C A T H O L I C A 15 Domenica 31 Agosto 2014 Romania. Sandri all’Eparchia di San Basilio «I l mio invito, piccola Chiesa grecocattolica in Bucarest, è di far risplendere i doni che Dio ha consegnato alla vostra storia». Lo ha detto ieri il cardinale Leonardo Sandro, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, durante la celebrazione inaugurale dell’Eparchia di San Basilio Magno di Bucarest e l’insediamento del primo vescovo, Mihai Fratila. Dopo aver citato l’esempio dei martiri, che hanno consentito alla Chiesa cattolica di mantenersi viva nei periodi bui, il car- Il porporato all’inaugurazione della Chiesa greco-cattolica e all’insediamento del primo vescovo dinale ha rivolto uno sguardo al futuro. In particolare, ha detto, «impegnatevi a rendere sempre luminosa la testimonianza della comunione ecclesiale. Anzitutto con i fratelli e sorelle della tradizione latina, ma anche con la Chiesa ortodossa di Romania. Sforziamoci di praticare insieme la giustizia e la verità, compiamo ogni giorno gesti di riconciliazione, ripetiamo spesso le parole del patriarca Giuseppe, venduto come schiavo in Egitto, ma che arriva ad affermare di coloro che l’hanno al- lontanato: cerco i miei fratelli». Il porporato ha aggiunto che prima di partire ha ricevuto dal Papa l’incarico di recare a vescovi, sacerdoti e fedeli, la benedizione apostolica e l’incoraggiamento a proseguire la testimonianza della gioia del Vangelo. Nel pomeriggio Sandri ha fatto visita al patriarca ortodosso, Daniel, per recare il saluto del Papa e manifestare il desiderio di proseguire nel cammino di dialogo e collaborazione fraterna. Fabrizio Mastrofini Kenya. La Fondazione don Orione di Roma crea un nuovo centro per assistere disabili S olidarietà e sostegno alla disabilità. Sono i due aspetti che caratterizzano l’avvio della costruzione di un centro diurno per disabili a Kandisi (Kenya) grazie alla Fondazione don Orione onlus di Roma e il sostegno dell’organizzazione internazionale «Porticus», realtà olandese con sede ad Amsterdam. A pieno regime (i lavori dovrebbero concludersi a dicembre) potrà fornire assistenza gli oltre 120 disabili del territorio offrendo servizi fino ad oggi inesistenti lungo la «Rimpa Road», strada poco distante da Magadi. Il pro- getto prevede, infatti, oltre alla costituzione di un centro di fisioterapia, la presenza di aule per l’addestramento al lavoro dei pazienti del centro, superando così il classico sistema che contemplava la sola ospitalità. Il nuovo centro consentirà alle persone disabili di frequentare un ambiente simile alla famiglia, ma a differenza del vecchio impianto che lasciava alla Congregazione la totale cura e sostegno dei disabili, saranno rese partecipi anche le famiglie. Nella struttura è già attiva una fattoria educativa. La Chiesa ambrosiana ricorda Schuster e Martini Nel Duomo oggi la Messa del cardinale Scola ilano ricorda oggi due arcivescovi che hanno segnato significativamente la storia dell’arcidiocesi ambrosiana: Alfredo Ildefonso Schuster e Carlo Maria Martini. Sarà l’attuale arcivescovo, il cardinale Angelo Scola a presiedere nel Duomo di Milano oggi alla 17.30 la Messa nella quale ricorderà il secondo anniversario della scomparsa di Martini (avvenuta proprio il 31 agosto 2012) e il sessantesimo della morte del beato Schuster (che cadeva ieri, come la memoria liturgica). Già venerdì sera il vicario generale dell’arcidiocesi, il vescovo Mario Delpini ave- M I due pastori hanno guidato l’arcidiocesi in periodi storici difficili: il primo durante la Seconda guerra mondiale, il secondo negli anni di piombo del terrorismo va presieduto una Messa per ricordare il cardinale che guidò l’arcidiocesi dal 1929 al 1954, distinguendosi per l’assistenza alla popolazione specialmente durante la Seconda guerra mondiale. Beatificato nel 1996, Schuster è ancora una figura molto sentita tra i fedeli ambrosiani pur essendo passati sessant’anni dalla sua morte nel Seminario di Venegono. E così come accade per Schuster, sepolto nel Duomo sotto l’altare della