Movimento partigiano, nascita dei CLN e resistenza a Borgo San Lorenzo e nel Mugello La caduta del Duce il 25 luglio e l’armistizio dell’8 settembre consegnano alla storia la fotografia di un paese che, pur sbigottito, cerca di tornare dalla parte della ragione. L’Italia sta cambiando e nelle facce dei giovani e degli uomini, ex combattenti e soldati del regio esercito che avevano difeso la patria con eroismo, comincia a farsi largo, per la prima volta dopo vent’anni, l’idea della ribellione alla violenza, alla guerra, al fascismo. Tante persone, senza un’ideologia e senza un disegno politico omogeneo, ma con questi sentimenti riparano spontaneamente tra i monti costituendo piccoli gruppi che saranno poi la rete del movimento partigiano: il “Gruppo di Pontassieve”, l’VIII° Romagna, la “Checcucci” a Gattaia, la 2° Rosselli a Ronta, la Bianconcini sulla Faggiola, Fanciullacci a Barberino, Fabbroni a Dicomano, Acone sul Monte Giovi, la “Lavacchini” a Borgo, la Fanfulla a San Piero, e poi Lanciotto, Caiani, Perseo, Teseo, Pio Borri, Buozzi e Matteotti e altro ancora. Comincia un mortale ping-pong tra gli schieramenti in campo, i tedeschi che hanno invaso il paese, gli alleati che risalgono la penisola, i partigiani che, abbandonati i documenti per non tradire, con un nome di battaglia e le scarpe sempre ai piedi son pronti a difendere la libertà. I partiti si stanno riorganizzando per favorire le azioni di resistenza e di lotta, a Roma si costituisce il CLN, sul territorio i dirigenti di spicco lavorano al cambiamento. A Firenze Pietro Secchia dispiega gli uomini in provincia, il rontese Alessandro Pieri è spedito in Mugello, Gino Tagliaferri con Gasparrini e Donatini a favorire la nascita delle formazioni. Il monte Giovi diventa il crocevia dell’organizzazione della resistenza: Potente, Edoardo Fallaci, Max Boris, Ugo Corsi e gli altri. Qualche giorno dopo già cominciano i segni della rivolta: i partigiani requisiscono il grano al Consorzio Agrario di Borgo, si verifica uno dei primi scontri con i tedeschi a Ponte a Vico di Rufina, il “Gruppo di Pontassieve” libera Lazio Cosseri dalla prigionia. Il 25 settembre 1943 per la prima volta gli alleati bombardano la stazione di Campo Marte con il tragico bilancio di 215 vittime. Dopo qualche giorno comincerà il martirio di Pontassieve che subirà quaranta incursioni. A Borgo toccherà il 30 dicembre, quando una squadriglia alleata bombarderà la zona vicina ai viadotti, le fornaci, le ceramiche, le case, provocando distruzione e quasi cento morti riconosciuti. Come ricordiamo ogni anno. Mantenendo viva la memoria. Il fascismo cerca di rialzare la testa con la Repubblica Sociale, riaprono le sezioni e la Milizia, viene emanato il Bando “Graziani” per arruolare i giovani delle classi 1923, 1924 e 1925, pena l’arresto dei “genitori, che verranno trattenuti fino a che il renitente stesso non si sarà presentato”. I borghigiani Luciano Lavacchini e Severino Becchi temono per le loro famiglie e si presentano, il 1° dicembre sono spediti al Battaglione Pionieri di Cassino, a scavare con la vanga fosse alte due metri. Dopo qualche giorno in tredici tentano la fuga ma una spiata li fa riprendere, il 31 dicembre viene crudelmente decisa la fucilazione per tre di loro, a sorte. L’interprete mette i bigliettini in un cappello e ne estrae i nomi tra cui Lavacchini, assassinato il 6 gennaio 1944, a cui sarà intestata la formazione partigiana del suo territorio. Arrivano notizie di battaglie, a Valibona, il 3 gennaio, truppe della “Muti” attaccano un gruppo partigiano uccidendo Lanciotto Ballerini e 7 compagni, i superstiti ripareranno in Monte Giovi aiutati da Pieri, Tagliaferri e Donatini. La popolazione di Borgo sfolla a San Cresci, così come l’ospedale di Luco