Jean Blanchaert Un santo al giorno rizzoli

Jean Blanchaert
Un santo al giorno
Prefazione di philippe daverio
con un testo di fra paolo garuti
rizzoli
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Scherza coi fanti
ma non scherzar coi santi
philippe daverio
Un cosmo di segni complessi
fra paolo garuti
I santi di gennaio
I santi di febbraio
I santi di marzo
I santi di aprile
I santi di maggio
I santi di giugno
I santi di luglio
I santi di agosto
I santi di settembre
I santi di ottobre
I santi di novembre
I santi di dicembre
Appendice: festività mobili
Ringraziamenti e fonti
Philippe Daverio
Scherza coi fanti ma non scherzar coi santi
Scherza coi fanti ma non scherzar coi santi. Pochi proverbi
sono più lontani dalla realtà di questo, anche se è di buon senso
ricordare che i proverbi talvolta vanno nella direzione opposta
al buon senso. I proverbi tendono a ingannare ed è proprio
vero che la gatta va al lardo ma non si ricorda che una gatta vi ha
lasciato lo zampino. È ben più vero l’opposto: la gatta va al lardo,
ma proprio perché dotata di abilità e furbizia, lo zampino non ce
lo lascia mai. Ecco perché Jean Blanchaert, che ben sa che non
torna bene scherzar coi fanti, i quali volentieri vanno in guerra,
scherza invece coi santi, i quali volentieri vanno in pace. Così è
nato il suo calendario, come segno di pace in un momento nel
quale sembra assolutamente necessario parlarne, di pace. Dai
suoi santi emana una costante di bontà che è profondamente
consolatoria. E passano questi santi dall’Antico al Nuovo
Testamento, perché il più antico di tutti è innegabilmente quel
sant’Abramo che parlava con Dio ed ebbe la fortuna d’essere
l’uomo della Prima Alleanza, con una barba fuente e forita che
di molto assomiglia a quella dell’autore dei disegni. Poi si ritrova
il centurione romano battezzato direttamente da Pietro: apre la
strada ai convertiti. Ricompaiono personaggi apparentemente
ignoti che si celano negli anni oscuri del Medioevo. Si fanno
protagonisti i grandi della nostra civiltà recente fno a celebrare
i testimoni della fede negli anni più bui del secolo breve, quello
XX che precedette il nostro attuale, santi che ebbero vita dura
fnita in martirio mentre esplodeva la società di massa. Sicché
dialogano nell’eternità le vittime del gulag e quelle dei campi di
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sterminio, tutti resi equanimi nella solidità eterna. Non sono
necessariamente tutti martiri; molti di loro sono solo eroi della
loro conclamata quotidianità. Ce n’è per tutti, come deve essere
nel mondo dei santi, i quali in fondo rappresentano il percorso
virtuoso degli uomini e delle donne su questa terra. E vengono
visti, anzi disegnati, nella loro umanità migliore, che è la prima
fase del loro esistere eterno. Non è facile riassumere con pochi
tratti di penna un’agiografa che solitamente è afdata a testi,
narrazioni e tradizioni. Non è facile condensare la virtù che li
portò alla santità senza cadere nelle sdolcinature ottocentesche
delle immaginette pie. Ci riesce Jean Blanchaert, con una
riduzione del segno che si trova a essere un tentativo di riassunto
delle loro qualità, dei loro meriti, del loro percorso talvolta
complesso. L’immediatezza del segno diventa così una meccanica
di metodo per riportare la grande loro storia nella minuta nostra
realtà. La freschezza sorridente di questo segno grafco dialoga
con un pensiero che tange l’ironia pur esaltando il rispetto. E
loro, i santi, tornano nella dimensione che di tutte è la più utile
alla propaganda. Perché di propaganda in senso etimologico
qui si tratta, quella che fu defnita all’inizio del secolo XVII
come comunicazione pro pagus, quella che serviva a portare il
messaggio degli esempi vissuti oltre la dimensione urbana, al di
là addirittura del limite esterno delle aree agricole, oltre i boschi
e le selve, in quel pagus lontano dove vivevano i pagani. E questa
coorte di salvati se ne torna così per il mondo, quello fsico e
quello delle fantasie, per dare una mano a quelli che in questo
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mondo stanno tuttora sperimentando il grande viaggio della
vita. Se fno a ieri lo facevano decorando con severità le guglie
delle cattedrali, se lo fecero dopo ispirando le abilità infnite
dei pittori, oggi si adeguano ai nuovi mezzi di comunicazione.
