Indice sommario Dottrina Borasi Ivan: Condizione volontaria versus atto processuale penale, pag. 327 Minnella Carmelo: Divieto di avvicinamento anti - stalking ex art. 282 ter c.p.p.: il conflitto in Cassazione sui contenuti della misura cautelare, pag. 379 Russo Licia: La vigilanza privata nel contrasto alla pirateria. Quali prospettive?, pag. 332 Bibliografia Corso Stefano Maria: Codice della responsabilità “da reato” degli enti, pag. 335 Degl’Innocenti Leonardo, Faldi Francesco: I benefici penitenziari, pag. 335 Dell’Agli Carlo: Scritti giuridici, pag. 335 Giurisprudenza Appello penale Cognizione del giudice di appello – Benefici – Pronuncia di condanna in riforma dell’assoluzione di primo grado. F Cass. pen., sez. VI, 28 marzo 2013, n. 14758 (ud. 27 marzo 2013), V., m., pag. 389 Cognizione del giudice di appello – Circostanze – Impugnazione del p.m.. F Cass. pen., sez. IV, 26 febbraio 2013, n. 9159 (ud. 8 gennaio 2013), B., m., pag. 389 Cognizione del giudice di appello – Reformatio in peius – Appello del solo imputato ai fini della diminuzione della pena. F Cass. pen., sez. I, 18 febbraio 2013, n. 7904 (ud. 12 giugno 2012), Ippoliti, m., pag. 389 Cognizione del giudice di appello – Reformatio in peius – Estensione del divieto alle statuizioni civili. F Cass. pen., sez. V, 20 febbraio 2013, n. 8339 (ud. 18 ottobre 2012), T., m., pag. 389 Decreto di citazione – Difensore designato dopo la notificazione a quello risultante dagli atti – Nuova notifica. F Cass. pen., sez. IV, 28 marzo 2013, n. 14700 (ud. 10 gennaio 2013), Sigrisi, m., pag. 389 Decreto di citazione – Termine per il giudizio – Violazione del termine di venti giorni. F Cass. pen., sez. IV, 18 ottobre 2012, n. 40897 (ud. 28 settembre 2012), Migliorino, m., pag. 389 Dibattimento – Rinnovazione dell’istruzione – Diversa valutazione di attendibilità di un teste ritenuto in primo grado inattendibile. F Cass. pen., sez. VI, 12 aprile 2013, n. 16566 (ud. 26 febbraio 2013), Caboni ed altro, m., pag. 389 Dibattimento – Rinnovazione dell’istruzione – Giudizio abbreviato. F Cass. pen., sez. III, 6 febbraio 2013, n. 5854 (ud. 29 novembre 2012), R., m., pag. 389 Dibattimento – Rinnovazione dell’istruzione – Obbligatorietà in caso di reformatio in peius in appello di sentenza di assoluzione. F Cass. pen., sez. II, 27 novembre 2012, n. 46065 (ud. 8 novembre 2012), Consagra, m., pag. 389 Dibattimento – Rinnovazione dell’istruzione – Prova nuova disposta dal giudice. F Cass. pen., sez. VI, 21 febbraio 2013, n. 8700 (ud. 21 gennaio 2013), Leonardo e altri, m., pag. 390 Dibattimento – Rinnovazione dell’istruzione – Prova sopravvenuta o scoperta. F Cass. pen., sez. III, 12 marzo 2013, n. 11530 (ud. 29 gennaio 2013), A.E., m., pag. 390 Dibattimento – Rinnovazione dell’istruzione – Sentenza di proscioglimento. F Cass. pen., sez. IV, 25 gennaio 2013, n. 4100 (ud. 6 dicembre 2012), Bifulco, m., pag. 390 Provvedimenti appellabili e inappellabili – Appello contro sentenza di assoluzione nella vigenza della legge n. 46 del 2006 – Omessa pronuncia. F Cass. pen., sez. VI, 7 marzo 2013, n. 10887 (ud. 11 ottobre 2012), Alfiero e altri, m., pag. 390 Applicazione della pena su richiesta delle parti Pena – Applicazione di pena detentiva superiore ai due anni – Applicazione delle pene accessorie e condanna alle spese processuali. F Cass. pen., sez. VI, 21 febbraio 2013, n. 8723 (c.c. 6 febbraio 2013), P.G. in proc. Crudele, m., pag. 390 Pena – Determinazione – Mancato riconoscimento di attenuante concordata. F Cass. pen., sez. VI, 7 febbraio 2013, n. 6157 (c.c. 14 gennaio 2013), Antonelli, m., pag. 390 Pena – Effetti penali della condanna ai fini della recidiva – Estinzione. F Cass. pen., sez. III, 13 febbraio 2013, n. 7067 (ud. 12 dicembre 2012), Micillo, m., pag. 390 Richiesta – Procura speciale rilasciata al difensore – Declaratoria di contumacia. F Cass. pen., sez. IV, 28 gennaio 2013, n. 4226 (c.c. 8 gennaio 2013), Evangelista, m., pag. 390 Sentenza – Annullamento in cassazione per erronea qualificazione giuridica del fatto – Formula dell’annullamento. F Cass. pen., sez. VI, 14 febbraio 2013, n. 7391 (c.c. 23 gennaio 2013), Padolecchia, m., pag. 390 Sentenza – Congruità della pena – Omessa specificazione dell’aumento per la continuazione. F Cass. pen., sez. VI, 14 febbraio 2013, n. 7401 (c.c. 31 gennaio 2013), P.G. in proc. Gjataj e altri, m., pag. 390 Sentenza – Controllo sulla corretta qualificazione giuridica del fatto – Verifica sostanziale del giudice di merito. F Cass. pen., sez. VI, 7 febbraio 2013, n. 6156 (c.c. 14 gennaio 2013), P.G. in proc. Pavlik, m., pag. 390 Sentenza – Erronea qualificazione giuridica del fatto – Deducibilità come motivo di ricorso per cassazione. F Cass. pen., sez. VI, 2 aprile 2013, n. 15009 (c.c. 27 novembre 2012), Bisignani, m., pag. 391 Sentenza – Motivazione – Mancato riconoscimento di una attenuante non richiesta. F Cass. pen., sez. VI, 14 febbraio 2013, n. 7401 (c.c. 31 gennaio 2013), P.G. in proc. Gjataj e altri, m., pag. 391 Sentenza – Omessa dichiarazione di falsità di un atto – Legittimazione della corte di cassazione ad adottare i provvedimenti di cui all’art. 537 c.p.p.. F Cass. pen., sez. V, 23 novembre 2012, n. 45861 (c.c. 10 ottobre 2012), P.G. in proc. Liso, m., pag. 391 Sentenza – Ricorso per cassazione – Sindacato sulla misura della pena. F Cass. pen., sez. III, 6 marzo 2013, n. 10286 (c.c. 13 febbraio 2013), Matteliano, m., pag. 391 Atti e provvedimenti del giudice penale Atti abnormi – Illegittima applicazione della pena detentiva congiuntamente a quella pecuniaria – Nel caso in cui tali pene siano previste come alternative – Abnormità o inesistenza del relativo provvedimento – Esclusione. F Cass. pen., sez. I, 28 marzo 2014, n. 14677 (ud. 20 gennaio 2014), Medulla, pag. 358 Correzione di errori materiali – Procedimento – Sospensione condizionale della pena. F Cass. pen., sez. I, 17 gennaio 2013, n. 2632 (c.c. 23 novembre 2012), La Perla S.a.s.., m., pag. 391 Declaratoria di determinate cause di non punibilità – Udienza preliminare – Sussistenza di causa estintiva del reato. F Cass. pen., sez. VI, 10 aprile 2013, n. 16386 (c.c. 29 gennaio 2013), Tarantino, m., pag. 391 Motivazione – Contrasto tra dispositivo e motivazione – Individuazione della volontà decisoria. F Cass. pen., sez. V, 20 febbraio 2013, n. 8363 (ud. 17 gennaio 2013), Rimbano, m., pag. 391 Motivazione – Motivazione in appello che ometta di considerare la motivazione della sentenza di primo grado – Illegittimità. F Cass. pen., sez. V, 20 febbraio 2013, n. 8343 (ud. 24 ottobre 2012), E. e altri, m., pag. 391 Provvedimenti in camera di consiglio – Legittimo impedimento del difensore – Rilevanza ai fini dell’eventuale rinvio dell’udienza. F Cass. pen., sez. I, 5 febbraio 2013, n. 5722 (c.c. 20 dicembre 2012), Morano, m., pag. 391 Provvedimenti in camera di consiglio – Udienza – Impedimento del difensore – Per adesione all’astensione collettiva dalle udienze – Richiesta di rinvio o sospensione – Ingiustificato diniego della richiesta di rinvio – Nullità a regime intermedio – Configurabilità – Sussistenza. F Cass. pen., sez. I, 31 marzo 2014, n. 14775 (ud. 12 marzo 2014), Lapresa, pag. 354 Atti processuali penali Lingua italiana – Conversazioni telefoniche in dialetto – Obbligo di traduzione. F Cass. pen., sez. I, 31 gennaio 2013, n. 4888 (c.c. 26 ottobre 2012), Antona, m., pag. 391 Azione penale Notizia di reato – Iscrizione nel registro – Nuovo reato a carico del medesimo indagato. F Cass. pen., sez. II, 4 gennaio 2013, n. 150 (ud. 18 ottobre 2012), Andreicik e altri, m., pag. 392 Casellario giudiziale Iscrizioni riportanti le imputazioni – Correzione – Richiesta. F Cass. pen., sez. I, 17 gennaio 2013, n. 2673 (c.c. 13 dicembre 2012), Budetta, m., pag. 392 indice sommario II Cassazione penale Giudizio di rinvio – Poteri del giudice di rinvio – Valutazione delle risultanze processuali. F Cass. pen., sez. V, 15 febbraio 2013, n. 7567 (c.c. 24 settembre 2012), Scavetto, m., pag. 392 Motivi di ricorso – Illogicità della motivazione – Impiego di non corretti criteri inferenziali. F Cass. pen., sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 6582 (c.c. 13 novembre 2012), Cerrito, m., pag. 392 Motivi di ricorso – Illogicità della motivazione – Sindacato sulla motivazione. F Cass. pen., sez. V, 6 marzo 2013, n. 10411 (ud. 28 gennaio 2013), Viola, m., pag. 392 Motivi di ricorso – Mancanza della motivazione – Elementi probatori. F Cass. pen., sez. II, 27 febbraio 2013, n. 9242 (ud. 8 febbraio 2013), Reggio, m., pag. 392 Motivi di ricorso – Mancanza della motivazione – Pedissequa riproduzione del contenuto di altro provvedimento. F Cass. pen., sez. IV, 12 febbraio 2013, n. 7031 (c.c. 5 febbraio 2013), Conti, m., pag. 392 Motivi di ricorso – Mancata assunzione di prova decisiva – Applicabilità anche nel caso di assunzione di una prova sollecitata al giudice ex art. 507 c.p.p. F Cass. pen., sez. II, 1 marzo 2013, n. 9763 (ud. 6 febbraio 2013), Pg in proc. Muraca e altri, m., pag. 392 Poteri della Cassazione – Prescrizione maturata prima della pronunzia della sentenza impugnata – Rilevabilità d’ufficio. F Cass. pen., sez. V, 7 novembre 2012, n. 42950 (ud. 17 settembre 2012), Xhini, m., pag. 392 Procedimento – Acquisizione di sentenze irrevocabili – Possibilità. F Cass. pen., sez. VI, 23 gennaio 2013, n. 3702 (ud. 4 dicembre 2012), Capasso e altri, m., pag. 392 Sentenza – Annullamento con rinvio – Dell’appello proposto dalla parte civile – Avverso sentenza assolutoria – Dichiarazione erronea d’inammissibilità – Rinvio al giudice penale che ha emesso il provvedimento annullato – Sussistenza. F Cass. pen., sez. V, 24 marzo 2014, n. 13835 (ud. 11 dicembre 2013), Persia, pag. 360 Sentenza – Annullamento con rinvio – Estinzione del reato. F Cass. pen., sez. V, 21 marzo 2013, n. 13316 (ud. 14 febbraio 2013), Pesce e altri, m., pag. 393 Circolazione stradale Guida in stato di ebbrezza – Accertamento – Modalità – Alcoltest – Scontrini con esito dell’accertamento etilometrico – Utilizzabilità – In dibattimento – Nullità – Esclusione. F Cass. pen., sez. IV, 1 febbraio 2013, n. 5470 (ud. 22 maggio 2012), Russo, m., pag. 393 Guida in stato di ebbrezza – Patteggiamento – Determinazione della pena secondo la legge vigente al momento del fatto. F Cass. pen., sez. IV, 31 ottobre 2012, n. 42496 (c.c. 19 settembre 2012), P.G. in proc. Mercuri, m., pag. 393 Guida in stato di ebbrezza – Patteggiamento – Omessa confisca del veicolo. – Annullamento senza rinvio con contestuale applicazione della confisca. F Cass. pen., sez. IV, 12 dicembre 2012, n. 48000 (c.c. 30 novembre 2012), Chanoux ed altro, m., pag. 393 Guida in stato di ebbrezza – Sospensione condizionale della pena – Diniego della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna. F Cass. pen., sez. IV, 18 gennaio 2013, n. 2773 (ud. 27 novembre 2012), Colò, m., pag. 393 Circostanze del reato Concorso di aggravanti e attenuanti (giudizio di comparazione) – Recidiva – Contestazione generica. F Cass. pen., sez. I, 12 aprile 2013, n. 16606 (ud. 9 novembre 2012), P.G. in proc. Scalzo, m., pag. 393 Competenza penale Competenza per territorio – Incompetenza – Eccezione sollevata per la prima volta nel corso del giudizio in Cassazione – Ammissibilità – Condizioni. F Cass. pen., sez. VI, 20 marzo 2014, n. 13096 (c.c. 5 marzo 2014), De Santis, pag. 374 Competenza per territorio – Reato a consumazione prolungata – Concorso di più soggetti residenti in luoghi diversi. F Cass. pen., sez. II, 14 marzo 2013, n. 11922 (c.c. 12 dicembre 2012), Lavitola, m., pag. 393 Conflitti – Erronea dichiarazione di nullità del decreto che dispone il giudizio e restituzione degli atti al p.m. – Nuova richiesta di rinvio a giudizio da parte del p.m. al gup. F Cass. pen., sez. I, 17 gennaio 2013, n. 2664 (c.c. 11 dicembre 2012), Confl. comp. in proc. Sannino, m., pag. 393 Connessione di procedimenti – Continuazione – Spostamento della competenza. F Cass. pen., sez. I, 21 febbraio 2013, n. 8526 (c.c. 9 gennaio 2013), Confl. comp. in proc. Baruffo e altri, m., pag. 393 Cosa giudicata penale Effetti – Inammissibilità di un secondo giudizio – Accertamento in sede di legittimità. F Cass. pen., sez. V, 31 gennaio 2013, n. 5099 (ud. 11 dicembre 2012), Bisconti, m., pag. 394 Effetti – Inammissibilità di un secondo giudizio – Assoluzione dal delitto di peculato avente ad oggetto notizie di ufficio. F Cass. pen., sez. VI, 28 febbraio 2013, n. 9726 (ud. 21 febbraio 2013), Carta e altro, m., pag. 394 Effetti – Inammissibilità di un secondo giudizio – Pendenza nella stessa sede di un processo per gli stessi fatti nei confronti dello stesso imputato. F Cass. pen., sez. V, 28 settembre 2012, n. 37670 (c.c. 5 luglio 2012), Pmt in proc. Ferrini e altro, m., pag. 394 Effetti – Inammissibilità di un secondo giudizio – Violazione dedotta per la prima volta in sede di legittimità. F Cass. pen., sez. V, 9 gennaio 2013, n. 1131 (ud. 29 novembre 2012), Siano, m., pag. 394 Difesa e difensori Incompatibilità – Imputati che abbiano reso dichiarazioni sulla responsabilità di altro imputato – Divieto di assunzione della difesa da parte di uno stesso difensore F Cass. pen., sez. VI, 7 marzo 2013, n. 10887 (ud. 11 ottobre 2012), Alfiero e altri, m., pag. 394 Edilizia e urbanistica Licenza e concessione edilizia – Ordine di demolizione – Delibera di acquisizione al patrimonio comunale. F Cass. pen., sez. III, 22 marzo 2013, n. 13746 (c.c. 29 gennaio 2013), Falco e altro, m., pag. 394 Esecuzione in materia penale Abolizione del reato – Revoca della sentenza – Indagine del giudice dell’esecuzione in ordine alla sussistenza delle condizioni. F Cass. pen., sez. I, 17 gennaio 2013, n. 2638 (c.c. 11 dicembre 2012), Savoca, m., pag. 394 Competenza – Competenza funzionale – Giudice della revisione. F Cass. pen., sez. I, 22 aprile 2013, n. 18360 (c.c. 25 marzo 2013), Confl. comp. in proc. di Leo, m., pag. 394 Competenza – Pluralità di imputati – Sentenza di assoluzione in appello solo per uno di essi – Competenza del giudice di secondo grado anche in riferimento agli altri coimputati per i quali viene confermata la condanna – Sussistenza. F Cass. pen., sez. I, 28 marzo 2014, n. 14686 (c.c. 28 febbraio 2014), Confl. comp. Trib. Taranto in proc. Corte App. Lecce, pag. 356 Competenza – Sentenza riformata in appello solo in relazione all’ordine di demolizione – Individuazione. F Cass. pen., sez. I, 31 gennaio 2013, n. 4914 (c.c. 19 dicembre 2012), Pg in proc. Silvestri, m., pag. 394 Computo della pena – Concorso formale e reato continuato – Continuazione tra reati giudicati con rito ordinario e reati giudicato con rito abbreviato. F Cass. pen., sez. III, 25 febbraio 2013, n. 9038 (c.c. 20 novembre 2012), Micheletti, m., pag. 394 Disciplina del concorso formale e del reato continuato – Ambito di applicazione – Accertamento della continuazione. F Cass. pen., sez. I, 21 febbraio 2013, n. 8513 (c.c. 9 gennaio 2013), Cardinale, m., pag. 395 Pene concorrenti – Sopravvenienza di provvedimento di cumulo – Domanda di applicazione della continuazione. F Cass. pen., sez. I, 14 febbraio 2013, n. 7333 (c.c. 9 novembre 2012), Di Cuonzo, m., pag. 395 Procedimento di esecuzione – Annullamento senza rinvio di uno o più capi della sentenza di condanna – Sospensione condizionale della pena. F Cass. pen., sez. I, 12 aprile 2013, n. 16679 (c.c. 1 marzo 2013), Corlando, m., pag. 395 Procedimento di esecuzione – Confisca – Immediata ricorribilità. F Cass. pen., sez. I, 25 gennaio 2013, n. 4083 (c.c. 11 gennaio 2013), Tabbì, m., pag. 395 Procedimento di esecuzione – Confisca – Ricorribilità per cassazione. F Cass. pen., sez. I, 25 gennaio 2013, n. 4083 (c.c. 11 gennaio 2013), Tabbì, m., pag. 395 Procedimento di esecuzione – Domanda di affidamento in prova al servizio sociale – Proposizione durante l’attuazione di diverso beneficio per altro titolo. F Cass. pen., sez. I, 18 febbraio 2013, n. 7945 (c.c. 11 febbraio 2013), Valente, m., pag. 395 Procedimento di esecuzione – Inammissibilità per manifesta infondatezza – Declaratoria de plano. F Cass. pen., sez. I, 11 febbraio 2013, n. 6558 (c.c. 10 gennaio 2013), Piccinno, m., pag. 395 Procedimento di esecuzione – Incidente di esecuzione – Diritto all’udienza pubblica. F Cass. pen., sez. I, 21 marzo 2013, n. 13377 (c.c. 28 settembre 2012), Di Muro, m., pag. 395 Procedimento di esecuzione – Misure di prevenzione – Udienza. F Cass. pen., sez. I, 21 marzo 2013, n. 13377 (c.c. 28 settembre 2012), Di Muro, m., pag. 395 Procedimento di esecuzione – Omessa fissazione dell’udienza camerale – Nullità assoluta. F Cass. pen., sez. III, 11 marzo 2013, n. 11421 (c.c. 29 gennaio 2013), Prediletto, m., pag. 395 indice sommario Procedimento di esecuzione – Ordine di esecuzione – P.m. incompetente. F Cass. pen., sez. III, 4 marzo 2013, n. 10126 (c.c. 29 gennaio 2013), Di Cristo, m., pag. 395 Procedimento di esecuzione – Procedimento di sorveglianza – Partecipazione del condannato. F Cass. pen., sez. I, 21 gennaio 2013, n. 2865 (c.c. 13 dicembre 2012), Mennai, m., pag. 396 Procedimento di esecuzione – Questioni sul titolo esecutivo – Sentenza di condanna irrevocabile. F Cass. pen., sez. I, 31 gennaio 2013, n. 4891 (c.c. 28 novembre 2012), Diaconescu, m., pag. 396 Evasione Momento consumativo del reato – Allontanamento dal luogo di detenzione domiciliare senza attendere la notifica dell’indulto – Configurabilità del reato. F Cass. pen., sez. VI, 22 febbraio 2013, n. 8812 (ud. 14 novembre 2012), Crescenzo, m., pag. 396 Falsa testimonianza Privato denunziante – Legittimazione a proporre ricorso per cassazione – Esclusione. F Cass. pen., sez. VI, 25 febbraio 2013, n. 9085 (c.c. 22 novembre 2012), P.C. in proc De Sabato, m., pag. 396 Giudice penale Ricusazione – Casi – Giudice chiamato a giudicare lo stesso imputato per fatto diverso. F Cass. pen., sez. III, 12 marzo 2013, n. 11546 (c.c. 19 febbraio 2013), Frezza, m., pag. 396 Giudizio abbreviato Procedimento – Integrazione istruttoria disposta d’ufficio – Facoltà del p.m. di contestazione della recidiva. F Cass. pen., sez. I, 27 febbraio 2013, n. 9400 (ud. 12 febbraio 2013), Albanese, m., pag. 396 Richiesta – In sede di udienza preliminare – Da parte dell’imputato – Termini – Individuazione. F Cass. pen., sez. un., 15 maggio 2014, n. 20214 (ud. 27 marzo 2014), Frija Mourad, pag. 343 Richiesta – Reiezione – Impugnazione. F Cass. pen., sez. II, 24 gennaio 2013, n. 3750 (ud. 8 gennaio 2013), Ferrante e altri, m., pag. 396 Giudizio immediato Procedimento – Decreto che dispone il giudizio – Requisiti. F Cass. pen., sez. V, 15 febbraio 2013, n. 7544 (ud. 25 ottobre 2012), C., m., pag. 396 Richiesta di giudizio abbreviato – Termini di fase della custodia cautelare – Durata. F Cass. pen., sez. VI, 25 febbraio 2013, n. 9088 (c.c. 22 novembre 2012), Sall Mame, m., pag. 396 Giudizio penale di primo grado Dibattimento – Atti introduttivi – Impedimento a comparire. F Cass. pen., sez. VI, 29 gennaio 2013, n. 4284 (ud. 10 gennaio 2013), G.., m., pag. 396 Dibattimento – Atti introduttivi – Impedimento a comparire. F Cass. pen., sez. II, 4 marzo 2013, n. 10064 (ud. 19 dicembre 2012), Berlich, m., pag. 396 Dibattimento – Atti preliminari al dibattimento – Esami a richiesta di parte. F Cass. pen., sez. V, 9 gennaio 2013, n. 1139 (ud. 30 novembre 2012), Scommegna, m., pag. 397 Dibattimento – Esame dei testimoni – Minorenne. F Cass. pen., sez. IV, 12 aprile 2013, n. 16981 (ud. 12 marzo 2013), F.., m., pag. 397 Dibattimento – Fascicolo – Atto di querela. F Cass. pen., sez. V, 18 luglio 2012, n. 29034 (ud. 8 maggio 2012), D’Urzo, m., pag. 397 Dibattimento – Nuove contestazioni – Modifica concernente la data del commesso reato. F Cass. pen., sez. V, 4 marzo 2013, n. 10196 (ud. 31 gennaio 2013), Mannino, m., pag. 397 Dibattimento – Pubblico ministero – Indicazione dei fatti che intende provare. F Cass. pen., sez. VI, 7 marzo 2013, n. 10887 (ud. 11 ottobre 2012), Alfiero e altri, m., pag. 397 Dibattimento – Rinvio e sospensione – Impedimento del difensore – Per adesione all’astensione collettiva dalle udienze – Espressa con atto scritto – Termini – Individuazione. F Cass. pen., sez. II, n. 13218 (ud. 20 febbraio 2014), Camarda ed altri, pag. 369 Dibattimento – Rinvio e sospensione – Impedimento del difensore – Per adesione all’astensione collettiva dalle udienze – Espressa con atto scritto – Termini – Comunicazione tardiva. F Cass. pen., sez. II, n. 13215 (ud. 20 febbraio 2014), Rodia, pag. 369 Giudizio per decreto Decreto di condanna – Decreto emesso nonostante l’opposizione del querelante – Ricorso per cassazione per violazione di legge. F Cass. pen., sez. II, 23 gennaio 2013, n. 3415 (c.c. 18 dicembre 2012), P.O. in proc. De Luca, m., pag. 397 Richiesta – Opposizione del denunciante – Possibilità. F Cass. pen., sez. III, 21 marzo 2013, n. 13028 (c.c. 13 febbraio 2013), P.O. in proc. Traina, m., pag. 397 Impugnazioni penali in genere Ammissibilità o inammissibilità – Inammissibilità – Inserimento di frasi di censura della sentenza impugnata assertive ed apodittiche. F Cass. pen., sez. VI, 21 febbraio 2013, n. 8700 (ud. 21 gennaio 2013), Leonardo e altri, m., pag. 397 Ammissibilità o inammissibilità – Parte civile – Procura speciale. F Cass. pen., sez. VI, 2 aprile 2013, n. 14980 (ud. 27 novembre 2012), p.c. in proc. Santacatterina, m., pag. 397 Ammissibilità o inammissibilità – Sentenza dichiarativa della prescrizione – Appello della parte civile agli effetti della responsabilità civile. F Cass. pen., sez. II, 13 febbraio 2013, n. 7041 (ud. 28 novembre 2012), Caleca e altri, m., pag. 397 Effetto estensivo – Appello – Mancato accoglimento – Diritto autonomo dell’imputato non impugnante a proporre ricorso per cassazione – Ammissibilità – Esclusione. F Cass. pen., sez. III, 5 marzo 2013, n. 10223 (ud. 24 gennaio 2013), Mikulic, m., pag. 397 Effetto estensivo – Imputato rinunziante al gravame ex art. 599 c.p.p. – Gravame accolto per altri coimputati. F Cass. pen., sez. I, 22 aprile 2013, n. 18351 (c.c. 25 marzo 2013), P.G. in proc. Mosca, m., pag. 397 Effetto estensivo – Operatività nei confronti del coimputato la cui impugnazione sia stata esaminata nel merito – Esclusione. F Cass. pen., sez. VI, 23 gennaio 2013, n. 3702 (ud. 4 dicembre 2012), Capasso e altri, m., pag. 398 Effetto estensivo – Prescrizione dichiarata nei confronti dell’imputato appellante – Operatività della stessa anche nei confronti di coimputato non appellante – Sussistenza – Passaggio in giudicato della sentenza nei suoi confronti – Irrilevanza. F Cass. pen., sez. III, 5 marzo 2013, n. 10223 (ud. 24 gennaio 2013), Mikulic, m., pag. 398 Impugnazione della parte civile – Sentenza di condanna che modifica l’imputazione – Interesse all’impugnazione – Sussistenza – Condizioni. F Cass. pen., sez. IV, 9 ottobre 2012, n. 39898 (ud. 3 luglio 2012), p.c. in proc. Giacalone, m., pag. 398 Interesse ad impugnare – Interesse tendente ad evitare conseguenze extrapenali pregiudizievoli o ad assicurarsi effetti extrapenali più favorevoli – Sufficienza. F Cass. pen., sez. V, 28 settembre 2012, n. 37677 (c.c. 10 luglio 2012), Cornicello, m., pag. 398 Interesse ad impugnare – Sentenza assolutoria – Ricorso del p.m.. F Cass. pen., sez. IV, 18 ottobre 2012, n. 40896 (ud. 28 settembre 2012), P.G. in proc. Del Pozzo, m., pag. 398 Interesse ad impugnare – Sentenza dichiarativa di prescrizione – Ricorso del pubblico ministero teso a contestare il calcolo del tempo per la prescrizione. F Cass. pen., sez. VI, 7 febbraio 2013, n. 6151 (ud. 22 gennaio 2013), P.M. in proc. Cardellicchio, m., pag. 398 Interessi civili – Declaratoria di estinzione del reato da parte del giudice di appello – Assenza di motivazione in ordine alla valutazione della responsabilità dell’imputato ai fini civilistici. F Cass. pen., sez. V, 5 febbraio 2013, n. 5764 (ud. 7 dicembre 2012), Sarti, m., pag. 398 Provvedimenti impugnabili o inoppugnabili – Provvedimenti abnormi – Accertamenti sull’identità dell’imputato. F Cass. pen., sez. III, 4 marzo 2013, n. 10128 (c.c. 29 gennaio 2013), Pmt in proc. Willi, m., pag. 398 Provvedimenti impugnabili o inoppugnabili – Provvedimenti abnormi – Istanza del p.m. di liquidazione dei compensi dovuti al c.t.. F Cass. pen., sez. IV, 18 gennaio 2013, n. 2820 (c.c. 30 novembre 2012), Pmt in proc. Drigo, m., pag. 398 Provvedimenti impugnabili o inoppugnabili – Provvedimenti abnormi – Omesso interrogatorio dell’indagato. F Cass. pen., sez. VI, 28 febbraio 2013, n. 9730 (c.c. 29 gennaio 2013), P.M. in proc. Laporta, m., pag. 398 Provvedimenti impugnabili o inoppugnabili – Provvedimenti abnormi – Richiesta di riparazione per ingiusta detenzione. F Cass. pen., sez. IV, 12 febbraio 2013, n. 7001 (c.c. 20 novembre 2012), Riitano, m., pag. 399 Rinuncia – Formalità – Rinuncia presentata via fax alla cancelleria del giudice. F Cass. pen., sez. I, 31 gennaio 2013, n. 4884 (c.c. 26 ottobre 2012), Moltoni, m., pag. 399 Rinuncia – Rinuncia a determinati motivi fra quelli in cui si articolava l’atto di appello – Procura speciale. F Cass. pen., sez. V, 24 gennaio 2013, n. 3820 (ud. 10 gennaio 2013), Ignomeriello e altri, m., pag. 399 Imputato Dichiarazioni – Indizianti – Obbligo di informazione. F Cass. pen., sez. V, 8 gennaio 2013, n. 747 (ud. 28 settembre 2012), P.G. in proc. T. e altri, m., pag. 399 Dichiarazioni – Rinnovazione dell’esame di persona indagata a norma dell’art. 26 della legge n. 63 del 2001 – Dichiarazioni precedentemente rese al p.m. radicalmente ritrattate in sede di rinnovazione. F Cass. pen., sez. II, 4 gennaio III indice sommario IV 2013, n. 150 (ud. 18 ottobre 2012), Andreicik e altri, m., pag. 399 Identità personale – Attribuzione di generalità errore – Rettifica. F Cass. pen., sez. II, 23 gennaio 2013, n. 3396 (c.c. 16 novembre 2012), Dagrada, m., pag. 399 Infermità di mente – Accertamento – Sospensione del processo per incapacità dell’imputato. F Cass. pen., sez. IV, 31 gennaio 2013, n. 4973 (c.c. 14 dicembre 2012), Barolo, m., pag. 399 Indagini preliminari Arresto in flagranza e fermo – Stato di flagranza – Informazione da parte di terzi. F Cass. pen., sez. IV, 5 aprile 2013, n. 15912 (c.c. 7 febbraio 2013), P.M. in proc. Cecconi e altri, m., pag. 399 Attività ad iniziativa della polizia giudiziaria – Documentazione dell’attività – Mancata verbalizzazione di dichiarazioni. F Cass. pen., sez. II, 4 gennaio 2013, n. 150 (ud. 18 ottobre 2012), Andreicik e altri, m., pag. 399 Attività ad iniziativa della polizia giudiziaria – Prostituzione minorile – Costatazione diretta da parte della polizia giudiziaria. F Cass. pen., sez. III, 12 marzo 2013, n. 11529 (ud. 29 gennaio 2013), B., m., pag. 399 Attività del P.M. – Accertamenti tecnici non ripetibili – Consulenza balistica. F Cass. pen., sez. I, 8 febbraio 2013, n. 6344 (c.c. 22 gennaio 2013), Fontanesi, m., pag. 399 Attività del P.M. – Accertamenti tecnici non ripetibili – Individuazione di impronta digitale mediante un sistema di ‘esaltazione’ della stessa. F Cass. pen., sez. VI, 6 marzo 2013, n. 10350 (ud. 6 febbraio 2013), Granella, m., pag. 399 Attività del P.M. – Mancato svolgimento da parte del p.m. di attività di indagine a favore dell’indagato – Sanzioni processuali. F Cass. pen., sez. II, 4 marzo 2013, n. 10061 (ud. 20 novembre 2012), Porcelli, m., pag. 400 Chiusura – Archiviazione – Notifica alla persona offesa. F Cass. pen., sez. VI, 20 febbraio 2013, n. 8408 (c.c. 6 febbraio 2013), P.O. in proc. Gironacci, m., pag. 400 Chiusura – Archiviazione – Omesso avviso. F Cass. pen., sez. III, 12 marzo 2013, n. 11543 (c.c. 27 novembre 2012), P.O. in proc. Ferrari, m., pag. 400 Chiusura – Archiviazione – Opposizione della persona offesa. F Cass. pen., sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 6579 (c.c. 13 novembre 2012), P.O. in proc. Febbo, m., pag. 400 Chiusura – Archiviazione – Restituzione di cose sequestrate – Competenza del Gip in funzione del giudice dell’esecuzione – Provvedimento adottato “de plano” – Opposizione – Termine. F Cass. pen., sez. I, 10 aprile 2014, n. 15997 (c.c. 28 febbraio 2014), Villa, pag. 349 Chiusura – Termini – Inutillizabilità degli atti per scadenza del termine. F Cass. pen., sez. VI, 25 febbraio 2013, n. 9097 (c.c. 17 gennaio 2013), Lestingi, m., pag. 400 Chiusura – Termini – Proroga. F Cass. pen., sez. V, 5 febbraio 2013, n. 5782 (c.c. 4 dicembre 2012), Scorrano, m., pag. 400 Udienza preliminare – Atti di indagine espletati in procedimento diverso e prima della richiesta di rinvio a giudizio – Acquisizione. F Cass. pen., sez. V, 20 febbraio 2013, n. 8353 (ud. 16 gennaio 2013), Fiarè e altri, m., pag. 400 Udienza preliminare – Richiesta di rinvio a giudizio – Procedimenti connessi – Citazione diretta a giudizio ammessa solo per alcuni di essi – Richiesta di rinvio a giudizio del P.M. per tutti i procedimenti – Ammissibilità – Richiesta del P.M. di giudizio immediato per tutti i procedimenti – Ammissibilità. F Cass. pen., sez. VI, 31 marzo 2014, n. 14816 (ud. 10 dicembre 2013), Scalese, pag. 351 Udienza preliminare – Richiesta di rinvio a giudizio – Rituale presentazione presso la cancelleria del giudice. F Cass. pen., sez. V, 5 ottobre 2012, n. 39407 (ud. 18 luglio 2012), Baracca, m., pag. 400 Istituti di prevenzione e pena (ordinamento penitenziario) Affidamento in prova al servizio sociale – Sopravvenienza di misura cautelare domiciliare – Conseguenze. F Cass. pen., sez. VI, 5 aprile 2013, n. 15925 (ud. 28 marzo 2013), Polverino, m., pag. 400 Misure cautelari personali Arresti domiciliari – Indisponibilità di un domicilio idoneo – Applicazione della custodia in carcere. F Cass. pen., sez. II, 23 gennaio 2013, n. 3429 (c.c. 20 dicembre 2012), Di Mattia, m., pag. 400 Condizioni di applicabilità – Divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa ex art. 282 ter c.p.p. – Condotta persecutoria correlata a particolari ambiti territoriali – Esclusione – Libertà di circolazione e di svolgimento della vita sociale del soggetto passivo – Rilevanza – Erronea indicazione della persona offesa all’interno del provvedimento assunto – Classificazione – Mero errore materiale. F Cass. pen., sez. V, 23 gennaio 2014, n. 3552 (ud. 22 novembre 2013), C.M.N., pag. 378 Condizioni di applicabilità – Esigenze cautelari – Modalità del fatto. F Cass. pen., sez. I, 21 febbraio 2013, n. 8534 (c.c. 9 gennaio 2013), Liuzzi, m., pag. 400 Condizioni di applicabilità – Gravi indizi di colpevolezza – Giudizio di esclusione. F Cass. pen., sez. II, 27 febbraio 2013, n. 9269 (c.c. 5 dicembre 2012), Della Costa, m., pag. 400 Custodia cautelare in carcere – Durata – Interruzione dei termini – Condizioni – Passaggio in giudicato della sentenza di condanna – Esclusione. F Trib. pen. Macerata, sez. Gip/Gup, 28 marzo 2014, X, pag. 387 Custodia cautelare in carcere – Durata – Interruzione dei termini – Passaggio in giudicato della sentenza di condanna – Periodo intercorrente fra il passaggio in giudicato della sentenza e l’avvio della fase di esecuzione della pena – Questioni relative alla misura cautelare custodiale – Competenza – Individuazione. F Trib. pen. Macerata, sez. Gip/ Gup, 28 marzo 2014, X, pag. 387 Estinzione – Effetto della pronuncia di determinate sentenze – Annullamento con rinvio della sentenza di condanna. F Cass. pen., sez. I, 1 febbraio 2013, n. 5214 (c.c. 15 gennaio 2013), Zefi, m., pag. 401 Estinzione – Omesso interrogatorio – Nuova emissione di misura cautelare a seguito di quella precedente. F Cass. pen., sez. II, 27 febbraio 2013, n. 9258 (c.c. 23 novembre 2012), Sarpa, m., pag. 401 Estinzione – Provvedimenti in caso di scarcerazione per decorrenza dei termini – Ripristino della custodia per sopravvenuta condanna. F Cass. pen., sez. II, 27 febbraio 2013, n. 9277 (c.c. 22 gennaio 2013), Tallura, m., pag. 401 Estinzione – Revoca e sostituzione – Richiesta – Condizioni di salute del detenuto incompatibili con lo stato di detenzione – Rigetto della richiesta sulla base della documentazione sanitaria acquisita – Obbligo del giudice di disporre perizia – Sussistenza. F Cass. pen., sez. IV, 11 aprile 2013, n. 16524 (c.c. 15 febbraio 2013), Mafrica, m., pag. 401 Estinzione – Termine di durata massima della custodia cautelare – Disconoscimento di una circostanza attenuante. F Cass. pen., sez. IV, 7 marzo 2013, n. 10674 (c.c. 19 febbraio 2013), P.G. in proc. Macrì, m., pag. 401 Estinzione – Termine di durata massima della custodia cautelare – Sospensione. F Cass. pen., sez. V, 28 settembre 2012, n. 37656 (c.c. 7 giugno 2012), Scozzari, m., pag. 401 Impugnazioni – Appello – Appello del p.m.. F Cass. pen., sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 6592 (c.c. 25 gennaio 2013), Lacu e altro, m., pag. 401 Impugnazioni – Appello – Impugnazione del p.m.. F Cass. pen., sez. III, 23 gennaio 2013, n. 3443 (c.c. 18 settembre 2012), P.M. in proc. E.., m., pag. 401 Impugnazioni – Riesame – Decisione. F Cass. pen., sez. VI, 29 gennaio 2013, n. 4301 (c.c. 11 gennaio 2013), Musumeci, m., pag. 401 Impugnazioni – Riesame – Procedimento. F Cass. pen., sez. I, 5 febbraio 2013, n. 5714 (c.c. 18 dicembre 2012), Garufi, m., pag. 401 Impugnazioni – Riesame – Procedimento. F Cass. pen., sez. VI, 15 febbraio 2013, n. 7521 (c.c. 24 gennaio 2013), Cerbasio, m., pag. 401 Impugnazioni – Riesame – Richiesta. F Cass. pen., sez. VI, 18 aprile 2013, n. 17958 (c.c. 16 aprile 2013), Camuri, m., pag. 401 Impugnazioni – Riesame – Sopravvenuta inutilizzabilità. F Cass. pen., sez. VI, 29 gennaio 2013, n. 4305 (c.c. 17 gennaio 2013), Gallo, m., pag. 402 Procedimento applicativo – Interrogatorio – Sospensione dell’interrogatorio per avvisare il difensore nominato. F Cass. pen., sez. III, 28 febbraio 2013, n. 9585 (c.c. 17 gennaio 2013), Gjini, m., pag. 402 Procedimento applicativo – Ordinanza del giudice – Requisiti. F Cass. pen., sez. IV, 22 gennaio 2013, n. 3303 (c.c. 18 ottobre 2012), Manolache, m., pag. 402 Procedimento applicativo – Ordinanza del giudice – Requisiti. F Cass. pen., sez. IV, 11 febbraio 2013, n. 6797 (c.c. 24 gennaio 2013), Canessa e altro, m., pag. 402 Procedimento applicativo – Potere del g.i.p. di dare una diversa qualificazione giuridica al fatto – Sussistenza. F Cass. pen., sez. VI, 19 marzo 2013, n. 12828 (c.c. 14 febbraio 2013), P.., m., pag. 402 Riparazione per l’ingiusta detenzione – Richiesta – Ricovero in casa di cura. F Cass. pen., sez. IV, 8 marzo 2013, n. 11086 (c.c. 6 febbraio 2013), Di Riso, m., pag. 402 Misure cautelari reali Impugnazioni – Ricorso per cassazione – Motivi. F Cass. pen., sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 6589 (c.c. 10 gennaio 2013), Gabriele, m., pag. 402 indice sommario Impugnazioni – Ricorso per cassazione – Ordinanza del tribunale del riesame di revoca del sequestro conservativo. F Cass. pen., sez. V, 28 settembre 2012, n. 37655 (c.c. 17 aprile 2012), Cedis Spa ed altro, m., pag. 402 Impugnazioni – Ricorso per cassazione – Ordinanza del tribunale del riesame di revoca del sequestro conservativo. F Cass. pen., sez. V, 30 gennaio 2013, n. 4622 (c.c. 7 novembre 2012), p.c. in proc. Dazzi, m., pag. 402 Impugnazioni – Ricorso per cassazione – Revoca del sequestro conservativo. F Cass. pen., sez. V, 15 ottobre 2012, n. 40404 (c.c. 17 aprile 2012), P.C. in proc. Bosio, m., pag. 402 Impugnazioni – Riesame – Decisione F Cass. pen., sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 6589 (c.c. 10 gennaio 2013), Gabriele, m., pag. 402 Impugnazioni – Sequestro probatorio – Indicazioni carenti. F Cass. pen., sez. VI, 6 febbraio 2013, n. 5906 (c.c. 22 gennaio 2013), P.M. in proc. Costanzo Zammataro, m., pag. 403 Sequestro conservativo – Patteggiamento – Ordinanza di conversione del sequestro probatorio in conservativo. F Cass. pen., sez. III, 22 gennaio 2013, n. 3265 (c.c. 29 novembre 2012), Boukhsibi, m., pag. 403 Sequestro conservativo – Revoca – Condizioni. F Cass. pen., sez. V, 15 ottobre 2012, n. 40407 (c.c. 17 aprile 2012), R.C. in proc. De Berardinis e altro, m., pag. 403 Sequestro preventivo – Condizioni di applicabilità – Gravi indizi di colpevolezza – Valutazione – Necessità – Esclusione – Riconducibilità del fatto ad una ipotesi astratta di reato – Sufficienza – Fattispecie relativa al sequestro di una patente di guida rilasciata sul presupposto di un certificato medico falso. F Cass. pen., sez. II, 5 febbraio 2014, n. 5656 (c.c. 28 gennaio 2014), P.M. in proc. Zagarrio, pag. 377 Sequestro preventivo – Confisca – Necessità. F Cass. pen., sez. III, 13 febbraio 2013, n. 7079 (c.c. 23 gennaio 2013), Buzi, m., pag. 403 Sequestro preventivo – Oggetto – Confisca per equivalente. F Cass. pen., sez. III, 22 gennaio 2013, n. 3260 (c.c. 4 aprile 2012), P.M. in proc. Currò, m., pag. 403 Sequestro preventivo – Oggetto – Confisca per equivalente. F Cass. pen., sez. III, 7 marzo 2013, n. 10567 (c.c. 12 luglio 2012), Falchero, m., pag. 403 Sequestro preventivo – Oggetto – Sequestro funzionale alla confisca per equivalente. F Cass. pen., sez. VI, 22 gennaio 2013, n. 3253 (c.c. 5 luglio 2012), P.M. in proc. Zaffagnini e altri, m., pag. 403 Sequestro preventivo – Perdita di efficacia – Sentenza di condanna non irrevocabile. F Cass. pen., sez. I, 21 febbraio 2013, n. 8533 (c.c. 9 gennaio 2013), Zhugri, m., pag. 403 Sequestro preventivo – Principi di proporzionalità e adeguatezza – Applicazione. F Cass. pen., sez. V, 20 febbraio 2013, n. 8382 (c.c. 16 gennaio 2013), Caruso, m., pag. 403 Sequestro preventivo – Provvedimento del p.m. di rigetto – Annullamento della corte di cassazione. F Cass. pen., sez. III, 23 gennaio 2013, n. 3449 (c.c. 20 novembre 2012), Torroni, m., pag. 403 Sequestro preventivo – Richiesta di revoca – Provvedimento del p.m. di rigetto. F Cass. pen., sez. III, 23 gennaio 2013, n. 3449 (c.c. 20 novembre 2012), Torroni, m., pag. 403 Misure di prevenzione Appartenenti ad associazioni mafiose – Sorveglianza speciale – Assoluzione in appello dal delitto associativo. F Cass. pen., sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 6588 (c.c. 10 gennaio 2013), Facchineri, m., pag. 403 Procedimento – Richiesta dell’interessato di presenziare all’udienza – Istanza del difensore. F Cass. pen., sez. I, 31 gennaio 2013, n. 4896 (c.c. 30 novembre 2012), Modou, m., pag. 404 Revoca e modifica – Opposizione a confisca – Terzi interessati. F Cass. pen., sez. VI, 15 febbraio 2013, n. 7510 (c.c. 23 ottobre 2012), Esposito e altro, m., pag. 