trasferito a Santa Margherita. La Lavacchini irrompe alla caserma TODT prelevando uomini e armamenti, la formazione prende possesso di Lastreto, le staffette sono sistemate a Mucciano, a Ronta la maestra Elda Ciolli e Fulvio Tucci animano Giustizia e Libertà, sul Muraglione un attacco a un’auto tedesca uccide i due occupanti, a fine mese il maestro fascista Piero Fusi viene ucciso a Serravalle, la Lavacchini compie ancora un’azione dimostrativa con l’affissione di manifesti antifascisti nei cinque comuni della zona. Lorenzo Bonini, Silvano Megli, Enzo Panchetti infiltrati nella TODT per reperire dinamite e tritolo sono scoperti e costretti alla fuga. Negli scontri con un nemico soverchiante spesso i partigiani hanno la peggio, cadono diversi comandanti, Ballerini, Romanelli, Checcucci e Faliero Pucci, il gruppo di “Berto” decimato. Il CLN potenzia i GAP. A Borgo cominciano le riunioni segrete presso la bettola di “Vestrino” in Via Brocchi e gli incontri con i dirigenti provinciali tra Giulio Lisi, Arnaldo Dori, Celestino Rossi, Alfredo Lavacchini, Libero Valli, Gian Gualberto Pini, Vasco Stefanini. Gli agrari stanno abbandonando il fascio per le imposizioni sull’agricoltura, gli ammassi, i bandi e le deportazioni che lasciano i campi senza uomini, ex fascisti cominciano a collaborare e finanziano la lotta armata al CTLN. Gli alleati riforniscono i partigiani con gli aviolanci sul Pratomagno e Monte Giovi. Le azioni si intensificano: attacchi alle basi Todt a Ronta, bombe e raffiche di mitraglia sui mezzi tedeschi al Muraglione, assalti agli ammassi di grano. Il 1° marzo 1944 è la giornata dello sciopero generale nell’Italia del Nord, con lo slogan “né un operaio, né un giovane, né una macchina in Germania”. A Milano per tre giorni non esce il Corriere della Sera. I GAP rendono inutilizzabili i tram e i mezzi di trasporto, e distruggono gli elenchi di centomila uomini da deportare. In quei giorni si insedia il CLN borghigiano, Presidente è nominato Donatello Donatini, con lui Giuseppe Maggi (PCI), Danilo Dreoni (PSI), Antonio Comucci (DC), Luigi Niccoli (PRI), Foffo Borgianni del Partito d’Azione. Ancora scontri e rastrellamenti, attacchi e ripiegamenti: il 4 marzo attacco alla caserma di Polcanto alla ricerca di armi, sabotaggio agli ammassi a Pilarciano, scontro duro a Fonte dei Seppi; due giorni dopo avviene l’attacco di Vicchio, con diverse formazioni impegnate di cui si parlerà a lungo come prova di forza dei partigiani, Nei primi giorni di marzo truppe tedesche attaccano, per ritorsione, Gattaia e le postazioni partigiane, rastrellano l’Appennino e affluiscono su Vicchio dove catturano quindici giovani renitenti alla leva, cinque di loro vengono condannati a morte e uccisi il 22 marzo 1944, a Campo Marte, sotto la torre di Maratona. Alla stazione Santa Maria Novella centinaia di persone sono catturate a caso e spedite in treni blindati ai campi di concentramento. Solo poche decine faranno ritorno. Dopo 17 anni torna dalla Russia Palmiro Togliatti e il 1 aprile ‘44 indica l’obiettivo della “via italiana al socialismo”, mettendo da parte velleità rivoluzionarie. Dodici giorni dopo arriva l’abdicazione del Re a favore del figlio. Sul terreno di battaglia continuano gli scontri a Madonna dei Fossi, Pian degli Alari, a San Bavello per liberare dei prigionieri. A Firenze il GAP guidato da Fanciullacci colpisce a morte il Ministro Gentile. I tedeschi e la Milizia lanciano una nuova offensiva, a metà aprile, 25 mila soldati sono impiegati sull’asse monte Morello - Futa - Monte Giovi - Falterona, con spietate incursioni, distruzioni, uccisioni. La Lavacchini è attaccata a Lastreto e ripara a Santa Margherita, la compagnia “Fanfulla” si sposta al Trebbio. Ancora nei giorni seguenti attacchi e numerosi