Perché non è Blanchaert che si costringe a essere moderno, sono
i santi che si adeguano ai nuovi media. E loro ch’erano stati già
fumetto nei codici miniati, che s’erano però poi adattati alla più
aulica delle sculture, piegandosi ai capricci sublimi di Donatello
e di Michelangelo, loro che si fecero fonti d’ispirazione per i
polittici del Medioevo, felici di stare in infnite e complesse pale
d’altare, loro che accettarono assai volentieri le folli contorsioni
della pittura barocca, si trovano oggi a dialogare col tratto di
penna, quello che tanto aggrada alla tipografa.
Philippe Daverio è professore di Disegno industriale presso la Facoltà di Architettura
dell’Università degli Studi di Palermo.
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Fra Paolo Garuti
Un cosmo di segni complessi
Lo spazio a due dimensioni è un cosmo di segni complessi.
Tutti sanno che i pittori, nella cristianità bizantina, si
chiamavano e si chiamano iconograf: scrittori di immagini.
Tutti sanno che Biblia pauperum è il nome dei libri a fgure, delle
immagini intrecciate a dei testi, che i poveri del Medioevo
occidentale scrutavano per entrare nel gioco dei Testamenti,
nel coro dei profeti, nei racconti del Vangelo. Prima d’essere
stampati su carta, i biblia avevano coperto i muri delle cattedrali,
dei monasteri e dei santuari. Scrivere icone o leggere assieme
testi e fgure fu il modo cristiano di rispondere all’idolatria,
al culto dell’apparizione astratta e levigata nel marmo, e
all’iconoclastia, al rifuto della copia, travisamento demoniaco
del vero. I cristiani appresero a fondere scritto e fgura in un
unico codice semico: parola, contorno e colori convenivano
all’incarnazione del Verbo, a patto di non separarsi mai.
Nell’Occidente latino si smise a un tratto di scrivere sui quadri,
la fgura doveva parlare da sola, lo sfondo essere vero. Fu allora
che l’immagine divenne retorica. I santi dal Rinascimento in poi
sono l’esaltazione della categoria, dell’ordine d’appartenenza:
sono spesso stampelle cui è appeso un vestito, la divisa della
congregazione o la tenuta ufciale del rango. Glorifcano in
infnite variazioni l’appartenenza del committente; solo qualche
simbolo stereotipato, come i galloni dorati dei militari, ne
richiama l’individualità. Nell’universo domenicano, un cane
indica il Fondatore, un sole il Teologo, un coltellaccio il Martire,
una famma il Predicatore dell’Apocalisse, il pallio l’Arcivescovo:
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ma i simboli sono desinenze, non parole compiute. L’estensore
delle didascalie nella Galleria Corsini di Roma ha riconosciuto
la desinenza, le rose, in un ritratto di santa, ma non il colore
bianco dell’abito che indossa la portatrice: ha scritto, così,
«Santa Rita da Cascia» (quella delle rose, appunto, e dei
miracoli impossibili), e invece era «Santa Rosa da Lima». L’abito
funziona come la radicale della parola; volto di donna, angeli,
nuvolette e cielo sereno agiscono da prefssi e sufssi più o
meno scontati; le rose, appunto, da desinenza, indispensabile
alla sintassi del quadro. L’iconografo o il pittore della Biblia
pauperum avrebbe messo un cartiglio, un motto d’araldica
celeste, e il povero conservatore del museo non avrebbe confuso
un’agostiniana umbra con una domenicana nata in Perù. Sui
muri delle chiese orientali è rafgurato l’universo cristiano: in
alto, al centro della cupola, sta il Cristo Pantocrator, sapienza
creatrice del Padre, con un libro chiuso in mano. Lungo la
cupola e nel tamburo gli angeli, incaricati della machina mundi, con
in mano la sfera di cristallo cui è appuntato l’astro di relativa
competenza. Arconti padroni del nostro destino, mute potenze
imbrigliate dal Cristo risorto. Più sotto, nei pennacchi o nelle
vele, appare la parola scritta: gli evangelisti, seduti a trascrivere
sui loro papiri il libro chiuso, gli arcani pensieri che dominano
le sfere celesti. La loro parola diviene fgura, in alto sulle pareti:
le storie di Maria e di Gesù, storie di vita e di morte. Storie di
resurrezione e destino sempiterno. Poco sopra le teste degli
oranti di ossa e di carne, dei fedeli raccolti in piedi per la
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