404 Misure di sicurezza Patrimoniali – Confisca – Beni acquisiti in epoca precedente all’entrata in vigore della legge. F Cass. pen., sez. VI, 7 marzo 2013, n. 10887 (ud. 11 ottobre 2012), Alfiero e altri, m., pag. 404 Patrimoniali – Confisca – Denaro sequestrato alle prostitute. F Cass. pen., sez. III, 25 febbraio 2013, n. 9032 (c.c. 3 ottobre 2012), Dong, m., pag. 404 Patrimoniali – Confisca per equivalente – Revoca e restituzione dei beni in sede esecutiva. F Cass. pen., sez. I, 30 gennaio 2013, n. 4702 (c.c. 22 ottobre 2012), P.M. in proc. Colonna e altri, m., pag. 404 Procedimento – Su istanza degli interessati – Nelle forme dell’udienza pubblica – Esclusione – Illegittimità costituzionale parziale. F Corte cost., 21 maggio 2014, n. 135 (c.c. 12 febbraio 2014), Mag. sorv. Napoli in proc. Z.U., pag. 337 Notificazioni in materia penale A persona diversa dall’imputato – Difensore – Abbandono della difesa da parte dei difensori di fiducia. F Cass. pen., sez. I, 31 gennaio 2013, n. 4928 (c.c. 19 dicembre 2012), Falanga, m., pag. 404 A persona diversa dall’imputato – Imputato interdetto o infermo di mente – Notificazione presso il tutore. F Cass. pen., sez. V, 28 settembre 2012, n. 37673 (c.c. 5 luglio 2012), Flachi, m., pag. 404 All’imputato non detenuto – Decreto di citazione a giudizio – Lettura in udienza al difensore dell’imputato. F Cass. pen., sez. III, 4 aprile 2013, n. 15624 (ud. 6 febbraio 2013), Fornelli, m., pag. 404 All’imputato non detenuto – Domicilio dichiarato o eletto – Elezione di domicilio contenuta nell’istanza di ammissione al patrocinio dello stato. F Cass. pen., sez. III, 27 marzo 2013, n. 14416 (ud. 19 febbraio 2013), El Hairi, m., pag. 404 All’imputato non detenuto – Domicilio dichiarato o eletto – Mutamento. F Cass. pen., sez. V, 11 marzo 2013, n. 11261 (ud. 13 febbraio 2013), Costa, m., pag. 404 All’imputato non detenuto – Domicilio dichiarato o eletto – Mutamento. F Cass. pen., sez. VI, 19 marzo 2013, n. 12821 (ud. 11 marzo 2013), Adami e altri, m., pag. 404 All’imputato non detenuto – Domicilio dichiarato o eletto – Successiva modifica della dimora. F Cass. pen., sez. II, 1 marzo 2013, n. 9776 (c.c. 22 novembre 2012), El Badaoui, m., pag. 405 All’imputato non detenuto – Domicilio dichiarato o eletto – Trasferimento del domiciliatario. F Cass. pen., sez. II, 1 marzo 2013, n. 9776 (c.c. 22 novembre 2012), El Badaoui, m., pag. 405 All’imputato non detenuto – Notifica mediante consegna al difensore di fiducia – Ambito di applicabilità. F Cass. pen., sez. V, 21 marzo 2013, n. 13310 (ud. 14 febbraio 2013), L., m., pag. 405 All’imputato non detenuto – Persona presente nell’abitazione – Convivenza temporanea. F Cass. pen., sez. IV, 27 febbraio 2013, n. 9499 (ud. 5 febbraio 2013), Petronelli, m., pag. 405 Forme particolari – Notificazione al difensore trasmessa via fax – Mancata attestazione in calce all’atto trasmesso della conformità all’originale. F Cass. pen., sez. II, 11 marzo 2013, n. 11277 (ud. 6 dicembre 2012), Simionato e altro, m., pag. 405 Nullità nel processo penale Nullità assoluta – Nullità a regime intermedio – Fattispecie. F Cass. pen., sez. II, 11 marzo 2013, n. 11277 (ud. 6 dicembre 2012), Simionato e altro, m., pag. 405 Nullità relativa – Deducibilità – Omesso avviso all’indagato della facoltà di farsi assistere da un difensore. F Cass. pen., sez. IV, 15 novembre 2012, n. 44840 (ud. 11 ottobre 2012), Pg in proc. Tedeschi, m., pag. 405 Nullità relativa – Sentenza d’appello – Mancata sottoscrizione da parte del presidente del collegio. F Cass. pen., sez. U, 29 marzo 2013, n. 14978 (ud. 20 dicembre 2012), R.D., m., pag. 405 Parte civile Costituzione – Associazione per delinquere – Comune. F Cass. pen., sez. II, 4 gennaio 2013, n. 150 (ud. 18 ottobre 2012), Andreicik e altri, m., pag. 405 Legittimazione e interesse – Comune – Per reati commessi nel proprio territorio – Da privati in danno di altri privati – Potenziale danno all’immagine della città – Configurabilità in concreto del danno – Necessità – Fattispecie in tema di costituzione di parte civile da parte di Comune nei confronti di alcuni soggetti resisi responsabili dei reati di usura ed estorsione a danno di altri concittadini. F Cass. pen., sez. II, 21 marzo 2014, n. 13244 (ud. 7 marzo 2014), Lazzaro ed altri, pag. 364 Pena Estinzione (Cause di) – Indulto – Concorso di reati alcuni dei quali insuscettibili di condono. F Cass. pen., sez. I, 21 febbraio 2013, n. 8552 (c.c. 23 gennaio 2013), P.G. in proc. Piccolo, m., pag. 405 Estinzione (Cause di) – Indulto – Istanza che ripropone altra precedente già rigettata. F Cass. pen., sez. I, 8 febbraio 2013, n. 6323 (c.c. 11 gennaio 2013), Bandiera, m., pag. 406 Pene accessorie – Interdizione dai pubblici uffici – Ricorso per cassazione per omessa applicazione di pena accessoria predeterminata per legge. F Cass. pen., sez. I, 18 febbraio 2013, n. 7909 (ud. 22 gennaio 2013), P.G. in proc. Imberbe, m., pag. 406 Sospensione condizionale – Subordinazione alla demolizione delle opere edilizie abusive – Mancata apposizione di un termine. F Cass. pen., sez. III, 7 marzo 2013, n. 10581 (c.c. 6 febbraio 2013), Lombardo, m., pag. 406 Prova penale Disposizioni generali – Fallimento della prova d’alibi – Valutazione. F Cass. pen., sez. I, 4 dicembre 2012, n. 46797 (ud. 6 novembre 2012), Pandaj, m., pag. 406 V VI indice sommario Disposizioni generali – Revoca di prove ammesso – Nel giudizio di appello. F Cass. pen., sez. V, 21 marzo 2013, n. 13277 (ud. 17 gennaio 2013), Sanna, m., pag. 406 Documenti e scritture – Sentenze civili irrevocabili – Acquisibilità. F Cass. pen., sez. V, 25 marzo 2013, n. 14042 (ud. 4 marzo 2013), Simona ed altri, m., pag. 406 Documenti e scritture – Verbali di prove di altri procedimenti – Prove assunte nell’incidente probatorio con la partecipazione del difensore. F Cass. pen., sez. V, 21 marzo 2013, n. 13277 (ud. 17 gennaio 2013), Sanna, m., pag. 406 Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni – Accesso ai file audio – Presupposti. F Cass. pen., sez. III, 31 gennaio 2013, n. 4865 (c.c. 13 dicembre 2012), Tarantino e altri, m., pag. 406 Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni – Comunicazioni tra presenti – Luogo di privata dimora – Abitacolo di un autoveicolo – Esclusione. F Cass. pen., sez. V, 20 febbraio 2013, n. 8365 (ud. 18 gennaio 2013), Girasole e altri, m., pag. 406 Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni – Mancato inserimento nel fascicolo del dibattimento dei decreti autorizzativi – Inutilizzabilità delle intercettazioni. F Cass. pen., sez. V, 23 novembre 2012, n. 45853 (ud. 10 ottobre 2012), Mancini, m., pag. 406 Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni – Prova del contenuto delle intercettazioni – Trascrizione. F Cass. pen., sez. II, 22 marzo 2013, n. 13463 (ud. 26 febbraio 2013), P.G. in proc. Lagano e altri, m., pag. 406 Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni – Riconducibilità ad essa della registrazione fonografica di colloquio ad opera di un partecipe – Esclusione. F Cass. pen., sez. I, 8 febbraio 2013, n. 6339 (c.c. 22 gennaio 2013), Pagliaro, m., pag. 406 Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni – Utilizzazione – Comunicazioni di un parlamentare. F Cass. pen., sez. II, 22 febbraio 2013, n. 8739 (c.c. 16 novembre 2012), P.M. in proc. La Monica, m., pag. 407 Perizia – Saggi grafici – Raccolta. F Cass. pen., sez. II, 11 aprile 2013, n. 16400 (ud. 7 marzo 2013), Guadagni, m., pag. 407 Sequestri – Decreto – Richiesta di riesame. F Cass. pen., sez. V, 5 febbraio 2013, n. 5795 (c.c. 5 dicembre 2012), Grosso, m., pag. 407 Sequestri – Sequestro di cose soggette a confisca obbligatoria – Richiesta di restituzione da parte del terzo – Onere probatorio – Necessità – Fattispecie in tema di sequestro di veicolo utilizzato per il trasporto illecito di rifiuti. F Cass. pen., sez. III, 28 febbraio 2013, n. 9579 (c.c. 17 gennaio 2013), Longo, m., pag. 407 Testimoni – Incompatibilità – Consulente tecnico del p.m.. F Cass. pen., sez. IV, 22 gennaio 2013, n. 3277 (ud. 16 ottobre 2012), Manna e altri, m., pag. 407 Rapporti giurisdizionali con autorità straniere in materia penale Estradizione – Procedimento – Decisione. F Cass. pen., sez. VI, 7 marzo 2013, n. 10905 (c.c. 6 marzo 2013), Bishara Meged, m., pag. 407 Estradizione – Procedimento – Modalità di inoltro della domanda. F Cass. pen., sez. VI, 5 aprile 2013, n. 15927 (c.c. 28 marzo 2013), D’Angelantonio, m., pag. 407 Estradizione – Requisito della doppia incriminabilità – Corrispondenza fra lo schema della norma incriminatrice straniera ed una analoga norma italiana. F Cass. pen., sez. VI, 5 aprile 2013, n. 15927 (c.c. 28 marzo 2013), D’Angelantonio, m., pag. 407 Mandato di arresto europeo – Consegna per l’estero – Giudice che procede all’udienza di convalida dell’arresto. F Cass. pen., sez. VI, 27 marzo 2013, n. 14462 (c.c. 26 marzo 2013), Vilardo, m., pag. 407 Rogatorie – All’estero – Utilizzabilità degli atti assunti. F Cass. pen., sez. VI, 8 febbraio 2013, n. 6346 (ud. 9 novembre 2012), Domizi e altri, m., pag. 408 Sentenza penale Assoluzione – Falsità in documenti – Legittimazione ad impugnare la sentenza in punto relativo alla dichiarazione di falsità. F Cass. pen., sez. V, 7 gennaio 2013, n. 240 (ud. 30 novembre 2012), C., m., pag. 408 Assoluzione – Riforma in grado di appello – Presupposti. F Cass. pen., sez. II, 14 marzo 2013, n. 11883 (ud. 8 novembre 2012), Berlingeri, m., pag. 408 Deposito – Termine fissato dalla legge o dal giudice – Sentenza contumaciale – Definizione anticipata del procedimento – Impugnazione dell’imputato contumaciale – Termini – Decorrenza. F Cass. pen., sez. VI, 21 marzo 2014, n. 13447 (ud. 12 febbraio 2014), Battistelli, pag. 362 Interessi civili – Danni – Spese relative all’azione civile. F Cass. pen., sez. I, 31 gennaio 2013, n. 4908 (c.c. 19 dicembre 2012), Escolino, m., pag. 408 Interessi civili – Danni – Spese relative all’azione civile. F Cass. pen., sez. VI, 24 aprile 2013, n. 18615 (ud. 16 aprile 2013), Poloni, m., pag. 408 Motivazione – Riforma integrale della sentenza di primo grado – Doveri motivazionali del giudice d’appello. F Cass. pen., sez. V, 20 febbraio 2013, n. 8361 (ud. 17 gennaio 2013), p.c. in proc. Rastegar, m., pag. 408 Motivazione – Sentenza di appello che riforma la decisione del giudice di primo grado – Contenuto. F Cass. pen., sez. IV, 19 settembre 2012, n. 35922 (ud. 11 luglio 2012), p.c. in proc. Ingrassia, m., pag. 408 Relazione tra sentenza e l’accusa contestata – Giudizio di appello – Attribuzione al fatto contestato di una diversa qualificazione giuridica in sentenza. F Cass. pen., sez. VI, 13 febbraio 2013, n. 7195 (ud. 8 febbraio 2013), Sema, m., pag. 408 Relazione tra sentenza e l’accusa contestata – Principio di correlazione tra accusa e sentenza – Contenuto determinato alla luce dell’art. 6 conv. europea come interpretato dalla corte edu. F Cass. pen., sez. V, 19 febbraio 2013, n. 7984 (ud. 24 settembre 2012), Jovanovic e altro, m., pag. 408 Relazione tra sentenza e l’accusa contestata – Violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza – Mutamento degli elementi essenziali del fatto tale da pregiudicare i diritti della difesa. F Cass. pen., sez. VI, 8 febbraio 2013, n. 6346 (ud. 9 novembre 2012), Domizi e altri, m., pag. 409 Società Reati societari – Misure cautelari interdittive – Provvedimento di applicazione. F Cass. pen., sez. VI, 7 marzo 2013, n. 10903 (c.c. 5 marzo 2013), Orsi, m., pag. 409 Reati societari – Responsabilità – Procedimento di applicazione delle misure interdittive. F Cass. pen., sez. VI, 7 marzo 2013, n. 10904 (c.c. 5 marzo 2013), Rosi Leopoldo S.p.a.., m., pag. 409 Stupefacenti Associazione per delinquere per spaccio di stupefacenti – Obbligatorietà dell’aumento per la recidiva – Esclusione. F Cass. pen., sez. V, 24 gennaio 2013, n. 3820 (ud. 10 gennaio 2013), Ignomeriello e altri, m., pag. 409 Termini processuali in materia penale Restituzione in termini – Dedotta nullità della sentenza per mancata traduzione nella lingua dell’imputato alloglotta – Richiesta di restituzione nel termine per proporre appello. F Cass. pen., sez. VI, 8 aprile 2013, n. 16164 (c.c. 19 febbraio 2013), S. e altri, m., pag. 409 Restituzione in termini – Impugnazione della sentenza contumaciale – Notifica dell’estratto al difensore di fiducia domiciliatario. F Cass. pen., sez. V, 10 aprile 2013, n. 16330 (c.c. 20 marzo 2013), Katler, m., pag. 409 Restituzione in termini – Impugnazioni – Presupposti generali. F Cass. pen., sez. IV, 12 febbraio 2013, n. 7002 (c.c. 20 novembre 2012), Capaldo, m., pag. 409 Restituzione in termini – Sentenza contumaciale – Notifica dell’atto di carcerazione durante il periodo feriale di sospensione dei termini processuali. F Cass. pen., sez. I, 27 febbraio 2013, n. 9444 (c.c. 14 febbraio 2013), Barbu, m., pag. 409 Restituzione in termini – Sentenza contumaciale – Oneri dell’imputato e dell’a.g.. F Cass. pen., sez. II, 1 marzo 2013, n. 9776 (c.c. 22 novembre 2012), El Badaoui, m., pag. 409 Sospensione nel periodo feriale – Rito direttissimo – Impugnazione. F Cass. pen., sez. VI, 6 marzo 2013, n. 10347 (ud. 6 febbraio 2013), Hamed, m., pag. 410 Tribunale per i minorenni Procedimento – Misure cautelari – Custodia cautelare. F Cass. pen., sez. IV, 14 dicembre 2012, n. 48436 (c.c. 17 ottobre 2012), V. e altro, m., pag. 410 Procedimento – Sospensione del processo e messa alla prova – Decisione adottata de plano. F Cass. pen., sez. III, 13 febbraio 2013, n. 7066 (ud. 12 dicembre 2012), P.M. in proc. B.., m., pag. 410 Tributi e finanze (in materia penale) Reati finanziari in genere – Accertamento – Presunzioni legali in materia tributaria. F Cass. pen., sez. III, 13 febbraio 2013, n. 7078 (c.c. 23 gennaio 2013), Piccolo, m., pag. 410 Reati finanziari in genere – Confisca per equivalente – Profitto del reato. F Cass. pen., sez. III, 28 febbraio 2013, n. 9578 (c.c. 17 gennaio 2013), Tanghetti, m., pag. 410 Reati finanziari in genere – Presunzioni legali in materia tributaria – Natura giuridica. F Cass. pen., sez. III, 13 febbraio 2013, n. 7078 (c.c. 23 gennaio 2013), Piccolo, m., pag. 410 indice sommario Usura Momento consumativo del reato – Concorso nel delitto – Intervento dell’esattore. F Cass. pen., sez. II, 14 febbraio 2013, n. 7208 (ud. 6 dicembre 2012), Novelli, m., pag. 410 Legislazione e documentazione D.L. 20 marzo 2014, n. 36. Disposizioni urgenti in materia di disciplina degli stupefacenti e so- stanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, nonchè di impiego di medicinali, convertito, con modificazioni, nella L. 16 maggio 2014, n. 79, pag. 411 L. 28 aprile 2014, n. 67. Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili, pag. 420 D.L. 31 marzo 2014, n. 52. Disposizioni urgenti in materia di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, convertito, con modificazioni, nella L. 30 maggio 2014, n. 81, pag. 418 L. 17 aprile 2014, n. 62. Modifica dell’articolo 416 ter del codice penale, in materia di scambio elettorale politico-mafioso, pag. 420 VII Dottrina Condizione volontaria versus atto processuale penale di Ivan Borasi Il processo (penale) “vive di atti”(1), rectius di fatti (2), aventi rilevanza giuridica (3), vale a dire idonei a produrre effetti giuridici lato sensu, da e per il processo, anche incidentalmente rispetto ad un rapporto giuridico (processuale) (4). Il nucleo fattuale di genere permette la qualificazione di ogni avvenimento, umano o naturale, volontario o meno, rilevante per il processo in senso generale, e per un suo elemento in particolare, in quanto meritevole di tutela per l’ordinamento nella sua tipicità o atipicità (5). Attraverso gli atti processuali (6), consecutivi, ordinati, e dipendenti, si esercitano le funzioni dei soggetti del processo, da, nel, o per lo stesso, ciò non senza che fatti giuridici stricto sensu vi incidano in modo più o meno previsto e volontario; di questi elementi generali, alcuni sono essenziali, invece altri sono eventuali (7), o anche accidentali (8). Mentre l’atto processuale (penale) trova un vincolo nella legittimazione (9) del soggetto deputato alla propria realizzazione infungibile, così non è per i fatti giuridici stricto sensu, seppure spesso a loro volta necessitanti di una legittimazione di relazione ai fini della propria esplicazione effettuale “interna”. Il vincolo alle forme, nel tempo e nello spazio, degli atti processuali, come regola generale (10), trova un proprio “limite”, o valvola di sfogo, nell’autonomia privata paranegoziale, che mai devesi contrastare con la legalità di principio, e lo scopo (11) predeterminato (12). La tipicità delle forme rappresenta il punto di frizione rispetto ad una tendenza “evolutiva” del diritto, anche processuale penale, volta a regolare in modo dinamico situazioni mutevoli, nel tempo e nello spazio, della realtà sociale e giuridica integrata; il rapporto di analisi validante deve riguardare la connessione tra i principi di legalità, anche processuale, da un lato, e la meritevolezza di tutela per l’ordinamento (13) lato sensu, anche in relazione allo scopo da raggiungere, o causa dell’atto (14), dall’altro, il tutto sullo sfondo della ragionevole durata di un giusto ed equo processo penale. In puncto, il ruolo, e l’analisi, della volontà degli atti, in rapporto anche con i fatti incidenti (15), rappresenta, tradizionalmente, un elemento di scontro dottrinale forte (16), soprattutto in relazione ai corollari dell’efficacia e validità degli stessi, e ciò sullo sfondo del principio di certezza del diritto nei rapporti giuridici; di volontà può parlarsi, non solo in chiave di dichiarazione, o di effetto, ma anche di oggetto del “negozio” processuale (17), e di motivi dello stesso (18). Punto di espressione primario dell’elemento soggettivo dell’atto giuridico (19), infatti, può essere l’autonomia privata regolante (20), spostando la volontà dalla classica attenzione sotto il mero profilo invalidante, al piano interpretativo-applicativo lato sensu. L’integrazione tra atti e fatti (naturali o comportamenti umani che siano) rilevanti per il processo, trova una propria realizzazione nella nozione di presupposto degli stessi (21), id est come “note oggettive o soggettive” (22) di accompagnamento, con possibile relazione teleologica alternativa-principale, al singolo atto oppure all’intero procedimento/processo (23); si parla anche di atti/fatti sostanziali con effetti processuali (24), ciò non rappresenta altro che uno spostamento di piano d’analisi di medesime fenomenologie (25). All’interno della fattispecie processuale, anche complessa, possono incidere elementi esterni (26), condizionanti l’efficacia (27), costituiti da fatti giuridici lato sensu, il cui elemento comune deve essere rappresentato dall’aleatorietà della realizzazione (28), sotto il profilo anche della conoscenza relativa, pure in ordine alle modalità; il piano della perfezione dei fatti e degli atti, anche connessi, si deve distinguere da quello dell’efficacia singola o complessa (29). La figura della condizione ha assunto nel tempo, soprattutto come categoria oltre l’ipotesi volontaria, connotati problematici (30); nell’analisi de qua, invece, l’ottica deve attestarsi rispetto alla possibilità di una volontaria apposizione di condizione ad un atto, e dell’incidenza comunque di un fatto giuridico esterno sull’efficacia, anche per le modalità, dello stesso (31). Aspetto non secondario è rappresentato dall’eventuale spostamento temporale, rectius retroattività, dell’efficacia di un atto perfetto ex se (32), come tale idoneo a raggiungere lo scopo cristallizzato dal legislatore, e ciò per mera volontà dell’autore; diversa è l’ipotesi dell’estinzione postuma di tali effetti, ex tunc oppure ex nunc, con un contemperamento di interessi, l’uno predeterminato, mentre l’altro determinabile. Fondamentale e primaria Arch. nuova proc. pen. 4/2014 327 dott Dottrina distinzione è, infatti, quella tra condizione sospensiva e condizione risolutiva (33), incidente non tanto sulla fattispecie ex se, quanto sui fatti giuridici componenti la stessa (34), anche eventualmente nel loro legame causale e/o cronologico (35). L’istituto condizionale è tradizionalmente analizzato avendo come presupposto una tralatizia qualificazione come di derivazione eminentemente privatistica (36), legata ad una qualità insita e sottesa nella scelta negoziale volontaristica principale (37); ciò non esclude però l’esportazione della figura lato sensu in altri ambiti, soprattutto processuali, con valorizzazione delle peculiarità allocative. Sul piano processuale fondamentale è la distinzione valoriale nel rapporto tra atto e attività (38), non solamente da vedersi secondo una logica di visione statico-dinamica, quanto di collegamento funzionale all’interno di un procedimento lato sensu; la connessione condizione/effetto può essere vista come elemento fondamentale del punto d’analisi, anche rispetto al processo penale, da vedersi specularmente rispetto al profilo di validità, che assume un ruolo primario, invece, di fronte alla condizione legale. Il procedimento (penale) deve essere visto nell’ordinamento generale come insieme di rapporti (giuridici) processuali prima che di atti, da distinguere rispetto ai rapporti obbligatori, anche se aventi rispetto a questi degli elementi comuni di interessenza, legati da un comune denominatore teleologicamente orientato e tipizzato, rectius indirizzato; ciò sullo sfondo dei principi di leale collaborazione processuale, e di divieto di abuso del diritto (39). Nel processo penale moderno si realizzano sempre più fattispecie composte (40), tra loro anche eterogenee, a formazione progressiva, o procedimentale, attraverso la convergenza di atti, la perfezione (41) degli stessi, e gli effetti giuridici prodotti, o da produrre, dove l’autonomia privata, non solo sul piano della tipicità, gioca un ruolo fondamentale, anche attraverso la volontà condizionale. La dichiarazione di parte, tesa ad un effetto procedurale penale, è una dichiarazione di volontà, non una dichiarazione di scienza. Elementi portanti di tale dichiarazione sono quelli di suitas e volontà degli effetti (42), strettamente connessi al concetto di causa, anche in concreto (43). La volontà del dichiarante può (44) essere tesa a concludere un negozio processuale (45), ciò attraverso atti processuali con in nuce una valenza negoziale, a seconda dei casi, unilaterale, bilaterale (46) o plurilaterale. La condizione, in generale, si trova a dover “galleggiare” nel conflitto tra gli interessi pubblico e privato, sotto diversi piani e corollari, dove comunque la meritevolezza ragionevole è elemento giuridico imprescindibile di validità, tendenzialmente accessorio, a natura relazionale, frutto di scelta generalmente discrezionale, e con funzione prettamente limitativa di un effetto giuridico predeterminato, legislativamente o meno, ma comunque meritevole di tutela per l’ordinamento e per le parti lato sensu. 328 4/2014 Arch. nuova proc. pen. L’oggetto della condizione può essere un fatto naturale, un comportamento o atto umano (47), futuro ed incerto, caratteristica che la differenzia dal termine (48), di rilevanza giuridica lato sensu (49). In puncto, può sorgere un problema relativo all’imputazione soggettiva, id est allocazione del soggetto nel rapporto, per i caratteri della estraneità, determinabilità, e futurità (50), e ciò fondamentalmente in legame alle categorie dell’incertezza e possibilità, ma anche una quaestio in ordine alle fonti di qualificazione oggettiva, id est allocazione dell’oggetto nel rapporto; entrambi i requisiti, parimenti, anche nell’atto alla base dello stesso, come distinzione di profili di un medesimo fenomeno generale (51), con filo conduttore comune dato da una necessaria operazione determinativa successiva rispetto all’atto iniziale (52). La meritevolezza valoriale di tutela dell’autonomia privata processuale (53), rappresenta, in puncto, un altro limite di applicazione. Tralatiziamente si dice che l’atto processuale è un actus legitimus (54) non tollerante condizioni (o termini) (55), e ciò fondamentalmente per un’esigenza di certezza del diritto in combinato disposto alla legalità processuale (56); peraltro, tale dogma passato, deve ormai scontrarsi, in modo virtuoso, con una visione dinamica ed effettuale (57) del diritto integrato, senza preconcetti da un lato, ma anche evitando derive autonomistiche dall’altro (58). Il tema dell’ammissibilità di un’annessione volontaria di condizione ad un atto processuale penale, come “autolimitazione della volontà” (59), troppo spesso è legato ad una visione “particolare”, vale a dire senza tenere conto dell’ambito in cui il problema inerisce; gli atti oltre che in rapporto tra di loro, si connettono, infatti, ai soggetti autori, dove la volontà la fa da padrona, anche al di là della tipicità singola cristallizzata nelle forme e negli effetti, espressa fondamentalmente attraverso veri e propri negozi processuali, impliciti o meno, ottenuti collegando atti e momenti di espressione degli stessi in modo spurio, evidenziando, quindi, fatti giuridici che avrebbero potuto direttamente condizionare gli atti di riferimento. In altre parole, negare, a priori, condizioni volontarie dirette di atti processuali, non farebbe altro che traslare il fenomeno a negozi processuali indiretti, o collegati, lasciando alla “prassi” ciò che invece potrebbe/dovrebbe risultare meritevole di tutela giuridica ex se; ciò non esclude che vi siano atti per propria natura intrinseca non condizionabili, quali ad esempio gli atti dovuti o facoltativi (60). La manifestazione condizionale costituisceuna dichiarazione processuale, qualificabile come atto (61), anche in relazione alla forma, e segue le regole di validità e produzione di effetti della categoria, soprattutto sotto il profilo della legittimazione, iniziale o sopravvenuta, sia in senso propositivo, che di revoca; si esprime attraverso una volontà principale, rectius comune, ed una accessoria (62). dott Dottrina In puncto, fondamentale è il profilo d’analisi in ordine alla validità lato sensu della condizione apposta, soprattutto in connessione alla determinabilità ex ante, ed agli effetti rispetto alla fattispecie astrattamente condizionabile. In ordine alla condicio facti, in dottrina si suole distinguere tra il momento soggettivo previsionale ed il momento oggettivo d’evento (63), legati tra loro da un’autonomia che si potrebbe dire indirizzata (64); il tutto all’interno di un meccanismo progressivo di formazione, con una situazione di pendenza, ed una aspettativa condizionale, oggettiva e soggettiva (65). Fondamentale per l’attività dell’interprete in ordine agli elementi aggiuntivi della dichiarazione processuale, è la valutazione del rapporto tra il patrimonio indisponibile per il soggetto dichiarante e la volontà dell’atto principale, quest’ultima eventualmente anche presupposta (66). La manifestazione “subordinata” (67) deve essere specifica, id est tale da permetterne in modo pieno la valutazione, e non impossibile ex ante (68), oggettivamente o soggettivamente (69); in tali ipotesi l’atto non produce effetti, e ciò per la valorizzazione del ruolo peculiare della volontà, anche in negativo, di tale dichiarazione (70). Diversa, invece, l’ipotesi in cui la dichiarazione sia subordinata in modo ex ante ammissibile, ma solo ex post rivelatosi impossibile (71); in tale situazione, deve ritenersi che l’impossibilità sopravvenuta elida solo la condizione relativa, nel senso di considerarla come non proposta (72). Dalla ricerca analitica ut supra si scorge come, lo scontro complesso tra il momento condizionale negoziale e l’atto giuridico processuale integrato, in realtà, non debba essere letto in chiave escludente a priori, quanto in funzione regolante un bilanciamento valoriale di interessi, da e per il sistema ordinamentale generale, sullo sfondo di un contraddittorio efficiente ed utile, quantomeno a posteriori, senza dimenticare la sedes materiae di riferimento, id est avendo ben a mente le forti limitazioni riscontrabili, nel processo penale, ad un uso negoziale privatistico, stricto sensu, delle regole processuali “tipiche”, in particolare sotto il profilo della meritevolezza di tutela, da un lato, e della necessaria ragionevole durata (macro e micro), dall’altro. Note (1) GALATI, voce Atti processuali penali, in Dig. disc. pen., 1987, I, 356. (2) In ordine alla figura de qua, un approfondimento generale in TASSO, Oltre il diritto. Alla ricerca della giuridicità del fatto, Padova, 2012, 89 e ss.; FALZEA, voce Fatto giuridico, in Enc. dir., 1967, XVI, 941 e ss.. (3) In ordine alla figura de qua, un approfondimento generale in IRTI, voce Rilevanza giuridica, in Nss. dig. it., 1968, XV, 1091 e ss.. (4) In tema, importante analisi in REDENTI, voce Atti processuali (diritto processuale civile), in Enc. dir., 1959, IV, 107. In ordine alla nozione generale di rapporto giuridico, cfr. ex multis ALLARA, Le vicende del rapporto giuridico, fattispecie, fatti giuridici, Torino, 1941; CICALA, Rapporto giuridico, diritto subiettivo e pretesa, Torino, 1909. (5) Per un’analisi della nozione di atto giuridico lato sensu, Cfr. GALATI, voce Atti processuali penali, cit., 357 e ss.. (6) Per un approfondimento generale in tema, si vedano ORIANI, voce Atti processuali (diritto processuale civile), in Enc. giur. Trecc., 1988, IV; CONSO, voce Atti processuali penali, in Enc. dir., 1959; REDENTI, voce Atti processuali (diritto processuale civile), cit.; DONDINA, voce Atti processuali (civili e penali), in Nss. dig. it., 1957, I; FALZEA, La condizione e gli elementi dell’atto giuridico, Milano, 1941; BRUGI, voce Atti di procedura, in Dig. it., 1893-1899, 308 e ss.. (7) In tema di legame tra atti e procedimento, si veda GALATI, voce Atti processuali penali, cit., 365 e ss.. (8) Si parla anche di distinzione tra “substantialia” e non “substantialia processus”, ma con implicazioni fondamentalmente sul piano della validità, in LOZZI, voce Atti processuali (diritto processuale penale), in Enc. giur. Trecc., 1988, IV, 8. (9) Per un’esplicazione di tale requisito, si veda GALATI, voce Atti processuali penali, cit., 366. (10) In tal senso GALATI, voce Atti processuali penali, cit. 367. (11) Sul punto, importanti considerazioni a valenza generale in ORIANI, voce Atti processuali (diritto processuale civile), in cit., 4. (12) Per un’esplicazione di ciò nella categoria specifica del pregiudizio effettivo invalidante, in rapporto al soddisfacimento dello scopo o interesse, tutelato e tutelabile, si veda LOZZI, voce (diritto processuale penale), cit., 7 e ss.. (13) Per un approfondimento generale della nozione si veda MODUGNO, voce Ordinamento giuridico (dottrine generali), in Enc. dir., 1980, XXX, 678 e ss.. (14) Per un’analisi in tema di valenza, anche processuale, della nozione de qua, ORIANI, voce Atti processuali (diritto processuale civile), cit., 9. (15) Per una visione di atto processuale in quanto solo all’interno del processo, con distinzione rispetto alla sola influenza possibile di un atto esterno, Cfr. DENTI, Note sui vizi della volontà negli atti processuali, Pavia, 1959. (16) In tema, considerazioni sul punto anche in ORIANI, voce Atti processuali (diritto processuale civile), cit., 8. (17) Per un approfondimento della figura de qua, cfr. DENTI, voce Negozio processuale, in Enc. dir., 1978, XXVIII, 138 e ss.; RICCIO, La volontà delle parti nel processo penale, Napoli, 1969, 58 e ss.; COSTA, Contributo alla teoria dei negozi giuridici processuali, Bologna, 1921. (18) Sul punto, considerazioni in LOZZI, voce Atti processuali (diritto processuale penale), cit., 9. (19) Da un certo punto di vista, in chiave parallela alla fattispecie sostanziale di reato, può parlarsi quantomeno di bipartizione, come teoria generale dell’atto, tra elementi oggettivo e soggettivo, oltre ai corollari di ciascuno di essi. (20) In tema, importante analisi in TATARANO, “Incertezza” autonomia privata e modello condizionale, Napoli, 1976, ove il rapporto con gli interessi di parte assume un ruolo centrale; modello questo esportabile anche in ambito processuale, seppure tenendo conto delle peculiarità della sedes materiae. (21) Per una disamina sulla complessità della categoria de qua, si veda LOZZI, voce Atti processuali (diritto processuale penale), cit., 9. Chiarisce la natura di “presupposto” delle condizioni di procedibilità, da distinguersi quindi rispetto alla figura condizionale stricto sensu, CONSO, I fatti giuridici processuali penali, Milano, 1955, 197 e ss.. (22) CONSO, voce Atti processuali penali, cit., 145. (23) In tema, interessanti considerazioni in CONSO, voce Atti processuali penali, cit., 146. Sulle nozioni di procedimento e processo, un fondamentale approfondimento in FAZZALARI, voce Procedimento e processo (teoria generale), in Enc. dir., 1986, XXXV, 819 e ss.. (24) In tema, per un’analisi compiuta si veda ORIANI, voce Atti processuali (diritto processuale civile), cit., 2. (25) L’integrazione rilevante per il processo, peraltro, trova un’epifania anche in quei comportamenti processuali pratici, o indiretti, a corollario delle scelte espresse in concreto, realizzanti una sorta di atto processuale “integrato”. Arch. nuova proc. pen. 4/2014 329 dott Dottrina (26) Per un’approfondita analisi del rapporto condizione/presupposto, dell’atto o dell’azione, oppure del rapporto processuale, cfr. CONSO, I fatti giuridici processuali penali, cit., 163 e ss.. (27) In tema di efficacia, un approfondimento in FALZEA, voce Efficacia giuridica, in Enc. dir., 1965, XIV, 432 e ss.. Un’incidenza legata, invece, all’esistenza, id est rilevanza giuridica, o anche volontà complessiva, escluderebbe effetti interinali, o preliminari, nel momento di pendenza, magari effettivamente voluti a prescindere dall’avveramento della condizione, anche in senso preclusivo generale, oppure effetti definitivi per la parte della fattispecie non coperta da condizione, cfr. FALZEA, La condizione e gli elementi dell’atto giuridico, cit., 251-252. (28) Il riferimento normativo alla disciplina della condizione giuridica nei contratti, in certi limiti a portata anche generale, è dato dagli artt. 1353 e ss. c.c.. (29) In tema, considerazioni interessanti in CONSO, I fatti giuridici processuali penali, cit., 180 e ss. (30) Cfr. CONSO, I fatti giuridici processuali penali, cit., 184. (31) Piano differenziato, e non strettamente legato all’analisi de qua, è quello della validità, sul punto un approfondimento in FALZEA, La condizione e gli elementi dell’atto giuridico, cit., 316 e ss... (32) Parla anche di rilevanza giuridica FALZEA, La condizione e gli elementi dell’atto giuridico, cit., 27. (33) Parla anche di “inefficacia pendente” e “inefficacia successiva” SCOGNAMIGLIO, voce Inefficacia (diritto privato), in Enc. giur. Trecc., 1989, XVI, 4 e ss.. Per una disamina dottrinale generale in materia di inefficacia processuale, Cfr. GIANNOZZI, Per uno studio del concetto di inefficacia processuale, in Studi in memoria di C. Furno, Milano, 1973, 437 e ss.. (34) In tema, interessanti considerazioni in CONSO, I fatti giuridici processuali penali, cit., 192. (35) Chiarisce la non correttezza della distinzione, all’interno di una fattispecie complessa di fatti/atti, tra fatti principali e secondari, essenziali e inessenziali, cause e concause, CONSO, I fatti giuridici processuali penali, cit., 206; diversa è invece la nozione di accidentalità, da tenersi comunque distinta da quella di accessorietà. (36) Per un approfondimento generale in tema, si vedano LENER, Contributo allo studio condizione unilaterale, Milano, 2012; TATARANOROMANO, Condizione e modus, Napoli, 2009; ALCARO, La condizione nel contratto: tra atto e attività, Padova, 2008; PETRELLI, La condizione «elemento essenziale» del negozio giuridico. Teoria generale e profili applicativi, Milano, 2000; MAGGI, Condizione unilaterale, Napoli, 1998; LENZI, Condizione, autonomia privata e funzione di autotutela. L’adempimento dedotto in condizione, Milano, 1996; PECCENINI, La condizione nei contratti, Padova, 1995; MAIORCA, voce Condizione, in Dig. disc. priv. sez. civ., 1988, III, 273 e ss.. (37) In tema di vizi della volontà, si vedano LEONE, Il problema dei vizi della volontà nel diritto processuale penale, in Raccolta di scritti in onore di Arturo Carlo Jemolo, Milano, 1963, III; DENTI, Note sui vizi della volontà negli atti processuali civili, cit.; GUARNERI, Irrilevanza dei vizi della volontà negli atti processuali, in Riv. it. dir. pen., 1957; PETROCELLI, I vizi della volontà nel processo penale, in Saggi di diritto penale, Padova, 1952; PETROCELLI, I vizi della volontà nel processo penale, in La Corte d’Appello, 1929; FLORIAN, Nuovi appunti sugli atti giuridici processuali penali (i vizi della volontà), in Riv. dir. proc. pen., 1920, I. (38) In tema, si veda ALCARO, La condizione nel contratto: tra atto e attività, cit.. (39) Per un approfondimento in tema, si veda NICOTRA, L’abuso del processo tra regole deontologiche ed esigenze di economia processuale, in http://www.giuri.unige.it/corsistudio/documents/Nicotra.pdf, 2008. (40) Per un approfondimento generale della figura de qua, si vedano CATAUDELLA, voce Fattispecie, in Enc. dir., 1967, XVI, 926 e ss.; CONSO, I fatti giuridici processuali penali, cit., 115 e ss.. (41) Nozione che presuppone una relazione minima con elementi essenziali di un modello, ma non escludente rispetto ad elementi ulteriori accidentali integrativi dello stesso; per una valorizzazione della distinzione, sul punto, tra fattispecie e fatto in chiave effettuale, Cfr. CONSO, I fatti giuridici processuali penali, cit., 27. 