Madonna, anche la tomba del cardinale Carlo Maria Martini, davanti all’altare del Crocifisso di San Carlo, è meta di un continuo pellegrinaggio di fedeli ambrosiani che desiderano pregare per il pastore che li ha guidati dal 1979 al 2002, anni contrassegnati dal terrorismo e dalla scandalo di Tangentopoli. E alla figura dell’arcivescovo morto due anni fa la Fondazione creata per ricordarne la figura e l’opera, ha preparato un e-book (un libro in formato elettronico) gratuito con uno scritto dell’arcivescovo di ChietiVasto Bruno Forte, che è stato amico del cardinale gesuita. Il testo è scaricabile gratuitamente andando sul sito fondazionecarlomariamartini.it. (E.Le.) Nella guerra «faro» per i suoi fedeli © RIPRODUZIONE RISERVATA Il benedettino. Schuster (Publifoto) ETTORE MALNATI essant’anni fa, il 30 agosto 1954 si spegneva nel Seminario di Venegono, consumato dalle fatiche pastorali, il cardinale Alfredo Ildefonso Schuster, monaco benedettino-arcivescovo di Milano. Venne designato e nominato dal milanese Pio XI il 26 giugno 1929, facendo ingresso l’8 settembre e succedendo al cardinale Eugenio Tosi. Uomo di grande affabilità ed immediatezza sapeva stare con tutti. Era chiamato «il Cardinale della bontà». Schuster, che già conosceva i problemi delle diocesi lombarde perché era stato visitatore a Milano, Como, Cremona e Mantova, lascia il monastero di San Paolo fuori le Mura e si impegna con stile monastico e apostolico insieme ad essere pastore e maestro del popolo ambrosiano. Il suo primo messaggio all’arcidiocesi del 21 luglio 1929 che sarà poi il suo programma - ricco di citazioni bibliche e patristiche, fa trasparire il suo rispetto per la tradizione ambrosiana ed il suo clero, ma nello stesso tempo indica il suo intendimento ad essere Maestro per tutti. Nei suoi 25 anni di episcopato, farà 5 visite pastorali a tutte le oltre mille parrocchie del vasto territorio dell’arcidiocesi. Visite dove l’arcivescovo alle 5 del mattino era già nella parrocchia per la prima Messa per incontra- S Como. Schuster si spegneva 60 anni fa dopo un quarto di secolo di magistero sulla cattedra di Ambrogio. Compì 5 visite pastorali e seppe stare accanto alle comunità parrocchiali ne e Cresima), è impresso nell’animo il ricordo del passaggio del beato Schuster, per la sua pietà, per la sua amabilità e tenerezza verso gli ultimi e per la sua vita ascetica. La gente vedeva in lui un nuovo san Carlo Borromeo. Durante le visite pastorali nel periodo bellico e nella lotta partigiana egli seppe incontrare, quale pastore, tutti, indicando il rispetto dei più deboli ed esortando all’umanità verso le donne ed i bambini. Nel ’38, al manifesto razzista del 15 luglio di alcuni docenti universitari, Schuster in Duomo, il 13 novembre, nell’omelia per l’apertura dell’Avvento, apertamente condanna il razzismo, affermando che «la dottrina cattolica sul peccato originale si oppone al mito nordico del secolo XX, perché invece di vari sangui che diano origine a varie razze umane, riconosce nelle nostre vene un comun sangue che ci affratella e ci riunisce in Adamo e nel suo peccato: In quo omnes peccaverunt». Schuster, amante della liturgia, profondo conoscitore del suo sviluppo (basta leggere le sue opere, ad esempio il Liber Sacramentarum), auspica - ancor prima del Concilio - che si possa avere la lingua parlata nei divini misteri. Fu un convinto assertore delle necessità dell’unità tra i cristiani. Già nei primi anni del suo episcopato milanese introdusse l’Ottavario per l’unità dei cristiani, approvato da Benedetto XV nel 1916. Nei momenti difficili del bombardamento del 1942, che seminò morte e terrore, l’arcivescovo fu presente tra la gente provata ed invierà una lettera pastorale per infondere speranza e dare conforto. Provvederà poi a far edificare case per gli sfollati, quale gesto di amore per il suo popolo. © RIPRODUZIONE RISERVATA COMO ove stiamo andando? Quale futuro possiamo prevedere, fra allarmi e speranze?». L’interrogativo è risuonato ieri pomeriggio, nella Basilica di Sant’Abbondio in