimolo l’altro prossimale che si prolunga in un filamento protoplasmatico che si può considerare la più semplice espressione di fibra nervosa. Questa può collegarsi con una seconda cellula, configurando così un sistema dove il primo corpo cellulare assume il ruolo di ricettore ed il secondo la funzione di effettore dello stimolo, a lui trasferito dalla fibra di interconnessione. Se poi un terzo elemento cellulare si inserisce tra i precedenti, assumendo il ruolo di trasformare lo stimolo ricevuto dalla prima cellula, prima di trasmetterlo alla seconda, si può in esso riconoscere il primo rudimento di sistema nervoso che consente la realizzazione di un arco riflesso completo. Già nei celenterati più infimi, quali le idromeduse o nelle amebe, si individua il disegno di vie ottiche rudimentali. Le cellule di senso sono situate in superficie nell’epitelio;le ganglionari, allogate al di sotto di questo, collegano le prime con gli organi reagenti centrali. Salendo la scala zoologica, si assiste vieppiù alla cefalizzazione del cervello ed alla periferizzazione degli organi visivi di senso ad esso connessi. Questo grazie alla segmentazione metamerica del corpo. Le reazioni che la luce determina in tutti gli organismi viventi, dai più elementari ai più complessi, costituiscono una delle più entusiasmanti osservazioni scientifiche di ogni tempo. La sua influenza sul movimento è un fenomeno tra i più appariscenti e conosciuti: il fototropismo FOTONE La eccitabilità di una cellula determina in essa una serie di risposte, attraverso un macchinario molecolare che le è proprio. Il risultato sarà la generazione di un impulso bio-elettrico cioè un segnale stereotipato, a velocità finita, estremamente propagabile Figura 1 Luce su biostrutture primo arco riflesso Bio-anatomia delle vie ottiche (φοτοζ = luce τρεποζ = direzione) degli organismi sessili, specie vegetali, che si voltano verso il sole; la fototaxis (ταξιζ = movimento traslatorio) di certi organuli che corrono verso la luce; la fotokinesi = φοτοκινεσιζ = movimento acceleratorio) di altri, che sollecitano il loro abituale comportamento motorio in presenza e direzione di una fonte luminosa di alcuni insetti e molluschi, che si orientano verso la luce con un angolo di incidenza costante (angolo α), configurando spirali sorprendentemente logaritmiche. È di comune osservazione che altri insetti si gettano irresistibilmente verso sorgenti luminose incandescenti suicidandosi. Il prodigioso senso di orientamento degli uccelli (navigational sense) nelle loro trasmigrazioni, a volte intercontinentali, è dovuto al fatto che il loro sistema visivo usa le sorgenti di luce naturali (sole, stelle di prima grandezza) come un compasso geografico che consegna loro infallibili coordinate di direzione. Jacques Loeb (1859-1924), il Linneo del regno animale, sostiene addirittura che tutti gli esseri viventi sono sostanzialmente macchine chimicomeccaniche azionate dalla energia della luce. Il biologo di Wurzburg, da buon tedesco, afferma che il movimento di un animale è coordinato Figura 2 Foraminifero Copilia quadrata: via ottica primitiva dalla differenza quantitativa di stimolo luminoso tra i due occhi, per cui si attiverebbero solo gli apparati locomotori di un emi-soma, determinando così lo spostamento automatico verso una direzione obbligata. Un’altra grande influenza che la luce esercita su ogni cosa che abbia vita è il fotoperiodismo, cioè un ritmo biologico a cui ogni essere vivente, uomo incluso, deve sottostare, modulando il suo comportamento durante le stagioni e, sopratutto, nell’arco del giorno, con un eterno bilanciamento tra il dì e la notte. Alle origini della vita i bioritmi venivano regolati non dalla luce, ma dalla temperatura del pianeta. Alla fuoriuscita dallo stagnante mare caldo del Paleozoico, per guadagnare la terra, gli organismi viventi hanno subito per milioni di anni il dramma esistenziale delle radicali variazioni termiche, tra il giorno torrido (in cui tutte le attività metaboliche erano esaltate) e la gelida notte (durante la quale i processi energetici venivano drasticamente ridotti). Solo alcune specie di anfibi, rettili ed uccelli sono riuscite a sviluppare la condizione di omeotermia, mentre gli animali pecilotermi (ad esempio i grandi sauri) si sono estinti. Con il raffreddamento del pianeta e la conseguente variazione della sua atmosfera, il 27 28 PARTE CLINICA ritmo biologico venne orchestrato non più dalle alternanze termiche, ma della luminosità. Le vie visive quindi diventarono il tramite fondamentale per la sopravvivenza e non stupisce quindi che queste si siano evolute, adattate e sempre più specializzate nei millenni (figura 2). È noto che nei mammiferi superiori, la crasi ematica (emoglobina, ematocrito, proteine plasmatiche) subisce variazioni significative nel corso del nictemero, come pure la temperatura corporea. Nell’uomo si rileva eosinopenia nelle prime ore del mattino, mentre negli animali notturni invertebrati si ha eosinofilia. Le mitosi cellulari sono particolarmente esaltate nel periodo di riposo (curiosamente le cellule neoplastiche non obbediscono a questa legge). L’oftalmologo d’altra parte sa che l’oftalmotono subisce variazioni nell’arco nictemerale. Gli intimi meccanismi che regolano questi bioritmi scanditi dalle condizioni di luce non sono, a tutt’oggi, soddisfacentemente acclarati. Si suppone che, verosimilmente, l’asse diencefalo-ipofisario moduli le condizioni neuro-ormonali dell’animale, sull’informazione degli stimoli luminosi che pervengono ai suoi centri superiori attraverso le vie ottiche. Per quanto riguarda gli animali inferiori, è noto sin da Aristotele (384-322 a.C.) che i loro cicli riproduttivi sono strettamente correlati alle condizioni di luce che ne stimolano le gonadi. Le grandi migrazioni stagionali degli uccelli, non hanno sostanzialmente altro scopo che quello di portare le coppie in luoghi dove la luce è tale e tanta da poter essere convenientemente veicolata attraverso le vie ottiche ai centri neuro¬endocrini, la cui attività garantisce la conservazione della specie. Da ultimo va segnalata l’influenza delle radiazioni luminose sulla distribuzione dei pigmenti ai vari livelli, da quello cutaneo a quello retinico. La dispersione pigmentaria nella fase diurna e la concentrazione in quella notturna, obbedisce alle leggi di un bioritmo finalistico che intende affievolire e proteggere le funzioni durante il periodo di riposo. Profilo storico generale La storia delle vie ottiche corre ovviamente nell’alveo di conoscenza delle scienze mediche ed in particolare della neuro-anatomia e della oftal- Figura 3 Occhio di Horus. Dio egizio simbolizzato, il cui occhio ferito dal fratello Seth fu guarito da Toth, medico di Corte, verosimilmente considerato il primo oculista della storia Figura 4 Periodo egizio. Non essendo considerato il cervello sede di importanti funzioni, tutte baricentrate a livello cardiaco, verosimilmente al fine di evitare un gesto altamente profanatorio e non scomporre la fisionomia conseguente ad una grossolana craniotomia, attraverso le cavità nasali si raggiungeva la massa encefalica, che veniva scomposta e “poltigliata” per poter essere poi aspirata dalla via d’ingresso Bio-anatomia delle vie ottiche Figura 5 Papiro di Ebers, 1550 a.C. Prende il nome dal suo acquirente, l’inglese John Ebers, che lo comprò a Tebe nel 1873. Lungo 20 metri e largo 20 centimetri e suddiviso in 108 pagine, è databile alla XVII dinastia egizia nel regno di Amenhotep. Si rilevano osservazioni prevalentemente bulbari con accenno ad un “peduncolo posteriore”. Conservato al Museo dell’Università di Lipsia mologia, ma con percorsi cronologici abbastanza differenziati. Le origini della scienza oftalmologica sono avvolte nella leggenda e ci rimandano all’antico Egitto di 5000 anni fa. La tradizione indica il medico egizio Thot come il primo oculista della