330 4/2014 Arch. nuova proc. pen. (42) Cfr. BORASI, Il ruolo della componente volitiva nei fatti processuali penali, in questa Rivista, 2012, III, 253. (43) Per un approfondimento della figura de qua, seppur in ambito contrattuale, ma a valenza generale, Cfr. ROLFI, Sulla causa dei contratti atipici a titolo gratuito, in Corr. giur., 2003, I, 46 e ss.. (44) Vi sono situazioni in cui gli atti processuali, come atti giuridici stricto sensu in chiave statica, id est con effetti e disciplina predeterminati dal legislatore (per un approfondimento generale della figura de qua, cfr. GALGANO, Diritto civile e commerciale, Milano, 1999, III, 36 e ss..), rimangono tali anche in chiave dinamico-relazionale, per volontà del dichiarante o vincolo naturale. (45) In tema, per un approfondimento analitico, Cfr. PROCACCINO, Il negozio probatorio dibattimentale, Milano, 2010, 25; si veda, inoltre, BONINI, Forme di manifestazione e contenuti della giustizia penale consensuale, in AA.VV., Scritti in onore di Antonio Cristiani, Torino, 2001. (46) In tema di accordo negoziale di patteggiamento, si veda BORASI, Il patteggiamento. Approccio di sistema alle implicazioni processuali, Montecatini Terme, 2012. (47) Sulla nozione di fatto giuridico processuale penale, cfr. PAGLIARO, voce Fatto (diritto processuale penale), in Enc. dir., 1967, XVI, 941 e ss.; CONSO, I fatti giuridici processuali penali, cit.. Non di poco conto poi, soprattutto nell’ambito processuale, è la distinzione tra, comportamento puro e semplice, da un lato, e comportamento qualificato realizzante un atto, dall’altro, a prescindere dall’eventuale rilevanza giuridica di entrambi, nell’ordinamento in generale, e nel rapporto specifico in particolare. (48) Di fronte ad una certezza sul se e quando di realizzazione, si deve infatti parlare di termine (cfr. BORASI, I termini nel processo penale, Piacenza, 2011, 16), rispetto a cui il legame problematico con gli atti processuali (penali) non viene approfondito nel presente lavoro, anche se avente naturalmente punti di contatto con quanto espresso rispetto alla figura condizionale stricto sensu, soprattutto in chiave di sistema. In tema, per un approfondimento d’analisi in ordine all’istituto del termine giuridico, si vedano CARNELUTTI, Sistema del diritto processuale civile, cit., 477-479; MAIORCA, voce Condizione, cit., 329 e ss., ove si chiarisce anche il regime di eventuale concorso con la figura giuridica della condizione (o delle condizioni). (49) Sul punto della rilevanza processuale penale come concetto legato, ma non indissolubilmente, a quello di validità stricto sensu, cfr. LOZZI, voce Atti processuali (diritto processuale penale), in cit., 2. (50) In ordine a questi elementi, cfr. FALZEA, La condizione e gli elementi dell’atto giuridico, cit., 258. (51) Cfr. FALZEA, La condizione e gli elementi dell’atto giuridico, cit., 301-302. (52) Categoria incompatibile, nell’annessione, ad un rapporto giuridico processuale, è quella delle condizioni meramente potestative, rispetto a cui si possono richiamare le medesime quaestiones portate dal disposto di cui all’art. 1355 c.c.; compatibili in astratto, invece, sono le altre condizioni, comunemente classificabili come affermative, negative, potestative, causali, e miste. (53) Nozione affine è quella di potere dispositivo, anche se più legata al procedimento/processo in complesso, che non al singolo atto che lo compone; sul punto, importanti considerazioni in RICCIO, La volontà delle parti nel processo penale, cit., 214 e ss.. (54) Parla di actus legitimi come di dichiarazioni di volontà non condizionabili per natura legale FALZEA, voce Condizione (diritto civile), in Enc. giur. Trecc., 1988, III, 6. (55) Cfr. ORIANI, voce Atti processuali (diritto processuale civile), cit., 9; COSTA-SEGNI, voce Procedimento civile, in Nss. dig. it., 1966, XIII, 1054; CARNELUTTI, Sistema del diritto processuale civile, Padova, 1938, II, 477. (56) In ordine a tali principi generali, Cfr. ex multis MAZZA, Il principio di legalità nel nuovo sistema penale liquido, in Giur. cost., 2012, V; CARNELUTTI, La certezza del diritto, in Riv. dir. civ., 1943, XX. (57) In dottrina si parla anche di migliore tutela degli interessi sottesi, Cfr. ORIANI, voce Atti processuali (diritto processuale civile), cit., 9. dott Dottrina (58) Di eventuali problemi sotto il profilo dell’eguaglianza dei soggetti di fronte alla legge, anche processuale, cfr. LOZZI, voce Atti processuali (diritto processuale penale), cit., 8. (59) CARNELUTTI, Sistema del diritto processuale civile, cit., 472. (60) Cfr. CARNELUTTI, Sistema del diritto processuale civile, cit., 472 e ss., il quale ritiene peraltro che non solo i negozi di diritto privato, ma anche gli atti imperativi, possono in astratto essere condizionati in modo volontario, ad esclusione dei provvedimenti e negozi processuali. (61) Precisazione del rapporto tra volontà dell’atto processuale ed effetti conseguenti, in chiave dispositiva, come sempre predeterminati, in RICCIO, La volontà delle parti nel processo penale, cit., 212. (62) Cfr. Cass., sez. un. pen., sent. n. 44711 del 2004, in CED, in tema di rito abbreviato. (63) Cfr. FALZEA, La condizione e gli elementi dell’atto giuridico, cit., 78. (64) Chiarisce come, tra evento in condizione e clausola condizionale, solo quest’ultima possa essere oggetto dell’autonomia regolatoria, e quindi del contemperamento degli interessi sottesi, VARRONE, Ideologia e dogmatica nella teoria del negozio giuridico, Napoli, 1972, 86 e ss.. (65) Cfr. FALZEA, La condizione e gli elementi dell’atto giuridico, cit., 130 e ss. (66) In ordine ai caratteri dell’istituto della presupposizione, di origine civilistica, cfr. SERIO, voce Presupposizione, in Dig. disc. priv. sez. civ., 1996, XIV, 294 e ss.. (67) Da differenziarsi rispetto agli schemi composti di “manifestazioni” subordinate, o alternative, eventualmente anche condizionate. (68) Ritiene che, per l’ammissibilità di un atto condizionato che possa produrre una stasi processuale in caso di mancato avveramento della condizione, sia necessario anche il compimento di un atto non condizionato “giudicabile”, COSTA-SEGNI, voce Procedimento civile, cit., 1054. (69) Parla di impossibilità oggettiva, o soggettiva, della condizione, ZACCHÈ, Il giudizio abbreviato, Milano, 2004, 162-163. (70) Quando viene effettuata una dichiarazione complessa, il dichiarante si assume il rischio processuale della non valenza, comprese le preclusioni eventualmente verificatesi; in puncto Cfr. Cass. pen., sez. II, sent. n. 25307 del 2012, CED 253406, in tema di rito abbreviato. (71) Diverso “momento” è quello del mancato avveramento della condizione, strettamente legato all’istituto dell’inefficacia (della dichiarazione), eventualmente anche per il trascorrere di un termine stabilito, oppure di un termine ragionevole in caso di mancata fissazione, sullo sfondo dei doveri di buona fede e leale collaborazione dei soggetti processuali, che a certe condizioni possono rendere applicabile, anche in ambito processuale, il portato generale di cui all’art. 1359 c.c.; per un approfondimento generale sul punto, anche se in ambito civilistico, cfr. PECCENINI, La finzione di avveramento della condizione, Padova, 1994, 7 e ss.. (72) Cfr. Cass., sez. un. pen., sent. n. 41461 del 2012, CED 253211, in tema di rito abbreviato. Arch. nuova proc. pen. 4/2014 331 dott Dottrina La vigilanza privata nel contrasto alla pirateria. Quali prospettive? (*) di Licia Russo (*) Testo della relazione svolta dalla dott.ssa Licia Russo, docente di diritto e procedura penale militare presso l’università degli studi di Palermo, nell’Incontro di studi su “Nuclei di vigilanza armata nell’attività di contrasto alla pirateria: profili internazionalistici e penalistici” (Roma, 22-23 novembre 2012). SOMMARIO 1. Introduzione. 2. I nuclei militari di protezione e le guardie giurate. 3. Conclusioni. 1. Introduzione Il coinvolgimento della Marina militare italiana nell’attività di contrasto alla pirateria si sviluppa, come è noto, in modo alternativo nel contesto di operazioni, sia nazionali sia internazionali, nell’ambito della Nato (Ocean Shield 2009) e dell’Unione Europea (Missione Atlanta-2008). Nonostante i positivi risultati ottenuti dalle nostre Unità navali, le ampie dimensioni delle aree a rischio di pirateria e la progressiva espansione del fenomeno hanno determinato la decisione di utilizzare altresì i cosiddetti Nuclei militari di protezione (NMP), costituiti da personale della Marina militare o di altre Forze armate, imbarcati su navi mercantili, battenti bandiera italiana, che navighino in acque internazionali a rischio di pirateria, individuate da un apposito decreto del Ministro della Difesa, sentiti i Ministri degli Affari esteri e dei Trasporti (Somalia, Mare cinese meridionale, Golfo di Aden..), come previsto dal decreto legge 12 luglio 2011, n. 107, conv. nella legge 2 agosto 2011, n. 130. Lo stesso provvedimento legislativo ha inoltre previsto la possibilità di utilizzare unità di guardie giurate, individuate preferibilmente in soggetti, che abbiano prestato servizio militare nelle Forze armate, anche come volontari, con esclusione solo dei militari di leva (art. 5 comma 2). 2. I nuclei militari di protezione e le guardie giurate Il decreto legge in oggetto ha anche previsto, con riferimento agli artt. 5, 5 bis e 5 ter, l’emanazione da parte del Governo di un decreto attuativo che, però, a tutt’oggi, non è stato ancora emanato anche se, in data 24 ottobre 2012, il testo predisposto dal Ministero è stato inviato al Consiglio di Stato per il prescritto parere, come ha riferito in aula, rispondendo ad una interrogazione, il Sottosegretario di Stato all’Interno, dott. Carlo De Stefano. In particolare, il decreto attuativo dovrebbe “definire” le modalità concernenti: 1) il porto di armi da fuoco; 2) il trasporto delle armi e il relativo munizionamento; 332 4/2014 Arch. nuova proc. pen. 3) la quantità di armi detenute a bordo della nave e la loro tipologia; 4) l’imbarco e lo sbarco delle armi dai porti limitrofi alle zone a rischio di pirateria; 5) i rapporti tra le guardie giurate e il comandante dell’unità navale. Queste previsioni dovrebbero garantire la libertà e la sicurezza della navigazione commerciale negli spazi marittimi internazionali a rischio di pirateria. Pur in assenza del decreto attuativo, cercherò di svolgere alcuni brevi riflessioni sull’argomento, cercando di evidenziare le funzioni sia dei Nuclei militari di protezione, sia delle guardie giurate. Anzitutto, è necessario che la singola unità navale abbia predisposto lungo il bordo della stessa almeno uno dei dispositivi di sicurezza (barriere di filo spinato, idranti…), consigliati dall’International maritime organization (IMO); organizzazione internazionale marittima con sede in Londra, che ha sempre privilegiato l’utilizzazione per il contrasto alla pirateria di personale delle Marine militari, appartenente sia a singoli Stati, sia alla Nato ovvero all’Unione europea (Missione Atlanta). La prima differenza tra i Nuclei militari e le guardie giurate riguarda il rapporto di “sussidiarietà” che intercorre tra questi soggetti. Le guardie giurate, infatti, potranno essere imbarcate a bordo delle navi mercantili solo in mancanza dei Nuclei militari (art. 4 D.L. n. 107/2011, conv. in L. n. 130/2011, e art. 6 D.M. Interno n. 154/2009). Inoltre, le guardie giurate devono essere autorizzate allo svolgimento delle loro funzioni ai sensi degli artt. 133 e 134 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (R.D. 18 giugno 1931 n. 773). In particolare, l’art. 133 si riferisce alle guardie giurate destinate alla vigilanza o custodia di proprietà mobiliari o immobiliari), mentre l’art.134 demanda a questo personale la facoltà di svolgere investigazioni, ricerche e raccolta di informazioni per conto di privati. Ed ancora, le guardie giurate devono essere in possesso della licenza rilasciata dal Ministro dell’Interno per il possesso delle armi e della autorizzazione del Prefetto della provincia per svolgere il servizio. Le guardie giurate sono scelte, come si è già accennato, tra coloro che abbiano prestato servizio nelle forze armate, anche come volontari, con esclusione del servizio di leva e devono avere superato i corsi teorico-pratici, stabiliti dal Ministro dell’Interno con un apposito decreto. La possibilità di frequentare i predetti corsi è stata prorogata al 31 dicembre 2012. Non si riscontra, invece, alcuna differenza tra i Nuclei militari e le guardie giurate relativamente alle condizioni per l’imbarco e la navigazione. Un altro aspetto che differenzia i Nuclei militari di protezione e le guardie giurate riguarda i rapporti con il Comandante della nave. dott Dottrina In forza dell’art. 5 del D.L. n. 107/2011 conv. nella L. n. 130/2011, infatti, i componenti i Nuclei militari sono sottoposti alle direttive e alle regole di ingaggio del Ministero della Difesa e devono obbedire al Comandante del Nucleo operativo, al quale sono attribuite le funzioni di ufficiale di polizia giudiziaria. Il provvedimento legislativo de quo tace, invece, sui rapporti delle guardie giurate con il Comandante delle nave, che dovranno essere disciplinati dal decreto attuativo. Si deve comunque ritenere che le guardie giurate siano sottoposte all’autorità del Comandante della nave, che, a bordo della nave, ha poteri di polizia anche relativamente all’eventuale uso delle armi. Un’altra questione riguarda i poteri assegnati ai componenti dei Nuclei militari e le prerogative delle guardie giurate. In particolare, ai militari sono assegnati i seguenti compiti: 1) la protezione degli equipaggi e delle unità navali nazionali; 2) l’acquisizione e la condivisione delle informazioni operative; 3) la collaborazione all’addestramento degli equipaggi; 4) l’attività di supporto al comandante della nave nelle attività decisionali di cosiddetta “evasione” per evitare un attacco dei pirati. Quali sono invece i compiti delle guardie giurate? Riteniamo che le stesse possano svolgere le attività di protezione dell’equipaggio e dell’unità navale, contribuendo anche, mediante lo svolgimento di indagini, all’acquisizione di informazioni e alla predisposizione di mappe dei rischi, atte a prevenire gli attacchi dei pirati, ai sensi del già citato art. 134 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza. Non riteniamo, invece, che le guardie giurate possano avere un ruolo centrale nell’attività di addestramento dell’equipaggio e di supporto al comandante della nave. Un altro problema riguarda, allo stato, la tematica relativa alle armi data la mancata emanazione del decreto attuativo. Premesso, infatti, che il vigente Codice della navigazione (artt. 193, comma 3, e 1136) è notevolmente restrittivo relativamente all’imbarco di armi a bordo di navi mercantili, in osservanza delle norme internazionali, finalizzate ad impedire che le navi mercantili si trasformino in navi da guerra, si deve evidenziare, anzitutto, che sia le guardie giurate, sia i Nuclei militari, hanno il compito di “proteggere” la nave a rischio di pirateria. La funzione, invece, di dare la cosiddetta “caccia” ai pirati è affidata esclusivamente alle navi da guerra ovvero alle navi in servizio di Stato, che sono regolarmente autorizzate (art. 106 e 110 della Convenzione internazionale sul diritto del mare del 1982). Ne conseguono due diverse situazioni per l’uso delle armi da parte dei militari dei Nuclei e delle guardie giurate, nello svolgimento dell’attività di protezione dell’unità navale. I militari dei Nuclei di protezione, avendo la qualità di operatori di polizia giudiziaria limitatamente ai reati di cui agli artt. 1135 (pirateria) e 1136 (nave sospetta di pirateria) del Codice della navigazione ed a quelli ad essi connessi ai sensi dell’art. 12 c.p.p., ferme restando le attribuzioni del Comandante, possono legittimamente usare le armi o altri mezzi di coazione per difendere l’unità navale. È evidente che i componenti dei Nuclei, laddove siano appartenenti all’Arma dei Carabinieri, avranno la qualifica di ufficiale o agente di polizia giudiziaria con competenza generale e illimitata, cioè in ogni luogo e per la generalità dei reati, ai sensi dell’art. 57 comma 1, lett. b), e comma 2, lett. b), c.p.p. Inoltre, al personale militare dei Nuclei di protezione si applicano, oltre le cause comuni di giustificazione, anche la nuova causa di giustificazione, introdotta dall’art. 4 commi 1 sexies e 1 septies del D.L. 4 novembre 2009, n. 152, conv. nella legge n. 197/2009. L’art. 5, comma 2 del citato decreto legge n. 107 del 2011, prevedendo l’applicabilità di questa causa di giustificazione, ha però sostituito la «necessità delle operazioni militari» con la «necessità di protezione del naviglio commerciale». Ne consegue che non saranno punibili i militari che, nell’ambito delle operazioni di contrasto alla pirateria di cui al comma 1 dello stesso art. 5, in conformità alle direttive, alle regole di ingaggio ovvero agli ordini legittimamente impartiti fanno uso ovvero ordinano di fare uso delle armi, della forza ovvero di un altro mezzo di coazione fisica per proteggere il naviglio mercantile. Nel caso in cui i militari eccedano colposamente i limiti previsti dalla legge, dalle direttive, dalle regole di ingaggio o dagli ordini legittimamente impartiti, ovvero dalla necessità di protezione del naviglio, si potranno applicare nei loro confronti le disposizioni concernenti i delitti colposi, se il fatto è previsto dalla legge come delitto colposo. La situazione è ben diversa nel caso in cui le armi vengano utilizzate dalle guardie giurate per difendere se stesse o il naviglio mercantile in quanto l’art. 5 bis del decreto legge n. 107 del 2011 si limita a prevedere che le guardie giurate, autorizzate ai sensi degli art. 133 e 134 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza possono utilizzare le armi, in dotazione delle navi, custodite in appositi locali e previa autorizzazione rilasciata all’Armatore dal Ministro dell’Interno ai sensi dell’art. 28 del Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza. Le guardie giurate, inoltre, possono utilizzare le armi di loro proprietà nelle acque internazionali, previa autorizzazione del Ministero dell’Interno. Arch. nuova proc. pen. 4/2014 333 dott Dottrina È evidente che, in presenza di un attacco dei pirati, le guardie giurate potranno fare uso delle armi in dotazione solo per “legittima difesa”, individuale e collettiva, e, in caso di commissione di reati, potrà essere alle stesse applicata la relativa causa di giustificazione. Ulteriori problematiche riguardano i poteri di arresto in flagranza di reato in quanto si possono presentare due situazioni diverse, a secondo che ad operare l’arresto siano i componenti dei Nuclei militari di protezione ovvero le guardie giurate. I militari dei nuclei infatti, avendo attribuita la qualifica di ufficiale o agente di polizia giudiziaria limitatamente ai reati di cui agli artt. 1135 e 1136 del Codice della navigazione ed a quelli agli stessi connessi ex art. 12 c.p.p., potranno operare l’arresto in flagranza sia obbligatorio, sia facoltativo ai sensi delle disposizioni del codice di procedura penale (art. 380 e 381 c.p.p.) e in conformità alle disposizioni e alle regole di ingaggio emanate dal Ministro della Difesa. Le guardie giurate, invece, potranno avvalersi soltanto del disposto dell’art. 383 c.p.p. che consente a qualsiasi privato cittadino di procedere all’arresto in flagranza, quando si tratta di delitti perseguibili d’ufficio con riferimento ai quali risulterebbe obbligatorio l’arresto ad iniziativa della polizia giudiziaria ex art. 380 c.p.p. Nel silenzio della legge, infatti, non ci sembra possibile un’ulteriore estensione della facoltà di arresto alle guardie giurate in quanto l’art. 13 comma 3 della Costituzione legittima ad adottare provvedimenti provvisori limitativi della libertà personale soltanto “l’autorità di pubblica sicurezza”, e, quindi, gli organi di polizia. Con riferimento alle persone arrestate in flagranza un’ulteriore questione riguarda il procedimento di convalida della misura. A tal fine, infatti, le persone arrestate dovrebbero essere trasbordate su una nave militare per 334 4/2014 Arch. nuova proc. pen. metterle a disposizione dell’autorità giudiziaria (art. 5 comma 2 D.L. n. 107/2011, conv. nella L. n. 130/2011 che richiama l’art. 5 D.L. 209/2008, conv. nella L. n. 12/2009). Ne consegue che, a causa di queste difficoltà, sia i Nuclei militari sia le guardie giurate si limiteranno a respingere, anche con l’uso delle armi, gli attacchi dei pirati, senza procedere all’eventuale arresto degli stessi. 3. Conclusioni Molteplici sono i problemi che, come si è visto, si presentano all’interprete; alcuni, a tutt’oggi, non risolti data la mancata emanazione del decreto attuativo della legge n. 130 del 2011, che dovrebbe regolamentare le modalità di utilizzazione delle guardie giurate a bordo delle navi mercantili e le loro attribuzioni. Ritengo infatti che sia necessaria: a) una adeguata formazione “specialistica” e innovativa per le funzioni che le guardie giurate dovranno svolgere a bordo delle navi mercantili, implementando, per la loro formazione, i corsi teorico-pratici; b) una più precisa definizione dei rapporti intercorrenti tra il Comandante della nave che, come si è già detto, è responsabile delle scelte per l’utilizzazione del personale militare e delle guardie giurate; c) la specificazione dei rapporti tra il Comandante della nave e l’Armatore; d) la regolamentazione delle modalità di transito delle armi; e) la risoluzione della questione relativa all’inquadramento contrattuale delle guardie giurate. In conclusione è auspicabile che vengano date delle risposte ai molti quesiti che ho evidenziato, ma, soprattutto, mi auguro che sia potenziata la cooperazione tra gli Stati per potere reprimere, o, almeno, contrastare in modo sempre più efficace la pirateria, mediante un bilanciamento tra le esigenze umanitarie e le esigenze di sicurezza. Bibliografia Corso Stefano Maria Codice della responsabilità “da reato” degli enti Torino, Giappichelli, 2014, pp. 556, € 22,00 L’opera, giunta alla II edizione, propone il testo del decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231, aggiornato al marzo 2014, sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche. Le norme penali e civili richiamate nel testo del decreto sono riportate in nota, così da offrire un quadro completo di immediato utilizzo. Caratteristica saliente dell’opera è l’esposizione ragionata della giurisprudenza di merito e di legittimità, nonché sovranazionale, intervenuta in relazione a ciascun articolo, così da offrire al lettore una visuale aggiornatissima del “diritto vivente”. Le decisioni giurisprudenziali sono accompagnate dal richiamo alla dottrina che le ha annotate, in modo da agevolare l’approfondimento che si renda necessario per finalità accademiche e processuali. Particolarmente ampia è, ad esempio, la giurisprudenza sull’art. 25 septies che mira a imporre una “cultura della sicurezza” in ogni ente datore di lavoro. Un’ampia sezione finale dà contezza delle leggi collegate al D.L.vo n. 231/2001 sia come “fonti europee” che come “fonti interne”. L’opera è destinata alle aziende, ai professionisti, ai magistrati e agli studenti chiamati, ciascuno nella propria ottica, a misurarsi con questo “microsistema” che utilizza il procedimento penale per accertare ed eventualmente reprimere gli illeciti amministrativi che hanno causato o non impedito la commissione dei c.d. reati presupposto (artt. 24-26 D.L.vo n. 231/2001). E.T. Degl’Innocenti Leonardo Faldi Francesco I benefici penitenziari Collana Teoria e pratica del diritto Maior, Ed. Giuffrè, Milano 2014, pp. 554, € 58.00 Il volume delinea un quadro completo della disciplina vigente in materia di benefici penitenziari e di sanzioni sostitutive e dei relativi procedimenti di applicazione ed è aggiornato alle ultime novità introdotte dalle recenti leggi 9 agosto 2013, n. 94 e 21 febbraio 2014, n. 10, che affrontano il fenomeno del sovraffollamento carcerario, nonché al recentissimo arresto della Corte Costituzionale 26 febbraio 2014, n. 35 in tema di stupefacenti. La materia è illustrata attraverso l’analisi dei più significativi orientamenti dottrinali e giurisprudenziali, grazie al costante riferimento a decisioni sia di legittimità che di merito, molte delle quali inedite. M.B. Dell’Agli Carlo Scritti giuridici Area Scienze giuridiche, Ed. Aracne, Roma 2014, pp. 453, s.p. L’Opera è una interessante raccolta di articoli e note a sentenza, che l’auto- re ha prodotto durante la sua carriera di funzionario dell’Amministrazione giudiziaria, riferite alla giurisprudenza sia di merito che di legittimità. La materia a cui l’autore riserva i più ampi spazi di trattazione è senza dubbio il diritto processuale penale, ma sono presenti argute osservazioni anche su altri argomenti di notevole interesse come, ad esempio, sull’imposta di registro dovuta per il rilascio della copia esecutiva della sentenza o sulla direttiva n. 220/90 della Comunità Europea sugli organismi geneticamente modificati. Tra gli argomenti affrontati nelle note a sentenza dell’Autore, in ambito penalistico si segnalano: reato continuato; connessione e riunione di procedimenti; imputazione generica; in ambito civilistico: le notifiche a mezzo posta. Tra i contributi dottrinali, interessanti in materia penale quelli in tema di recupero spese nel processo penale nei confronti del coimputato che non ha proposto gravame; di questioni di competenza; di avviso di deposito dell’ordinanza di custodia cautelare e diritto del difensore al rilascio di copia degli atti depositati nella cancelleria del giudice che ha disposto l’ordinanza di misura cautelare; di specifico mandato del difensore secondo la ratio dell’art. 571, terzo comma, c.p.p. In materia civile si segnala l’utilizzo dell’immobile in assenza della prescritta autorizzazione sanitaria. M.B. Arch. nuova proc. pen. 4/2014 335 Corte costituzionale Corte costituzionale 21 maggio 2014, n. 135 (c.c. 12 febbraio 2014) Pres. Silvestri – Rel. Frigo – Ric. Mag. sorv. Napoli in proc. Z.U. Misure di sicurezza y Procedimento y Su istanza degli interessati y Nelle forme dell’udienza pubblica y Esclusione y Illegittimità costituzionale parziale. . Sono costituzionalmente illegittimi, in riferimento agli artt. 111, primo comma, e 117, primo comma, Cost., gli artt. 666, comma 3, 678, comma 1, e 679, comma 1, c.p.p., nella parte in cui non consentono che la procedura di applicazione delle misure di sicurezza si svolga, su istanza degli interessati, nelle forme della pubblica udienza. (c.p.p., art. 666; c.p.p., art. 678; c.p.p., art. 679) (1) (1) Si rimanda, per utili riferimenti, alla sentenza Corte cost. 12 marzo 2010, n. 93, in questa Rivista 2010, 297, che perviene alle medesime conclusioni della pronuncia in epigrafe pur con riferimento al procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione. Ritenuto in fatto 1.– Con ordinanza depositata il 29 novembre 2012, il Magistrato di sorveglianza di Napoli ha sollevato, in riferimento agli artt. 111, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 666, comma 3, 678, comma 1, e 679, comma 1, del codice di procedura penale, «nella parte in cui non consentono che la procedura di applicazione delle misure di sicurezza si svolga, su istanza degli interessati, nelle forme della pubblica udienza». Il giudice a quo – investito di un procedimento, promosso d’ufficio, per la dichiarazione di abitualità nel reato – riferisce che il difensore dell’interessato aveva chiesto che la procedura fosse trattata «in forma pubblica». Il rimettente rileva che, in base alla normativa vigente, la richiesta non potrebbe essere accolta. L’art. 679, comma 1, cod. proc. pen. demanda la competenza in materia al magistrato di sorveglianza, stabilendo che «Quando una misura di sicurezza diversa dalla confisca è stata, fuori dei casi previsti dall’articolo 312, ordinata con sentenza, o deve essere ordinata successivamente, il magistrato di sorveglianza, su richiesta del pubblico ministero o di ufficio, accerta se l’interessato è persona socialmente pericolosa e adotta i provvedimenti conseguenti, premessa, ove occorra, la dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato». Quanto al rito, l’art. 678, comma 1, cod. proc. pen. dispone che il magistrato di sorveglianza, nelle materie attinenti alle misure di sicurezza e alla dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato, procede «a norma dell’articolo 666», il cui comma 3 a sua volta prevede che «il giudice […], designato il difensore di ufficio all’interessato che ne sia privo, fissa la data dell’udienza in camera di consiglio». Il dato normativo risulterebbe, pertanto, inequivoco nello stabilire che il procedimento per l’applicazione delle misure di sicurezza abbia luogo «in camera di consiglio»: formula che – alla luce di un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità – implica un rinvio alla disciplina generale dettata dall’art. 127 cod. proc. pen., il cui comma 6 dispone espressamente che l’udienza si svolge «senza la presenza del pubblico». La pubblicità dell’udienza non potrebbe essere, d’altra parte, “recuperata” neppure in sede di appello avverso la decisione del magistrato di sorveglianza, posto che, in forza del citato art. 678, comma 1, cod. proc. pen., anche il tribunale di sorveglianza – cui l’appello è devoluto (art. 680, comma 1, cod. proc. pen.) – procede nelle materie di sua competenza a norma dell’art. 666. Ad avviso del giudice a quo, le norme censurate violerebbero, per questo verso, l’art. 117, primo comma, Cost., ponendosi in contrasto – non superabile in via di interpretazione – con il principio di pubblicità dei procedimenti giudiziari, sancito dall’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, così come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. In recenti pronunce nei confronti dello Stato italiano, attinenti ad altre materie (sentenza 13 novembre 2007, Bocellari e Rizza contro Italia; sentenza 8 luglio 2008, Perre e altri contro Italia; sentenza 10 aprile 2012, Lorenzetti contro Italia), la Corte di Strasburgo ha in effetti ritenuto che la procedura «in camera di consiglio» – e, dunque, senza l’intervento del pubblico – sia incompatibile con l’indicata garanzia convenzionale. Ciò è avvenuto, in particolare, con riguardo al procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione (cui si riferiscono le prime due pronunce dianzi citate). La Corte europea ha, infatti, osservato che – pur a fronte dell’elevato «grado di tecnicismo» di dette procedure e delle esigenze di protezione della vita privata di terzi indirettamente interessati, in esse spesso riscontrabili – l’entità della «posta in gioco» e gli effetti che le procedure stesse possono produrre impongono di ritenere che il controllo del pubblico sull’esercizio della giurisdizione rappresenti una condizione necessaria ai fini del Arch. nuova proc. pen. 4/2014 337 giur C o r t e c o s t i t u z i o n al e rispetto dei diritti dei soggetti coinvolti: prospettiva nella quale dovrebbe essere offerta a questi ultimi «almeno la possibilità di sollecitare una pubblica udienza davanti alle sezioni specializzate dei tribunali e delle corti d’appello». Se questa conclusione vale quando la «posta in gioco» è la confisca di «beni e capitali», come nel caso delle misure di prevenzione patrimoniali, a maggior ragione essa si imporrebbe rispetto al procedimento di sicurezza, suscettibile di incidere in modo diretto e rilevante sulla libertà personale del soggetto interessato. Nell’ipotesi sottoposta all’esame del rimettente, l’eventuale dichiarazione di abitualità nel reato potrebbe determinare l’applicazione di una misura di sicurezza detentiva, quale l’assegnazione ad una casa di lavoro per un periodo minimo di due anni, o anche non detentiva, ma comunque significativamente limitativa della libertà personale, quale la libertà vigilata. L’incidenza del procedimento sulla libertà personale dell’interessato sarebbe resa, d’altro canto, ancor più «traumatica» dalla circostanza che la pronuncia del magistrato di sorveglianza non segue immediatamente la commissione dei fatti di reato, ma può intervenire anche a notevole distanza di tempo da essi: ciò, segnatamente nei casi in cui il procedimento sia attivato all’esito di valutazioni basate sulle condanne risultanti del certificato del casellario giudiziale, come tipicamente avviene per la dichiarazione di abitualità nel reato. Le affermazioni della Corte europea dei diritti dell’uomo, dianzi ricordate, indurrebbero a dubitare della legittimità costituzionale delle norme censurate anche in riferimento all’art. 111, primo comma, Cost., in forza del quale la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. Sebbene, infatti, il procedimento disciplinato dagli artt. 666, 678, 680 e 127 cod. proc. pen. appaia strutturato, nel complesso, in modo tale da assicurare l’effettività del diritto di difesa, la previsione del suo svolgimento nella forma dell’udienza camerale non garantirebbe un controllo sull’esercizio dell’attività giurisdizionale adeguato alla gravità dei provvedimenti adottabili. In questa prospettiva, ai fini dell’attuazione di un «equo processo», dovrebbe essere prevista la possibilità di svolgere il procedimento in forma pubblica almeno su richiesta degli interessati. 2.– È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata infondata. La difesa dello Stato osserva come nel procedimento per l’applicazione delle misure di sicurezza vengano in rilievo esigenze di riservatezza, in relazione agli elementi istruttori posti a fondamento della decisione, la quale costituisce la risultante di un giudizio che non ha ad oggetto la sussistenza di un fatto-reato, ma soprattutto la personalità dell’interessato. Tali esigenze, unite a quelle di celerità processuale, prevarrebbero sull’esigenza della pubblicità, la quale, anche nella disciplina del dibattimento penale, risulta recessiva laddove sussistano particolari esigenze di riservatezza, tanto che in tal caso l’udienza può svolgersi a porte chiuse. 338 4/2014 Arch. nuova proc. pen. Considerato in diritto 1.– Il Magistrato di sorveglianza di Napoli dubita della legittimità costituzionale della disposizione combinata degli artt. 666, comma 3, 678, comma 1, e 679, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui non consente che il procedimento per l’applicazione delle misure di sicurezza si svolga, su istanza degli interessati, nelle forme dell’udienza pubblica. Ad avviso del giudice a quo, le norme censurate violerebbero l’art. 117, primo comma, Cost., ponendosi in contrasto – non superabile in via di interpretazione – con il principio di pubblicità dei procedimenti giudiziari, sancito dall’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, così come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Le medesime disposizioni violerebbero, altresì, l’art. 111, primo comma, Cost., giacché la possibilità di svolgere in forma pubblica il procedimento in questione, almeno su richiesta degli interessati, risulterebbe indispensabile ai fini dell’attuazione di un «giusto processo», tenuto conto della gravità dei provvedimenti adottabili in esito al procedimento stesso, direttamente incidenti sulla libertà personale. 2.– In via preliminare, va rilevato che, nonostante la generica formulazione del quesito, il dubbio di legittimità costituzionale sottoposto all’esame della Corte deve ritenersi circoscritto alla mancata previsione della possibilità di trattazione in udienza pubblica dei procedimenti di sicurezza nei gradi di merito (prima istanza e appello). A questi soltanto risulta, infatti, riferito il principio affermato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nelle decisioni richiamate a sostegno delle censure. Lo stesso rimettente, d’altro canto, nello svolgere le sue doglianze, ha posto l’accento esclusivamente sull’assenza di pubblicità delle udienze che, nel procedimento in discussione, si svolgono davanti al magistrato di sorveglianza e al tribunale di sorveglianza, competente per l’appello (art. 680, comma 1, cod. proc. pen.), senza alcun riferimento al giudizio davanti alla Corte di cassazione, eventualmente introdotto ai sensi dell’art. 666, comma 6, cod. proc. pen. 3.– Così precisata, la questione è fondata, in riferimento all’art. 111, primo comma, e all’art. 117, primo comma, Cost. Con la sentenza n. 93 del 2010, questa Corte ha già dichiarato costituzionalmente illegittimi, per contrasto con il secondo dei parametri indicati, l’art. 4 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità) e l’art. 2-ter della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro la mafia), nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione si svolga, davanti al tribunale e alla corte d’appello, nelle forme dell’udienza pubblica. Considerazioni analoghe a quelle svolte in detta decisione – successivamente recepita dal legislatore negli giur C o r t e c o s t i t u z i o n al e artt. 7, comma 1, e 10, comma 2, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136) – valgono anche agli odierni fini. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, costante a partire dalle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, le norme della CEDU – nel significato loro attribuito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, specificamente istituita per dare a esse interpretazione e applicazione (art. 32, paragrafo 1, della Convenzione) – integrano, quali «norme interposte», il parametro costituzionale espresso dall’art. 117, primo comma, Cost., nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli «obblighi internazionali» (ex plurimis, sentenze n. 30 del 2014, n. 264 del 2012, n. 236, n. 113 e n. 80 del 2011). Ne deriva che, ove si profili un contrasto – non superabile a mezzo di una interpretazione “adeguatrice” – fra una norma interna e una norma della CEDU, il giudice comune, non potendo rimuoverlo tramite la semplice non applicazione della norma interna, deve denunciare la rilevata incompatibilità tramite la proposizione di una questione incidentale di legittimità costituzionale per violazione del suddetto parametro. Nel caso oggi in esame, i dubbi di compatibilità con la normativa convenzionale attengono alle modalità di svolgimento del procedimento in materia di applicazione delle misure di sicurezza, previsto dall’art. 679, comma 1, cod. proc. pen.: procedimento del quale non è in discussione il carattere giurisdizionale, del resto espressamente evocato dall’art. 2, numero 96), della legge 16 febbraio 1987, n. 81 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per l’emanazione del nuovo codice di procedura penale). La norma censurata stabilisce, in specie, nella parte cui è riferita la questione, che «Quando una misura di sicurezza diversa dalla confisca è stata, fuori dei casi previsti dall’articolo 312, ordinata con sentenza, o deve essere ordinata successivamente, il magistrato di sorveglianza, su richiesta del pubblico ministero o di ufficio, accerta se l’interessato è persona socialmente pericolosa e adotta i provvedimenti conseguenti, premessa, ove occorra, la dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato». Contro il provvedimento del magistrato di sorveglianza è ammesso appello al tribunale di sorveglianza (art. 680, comma 1, cod. proc. pen.). Come rimarca il giudice a quo, il dato normativo appare univoco nello stabilire che il procedimento in questione si svolga nella forma dell’udienza in camera di consiglio e, dunque, senza la partecipazione del pubblico. L’art. 678, comma 1, cod. proc. pen. prevede, infatti, che il tribunale di sorveglianza, nelle materie di sua competenza, e il magistrato di sorveglianza, nelle materie attinenti (per quanto qui interessa) alle misure di sicurezza e alla dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato, applicano le regole stabilite per il procedimento di esecuzione dall’art. 666 cod. proc. pen. Trova applicazione, per- tanto, anche il comma 3 di detto articolo, il quale prevede la fissazione di una «udienza in camera di consiglio». Tale formula rende operante, a sua volta, per quanto non diversamente disposto, la disciplina generale in materia di «procedimento in camera di consiglio» dettata dall’art. 127 cod. proc. pen.: e, dunque, – nell’assenza di previsioni derogatorie sul punto – anche la disposizione del comma 6, in forza della quale «l’udienza si svolge senza la presenza del pubblico». 4.– Siffatto regime non appare, tuttavia, compatibile con l’art. 6, paragrafo 1, della CEDU, il quale stabilisce – per la parte conferente – che «ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata […], pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale […]», soggiungendo, altresì, che «la sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l’accesso nella sala di udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell’interesse della morale, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità possa portare pregiudizio agli interessi della giustizia». La Corte europea dei diritti dell’uomo ha reiteratamente ravvisato una simile situazione di contrasto con riguardo al procedimento applicativo delle misure di prevenzione, del quale la disciplina italiana vigente all’epoca prevedeva parimenti la trattazione in forma camerale (sentenza 13 novembre 2007, Bocellari e Rizza contro Italia, sulla cui scia sentenza 17 maggio 2011, Capitani e Campanella contro Italia; sentenza 2 febbraio 2010, Leone contro Italia; sentenza 5 gennaio 2010, Bongiorno e altri contro Italia; sentenza 8 luglio 2008, Perre e altri contro Italia). A tale conclusione la Corte europea è pervenuta richiamando la propria costante giurisprudenza, secondo la quale la pubblicità delle procedure giudiziarie tutela le persone soggette alla giurisdizione contro una giustizia segreta, che sfugge al controllo del pubblico, e costituisce anche uno strumento per preservare la fiducia nei giudici, contribuendo così a realizzare lo scopo dell’art. 6, paragrafo 1, della CEDU: ossia l’equo processo. Come attestano le eccezioni previste dalla seconda parte della norma, questa non impedisce, in assoluto, alle autorità giudiziarie di derogare al principio di pubblicità dell’udienza. La stessa Corte europea ha, d’altra parte, ritenuto che alcune situazioni eccezionali, attinenti alla natura delle questioni da trattare – quale, ad esempio, il carattere «altamente tecnico» del contenzioso – possano giustificare che si faccia a meno di un’udienza pubblica. In ogni caso, tuttavia, l’udienza a porte chiuse, per tutta o parte della durata, deve essere «strettamente imposta dalle circostanze della causa». Con riguardo alla fattispecie sottoposta al suo esame, la Corte europea non ha contestato che il procedimento per l’applicazione di misure di prevenzione possa presentare «un elevato grado di tecnicità», in quanto tendente – nel caso di misure patrimoniali – al controllo «delle finanze e Arch. nuova proc. pen. 4/2014 339 giur C o r t e c o s t i t u z i o n al e dei movimenti di capitali», o che possa talora coinvolgere «interessi superiori», quale la protezione della vita privata di terze persone indirettamente interessate da detto controllo. Non è tuttavia possibile – secondo la Corte europea – non tener conto dell’entità della «posta in gioco» nelle procedure in questione – le quali mirano alla confisca di «beni e capitali», incidendo così direttamente sulla situazione patrimoniale della persona soggetta a giurisdizione – nonché degli effetti che esse possono produrre sulle persone: situazione a fronte della quale «non si può affermare che il controllo del pubblico» – almeno su sollecitazione del soggetto coinvolto – «non sia una condizione necessaria alla garanzia dei diritti dell’interessato». Sulla scorta di tali considerazioni, la Corte di Strasburgo ha, quindi, ritenuto «essenziale», ai fini della realizzazione della garanzia prefigurata dalla norma convenzionale, «che le persone […] coinvolte in un procedimento di applicazione delle misure di prevenzione si vedano almeno offrire la possibilità di sollecitare una pubblica udienza davanti alle sezioni specializzate dei tribunali e delle corti d’appello». 5.– In termini analoghi la Corte europea si è espressa, più di recente, con riferimento al procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione, del quale la legge processuale italiana (art. 315, comma 3, in relazione all’art. 646, comma 1, cod. proc. pen.) egualmente prevede lo svolgimento nelle forme dell’udienza camerale (sentenza 10 aprile 2012, Lorenzetti contro Italia). Anche in questo caso, la Corte di Strasburgo ha ritenuto essenziale che i singoli coinvolti nella procedura fruiscano almeno della facoltà di richiedere la trattazione in forma pubblica dell’udienza innanzi la corte d’appello (competente nel merito in unico grado), non ravvisando alcuna circostanza eccezionale che valga a giustificare una deroga generale e assoluta al principio di pubblicità dei giudizi. Nell’ambito della procedura considerata, infatti, i giudici interni sono chiamati essenzialmente a valutare se l’interessato abbia contribuito a provocare la sua detenzione intenzionalmente o per colpa grave: sicché non si discute di «questioni di natura tecnica che possono essere regolate in maniera soddisfacente unicamente in base al fascicolo». 6.– Con la citata sentenza n. 93 del 2010, questa Corte ha già avuto modo di escludere che la norma convenzionale, così come interpretata dalla Corte europea, contrasti con le conferenti tutele offerte dalla nostra Costituzione: ipotesi nella quale la norma stessa – che si colloca pur sempre a un livello sub-costituzionale – rimarrebbe inidonea a integrare il parametro dell’art. 117, primo comma, Cost. (ex plurimis, sentenze n. 113 del 2011, n. 311 del 2009, n. 349 e n. 348 del 2007). L’assenza di un esplicito richiamo, non scalfisce, infatti, il valore costituzionale del principio di pubblicità delle udienze giudiziarie, peraltro consacrato anche in altre carte internazionali dei diritti fondamentali. La pubblicità del giudizio – specie di quello penale – rappresenta, in effetti, un principio connaturato ad un ordinamento democratico (ex plurimis, sentenze n. 373 del 1992, n. 69 del 340 4/2014 Arch. nuova proc. pen. 1991 e n. 50 del 1989). Il principio non ha valore assoluto, potendo cedere in presenza di particolari ragioni giustificative, purché, tuttavia, obiettive e razionali (sentenza n. 212 del 1986), e, nel caso del dibattimento penale, collegate ad esigenze di tutela di beni a rilevanza costituzionale (sentenza n. 12 del 1971). 7.– Ciò posto, le conclusioni raggiunte dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in rapporto ai procedimenti per l’applicazione delle misure di prevenzione e per la riparazione dell’ingiusta detenzione non possono non valere anche in relazione al procedimento di applicazione delle misure di sicurezza, oggetto dell’odierna questione. L’obiettivo precipuo di detto procedimento è, infatti, quello di accertare la concreta pericolosità sociale del soggetto che dovrebbe essere sottoposto alla misura: accertamento al quale il magistrato di sorveglianza è chiamato non solo nell’ipotesi in cui sia egli stesso a provvedere alla dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato o all’applicazione di una misura di sicurezza nei casi previsti dall’art. 205, secondo comma, cod. pen., ma anche quando si tratti di dare esecuzione ai corrispondenti provvedimenti assunti dal giudice con la sentenza di condanna o di proscioglimento che definisce il processo penale. Ciò, in ossequio al principio che esige – una volta rimosse le presunzioni legali prefigurate dall’originaria disciplina del codice penale – un giudizio sulla pericolosità effettiva dell’interessato non solo nel momento in cui la misura di sicurezza è applicata, ma anche in quello nel quale essa deve essere concretamente eseguita. Avuto riguardo all’evidenziato oggetto dell’accertamento, non si è, dunque, di fronte ad un contenzioso a carattere meramente e altamente «tecnico», rispetto al quale il controllo del pubblico sull’esercizio dell’attività giurisdizionale – richiesto dall’art. 6, paragrafo 1, della CEDU, così come interpretato dalla Corte di Strasburgo – possa ritenersi non necessario alla luce della peculiare natura delle questioni trattate. Quanto, poi, alle esigenze di riservatezza che, ad avviso dell’Avvocatura dello Stato, giustificherebbero la sottrazione dell’udienza di sicurezza al regime della pubblicità, esse vengono riferite allo stesso soggetto nei cui confronti il procedimento si svolge, in correlazione ai mezzi istruttori richiesti ai fini del giudizio sulla sua personalità. Ma, a prescindere da ogni altra possibile obiezione, è dirimente al riguardo il rilievo che siffatte esigenze risulterebbero comunque ininfluenti rispetto al petitum, che mira a lasciare allo stesso interessato la valutazione dell’opportunità di rendere pubblica la trattazione della procedura. Per altro verso, poi, la «posta in gioco» nel procedimento in questione si presenta, senza alcun dubbio, particolarmente elevata. Nella generalità dei casi, la verifica della pericolosità sociale, operata nell’ambito del procedimento di cui si discute, è prodromica alla sottoposizione dell’interessato a misure di sicurezza personali (art. 215 cod. pen.). Nell’ambito delle misure di sicurezza patrimoniali (art. 236, primo comma, cod. pen.), la confisca risulta, infatti, espressamente esclusa dall’ambito di operatività del procedimento stesso, essendo la competenza giur C o r t e c o s t i t u z i o n al e in materia attribuita al giudice dell’esecuzione (art. 676, comma 1, cod. proc. pen.); mentre la cauzione di buona condotta è prevista in pochissime ipotesi, oltre a risultare largamente desueta nella pratica. Le misure di sicurezza personali comportano, peraltro, limitazioni di rilevante spessore alla libertà personale, raggiungendo, nel caso delle misure detentive, un tasso di afflittività del tutto analogo a quello delle pene detentive. Dette misure sono applicate, inoltre, per periodi minimi di notevole durata. Nell’ipotesi oggetto del giudizio a quo, ad esempio, l’eventuale dichiarazione di delinquenza abituale dell’interessato potrebbe comportare la sua assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro per la durata minima di due anni (art. 217 cod. pen.); in altre ipotesi il periodo minimo di internamento è anche più lungo. La revoca anticipata della misura, prima della scadenza del termine di durata minima, all’esito di un riesame della pericolosità, rappresenta, d’altro canto, una mera eventualità. Al pari del procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione, anche quello considerato presenta, dun- que, specifiche particolarità, che valgono a differenziarlo da un complesso di altre procedure camerali e che conferiscono specifico risalto alle esigenze alla cui soddisfazione il principio di pubblicità delle udienze è preordinato. Si tratta, infatti, di un procedimento all’esito del quale il giudice è chiamato ad esprimere un giudizio di merito, idoneo ad incidere in modo diretto, definitivo e sostanziale su un bene primario dell’individuo, costituzionalmente tutelato, quale la libertà personale. Si deve, pertanto, concludere che, anche nel caso in esame, sia indispensabile, ai fini della realizzazione della garanzia prevista dall’art. 6, paragrafo 1, della CEDU, che le persone coinvolte nel procedimento abbiano la possibilità di chiedere il suo svolgimento in forma pubblica. 8.– Gli artt. 666, comma 3, 678, comma 1, e 679, comma 1, cod. proc. pen. vanno dichiarati, pertanto, costituzionalmente illegittimi, nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento per l’applicazione delle misure di sicurezza si svolga, davanti al magistrato di sorveglianza e al tribunale di sorveglianza, nelle forme dell’udienza pubblica. (Omissis) Arch. nuova proc. pen. 4/2014 341 Contrasti Corte di cassazione penale sez. un., 15 maggio 2014, n. 20214 (ud. 27 marzo 2014) Pres. Santacroce – Est. Bianchi – P.M. Destro (diff.) – Ric. Frija Mourad Giudizio abbreviato y Richiesta y In sede di udienza preliminare y Da parte dell’imputato y Termini y Individuazione. . Nell’udienza preliminare la richiesta di giudizio abbreviato può essere presentata dall’imputato anche dopo la formulazione delle conclusioni da parte del pubblico ministero, ma comunque non oltre le conclusioni definitive rassegnate dal proprio difensore. (Mass. Redaz.) (c.p.p., art. 438; c.p.p., art. 441) (1) (1) Con la sentenza in epigrafe le SS.UU. hanno risolto il contrasto giurisprudenziale relativamente alla questione se può ritenersi tempestiva la richiesta di giudizio abbreviato, proposta nel corso dell’udienza preliminare, prima che il giudice dichiari chiusa la discussione, ma dopo le conclusioni del pubblico ministero. In senso contrario alla pronuncia in commento, la giurisprudenza di legittimità prevalente sostiene che tale richiesta possa essere proposta fino al momento in cui il giudice dell’udienza preliminare dichiara chiusa la discussione. Si vedano in tal senso Cass. pen., sez. I, 24 marzo 2009, n. 12887, in questa Rivista 2010, 227 e Cass. pen., sez. I, 13 gennaio 2003, n. 755, in Ius&Lex dvd n. 4/2014, ed. La Tribuna. Segue l’orientamento di cui in massima Cass. pen., sez. III, 12 maggio 2011, n. 18820, in questa Rivista 2012, 565, secondo la quale la richiesta di giudizio abbreviato nell’udienza preliminare può essere inoltrata fino al momento in cui il giudice conferisce la parola al pubblico ministero per la formulazione delle conclusioni. Svolgimento del processo 1. Con sentenza del 17 aprile 2012 il Tribunale di Lecco riteneva Mourad Frija responsabile del reato di cui agli articoli 81 cpv. c.p., 73, commi 1 e 1 bis D.P.R. n. 309 del 1990 perché con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, senza l’autorizzazione di cui all’articolo 17 e fuori dell’ipotesi dell’articolo 75 del predetto decreto, acquistava la Laila Boukchen e deteneva rilevanti quantitativi di sostanza stupefacente del tipo cocaina che in seguito cedeva a Zouahir Mackour e Hichem Nani e a terze persone rimaste sconosciute che la utilizzavano alcuni per svolgere autonoma attività di spaccio, altri per uso personale, fatto commesso in varie località negli anni 2008 e 2009; concesse le attenuanti generiche, lo condannava alla pena di sei anni di reclusione e 40.000 euro di multa. Interposto appello dal difensore dell’imputato in punto di mancata concessione del rito abbreviato, di affermazione della responsabilità e di trattamento sanzionatorio, la Corte di appello di Milano, con sentenza del 2 novembre 2012, confermava integralmente la sentenza gravata. 2. Ha presentato ricorso per cassazione l’imputato per mezzo del proprio difensore, avv. Maria Elena Concarotti, formulando tre motivi. Con il primo deduce erronea applicazione dell’articolo 438, commi 1 e 2, c.p.p., per non avere la Corte territoriale concesso il recupero del rito abbreviato che era stato, si sostiene, tempestivamente e regolarmente richiesto. All’udienza preliminare celebrata il 19 dicembre 2011 il difensore dell’imputato, nel prendere la parola per formulare le conclusioni, aveva chiesto l’ammissione al rito abbreviato, richiesta rifiutata poiché considerata tardiva; la richiesta era stata reiterata prima dell’apertura del dibattimento di primo grado ed in quella sede nuovamente rigettata; infine la richiesta in oggetto era stata posta alla base dei motivi di appello ma il giudice di secondo grado aveva confermato quanto deciso dal Tribunale di Lecco e cioè che la richiesta era da considerare tardiva in quanto proposta dopo che nell’udienza preliminare aveva preso la parola il pubblico ministero per formulare le proprie conclusioni. Il difensore contesta tale decisione, richiamandosi alla prevalente giurisprudenza di legittimità (Sez. 1, n. 12887 del 2009 e n. 15982 del 2004) secondo cui la richiesta in questione può essere proposta fino al momento in cui il giudice preliminare dichiara chiusa la discussione. Con un secondo motivo deduce mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui si è ritenuto sussistere la penale responsabilità dell’imputato, laddove non vi sarebbe prova del comportamento addebitato. Con il terzo motivo sostiene la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in punto di determinazione della pena, ritenuta eccessiva rispetto ai fatti commessi, non essendosi tenuto adeguato conto del comportamento tenuto dall’imputato, volto a chiarire i fatti, e del materiale probatorio disponibile. Dalla condotta accertata, anzi, poteva emergere al massimo una conoscenza dell’illecito traffico rientrante nell’ipotesi della connivenza non punibile, mentre il ritenuto concorso non è stato minimamente provocato e motivato. 3. Con dichiarazione personale recante da data del 4 gennaio 2014, pervenuta alla Corte di Cassazione il 10 successivo, il ricorrente dichiara di voler specificare che, come già precisato nell’interrogatorio reso durante le indagini preliminari, egli aveva solo tentato di intraprendere, senza peraltro riuscirvi, l’attività di spaccio di sostanze stupefacenti unicamente nella provincia di Bergamo dove risiedeva, e mai invece nelle province di Lecco o di Brescia; di essere pentito di tale comportamento avendone compreso il disvalore. Arch. nuova proc. pen. 4/2014 343 giur Contrasti 4. Il ricorso è stato assegnato alla Quarta Sezione penale, la quale, all’esito dell’udienza pubblica svoltasi il 16 gennaio 2014, ravvisando l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale in relazione alla individuazione del termine finale entro cui nell’udienza preliminare deve essere formulata la richiesta di giudizio abbreviato, ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 618 c.p.p. Riferisce la sezione rimettente che in proposito si confrontano due opposti orientamenti, uno più risalente e numericamente prevalente (Sez. I, n. 755 del 14 novembre 2002, Tinnirello, Rv. 223251; Sez. I, n. 15982 del 23 marzo 2004, Marzocca, Rv. 227761; Sez. I, n. 12887 del 19 febbraio 2009, Iervasi, Rv. 243041), secondo cui l’espressione «fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli artt. 421 e 422» impiegata dall’allora vigente art. 439, comma 2, c.p.p. per designare il momento preclusivo della richiesta di giudizio abbreviato in udienza preliminare è certamente idonea a ricomprendere l’intera fase della discussione prevista dal comma 2 dell’art. 421 fino al suo epilogo; l’altro, più restrittivo, sostenuto in realtà da un’unica articolata pronuncia (Sez. III, n. 18820 del 31 marzo 2011, T., Rv. 250009) che consapevolmente si pone in contrato con i precedenti contrari, ritiene che la richiesta di giudizio abbreviato nell’udienza preliminare può essere proposta fino al momento in cui il giudice conferisce la parola al pubblico ministero per la formulazione delle conclusioni. 5. Il Primo Presidente, con decreto del 12 febbraio 2014, ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la trattazione l’odierna udienza pubblica. Motivi della decisione 1. Il quesito cui le Sezioni Unite sono chiamate a rispondere è il seguente: “Se può ritenersi tempestiva la richiesta di giudizio abbreviato, proposta nel corso dell’udienza preliminare, prima che il giudice dichiari chiusa la discussione ma dopo le conclusioni del pubblico ministero”. 2. In proposito sussiste effettivamente un contrasto di giurisprudenza, atteso che secondo un primo orientamento, che l’ordinanza di rimessione definisce “più risalente, ma prevalente”, la risposta deve essere positiva, come affermato a partire dalla sentenza Sez. I, n. 755 del 14 novembre 2002, Tinnirello, Rv. 223251, secondo la quale l’espressione «fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli artt. 421 e 422» impiegata dall’allora vigente art. 439, comma 2, c.p.p. (riprodotta nel testo dell’articolo 438, comma 2, c.p.p. come sostituito dall’art. 27 legge 16 dicembre 1999, n. 479) per designare il momento preclusivo della richiesta di giudizio abbreviato in udienza preliminare è «certamente idonea a ricomprendere l’intera fase della discussione prevista dal comma 2 dell’art. 421 fino al suo epilogo». A sostegno di tale soluzione si è rilevato che il legislatore, quando ha voluto collegare delle decadenze al momento iniziale della discussione lo ha detto chiaramente, adottando le opportune, diverse, espressioni come nei casi della formulazione della richiesta di oblazione nelle contravvenzioni punite con pene alternative (art. 162 bis, comma quinto, c.p.) e della rinuncia all’impugnazione da 344 4/2014 Arch. nuova proc. pen. parte del pubblico ministero e delle parti private (art. 589, commi 1 e 3, c.p.p.); si è richiamata inoltre la ratio deflazionistica del giudizio abbreviato che induce ad una interpretazione lata delle norme che ne regolano l’accesso. Si allineano alla sentenza Tinnirello, come ricorda la ordinanza di rimessione, due pronunce risolutive dei conflitti di competenza sollevate da giudici dibattimentali, investiti del giudizio a seguito della declaratoria di inammissibilità di richieste di rito abbreviato, reputate intempestive dal giudice dell’udienza preliminare. Nel primo caso (Sez. I, n. 15982 del 23 marzo 2004, Marzocca, Rv. 227761) tali richieste erano state considerate tardive perché presentate dopo che il pubblico ministero aveva preso le proprie conclusioni; e la Corte ha ritenuto invece che la richiesta fosse tempestiva in quanto l’espressione utilizzata dall’art. 438 «si riferisce all’intera fase della discussione fino al suo epilogo, di guisa che il termine finale per la rituale proposizione della richiesta è rappresentato dal momento in cui si esaurisce tale discussione». Nel secondo (Sez. I, n. 12887 del 19 febbraio 2009, Iervasi, Rv. 243041) la tardività era collegata al fatto che la richiesta di giudizio abbreviato era stata presentata per la prima volta nell’udienza successiva all’attività di integrazione probatoria disposta dal giudice ex art. 421 bis c.p.p.; e la Corte ha chiarito che la richiesta può essere presentata fino al momento in cui viene dichiarata chiusa la discussione e quindi anche dopo l’eventuale emissione dei provvedimenti di integrazione delle indagini o delle prove, che non possono che precedere la chiusura della discussione. Nello stesso senso dell’ultima pronuncia si era già espressa, sia pure incidentalmente, Sez. V, n. 6777 del 9 febbraio 2006, Paolone, Rv. 233829, che, nel giudicare erronea la sentenza della corte territoriale nella parte in cui aveva ritenuto inutilizzabili la consulenza di parte e i documenti prodotti dall’imputato nel corso dell’udienza preliminare anteriormente alla richiesta di ammissione al giudizio abbreviato, rammenta che tale richiesta «può essere presentata anche dopo l’eventuale integrazione istruttoria disposta dal giudice dell’udienza preliminare ai sensi degli artt. 421 bis o 422 c.p.p.». In senso diametralmente e consapevolmente opposto si è invece espressa Sez. III, n. 18820 del 31 marzo 2011, T., Rv. 250009, che, in un caso in cui la richiesta di giudizio abbreviato era stata avanzata dopo che la discussione era già stata avviata e dopo che il P.M. ed alcuni difensori avevano già formulato richieste conclusive, ha reputato corretta la decisione dei giudici di merito che avevano ritenuto tardiva la richiesta, affermando il principio secondo cui quest’ultima «nell’udienza preliminare può essere proposta sino al momento in cui il giudice conferisca la parola al p.m. per la formulazione delle conclusioni». A fondamento dell’opposta ricostruzione la pronuncia in esame postula anzitutto l’intenzione del legislatore di individuare anche all’interno dell’udienza preliminare, pur nella sua apparente informalità se raffrontata all’udienza dibattimentale, diverse fasi che in parte evocano la struttura di quest’ultima. È così possibile individuare «un momento iniziale di “costituzione delle parti” (art. 420), un giur Contrasti momento di “discussione” (nel corso del quale il p.m. illustra le ragioni a sostegno della propria richiesta di rinvio a giudizio ed i difensori quelle opposte) ed un momento di “conclusioni” (in cui il pubblico ministero, prima, ed i difensori, poi, rassegnano le rispettive richieste finali)»; la scansione risponde all’esigenza, avvertita dal legislatore, «di dare ordine ad un rito (l’udienza preliminare) che non può, e non deve, risolversi in una generica ed informale discussione produttrice di confusione e di probabili iniquità» ed è altresì funzionale rispetto all’esigenza di individuare termini certi per le attività che comportano decadenze (costituzione di parte civile e richiesta di ammissione al rito abbreviato). È dunque necessario - prosegue la sentenza in esame - individuare senza equivoci il termine descritto con l’espressione “fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli artt. 421 e 422”. L’ampio orientamento espresso dai precedenti della Corte, nel far riferimento al momento in cui si esaurisce la discussione con la formulazione delle conclusioni di tutte le parti ingenera il dubbio che tale momento vada a coincidere con quello in cui il giudice dichiara chiusa la discussione e si ritira in camera di consiglio per decidere. Ma, osserva la sentenza, se tale fosse stato l’intento del legislatore, «non ci sarebbe stato alcun motivo di usare questa espressione composita ed apparentemente ambigua ma si sarebbe piuttosto detto, come fatto chiaramente nell’art. 421, comma 4, che la facoltà di richiedere il rito abbreviato avrebbe potuto, e dovuto, essere esercitata “prima che il giudice dichiari chiusa la discussione”; se ciò non è avvenuto, è perché, evidentemente, si è inteso [...] individuare un termine diverso ed un po’ “anticipato” rispetto a quello della “fine della discussione”». La disposizione in esame è, in realtà, prosegue la sentenza, «decisamente chiara» e risponde a precise esigenze di trasparenza sulle modalità di svolgimento del rito ed anche di par condicio (quando, ad esempio, si tratti di procedimento con più imputati). In tale ultima situazione, infatti, «considerata la possibilità, tutt’altro che remota, che vi siano imputati in posizioni differenti (sì che le scelte difensive dell’uno possono riverberare sull’altro) deve essere necessario che tutti siano posti nelle medesime condizioni e che quindi, per tutti, il termine-sbarramento, entro cui rappresentare le proprie strategie processuali, sia il medesimo. Ciò può avvenire solo se la lettura dell’art. 421, comma 2, sia quella che lo stesso tenore della norma suggerisce (tanto più se raffrontato al diverso linguaggio normativo nell’art. 421, comma 4) e cioè, che la linea di confine è data dal momento in cui il g.u.p. concede la parola al p.m. per “formulare le conclusioni a norma degli artt. 421 e 422”». Diversamente opinando, si potrebbero ingenerare ulteriori motivi di confusione e di disparità di trattamento a seconda che l’espressione “formulazione delle conclusioni di tutte le parti” venga intesa separatamente (vale a dire per ciascun imputato) ovvero, per tutti gli imputati. Potrebbe, infatti, darsi il caso (soprattutto per procedimenti con più imputati) in cui, ad un’udienza preliminare completa, dove tutti abbiano concluso, in limine della camera di consiglio, uno o più imputati improvvisamente cambino opinione e riaprano interamente il discorso formulando una richiesta di rito abbreviato, cui potrebbe accodarsi anche qualche altro imputato. Ma potrebbe anche verificarsi l’ipotesi in cui, invece, si voglia ritenere ancora aperta la possibilità di chiedere il rito abbreviato solo a «quell’imputato per il quale il difensore non abbia ancora concluso»; in tal caso, però, si scivolerebbe su un piano di palese disparità di trattamento tra imputati essendo evidente che, poiché le discussioni difensive non possono essere simultanee, la scansione dei tempi di discussione (talvolta, necessariamente ripartita in giorni diversi) non avrebbe più - come è sempre stato - un obiettivo meramente pratico di pianificare gli interventi ma potrebbe diventare esso stesso strumento per nuove strategie difensive alla luce delle conclusioni che vengano, via via, rassegnate da altri. Il tutto, all’evidenza, finirebbe per delineare uno scenario sempre più confuso in cui il termine per accedere la rito abbreviato (scelta processuale di non poca rilevanza) non sarebbe più lo stesso per tutti i coimputati ma risulterebbe legato a profili arbitrari, casuali ed (eventualmente) ad astuzie difensive. Di recente si è poi espressa in favore dell’orientamento maggioritario, sia pure soltanto in via di obiter, Sez. I, n. 348 del 18 dicembre 2013, Di Paolo, osservando che in presenza di un dettato normativo che introduce una preclusione, l’interpretazione - anche al fine di non ledere l’aspettativa all’esercizio della relativa facoltà - non può determinare l’anticipazione della scadenza del termine rispetto all’ordinario significato dei termini utilizzati dal legislatore. 3. Per addivenire alla soluzione della questione è opportuno richiamare brevemente le linee fondamentali del giudizio abbreviato. Come noto, si tratta di un procedimento introdotto nel vigente codice che rientra nel novero delle procedure semplificate alternative al dibattimento aventi finalità deflattive, volte cioè a consentire la definizione con forme più agili e veloci di gran parte del contenzioso, consentendo in tal modo di rendere concretamente attuabile, nel sistema di obbligatorietà dell’azione penale che caratterizza il nostro ordinamento, la operatività del modello di processo accusatorio più garantista e correlativamente più complesso. La sua utilizzazione non ha avuto all’inizio di risultati sperati anche perché l’istituto non era privo di incongruenze e criticità che ne ostacolavano un buon funzionamento. Numerose pronunce della Corte costituzionale, l’intervento del legislatore (legge 16 dicembre 1999, n. 479, c.d. legge Carotti) e successivi ulteriori arresti del giudice delle leggi ne hanno ridisegnato i contorni in termini assolutamente innovativi rispetto all’impianto originario, con il risultato di configurare, sempre nel contemperamento degli obiettivi di deflazione e garanzia, un vero e proprio diritto potestativo dell’imputato inserito nel contesto di un’udienza preliminare anch’essa rinnovata negli strumenti probatori a disposizione del giudice. Si è così pervenuti all’attuale assetto normativo caratterizzato dalla contemporanea presenza di un giudizio abbreviato “non condizionato”, la cui ammissibilità non necessita del Arch. nuova proc. pen. 4/2014 345 giur Contrasti consenso del pubblico ministero e del vaglio discrezionale del giudice, cui è tuttavia riservato un potere di integrazione probatoria ex officio; e di un abbreviato “condizionato”, in cui la richiesta è invece condizionata appunto ad una integrazione probatoria che il giudice deve vagliare sotto i profili della necessarietà ai fini della decisione e della compatibilità con le finalità di economia processuale. 4. In questo quadro, i cui dettagli non è necessario approfondire, non essendo gli stessi rilevanti ai fini che ne occupano, si inserisce la questione della individuazione del termine finale entro cui, nel corso dell’udienza preliminare, può essere formulata la richiesta di ammissione al giudizio abbreviato; questione la cui rilevanza è evidente ove si consideri che in caso di richiesta presentata tardivamente si verifica la definitiva preclusione per l’imputato dei benefici del rito, secondo gli schemi della decadenza. Punto di partenza è la norma di legge di riferimento e cioè il comma 2 dell’articolo 438 c.p.p., secondo cui nell’udienza preliminare la richiesta di giudizio abbreviato può essere proposta, oralmente o per iscritto, «fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli articoli 421 e 422»; disposizione del tutto coincidente con quella precedente alla novella del 1999, contenuta nell’allora vigente articolo 439, comma 2. La formula, pur nell’apparente semplicità, si è prestata a differenti interpretazioni atteso che, sul mero piano letterale, essa può comprendere e pertanto riferirsi all’intero periodo che va dal momento immediatamente antecedente la formulazione delle prime conclusioni, quelle del p.m., fino all’ultimo momento in cui termina la discussione e si cristallizzano le conclusioni rassegnate da tutte le parti, cioè quello della replica da parte del difensore che parla per ultimo. Per pervenire ad una corretta interpretazione è dunque necessaria una complessiva valutazione delle esigenze sottese alla disposizione e del contesto in cui la stessa si inserisce. Le ipotesi messe in campo dalla giurisprudenza e approfondite dalla dottrina sono sostanzialmente tre, confrontandosi una tesi restrittiva, ispirata alla ritenuta esigenza di garantire una ordinata gestione dell’udienza preliminare, secondo cui la richiesta deve intervenire prima che venga conferita la parola al pubblico ministero e basata sulla convinzione che l’espressione usata dal legislatore sia atta ad indicare l’esordio della discussione; una intermedia, che ritiene indispensabile la conoscenza della posizione assunta dal pubblico ministero e pertanto delle sue conclusioni e riferisce il termine al momento della formulazione delle conclusioni da parte del difensore del singolo imputato; ed una terza, che allarga ulteriormente lo spazio, per consentire la massima osservanza al favor nei confronti delle potenzialità deflazionistiche del rito alternativo e di tenere conto delle posizioni espresse da tutti gli imputati e in particolare dell’evenienza rappresentata dalla possibile costituzione di un contumace dopo l’intervento di una o alcuna delle altre difese, e fa coincidere il termine con il momento in cui si esaurisce la discussione con la formulazione delle conclusioni di tutte le parti e, in particolare, nei processi soggettivamente cumulati, dei difensori di tutti gli imputati. 346 4/2014 Arch. nuova proc. pen. 5. È opportuno preliminarmente chiarire che vanno tenuti distinti i due piani relativi, da un lato, alla corretta individuazione del termine di cui si discute e, dall’altro, agli accertamenti probatori consentiti nell’udienza preliminare e che precedono la richiesta. È da considerare pacifico, nonostante un risalente precedente contrario (relativo peraltro ad un procedimento celebrato prima della legge Carotti) che la richiesta di giudizio abbreviato può essere formulata anche per la prima volta a seguito dell’attività di integrazione probatoria svolta dal giudice nell’udienza preliminare. Da tempo è stato invero opportunamente chiarito che già nel vigore del testo originario del codice ben erano consentite sia ai fini della richiesta di rinvio a giudizio sia ai fini di un eventuale pronuncia di sentenza di non luogo a procedere integrazioni probatorie nel corso dell’udienza preliminare ove il giudice ritenesse di non poter decidere allo stato degli atti, e che le stesse, se svolte prima della richiesta del giudizio abbreviato, erano pienamente utilizzabili anche in tale prospettiva, potendo addirittura giustificare la presentazione di una richiesta in precedenza non formulata dall’imputato che poteva aver ritenuto opportuno “accettare il rischio” che il giudice dichiarasse chiusa la discussione e precludesse così definitivamente l’accesso al giudizio abbreviato. L’integrazione istruttoria è seguita, come è logico, atteso il mutato quadro di riferimento che ne consegue, da una nuova discussione nel corso della quale le parti sono legittimate a formulare conclusioni che ben possono essere diverse da quelle precedenti; secondo uno schema che può, in ipotesi, ripetersi anche più volte. Tale conclusione è conforme al chiaro dettato dell’art. 438 c.p.p., che sia al comma 2 (non modificato sul punto) che al comma 6 (introdotto dalla legge Carotti) richiama gli artt. 421 e 422 e dunque evidentemente anche il terzo periodo del comma 3 dell’art. 422, dove è stabilito che a seguito dell’attività di integrazione probatoria, il pubblico ministero ed i difensori «formulano e illustrano le rispettive conclusioni». Il meccanismo risulta oggi tanto più razionale dopo che la Corte costituzionale (sentenza n. 77 del 1994) ha reso praticabile l’incidente probatorio anche nell’udienza preliminare, e dopo che la legge Carotti ha notevolmente ampliato il campo dell’integrazione probatoria in essa assumibile, attribuendo esplicitamente al giudice un potere di iniziativa ex officio, e sono stati definitivamente chiariti i caratteri del giudizio abbreviato nel senso che la funzione acceleratoria del medesimo si esprime con riguardo alla esclusione della fase del dibattimento e non rispetto alla celebrazione più o meno dilatata dell’udienza preliminare (v. Corte cost., sent. n. 115 del 2001). Né può trarsi elemento in contrario dal fatto che il testo dell’art. 438, comma 2, è rimasto invariato dopo la riforma del 1999, non essendosi provveduto a inserire in esso il richiamo anche all’art. 421 bis, dovendosi ritenere, come già è stato affermato (Sez. I, n. 12887 del 19 febbraio 2009, Iervasi, Rv. 243041, alla quale è conforme la dottrina unanime) che si tratta di una mera svista redazionale da parte del legislatore del 1999, che non implica la volontà di escludere la rilevanza della giur Contrasti eventuale fase di integrazione delle indagini ai fini della possibilità di chiedere il giudizio abbreviato; una diversa conclusione sarebbe peraltro assurda atteso che con l’art. 421 bis il legislatore ha in realtà recepito il contenuto del precedente art. 422, comma 1, dando ad esso una più razionale e puntuale disciplina. 