Como, nella riflessione che il vescovo Diego Coletti ha voluto condividere «con la comunità ecclesiale e civile» in occasione della festa del patrono della città e compatrono - insieme a san Felice che ne fu il primo vescovo - della diocesi comense. «Non possiamo fare a meno di domandarci – è stata la sollecitazione di Coletti – quale vita e quale mondo ci prepariamo a consegnare nelle mani delle generazioni degli uomini e delle donne di domani». La riflessione è guidata dalla «luce della fede», ha spiegato il vescovo. «Quella fede – ha sottolineato – di cui il nostro sant’Abbondio è sostenitore e difensore». Per leggere e cercare di capire la contemporaneità serve una «fiducia misurata e condizionata», che abbia, come punto di partenza, «la consapevolezza che, nonostante gli enormi problemi, le fatiche e le contraddizioni, viviamo in un tempo favorevole». Tre le urgenze da prendere in considerazione. «Dove va la nostra capacità di pensare, in un contesto dove l’immagine è prevalente ri- spetto alla parola? Dove, anche in ambito sociale, economico, politico, le apparenze contano più della sostanza? Dove troppi giovani non riescono più ad articolare un ragionamento complesso, perché ormai assuefatti ai new media?». E ancora. «Fermi al livello dell’immagine – è la preoccupazione di Coletti – ci ammaliamo di "solitudine". I rapporti interpersonali si fanno superficiali o, peggio, strumentali al raggiungimento dei propri interessi, inclini al consumismo, irrispettosi del creato». Infine, i credenti sono "responsabili" nell’oggi di Dio. «La diocesi di Como è ricca spiritualmente e vivace nelle sue molteplici comunità. Eppure esiste il rischio di una fede generica e superficiale, legata a stanche abitudini e a ripetitive tradizioni». Richiamando le parole di papa Francesco, Coletti ricorda i quattro doni a disposizione dei cristiani: «il valore della Parola; la centralità della memoria; la qualità delle relazioni tra le persone; il rispetto contemplativo del creato». Con la sollecitazione a rendere attuale l’esempio di sant’Abbondio, Coletti ha ammonito che «dobbiamo prenderci cura dell’umanità. Servono coraggio, speranza, testimonianza e una discussione condivisa su queste sfide». Oggi alle 17 nella Cattedrale di Como, il solenne Pontificale. © RIPRODUZIONE RISERVATA L’arcivescovo che puntò sulla Parola Il gesuita. Martini (Fotogramma) GIORGIO BERNARDELLI roprio in questi stessi giorni in cui si ricordano i 60 anni dalla morte del beato Alfredo Ildefonso Schuster, a Milano viene a cadere anche il secondo anniversario della scomparsa del cardinale Carlo Maria Martini, l’arcivescovo spentosi a Gallarate il 31 agosto 2012 e tuttora nel cuore di tantissimi milanesi. Non è solo la concomitanza delle date a rendere significativo il fatto che l’arcidiocesi di Milano abbia deciso di ricordare insieme questi suoi due grandi pastori del Novecento in una celebrazione eucaristica. C’è infatti più di un filo rosso a legare tra loro le figure di Schuster e Martini. Entrambi appartenevano a un ordine religioso (benedettino l’uno, gesuita l’altro). Entrambi arrivarono a Milano direttamente da Roma, dove Schuster fu abate di San Paolo fuori le Mura e Martini rettore della Pontificia Università Gregoriana. Entrambi vissero interamente sulla cattedra di Ambrogio il loro ministero episcopale e per un arco di tempo molto lungo: venticinque anni (1929-1954) il primo, quasi ventitré (1979-2002) il secondo. Entrambi si sono trovati a guidare la Chiesa di Milano anche in anni segnati dalla violenza: il cardinale Schuster durante la Seconda P Coletti: no a una fede superficiale ENRICA LATTANZI «D re e pregare con chi andava poi al lavoro. Ritornava a Milano per l’orario di Curia e poi ritornava ancora nella parrocchia a visitare i malati e ad incontrare i ragazzi, chiudendo con il popolo la preghiera serale. Ancora oggi, anche nel sottoscritto (che nel 1953 da lui ricevette Prima Comunio- Martini incensa la statua di Schuster (in alto) nel novembre 1998 nel Duomo di Milano guerra mondiale, Martini