storia: fu lui, infatti, come vuole la leggenda, a guarire l’occhio di Horus (figura 3), il dio sparviero ferito dal fratello Seth. L’Oftalmologia, al pari di altre branche della Hammurabi (1792-1750 a.C.). Il nome del re babilonese deriva dall’amorreo Amnu che significa “guarire” Medicina, nasce e si sviluppa in Egitto, come testimoniano dipinti, bassorilievi, oggetti scoperti nelle tombe dei faraoni (figura 4), ma soprattutto, i papiri più famosi. Quello di Ebers (1500 a.C.) (figura 5) è il più ricco di notizie oftalmologiche: gli oculisti egiziani, come Pepi Ankh Ri, Medu Nefere, Khuy, erano noti in tutto il mondo allora conosciuto. Nella stessa epoca, l’oftalmologia si sviluppava nel medio oriente, in Mesopotamia, come ricordato in alcuni paragrafi della stele del codice di Hammurabi (1792-1730 a.C.) (figura 6). Dall’Egitto e dalla Mesopotamia, attraverso la Scuola alessandrina, le conoscenze di oftalmologia vengono trasferite in Grecia e successivamente ai romani, alla Gallia e, grazie ai medici arabi, giungeranno all’occidente in epoca medioevale. Le prime notizie fondate sulla concezione anatomica delle vie ottiche risalgono alla civiltà ellenica ed in particolare ai pensatori ionici del VI secolo avanti Cristo. Il primo riferimento storico si riscontra negli scritti di Alcmeone, medico di Crotone vicino alla Scuola pitagorica, vissuto nel 500 a.C.. Egli, per primo, affermò l’esistenza di una connessione tra nervo ottico e cervello, e formulò la teoria, allora rivoluzionaria, secondo cui era il cervello (e non il cuore) l’organo centrale delle Stele Testo Figura 6 Codice di Hammurabi. È il primo codice organico di 300 leggi che riguardano diversi ambiti della vita sociale. Tra queste vengono illustrate le più conosciute malattie oculari ed i relativi provvedimenti terapeutici 29 30 PARTE CLINICA V secolo a.C. Due tonache, nervo ottico centrale tubulare, un solo umore IV secolo a.C. Tre tonache, nervo ottico eccentrico, tronchi vascol. polari, un solo umore III secolo a.C. Due camere: vuota anteriore e vitrea posteriore. Cristallino centrale nel vitreo II secolo a.C. Tre camere: anteriore, post. vitrea. Cristallino anteriorizzato, congiuntiva, musc. estrinseci Figura 7 Periodo ellenico facoltà sensitive e motorie. Il nervo ottico descritto da Alcmeone consisteva in un tubo cavo in cui lo “pneuma” (figura 7 a, b, c, d) circolante nell’occhio, considerato come il principio della visione, fluiva dal cervello. Una descrizione grossolanamente più dettagliata dell’organo della visione ci è trasferita dalla Scuola atomistica, che aveva in Leucippo di Mileto (440 a.C.) ed in Democrito di Abdera (460-370 a.C.) i suoi maggiori esponenti. A Democrito è attribuita la prima descrizione del bulbo oculare, da lui concepito come una struttura relativamente semplice, costituita da due strati: uno esterno, la sclero-cornea, ed uno interno, la corio-retina; in essi fluiva un umore omogeneo convogliato da un condotto, il nervo ottico, in accordo con la teoria di Alcmeone. Non vi è, a quell’epoca, una neppure approssimativa concezione delle vie ottiche poste distalmente al nervo ottico. Nel 460 a.C, nasce a Kos Ippocrate, e con lui la vera scienza medica, in quanto veniva sostituito alla superstizione ed alle leggende un metodo descrittivo-empirico, volto alla ricerca delle cause naturali delle malattie. Se Ippocrate è universalmente considerato il padre della Medicina, Aristotele (384-322 a.C.) è considerato il fondatore della Storia Naturale e della Anatomia Comparata. Il grande filosofo di Stagira, basandosi su studi anatomici (dissezioni di occhi animali), fornì la più completa descrizione, per l’epoca, della anatomia macroscopica oculare. L’occhio era descritto come una sfera costituita da tre strati intimamente giustapposti l’uno sull’altro, e riempita da un fluido omogeneo, connesso con il cervello da tre tubi cavi, uno dei quali in collegamento con l’occhio controlaterale. In questa descrizione si possono probabilmente riconoscere nuove strutture anatomiche quali il nervo trigemino, i vasi oculari, il chiasma ottico. In epoca romana, sia Rufo di Efeso che Cornelio Celso (25 a.C.-50 d.C.), diedero nei loro scritti una descrizione più sistematica del sistema nervoso centrale e delle connessioni oculo-cerebrali attraverso il nervo ottico. Tali descrizioni non aggiungono però nulla di nuovo rispetto alle concezioni greche, sembrando essere una mera rielaborazione di testi già conosciuti. In epoca imperiale, Claudio Galeno di Pergamo (131-201 d.C.) (figura 8), considerato, con Ippocrate, il più grande medico dell’antichità, descrisse il nervo ottico come una struttura cava ed anch’egli sostenne che proprio nel nervo ottico scorrevano gli “umori” in eccesso, causa delle malattie oculari. Se questa concezione anatomica ricalca le teorie tradizionali, a Galeno si deve una teoria della fisiologia della visione del tutto nuova e, sebbene molto lontana dalla realtà, destinata a rimanere pressoché inalterata per Bio-anatomia delle vie ottiche Figura 8 Claudio Galeno Figura 9 Periodo arabo. Rhazes (865-925 d.C.) molti secoli. Egli riteneva che la retina fosse un’espansione del nervo ottico deputata a nutrire il corpo vitreo, il quale a sua volta era il sostegno trofico del cristallino; proprio il cristallino era considerato come l’organo essenziale della visione (divinum oculi): in esso si formavano le sensazioni visive, e da esso venivano inviate verso gli oggetti da cui ritornavano al cristallino, per essere condotte lungo il nervo ottico al ventricolo laterale omolaterale, ritenuto la sede dell’anima. I nervi ottici non subivano una decussazione a livello di un chiasma, ma erano semplicemente accostati e collegati in modo che lo “spirito visivo” di emanazione cerebrale, potesse distribuirsi ai due occhi così da ottenere una visione binoculare singola; se un occhio era danneggiato o perso, la capacità visiva dell’altro veniva aumentata. Solamente nell’undicesimo secolo, Ibn Rushd (Averroè) (1126-1198) (figura 9), dotto arabo iberico, filosofo e medico, sostenne che fosse la retina, dotata di fotorecettori, e non il cristallino, la sede di origine delle sensazioni visive, convogliate al cervello dal nervo ottico cavo. Anche Averroè che, per dirla con l’Alighieri, “il gran commento feo”, tuttavia, non postulò l’esistenza di altre strutture anatomiche relative alle vie ottiche. Durante il Rinascimento, Leonardo da Vinci (1452-1519) (figura 10), avvalorando in gran parte le teorie di Galeno, descrisse la struttura cava del nervo ottico in collegamento non con il ventricolo laterale, ma con il centrale dei tre ventricoli, sede (secondo la cultura medioevale) delle tre principali facoltà mentali (“cellula phantastica” per la percezione, “cellula logistica” per la ragione, “cellula memorialis” per la memoria). Leonardo introdusse una concezione fisiologica del meccanismo della visione di grande progresso. Abbandonando il concetto del cristallino organo principale della visione, egli concepì e disegnò la luce provenire dall’esterno, passare attraverso la pupilla, compiere una dop- Figura 10 Leonardo, 1490. Nervo ottico tubulare, emergente al polo posteriore. Vescicole cerebrali: sensazione, percezione, elaborazione 31 32 PARTE CLINICA pia refrazione nella parte mediana del bulbo a livello del cristallino, e cadere direttamente sulla parte posteriore del globo oculare in corrispondenza dell’emergenza del nervo ottico. Leonardo, dunque, spostò l’attenzione sulla retina ed suoi fotorecettori, ritenendo per primo, nella cultura occidentale, che questa struttura fosse la sorgente della visione. Nello stesso periodo, Gregor Reisch (figura 11) consegnò la sua memorabile concezione delle 3 “facultates” memo-percettive. Fu il medico ed anatomista belga Andrea Vesalio (1514-1565), grazie ad accurate dissezioni, a dubitare dell’esistenza di una cavità all’interno dei nervi