6. Tale puntualizzazione non risolve tuttavia la specifica questione sulla quale le Sezioni Unite sono state chiamate a pronunciarsi: ritenere tempestiva la domanda di giudizio abbreviato presentata per la prima volta dopo l’integrazione ex artt. 421 bis o 422 c.p.p. non significa aver risolto la questione della individuazione dell’esatto ambito temporale in cui nell’udienza preliminare, prima o dopo la integrazione probatoria o investigativa, si verifica la scadenza del termine per la presentazione del giudizio abbreviato. Nell’affrontare la questione devono essere tenute presenti anche le ragioni sistematiche collegate al complessivo impianto codicistico. Le norme processuali sono, in via generale, scritte con riferimento all’ipotesi del procedimento che riguarda un singolo imputato, parte del rapporto con lo Stato, che con il processo assicura a lui, e nei procedimenti cumulativi a ciascuno e a tutti gli imputati, il miglior sistema di garanzie per accertare fatti e responsabilità; non assumono di norma rilevanza ai fini strettamente processuali i rapporti tra i vari imputati se non nei limiti in cui ciò è espressamente previsto. Anche nel disciplinare i procedimenti deflativi del dibattimento il legislatore del 1988, al pari di quello della novella del 1999, ha avuto come riferimento solo il caso che a chiedere la semplificazione delle forme processuali sia un singolo imputato. È inoltre opportuno richiamare l’attenzione sul fatto che lo svolgimento ordinario dell’udienza preliminare vede susseguirsi, secondo quanto risulta dal dettato normativo, diversi momenti, tra loro concettualmente distinti se separati, se pur nella pratica a volte ciò possa risultare meno evidente. Si possono distinguere la costituzione delle parti, l’ammissione di atti e documenti, la eventuale modifica dell’imputazione, le eventuali dichiarazioni spontanee o l’interrogatorio dell’imputato, l’esposizione dei difensori delle parti private, la replica per una sola volta del pubblico ministero e dei difensori, la decisione del giudice, che può essere definitiva o interlocutoria, quest’ultima ove il giudice ritenga necessaria l’attività di integrazione probatoria o investigativa; in tal caso si terrà una nuova udienza preliminare con nuova discussione. Alla necessità di fare attenzione a tale scansione si è richiamata la Corte costituzionale, sia pure con riferimento ad una diversa questione (sent. n. 117 del 2011 relativa alla posizione del pubblico ministero a seguito del deposito del fascicolo delle investigazioni difensive); e l’esigenza di rispettare un ordine nell’udienza preliminare è stata sottolineata dalla sentenza n. 18820 del 2011 della Terza Sezione, di cui sopra si è riferito. 7. Tanto premesso ritiene il Collegio che il richiamo alle conclusioni contenuto nell’art. 438 debba essere inteso con riferimento alla definitiva formulazione delle conclusioni di ogni singola parte. Una tale affermazione non solo non contrasta con il tenore letterale della norma e con le potenzialità deflattive del rito ma appare anche maggiormente rispettosa dell’impianto sistematico del codice nonché del diritto di difesa dell’imputato. Deve infatti escludersi che possa essere considerato momento preclusivo quello della formulazione delle conclusioni da parte del pubblico ministero; e ciò non solo e non tanto per il raffronto con altre disposizioni del codice in cui il legislatore non ha avuto difficoltà a specificare il diverso momento cui intendeva riferirsi; quanto e soprattutto per ragioni di ordine sostanziale che, specialmente dopo le modifiche introdotte con la citata legge del 1999, rendono imprescindibile l’esigenza che l’imputato abbia conoscenza delle conclusioni del pubblico ministero, il quale può tra l’altro anche modificare l’imputazione a norma dell’art. 423, prima di formulare o meno la richiesta del rito abbreviato. Le richieste finali dell’accusa assumono infatti un evidente rilievo ai fini della decisione dell’imputato di avanzare o meno la richiesta di giudizio abbreviato. Una conferma si rinviene dall’esame dei lavori parlamentari relativi all’approvazione della legge Carotti, da cui risulta che nel corso della seconda lettura del testo in esame da parte della Camera dei Deputati è stata abbandonata l’originaria espressione «appena concluse le formalità di apertura del dibattimento», sostituendola con quella attuale. Deve altresì escludersi la tesi secondo cui momento finale, unico per tutti gli imputati, sarebbe quello in cui l’ultimo difensore prende la parola. Tale soluzione viene sostenuta con il richiamo alla opportunità di dare il massimo spazio possibile alle potenzialità deflattive del rito e alla necessità di evitare disparità tra gli imputati, osservandosi che il soggetto il cui difensore interloquisce per primo avrebbe una conoscenza più limitata rispetto a quello il cui difensore interviene per ultimo, potendo questi ad esempio usufruire delle dichiarazioni o degli interrogatori di contumaci che decidessero, per scelta o perché prima impossibilitati, di presentarsi dopo gli interventi di una o di alcune delle difese. L’osservazione non può essere condivisa. La conoscenza delle conclusioni degli altri imputati non è elemento cui può fondatamente riconoscersi l’efficacia di influenzare le scelte di ciascun imputato. La pretesa esigenza di parità pare impropriamente invocata, atteso che ciò che deve essere assicurato, trovando anche tutela costituzionale, è la parità tra le parti contrapposte del processo, e cioè tra accusa e difesa. Agli imputati devono essere garantiti uguali diritti e uguali opportunità, il che certamente avviene quando, rispettando le scansioni dell’udienza preliminare e l’ordine dei relativi interventi, agli stessi si riconosce il diritto di richiedere l’accesso al rito dopo le conclusioni del pubblico ministero. La necessità di tenere conto delle dichiarazioni del coimputato contumace, costituitosi a discussione già iniziata non può indurre ad accogliere una soluzione che si allontana dal modello fornito dal legislatore con le Arch. nuova proc. pen. 4/2014 347 giur Contrasti scansioni dell’udienza preliminare, finendo a spostare il termine in questione al momento in cui il giudice dichiara chiusa la discussione; ma precisazione delle conclusioni e dichiarazione di chiusura della discussione sono momenti letteralmente e concettualmente distinti, costituendo il primo atto di parte e il secondo atto del giudice, non può essere ignorata la volontà del legislatore espressa con il riferimento letterale alle conclusioni. Peraltro l’eventualità della costituzione tardiva del contumace laddove la stessa si risolva nella introduzione nel processo di elementi nuovi, rilevanti anche per altri imputati, è situazione di cui, ove si verifichi, il giudice potrà eventualmente tenere conto o in sede di replica o autorizzando nuove conclusioni, analogamente a quanto è espressamente previsto dopo le integrazioni investigative e istruttorie. 8. Deve pertanto essere formulato il seguente principio di diritto: “nell’udienza preliminare la richiesta di giudizio abbreviato può essere presentata dopo la formulazione delle conclusioni da parte del pubblico ministero e deve essere formulata da ciascun imputato al più tardi nel momento in cui il proprio difensore formula le proprie conclusioni definitive”. 9. I motivi di ricorso attinenti la responsabilità e il trattamento sanzionatorio sono infondati. 9.1. Sostiene la difesa che la ritenuta responsabilità si basa soltanto sul contenuto di una serie di intercettazioni telefoniche relative a una utenza cellulare dell’imputato da cui unico elemento certo desumibile sarebbe l’esistenza di contatti tra il ricorrente e Laila Boukchen, Zouahir Mackour e Hichem Nani; contatti dai quali sarebbe stata fatta discendere del tutto arbitrariamente la sua partecipazione alla rete di spaccio debellata con l’operazione “Venere Nera”; ma le intercettazioni di cui si discute riguarderebbero conversazioni che non provano nulla ovvero conversazioni in cui non è dimostrato che si parli del Frija, ovvero ancora conversazioni da cui non può in alcun modo discendere prova della sua responsabilità o che al più possono attestare una eventuale disponibilità di stupefacente da parte del Frija in epoche pregresse ma irrilevanti ai fini della prova dei reati di cui è processo, perché nelle stesse l’interessato afferma chiaramente di non avere nulla. Neppure la responsabilità potrebbe essere desunta dal fatto che dopo l’arresto della Boukchen egli abbia parlato dell’avvenimento con altre persone, dimostrando ciò solo un comprensibile interessamento alle sorti della donna, ma non una sua responsabilità in 348 4/2014 Arch. nuova proc. pen. merito al possesso e alla cessione di sostanze stupefacenti. Evidenzia ancora il ricorrente che non sono mai stati effettuati sequestri di stupefacenti a suo carico e nemmeno esistono sommarie informazioni che lo chiamano direttamente in causa, e che anche il possesso della somma di euro 1.490 è privo di significato in mancanza di qualsiasi considerazione volta ad escludere che tale somma possa essere stata legittimamente posseduta dal ricorrente che in quel periodo lavorava. 9.2. Rileva il Collegio che tali doglianze mostrano chiaramente la loro natura di contestazioni non consentite, non essendo dalle stesse evidenziata una illogicità manifesta della giustificazione che i giudici di merito hanno fornito in ordine alla ritenuta responsabilità. Ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., i vizi della motivazione (anche il travisamento dei fatti deducibile sotto questo profilo) devono risultare «dal testo del provvedimento impugnato», mentre non possono derivare da un controllo della Corte di cassazione sulla interpretazione e valutazione delle prove, che è compito del giudice di merito. Pur dopo le modifiche introdotte in tale disposizione dalla legge 20 febbraio 2006, n. 46, non è consentito sollecitare alla Corte di cassazione una rilettura degli elementi di fatto, atteso che tale valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito; essendo il sindacato della Cassazione limitato alla sola legittimità, sì che esula dai poteri della stessa quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione. Nella specie, la richiesta di ammissione al rito abbreviato, formulata dal difensore dell’imputato all’atto delle formulazioni delle proprie conclusioni, dopo che erano state già raccolte quelle del pubblico ministero, non poteva essere considerata tardiva; la stessa è stata reiterata prima dell’apertura del dibattimento di primo grado ed in quella sede nuovamente rigettata; infine la richiesta in oggetto è stata posta alla base dei motivi di appello, ma il giudice di secondo grado ha confermato quanto deciso dal Tribunale di Lecco. 11. In conclusone la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio relativamente alla misura della pena; la quale, trattandosi di mero calcolo matematico, può essere rideterminata in questa sede ex art. 620, comma 1, lett. l), c.p.p., in quella di quattro anni di reclusione a 26.666 euro di multa. Il ricorso nel resto è da rigettare. (Omissis) Legittimità Corte di cassazione penale sez. I, 10 aprile 2014, n. 15997 (c.c. 28 febbraio 2014) Pres. Giordano – Est. Cassano – P.M. Galli (diff.) – Ric. Villa Indagini preliminari y Chiusura y Archiviazione y Restituzione di cose sequestrate y Competenza del Gip in funzione del giudice dell’esecuzione y Provvedimento adottato “de plano” y Opposizione y Termine. . Nel caso in cui il procedimento penale si concluda con provvedimento di archiviazione, la competenza a decidere sull’istanza di restituzione delle cose sequestrate spetta al giudice per le indagini preliminari, nella qualità di giudice dell’esecuzione, il cui provvedimento, ai sensi dell’art. 667, comma 4, c.p.p., va adottato “de plano” ed è suscettibile di opposizione da proporsi entro il termine di quindici giorni, decorrente dalla data della comunicazione o della notificazione ovvero, in mancanza, da quella della effettiva conoscenza da parte dell’interessato. (Mass. Redaz.) (c.p.p., art. 667) (1) (1) Nello stesso senso si esprimono Cass. pen., sez. III, 22 settembre 2010, n. 34219, in Ius&Lex dvd n. 4/2014, ed. La Tribuna e Cass. pen., sez. VI, 2 dicembre 1995, n. 3282, in questa Rivista 1996, 472. Svolgimento del processo 1. Il 13 maggio 2013 il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, in funzione di giudice dell’esecuzione, in sede di opposizione al provvedimento di rigetto adottato il 24 giugno 2010 inaudita altera parte, dichiarava inammissibile, in quanto tardivamente proposta, la richiesta avanzata da Luigi Villa, volta ad ottenere la restituzione della pianta topografica della città di Milano rilevata nell’anno 1807, disegnata, in scala da 1 a 100, in 39 fogli delle dimensioni mm 675 x 53 (oltre ad un foglio di unione), con inchiostro nero e carmino e finemente colorita ad acquarello, da Piero Gada (pubblicata al n. 91 del catalogo “Milano e dintorni”, stampato nel mese di dicembre 2000. Il bene era stato sottoposto a sequestro, in quanto corpo di reato, nell’ambito del procedimento penale iscritto nei confronti di Villa per il delitto di ricettazione (art. 648 c.p.), successivamente definito con archiviazione per difetto dell’elemento soggettivo del reato. Il giudice osservava che la notificazione dell’ordinanza di rigetto dell’istanza di restituzione del bene, adottata de plano, non era stata rituale, poiché era stata eseguita presso il domicilio eletto divenuto inefficace, trattandosi di domicilio eletto in fase di cognizione (art. 164 c.p.p.). Peraltro, la parte interessata aveva avuto piena conoscenza della decisione adottata il 27 dicembre 2011, allorché il nuovo difensore nel frattempo nominato (avv. Tommaso Butrano) aveva ottenuto copia degli atti, secondo quanto risultante dalla sottoscrizione apposta dal suddetto legale sulla domanda di visione ed estrazione di copia degli atti del procedimento penale n. 21101/06 R.G. N.R., nel cui ambito era stato emesso il provvedimento poi oggetto di opposizione ai sensi del combinato disposto degli artt. 676 e 667, comma 4, c.p.p. L’opposizione era stata proposta dal difensore solo in data 21 marzo 2012 e, quindi, oltre il termine di quindici giorni stabilito dalla legge. 2. Avverso il suddetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, Villa, il quale formula le seguenti censure. Lamenta violazione degli artt. 262, 263, commi 4 e 6, 665, 666, comma 6, 676, 667, comma 4, 585, comma 1 lett. a), 175, comma 2 c.p.p.. Osserva in proposito che il ricorso introduttivo dell’incidente di esecuzione era stato proposto in duplice forma: mediante “ricorso” diretto al giudice dell’esecuzione competente per la restituzione dopo l’adozione del decreto di archiviazione; “in subordine”, nella forma dell’opposizione alla precedente ordinanza reiettiva. Rilevava che erroneamente Villa aveva, a suo tempo, indirizzato la richiesta di restituzione al pubblico ministero anziché al giudice dell’esecuzione e che, erroneamente, l’Ufficio di Procura aveva trasmesso gli atti al giudice dell’esecuzione in base al principio di conservazione degli atti processuali anziché dichiarare l’irricevibilità dell’istanza. Denuncia, inoltre, violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla declaratoria di inammissibilità dell’opposizione, intervenuta dopo la fissazione dell’udienza camerale (e, quindi, dopo un’implicita valutazione di ammissibilità), all’esito della quale veniva riservata la decisione (effettivamente intervenuta a distanza di sette mesi) e senza considerare la qualificazione “subordinata” attribuita dalla difesa. Da ultimo eccepisce violazione di legge e vizio della motivazione con riguardo alle ragioni poste a base della decisione adottata, attesa l’irritualità della notifica del provvedimento adottato de plano che non ammetteva equipollenti e che, pertanto, non determinava la decorrenza dei termini per impugnare, l’impossibilità di assumere quale dies a qua un atto “interno” al procedimento, quale la richiesta di estrazione di copia degli atti, nonché l’assenza di un’effettiva conoscenza del provvedimento oggetto d’impugnazione. Arch. nuova proc. pen. 4/2014 349 giur L e g i t t i m i tà Motivi della decisione Il ricorso non è fondato. 1. Occorre preliminarmente rilevare che, dopo che il giudice per le indagini preliminari ha emesso, in accoglimento della richiesta formulata dal pubblico ministero, decreto di archiviazione, la competenza a provvedere sulla richiesta di restituzione delle cose in sequestro appartiene al giudice per le indagini preliminari in funzione di giudice dell’esecuzione. Una conclusione del genere si fonda sull’interpretazione logico-sistematica dell’art. 263 c.p.p. Tale disposizione, pur non prendendo in espressa considerazione, nell’ambito del procedimento per la restituzione delle cose sequestrate, il provvedimento di archiviazione, stabilisce, al sesto comma, che, dopo la sentenza non più soggetta a impugnazione, sulla restituzione delle cose sequestrate provvede il giudice dell’esecuzione. Tale previsione, pur se espressamente riferita alla sentenza, costituisce, in realtà, l’espressione di un principio di carattere generale in base al quale, qualora alla restituzione del bene non abbia provveduto il giudice che procede ed il procedimento sia stato “definito” (ossia non esiste più un giudice che procede alla cognizione), l’interessato rivolgersi al giudice dell’esecuzione. Tale regola si applica anche al provvedimento di archiviazione, atteso che esso definisce la fase delle indagini preliminari, facendo sì che tutti i poteri in materia conferiti al pubblico ministero ed al giudice per le indagini preliminari passino a quest’ultimo, ma in funzione di giudice dell’esecuzione (sez. I, n. 12880 del 19 febbraio 2009). Appare ispirata al medesimo principio l’affermazione secondo cui, avverso il provvedimento di restituzione di cose sequestrate adottato dal giudice per le indagini preliminari, a seguito dell’accoglimento della richiesta del pubblico ministero di archiviazione, non è esperibile il mezzo di impugnazione previsto dall’art. 322-bis c.p.p., ma esclusivamente il rimedio generale dell’incidente di esecuzione, attivabile anche nella suddetta materia (sez. VI, n. 3282 del 27 settembre 1995). Diversamente ragionando, si determinerebbe un’ingiustificata diversità di trattamento rispetto alla sentenza di proscioglimento. Occorre, invero, ricordare che, nel procedimento delineato dall’art. 263 c.p.p., contro la decisione del giudice per le indagini preliminari è esperibile soltanto il ricorso per cassazione, mentre contro il provvedimento del giudice dell’esecuzione è prevista, come si ribadirà, la possibilità di opposizione da trattarsi in contraddittorio a norma dell’art. 666 c.p.p. Di conseguenza, una volta intervenuta la definizione della fase delle indagini preliminari mediante l’adozione del decreto di archiviazione, la competenza a provvedere sull’istanza di restituzione della parte spetta al giudice per le indagini preliminari in qualità di giudice dell’esecuzione (sez. III, n. 34219 del 24 giugno 2010; sez. III, n. 3170 dell’11 ottobre 2000). 2. Il codice di rito (art. 676, comma 1 e art. 667 c.p.p., comma 4, c.p.p.) prevede che i provvedimenti in materia 350 4/2014 Arch. nuova proc. pen. di confisca e di restituzione delle cose sequestrate siano adottati dal giudice dell’esecuzione senza formalità e cioè senza fissazione dell’udienza di comparizione delle parti (de plano) e che contro tali provvedimenti gli interessati possano proporre opposizione davanti allo stesso giudice il quale dovrà procedere con le forme dell’incidente di esecuzione di cui all’art. 666 c.p.p., previa fissazione dell’udienza. 3. Ciò posto, si tratta ora di verificare se la richiesta di restituzione, erroneamente indirizzata al pubblico ministero, potesse - come avvenuto nel caso in esame - essere trasmessa al giudice dell’esecuzione ed essere da questi qualificata come atto introduttivo dell’incidente di esecuzione, a norma dell’art. 568, comma quinto, c.p.p. Il provvedimento impugnato è esente dai vizi denunziati nella parte in cui ha ritenuto rituale l’investitura del giudice per le indagini preliminari, quale giudice dell’esecuzione, da parte del pubblico ministero, correttamente ritenutosi incompetente alla luce dei principi illustrati al paragrafo precedente. Deve, infatti, trovare applicazione, il principio generale di conservazione degli atti giuridici e del favor impugnationis (sez. IV, n. 18233 del 9 marzo 2007; sez. III, n. 14724 del 20 gennaio 2004; sez. IV, n. 34403 del 27 maggio 2003; sez. III, n. 8124 del 5 dicembre 2002; sez. IV, n. 2417 del 7 ottobre 1997; sez. III, n. 1182 del 7 aprile 1995). Non può, infatti, farsi discendere la inammissibilità (“irricevibilità”, secondo il ricorrente) della richiesta solo dalla erronea indicazione dell’Autorità giudiziaria competente, considerato che la qualificazione della richiesta come atto introduttivo dell’incidente di esecuzione comportava la possibilità, concessa dall’ordinamento all’interessato, di avere una duplice pronuncia di merito sulle sue doglianze. 4. Se, dunque, il giudice per le indagini preliminari ha, nel caso in esame, ritualmente provveduto in funzione di giudice dell’esecuzione, era da ritenersi corretto il ricorso alla disciplina contemplata dall’art. 676, comma l, c.p.p., alla stregua del quale il giudice dell’esecuzione è competente a decidere in ordine alla restituzione delle cose sequestrate e procede a norma dell’art. 667, comma 4, c.p.p., vale a dire senza formalità con ordinanza comunicata al pubblico ministero e notificata all’interessato e contro la quale possono proporre opposizione davanti allo stesso giudice il pubblico ministero, l’interessato e il difensore. 5. Priva di pregio è anche l’ultima censura. Costituisce principio generale in materia di diritto d’impugnazione, che, in mancanza della conoscenza legale del provvedimento, il dies a quo coincide con la data della conoscenza effettiva secondo una regola generale nel nostro sistema processuale che in tal senso prevede, tutte quelle volte in cui non si sia provveduto a notiziare il destinatario di un atto nei cui confronti sia esperibile un qualsiasi mezzo di gravame (sez. VI, n. 1572 del 29 marzo 2000; sez. I, n. 19955 del 17 febbraio 2010; sez. III, n. 47128 del 20 marzo 2012; Corte Cost. 16 luglio 1991 n. 153). Del resto lo stesso dato testuale dell’art. 667, comma 4, c.p.p. depone nel senso che il termine per proporre eventuale impugnazione decorre dalla data della “comunicazione” giur L e g i t t i m i tà (termine omnicomprensivo che include la piena conoscenza legale da parte del destinatario naturale del provvedimento in vista di una eventuale impugnazione) o della “notificazione”. In base alle considerazioni sinora svolte, il provvedimento impugnato è esente da censure nella parte in cui, con ampi e puntuali riferimenti a circostanze di fatto non contestate dalla difesa, ha argomentato che l’avv. Bufano, nominato da Villa quale legale di fiducia nell’ambito dell’incidente di esecuzione, ha avuto piena ed effettiva conoscenza del provvedimento adottato de plano dal giudice per le indagini preliminari mediante l’acquisizione di copia degli atti del fascicolo n. 21101/06 - fascicolo nel cui ambito è stata emessa l’ordinanza impugnata -, come comprovato dalla sottoscrizione per ricevuta apposta sull’istanza di visione e copia degli atti stessi. Altrettanto non controversa è la circostanza che l’opposizione prevista dagli artt. 676 e 667, comma 4, c.p.p. è stata proposta il 21 marzo 2012, ossia ben oltre il termine stabilito dalla legge per proporla. 7. Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. (Omissis) Corte di cassazione penale sez. VI, 31 marzo 2014, n. 14816 (ud. 10 dicembre 2013) Pres. Milo – Est. Leo – P.M. Scardaccione (conf.) – Ric. Scalese Indagini preliminari y Udienza preliminare y Richiesta di rinvio a giudizio y Procedimenti connessi y Citazione diretta a giudizio ammessa solo per alcuni di essi y Richiesta di rinvio a giudizio del P.M. per tutti i procedimenti y Ammissibilità y Richiesta del P.M. di giudizio immediato per tutti i procedimenti y Ammissibilità. . Il disposto di cui all’art. 551 c.p.p., secondo il quale, “nel caso di procedimenti connessi, se la citazione diretta a giudizio è ammessa solo per alcuni di essi, il pubblico ministero presenta per tutti la richiesta di rinvio a giudizio a norma dell’art. 416”, implica che, verificandosi la suddetta condizione, il pubblico ministero è anche facoltizzato a chiedere per tutti, in luogo del rinvio a giudizio, l’instaurazione del giudizio immediato. (Mass. Redaz.) (c.p.p., art. 416; c.p.p., art. 551) (1) (1) Non risultano editi precedenti che affrontino la medesima fattispecie. Utili riferimenti sul tema si rinvengono in Cass. pen., sez. I, 31 maggio 2007, n. 21350, in questa Rivista 2008, 368. Svolgimento del processo 1. È impugnata la sentenza n. 2371/12 con la quale la Corte d’appello di Bari, in data 19 ottobre 2012, parzialmente riformando una sentenza resa dal Tribunale di Bari in composizione monocratica, ha ritenuto Carlo Scalese responsabile dei delitti di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni personali. Dagli indicati provvedimenti risulta che Scalese è stato tratto in arresto dopo un duro scontro intervenuto, con due guardie giurate e un agente della Polizia di Stato, all’interno di un locale pubblico. Dopo avere insultato le guardie e percosso una tra esse, l’odierno ricorrente avrebbe risposto in tono insultante anche all’agente di polizia, che a seguito dell’alterco si era qualificato esibendo il proprio distintivo, e poi si sarebbe avventato su di lui, colpendolo con calci e pugni. Le lesioni riportate dalla guardia e dall’agente erano state poi certificate presso i servizi di pronto soccorso del locale ospedale. Nei confronti di Scalese era stata promossa l’azione penale per un delitto qualificato mediante riferimento contestuale agli artt. 336 e 337 c.p., sul presupposto che egli avesse minacciato le persone offese al fine di costringerle ad astenersi da un atto del loro ufficio, ed avesse poi opposto resistenza mentre le stesse persone offese compivano un atto d’ufficio. Era stato contestato anche un delitto di lesioni personali aggravate, qualificato a mente degli artt. 582, 585, 576, primo comma, n. 1, c.p. L’azione era stata promossa mediante richiesta di giudizio immediato, che il giudice per le indagini preliminari aveva accolto, e Scalese era stato condannato, in esito al conseguente giudizio dibattimentale, con riferimento ai reati descritti nell’originaria imputazione. Con la sentenza oggetto dell’odierna impugnazione la Corte territoriale ha inteso rimuovere il giudizio di condanna in ordine al delitto di cui all’art. 336 c.p., riqualificando il fatto come reato di ingiurie e minacce in riferimento alle due guardie giurate (con conseguente dichiarazione di improcedibilità dell’azione, dato il difetto di querela), e considerando assorbita la relativa condotta, per il resto, nella fattispecie di resistenza a pubblico ufficiale concernente l’agente della Polizia di Stato. Valutando una questione proposta dalla difesa con i motivi di appello, la Corte ha escluso la nullità del decreto di giudizio immediato e del successivo dibattimento, eccepita in quanto, per i delitti di cui agli artt. 336 e 337 c.p., è prevista la citazione diretta a giudizio, con conseguente inammissibilità del ricorso al rito immediato. Per un verso - si è detto - il decreto giudiziale ha riguardato anche il delitto di lesioni aggravate di cui al capo B) della rubrica. Per altro verso, il decreto in questione sarebbe sindacabile, dal giudice del dibattimento, riguardo alla sola eventualità della carenza del previo interrogatorio, e non dunque per il vizio dedotto dalla difesa. 2. Con un primo motivo di impugnazione la difesa dell’imputato deduce, in sostanza, violazione della legge processuale, ribadendo che il giudizio immediato non è ammissibile per reati in ordine ai quali deve procedersi mediante citazione diretta (sono richiamati l’art. 606, comma 1, lettere a), b) e c), e l’art. 549 c.p.p.). La violazione denunciata avrebbe comportato nullità del giudizio e della sentenza, e privato l’imputato della possibilità di accedere ai riti speciali nei termini consentiti dal giudizio a citazione diretta. Con un secondo blocco di rilievi critici, il ricorrente deduce che si sarebbe data motivazione carente e conArch. nuova proc. pen. 4/2014 351 giur L e g i t t i m i tà traddittoria in merito all’asserita credibilità dei testi di accusa, trascurando tra l’altro specifici motivi di rancore che l’agente di polizia coinvolto nel fatto avrebbe nutrito nei confronti dell’imputato (il quale, in sostanza, sarebbe stato assolto da un’accusa di evasione derivante da denuncia sporta, in tutt’altra e precedente occasione, proprio dall’agente di cui si tratta). Motivi della decisione 1. Il ricorso è infondato. 1.1. Con il primo motivo viene lamentata una violazione della legge processuale, con riguardo al rigetto delle eccezioni di nullità della sentenza di primo grado e del relativo dibattimento. La nullità deriverebbe dal ricorso alla procedura di giudizio immediato, che sarebbe stata adottata pur essendo perseguiti, secondo il Difensore, reati in ordine ai quali è prescritto il ricorso alla citazione diretta (art. 550, comma 2, lettere a) e b), c.p.p., relativamente ai delitti di cui agli artt. 336 e 337 c.p.). La censura non è adeguatamente focalizzata, non essendo neppure indicata la previsione sanzionatoria che il Giudice dell’appello avrebbe dovuto applicare, e lamentandosi genericamente una violazione dei «diritti difensivi» derivante da una indebita variazione delle «cadenze processuali tipiche», anche con riguardo ai tempi dell’eventuale opzione per il giudizio abbreviato. In ciò il ricorso riproduce la censura proposta con i motivi di appello (ove almeno si leggeva un fugace riferimento all’omesso deposito degli atti ex art. 415-bis c.p.p.), senza minimamente confrontarsi con la replica offerta dalla Corte territoriale. Viene tuttavia denunciato un error in procedendo, la cui eventuale sussistenza, e la cui eventuale rilevanza, è necessario siano valutate da questa Corte. 1.2. Nella sentenza impugnata si sviluppano due repliche alle censure difensive. La seconda si risolve in un richiamo alla giurisprudenza che da lungo tempo esclude la possibilità di un sindacato del giudice dibattimentale sulla ricorrenza dei presupposti per il ricorso al rito immediato. Per la verità l’orientamento in questione attiene essenzialmente alla valutazione circa l’evidenza della prova, e si estende all’osservanza del termine entro il quale il pubblico ministero dovrebbe esercitare l’azione nella forma in questione, sul presupposto che detto termine non sia perentorio. Non potrebbe dirsi di contro affermato un indirizzo che escluda la rilevazione di nullità afferenti al rito. Non sono mancate pronunce in tal senso (sez. III, sentenza n. 31728 del 28 marzo 2013, En Naoumi, rv. 256733, per altro fondata in via principale sull’asserita tardività dell’eccezione; sez. IV, sentenza, n. 46761 del 25 ottobre 2007, Gianatti, rv. 238506, per altro riferita, in motivazione, ad un giudizio di insussistenza della nullità dedotta). Ma ve ne sono anche di segno opposto (sez. V, sentenza n. 1245 del 21 gennaio 1998, Cusani, rv. 210027; sez. VI, sentenza n. 6989 del 10 gennaio 2011, rv. 249463). Non potrebbe in particolare teorizzarsi l’indifferenza del sistema nel caso di ricorso al rito immediato per reati 352 4/2014 Arch. nuova proc. pen. procedibili mediante citazione diretta. Anzi, è questo uno dei terreni sui quali si manifesta l’opinione che le nullità sono deducibili, innanzi al giudice dibattimentale, sempre che non si determini una decadenza o sanatoria (il che avviene, ad esempio, quando l’imputato, raggiunto da un decreto di giudizio immediato per i reati di cui all’art. 550 c.p.p., promuove un giudizio abbreviato, e pretende di far valere in quell’ambito il vizio de quo: sez. VI, sentenza n. 5902 del 13 ottobre 2011, Adiletta, rv. 252065; sez. IV, sentenza n. 41073 del 3 novembre 2010, Halilovic, rv. 248773). In mancanza di un’accettazione degli effetti dell’atto, o comunque di una sanatoria, la nullità è stata considerata deducibile, ed ha implicato un giudizio di legittimità del provvedimento di restituzione degli atti al giudice per le indagini preliminari (sez. I, sentenza n. 8227 del 10 febbraio 2010, Ly, rv. 246249: «il giudice del dibattimento può sindacare i presupposti e le condizioni per l’ammissione del giudizio immediato qualora essi si risolvano in violazioni di norme procedimentali concernenti l’intervento, l’assistenza o la rappresentanza dell’imputato»). In effetti la stessa Corte territoriale, in conclusione della propria analisi, si è posta il problema della nullità del decreto introduttivo del giudizio, individuando il solo problema del previo interrogatorio, e notando come, nella specie, lo stesso risultasse regolarmente assunto. L’appellante, per la verità, aveva piuttosto compiuto un vago riferimento alla perdita «della ulteriore garanzia di cui all’art. 415-bis» (assumendo erroneamente l’intervento di una novità assoluta). I rilievi difensivi, per altro verso, potrebbero evocare un problema di competenza funzionale del giudice per le indagini preliminari che adotti un decreto di giudizio immediato per reati a citazione diretta. Tuttavia questa Corte non è chiamata, nella specie, ad approfondire le questioni indicate, posto che il Giudice del provvedimento impugnato ha proposto una soluzione alternativa del problema posto dall’odierno ricorrente, che è conforme al diritto processuale. 1.3. Infatti, come si è anticipato, la Corte territoriale ha ritenuto che nella specie potesse procedersi mediante rito immediato in ragione della connessione esistente tra reati «a citazione diretta» ed un reato per il quale, invece, l’azione deve esercitarsi, nella forma ordinaria, mediante la richiesta di rinvio a giudizio. Va detto anzitutto che il rilievo è fondato in fatto (tanto che il ricorrente non lo contesta, ed anzi ignora del tutto l’argomento): contro Scalese si procedeva anche per un reato punito con pena superiore nel massimo ai quattro anni di reclusione, trattandosi di lesioni personali aggravate a norma dell’art. 61 n. 2 c.p., e dunque, propriamente, a norma dell’art. 585, comma 1, in rapporto all’art. 576, comma 1, numero 1, c.p.p. Ora, l’art. 551 c.p.p. stabilisce che, quando il procedimento concernente un reato perseguibile mediante citazione diretta è connesso ad altro nel quale si debba procedere diversamente, «il pubblico ministero presenta per tutti la richiesta di rinvio a giudizio a norma dell’art. 416». giur L e g i t t i m i tà Il senso della norma è chiaro: la opportunità del simultaneus processus implica la prevalenza del rito più garantito, perchè segnato dal controllo giudiziale circa i presupposti per un utile avvio della fase dibattimentale. La lettera della legge, come appena si è visto, allude per i casi in questione alla richiesta di rinvio a giudizio. La Corte ritiene, per altro, che la disposizione non potrebbe essere intesa nel senso di un divieto del ricorso ai riti alternativi previsti per i casi in cui, nella forma «ordinaria», la domanda di giudizio deve passare attraverso il vaglio dell’udienza preliminare. Si tratterebbe di un assurdo sistematico, in forza del quale, riguardo ai reati a citazione diretta per i quali la prova sia evidente, e che potrebbero essere portati alla conoscenza del giudice dibattimentale senza alcun filtro, risulterebbe poi inadeguato il controllo giudiziale implicato dal rito immediato, e dovrebbe procedersi necessariamente mediante l’udienza preliminare. Con il paradosso che la connessione con reati tendenzialmente più gravi, e perseguibili col rito speciale, comporterebbe il massimo aggravamento della procedura, non richiesto per i richiamati e più gravi reati, e men che meno richiesto per i reati a citazione diretta per i quali la prova non sia evidente. Sembra chiaro, quindi, come l’art. 551 c.p.p. vada letto nel senso che, per il caso di connessione, i reati «a citazione diretta» seguono la sorte di quelli diversi, qualunque poi la stessa debba essere alla luce delle norme che segnano, in generale, l’opzione tra udienza preliminare e modalità alternative di esercizio dell’azione. Non sembrano ostare, alla soluzione indicata, due possibili rilievi. È vero, anzitutto, che il ricorso al giudizio immediato priva l’imputato del deposito degli atti ex art. 415-bis c.p.p., che invece vi sarebbe nel caso di citazione diretta. L’obiezione è valida tuttavia per qualunque genere di reato, a cominciare da quelli connessi ai reati de quibus, ed è notoriamente superata con riferimento al requisito di evidenza della prova ed alla necessità, comunque, del previo interrogatorio. Neppure potrebbe dirsi, per altro verso, che l’incompatibilità del rito immediato con la procedura a citazione diretta comporti, per i reati pertinenti a quest’ultima, una «mancanza delle condizioni che giustificano» la scelta dello stesso rito immediato, con applicazione conseguente del comma 2 dell’art. 553 c.p.p., e dunque secondo una alternativa tra scelte comunque diverse da quella compiuta nel caso di specie: la separazione dei procedimenti (con conseguente «recupero» della citazione diretta) o la prevalenza del rito ordinario, nel caso di connessione inscindibile (con conseguente «abbandono» del rito immediato). Anzitutto, prevale nella specie un favor separationis cui sottende una ratio incompatibile con la logica del simulta- neus processus che segna invece l’art. 551 c.p.p. Tale ratio si identifica con la possibilità di definire prontamente una parte almeno del giudizio, e quindi pare riferibile essenzialmente al requisito di evidenza della prova, più che ad altri fattori di discernimento tra le procedure. In secondo luogo, la lettura ipotizzata implicherebbe, ancora una volta, conseguenze incongrue dal punto di vista sistematico. Si ipotizzi la sussistenza di una riunione indispensabile tra i procedimenti: una comune evidenza della prova tra reati «ordinari» e reati «a citazione diretta» dovrebbe implicare l’obbligo per i primi di procedere mediante l’udienza preliminare: cioè, sarebbero i reati per i quali nessun filtro è necessario a imporre agli altri il più laborioso tra i filtri previsti dal codice, senza che ciò sia imposto dalla natura dell’addebito o dalla qualità della prova. In realtà può e deve ritenersi (anche nella logica della ragionevole durata) che l’art. 551 c.p.p. fondi un caso di procedibilità mediante rito immediato riguardo a reati a citazione diretta, e che dunque non operi il comma 2 dell’art. 453 c.p., poiché le «condizioni che giustificano» la scelta di tale rito sussistono anche per detti reati, ferma restando la necessità di una connotazione di evidenza per la prova in ordine a tutti i fatti connessi. Di qui il principio: nel caso in cui reati perseguibili mediante citazione diretta siano connessi a reati per i quali dovrebbe essere promossa l’udienza preliminare - e per tutti i reati in questione vi sia evidenza della prova e ricorrano le ulteriori condizioni di cui all’art. 453 c.p.p. - il pubblico ministero è ammesso a procedere congiuntamente mediante richiesta di giudizio immediato. 