morti civili a Cerreto Maggio, Vaglia, Fontebuona, Morlione, Castagno, San Godenzo, Dicomano, Corella. Fuoco sulla Fabbroni che si sfalda, decimata la Checcucci. Nella zona del Pratomagno 9500 uomini delle divisioni tedesche e militi attuano un attacco compiendo bestiali atrocità a Vallucciole, con 108 civili uccisi. Morti anche a Berceto, Partina, Maggione, San Martino: altri 77 trucidati, tra cui Anna Vangelisti di trenta mesi. A Roma nasce un nuovo Governo con 5 rappresentanti del CLN. Si intensificano gli scontri, ormai i prigionieri vengono fucilati da entrambe le parti, si ricercano le spie e i collaboratori dei nemici. La “Lavacchini” giustizia 7 tedeschi e 2 repubblichini, la “Bianconcini” si scontra Firenzuola, ancora morti a Vaglia e Paterno, bombe alleate su Ronta, Borgo San Lorenzo, Pontassieve e Sieci. I tedeschi distruggono i generi alimentari destinati alle famiglie alla cooperativa dei ferrovieri di Borgo; in un assalto alla “Rosselli” i tedeschi catturano Antonio Cinti ucciso il 27 maggio a Castel del Rio. La Rosselli si scioglie. Con il 4 giugno 1944 arriva la svolta, gli alleati entrano a Roma, il giorno dopo inizia lo sbarco in Normandia. Ivanoe Bonomi, già Presidente CLN, forma il Governo. Ferruccio Parri è designato comandante dell’esercito della Resistenza. Sul Monte Giovi nasce la Brigata “Arno”, che conterà 1600 uomini, comandata da Potente. In Mugello ancora combattimenti. La “Fanfulla”, appostata a Polcanto, cattura e disarma cinque carabinieri e distrugge un automezzo. A Pievecchia la rappresaglia tedesca uccide 14 abitanti inermi. Le bombe alleate distruggono l’abitato di San Godenzo. Il 13 giugno a San Pellegrino i tedeschi fucilano due partigiani della “Bianconcini” e quattro civili nella frazione di Filigare. A Ronta nuovo bombardamento sui “ponti di Caino”, scoperchiata la chiesa, case distrutte, altre due vittime. Ancora scontri e morti a Santa Lucia, Pian dell’Albero, Marradi, Sant’Ansano, Bordignano, San Piero. La V^ Armata libera Viterbo e arriva a Livorno, l’VIII^ entra a Siena (3 luglio), poi Arezzo (16 luglio) e punta verso Bibbiena. Il 1° luglio un rastrellamento tedesco sul Pratomagno disgrega le formazioni partigiane “Mameli” e Caiani. Il giorno dopo ancora un bombardamento su Borgo; bombe tedesche invece su Casetta di Tiara. Alle Tre Croci, Mazzetta, Mulinaccio, San Pellegrino, le truppe tedesche uccidono 9 civili. Morti a Sandetole e a Londa: uccisi anche un bimbo di sei mesi e una bambina di sei anni. Il 10 luglio eccidio alla Fattoria di Padulivo con 15 morti. Ancora guerra a Fonte dei Seppi, Campestri, Fantino, Casetta di Tiara: i componenti della famiglia Livi vengono rinchiusi e bruciati vivi dai tedeschi per rappresaglia. A Crespino sul Lamone (Marradi) i nazisti compiono una delle peggiori stragi della Toscana con 42 cittadini innocenti massacrati. Rolando Lonari, detto “Bomba”, partigiano diciannovenne di Grezzano, in servizio di collegamento con una staffetta per la “Rosselli”, è catturato e fucilato il 28 luglio alla fattoria di Masseto. Il 3 agosto, Imperio Bellaretti e Giuseppe Iandelli, borghigiani, assistono impotenti allo sconvolgimento delle formazioni “Caiani”, 11 partigiani giustiziati, e “Rosselli”, rimasta con 15 unità, il comandante catturato e fucilato, due dispersi; i tedeschi perdono 20 uomini. Questo è il “Sangue dei vincitori”. Si prepara la liberazione di Firenze, il CTLN sposta in Mugello le brigate partigiane che erano sul Pratomagno. 