ottici; Vesalio descrisse nervo ottico e chiasma; struttura anatomica, quest’ultima, forse dotata di una cavità interna e dove, comunque, le vie ottiche non si incrociavano, ma erano apparentemente collegate. Bartolomeo Eustachi (1500-1574), contemporaneo di Vesalio, non mise in discussione la cavità dei nervi ottici; tuttavia a suo merito va ascritta l’ipotesi che l’origine di tali nervi fosse la porzione posteriore del talamo e non le pareti dei ventricoli cerebrali. Nel secolo successivo, Cartesio (1596-1650) (figura 12) finalmente smentì l’inveterata concezione del nervo ottico come struttura tubula- Figura 12 René Décartes, 1664. Les voies visuelles. Figura 11 Gregor Reisch (margarita philosophica, 1503) Le tre cavità cerebrali, senso percettive re cava. Nel suo “Discorso sul Metodo” (1637), riprese la teoria dell’’origine delle vie ottiche dai ventricoli laterali e descrisse le fibre del nervo ottico decorrere parallele senza decussarsi al chiasma, per terminare in punti omologhi della retina. Le retine, stimolate dalla luce, liberavano “spiriti visivi” che seguivano le vie ottiche fino ai ventricoli e da qui venivano trasmessi alla ghiandola pineale, ritenuta la sede dell’anima. A livello epifisario, le impressioni visive monoculari si miscelavano per formare una singola immagine Bio-anatomia delle vie ottiche visiva binoculare, depositata poi nel cervello come substrato mnemonico. Sempre nel ’500, Vesalio e Varolio descrivono la faccia inferiore dell’encefalo dove si rilevano chiari decorsi delle vie ottiche. Thomas Willis (1621-1675), scopritore del circolo anastomotico arterioso cerebrale che porta il suo nome, ebbe il merito di fornire una più dettagliata descrizione delle vie ottiche chiasmatiche e retro-chiasmatiche allora conosciute. Egli sottolineò l’origine anatomica dei nervi ottici (ormai considerati come solidi fasci di fibre) dal talamo ottico, dove si riteneva terminassero le vie ottiche. William Briggs (1650-1704) (figura 13), professore a Cambridge ed al St. Thomas Hospital di Londra, ripropose lo schema anatomico disegnato da Willis e per primo descrisse la convergenza retinica delle fibre ottiche sulla papilla. Gli anatomisti Zumbo, Pinson, Celenzuolo ed ancora lo stesso Briggs evidenziarono il fatto che le fibre ottiche, indecussate al chiasma, sembravano avere origine da due protuberanze del talamo ottico (i corpi genicolati). Questa regione anatomica venne considerata come la sede della sensazione visiva, originata dalle vibrazioni retiniche indotte dalla luce, e trasmesse dalle fibre ottiche che vibrerebbero in sintonia. La ricerca anatomo-funzionale sulle vie ottiche subì una fase di stasi che durò oltre un secolo. Figura 13 William Briggs, 1650 Solo Raymond Vieussens (1641-1716) ipotizzò l’esistenza di una via ottica retro-talamica. È merito di Jean Pierre Marie Flourens (17941867) l’aver fornito la dimostrazione che l’ablazione selettiva di alcune parti della corteccia cerebrale influiva sulla funzione visiva e che, pertanto, il talamo non era la sola sede della percezione visiva; le vie ottiche non potevano finire nel talamo, ma dovevano continuare fino alla corteccia cerebrale. Parallelamente presero luce i risultati delle ricerche di Gautier d’Agoty (1775) e Tarin (1750). Diversi studiosi antecedenti a Flourens, come Gennari (1782), Vicq d’Azyr (1786-89) e Reil (1809-12) avevano individuato numerose strutture anatomiche all’interno dell’encefalo, descrivendo sempre più dettagliatamente i sistemi di fibre cerebrali grossolanamente osservati dal Willis: per primo Reil individuò il sistema genicolo-calcarino, senza però dame una interpretazione funzionale. Fu Pierre Gratiolet (1833-1892) (figura 14), professore di anatomia alla Sorbona, a delimitare ancor più dettagliatamente la connessione anatomica genicolo-corticale, descrivendo le radiazioni omonime sopratutto nella parte posteriore, mentre Theodor Meynert (1833-1892) (figura 15) precisò il loro decorso nella porzione anteriore. Ma il pioniere della moderna ricerca anatomica in questo campo può essere considerato Bernhard Aloys Von Gudden 33 34 PARTE CLINICA (1824-1886) che, attraverso minuziose indagini condotte su sottili sezioni di tessuto cerebrale ottenute con microtomia fine, dimostrò inconfutabilmente la parziale decussazione delle fibre ottiche nel chiasma, già ipotizzata da Isaac Newton nel ‘700 e William Hyde Wollaston (figura 16) nell’800. Egli inoltre descrisse la commessura ottica superiore ed il tratto peduncolare trasverso, strutture anatomiche oggi denominate con i suoi eponimi. Infine, fu tra i primi a far luce sulla complessa organizzazione anatomo-funzionale del talamo, osservando la degenerazione selettiva retrograda dei suoi nuclei dopo distruzione sperimentale di aree circoscritte di corteccia cerebrale. Le scoperte di Von Gudden furono avvalorate dalle ricerche di Palli Emil Flechsig (18471929), che condusse un esauriente studio sulla mielinogenesi dei sistemi di fibre corticali. Osservando che il processo della mielinizzazione avviene in diversi momenti della vita fetale e coinvolge cronologicamente sistemi ben precisi di fibre, Flechsig riuscì a suddividere la corteccia cerebrale in aree sensitivo-motorie ed in aree associative. Basandosi sul dato che il sistema delle fibre sensoriali visive al polo occipitale era il primo a circondarsi di mielina, esaminò le radiazioni ottiche di Gratiolet per dimostrare Figura 15 Theodor Meynert (1833-1892). 1858, prima descrizione della laminazione corticale Figura 14 Pierre Gratiolet (1815-1865). Professore di anatomia a Parigi, descrisse nel 1856 la connessione genicolo-corticale, a cui diede il nome. Illustrazione dalla copertina di “memoires de la Société Française d’Anthropologie” come tali fibre terminassero nella corteccia occipitale, in una regione circoscritta denominata “area striata” da EIlit Smith (1904). Nello stesso periodo in cui si attuava la sistematizzazione anatomo-topografica delle vie ottiche posteriori ricerche parallele venivano dedicate Figura 16 William Hyde Wollaston (1766-1828). Chimico di Cambridge, ipotizzò la parziale decussazione chiasmatica delle fibre ottiche, studiando su se stesso una forma intermittente di emianopsia omonima, divuta ad un tumore talamico di cui morì Bio-anatomia delle vie ottiche alle vie ottiche anteriori, Otto Deiters rivendicava assertivamente la individualità morfo-funzionale del neurone (1865) e Vicq d’Azyr distinse le fibre visive retro-chiasmatiche come “tratto ottico”, suddividendo la parte extracerebrale delle vie ottiche nelle porzioni a cui ancora oggi si fa riferimento. Nell’ultima parte del XIX secolo, vari studiosi stabilirono rigorosamente le connessioni tra le terminazioni dei nervi ottici e le tre principali stazioni sotto-corticali del sistema visivo (pulvinar talamico, corpo geni colato laterale ed collicolo superiore). Salomon Henschen (18471930) e Mieczyslaw Minkowsky (1884-1934), dimostrarono la struttura lamellare del corpo genicolato laterale e la connessione ordinata di questi strati con le terminazioni delle fibre dei tratti ottici. Nel febbraio del 1904, Friedrich Dimmer (figura 17), dimostrando la connessione delle fibre ottiche ascendenti al corpo genicolato laterale ed, in piccola parte, al collicolo superiore, negò l’arresto di queste stesse fibre al talamo vero e proprio, come fino ad allora la scienza ufficiale supponeva. In questo modo la topografia generale delle vie ottiche veniva anatomicamente stabilita; gli ulteriori progressi si sarebbero limitati allo studio della cito-tettonica corticale più fine e delle aree associative, grazie al miglioramento delle tecniche di conservazione dei tessuti e di osservazione dei preparati istologici (connessione talamo-corticale di Von Monakov nel 1910). Alla fine del XIX secolo, ed ancor più negli anni successivi, l’attenzione dei ricercatori si trasferì dalla anatomia vera