2. La serie delle doglianze affastellate nell’ambito del «secondo motivo» del ricorrente non può essere presa in considerazione nel presente giudizio di legittimità, perchè si tratta di rilievi generici, in buona parte analoghi a quelli proposti con l’atto di appello, e comunque pertinenti al fatto ed al merito della decisione giudiziale. La sentenza impugnata si caratterizza per una diffusa e congruente valutazione del quadro probatorio. Il ricorrente denuncia contraddizioni tra le prove che non sono adeguatamente specificate. La Corte territoriale, comunque, ha considerato partitamente le deposizioni dei due testi a difesa, illustrando con rilievi logici le ragioni della loro inattendibilità od ininfluenza, e del credito da conferire necessariamente alle deposizioni contrapposte, provenienti anche da testi “indipendenti” e riscontrate dai certificati sanitari. L’illustrazione di elementi confermativi che attengono specificamente alla deposizione dell’agente Miele, provenienti finanche da uno dei testi a difesa, vale ampiamente a bilanciare i riferimenti, evanescenti e non credibilmente giustificati, a pretese ragioni di inimicizia dello stesso agente nei confronti del ricorrente. (Omissis) Arch. nuova proc. pen. 4/2014 353 giur L e g i t t i m i tà Corte di cassazione penale sez. I, 31 marzo 2014, n. 14775 (ud. 12 marzo 2014) Pres. Giordano – Est. Vecchio – P.M. Iacoviello (diff.) – Ric. Lapresa Atti e provvedimenti del giudice penale y Prov- vedimenti in camera di consiglio y Udienza y Impedimento del difensore y Per adesione all’astensione collettiva dalle udienze y Richiesta di rinvio o sospensione y Ingiustificato diniego della richiesta di rinvio y Nullità a regime intermedio y Configurabilità y Sussistenza. . In tema di giudizio camerale di appello costituisce causa di nullità (a regime intermedio) la ingiustificata reiezione della richiesta di rinvio avanzata dal difensore sulla base della sua dichiarata adesione, nelle forme e nei termini previsti dal codice di autoregolamentazione, all’astensione collettiva dalle udienze deliberata dalle competenti associazioni di categoria. (Mass. Redaz.) (c.p.p., art. 127; c.p.p., art. 486) (1) (1) La pronuncia in epigrafe conferma quanto già recentemente affermato da Cass. pen., sez. VI, 17 gennaio 2014, n. 1826, in questa Rivista 2014, 305. Secondo il precedente contrario orientamento, espresso, ex multis, da Cass. pen., sez. I, 22 febbraio 2012, n. 6907, ivi 2013, 583; Cass. pen., sez. V, 13 ottobre 2010, n. 36623, in Ius&Lex dvd, n. 4/2014; Cass. pen., sez. VI, 7 luglio 2006, n. 23778, in questa Rivista 2007, 511; Cass. pen., sez. un., 27 giugno 1998, 7551, in Ius&Lex dvd n. 4/2014, ed. La Tribuna, il disposto dell’art. 486, quinto comma, c.p.p. non si applica ai giudizi d’appello che si svolgono con le forme previste dall’art. 127 c.p.p.. Tale indirizzo è stato poi superato dalla decisione delle SS.UU. 19 giugno 2013, n. 26711, ibidem, secondo cui, nei procedimenti relativi a misure cautelari personali, non è consentita l’astensione dalle udienze da parte del difensore che aderisca ad una protesta di categoria, in quanto l’art. 4 del Codice di “Autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati” esclude espressamente che l’astensione possa riguardare le udienze penali “afferenti misure cautelari”. Svolgimento del processo e motivi della decisione 1. - Con sentenza, deliberata il 28 ottobre 2009 e depositata il 13 novembre 2009, il giudice della udienza preliminare del Tribunale ordinario di Rimini, in esito al giudizio, celebrato col rito abbreviato, ritenuti il concorso di circostanze attenuanti generiche (equivalenti alle aggravanti) e la continuazione tra tutti i reati, ha condannato alla pena principale della reclusione in otto anni e alle pene accessorie di legge, Jaco Lapresa, imputato dei delitti di rapina aggravata tentata (capo A della rubrica), di rapina aggravata consumata (capo B, ibidem), di lesione personale aggravata (capo B, rectius C, ibidem) e di omicidio tentato aggravato (capo C, rectius D, ibidem), commessi tutti in danno di Camillo Massimiliano Menna, in Riccione il 24 agosto 2007. 2. - Sugli appelli proposti dall’imputato e dal Procuratore generale della Repubblica, all’esito della udienza di trattazione dei gravami, celebrata in camera di consiglio con l’intervento del Pubblico Ministero e senza partecipazione dell’appellante e del difensore, la Corte di appello di Bologna, con sentenza, deliberata il 23 marzo 2012 e depositata 354 4/2014 Arch. nuova proc. pen. il 2 aprile 2012, in parziale riforma della sentenza impugnata (nel resto confermata) ha ritenuto l’assorbimento della rapina tentata in quella consumata e il concorso formale tra detto reato e quello di lesione personale; ha escluso la continuazione tra i succitati delitti e l’omicidio tentato; ha rideterminato le pene principali in ragione di cinque anni e quattro mesi di reclusione per la rapina (come ritenuta) e in complessivi due anni, venti giorni di reclusione e quattrocento euro di multa pei residui reati. I giudici di merito hanno accertato che il giudicabile, in concorso con altri compartecipi non identificati, mediante violenza, consistita nello sferrare pugni e calci, aveva tentato di sottrarre il portafoglio di Camillo Massimiliano Menna; quindi con un violento schiaffo al volto si era impossessato del copricapo del Menna; e a costui aveva cagionato lesioni personali all’orbita dell’occhio destro; successivamente, agendo da solo, aveva compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco a cagionare la morte del medesimo Menna, che colpiva violentemente al capo con un corpo contundente (un mattone di cemento) provocando l’insorgenza di trauma cranio encefalico, la rottura della arteria meningea media, conseguente ematoma extradurale acuto, senza, tuttavia, conseguire, per cause indipendenti dalla propria volontà, l’intento omicida, in quanto, grazie alle cure praticate, la vittima riusciva a sopravvivere. Con riferimento ai motivi di gravame e in relazione a quanto serba rilievo nella sede del presente scrutinio di legittimità, la Corte territoriale ha motivato: a) le condotte di rapina e di lesione, cronologicamente antecedenti alla perpetrazione dell’omicidio tentato sono comprovate dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa e dal conquesto immediato del Menna con l’amico Nicola Gragnaniello; non è influente la circostanza che del tentativo di sottrazione del portafoglio la vittima abbia fatto menzione alla polizia giudiziaria «solo in seconda battuta»; è da escludere ogni intento calunniatorio, comunque, finalizzato ad aggravare la posizione del prevenuto da parte del Menna; costui, infatti, in relazione allo schiaffo subito, neppure ha attribuito la materialità della condotta alla azione personale di Lapresa, avendo dichiarato di non essere in grado di indicare chi tra gli aggressori lo avesse colpito; b) deve essere disattesa la richiesta dell’appellante di derubricazione del più grave delitto, correttamente qualificato dal primo giudice in conformità della contestazione; il dolo omicida, quanto meno nella forma alternativa, è dimostrato dalla zona corporea attinta (sede di organi vitali), dalla micidialità del mezzo e dalla estrema violenza colla quale Lapresa inflisse il «pur unico colpo». 3. -L’imputato, col ministero del difensore di fiducia, avvocata Francesca Cramis, mediante atto recante la data del 3 luglio 2012, depositato il 5 luglio 2012, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza e, congiuntamente, avverso la ordinanza della Corte territoriale 23 marzo 2012, di rigetto della mozione difensiva di differimento della trattazione del gravame in dipendenza della adesione del difensore alla astensione dalle udienze promossa dalla associazione di categoria. giur L e g i t t i m i tà Il ricorrente ha sviluppato due motivi. 3.1 - Col primo motivo il difensore denunzia, ai sensi dell’articolo 606, comma 1, lettera c), c.p.p. inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, in relazione all’articolo 420-ter c.p.p., e con riferimento agli articoli 111 della Costituzione e 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, adottata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. Il ricorrente deduce: il diritto «di sciopero del difensore è costituzionalmente garantito dall’articolo 40 della Costituzione» e prevale sul «combinato disposto degli articoli 443, comma 3, 599 e 127 c.p.p.» che non contemplano «l’impedimento a comparire del difensore cui è equiparata la adesione alla astensione dalle udienze». La celebrazione della udienza in assenza del difensore aderente alla astensione dalle udienze, sanziona illegittimamente e contraddittoriamente l’esercizio del diritto costituzionale, lede il contraddittorio del giusto processo, sancito dall’articolo 111 della Costituzione e il «diritto a un processo equo» garantito dall’articolo 6 della Convenzione citata. La Corte territoriale non ha neppure designato un difensore di ufficio sicché l’appellante è «rimasto del tutto sguarnito di difesa». 3.2 - Col secondo motivo il difensore dichiara promiscuamente di denunziare, ai sensi dell’articolo 606, comma l, lettere b), c) ed e), c.p.p. «erronea applicazione della legge penale, inosservanza delle norme processuali [...] mancanza o manifesta illogicità della motivazione» e deduce: in ordine al delitto di rapina la sentenza è «lacunosa»; difetta il «riscontro probatorio»; la persona offesa non fatto cenno nella querela della sottrazione del copricapo; difetta, altresì, la prova del delitto di lesione personale; la documentazione medica, in atti, concerne gli esiti della successiva condotta delittuosa; quanto al tentato omicidio la «univocità del gesto» non è dimostrata; il ricorrente non aveva alcun intento omicida, siccome ha confermato nell’interrogatorio di garanzia; ha colpito una sola volta Menna e si è allontanato; non vi è stata reiterazione dei colpi; né vi è stata contestuale esternazione di alcun proposito omicida; era stata, piuttosto, la vittima a «recarsi incontro all’imputato»; Menna ha cercato «lo scontro e il contatto con l’imputato»; dopo che fu colpito si recò da solo al pronto soccorso. 4. - Fondato è, nei termini che seguono, il primo motivo di ricorso, preclusivo dell’esame delle ulteriori censure. 4.1 - Questa Corte suprema di cassazione, a Sezioni Unite, in materia di procedimenti incidentali de libertate - affatto sovrapponibili per l’identità del rito, modellato sulle forme dell’articolo 127 c.p.p., al giudizio abbreviato camerale in grado di appello, disciplinato dall’articolo 444, comma 3, c.p.p. che rinvia all’articolo 599 c.p.p. il quale, a sua volta, richiama l’articolo 127 c.p.p. - ha recentemente fissato il seguente principio di diritto: «non è consentita l’astensione dalle udienze da parte del difensore che aderisca ad una protesta di categoria, in quanto l’articolo 4 del Codice di “Autoregolamentazione delle astensioni dal- le udienze degli avvocati”, adottato il 4 aprile 2007 [...], avente valore di normativa secondaria, esclude espressamente che l’astensione possa riguardare le udienze penali “afferenti misure cautelari”»; sicché, «in applicazione di tale principio, [ha] rigettato l’istanza di rinvio avanzata dal difensore dell’imputato nel giudizio di cassazione proposto ai sensi dell’art. 311 c.p.p.» (sez. un., n. 26711 del 30 maggio 2013 - dep. 19 giugno 2013, Ucciero, Rv. 255346). Siffatto arresto ha implicitamente superato il precedente orientamento affermato delle medesime Sezioni Unite - e concordemente ribadito dalle altre Sezioni di questa Corte suprema di cassazione con consolidata giurisprudenza -secondo il quale la disposizione dell’articolo 486, comma 5, c.p.p. [attualmente, per effetto della novella del 16 dicembre 1999, n. 479, dell’articolo 420-ter, comma 5, c.p.p.], recante la previsione della sospensione o del rinvio del dibattimento in caso di legittimo impedimento del difensore, non si applica ai procedimenti in camera di consiglio che si svolgono nelle forme previste dall’articolo 127 c.p.p.; e ciò sul presupposto che, in difetto di espressa previsione normativa dell’impedimento del difensore (a differenza dell’impedimento dell’imputato che ha manifestato la volontà di comparire, v. articolo 599, comma 2, c.p.p.), «nessun rilievo» debba essere «riconosciuto - in generale – all’impedimento a comparire del difensore» e, comunque - per quanto qui precipuamente rileva - alla adesione del difensore alla astensione collettiva dalle udienze, promossa dalle organizzazioni di categoria (sez. un., n. 7551 del 8 aprile 1998 - dep. 27 giugno 1998, Cerroni, Rv. 210795, secondo la quale, proprio in «fattispecie relativa ad adesione del difensore all’astensione collettiva dalle udienze [..] in relazione a giudizio abbreviato in grado di appello, il disposto dell’art. 486, comma quinto, c.p.p., a norma del quale il giudice provvede alla sospensione o al rinvio del dibattimento in caso di legittimo impedimento del difensore, non si applica ai procedimenti in camera di consiglio che si svolgono con le forme previste dall’art. 127 c.p.p.»; cui adde sez. VI, n. 1855 del 9 ottobre 1992, Sibio, Rv. 193526; sez. VI, n. 6868 del 3 maggio 1993 dep. 9 luglio 1993, Ginanneschi, Rv. 195140; sez. IV, n. 2503 del 17 dicembre 1993 - dep. 25 febbraio 1993, Tuminetti, Rv. 197737; sez. III, n. 10155 del 11 luglio 1995 - dep. 6 ottobre 1995, Ghia, Rv. 202778; sez. I, n. 579 del 5 dicembre 1995 - dep. 18 gennaio 1996, De Rosa, Rv. 203464; sez. IV, n. 2543 del 21 febbraio 1996 - dep. 6 marzo 1996, Pulcini ed altro, Rv. 204581; sez. VI, n. 4420 del 27 marzo 1996 - dep. 30 aprile 1996, Grillo, Rv. 205087; sez. V, n. 11269 del 17 febbraio 1998 - dep. 27 ottobre 1998, Gulinello, Rv. 211515; sez. III, n. 7939 del 4 giugno 1998 - dep. 7 luglio 1998, Dotti F, Rv. 211683; sez. V, n. 5619 del 22 novembre 1999 - dep. 28 febbraio 2000, Patalano, Rv. 215482; sez. I, n. 388 del 25 novembre 1999 - dep. 14 gennaio 2000, Arienti, Rv. 215144; sez. I, n. 41687 del 2 ottobre 2001 - dep. 21 novembre 2001, Morelli, Rv. 220041; sez. IV, n. 33283 del 12 dicembre 2001 - dep. 4 ottobre 2002, Adducci ed altri, Rv. 222497; sez. IV, n. 14866 del 3 febbraio 2004 - dep. 26 marzo 2004, Bazzucchi, Rv. 227918; sez. V, n. 23323 del 23 marzo 2004 - dep. 19 maggio 2004, Collini ed altro, Rv. 228867; sez. V, n. 22308 del 23 marzo 2004 - dep. 10 maggio 2004, Chinaglia, Rv. 228093; sez. IV, n. 21761 del Arch. nuova proc. pen. 4/2014 355 giur L e g i t t i m i tà 15 aprile 2004 - dep. 7 maggio 2004, Zangari ed altro, Rv. 228592; sez. VI, n. 40542 del 23 settembre 2004 - dep. 15 ottobre 2004, Di Gregorio, Rv. 230260; sez. IV, n. 20576 del 17 marzo 2005 - dep. 1 giugno 2005, Arenzani, Rv. 231360; sez. V, n. 16555 del 6 aprile 2006 - dep. 16 maggio 2006, Verbi, Rv. 234451; sez. VI, n. 23778 del 24 maggio 2006 - dep. 7 luglio 2006, Guarino, Rv. 234726; sez. VI, n. 34462 del 20 febbraio 2007 - dep. 12 settembre 2007, De Martino e altri, Rv. 237792; sez. IV, n. 33392 del 14 luglio 2008 - dep. 12 agosto 2008, Menoni, Rv. 240901; sez. V, n. 36623 del 16 luglio 2010 - dep. 13 ottobre 2010, Borra e altri, Rv. 248435; sez. VI, n. 10840 del 18 ottobre 2011 - dep. 20 marzo 2012, Cosentino, Rv. 252278; e sez. I, n. 6907 del 24 novembre 2011 - dep. 22 febbraio 2012, Ganceanu, Rv. 252401). La sentenza Ucciero, invece, annettendo rilevanza alla valutazione della conformità della astensione dalle udienze alle disposizioni del Codice di Autoregolamentazione forense del 4 aprile 2007, e, soprattutto, modulando la decisione sulla mozione di differimento della trattazione del procedimento (formulata dal difensore aderente alla astensione), in funzione della ridetta valutazione, dimostra di aver fatto proprio (pur senza espressa esplicitazione delle ragioni della revisione dell’orientamento) il presupposto antitetico rispetto a quello - fino a quel momento ritenuto - della assoluta irrilevanza dei motivi del mancato intervento del difensore (ritualmente avvisato), in relazione ai procedimenti in parola. Successivamente, con recentissimo arresto, questa Corte suprema di cassazione ha espressamente affermato, proprio in termini, il principio di diritto secondo il quale, nel giudizio camerale di appello delle sentenze pronunciate col rito abbreviato, in caso di legittimo esercizio della «libertà di astensione» da parte del difensore (nei casi previsti e secondo le forme stabilite dal Codice di autoregolamentazione), la reiezione della mozione difensiva di «rinvio» comporta la nullità generale, a regime intermedio, del procedimento, ai sensi degli articoli 178, comma I, lettera c), e 180 c.p.p. (sez. VI, n. 1826 del 24 ottobre 2013 - dep. 17 gennaio 2014, A. S., non massimata). A tale approdo ermeneutico il Collegio si uniforma. Sicché, nella specie, il diniego del rinvio, implicitamente chiesto (con nota dal 14 marzo 2012) dal difensore di fiducia dell’appellante aderente alla astensione dalla udienze indetta dalla associazione di categoria, in conformità delle disposizioni del Codice di autoregolamentazione, cit., comporta la nullità della sentenza. In mancanza dell’intervento alla udienza camerale davanti alla Corte territoriale di alcun difensore e dell’imputato (v. fascicolo della Corte di appello di Bologna n. 915/10 Regg. App., pp. 26 - 30), la invalidità non è stata sanata (per decadenza) ai sensi dell’articolo 182 c.p.p.; sicché risulta tempestivamente dedotta, nel termine di cui all’articolo 180, comma I, c.p.p., col ricorso per cassazione. Conseguono - laddove deve manifestamente escludersi la ricorrenza di veruna delle ipotesi contemplate dall’articolo 129 c.p.p. - l’annullamento della sentenza impugnata e il rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna. (Omissis) 356 4/2014 Arch. nuova proc. pen. Corte di cassazione penale sez. I, 28 marzo 2014, n. 14686 (c.c. 28 febbraio 2014) Pres. Giordano – Est. Vecchio – P.M. D’Ambrosio (conf.) – Ric. Confl. comp. Trib. Taranto in proc. Corte App. Lecce Esecuzione in materia penale y Competenza y Pluralità di imputati y Sentenza di assoluzione in appello solo per uno di essi y Competenza del giudice di secondo grado anche in riferimento agli altri coimputati per i quali viene confermata la condanna y Sussistenza. . In tema di esecuzione, con riferimento al caso di sentenza pronunciata nei confronti di più soggetti, taluno dei quali, condannato in primo grado, sia stato assolto all’esito del giudizio d’appello, va affermata, per il principio dell’unitarietà dell’esecuzione, la competenza del giudice di secondo grado anche con riguardo alle posizioni di coloro per i quali la condanna sia stata confermata. (Mass. Redaz.) (c.p.p., art. 665) (1) (1) In senso conforme si veda Cass. pen., sez. I, 16 marzo 2010, n. 10415, in questa Rivista 2011, 225; nello stesso senso anche Cass. pen., sez. I, 19 novembre 2009, n. 44481, in Ius&Lex dvd n. 4/2014, ed. La Tribuna. In senso difforme si esprime invece Cass. pen., sez. III, 24 novembre 2001, n. 45826, in questa Rivista 2002, 596. Svolgimento del processo e motivi della decisione 1. - Con ordinanza, deliberata il 12 novembre 2012 e pubblicata mediante lettura e inserimento nel processo verbale della udienza in camera di consiglio partecipata, la Corte di appello di Lecce - Sezione distaccata di Taranto, in funzione di giudice della esecuzione, ha declinato, a favore del Tribunale di quella stessa sede, la competenza a provvedere sulla richiesta di riconoscimento della continuazione, presentata nell’interesse del condannato Leonardo D’Aprile dal difensore di fiducia, avvocato Luigi Esposito. La Corte territoriale ha motivato che la competenza quale giudice della esecuzione spetta al Tribunale, in quanto quell’ ufficio ha deliberato nei confronti del condannato instante il provvedimento divenuto irrevocabile per ultimo, costituito dalla sentenza 9 dicembre 2002, confermata integralmente dal giudice di appello con sentenza 22 febbraio 2010. 2. - Il Tribunale ordinario di Taranto, in composizione collegiale e in funzione di giudice della esecuzione, mediante ordinanza deliberata il 2 ottobre 2012 e depositata il 23 ottobre 2013, ha resistito alla investitura e ha elevato conflitto negativo di competenza, obiettando che il giudice della esecuzione, cui spettava provvedere, era la Corte territoriale, in quanto colla precitata sua sentenza del 22 febbraio 2010, pur avendo confermato la condanna nei confronti del D’Aprile, aveva, tuttavia, riformato la sentenza di primo grado nei confronti di altro appellante (Tommaso Aquilino) sul punto della responsabilità, dichiarando non doversi procedere nei confronti dell’imputato, essendo il reato a lui ascritto estinto per prescrizione. giur L e g i t t i m i tà 3. - Il conflitto negativo improprio di competenza ammissibile in rito in quanto entrambi i giudici della esecuzione contemporaneamente ricusano di provvedere sul medesimo incidente (pel riconoscimento della continuazione) promosso dallo stesso condannato - deve essere risolto nel senso della affermazione della competenza del giudice il quale per primo la ha negata. 3.1 - In relazione alla specifica posizione del ricorrente, la Corte territoriale sostiene che la propria sentenza del 22 febbraio 2010 è di «conferma integrale» di quella appellata. Il Tribunale premette, invece, che la Corte di appello, «con riferimento alla posizione di D’Aprile, ha esclusivamente ridotto la pena inflitta in primo grado». Errati risultano i rifermenti di entrambi i giudici in conflitto. Dal certificato penale, in atti, emerge che la Corte di appello di Lecce - Sezione distaccata di Taranto, colla sentenza del 22 febbraio 2010, «in parziale riforma» della sentenza di primo grado, ha eliminato la pena accessoria della interdizione (temporanea) dai pubblici uffici. La soluzione della discrasia non è influente ai fini della determinazione della competenza del giudice della esecuzione. 3.2 - La quaestio iuris che rileva è se, nel caso in cui il provvedimento divenuto irrevocabile per ultimo riguardi più parti, la riforma sostanziale, nel senso del proscioglimento, nei confronti di persona diversa dal condannato instante, valga a radicare nei confronti di costui, la competenza del giudice di secondo grado, ai sensi dell’articolo 665, comma 2, c.p.p. 3.3 - Occorre premettere che nella giurisprudenza di questa Corte suprema di cassazione è - per vero - consolidato il principio di diritto (già, peraltro, affermato nel vigore del previdente codice di rito del 1930, v. sez. I, n. 2522 del 17 ottobre 1989 dep. 27 novembre 1989, Vallese, Rv. 182657) della «unitarietà della esecuzione», sicché «con riferimento alla sentenza pronunciata in grado di appello che, nel procedimento a carico di più imputati, abbia riformato la sentenza di primo grado (in ordine a statuizioni non concernenti esclusivamente la pena, le misure di sicurezza e le disposizioni civili) soltanto nei confronti di uno o di alcuni imputati, l’organo dell’esecuzione e il giudice dell’esecuzione sono rispettivamente il pubblico ministero e il giudice di secondo grado anche rispetto agli altri imputati che non abbiano eventualmente impugnato la sentenza di secondo grado o nei cui confronti questa sia stata confermata» (sez. VI, n. 831 del 4 marzo 1991 dep. 9 maggio 1991, P.G. in proc. Filippini, Rv. 190050; cui adde sez. I, n. 3925 del 8 ottobre 1992 - dep. 23 novembre 1992, P.M. in proc. Mesi, Rv. 192360; sez. I, n. 6282 del 16 novembre 1999 - dep. 28 dicembre 1999, Riina, Rv. 215019; sez. I, n. 2277 del 28 marzo 2000 - dep. 12 maggio 2000, Di Nardo, Rv. 216075; sez. I, n. 16666 del 21 marzo 2001 - dep. 23 aprile 2001, Conflitto comp. in proc. Kotan, Rv. 219020; sez. I, n. 44481 del 4 novembre 2009 - dep. 19 novembre 2009, Confl. comp. in proc. Arena, Rv. 245681; e, da ultimo, sez. I, n. 21681 del 22 marzo 2013 - dep. 21 maggio 2013, Confl. comp. in proc. Fiore, Rv. 256081: «nei procedimenti con pluralità di imputati la competenza a provvedere “in executivis” è del giudice di appello non solo rispetto agli imputati per i quali la sentenza di primo grado sia stata sostanzialmente riformata, ma anche per quelli nei cui confronti la decisione di primo grado sia stata confermata»). 3.4 - Orbene, con specifico riferimento alla quaestio iuris enunciata, è dato censire un contrasto giurisprudenziale. Secondo un indirizzo, per vero risalente nel tempo, ma anche di recente ribadito, «il principio secondo cui, quando la sentenza di condanna pronunciata in primo grado nei confronti di più soggetti sia stata riformata dal giudice di secondo grado con riguardo soltanto a tal uno di essi, la competenza in materia di esecuzione appartiene per tutti al giudice di secondo grado, opera nel presupposto che la riforma della decisione di primo grado consista in una statuizione comunque suscettibile di richiedere l’intervento del giudice dell’esecuzione; il che non si verifica quando il giudice di secondo grado si sia limitato ad assolvere taluno degli imputati condannati in prime cure, confermando integralmente la pronuncia di condanna nei confronti degli altri. [sez. I, n. 990 del 25 febbraio 1994 - dep. 29 marzo 1994, Confl. comp. in proc. Paltanin, Rv. 196984; cui adde sez. III, n. 45826 del 20 novembre 2001 - dep. 24 dicembre 2001, Dorati S, Rv. 220609; sez. I, n. 35234 del 1 ottobre 2002 - dep. 21 ottobre 2002, P.M. in proc.Piacentini, Rv. 222172; sez. I, n. 44481 del 4 novembre 2009 - dep. 19 novembre 2009, Confl. comp. in proc. Arena, Rv. 245681 (con richiamo obiter dictum); e sez. I, n. 30004 del 5 giugno 2013 - dep. 12 luglio 2013, Pmt in proc. Grillo, Rv. 256215]. Invece, secondo un altro indirizzo (postosi in consapevole contrasto col precedente, in seno a questa stessa sezione), nel caso di riforma della sentenza di primo grado, consistita nella assoluzione di uno degli imputati e nella integrale conferma delle condanne inflitte agli altri prevenuti, deve affermarsi «la competenza del giudice di secondo grado in relazione all’esecuzione della sentenza nella parte relativa alla condanna inflitta e, quindi, confermata in grado di appello» (sez. I, n. 10415 del 16 febbraio 2010 - dep. 16 marzo 2010, PG in proc. Guarnieri e altro, Rv. 246395). 3.5 - A tale secondo indirizzo il Collegio si uniforma. L’arresto testè citato ha condivisibilmente confutato il presupposto - affatto erroneo - del contrario orientamento secondo il quale la decisione di proscioglimento non «richiedere[bbe] l’intervento del giudice dell’esecuzione» (e, pertanto, sarebbe ininfluente ai fini della competenza) e, ancora, traendo spunto dalla considerazione del canone normativo di determinazione della competenza nel caso di provvedimento deliberato su rinvio di questa Corte suprema di cassazione (articolo 665, comma 3, ultimo inciso), ha argomentato «il carattere formale delle regole di determinazione della competenza», fondate su «criteri astratti, funzionali ad una ordinata e unitaria predeterminazione della competenza a prescindere dalla possibilità che taluna delle statuizioni che concorrono a determinarla sia Arch. nuova proc. pen. 4/2014 357 giur L e g i t t i m i tà o meno in concreto suscettibile di esecuzione o di dare luogo a interventi del giudice dell’esecuzione». Mentre la decisione in senso contrario, successivamente intervenuta (Rv. 256215, cit.), si è limitata a richiamare il fallace presupposto (ampiamente confutato) che la sentenza di proscioglimento «non sarebbe suscettibile di richiedere l’intervento del giudice della esecuzione». 3.6 - Per vero - al di là della rilevanza che assume nel concorso con altri provvedimenti di proscioglimento, di non luogo a procedere o di condanna (per il medesimo fatto e nei confronti della stessa persona), ai sensi dell’articolo 669, commi 7 e 8, c.p.p. - la sentenza di proscioglimento, oltre alle statuizioni di liberazione, di rilascio o di restituzione è, invece, suscettibile di comportare plurimi interventi in executivis, tutti normativamente, previsti quali e la revoca della sentenza stessa, se pronunciata «per estinzione del reato o per mancanza di imputabilità», in dipendenza della abolitio criminis o della dichiarazione della illegittimità costituzionale della norma incriminatrice (articolo 673, comma 2, c.p.p.); e la esecuzione delle misure di sicurezza personali (articolo 658 c.p.p.); la applicazione o la revoca della confisca (articolo 676, comma 1, c.p.p.) la declaratoria della falsità documentale accertata ai sensi dell’articolo 537, comma 4, c.p.p. (articolo 675, comma 1, c.p.p.); e la cancellazione, la ripristinazione, la riforma o la rinnovazione dei documenti (articolo 675, comma 2, c.p.p.). E significativamente il legislatore non ha circoscritto l’ambito della competenza del giudice della esecuzione alle sole sentenze o ai soli decreti penali di condanna, ma ha fatto riferimento alla generale categoria del «provvedimento» giudiziario, la quale categoria comprende sia le sentenze e i decreti penali di condanna che le sentenze di non luogo a procedere e quelle di proscioglimento (articolo 665 c.p.p.). La contraria opinione oltretutto comporterebbe la conseguenza (sicuramente anomala) dello sdoppiamento della competenza del giudice della esecuzione in relazione ai provvedimenti chiesti dalla persona definitivamente prosciolta nel giudizio di appello, per effetto della totale riforma della condanna riportata in primo grado: nei confronti di costui non è certamente configurabile la competenza del giudice, di prime cure, quello, cioè, della condanna (totalmente riformata in secondo grado), mentre il suddetto giudice sarebbe, invece, competente in relazione agli incidenti relativi alla persone condannate colla stessa sentenza (confermata ovvero riformata soltanto in relazione alla pena, alle misure di sicurezza o alle disposizioni civili). Conclusivamente, da un canto, la rilevanza dei provvedimenti di proscioglimento in executivis e, precipuamente, la loro attitudine a costituire materia esclusiva di deliberazione del giudice della esecuzione e, dall’altro canto, il principio della «unitarietà della esecuzione», comportano il corollario che la riforma sostanziale della medesima sentenza (pur nel senso del proscioglimento) adottata nei confronti di persona diversa dal condannato instante (nei confronti del quale la decisione è stata con- 358 4/2014 Arch. nuova proc. pen. fermata ovvero riformata soltanto in relazione alla pena, alle misure di sicurezza o alle disposizioni civili), radica per tutti la competenza del giudice di secondo grado, quale giudice della esecuzione, ai sensi dell’articolo 665, comma 2, ultimo inciso, c.p.p. 3.7 - Orbene tale ipotesi ricorre nella specie: infatti non sorge questione sul punto che la sentenza della Corte di appello di Lecce - Sezione distaccata di Taranto, mentre nei confronti del condannato instante ha soltanto modificato il trattamento sanzionatorio, escludendo la pena accessoria, ha, tuttavia, riformato in senso c.d. «sostanziale» la sentenza del Tribunale ordinario di quella stessa sede nei confronti di altro imputato, prosciogliendolo per estinzione del reato. Conseguono la declaratoria della competenza della Corte territoriale e la trasmissione degli atti a quell’ufficio. (Omissis) Corte di cassazione penale sez. I, 28 marzo 2014, n. 14677 (ud. 20 gennaio 2014) Pres. Chieffi – Est. Mazzei – P.M. Galasso (diff.) – Ric. Medulla Atti e provvedimenti del giudice penale y Atti abnormi y Illegittima applicazione della pena detentiva congiuntamente a quella pecuniaria y Nel caso in cui tali pene siano previste come alternative y Abnormità o inesistenza del relativo provvedimento y Esclusione. . L’illegittima applicazione, con provvedimento non più soggetto ad impugnazione, della pena detentiva congiuntamente a quella pecuniaria, in un caso nel quale la pena detentiva e quella pecuniaria siano invece previste come alternative, non può essere eliminata in sede esecutiva, non dando essa luogo ad abnormità o inesistenza giuridica di detto provvedimento. (Mass. Redaz.) (c.p.p., art. 568; c.p.p., art. 670) (1) (1) Nello stesso senso della pronuncia in commento si vedano Cass. pen., sez. I, 19 marzo 2009, n. 12453, in questa Rivista 2010, 348 e Cass. pen., sez. I, 9 aprile 1997, n. 2174, in Ius&Lex dvd n. 4/2014, ed. La Tribuna. In genere, sull’abnormità ed inesistenza del provvedimento, si veda Cass. pen., sez. V, 29 luglio 1997, n. 2053, in questa Rivista 1998, 273. Svolgimento del processo 1. Con ordinanza deliberata il 18 marzo 2013 il Tribunale di Genova, giudice dell’esecuzione, ha dichiarato illegale e, per l’effetto, non eseguibile la pena detentiva applicata a Medulla Massimo con decreto di condanna, in data 7 marzo 2011, del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Genova, pari a mesi uno e giorni quindici di arresto, convertita in euro 11.250 (undicimiladuecentocinquanta) di ammenda, confermando per il resto la pena pecuniaria applicata congiuntamente a quella detentiva nella misura di euro 6.000 (seimila) di ammenda e ordinando l’esecuzione solo di quest’ultima. giur L e g i t t i m i tà Il Medulla, infatti, era stato condannato congiuntamente alla suddetta pena, detentiva e pecuniaria, per il reato previsto dall’art. 5, lett. b), e 6 della legge 30 aprile 1962, n. 283, avendo detenuto alimenti in cattivo stato di conservazione, in violazione della norma incriminatrice che prevede, alternativamente, la pena detentiva o pecuniaria. 2. Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Medulla personalmente, per dedurre i vizi di violazione di legge e difetto di motivazione, in relazione agli artt. 1 c.p., 25 Cost. e 125, comma 3, c.p.p., avendo il giudice dell’esecuzione, a fronte della rilevata illegalità della pena applicata, omesso di dichiarare l’inesistenza ovvero l’abnormità del decreto di condanna, con la conseguente totale ineseguibilità di esso, nonostante l’esplicita denuncia di tali sanzioni processuali da parte del ricorrente. 3. Il Procuratore generale presso questa Corte, ritenuta l’infondatezza, nel caso di specie, della dedotta inesistenza o abnormità dell’atto, ha chiesto il rigetto del ricorso. Motivi della decisione 1. Il ricorso è inammissibile perchè manifestamente infondato. 1.1. Questa Corte si è già pronunciata sul tema della pena illegale, applicata con provvedimento divenuto irrevocabile, e ha affermato il principio secondo cui, in sede esecutiva, l’illegittimità della pena può essere rilevata solo quando la sanzione irrogata non sia prevista dall’ordinamento giuridico ovvero quando, per specie e quantità, risulti eccedente il limite legale, ma non quando risulti errato il calcolo attraverso il quale essa è stata determinata - salvo che non sia frutto di errore macroscopico - trattandosi di errore censurabile solo attraverso gli ordinari mezzi di impugnazione della sentenza (sez. I, n. 38712 del 23 gennaio 2013, dep. 19 settembre 2013, Villirillo, Rv. 256879). In particolare, la condanna a pena illegittima, contenuta in sentenza non ritualmente impugnata, non può essere rettificata in sede esecutiva, salvo che sia configurabile un’ipotesi di assoluta abnormità della sanzione (sez. I, n. 4869 del 6 luglio 2000, dep. 9 agosto 2000, Colucci, Rv. 216746); la pena sia frutto di un errore macroscopico non giustificabile e non di una argomentata, pur discutibile, valutazione (sez. I, n. 12453 del 3 marzo 2009, dep. 19 marzo 2009, Alfieri, Rv. 243742); la sanzione sia oggetto di palese errore di calcolo, in grado di comportarne la sostanziale illegalità (sez. IV, n. 26117 del 16 maggio 2012, dep. 5 luglio 2012, Toma, Rv. 253562). E, invero, il principio di legalità della pena, enunciato dall’art. 1 c.p. ed implicitamente dall’art. 25, comma secondo, Cost., informa di sé tutto il sistema penale e non può ritenersi operante solo in sede di cognizione. Tale principio, che vale sia per le pene detentive sia per le pene pecuniarie, vieta che una pena che non trovi fondamento in una norma di legge, anche se inflitta con sentenza non più soggetta ad impugnazione ordinaria, possa avere esecuzione, essendo avulsa da una pretesa punitiva dello Stato (sez. V, n. 809 del 29 aprile 1985, dep. 20 maggio 1985, Lattanzio, Rv. 169333). 