3000 partigiani sono pronti a entrare a Firenze alla guida di “Potente”. Saltano i ponti di Firenze. Sandro Pertini è a Firenze, e protesta presso il comando inglese per limitare le sofferenze alla città. Il CTLN lancia la sfida, la mattina dell’11 agosto suona a distesa la Martinella, cui risponde la campana del Bargello, è il segnale dell’insurrezione, poco dopo il Sindaco Gaetano Pieraccini riprende il posto che aveva nel ’21, cancellando simbolicamente il fascismo. Nel Mugello proseguono gli attacchi, i tedeschi a Montepulico accerchiano una squadra della Lavacchini e catturano il comandante; qualche giorno dopo nuovi rastrellamenti determinano l’uccisione di 24 partigiani e 56 feriti. Il 21 agosto 1944 è libera Pontassieve, tre giorni dopo Pelago, il 26 il generale De Gaulle prende Parigi, i sovietici arrivano sul Baltico, Atene è insorta. Il 1° settembre i partigiani della “Buozzi” entrano a Fiesole. Alla Consuma i tedeschi in fuga sfogano la loro bestialità trucidando 9 civili, tra cui diversi bambini, a Podernuovo e Lagacciolo. Un’altra azione tedesca cattura due partigiani della “Lavacchini”: dispersi; i nazisti ripiegando minano la ferrovia faentina e distruggono il palazzo comunale di Londa. Il 7 settembre alla Fortezza da Basso i partigiani che hanno liberato Firenze ricevono l’encomio e devono consegnare le armi ma non tutti lo fanno, si inizia a parlare di “resistenza tradita”, di una liberazione a metà, del popolo messo ai margini. In realtà è grazie anche a questi uomini se il Presidente De Gasperi a Parigi, il 10 agosto 1946, potrà partecipare alla Conferenza di pace con un minimo di dignità e con qualche ragione: “Prendendo la parola in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me: e soprattutto la mia qualifica di ex nemico…“ “… il rovesciamento del regime fascista non fu possibile che in seguito agli avvenimenti militari, ma il rivolgimento non sarebbe stato così profondo, se non fosse stato preceduto dalla lunga cospirazione dei patrioti che in Patria e fuori agirono a prezzo di immensi sacrifici …” Nel bilancio della lotta una particolare menzione se la sono conquistata la donne. Senza il loro apporto la resistenza avrebbe avuto minor successo e ci sarebbero stati più morti. Senza fucili e senza armi, senza rifugi e senza fuggire, senza la ribalta delegata agli uomini, mogli e fidanzate, madri e sorelle hanno combattuto la loro guerra nelle loro case, nelle retrovie della storia, rappresentando un approdo sicuro per chi era in montagna. Esponendosi così alla follia bestiale e insensata dell’odio, della vendetta, della distruzione. Così come i sacerdoti, spinti dal cardinale di Firenze Dalla Costa, diversamente dall’atteggiamento del Vaticano, sono stati con il loro popolo, senza tradire ma adoperandosi per liberare i prigionieri, offrendosi come ostaggio, proteggendo e nascondendo partigiani e soldati in difficoltà, morendo anche per ritorsione o a fianco dei combattenti. Una squadra della Lavacchini con Sparviero, Fiorino, Napoli, Scialuppa, Leone esegue una ricognizione, dal Monte Giovi verso Borgo, con una tensione altissima, ci sono retroguardie tedesche e potrebbero esserci conflitti e rappresaglie. La squadra rientra e riferisce della situazione. Londa, Dicomano e San Piero sono liberi. Il comando della Brigata nella notte decide l’invio di due squadre nel capoluogo, per occupare il paese, una scenderà da Lutiano con il comando di Benito Paoli, l’altra con Ottavio Pini da Rabatta. La discesa non trova ostacoli, Eugenio Belli è spedito a chiamare il resto della Brigata, al ponte di Sieve s’intravede una jeep inglese della sussistenza. 11 settembre 1944, il fornaio Aldemaro Vitartali in giro per le consegne, è il primo che saluta i partigiani, Fortunato Bagiardi issa il tricolore sulla Torre dell’Orologio, il Lapucci si mette a cantare l’Internazionale davanti alla bottega del capo fascista Tesi, ma non la conosce quasi nessuno. Borgo San Lorenzo è libera. Massimo Biagioni 11 settembre 2014, sala del Consiglio Comunale
© Copyright 2024 ExpyDoc