e propria del sistema visivo alla sua organizzazione funzionale: sono state definite la rappresentazione corticale delle fibre ottiche, la funzione del giro angolare nei movimenti di deviazione coniugata dello sguardo, l’esistenza di cecità psichica in seguito a lesioni di aree corticali non occipitali, la possibilità di differenti tipi di anopsie in rapporto alle diverse sedi di lesione. All’inizio del XX secolo è stata precisata l’attuale rappresentazione retinotopica nelle vie ottiche e la distribuzione assonomica delle fibre ottiche nei vari segmenti. Dalla metà del ‘900, la micro-anatomia, l’elettrofisiologia e la citochimica si sono fuse in un prodigioso insieme finalistico di ricerche che ha aperto prospettive radicalmente innovative. È in queste prospettive che si stanno scrivendo le nuove pagine della storia delle vie ottiche, i cui temi continueranno a mobilitare i protagonisti più illuminati delle scienze bio-mediche. Filogenesi delle vie ottiche Figura 17 Friedrich Dimmer (1855-1926). Nel febbraio 1904, dimostrò la connessione delle fibre ottiche ascendenti con il corpo genicolato laterale, negando l’arresto delle stesse al talamo, come era sino ad allora supposto dalla scienza ufficiale Quando, nel 1865, Ernst Haeckel stabiliva.che la ontogenesi (ον = individuo, γενεσιζ = sviluppo) è la breve ricapitolazione della filogenesi (φυλοζs= specie), voleva forse anche significare che l’impronta degli echi filogenetici lontani sulla successione delle fasi embriologiche, rappresentano un prezioso filo conduttore per comprendere la morfologia delle strutture anatomiche definitive per l’oggi evoluzionale. L’assunto è particolarmente calzante per le configurazioni delle vie ottiche che solcano tutto l’encefalo, con il ruolo di grande baricentro sensoriale a sua volta condizionante e correlante le altre neuro-strutture. A questo proposito corre alla mente la teoria della neuro-biotaxis, enunciata nel 1909 da Cornelius Arien Kappers (figura 18), dalla cattedra di neuro-anatomia dell’Università di 35 36 PARTE CLINICA Figura 18 Cornelius Ubbo Ariens Kappers (1877-1946). Professore di neuro-anatomia - Università di Amsterdam Amsterdam: nel divenire filogenetico, le vie ed i centri nervosi si sono raggruppati, affiancati, correlati, sistematizzati, in riferimento alle loro superiori funzioni comuni. Ad esempio, i nuclei dei nervi oculomotori si sono gradatamente posti in relazione con il fascicolo longitudinale posteriore ed il sistema vestibolare, quest’ultimo in parallelo sviluppo con le vie ottiche. La progressiva sempre maggiore decussazione delle fibre ottiche al chiasma con il salire la scala zoologica, va letta come la risposta alla necessità filogenetica di far decorrere fianco a fianco vie che provengono da regioni (le emiretine omonime) che lavorano in concomitanza. Negli invertebrati e nei vertebrati inferiori ogni nervo di senso o di moto fa capo ad un proprio centro differenziato, centro che si specializza in rapporto alle esigenze peristatiche proprie dell’animale e della sua attività biologica. Quando queste attività diventano complesse, i centri sentono l’esigenza di coordinarsi tra loro e di riferirsi vieppiù a centri di comando superiori. Le cellule sensoriali visive degli invertebrati si dispongono sulla superficie ectodermica e solo secondariamente si connettono con il sistema nervoso centrale (occhio tegumentale). All’opposto, nei vertebrati la retina origina dall’ectoderma neurale come sua estroflessone (occhio cerebrale). Come già accennato, ci sembra interessante tratteggiare per schemi l’evoluzione delle vie ottiche nel loro svolgersi filogenetico, delineando così il profilo di una opso-neuro-biotaxis che rappresenta le radici di un albero morfologico che ci apprestiamo, molto succintamente ad accennare. Nei ciclostomi (pre-pesci sopravvissuti di antichissimi vertebrati del paleozoico), le fibre ottiche che provengono dalle cellule visuo-sensoriali, sono direttamente proiettate nel tectum opticum (soffitto del mesencefalo primitivo), dove entrano in relazione con le vie nervose spino- e bulbo-tettali, ed inoltre con quelle del V e VIII paio. Nei pesci compare un abbozzo rudimentale di corpo genicolato laterale. Gli assoni visivi terminano ancora al tectum ed ai suoi prolungamenti dorsali, che costituiscono i lobi ottici, particolarmente evidenti. I nervi ottici sono molto sviluppati, come pure il midollo allungato ed i nuclei del V e VII paio. Fa apparizione il lemnisco laterale ed il fascio longitudinale posteriore, che rappresenta la prima importante via di interconnessione tra centri di senso e centri motori. Negli anfibi le fibre del II paio fanno stazione nel corpo genicolato laterale, da cui si dipartono fibre genicolo-tettali che terminano ai lobi ottici. Nei rettili compare un primo accenno di corteccia (corteccia olfattoria). In connessione con le Bio-anatomia delle vie ottiche cellule del pallium, si osservano fasci di fibre nervose che afferiscono ai gangli della base e che vengono considerati come il primitivo abbozzo della corona raggiata. I lobi ottici sono piuttosto sviluppati, discreta l’evidenziazione dei talami; accenno ai tubercoli quadrigemelli posteriori in alcuni di essi, ed alla grande via del lemnisco. Negli uccelli si ha un enorme sviluppo della parte superiore del cervello anteriore e del cervello medio, con lobi ottici cospicui. Gli emisferi cerebrali coprono gran parte dei lobi ottici, lasciandone scoperta solo un’area laterale. Il sistema talamico è ora prettamente fotostatico. La decussazione dei nervi ottici è completata. Si sistematizzano le vie di interconnessione, grazie al fascio longitudinale posteriore. Fasci di associazione collegano i lobi ottici con la corteccia occipitale, i talami ed il tetto mesencefalico con il cervelletto ed il midollo. Fibre intra-corticali creano rapporti tra le varie aree della corteccia. In sostanza, vi è comunicazione ed integrazione tra i centri di moto cerebrali e spinali, nonché con la corteccia l’inizio di quella organizzazione articolata e complessa, che troverà la sua massima espressione nei mammiferi superiori. Nei mammiferi il progressivo aumento dell’encefalo, che abbiamo sin qui seguito nelle prime classi dei vertebrati, continua si specializza vieppiù dagli inferiori ai superiori. Tale sviluppo è caratteristicamente disomogeneo, privilegiando alcuni distretti e penalizzandone altri che si arrestano od addirittura regrediscono. La maggior parte delle fibre ottiche (80%) si porta al nucleo dorsale del corpo genicolato laterale, da cui poi si proiettano verso la corteccia visiva. II nucleo ventrale del CGL, filogeneticamente più antico, perde progressivamente di ruolo man mano che il baricentro della via visiva si sposta dal tetto alla corteccia. Dei corpi genicolati, si accrescono principalmente i laterali a detrimento dei mediali. Le vie visive dei vertebrati inferiori dedicano scarsi contingenti al CGL, terminando la maggior parte ai corpi quadrigemini. Nei superiori si ha una netta inversione di tendenza, man mano che si perfeziona la visione corticale, in rispetto alla legge che Ludwig Edinger formulò nel 1897. I quadrigemini sono estremamente ridotti d’importanza nei confronti degli imponenti lobi ottici dei vertebrati più bassi. I nervi ottici sono meno sviluppati che nelle classi precedenti, ma evidenziano chiaramente la loro correlazione con i tre nuclei della base: genicolato laterale, corpo quadrigemello anteriore e talamo (pulvinar). A queste vie ottiche “basilari”, si aggiungono le superiori o “corticali” che costituiscono il ventaglio di fibre ottiche corticipete, formato dalle radiazioni di Gratiolet. Nei mammiferi si ha un imponente incremento volumetrico, soprattutto in superficie, degli emisferi cerebrali. La corteccia, liscia nei mammiferi inferiori (lissencefali), diventa anfrattuosa e convoluta nei superiori (girencefali). A