negli anni di piombo. Entrambi sono sepolti in Duomo e a qualsiasi ora del giorno, sotto le guglie, non manca mai qualcuno a pregare sulla loro tomba. Fu proprio durante l’episcopato di Martini, poi, che il cardinale Alfredo Ildefonso Schuster venne proclamato Sono passati due anni dalla morte di Martini. Biblista, dedicò molto del suo ministero alla Bibbia, alla lectio divina, all’incontro con gli altri. Seppe parlare al cuore e alla mente della città beato da Giovanni Paolo II a Roma il 12 maggio 1996. In quell’occasione l’arcivescovo della Milano di allora parlò di quel suo predecessore descrivendolo come allo stesso tempo «l’uomo di Dio capace di estasi davanti al suo Signore» e il vescovo «molto concreto che fondò la Caritas». «Davanti a Ildefonso – scrisse ancora Martini – non rimanevi tanto col- pito da ciò che diceva o che faceva. Ma era come se la sua figura stessa, minuta e solenne, raccolta e operosa, irradiasse Dio». In quell’occasione citò anche una frase un po’ severa di Schuster sulla città: «A Milano si lavora molto ma si prega poco», aveva detto una volta l’ex abate benedettino descrivendo il capoluogo lombardo. Ed è fin troppo facile abbinare questo richiamo alla timida sfrontatezza del biblista gesuita che - chiamato da Giovanni Paolo II a guidare la Chiesa ambrosiana - si presentò alla Milano del fare con una prima lettera pastorale intitolata «La dimensione contemplativa della vita». E con l’invito rivolto ai giovani a vivere insieme a lui in Duomo la «scuola della Parola». «Altro non ho da darvi che un invito alla santità – fu una delle ultime parole dette da Schuster ai giovani chierici –. La gente pare non farsi più convincere dalle nostre predicazioni, ma di fronte alla santità ancora crede, ancora si inginocchia e prega». «Lampada ai miei passi la tua parola, luce al mio cammino» sono le parole del Salmo 118 che Martini ha voluto sulla sua tomba. In fondo anche dal Cielo questi due grandi arcivescovi continuano a dire a Milano la stessa cosa. © RIPRODUZIONE RISERVATA CATANZARO-SQUILLACE Assieme a Bertolone, il clero diocesano riflette su Sacra Scrittura, annuncio e famiglia Il vescovo Diego Coletti Nel discorso alla città e alla diocesi alla vigilia del patrono, il vescovo invita a riflettere «sul nostro futuro» Un forte momento di fraternità è stato vissuto dal 25 al 28 agosto dal clero di CatanzaroSquillace, assieme all’arcivescovo Vincenzo Bertolone, a Palumbo Sila. Quattro giorni di approfondimento voluti dall’arcivescovo per riflettere sui metodi di lettura della Sacra Scrittura, sulla trasmissione della fede attraverso la catechesi e su argomenti pastorali. A parlarne sono stati specialisti del settore biblico, catechetico e pastorale come don Gaetano Di Palma, don Edoardo Palma, don Renzo Bonetti e don Flavio Placida. Dalle parole di Bertolone e dai relatori è emerso come l’evangelizzazione va portata avanti con itinerari specifici, sistematici e permanenti, per formare nelle comunità parrocchiali cristiani nella fede, capaci di vivere nella storia il Vangelo della carità. Non sono mancate analisi su problemi legati alla crisi della fede e all’azione evangelizzatrice della Chiesa, dando una lettura del momento storico e suggerendo alcune indicazione operative per la rivitalizzazione dell’esistente attraverso anche un’attenta catechesi che aiuti la comunità dei credenti a far leggere e scoprire la Sacra Scrittura come Parola che ha incidenza spirituale e morale nella concretezza dell’esistenza. Tra gli argomenti affrontati anche la famiglia che, se pur investita da profonde e rapide trasformazioni, è il soggetto attivo della missione dell’annuncio a servizio della vita. Con grande attenzione è stato accolta anche la presentazione del Direttorio diocesano sulla celebrazione dei sacramenti. Un testo di ampio di confronto tra presbiteri e vescovo, che darà delle linee guida comuni per tutte le parrocchie, aiutando i fedeli a vivere la bellezza della liturgia. Giovanni Scarpino
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