1.2. Il ricorrente postula che l’illegittimità della pena congiunta, in luogo di quella alternativa, applicata con provvedimento irrevocabile, nella specie decreto di condanna non ritualmente impugnato essendo stato oggetto di ricorso per cassazione dichiarato inammissibile e non di opposizione, determini l’inesistenza o l’abnormità dell’intero provvedimento applicativo e, di conseguenza, la totale ineseguibilità di esso. Tale tesi è palesemente infondata nel caso in esame, connotato dall’irrogazione di pene previste dall’ordinamento giuridico, seppure in via alternativa e non congiunta, con riguardo al contestato reato contravvenzionale di cui all’art. 5, comma primo, lett. b), e 6, comma terzo, della legge 30 aprile 1962, n. 283, con successive modificazioni (Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande). E, invero, l’inesistenza giuridica dei provvedimenti del giudice è configurabile esclusivamente rispetto a quegli atti che, seppur materialmente esistenti, siano privi dei requisiti minimi (quali la provenienza da un organo investito del potere giurisdizionale penale, l’esternazione in forma scritta, l’adozione nei confronti di una persona esistente e assoggettabile alla giurisdizione penale) necessari per poter essere riconosciuti come atti processuali del giudice e, come tali, assolutamente inidonei a produrre quegli effetti che la legge ricollega agli atti di questo tipo e insuscettibili di essere sanati dal giudicato; essa non comprende, invece, quegli atti che, pur essendo provvisti dei requisiti minimi per essere qualificati come atti processuali, siano tuttavia affetti da vizi che, a seconda della maggiore o minore gravità ad essi attribuita dall’ordinamento, possono incidere, con diversi gradi di rilevanza, sulla loro validità e sono rilevabili solo se dedotti mediante impugnazione (sez. IV, n. 1986 del 2 settembre 1985, dep. 10 settembre 1985, Costanzo, Rv. 170313; sez. II, n. 7761 del 15 novembre 1986, dep. 27 giugno 1987, Troja, Rv. 176261; sez. V, n. 7 del 26 aprile 1989, dep. 9 maggio 1989, Goria, Rv. 181304). In applicazione di tale nozione giuridica è stata ritenuta inesistente, oltre alla sentenza emessa da soggetto estraneo all’ordinamento giudiziario, quella assolutamente priva di dispositivo per omessa statuizione decisoria nei confronti dell’imputato, ma non anche la sentenza carente di motivazione (sez. II, n. 29427 del 15 giugno 2011, dep. 22 luglio 2011, Ferrari, Rv. 251027; sez. VI, n. 31965 del 2 luglio 2013, dep. 23 luglio 2013, Sicignano, Rv. 255888); e la decisione pronunciata nei confronti di imputato dopo la morte dello stesso (sez. un., n. 3489 del 23 gennaio 1982, dep. 30 marzo 1982, Renna, Rv. 153021; sez. VI, n. 10199 del 9 marzo 2010, dep. 12 marzo 2010, Iaconis, Rv. 246541). Ancora diversa è la pur evocata nozione di abnormità, la quale può riguardare sia il profilo strutturale, allorché l’atto, pur essendo giuridicamente esistente, si ponga, per la sua singolarità, al di fuori del sistema organico della legge processuale; sia il profilo funzionale, quando esso, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo (sez. un., n. Arch. nuova proc. pen. 4/2014 359 giur L e g i t t i m i tà 26 del 24 novembre 1999, dep. 26 gennaio 2000, Magnani, Rv. 215094; sez. un., n. 5307 del 20 dicembre 2007, dep. 1 febbraio 2008, Battistella, Rv. 238240). Diversamente dall’atto giuridicamente inesistente, l’atto abnorme non è indifferente alla formazione del giudicato, poiché le disposizioni del codice di rito concernenti i termini per la proposizione dell’impugnazione operano anche con riferimento al ricorso per cassazione avverso gli atti abnormi; con la sola eccezione delle ipotesi di gravame proposto nei confronti di quei provvedimenti non abnormi ma, appunto, inesistenti perchè affetti da un’anomalia genetica così radicale che, determinandone l’inesistenza materiale o giuridica e rendendoli inidonei a passare in giudicato, può essere denunciata in qualsiasi momento (sez. un., n. 11 del 9 luglio 1997, dep. 31 luglio 1997, Quarantelli, Rv. 208221; conformi tra le molte: sez. III, n. 20377 del 24 febbraio 2004, dep. 30 aprile 2004, La Rocca, Rv. 229034; sez. VI, n. 30920 del 30 giugno 2009, dep. 24 luglio 2009, Cavagliano, Rv. 244556). 1.3. Va, dunque, affermato il principio di diritto secondo cui l’applicazione di pena illegale, per errore nella determinazione e/o nel calcolo di essa, non configura un caso di inesistenza giuridica o abnormità del provvedimento che la dispone, e, ove sia il frutto di palese errore giuridico o materiale e non di argomentata valutazione del giudice della cognizione, ne impone la correzione o rettifica da parte del giudice dell’esecuzione, adito ai sensi dell’art. 666 c.p.p., nel rispetto dell’art. 25, comma secondo, Cost. e dell’art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (Cedu), che escludono l’inflizione di pena superiore a quella che era applicabile al momento in cui il reato è stato commesso. Segue che legittimamente, nel caso di specie, il Giudice dell’esecuzione ha escluso la più gravosa pena detentiva, applicata nel decreto penale congiuntamente a quella pecuniaria, nonostante la previsione alternativa delle medesime sanzioni nell’art. 6, comma terzo, legge n. 283 del 1962, in riferimento all’art. 5, comma primo, lett. b), della stessa legge, e, coerentemente, ha determinato la pena da eseguire nella sola sanzione pecuniaria dell’ammenda più favorevole al condannato; con la precisazione che tale correzione postuma rispetto all’irrevocabilità del decreto di condanna, contrariamente all’assunto del ricorrente, non lo ha privato degli effetti favorevoli del relativo procedimento speciale, a norma dell’art. 460, comma 5, c.p.p. (estinzione del reato e di ogni effetto penale della condanna). 2. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, c.p.p., al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sent. n. 186 del 2000), al versamento a favore della cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria che si stima equo determinare, tra il minimo e il massimo previsti, in euro mille. (Omissis) 360 4/2014 Arch. nuova proc. pen. Corte di cassazione penale sez. V, 24 marzo 2014, n. 13835 (ud. 11 dicembre 2013) Pres. Marasca – Est. Vessichelli – P.M. Volpe (conf.) – Ric. Persia Cassazione penale y Sentenza y Annullamento con rinvio y Dell’appello proposto dalla parte civile y Avverso sentenza assolutoria y Dichiarazione erronea d’inammissibilità y Rinvio al giudice penale che ha emesso il provvedimento annullato y Sussistenza. . Qualora l’appello proposto dalla parte civile avverso la sentenza assolutoria emessa all’esito del giudizio di primo grado venga erroneamente dichiarato inammissibile, la corte di cassazione, nell’accogliere il ricorso proposto dalla medesima parte civile, deve annullare il provvedimento con rinvio allo stesso giudice penale che lo ha emesso, e non al giudice civile. (Mass. Redaz.) (c.p.p., art. 622) (1) (1) In senso analogo si veda Cass. pen., sez. II, 24 maggio 2013, n. 22347, in Ius&Lex dvd n. 4/2014, ed. La Tribuna. In argomento cfr. Cass. civ. 24 novembre 1998, ibidem. Svolgimento del processo e motivi della decisione Propone ricorso per cassazione, Persia Michele, quale parte civile nel procedimento penale a carico di Trombetta Vincenzo, Trombetta Nicola e Fiorentino Francesca, concluso con sentenza di primo grado, di assoluzione di tutti gli imputati, dai reati loro rispettivamente ascritti: sentenza rimasta confermata in appello, a seguito della declaratoria di inammissibilità della impugnazione proposta dalla parte civile. E proprio tale sentenza, pronunciata 1’8 giugno 2012, dalla Corte di appello di Potenza, ha formato oggetto del predetto ricorso. In particolare, Trombetta Vincenzo era stato assolto, in primo grado, dal reato di minacce e lesioni, in danno di Persia Michele (capo B), perchè il fatto non costituisce reato mentre Trombetta Nicola e Fiorentino Francesca, unitamente a Trombetta Vincenzo, erano stati assolti dai reati di ingiuria, minacce e lesioni personali, sempre in danno del Persia, rispettivanente a ciascuno contestati ai capi A), C), D) e E) (con riferimento, come il reato su B), ad una vicenda del 2 aprile 2003) perchè il fatto non sussiste. La Corte d’appello di Potenza ha dichiarato, come detto, inammissibile l’appello della parte civile, perchè carente della specificazione dei profili civilistici della domanda. Deduce la ricorrente parte civile, ai soli effetti civili, la violazione dell’articolo 576 c.p.p. Nell’atto d’appello era stata esplicitamente richiesta la condanna, dell’imputato, al risarcimento dei danni della parte civile, che venivano quantificati in € 60.000. D’altra parte, anche la richiesta del riconoscimento della responsabilità dell’imputato era chiaramente finalizzata agli interessi civili, essendo da escludere che l’impugnazione della parte civile, in assenza di gravame del pubblico ministero, possa sortire l’effetto di una condanna penale. giur L e g i t t i m i tà Il ricorso è fondato. Sciogliendo un contrasto venutosi a formare, nella giurisprudenza di legittimità, a proposito della modalità di formulazione della domanda della parte civile che impugni, ai sensi dell’articolo 576 c.p.p., la sentenza di assoluzione dell’imputato, le Sezioni unite di questa Corte hanno fonrulato il principio - al quale ci si conforma, condividendolo secondo cui l’impugnazione della parte civile, avverso la sentenza di proscioglimento che non abbia accolto le sue conclusioni, è ammissibile anche quando non contenga l’espressa indicazione che l’atto è proposto ai soli effetti civili (sez. un., sentenza n. 6509 del 20 dicembre 2012 ud. (dep. 8 febbraio 2013 ) Rv. 254130). Ha posto in evidenza, il supremo consesso, che la non necessità della formale enunciazione della finalizzazione dell’atto di gravame, agli effetti civili, si fonda sulla superfluità di un tale elemento, dal momento che è lo stesso articolo 576 c.p.p. a circoscrivere, in tal modo, l’impugnazione svolta dalla parte civile. Si è aggiunto che, se la finalità del gravame in questione non può, per precisa volontà normativa, fuoruscire da tale ambito, il richiedere all’impugnante la sopra menzionata specificazione si risolverebbe, in definitiva, nel pretendere un adempimento non necessario. D’altra parte, anche la giurisprudenza citata nella sentenza impugnata ha riconosciuto che è ammissibile l’impugnazione proposta dalla parte civile avverso la sentenza di assoluzione, preordinata a chiedere l’affermazione della responsabilità dell’imputato, quale logico presupposto della condanna alle restituzioni e al risarcimento del danno, con la conseguenza che detta richiesta non può condurre ad una modifica della decisione penale, sulla quale si è formato il giudicato in mancanza dell’impugnazione del P.M., ma semplicemente all’affermazione della responsabilità dell’imputato per un fatto previsto dalla legge come reato, che giustifica la condanna alle restituzioni ed al risarcimento del danno. Consegue ai predetti rilievi, che l’appello della parte civile, concluso con la richiesta, riportata a pagina 3 della sentenza impugnata, della condanna degli imputati al risarcimento del danno quantificabile in € 60.000, sul presupposto del riconoscimento della sussistenza di tutti gli elementi integranti i fatti - reato che costituivano la base giuridica per l’affermazione della detta responsabilità civile, era ammissibile. La sentenza impugnata va dunque annullata con rinvio. Questo va disposto alla competente Corte di appello, in sede penale, perchè celebri il giudizio di appello finalizzato alla statuizione di natura civilistica, analogamente a quanto disposto anche dalle Sezioni unite, nella sentenza n. 6509 del 20 dicembre 2012, sopra citata, con riferimento ad identico tipo di ricorso. Invero, nel particolare caso di specie, è il giudice penale, in sede di rinvio, investito dell’emenda della pronuncia di quello adito, in prima battuta, con l’appello irregolarmente dichiarato inammissibile, a dovere provvedere alla valutazione della fattispecie, così come devoluta dalla parte civile con i motivi di gravame, nell’ottica della eventuale ricostruzione di essa come illecito penale, presupposto necessario ai fini del riconoscimento del risarcimento richiesto. In linea generale, la decisione sull’appello della parte civile, che miri alla riforma della sentenza di proscioglimento, è un potere attribuito alla sede penale, al fine di consentire la integrazione dei presupposti di accertamento per il risarcimento del danno, derivante dal combinato disposto degli artt. 538 e 576, ossia dalle norme che - come affermato dalle Sezioni unite nella sentenza sopra citata - consentono tale riconoscimento sul presupposto dell’accertamento del fatto reato, a prescindere dalla esistenza del verdetto assolutorio agli effetti penali, destinato a rimanere intangibile. Tale accertamento, cioè, è consentito e previsto in sede penale, con la massima ampiezza dei poteri connaturati a tale genere di processo, al fine di non fare incorrere, la PC, nel vincolo preclusivo che, altrimenti, in sede civile, per essa, già costituita in sede penale, ma astenutasi dall’appellare la sentenza proscioglitiva, deriverebbe dall’art. 652 c.p.p.: una norma che, proprio nei confronti del soggetto che si è costituito costituto parte civile nel processo penale, impedirebbe di procedere all’accertamento sul fatto, quando questo, in sede penale, fosse stato definito con la formula che il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso o con le altre previste dallo stesso precetto, sempre che, per l’appunto, la parte civile non abbia interposto appello nella sede penale, ai sensi dell’art. 576 c.p.p.. Ma anche in sede di rinvio, deve essere il giudice penale a provvedere, con gli stessi poteri del giudice del provvedimento annullato. In questo caso, non è il tema della preclusione penale ad essere decisivo, ma il testo stesso dell’art. 622 c.p.p. Non si produrrebbe, infatti, una preclusione analoga a quella sopra descritta, in presenza di annullamento con rinvio disposto, ai sensi dell’art. 622 c.p.p., dalla Cassazione, al giudice civile, contestualmente alla conferma della sentenza assolutoria dalla responsabilità penale, come ripetutamente precisato anche dalla giurisprudenza civile della cassazione (sez. III, sentenza n. 11897 del 24 novembre 1998, Rv. 521054; sez. III, sentenza n. 11936 del 22 maggio 2006, Rv. 591008). Tuttavia, l’art. 622 c.p.p. prevede il rinvio al giudice civile soltanto quando sia annullata una sentenza di “proscioglimento”, su ricorso della parte civile, e non anche quando sia annullata una sentenza meramente processuale del giudice dell’appello penale, quale è quella, di inammissibilità, portata al vaglio di questa Corte (v., sez. II, sentenza n. 897 del 24 ottobre 2003 ud., dep. 16 gennaio 2004, Rv. 227966): il trasferimento di sede è sancito dal codice di rito, cioè, quando sia esaurita la disamina prevista, nei diversi gradi del giudizio penale, sul merito della vicenda di interesse per la parte civile. E ciò alla luce di disposizioni che, per il loro carattere extra ordinem, non appaiono suscettibili di interpretazione analogica. Arch. nuova proc. pen. 4/2014 361 giur L e g i t t i m i tà La conclusione qui accreditata, con l’implicito avallo della sentenza delle Sezioni unite del 2012, non sembra, d’altra parte, porsi in contrasto con il principio, formulato nella successiva sentenza delle SS.UU. n. 40109 del 2013 che, pure, ha riconosciuto ampia operatività all’art. 622 c.p.p., a proposito del dovere di rinvio, al giudice civile, nel caso di accoglimento del ricorso della parte civile. Infatti la sentenza del 2013 ha compiuto una esegesi, semantica e sistematica, dell’art. 622 c.p.p. che è precetto che, nel caso di specie, relativo come detto a ricorso contro sentenza di inammissibilità di appello, non viene in considerazione. (Omissis) tumaciale all’imputato, avvenuta prima della scadenza del termine indicato nel dispositivo, ma dalla scadenza di quest’ultimo: ciò anche in applicazione dell’autonomia della decorrenza dei termini per imputato e difensore, prevista dall’art. 585 comma 3 c.p.p.. Con la decorrenza al prescritto 9 maggio 2012, la scadenza doveva ritenersi consumata al 23 giugno 2012, da qui la ritualità dell’appello. 3. Il procuratore generale ha presentato conclusioni scritte per il rigetto del ricorso e, in subordine, per la sua rimessione alle Sezioni unite. Il 6 febbraio 2014 è stata depositata memoria difensiva a sostegno dei motivi di ricorso. Motivi della decisione Corte di cassazione penale sez. VI, 21 marzo 2014, n. 13447 (ud. 12 febbraio 2014) Pres. Conti – Est. Citterio – P.M. Baldi (diff.) – Ric. Battistelli Sentenza penale y Deposito y Termine fissato dalla legge o dal giudice y Sentenza contumaciale y Definizione anticipata del procedimento y Impugnazione dell’imputato contumaciale y Termini y Decorrenza. . Qualora, nel caso di sentenza contumaciale, il giudice, dopo essersi assegnato, ai sensi dell’art. 544, comma 3, c.p.p., un determinato termine per il deposito della motivazione, provveda anticipatamente a tale incombenza e di ciò, ai sensi dell’art. 544, comma 3, c.p.p., venga dato avviso all’imputato, deve ritenersi che quest’ultimo possa comunque fruire, per la proposizione dell’impugnazione, del termine stabilito dall’art. 585, lett. c), c.p.p., con decorrenza, ove anche la notifica dell’avviso sia stata precedente alla data di scadenza originariamente fissata per il deposito della motivazione, da detta ultima data e non da quella della notifica. (Mass. Redaz.) (c.p.p., art. 544; c.p.p., art. 585) (1) (1) In senso difforme dalla pronuncia in commento si veda Cass. pen., sez. IV, 17 marzo 2003, n. 12260, in questa Rivista 2004, 237, che statuisce che per l’imputato contumace il termine per proporre impugnazione sia quello della notifica dell’avviso di deposito dell’estratto contumaciale con cui si definisce il procedimento. Svolgimento del processo 1. La Corte d’appello di L’Aquila ha dichiarato inammissibile per tardività l’atto di impugnazione proposto nell’interesse di Andrea Battistelli avverso la sentenza del Tribunale di Pescara, che in data 9 febbraio 2012 lo aveva condannato per reati ex artt. 337 e 651 c.p.. Argomentava la Corte distrettuale che a fronte di notifica dell’estratto contumaciale in data 3 maggio 2012 l’atto d’appello era stato presentato solo il 22 giugno 2012, oltre il termine di 45 giorni rilevante nella specie. 2. Ricorre nell’interesse dell’imputato il difensore avv. Di Girolamo. Con unico motivo di violazione di legge deduce che poiché il Tribunale aveva indicato in sentenza il termine di deposito dei 90 giorni, il proprio termine per impugnare non decorreva dalla notifica dell’estratto con- 362 4/2014 Arch. nuova proc. pen. 4. Il ricorso è fondato. 4.1 La fattispecie con cui la Corte suprema deve confrontarsi è la seguente: deliberazione di dispositivo di sentenza con indicazione di termine per il deposito della motivazione diverso dall’ordinario; deposito concretamente anticipato e precedente alla scadenza del termine assegnato in sentenza; notifica dell’estratto al solo imputato (che era contumace), avvenuta essa pure prima della ricordata scadenza assegnata nel dispositivo; atto di appello presentato dal difensore nei 45 giorni successivi alla scadenza del termine indicato nel dispositivo ma oltre i 45 giorni decorrenti dall’avvenuta notificazione anticipata dell’estratto contumaciale all’imputato. Tale fattispecie pone sul piano logico - sistematico due questioni: - quale sia il momento dal quale decorrono i 45 giorni per l’impugnazione, quando la sentenza sia stata depositata prima della scadenza del termine indicato nel dispositivo e di tale anticipato deposito sia stata data tempestiva comunicazione alle parti; - se, nel caso la soluzione sia quella fatta propria dalla Corte d’appello, il difensore abbia diritto ad una propria notificazione dell’avviso di avvenuto deposito anticipato, autonoma rispetto a quella che intervenga per l’imputato (ex art. 585 comma 3 c.p.p.). 5. Nel caso concreto, in cui l’appello è stato presentato nei 45 giorni dalla scadenza del termine indicato nel dispositivo, la prima questione è pregiudiziale. 5.1 Nella giurisprudenza di questa Corte suprema vi è un precedente massimato (sez. IV, sent. 12260/2003) che afferma corretta l’individuazione della decorrenza del termine per impugnare nel momento della notificazione dell’anticipato deposito della sentenza. Ciò, si è argomentato, «per la decisiva ragione che il termine per impugnare è di quindici, trenta e quarantacinque giorni e non di trenta e quarantacinque giorni più il termine per il deposito della sentenza, essendo riservato il termine per il deposito, ovviamente, alla redazione della sentenza, al giudice, quindi, e non all’imputato o alle altre parti, sicché, qualora la sentenza sia depositata prima della scadenza del termine e ne sia notificato l’estratto all’imputato prima di tale scadenza, il termine di trenta giorni, che è il termine per impugnare, decorrerà per l’imputato contumace dalla data della notificazione e non dalla scadenza del termine giur L e g i t t i m i tà per il deposito della sentenza, avendo egli diritto ex lege a trenta giorni e non a trenta giorni più quel numero di giorni che vanno dal deposito alla scadenza del termine per il deposito. D’altro canto, il dato testuale è inequivoco, prevedendo il comma 2 dell’art. 585 c.p.p., come si è visto, che “i termini previsti dal comma 1 - cioè i quindici, i trenta e i quaranta giorni - decorrono da determinati fatti tassativamente elencati, fatto che, per il contumace, è la notificazione dell’avviso di deposito con l’estratto del provvedimento”». Tale insegnamento si inserisce in un indirizzo giurisprudenziale che in termini prevalenti, precedenti e successivi, afferma invece essere ogni eventuale notifica precedente la scadenza del termine indicato nel dispositivo inefficace a determinare autonomamente una decorrenza diversa e anticipata rispetto a quella indicata in tale dispositivo (sez. V sent. 8942/1995; sez. IV sent. 3250/1997; sez. I, sent. 6381/2000; sez. III, sent. 2070/2000; sez. V, sent. 19519/2007; sez. VI, sent. 14356/2009). A sostegno della conclusione si assume che «l’operatività di detto termine ordinario non resta esclusa dalla notifica dell’estratto contumaciale in data anteriore, in quanto un’esclusione siffatta, ad evidenza irrazionale nella disciplina logicosistematica delle impugnazioni, comprimerebbe ingiustificatamente i diritti della difesa (alla compiuta tutela, invece, è rivolta - con finalità sicuramente non restrittive - la previsione dell’art. 548, comma terzo, c.p.p.)». Il principio di diritto affermato da 12260/2003 risulterebbe confermato successivamente, secondo la massimazione intervenuta, da due sentenze della Quinta sezione (sent. 40259/2008; sent. 40165/2009). Si tratta però in entrambe le fattispecie di impugnazioni proposte dalla parte pubblica, aspetto che dalle motivazioni risulta determinante nella soluzione dei rispettivi casi concreti. Nel secondo, in cui si tratta di impugnazione di sentenza deliberata ai sensi dell’art. 425 c.p.p., in realtà si prospetta in termini assorbenti il diverso tema dell’irrilevanza dell’assegnazione di un termine diverso da quello ordinario previsto per provvedimenti camerali: sez. un., sent. 21039/2011. Nel primo, la Quinta sezione dà conto del maggioritario indirizzo contrario e, pur adombrandone la non persuasività, argomenta la diversa soluzione appunto con l’affermazione che in quel caso non si sarebbe posto un problema di contrazione del diritto di difesa in quanto l’impugnazione era stata proposta dalla parte pubblica, sicché non vi sarebbe stata la eadem ratio richiamata dalla giurisprudenza contraria (la sentenza svolge anche un’interessante riflessione sulla peculiare diligenza richiesta dallo specifico microsistema ex artt. 544 e 548 c.p.p. alla parte civile, per trarne argomento a sostegno della propria conclusione). 5.2 A giudizio di questa Sezione l’insegnamento prevalente va confermato, con le ulteriori considerazioni che seguono, senza che il riferito quadro delle pronunce massimate renda necessaria, o anche solo opportuna, la rimessione della questione alle Sezioni unite (in definitiva, per quanto ricordato, solo la sentenza 12260/2003 costituendo allo stato precedente in termini contrario). Il microsistema normativo destinato al tema della conoscibilità della sentenza, comprensiva della deliberazione e della motivazione che spiega la prima, è costituito in particolare dagli artt. 544, 545, 548 e 585 c.p.p.. Il legislatore ha previsto in via generale i due casi, della motivazione contestuale (545 comma 2 e comma 3) e della motivazione differita (548.2 e .3); nel secondo caso, la scelta normativa ha perseguito un preciso equilibrio tra le esigenze di razionalità ed economia processuale e la tutela indefettibile per l’esercizio del diritto di difesa nella peculiare occasione dell’impugnazione del provvedimento deliberato. Tale equilibrio è raggiunto con la previsione di un sistema legale di termini generali predefiniti, termini pertanto ex lege ed operanti con automatismo, collegati alle due fattispecie che possono verificarsi. Così, si prevede un termine ordinario per il deposito della sentenza (il quindicesimo giorno da quello della pronuncia, 544 comma 2) dalla cui scadenza decorre il termine per l’impugnazione, ma contestualmente si attribuisce al giudice la facoltà di indicare un termine più lungo purché non eccedente il novantesimo giorno da quello della pronuncia (544 comma 3: si noti, il giudice può indicare qualsiasi giorno all’interno dei novanta ex lege, quindi pure con riferimento diretto al calendario compreso in tale periodo e senza, in particolare, essere vincolato ad indicazioni che corrispondano a numeri - venti, trenta, quarantacinque, sessanta - che in qualche modo possono trovare fonte in altre disposizioni processuali). Quando il giudice deposita la motivazione entro tali termini previsti ex lege, nessuna notificazione o comunicazione è dovuta ad alcuna delle parti, pubblica o privata, sicché è onere delle stesse attivarsi per la concreta conoscenza del contenuto della sentenza e il conseguente rispetto dei termini per impugnare (585 comma primo lett. a-, b-, c-, in relazione al comma secondo lettere b - e c - prima parte). Quando invece il giudice non osserva per il deposito il termine generale, o quello diverso che ha indicato nel dispositivo (e prescindendo in questa sede dal tema della valenza della proroga prevista dall’art. 154 comma 4 bis disp. att. c.p.p.), alle parti deve essere comunicato e notificato l’avviso del deposito (tardivo) della sentenza (548 comma 2 in relazione all’art. 585 comma 2 lett. c - seconda parte). Ciò che va evidenziato, in questo microsistema, è che l’indicazione di un maggior termine per il deposito non è attribuita alla pura discrezionalità del giudice, ma è ancorata alla sussistenza di specifici requisiti (544 comma 3) il cui elemento unificante è quello di costituire ragioni che rendono non possibile l’osservanza del termine generale di quindici giorni. Da qui il perseguimento dell’equilibrio (tra efficienza ed economia del microsistema relativo al deposito della motivazione non contestuale e salvaguardia del diritto di difesa) con la corrispondente, e consequenziale, previsione ex lege di un maggior termine. Pertanto, a ben vedere, il deposito anticipato della motivazione (specialmente quando lo scostamento dei tempi sia imponente) se costituisce da un lato un obiettivo segno dell’inadeguatezza Arch. nuova proc. pen. 4/2014 363 giur L e g i t t i m i tà della preventiva valutazione del giudice, tuttavia non può essere apprezzato come una “revoca” della precedente valutazione di complessità (nelle sue varie possibili forme di sussistenza) né, tantomeno e in assenza di una previsione normativa conforme, può determinare gli effetti propri di un provvedimento di revoca della precedente statuizione. In questi termini va pertanto condiviso e ribadito il precedente indirizzo prevalente, che nega rilievo ed efficacia alla notificazione, o alla comunicazione, di un deposito anticipato rispetto al termine precedentemente indicato nel dispositivo, perchè ciò determinerebbe una violazione del diritto di difesa, come in via generale e con apprezzamento preliminare, tutt’altro che manifestamente irrazionale, costituito dal legislatore quanto ai termini per impugnare. 5.3 Se questa è la ricostruzione generale del microsistema de quo (valida ed efficace pertanto per ogni imputato, che sia stato presente o sia stato qualificato assente al momento della deliberazione), ugualmente condivisibile è la ulteriore conclusione, relativa specificamente all’imputato contumace, che esclude la possibilità di interpretare il combinato disposto del terzo comma dell’art. 548 e la lettera d - del secondo comma dell’art. 585 in termini peggiorativi, conducendo sostanzialmente alla compressione del diritto di difesa dell’imputato contumace ed inevitabilmente al suo trattamento sfavorevole, rispetto a quello degli imputati presenti o assenti. Ed in effetti l’espressione “in ogni caso”, con cui il terzo comma dell’art. 548 prevede l’obbligo di notificare sempre all’imputato contumace l’avviso di deposito con l’estratto della sentenza, deve essere interpretato nel senso dell’ampliamento delle garanzie, non della loro compressione (che sarebbe in sé manifestamente irrazionale e determinerebbe una disparità di trattamento essa pure palesemente irrazionale). “In ogni caso”, pertanto, non può che significare che, quale che sia il termine del deposito della sentenza (contestuale, ordinario, più lungo indicato dal giudice nel dispositivo) e a prescindere dal rispetto o meno del termine assegnato dalla legge o indicato dal giudice per il deposito, all’imputato contumace deve essere notificato non solo l’avviso di deposito ma anche l’estratto contumaciale della sentenza: ciò spiega la corrispondente previsione della lettera d - del secondo comma dell’art. 585 (che prevede la decorrenza del termine per impugnare dall’esecuzione della notificazione dell’avviso di deposito con l’estratto del provvedimento: sull’inconfigurabilità di alcuna equipollenza con altro atto, sez. un., sent. 35402/2003; sez. VI sent. 7706/2004; sez. I, sent. 3798/2001). Appare così francamente asistematica una lettura del comma 2 lett. d dell’art. 585 c.p.p. che finisce con l’estrapolare la lettera della norma dal contesto sistematico dell’intero articolo, quando tale contesto individua il giorno di esecuzione dell’avviso di deposito con estratto contumaciale in una prospettiva che vede quel momento fisiologicamente seguire l’avvenuta scadenza dei termini di deposito e meccanismo che consente l’attivazione della decorrenza dei termini per impugnare, anche per l’imputato contumace. 364 4/2014 Arch. nuova proc. pen. In altri e conclusivi termini, il combinato disposto degli artt. 544, 548 comma 3 e 585 comma 2 lett. d - c.p.p. prevede per il contumace una garanzia aggiuntiva: al sistema di termini ex lege delineato dagli artt. 544 comma 2 e 3, 548 comma 1 e 2 e 585 comma 1 (che prevede in definitiva un termine complessivo dato dalla somma di quello generale o indicato dal giudice, sintomatico della valutata sussistenza di complessità, e di quello scelto dal legislatore con quantificazione automatica corrispondente ai vari casi), efficace per gli imputati presenti o assenti al momento della deliberazione, per il contumace si aggiunge la previsione della peculiare modalità (avviso di deposito con estratto) con cui l’informazione sull’esistenza della sentenza deve essere trasmessa. Modalità che “in ogni caso” deve essere seguita e dalla cui necessaria esecuzione solo decorre il termine per impugnare, senza che questa modalità di informazione possa determinare una contrazione del termine complessivo stabilito in via generale dal legislatore. 5.4 Deve pertanto essere ribadito il principio di diritto che per l’imputato contumace il termine per impugnare decorre dall’esecuzione della notificazione dell’avviso di deposito con l’estratto del provvedimento, quando tale notificazione avvenga dopo la scadenza dei termini di cui all’art. 544, commi due e tre, c.p.p., e dalla loro scadenza quando la notificazione sia eseguita antecedentemente. (Omissis) Corte di cassazione penale sez. II, 21 marzo 2014, n. 13244 (ud. 7 marzo 2014) Pres. Petti – Est. Gallo – P.M. Galasso (parz. diff.) – Ric. Lazzaro ed altri Parte civile y Legittimazione e interesse y Comune y Per reati commessi nel proprio territorio y Da privati in danno di altri privati y Potenziale danno all’immagine della città y Configurabilità in concreto del danno y Necessità y Fattispecie in tema di costituzione di parte civile da parte di Comune nei confronti di alcuni soggetti resisi responsabili dei reati di usura ed estorsione a danno di altri concittadini. . In tema di costituzione di parte civile da parte di un comune per reati che siano stati commessi nel proprio territorio, premesso che, in astratto, qualunque reato posto in essere da privati in danno di privati può arrecare danno all’immagine della città in cui esso è stato perpetrato, occorre tuttavia, perché sia riconosciuta la legittimazione del comune a costituirsi parte civile, che quel danno sia concretamente configurabile. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha annullato la decisione del giudice di merito che, nell’accogliere la costituzione di parte civile di un comune nei confronti di taluni soggetti resisi responsabili dei reati di usura ed estorsione in danno di privati, non aveva spiegato per quale ragione tali reati, privi di alcuna giur L e g i t t i m i tà proiezione esterna di tipo mafioso, avessero prodotto un danno all’immagine della città). (Mass. Redaz.) (c.p.p., art. 74; c.p.p., art. 629; c.p.p., art. 644) (1) (1) Nello stesso senso della pronuncia in epigrafe si vedano Cass. pen., sez. II, 4 gennaio 2013, n. 150, in Ius&Lex dvd n. 4/2014, ed. La Tribuna e Cass. pen., sez. I, 18 ottobre 1995, n. 10371, in questa Rivista 1996, 473. Svolgimento del processo 1. Con sentenza in data 23 maggio 2013, la Corte di appello di Catania, in parziale riforma della sentenza 11 giugno 2012 del Gup presso il Tribunale di Catania, assolto Papaserio Felice dal reato ascrittogli al capo D) e qualificato il fatto di cui al capo E) come tentata estorsione aggravata, rideterminava la pena in anni tre di reclusione ed €. 600,00 di multa; riduceva le pene inflitte agli altri imputati per i reati di usura ed estorsione loro ascritti, provvedendo a rideterminarle in anni cinque di reclusione ed € 1.000,00 di multa per Lazzaro Bartolo Carmelo ed in anni quattro di reclusione ed €. 600,00 di multa ciascuno per Scuderi Salvatore e Rando Tiziano. 3. Avverso tale sentenza propongono ricorso Lazzaro Bartolo Carmelo, Scuderi Salvatore, Rando Tiziano e Papaserio Felice per mezzo dei rispettivi difensori di fiducia. 4. Lazzaro Bartolo Carmelo solleva quattro motivi di gravame con il quali deduce 4.1 Violazione di legge e vizio della motivazione in relazione all’art. 644 c.p.. Al riguardo eccepisce che nella fattispecie non sussistono gli estremi della condotta punibile per il reato di usura non essendo stato accertato né il tasso usurario, né quali somme siano state consegnate al ricorrente. Eccepisce, inoltre che il mero esattore non concorre nel reato di usura ove non riesca ad ottenere il pagamento del credito usurario poiché non fornisce un contributo causale alla realizzazione dell’elemento oggettivo del reato e precisa che dagli atti emerge chiaramente che la parte offesa non ha mai versato alcuna somma di denaro al ricorrente. Contesta inoltre il valore probatorio della conversazione registrata dalla stessa parte offesa, mancando del tutto la prova dell’avvenuto superamento del tasso soglia. Deduce, infine, che l’annullamento del reato di usura cui al capo B), travolge anche il reato di estorsione di cui al capo C). 4.2 Violazione di legge e vizio della motivazione, dolendosi del diniego delle attenuanti generiche e della assoluta mancanza di motivazione sulla richiesta di esclusione della recidiva. 4.3 Violazione di legge e vizio della motivazione, dolendosi della dosimetria della pena e del più severo trattamento sanzionatorio rispetto al coimputato Lazzaro Maurizio; 4.4 Vizio della motivazione in relazione alle doglianze poste a fondamento dell’impugnazione. 5. Scuderi Salvatore solleva 11 motivi di ricorso con i quali deduce: 5.1 Inosservanza o erronea applicazione dell’art. 74 c.p.p. dolendosi che la Corte d’appello abbia riconosciuto la legittimazione del Comune di Catania a costituirsi parte civile, sebbene l’ente territoriale non avesse subito alcun danno per le vicende oggetto del processo. 5.2 Mancanza o mera apparenza della motivazione in ordine alla ritenuta attendibilità della persona offesa. Al riguardo contesta che alle dichiarazioni della persona offesa, Licari Giuseppe possa essere attribuito il carattere della “spontaneità ed immediatezza” e che i contenuti di tali dichiarazioni si siano mantenuti costanti nel tempo. Per l’effetto richiama una serie di contraddizioni nelle numerose versioni fornite dal Licari agli inquirenti sul ruolo dello Scuderi. Eccepisce, inoltre, che anche in relazione all’estorsione le dichiarazioni del Licari sono assolutamente contrastanti fra di loro. Infine contesta che le inaffidabili dichiarazioni della persona offesa abbiano trovato riscontro in ulteriori emergenze investigative, dal momento che le uniche tre intercettazioni in atti che fanno riferimento allo Scuderi hanno un contenuto indiziante assolutamente irrilevante. 5.3 Inosservanza dell’art. 644 c.p. in riferimento all’elemento materiale del reato e vizio della motivazione sul punto. Al riguardo eccepisce che nella fattispecie manca la prova del patto usurario che da tutte le fonti di prova emerge che lo Scuderi è soggetto che presente l’Impellizzeri al Licari e rimane estraneo agli accordi fra i due, al punto che egli si è dovuto attivare a fronte dell’inadempienza del Licari, trovandosi obbligato egli stesso a soggiacere a pretese usurarie di terzi. 