Bartolomeo Panizza va riconosciuta la paternità della scoperta del centro corticale della visione. Nel 1855, dopo aver accecato un occhio di alcuni piccoli pesci ed uccelli, notò ad un anno di distanza non solo l’atrofia del nervo ottico corrispondente, ma anche della metà di quello del lato opposto. Le sue ricerche seguirono quelle di Luigi Rolando il quale dimostrò, nel 1828, che alcuni selaci ed anfibi privati del cervello anteriore non manifestavano significative alterazioni del senso visivo, senso gravemente compromesso invece dalla ablazione dei lobi ottici. La circoscrizione delle funzioni delle aree corticali si ha soltanto nei primati. Nei mammiferi meno evoluti le varie zone di competenza sono sempre meno circoscritte e specializzate. Nei cani, il centro visivo arriva fin quasi in zona frontale e deborda anche ai lati ed al di sotto della regione occipitale. Nelle scimmie è esteso anche al giro angolare. Nell’uomo è limitato attorno alla scissura calcarina. Gli emisferi cerebrali sono costretti ad aumentare sempre più il loro volume per contenere fibre e centri nervosi che lo sviluppo filogenetico fornisce. La corteccia è obbligata a contorcersi su se stessa per rannicchiarsi nell’angusta cavità cranica. A lei giungono e da lei partono tutte le informazioni che regolano le innumerevoli funzioni dell’animale. Al senso dell’odorato (animali “osmatici”) ed al senso della vista (animali “opsici”) non viene dedicato come per gli altri sensi, un nervo, ma addirittura una porzione dell’encefalo, tanta è l’importanza che queste informazioni estesiche rivestono negli ipovertebrati. I 37 38 PARTE CLINICA nervi olfattivi e ottici non si possono comunque considerare nervi, ma fasci di fibre nervose, analogamente a quelle che formano le commessure fra le diverse parti del cervello. Negli animali opsici più evoluti, il nervo ottico poi origina direttamente dal diencefalo e si ammanta di guaine meningee. Per cui si è tentati di affermare che “il nervo ottico non è un nervo, ma un cervello lungo”. Alla fine di questo breve profilo filogenetico delle vie ottiche, è importante sottolineare che, agli albori, il sistema visivo aveva come baricentro il tectum, crocevia elementare, ma fondamentale, degli impulsi statici, ottici, tattili, gustativi e propriocettivi. Con lo snodarsi dell’evoluzione, il baricentro si sposta sempre più in alto, verso le regioni talamiche ed infine corticali, dove si realizzano le funzioni visive epicritiche, denobilitando il precedente a mere funzioni riflessogene fotostatiche. La rimozione del cervello olfattivo di un pesce o di un rettile non influenza la funzione visiva. La rana decerebrata continua a cacciare agevolmente le mosche, il piccione decorticato evita perfettamente gli ostacoli, denunciando solo un affievolimento delle facoltà di ricognizione più alte. La rimozione della corteccia di un mammifero lo rende praticamente cieco. Quindi, il grande evento nel corso del tormentato arco della filogenesi è rappresentato dal passaggio di predominanza dal cervello olfattivo a quello visivo. Lo svilupparsi della via ottica come protagonista delle funzioni più evolute, ha quindi condizionato la morfologia e la fisiologia e il comportamento degli organismi viventi che, per mezzo suo, hanno avuto la possibilità di passare dal ruolo di esseri condizionati a quello di esseri creativi. Ontogenesi delle vie ottiche Per comprendere convenientemente questo argomento, si rende indispensabile un ricordo propedeutico di embriologia generale. Allo stadio di neurula (tre-quattro settimane), la vescicola ectodermica si appiattisce per costituire una specie di piastra (placca neurale) dapprima rotonda, poi progressivamente ellittica, disponendosi lungo un asse che sarà la lunghezza del corpo. Su questa placca dapprima compare una striscia di cellule opache (stria primitiva), che termina nella sua parte anteriore con un piccolo ispessimento bottonuto (nodo di Hensen). Nella parte anteriore della placca si individuano due piccole depressioni (fossette ottiche). In seguito i bordi della stria si sollevano costituendo il solco neurale, che poco a poco si chiude per formare il tubo neurale (primo abbozzo del sistema nervoso). Verso la fine della quarta settimana, il tubo subisce tre dilatazioni che realizzano così le tre vescicole cerebrali primitive (prosencefalo, mesencefalo, rombencefalo). Il segmento cefalico si inflette secondo due curvature: la cefalica e la cervicale. Alla quinta settimana, la prima vescicola si sdoppia (telencefalo, diencefalo), la seconda rimane tale (mesencefalo) e la terza pure si divide (metencefalo e mielencefalo). Sempre nel corso della quinta settimana, gemmano dalla vescicola diencefalica due espansioni (vescicole ottiche primitive) che, strangolandosi a livello dei loro peduncoli, costituiranno i futuri nervi ottici. Le vescicole ottiche subiscono rapidamente un infossamento al loro apice, trasformandosi in cupole a concavità esterna. Come la costituzione delle vescicole è indotta dalla presenza del mesoderma precordale, che è situato sotto la placca neurale, così il loro infossamento a cupola è indotto dalla presenza dell’abbozzo del cristallino, che le antistà. La cupola è costituita da due foglietti accollati: dal primo si differenzierà la retina sensoriale, dal secondo l’epitelio pigmentato. L’invaginazione della vescicola ottica avviene secondo una modalità particolare, finalizzata a porre in comunicazione occhio ed encefalo: la fessura embrionale. Questa infatti deve considerarsi come un “espediente embriologico” temporaneo (da 4-5 mm. a 15-20 mm. di lunghezza dell’embrione) che rimane aperta per 4-5 settimane, al fine di connettere la retina al cervello tramite il peduncolo ottico. Attraverso di essa ha accesso l’arteria jaloidea, che entra alla estremità prossimale della fessura stessa. Ida Mann (figura 19), attraverso lo studio di modelli ipotetici, ha dimostrato che tale espediente era l’unico che poteva essere messo in Bio-anatomia delle vie ottiche atto per conseguire le finalità morfogenetiche dovute. Prima di passare alla descrizione dell’embriogenesi dettagliata dei vari segmenti delle vie ottiche, merita una riflessione la particolare ed apparentemente irrazionale disposizione della retina negli animali superiori. Lo spartiacque morfologico differenziale tra l’occhio epiteliale degli invertebrati e l’occhio cerebrale dei vertebrati, è costituito dalla localizzazione dei fotorecettori nello spessore retinico. Nei primi, le cellule epiteliali sensoriali si moltiplicano e si infossano nella loro parte distale a diretto contatto con la luce, mentre le fibre nervose delle parti prossimali veicolano poi lo stimolo luminoso verso le strutture cerebrali (retina vertita). Nei secondi invece, la retina gemma dal diencefalo e la modalità di infossamento della vescicola ottica primitiva in cupola, porta i fotorecettori nella profondità dello spessore retinico, per cui la luce deve attraversare tutti gli strati loro antistanti prima di attivarli (retina inversa). È suggestivo rilevare (come piccola ricapitolazione filogenetica haeckeliana) che, nelle prime fasi dell’embriogenesi umana, a livello delle fossette ottiche, le cellule ectodermiche (epiteliali) sono situate all’esterno (come negli invertebrati), mentre nelle fasi successive, con la costituzione del tubo neurale e delle vescicole ottiche, queste vengono invaginate e disposte all’interno. Si diceva poc’anzi che la retina inversa può sembrare un atteggiamento irrazionale nella sofisticata organizzazione istogenetica dei vertebrati superiori. Ma la retina inversa ha buone ragioni finalistiche per essere tale: il fotorecettore, considerate le sue raffinate esigenze funzionali, abbisogna di un imponente e massivo apporto ossigenativo, che solo l’adiacenza della coriocapillare può garantire. Inoltre il contatto diretto con l’epitelio pigmentato (mangia-dischi) ha grande importanza nel loro metabolismo. Ed è chiaro che, per ragioni ottiche di trasparenza, sia la coriocapillare che l’epitelio pigmentato non possono essere che situati dietro le cellule visuosensoriali. Da ultimo, la disposizione invertita consente un aumento del potere risolutivo centrale, aprendo gli strati istologici davanti ai fotorecettori, per costituire la fovea (l’occhio dell’occhio). Embriogenesi del nervo ottico Figura 19 Ida Mann. Necessità ontogenetica della fessura embrionaria. Modello ipotetico. La fessura embrionale è un meraviglioso “espediente embriologico” che realizza e tutela l’evoluzione ontogenetica Abbiamo in precedenza visto che, nel corso della quinta settimana di vita embrionale, la vescicola ottica primitiva, gemmata dalla vescicola diencefalica, si peduncolizza progressivamente. Il peduncolo è un tubo sostanzialmente tappezzato da un monostrato di cellule epiteliali cilindriche che mette in comunicazione le cavità cerebrali e la futura cavità oculare (figura 20). La parete peduncolare servirà da guida al costituendo nervo ottico, alla cui formazione contribuirà offrendo i sepimenti neurogliali interfibrillari. La fessura embrionale interessa il peduncolo connettendolo con il foglietto invaginato, che verrà a costituire il futuro strato interno della retina. L’invaginazione fissurale interessa solo la parte distale del peduncolo ottico che, in sezio- 39 40 PARTE CLINICA 5 settimane – 9 mm 6 settimane – 13 mm 7 settimane – 23 mm Figura 20 Peduncolazione della vescicola ottica primitiva ne, assume qui una forma ad “omega”, mentre il, segmento prossimale rimane rotondo, con sezione ad “omicron”. La fessura embrionale, dopo aver consentito il passaggio dell’arteria jaloidea (al compimento del primo mese) e del mesoderma adiacente, si chiude all’inizio della settima settimana. Le prime fibre ottiche nascono dalle cellule ganglionari alla fine della quinta settimana (15 mm. di lunghezza dell’embrione). Durante il loro percorso rettilineo nello spessore del foglietto interno della retina, per raggiungere il bordo del peduncolo in cui si gettano ad angolo retto, gli assoni “spazzolano” tutte le cellule retiniche che si trovano sul loro cammmino, impilandole in un mucchio conoide centrale che costituirà la papil- Figura 21 Papillogenesi e sistema vascolare la di Bergmeister, che secondariamente si riassorbe (figura 21). Agli albori embriologici non si identifica una vera e propria area papillare. Si può considerare papilla primitiva la zona in cui la vescicola ottica sfocia nel peduncolo. La papilla propriamente detta si costituisce man mano che aumentano di numero le fibre ottiche. Al termine del secondo mese, la colonizzazione neuro-fibrillare del peduncolo ottico può considerarsi terminata, ma la fibrillogenesi continua in senso centripeto: gli assoni si moltiplicano e si allungano sino a raggiungere il chiasma a 18 mm. di lunghezza embrionale. A 25 mm., tutto il peduncolo è stipato di elementi assonali. I sepimenti interfibrillari che costituiscono il supporto Bio-anatomia delle vie ottiche gliale e derivanti, come già detto, dalle cellule dell’epitelio primitivo, nella parte distale del nervo si orientano perpendicolarmente alle fibre, abbozzando al secondo mese la prima lamina cribrosa (Haden, 1947). All’inizio costituita essenzialmente da nevroglia, la lamina si dota, dal quarto al settimo mese, di elementi connettivo-elastici. Nel corso del secondo mese di vita embrionale, il mesoderma peri-peduncolare si condensa in due strati: l’uno esterno, spesso ed avascolare (dura madre, 65 mm.), l’altro interno, sottile e vascolarizzato (pia madre, 5° mese). L’aracnoide si differenzia fra i due solo al 6°-7° mese, quale tessuto lacunare derivante dalla nevroglia periferica. Nel corso del 5° mese si ha un notevole incremento in lunghezza del nervo che passa da 3 a 8 mm. (Hervouet, 1958). All’8° mese, l’architettura del II paio può considerarsi definitiva e completa. Alla nascita, la sua lunghezza è di circa 24 mm. per 2 mm. di diametro. Alla pubertà, è lungo circa 40 mm con un diametro di 4 mm. Embriogenesi del chiasma e della bandelletta ottica Prima del 2° mese di vita embrionale, la zona chiasmatica è semplicemente costituita da ammassi cellulari della parete ventricolare del diencefalo, posta tra i due peduncoli ottici. Tali cellule serviranno in seguito come apparato neuro-gliale di sostegno alle fibre ottiche, che arrivano in questa zona solo verso la 7° settimana (22 mm.). In seguito, le fibre visive circumnavigano la parte laterale del diencefalo per raggiungere un raggruppamento cellulare che si è differenziato dalla parte dorso laterale del talamo, al fine di costituire il nucleo dorsale del Corpo Genicolato Laterale (30 mm.). Queste fibre si moltiplicano e si ispessiscono per costituire il tratto ottico (bandelletta), che è bene evidente a 48 mm. di lunghezza embrionale (figura 22). Un’altro esempio di ricapitolazione filogenetica dell’ontogenesi, è fornito dai tempi di decussazione delle fibre al chiasma. Sino alla 11a settimana (59 mm. di lunghezza embrionale) le fibre ottiche non si incrociano (come negli invertebrati). Solo alla 13a settimana (80 mm.), la decussazione ha inizio (Sakamoto, 1952). Embriogenesi delle vie ottiche centrali In estrema sintesi cercheremo qui di enuc1eare, dal complesso divenire embriogenetico del sistema nervoso centrale, lo sviluppo di quelle aree e distretti che sono toccati od ospitano le varie strutture della via ottica. Il mesencefalo (sede delle principali funzioni visive nei vertebrati inferiori e relegato a sede di riflessi fotostatici e visuo-sensoriali nei superiori), prende origine dalle pareti della vescicola mesencefalica primitiva e si stipa attorno all’esile acquedotto di Silvio. La parte dorsale dell’acquedotto, che corrisponde al tetto del tubo neurale, si differenzia in tectum opticum (vedi anche capitolo riguardante la filogenesi). A questo livello compaiono due elevazioni longitudinali, a loro volta poi divise da un solco in quattro tubercoli, chiamati appunto quadrigemelli per la loro similarità, e dei quali i superiori (collicoli visivi) fanno da perno ai riflessi fotomotori distinguendosi funziona1mente dagli inferiori (collicoli auditivi). Il prosencefalo, vescicola primitiva dell’estremo cefalico dell’embrione, si divide precocemente (11 mm di lunghezza embrionale) in una vescicola prossimale (diencefalica) ed una distale (telencefalica). Il diencefalo, circondante quel tratto di canale neurale che si dilata per formare il 3° ventricolo, contiene diverse strutture di pertinenza visiva. A Figura 22 Embriogenesi del chiasma e del tratto ottico 41 42 PARTE CLINICA 13 mm (5 settimana), si assiste ad una intensa proliferazione cellulare della parete laterale, che poco dopo (16 mm) viene suddivisa da due solchi in tre zone: il talamo centralmente, sormontato dall’epitalamo e sovrastante l’ipotalamo. In queste tre zone hanno sede importanti ammassi cellulari che costituiscono nuclei di grande importanza funzionale. Di nostro particolare interesse è il corpo genicolato laterale (CGL), situato nella parte esterna del talamo dorsale e già distinguibile a 22 mm, epoca in cui questa zona viene raggiunta dalle fibre ottiche del tratto, che probabilmente ne inducono la strutturazione. Dapprima si differenzia il nucleo dorsale del CGL e solo secondariamente il ventrale (35 mm). La tipica architettura laminare non si realizza che al 6° mese di vita intrauterina, quando la formazione si inarca caratteristicamente ad “U” rovesciata con apertura latero-ventrale. Un breve cenno alla embriologia dell’ipofisi che, pur non appartenendo alla via ottica, frequentemente ne condiziona la patologia. La neuroipofisi trae origine dalle cellule gliali del pavimento diencefalico, che alla quinta settimana (8 mm) evagina un piccolo diverticolo. L’adeno-ipofisi nasce invece dalla