Jean Blanchaert Un santo al giorno Prefazione di philippe daverio con un testo di fra paolo garuti rizzoli ind ice 6 10 15 47 77 109 141 173 205 237 269 301 333 365 397 407 Scherza coi fanti ma non scherzar coi santi philippe daverio Un cosmo di segni complessi fra paolo garuti I santi di gennaio I santi di febbraio I santi di marzo I santi di aprile I santi di maggio I santi di giugno I santi di luglio I santi di agosto I santi di settembre I santi di ottobre I santi di novembre I santi di dicembre Appendice: festività mobili Ringraziamenti e fonti Philippe Daverio Scherza coi fanti ma non scherzar coi santi Scherza coi fanti ma non scherzar coi santi. Pochi proverbi sono più lontani dalla realtà di questo, anche se è di buon senso ricordare che i proverbi talvolta vanno nella direzione opposta al buon senso. I proverbi tendono a ingannare ed è proprio vero che la gatta va al lardo ma non si ricorda che una gatta vi ha lasciato lo zampino. È ben più vero l’opposto: la gatta va al lardo, ma proprio perché dotata di abilità e furbizia, lo zampino non ce lo lascia mai. Ecco perché Jean Blanchaert, che ben sa che non torna bene scherzar coi fanti, i quali volentieri vanno in guerra, scherza invece coi santi, i quali volentieri vanno in pace. Così è nato il suo calendario, come segno di pace in un momento nel quale sembra assolutamente necessario parlarne, di pace. Dai suoi santi emana una costante di bontà che è profondamente consolatoria. E passano questi santi dall’Antico al Nuovo Testamento, perché il più antico di tutti è innegabilmente quel sant’Abramo che parlava con Dio ed ebbe la fortuna d’essere l’uomo della Prima Alleanza, con una barba fuente e forita che di molto assomiglia a quella dell’autore dei disegni. Poi si ritrova il centurione romano battezzato direttamente da Pietro: apre la strada ai convertiti. Ricompaiono personaggi apparentemente ignoti che si celano negli anni oscuri del Medioevo. Si fanno protagonisti i grandi della nostra civiltà recente fno a celebrare i testimoni della fede negli anni più bui del secolo breve, quello XX che precedette il nostro attuale, santi che ebbero vita dura fnita in martirio mentre esplodeva la società di massa. Sicché dialogano nell’eternità le vittime del gulag e quelle dei campi di 7 sterminio, tutti resi equanimi nella solidità eterna. Non sono necessariamente tutti martiri; molti di loro sono solo eroi della loro conclamata quotidianità. Ce n’è per tutti, come deve essere nel mondo dei santi, i quali in fondo rappresentano il percorso virtuoso degli uomini e delle donne su questa terra. E vengono visti, anzi disegnati, nella loro umanità migliore, che è la prima fase del loro esistere eterno. Non è facile riassumere con pochi tratti di penna un’agiografa che solitamente è afdata a testi, narrazioni e tradizioni. Non è facile condensare la virtù che li portò alla santità senza cadere nelle sdolcinature ottocentesche delle immaginette pie. Ci riesce Jean Blanchaert, con una riduzione del segno che si trova a essere un tentativo di riassunto delle loro qualità, dei loro meriti, del loro percorso talvolta complesso. L’immediatezza del segno diventa così una meccanica di metodo per riportare la grande loro storia nella minuta nostra realtà. La freschezza sorridente di questo segno grafco dialoga con un pensiero che tange l’ironia pur esaltando il rispetto. E loro, i santi, tornano nella dimensione che di tutte è la più utile alla propaganda. Perché di propaganda in senso etimologico qui si tratta, quella che fu defnita all’inizio del secolo XVII come comunicazione pro pagus, quella che serviva a portare il messaggio degli esempi vissuti oltre la dimensione urbana, al di là addirittura del limite esterno delle aree agricole, oltre i boschi e le selve, in quel pagus lontano dove vivevano i pagani. E questa coorte di salvati se ne torna così per il mondo, quello fsico e quello delle fantasie, per dare una mano a quelli che in questo 8 mondo stanno tuttora sperimentando il grande viaggio della vita. Se fno a ieri lo facevano decorando con severità le guglie delle cattedrali, se lo fecero dopo ispirando le abilità infnite dei