borsa di Rathke, diverticolo ectodermico che gemma dal pavimento stomodeum. Le porzioni anteriore e posteriore dell’ipofisi vengono in contatto a 14 mm di lunghezza embrionale. A 9 mm, la parte più anteriore del prosencefalo si espande nelle due vescicole telencefaliche, le cui pareti costituiranno gli emisferi cerebrali e le cavità i ventricoli laterali. La faccia basale delle pareti si ispessisce per formare la zona striata, entro cui trovano posto i nuclei del corpo striato. La parte laterale del corpo striato prende il nome di “paleo-pallium”, primo abbozzo di corteccia a finalità puramente olfattiva; come pure destinato a funzioni olfattive e reflessogene è “l’archi-pallium” che, a 12 mm, si espande centralmente attorno alle cavità ventricolari. Tutto il resto del telencefalo va a costituire la grande massa del “neo-pallium”, nella cui zona marginale i neuroblasti si moltiplicano, formando la materia grigia corticale. La differenziazione corticale si realizza dapprima (30 mm) a livello dell’area parietale, per guadagnare preco- cemente la superficie mediale e superiore dell’encefalo. Solo più tardivamente (50 mm) vengono interessate le aree frontale e, soprattutto, occipitale (visiva). Quindi, ad ennesima conferma dell’assunto di Ernst Haeckel, dapprima si organizzano i centri olfattivi, poi quelli della sensibilità somatica ed infine quelli della visione. Nel prematuro di 28 settimane, la corteccia occipitale è praticamente lissencefalica, riconoscendosi a stento solo la fessura calcarina e parieto-occipitale. L’estensione dell’area striata si quadruplica da questa data sino al compimento del 9° mese regolare di gestazione (girencefalia) e si espande vieppiù sino al 4° mese di vita extrauterina. Alla nascita, i dendriti appaiono spinosi cioè provvisti. di coni di crescenza, che conferiscono all’assone un aspetto villoso. Le spine aumentano progressivamente sino al 4° mese per scomparire definitivamente al 9°. Il periodo neo- natale è caratterizzato da una intensa proliferazione sinaptica a livello di tutti gli strati della corteccia visiva. Questa “sinaptogenesi” diminuisce progressivamente sino ad un anno di vita, per ridursi al 60% all’età di l0 anni. Ciò perché alla elaborazione sinaptica anatomica dell’età neonatale, si sostituisce una sinaptogenesi funzionale, poiché si organizzano i circuiti associativi che materializzano le “ipercolonne di orientamento” così caratteristiche della corteccia visiva, per la formazione delle quali è peraltro fondamentale l’esperienza visiva (epigenesi). Le colonne corticali di orientamento visivo sono estremamente sensibili, quindi, alle penalizzazioni sensoriali. Se si considera che la plasticità neuronale è particolarmente formativa nell’arco di tempo compreso tra la nascita ed il 70 anno, è intuitivo il danno irreversibile che si determina nel bambino in cui non è stata per tempo depistata una disfunzione visiva. Mielinogenesi Il processo di mielinizzazione delle vie ottiche inferiori avviene nel senso inverso a quello del loro sviluppo. Al 5° mese, la mielina compare a livello del corpo genicolato, al 6° della bandelletta, al 7° raggiunge il chiasma ed all’8° il nervo ottico. Per le vie ottiche centrali, la mielinizza- Bio-anatomia delle vie ottiche zione inizia generalmente all’epoca della nascita e procede centrifugamente dall’area occipitale, per completarsi verso la fine del 40 mese di vita extrauterina. Per molto tempo si è voluto correlare la mielinizzazione di un segmento delle vie ottiche alla sua funzionalità. Oggi si propende a negare tale correlazione, in considerazione del fatto che vi sono assoni ancora spogli di guaina mielinica e già funzionanti mentre, per converso, neurofibre già mielinizzate non sono ancora in grado di veicolare lo stimolo nervoso. Cenni di anatomia comparata Lo studio della bio-anatomia delle vie ottiche, pensiamo non possa sottrarsi alla curiosità di vedere come queste sono strutturate ai vari livelli della scala zoologica (figura 23, figura 24). È sorprendente infatti scoprire come l’atto visivo si serva di strumenti ed artifizi tanto fantasiosi e diversificati nella loro unicità teleologica. Anche in questo campo è il caso di dire che il buon fine giustifica i mezzi. E di questi ne daremo qualche rapido cenno Figura 23 Via ottica comparata salendo, come si conviene, la scala dal basso verso l’alto. Ciclostomi = (κυκλοζ = rotonda, στομα = bocca) Il nervo ottico ha fibre non mielinizzate che decorrono solo al centro del nervo, senza sepimenti intersettali. Il chiasma è intracerebrale ed i nervi ottici si incrociano in modo elementare, senza mostrare alcuna fascicolazione al loro interno. Pesci = Il nervo è avascolare. Le fibre sono mielinizzate e variamente sepimentate. Assenza della lamina cribrosa. A livello del chiasma le fibre nervose assumono la conformazione a vimini intrecciato. Nei teleostei il nervo ottico visto dall’esterno appare tondeggiante o piatto. All’interno assume un particolare aspetto nastriforme; i sepimenti interfascicolari sono così sviluppati da suddividere i fasci in tante falde che lo fanno assomigliare ad un nastro ripetutamente ripiegato su se stesso. Nel perioftalmo, ed ancor più nello stafiloftalmus paradoxus, il nervo, al centro di un lunghissimo cono di sottili muscoli extraoculari, è contenuto in un altrettanto lungo peduncolo alla sommità del quale è posto il bulbo oculare. Totale decussazione al chiasma a sem- 43 44 PARTE CLINICA Figura 24 Via ottica: decussazione comparata plice sovrapposizione crociata, ad asola o a doppia asola. Anfibi = (ανφο = doppia; βιοζ = vita) Esseri di transizione tra la primitiva vita acquatica e la successiva terrestre, nell’era carbonifera avevano dimensioni gigantesche. Le loro fondamentali tappe evolutive sono consistite nella trasformazione delle pinne in arti, delle branchie in polmoni e cuore tricamerale; inoltre adattamento dell’orecchio alle vibrazioni dell’etere e dell’occhio alla visione extra-acquatica. Nervo ottico sottile e cilindrico con sepimentazioni interfascicolari; chiasma con decussazione totale di larghi fasci interdigitati. Le fibre sono solo 900 in derivazione di circa 90.000 fotorecettori retinici (Palmer, 1918). Rettili = In questi animali la retina appare meroangiotica (vascolarizzata solo in una parte) a differenza della olo-angiotica in cui la vascolarizzazione è uniformemente distribuita. Il nervo ottico, esile e sottile, possiede fibre che non mostrano un andamento ordinato e parallelo, inframmezzate da cellule di oligodendroglia, senza sepimenti interfascicolari apparenti. Al chiasma la decussazione è totale. In alcuni serpenti (Natrix) rare fibre raggiungono direttamente il corpo genicolato. Uccelli = All’osservazione funduscopica balza evidente una formazione caratteristica di questi animali: il “pecten” (pettine), formazione che dalla retina aggetta nel vitreo portandosi dal disco ottico verso l’equatore. È costituita da un fitto arabesco capillare intralicciato da tessuto di sostegno. La sua discussa funzione sembra legata alla nutrizione della retina attraverso la sua vastissima superficie di scambio ossigenativo e termico, che tra l’altro consente di tenere costante la temperatura anche quando l’animale vola ad alta quota. Sembra inoltre che serva da specchio riflettente sulla retina di immagini che sovrastano, come i predatori che in genere attaccano dall’alto (Thompson, 1928). La spaziatura regolare dei denti del pettine, determinerebbe la proiezione sulla retina di una immagine stroboscopica degli oggetti in movimento nello spazio, rendendoli così percepibili più rapidamente e dettagliatamente (Menner, 1928). Da ultimo consentirebbe una perfetta analisi dei punti geografici “di compasso” per l’orientamento di navigazione (Wilkinson, 1949). Il nervo ottico mostra sepimentazioni settali di fattura e dimensioni variabili. Spesso un unico sepimento divide in due