pittori, oggi si adeguano ai nuovi mezzi di comunicazione. Perché non è Blanchaert che si costringe a essere moderno, sono i santi che si adeguano ai nuovi media. E loro ch’erano stati già fumetto nei codici miniati, che s’erano però poi adattati alla più aulica delle sculture, piegandosi ai capricci sublimi di Donatello e di Michelangelo, loro che si fecero fonti d’ispirazione per i polittici del Medioevo, felici di stare in infnite e complesse pale d’altare, loro che accettarono assai volentieri le folli contorsioni della pittura barocca, si trovano oggi a dialogare col tratto di penna, quello che tanto aggrada alla tipografa. Philippe Daverio è professore di Disegno industriale presso la Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Palermo. 9 Fra Paolo Garuti Un cosmo di segni complessi Lo spazio a due dimensioni è un cosmo di segni complessi. Tutti sanno che i pittori, nella cristianità bizantina, si chiamavano e si chiamano iconograf: scrittori di immagini. Tutti sanno che Biblia pauperum è il nome dei libri a fgure, delle immagini intrecciate a dei testi, che i poveri del Medioevo occidentale scrutavano per entrare nel gioco dei Testamenti, nel coro dei profeti, nei racconti del Vangelo. Prima d’essere stampati su carta, i biblia avevano coperto i muri delle cattedrali, dei monasteri e dei santuari. Scrivere icone o leggere assieme testi e fgure fu il modo cristiano di rispondere all’idolatria, al culto dell’apparizione astratta e levigata nel marmo, e all’iconoclastia, al rifuto della copia, travisamento demoniaco del vero. I cristiani appresero a fondere scritto e fgura in un unico codice semico: parola, contorno e colori convenivano all’incarnazione del Verbo, a patto di non separarsi mai. Nell’Occidente latino si smise a un tratto di scrivere sui quadri, la fgura doveva parlare da sola, lo sfondo essere vero. Fu allora che l’immagine divenne retorica. I santi dal Rinascimento in poi sono l’esaltazione della categoria, dell’ordine d’appartenenza: sono spesso stampelle cui è appeso un vestito, la divisa della congregazione o la tenuta ufciale del rango. Glorifcano in infnite variazioni l’appartenenza del committente; solo qualche simbolo stereotipato, come i galloni dorati dei militari, ne richiama l’individualità. Nell’universo domenicano, un cane indica il Fondatore, un sole il Teologo, un coltellaccio il Martire, una famma il Predicatore dell’Apocalisse, il pallio l’Arcivescovo: 11 ma i simboli sono desinenze, non parole compiute. L’estensore delle didascalie nella Galleria Corsini di Roma ha riconosciuto la desinenza, le rose, in un ritratto di santa, ma non il colore bianco dell’abito che indossa la portatrice: ha scritto, così, «Santa Rita da Cascia» (quella delle rose, appunto, e dei miracoli impossibili), e invece era «Santa Rosa da Lima». L’abito funziona come la radicale della parola; volto di donna, angeli, nuvolette e cielo sereno agiscono da prefssi e sufssi più o meno scontati; le rose, appunto, da desinenza, indispensabile alla sintassi del quadro. L’iconografo o il pittore della Biblia pauperum avrebbe messo un cartiglio, un motto d’araldica celeste, e il povero conservatore del museo non avrebbe confuso un’agostiniana umbra con una domenicana nata in Perù. Sui muri delle chiese orientali è rafgurato l’universo cristiano: in alto, al centro della cupola, sta il Cristo Pantocrator, sapienza creatrice del Padre, con un libro chiuso in mano. Lungo la cupola e nel tamburo gli angeli, incaricati della machina mundi, con in mano la sfera di cristallo cui è appuntato l’astro di relativa competenza. Arconti padroni del nostro destino, mute potenze imbrigliate dal Cristo risorto. Più sotto, nei pennacchi o nelle vele, appare la parola scritta: gli evangelisti, seduti a trascrivere sui loro papiri il libro chiuso, gli arcani pensieri che dominano le sfere celesti. La loro parola diviene fgura, in alto sulle pareti: le storie di Maria e di Gesù, storie di vita e di morte. Storie di resurrezione e destino sempiterno. Poco sopra le teste degli oranti di ossa e di carne, dei fedeli raccolti in piedi per la 12
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