contingenti i fasci di Bio-anatomia delle vie ottiche fibre ottiche, cellule di oligodendroglia appaiono irregolarmente sparse negli spazi interfibrillari. La decussazione al chiasma è totale con interdigitazione complicata dei fasci. Mammiferi = Le loro caratteristiche biologiche fondamentali possono essere così riassunte: diaframma che divide il celoma in due cavità, cuore tetra-camerale, orecchio tri-camerulare, mandibola semplice, tegumenti ricoperti da peli, nutrizione attraverso le ghiandole mammarie della femmina. La relativa semplicità delle strutture recettive oculari è compensata dalla particolare differenziazione ed articolazione delle vie ottiche. Nei monotremi il nervo ottico ospita 32.000 assoni (Bruesh e Arey, 1942). Nei placentati (che includono la maggior parte dei mammiferi) la struttura del nervo non si scosta da quella dell’uomo, se non per le proporzioni. Gli assoni sono raggruppati in piccoli fasci separati da setti interfibrillari, la cui componente gliale cresce col progredire nella scala biologica. Anche a questo proposito è interessante seguire, passo passo, il cammino evolutivo. Dapprima (ciclostomi) il sistema inter-fibrillare è costituito da una colonna di cellule ependimali, che decorrono al centro del nervo e da cui irradiano tralicci secondari che si portano alla superficie. In seguito, nei pesci e nei rettili, questo sistema centrale si raddoppia e la sepimentazione diviene più spiccata e complicata. Nei vertebrati più evoluti, la fascicolazione diventa sempre meno manifesta, sino ad arrivare nell’uomo a costituire una architettura di sostegno tenue ed uniformemente distribuita. Per quanto riguarda la testa del nervo ottico, va ricordato che la lamina cribrosa esiste solo nei mammiferi a prevalente visione diurna. Non si rinviene infatti negli animali che vivono in habitat a bassa luminanza (certi roditori) in cui la retina trova varco per erniare negli spazi meningei perineurali. Relativamente al chiasma, si può in generale affermare che il numero delle fibre dirette aumenta con il grado di frontalizzazione degli occhi. Negli animali con occhi lateralizzati queste sono relativamente rare in rapporto tra fibre dirette e decussate è di 1/6 nel cavallo, 1/4 nel cane e nel gatto, 1/3 nei primati più evoluti e di 1/2 nell’uomo. La percentuale di fibre decussate è in stretto rapporto con la organizzazione strutturale del corpo genicolato a cui pervengono. Nei mammiferi inferiori le fibre ottiche si connettono con le cellule di un corpo genicolato architettonicamemte elementare, che non ha ancora realizzato il processo di laminazione. In mammiferi più evoluti si contano 4 strati del CGL, che raggiungono il numero di 6 nei primati. Nei tetra-stratificati le fibre crociate pervengono al l° e 3° strato e le dirette al 2° e 4°. Negli esa-stratificati. le prime approdano al 1°, 4° e 6°; le seconde al 2°, 3°, 5°. Nei primati ogni campo recettivo si proietta a livello del CGL “point to point” (o “aire par aire”). Ne consegue che, mentre i settori sensoriali di ogni singola emiretina riverberano lo stimolo su tre strati cellulari genicolati, a livello della corteccia vengono proiettati gli stimoli di tutti i sei strati del corpo genicolato stesso. Vi sono animali dove manca un vero e proprio nervo ottico, essendo gli occhi letteralmente inseriti nella massa celebrale o appena salienti sulla sua superficie (mesostomum). In alcuni il nervo è sottilissimo e lungo (gasteropodi), in altri grosso e tozzo (crostacei), in altri ancora i nervi ottici possono essere multipli ed afferiscono a gangli diversi che, essendo però molto vicini, costituiscono un complesso funzionale denominato lobo ottico cerebrale (aracnidi). Negli invertebrati i centri nervosi appaiano sempre intimamente collegati con gli organi visuosensoriali, sia che questi siano incastonati nei gangli superiori, sia che afferiscano ad un ganglio proprio che aderisce alla massa cerebrale o che ne è separato da un peduncolo ottico. Nei vertebrati non esiste il ganglio ottico e gli assoni incanalati nel nervo ottico si portano dalla retina ai centri visivi superiori. La forma, le dimensioni e l’architettura di questo segmento nervoso sono quanto mai variabili nel panorama dell’anatomia comparata. La sua porzione orbitaria, cortissima negli uccelli e lunga nell’uomo circa 3 cm. è nell’elefante oltre 11 cm. Il suo diametro, di 3 mm. nell’uomo, è di 5, 5 nel cavallo, 6 nel bue, 2, 8 nel maiale, 1, 1 nel gatto e 50 nella balena. In alcuni rettili (tartarughe) è percorso da una lunga incisione che gli conferisce una forma di doccia. Negli uccelli la pia 45 46 PARTE CLINICA meninge si affonda nel suo contesto dal lato nasale sino a raggiungere l’asse. Nel tritone ha una struttura particolarmente grossolana e primitiva, è costituito da un canale tappezzato da elementi neurogliali, che sfocia nel 3° ventricolo. Nel proteus è tanto sottile e frammisto ad altri tronchi nervosi da renderne difficile l’identificazione. J.Deyl, già nel 1895, stabilì che le singole fibre si raggruppano in fascetti assonali tanto più identificabili quanto più si sale la scala biologica. Nei ciclostomi l’incrocio chiasmatico avviene dentro la massa cerebrale. Nei pesci teleostei si realizza semplicemente col passaggio di un nervo sopra all’altro. Generalmente quello che proviene dall’occhio destro scavalca quello sinistro. Nella trota avviene invece l’inverso. Nella figura 24 sono illustrati le più comuni modalità di decussazione. Nella maggior parte dei rettili, uccelli ed anfibi i nervi ottici sono costituiti da un diverso numero di fasci che si interdigitano con quello dell’altro nervo per cui, in una sezione trasversa, si configura una caratteristica linea a zig-zag. I sepimenti interfascicolari sono in questi casi molto pronunciati ed evidenti. Nei mammiferi i fasci sono molto più piccoli e numerosi ed i sepimenti sono molto più tenui. Le fibre ottiche nel chiasma non decorrono tutte sullo stesso piano, ma le superficiali si approfondano, le profonde si superficializzano e molte si suddividono e si biforcano. Il parziale incrocio delle fibre nel chiasma del cavallo fu dimostrato nel 1886 da G. Colin che osservò, oltre all’atrofia del nervo ottico di un occhio cieco, la concomi- tante atrofia della bandelletta del lato opposto. Nel ratto e nel coniglio l’incrocio avviene solo in parte a livello del tuber cinereum. Nel 1909, BossaIino stabilì che l’incrocio non avviene mai per singole fibre, ma per fasci di assoni. Nell’uomo il nervo ottico penetra nel bulbo nella sua parte posteriore, un po’ nasalmente. L’eccentricità dell’impatto si fa invece temporale nella pecora, nel bue e nella foca. Nella balena è, per contro, superiore. La lamina cribrosa, robusta nei ruminanti, è rudimentale nel coniglio e nei carnivori. Nell’elefante manca totalmente e la coroide si insinua negli spazi intervaginali della meninge. In alcuni uccelli, il nervo ottico entra nella sclera, decorre sotto il pettine e perfora la coroide, formando cosi una lamina cribrosa sui generis. In molte specie di pesci e nei cefalopodi, il nervo si suddivide in numerosi rami che penetrano nella sclera attraverso molti fori, costituendo pertanto papille ottiche multiple. La papilla rotondeggiante nell’uomo, si ovalizza trasversalmente nei ruminanti; obliqua nel maiale, di forma bizzarra nel cervo, a mezzaluna nella pecora, reniforme nella renna, a striscia orizzontale nella marmotta, a triangolo nel cane, imbutiforme nel coniglio dove si espande nelle caratteristiche ali bianche. A caldaia nel coccodrillo, è sporgente in alcuni pesci (squatina). In altri pesci la retina è separata nettamente dai bordi della papilla da un anello scuro. La papilla verticale della rana, secondo C. Nicolai, può variare i suoi diametri grazie ad un cercine muscolare che è situato nella coroide circumpapillare.
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