5.4 Inosservanza dell’art. 644 c.p. in riferimento all’elemento soggettivo del reato e vizio della motivazione sul punto. In proposito eccepisce che la richiesta di denaro avanzata dallo Scuderi alla persona offesa, a titolo di ristoro di quanto ha dovuto sborsare per far fronte alle pressioni dell’Impellizzeri sono prive di coscienza e volontà di perseguire vantaggi usurari. 5.5 Inosservanza dell’art. 629 c.p. in riferimento all’elemento materiale del reato e vizio della motivazione sul punto. Il ricorrente contesta che nella fattispecie sussistano gli estremi del reato di estorsione per l’assenza di violenza o minaccia e fornisce una diversa lettura degli episodi interpretati come minacciosi. 5.6 Inosservanza dell’art. 629 c.p. in riferimento all’elemento soggettivo del reato e vizio della motivazione sul punto. Al riguardo eccepisce che nella condotta dell’agente manca il dolo tipico del reato di estorsione che deve abbracciare anche la consapevolezza dell’ingiustizia del profitto, avendo, invece, lo Scuderi preteso solo quanto gli era dovuto. 5.7 Inosservanza dell’art. 61 n. 7 c.p. e vizio della motivazione sul punto. In proposito si duole che i giudici dell’appello abbiano confermato l’applicazione dell’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità, senza specificare quali e quante somme avrebbe ricevuto lo Scuderi dalla persona offesa. 5.8 Inosservanza dell’art. 628, comma 3, n. 1, c.p. e vizio della motivazione sul punto, dolendosi che non sussistono le condizioni per l’applicazione dell’aggravante della minaccia commessa da più persone riunite. Arch. nuova proc. pen. 4/2014 365 giur L e g i t t i m i tà 5.9 Inosservanza ed erronea applicazione dell’aggravante di cui all’art. 61, n. 2 c.p. e vizio della motivazione sul punto. Al riguardo eccepisce che non poteva essere applicata al prevenuto l’aggravante di aver commesso il fatto di estorsione al fine di poter eseguire il delitto di cui al capo J, non essendo stato tale reato contestato allo Scuderi. 5.10 Inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 62, bis c.p. e vizio della motivazione sul punto, dolendosi de1 diniego delle attenuanti generiche. 5.11 Inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 133 c.p. e vizio della motivazione sul punto, dolendosi della dosimetria della pena. 6. Rando Tiziano solleva tre motivi di gravame con i quali deduce: 6.1 Mancanza della motivazione in relazione a specifiche questioni sollevate con il primo motivo d’appello e violazione dell’art. 192 e 530 c.p.p.. Al riguardo eccepisce che riguardo al contestato delitto di usura la Corte territoriale non ha fornito alcuna risposta in ordine alle somme che il Rando avrebbe percepito, alla luce del fatto che le indagini della G.d.F. avevano concluso che non era stato possibile accertare quanto il Licari avesse ricevuto e quanto avesse restituito. Quanto all’estorsione si duole che la sentenza impugnata abbia fondato la responsabilità dell’imputato esclusivamente sulla base delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, lasciando senza risposta le censure della difesa in ordine all’inattendibilità di costui. 6.2 Vizio della motivazione e violazione di legge con riferimento alla mancata derubricazione del reato di estorsione in tentativo di estorsione. 6.3 Mancanza della motivazione in relazione a specifiche questioni sollevate con il terzo motivo d’appello con il quale si chiedeva di escludere l’applicazione delle aggravanti: - ex art. 61 n. 7 c.p. in relazione all’art. 644; - ex art. 644, commi 1 e 4 n. 3 c.p.; - ex art. 61 n. 2 e 7 in relazione all’art. 629 c.p.; - ex art. 628 comma 3, n. 1, in relazione all’art. 629 c.p. nonché di ridurre al minimo l’applicazione dell’art. 81 e concedere le attenuanti generiche. 7. Papaserio Felice solleva due motivi di gravame con i quali deduce: 7.1 Violazione di legge in relazione agli artt. 56 e 629 c.p. e vizio della motivazione sul punto. Al riguardo contesta la sussistenza degli estremi del delitto punibile per il reato di minaccia anche sotto il profilo del tentativo essendo inattendibili le dichiarazioni della persona offesa, la quale, peraltro, non fa mai accenno a comportamenti di violenza o di minaccia perpetrati nei suoi confronti. 7.2 Violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla non riscontrata mancanza di legittimazione del Comune di Catania e dell’azienda dei trasporti a costituirsi parte civile. Motivi della decisione 1. Preliminarmente occorre rilevare che sono fondate le censure in punto di difetto di legittimazione a costi- 366 4/2014 Arch. nuova proc. pen. tuirsi parte civile con riferimento al Comune di Catania ed all’Azienda siciliana trasporti - AST S.p.a. sollevate dalla difesa di Scuderi e Papaserio. In primo grado tutti gli imputati sono stati condannati al risarcimento del danno nei confronti della parte civile Comune di Catania, da liquidarsi in separata sede, nonché il Papaserio anche al risarcimento del danno in favore dell’azienda Siciliana Trasporti, da liquidarsi in separata sede, ed il giudice d’appello ha confermato tali statuizioni civili, assorbendo la motivazione del giudice di primo grado. In punto di diritto non v’è dubbio che l’Ente territoriale sia legittimato a costituirsi parte civile per far valere il proprio diritto al risarcimento del danno all’immagine, ove effettivamente subito. In materia di reati associativi, la giurisprudenza di questa Corte ha riconosciuto che il Comune nel quale la associazione si è insediata ed ha operato ha per ciò stesso titolo alla costituzione di parte civile, quanto meno per il danno che la presenza dell’associazione a delinquere arreca all’immagine della città, allo sviluppo turistico ed alle attività produttive ad esso correlate (Cass. sez. I, sentenza n. 10371 del 8 luglio 1995 ud., dep. 18 ottobre 1995, Rv. 202736; da ultimo, sez. II, sentenza n. 150 del 18 ottobre 2012 ud., dep. 4 gennaio 2013, Rv. 254675). In astratto qualunque reato commesso da privati in danno di privati può produrre un danno all’Ente territoriale, ma perchè sia riconosciuta la legittimità alla costituzione come parte civile del Comune che invoca un danno all’immagine, occorre che tale danno sia concretamente configurabile. Nel caso di specie il Gup ha ritenuto sussistente il danno all’immagine per il Comune e l’AST affermando che: «appare invero indubbio che i fatti in contestazione abbiano creato un vulnus all’immagine dell’Ente locale, nonché della società datrice di lavoro, sub specie di perdita di prestigio e di considerazione da parte dei consociati o di settori o di categorie con le quali le predette parti civili interagiscono». Tuttavia il Gup non ha spiegato per quale ragione dei fatti di usura ed estorsione commessi da privati in danno di privati, senza alcuna proiezione esterna di tipo mafioso, abbiano causato un danno all’immagine ai due Enti territoriali. Di conseguenza la condanna al risarcimento del danno nei confronti del Comune e dell’Azienda Siciliana Trasporti deve essere annullata senza rinvio per essere il danno civile inesistente. Dell’annullamento si giovano anche gli imputati non ricorrenti in punto di statuizioni civili in virtù del principio dell’estensione dell’impugnazione di cui all’art. 587 c.p.p. 2. Per quanto riguarda le altre questioni sollevate dai ricorrenti, sempre in via preliminare, occorre rilevare, in punto di diritto, che la sentenza appellata e quella di appello, quando non vi è difformità sulle conclusioni raggiunte, si integrano vicendevolmente, formando un tutto organico ed inscindibile, una sola entità logico giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione. Pertanto, il giudice di appello, in caso di pronuncia conforme a quella appellata, può limitarsi a rinviare per relationem a quest’ultima sia nella ricostruzione del fatto sia nelle parti non oggetto di specifiche censure (Cass. sez. I, sentenza n. 4827 del 28 giur L e g i t t i m i tà aprile 1994, ud. 18 marzo 1994, Rv. 198613, Lo Parco; sez. VI, sentenza n. 11421 del 25 novembre 1995, ud. 29 settembre 1995, Rv. 203073, Baldini). Inoltre, la giurisprudenza di questa Suprema Corte ritiene che non possano giustificare l’annullamento minime incongruenze argomentative o l’omessa esposizione di elementi di valutazione che, ad avviso della parte, avrebbero potuto dar luogo ad una diversa decisione, sempreché tali elementi non siano muniti di un chiaro e inequivocabile carattere di decisività e non risultino, di per sè, obiettivamente e intrinsecamente idonei a determinare una diversa decisione. In argomento, si è spiegato che non costituisce vizio della motivazione qualsiasi omissione concernente l’analisi di determinati elementi probatori, in quanto la rilevanza dei singoli dati non può essere accertata estrapolandoli dal contesto in cui essi sono inseriti, ma devono essere posti a confronto con il complesso probatorio, dal momento che soltanto una valutazione globale e una visione di insieme permettono di verificare se essi rivestano realmente consistenza decisiva oppure se risultino inidonei a scuotere la compattezza logica dell’impianto argomentativo, dovendo intendersi, in quest’ultimo caso, implicitamente confutati. (Cass. sez. V, sentenza n. 3751 del 23 marzo 2000, ud. 15 febbraio 2000, Rv. 215722, Re Carlo; sez. V, sentenza n. 3980 del 15 ottobre 2003, ud. 23 settembre 2003, Rv.226230, Fabrizi; sez. V, sentenza n. 7572 del 11 giugno 1999, ud. 22 aprile 1999, Rv. 213643, Maffeis). Le posizioni della giurisprudenza di legittimità rivelano, dunque, che non è considerata automatica causa di annullamento la motivazione incompleta né quella implicita quando l’apparato logico relativo agli elementi probatori ritenuti rilevanti costituisca diretta ed inequivoca confutazione degli elementi non menzionati, a meno che questi presentino determinante efficienza e concludenza probatoria, tanto da giustificare, di per sè, una differente ricostruzione del fatto e da ribaltare gli esiti della valutazione delle prove. 3. In applicazione di tali principi, può osservarsi che la sentenza di secondo grado recepisce in modo critico e valutativo la sentenza di primo grado, correttamente limitandosi a ripercorre, e ad approfondire alcuni aspetti del complesso probatorio oggetto di valutazione critica da parte della difesa, omettendo, in modo del tutto legittimo in applicazione dei principi sopra enunciati, di esaminare quelle doglianze degli atti di appello che avevano già trovato risposta esaustiva nella sentenza del primo giudice, salvo quanto si dirà con riferimento alle singole posizioni. 4. Lazzaro Bartolo Carmelo. Per quanto riguarda il primo motivo, le censure circa l’insussistenza dell’elemento oggettivo del reato di usura non sono fondate. Il semplice richiamo ad un passo della C.N.R. (che peraltro non è stata allegata al ricorso) in cui la G.d.F. rileva che, alla luce della documentazione fornita dal Licari non è stato possibile accertare il tasso di interesse usurario, non è elemento, di per sé, idoneo a ribaltare le tenuta del tessuto argomentativo delle due sentenze di merito, unitariamente considerate, dal momento che la natura usuraria del mutuo di cui al capo B), anche se non potuta accertare sulla base di documentazione contabile, emerge da un complesso di elementi nei quali convergono le dichiarazioni della persona offesa, gli esiti delle attività investigative, anche captative e le dichiarazioni di altri soggetti informati sui fatti. Quanto alla posizione di Lazzaro Bartolo Carmelo che contesta la sussistenza degli estremi del suo concorso nel reato di usura sul presupposto di aver svolto solo la funzione dell’esattore senza riuscire nello scopo, è inconferente il richiamo alla giurisprudenza citata dal ricorrente. È ben vero che questa Sezione con la sentenza n. 41045/2005 ha statuito che, poichè, a seguito delle modifiche introdotte dalla legge 7 marzo 1996 n. 108, si deve ritenere che il reato di usura sia annoverabile tra i delitti a “condotta frazionata” o a “consumazione prolungata”, concorre nel reato previsto dall’art. 644 c.p., solo colui il quale, ricevuto l’incarico di recuperare il credito usurario, sia riuscito a ottenerne il pagamento; negli altri casi, l’incaricato risponde del reato di favoreggiamento personale o, nell’ipotesi di violenza o minaccia nei confronti del debitore, di estorsione, posto che il momento consumativo del reato di usura rimane quello originario della pattuizione (Cass. sez. II., sentenza n, 41045 del 13 ottobre 2005 c.c., dep. 11 novembre 2005, Rv. 232698). Tuttavia dalla lettura delle sentenze dei giudici di merito non emerge che il Lazzaro si sia limitato ad esercitare il ruolo di esattore, senza ottenere risultato alcuno. Al contrario il fatto che sia stata riconosciuta la sua responsabilità nel reato di estorsione consumata, in concorso con altri, dimostra che le somme oggetto della pattuizione illecita degli interessi sono state - almeno in parte - riscosse. 5. Per quanto riguarda il secondo motivo, sono infondate le censure del ricorrente in punto di diniego delle attenuanti generiche, avendo la Corte d’appello sul punto specificamente e correttamente motivato. È fondata, invece, la censura in punto di recidiva. Secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite, infatti, in tema di recidiva facoltativa, è richiesto al giudice uno specifico dovere di motivazione sia ove egli ritenga sia ove egli escluda la rilevanza della stessa (Cass. sez. un., sentenza Il. 5859 del 27 ottobre 2011 ud., dep. 15 febbraio 2012, Rv. 251690). Nel caso di specie, a fronte di una specifica richiesta dell’appellante, la Corte territoriale ha applicato la recidiva senza un rigo di motivazione. 6. Infine per quanto riguarda il terzo motivo, sono infondate le censure in merito alla dosimetria della pena in quanto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, nell’ipotesi in cui la determinazione della pena non si discosti eccessivamente dai minimi edittali, il giudice ottempera all’obbligo motivazionale di cui all’art. 125, comma terzo, c.p., anche ove adoperi espressioni come “pena congrua”, “pena equa”, “congruo aumento”, ovvero si richiami alla gravità del reato o alla personalità del reo (Cass. sez. III, sentenza n. 33773 del 29 maggio 2007 ud., dep. 3 settembre 2007, Rv. 237402). É stato, poi, ulteriormente precisato che la specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella Arch. nuova proc. pen. 4/2014 367 giur L e g i t t i m i tà edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 c.p. le espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (Cass. sez. II, sentenza n. 36245 del 26 giugno 2009 ud., dep.18 settembre 2009, Rv. 245596). Nel caso di specie la pena inflitta è molto al di sotto della misura media di quella edittale. Pertanto nessuna censura può essere mossa, sotto questo profilo alla sentenza impugnata, né può essere preso in considerazione l’argomento della disparità di trattamento rispetto alla pena inflitta al padre del ricorrente, trattandosi di posizioni differenti e di imputato giudicato separatamente. 7. Di conseguenza la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti di Lazzaro Bartolo Carmelo, limitatamente alla motivazione in punto di recidiva, con rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Catania per nuovo giudizio. 8. Scuderi Salvatore. Per quanto riguarda la legittimazione della parte civile Comune di Catania, il ricorso è fondato per quanto detto sopra. 9. Per quanto riguarda il secondo motivo, le censure in punto di inattendibilità della persona offesa ripropongono le medesime obiezioni già sollevate con i motivi d’appello che la Corte territoriale ha preso in considerazione e confutato con motivazione sufficiente e priva di vizi logici, correttamente limitandosi a ripercorrere e ad approfondire alcuni aspetti del complesso probatorio oggetto di valutazione critica da parte della difesa (cfr. pagg. 13 e 14). Pertanto le censure del ricorrente non possono trovare accoglimento. 10. Per quanto riguarda il terzo motivo ed il quarto motivo in punto di insussistenza dell’elemento oggettivo e dell’elemento soggettivo del reato di usura, le obiezioni del ricorrente ripropongono le medesime tesi difensive già sollevate con i motivi d’appello che la Corte territoriale ha superato, mediante il richiamo alla motivazione della sentenza di primo grado e mediante l’analisi della condotta dello Scuderi, alla luce delle numerose denunce e dichiarazioni del Licari e delle stesse dichiarazioni dell’imputato rese nella fase cautelare e nel giudizio di primo grado. Il tessuto argomentativo delle due sentenze di merito rende ragione della sussistenza dell’elemento obiettivo del reato di usura e del dolo dell’agente e non viene scalfito, sotto il profilo logico, dalle censure del ricorrente. 11. Anche le censure sollevate con il quinto e sesto motivo in punto di insussistenza dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato di estorsione ripropongono le tesi difensive in punto di inesistenza della condotta minacciosa che i giudici del merito hanno valutato e respinto con motivazione congrua. Nè si può ragionevolmente accedere alla tesi che la minaccia di mettere in contatto il Licari con i malavitosi che avevano prestato a Scuderi il denaro da anticipare ad Impellizzeri non sia condotta minacciosa, bensì «richiesta di aiuto ed informazione qualificata e veritiera». Tale informazione qualificata e veritiera non v’è dubbio che integri gli estremi della minaccia in quanto, secondo la lezione di questa Corte, la minaccia costitutiva 368 4/2014 Arch. nuova proc. pen. del delitto di estorsione, oltre ad essere palese ed esplicita, può essere manifestata anche in maniera implicita ed indiretta, essendo solo necessario che sia idonea ad incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo, in relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell’agente, alle condizioni soggettive della vittima e alle condizioni ambientali in cui questa opera (Cass. sez. II, sentenza n. 19724 del 20 maggio 2010 c.c., dep. 25 maggio 2010, Rv. 247117). 12. Sono infondate le censure sollevate con il settimo motivo in punto di applicazione dell’aggravante del danno patrimoniale di rilevante entità. La sentenza di primo grado ha effettuato una ricostruzione dei fatti dalla quale emerge la natura fittizia del preliminare di vendita stipulato dal Licheri a favore di Impellizzeri Paolo, siccome inteso a fornire delle garanzie reali a fronte della concessione di un mutuo a tassi usurari. Quindi correttamente il Gup ha concluso che le circostanze esaminate «dimostrano il pieno coinvolgimento del Votadoro e dello Scuderi in detta operazione in quanto dimostrative dell’attività di intermediazione da essi svolta». Pertanto correttamente il Gup ha riconosciuto l’aggravante di cui all’art. 61 n. 7 c.p. poiché essa si riferisce al danno complessivamente subito dalla persona offesa per le condotte usurarie ed estorsive alle quali lo Scuderi ha concorso. 13. Ugualmente infondate sono le censure circa l’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 628, comma 3, n. 1, c.p.. I giudici del merito hanno riconosciuto come affidabili le dichiarazioni della persona offesa e dagli atti emerge che il Licari ha dichiarato di essere stato minacciato in più occasioni dallo Scuderi accompagnato da tale Pino e da tale Emanuele (cfr. dichiarazioni rese il 27 luglio 2011 e riportate a pag. 48/49 della sentenza di primo grado). Di conseguenza anche l’ottavo motivo deve essere rigettato in quanto correttamente i giudici del merito hanno applicato l’aggravante della presenza di più persone riunite con riferimento al reato di estorsione contestato al capo H). 14. Quanto all’aggravante teleologica, è evidente che tale aggravante non si riferisce al capo J che non risulta contestato allo Scuderi, ma alla condotta di cui al capo G). Del resto il tenore letterale dell’imputazione non lascia dubbi sul fatto che l’aggravante del fine di coprire capitali ed interessi usurari, si riferisce al reato di usura contestato a Scuderi Salvatore e Votadoro Giacomo al capo G). Pertanto anche il nono motivo deve essere rigettato, in quanto i giudici del merito correttamente hanno applicato l’aggravante di cui all’art. 61, n. 2 c.p. 15. Infine sono infondate anche le censure in punto di diniego delle attenuanti generiche e di dosimetria della pena sollevate con i motivi 10 e 11. Quanto alle generiche la Corte d’appello ha specificamente motivato sul punto osservando che alla concessione delle attenuanti generiche «ostano la gravità e la reiterazione dei fatti ed il mediocre comportamento processuale (improntato alla mistificazione di una vicenda per molti aspetti conclamata)». Non v’è dubbio che l’apprezzamento circa la gravità dei fatti ed il comportamento processuale del prevenuto costituiscono giur L e g i t t i m i tà elementi rilevanti ex artt. 133 e 62 bis c.p. per cui nessuna censura può essere mossa sotto questo aspetto alla sentenza impugnata. Ugualmente infondate sono le censure in merito al trattamento sanzionatorio. Al riguardo valgono le osservazioni sviluppate al punto 6) con riferimento alla posizione di Lazzaro Bartolo Carmelo. 16. Rando Tiziano. Per quanto riguarda le censure sollevate con il primo motivo di ricorso, valgono le osservazioni svolte in via preliminare ai punti 2) e 3). Nel caso di specie, la sentenza di secondo grado recepisce in modo critico e valutativo la sentenza di primo grado, correttamente limitandosi a ripercorrere e ad esaminare per somme linee alcuni aspetti del complesso probatorio oggetto di valutazione critica da parte della difesa, omettendo, in modo del tutto legittimo in applicazione dei principi sopra enunciati, di esaminare quelle doglianze degli atti di appello che avevano già trovato risposta esaustiva nella sentenza del primo giudice. Nè il ricorrente è stato in grado di indicare elementi idonei a rovesciare la ricostruzione dei giudici del merito che non siano stati esaminati ovvero siano stati travisati dal giudice d’appello, che ha rilevato che «nessuna delle imprecisioni e lacune segnalate nell’atto di impugnazione appaiono idonee, stante la concreta modestia e la evidente marginalità a scalfire la complessiva attendibilità delle accuse specificamente rivolte al Rando». 17. Per le stesse ragioni devono essere respinte le censure sollevate con il secondo motivo in punto di derubricazione del delitto di estorsione consumata in tentativo. La Corte territoriale ha esaminato l’analoga richiesta sollevata con i motivi d’appello e la respinta con motivazione congrua, osservando che: «il Licari ha chiaramente riferito delle costanti minacce ricevute ad opera del Rando, non solo nel periodo successivo alla ritenuta estinzione del debito, ma anche precedentemente senza esprimere soluzioni di continuità». 18. Infine devono essere respinte anche le censure sollevate con il terzo motivo in punto di sussistenza delle contestate aggravanti. Sul punto correttamente la sentenza impugnata rimanda alla sentenza del Gup perchè le obiezioni del ricorrente in ordine alla sussistenza delle aggravanti hanno già trovato risposta esaustiva e giuridicamente corretta nella motivazione della sentenza di primo grado (pagg. 4, 5 e 6). 19. Papaserio Felice. É infondato il primo motivo di ricorso in punto di violazione di legge e vizi della motivazione. Anche in questo caso le contestazioni del ricorrente riguardano l’affidabilità delle dichiarazioni a suo carico della persona offesa. Senonchè nel caso di specie, come rileva la Corte d’appello - le indicazioni del Licari sono state riscontrate dagli esiti del servizio di appostamento della Guardia di Finanza. Nè sarebbe possibile dubitare del carattere anche implicitamente minaccioso delle pressanti richieste del Papaserio circa il pagamento del debito in favore del Rando. Di conseguenza anche il ricorso del Rando deve essere rigettato, salvo quanto si è detto sopra in punto di annullamento delle statuizioni civili. (Omissis) I Corte di cassazione penale sez. II, 21 marzo 2014, n. 13218 (ud. 20 febbraio 2014) Pres. Petti – Est. Lombardo – P.M. Romano (parz. diff.) – Ric. Camarda ed altri Giudizio penale di primo grado y Dibattimento y Rinvio e sospensione y Impedimento del difensore y Per adesione all’astensione collettiva dalle udienze y Espressa con atto scritto y Termini y Individuazione. . La richiesta di rinvio dell’udienza per adesione del difensore all’astensione collettiva dalle udienze non può essere accolta ove non risultino osservate le condizioni previste dal codice di autoregolamentazione, ivi compresa, in particolare, quella dettate dell’art. 3, lett. b), di detto codice, nella parte in cui dispone che, quando l’adesione sia espressa con atto scritto, questo sia comunicato, con almeno due giorni di anticipo, oltre che all’autorità procedente, anche agli altri avvocati costituiti. (Mass. Redaz.) (c.p.p., art. 420 ter; l. 12 giugno 1990, n. 146) (1) II Corte di cassazione penale sez. II, 21 marzo 2014, n. 13215 (ud. 20 febbraio 2014) Pres. Petti – Est. Lombardo – P.M. Romano (parz. diff.) – Ric. Rodia Giudizio penale di primo grado y Dibattimento y Rinvio e sospensione y Impedimento del difensore y Per adesione all’astensione collettiva dalle udienze y Espressa con atto scritto y Termini y Comunicazione tardiva. . In tema di adesione del difensore all’astensione collettiva dalle udienze deliberata dagli organi rappresentativi della categoria, quando essa venga espressa con atto scritto, la relativa comunicazione deve ritenersi tardiva, rispetto al termine di almeno due giorni di anticipo previsto dall’art. 3, lett. b), del codice di autoregolamentazione, quando pervenga all’ufficio destinatario oltre l’orario di chiusura del medesimo. (Mass. Redaz.) (c.p.p., art. 420 ter; c.p.p., art. 486) (2) (1) Non risultano editi precedenti che affrontino l’esatta fattispecie. Sulla natura del Codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati, si veda Cass. pen., sez. un., 19 giugno 2013, n. 26711, in Ius&Lex dvd n. 4/2014, ed. La Tribuna. (2) Nello stesso senso si esprime Cass. pen., sez. I, 3 giugno 1998, n. 6528, in Ius&Lex dvd n. 4/2014, ed. La Tribuna. Cfr. sul tema Cass. pen., sez. II, 12 giugno 2009, n. 24533, in questa Rivista 2010, 769. Arch. nuova proc. pen. 4/2014 369 giur L e g i t t i m i tà I Svolgimento del processo Con sentenza del 28 luglio 2011, il G.I.P. del Tribunale di Palermo, in esito a giudizio abbreviato, dichiarò Camarda Paolo colpevole dei reati di cui agli artt. 479 (per avere concorso con Amato Ignazio - titolare di uno “Sportello Telematico dell’Automobilista”, abilitato dal Ministero dei Trasporti al rilascio delle carte di circolazione relative a determinate categorie di autoveicoli - nella redazione di certificati di circolazione di diversi quadricicli contenenti false attestazioni), 489 (per avere fatto uso di certificati di idoneità per la circolazione contraffatti), 367 (per avere denunciato falsamente i furti dei quadricicli di cui sopra) e 640 (per avere consumato truffe in danno di diverse compagnie assicuratrici dalle quali riscuoteva indennizzi non dovutigli per i falsi episodi di furto denunciati); Sardina Davide colpevole del delitto di cui all’art. 367 (per avere denunciato falsamente il furto di un quadriciclo); Cordova Fabio colpevole dei reati di cui agli artt. 479 (per avere concorso con Amato Ignazio titolare di uno sportello telematico dell’Automobilista - nella redazione di un certificato di circolazione di un quadriciclo contenente false attestazioni), 489 (per avere fatto uso di un certificato di idoneità per la circolazione contraffatto) e 648 (per avere acquistato il quadriciclo proveniente dal furto patito da Santamaria Giuseppe); Lauria Daniele colpevole dei reati di cui agli artt. 479 (per avere concorso con Amato Ignazio - titolare di uno sportello telematico dell’Automobilista -nella redazione di un certificato di circolazione di un quadriciclo contenente false attestazioni), 489 (per avere fatto uso di un certificato di idoneità per la circolazione contraffatto) e 648 (per avere acquistato il quadriciclo proveniente dal furto patito da Li Vigni Francesco); e, unificati i reati sotto il vincolo della continuazione, li condannò alle pene ritenute di giustizia; condannò inoltre Camarda Paolo al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite Fondiaria - SAI Assicurazioni S.p.A., Milano Assicurazioni S.p.A. e Liguria Assicurazioni S.p.A. Avverso tale pronunzia gli imputati proposero gravame, ma la Corte di Appello di Palermo, con sentenza del 25 marzo 2013, confermò la decisione di primo grado. Ricorre per cassazione il difensore di Camarda Paolo e Sardina Davide, deducendo la violazione degli artt. 192 e 530 c.p.p., nonché la illogicità della motivazione, con riferimento alla mancata assoluzione dei suoi assistiti; deduce che i giudici di merito avrebbero errato nel valutare le prove, violando le regole dettate dagli artt. 192 ss. c.p.p.; a suo dire, una corretta valutazione delle prove avrebbe dovuto condurre la Corte di Appello ad assolvere gli imputati, per lo meno ai sensi dell’art. 530 comma 2 c.p.p. Ricorre per cassazione anche il difensore di Cordova Fabio, deducendo: 1) la violazione dell’art. 479 c.p., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata con riferimento alla ritenuta sussistenza del delitto di falsità ideologica in atto pub- 370 4/2014 Arch. nuova proc. pen. blico; deduce, in particolare, che il certificato di idoneità tecnica del quadriciclo di provenienza furtiva ricevuto dal Cordova era palesemente falso (perchè riportante una data - quella del 20 dicembre 2006 - successiva al 13 luglio 2006, data fino alla quale soltanto ne era consentito il rilascio dalla legge), conseguentemente esso non poteva essere accettato da un soggetto titolare di uno “Sportello Telematico dell’Automobilista” nell’esercizio delle sue pubbliche funzioni, ma solo al di fuori delle sue funzioni di pubblico ufficiale, non potendo peraltro gli estremi relativi al certificato di idoneità tecnica contraffatto essere accettati dal sistema telematico del C.E.D. del Ministero dei Trasporti; sarebbe stata, dunque, carente la qualità di pubblico ufficiale dell’Amato nella commissione della condotta contestata, sarebbe quindi insussistente il delitto di cui all’art. 479 per lo Amato e per lo stesso Cordova, quale extraneus concorrente; 2) la violazione degli artt. 489 e 476 c.p., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata con riferimento alla ritenuta sussistenza del delitto di uso di atto falso contestato con riferimento al certificato di idoneità tecnica contraffatto, non potendo tale certificato, proprio perchè vistosamente contraffatto, essere in alcun modo utilizzato e, tantomeno, essere immesso nel sistema informatico del Ministero dei Trasporti. Ricorre per cassazione, infine, il difensore di Lauria Daniele, deducendo la violazione degli artt. 192 c.p.p. e 110, 479, 789, 769, 648 c.p., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata con riferimento alla ritenuta irrilevanza della scrittura privata prodotta dalla difesa, costituita dal contratto di vendita datato 5 aprile 2008 sottoscritto da Camarda Paolo (quale venditore) e Lauria Daniele (quale compratore) avente ad oggetto il quadriciclo di provenienza furtiva ricevuto dal Lauria; deduce l’errore della Corte di Appello nell’aver ritenuto irrilevante tale documento e deduce, altresì, il carattere decisivo dello stesso, risultando da esso che la data di acquisto del quadriciclo da parte del Lauria è successiva rispetto ai delitti a lui contestati e che il venditore (Camarda Palo) si impegnava a provvedere personalmente egli stesso all’espletamento di tutte le pratiche necessarie alla immatricolazione del veicolo, conformemente a quanto nelle sue spontanee dichiarazioni il Camarda aveva dichiarato. In data 17 febbraio 2014, perveniva in cancelleria dichiarazione di adesione all’astensione proclamata dall’O.U.A. da parte del difensore delle parti civili costituite, avv. Luigi Ragno. Motivi della decisione 1. Preliminarmente va esaminata la dichiarazione di adesione all’astensione proclamata dall’O.U.A. da parte del difensore delle parti civili, con conseguente istanza di rinvio della trattazione del ricorso. L’istanza va rigettata. Com’è noto, il “Codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati”, adottato il 4 giur L e g i t t i m i tà aprile 2007 dalle organizzazioni rappresentative dell’avvocatura e approvato dalla “Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali”, ha valore di normativa secondaria (Cass., sez. un., n. 26711 del 30 maggio 2013 Rv. 255346); esso, perciò, è vincolante per gli avvocati, che, in tanto possono legittimamente aderire alle astensioni proclamate dalle associazioni di categoria, in quanto si adeguino alle prescrizioni del detto codice di autoregolamentazione. Orbene, l’art. 3 del Codice anzidetto stabilisce che la mancata comparizione dell’avvocato all’udienza «affinché sia considerata in adesione all’astensione regolarmente proclamata ed effettuata ai sensi della presente disciplina, e dunque considerata legittimo impedimento del difensore, deve essere alternativamente: a) dichiarata - personalmente o tramite sostituto del legale titolare della difesa o del mandato - all’inizio dell’udienza o dell’atto di indagine preliminare; b) comunicata con atto scritto trasmesso o depositato nella cancelleria del giudice o nella segreteria del pubblico ministero, oltreché agli altri avvocati costituiti, almeno due giorni prima della data stabilita». In proposito, va osservato che, dovendo il giudice verificare la legittimità dell’adesione all’astensione dalle udienze da parte del difensore, è onere di quest’ultimo - ove opti per la comunicazione scritta dell’adesione all’astensione all’ufficio giudiziario - fornire la prova di aver comunicato la sua dichiarazione di adesione all’astensione anche agli altri difensori costituiti. La prova può essere fornita con ogni mezzo. Ma in assenza di tale prova, il diritto all’astensione non può ritenersi legittimamente esercitato, per mancata osservanza dell’art. 3 del Codice di autoregolamentazione. Nel caso di specie, il difensore delle parti civili ha inviato via fax, alla cancelleria di questa Corte, la dichiarazione di adesione alla astensione di categoria, proclamata dall’O.U.A. per i giorni 18, 19 e 20 febbraio 2014. La comunicazione è pervenuta il giorno 17 febbraio 2014, in vista dell’udienza odierna del 20 febbraio 2014, ed è pertanto tempestiva. Ma il difensore non ha fornito la prova di avere esteso la detta comunicazione ai difensori dei ricorrenti, come prescritto dall’art. 3 del Codice di autoregolamentazione. Non solo non ha fornito prova di aver effettuato tale comunicazione, ma neppure ha affermato, nella sua dichiarazione di adesione all’astensione, di avervi provveduto. Pertanto, il diritto del difensore all’astensione non può dirsi legittimamente esercitato. In ragione della violazione dell’art. 3 del “Codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati”, l’istanza di rinvio della trattazione del procedimento deve, perciò, essere respinta. Sul punto, può dunque enunciarsi il seguente principio di diritto: «L’ adesione del difensore di fiducia all’astensione collettiva degli avvocati dalle udienze, perchè possa ritenersi legittima ai sensi dell’art. 3 del “Codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati”, adottato il 4 aprile 2007 dalle organizzazioni rappresentative dell’avvocatura, ove non sia comunicata (personalmente o tramite sostituto) in udienza dal difensore, deve essere da lui comunicata con atto scritto almeno due giorni prima della data stabilita per l’udienza, oltre che alla cancelleria del giudice procedente, anche agli altri avvocati costituiti; è onere del difensore che aderisce all’astensione - per consentire al giudice di controllare la legittimità della sua adesione all’astensione di categoria - fornire la prova di aver tempestivamente comunicato tale adesione agli altri difensori costituiti». 2. Passando all’esame dei ricorsi, rileva la Corte come il ricorso proposto congiuntamente da Camarda Paolo e Sardina Davide risulti inammissibile per assoluta genericità. Va ricordato che, secondo la giurisprudenza pacifica di questa Corte in tema di inammissibilità del ricorso per cassazione, i motivi devono ritenersi generici non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Cass., sez. V, n. 28011 del 15 febbraio 2013 Rv. 255568); cosicché è inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto d’impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato (cfr., ex plurimis, Cass., sez. II, n. 19951 del 15 maggio 2008 Rv. 240109). Ai fini della validità del ricorso per cassazione non è, dunque, sufficiente che il ricorso consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate e i limiti dell’impugnazione, ma è altresì necessario che le ragioni sulle quali esso si fonda siano esposte con sufficiente grado di specificità e che siano correlate con la motivazione della sentenza impugnata; con la conseguenza che se, da un lato, il grado di specificità dei motivi non può essere stabilito in via generale ed assoluta, dall’altro, esso esige pur sempre - a pena di inammissibilità del ricorso - che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle del ricorrente, volte ad incrinare il fondamento logico - giuridico delle prime. Pertanto, è onere del ricorrente, nel chiedere l’annullamento del provvedimento impugnato, prendere in considerazione gli argomenti svolti dal giudice di merito e sottoporli a critica, nei limiti - s’intende delle censure di legittimità. Orbene, nel caso di specie, i ricorrenti lamentano la illogicità della motivazione; deducono che i giudici di merito avrebbero mal valutato le prove, violando le regole dettate dagli artt. 192 ss. c.p.p.; deducono che una corretta valutazione delle prove avrebbe dovuto condurre la Corte di Appello ad assolvere gli imputati almeno ai sensi dell’art. 530 comma 2 c.p.p. Ma i ricorrenti omettono del tutto di prendere in considerazione argomentazioni svolte dai giudici di merito nella sentenza impugnata, per criticarle e per contrapporre ad esse altri argomenti, volti ad incrinarne il fondamento logico - giuridico. Con ciò, i loro ricorsi si palesano inammissibili per genericità. Arch. nuova proc. pen. 4/2014 371 giur L e g i t t i m i tà E peraltro, altra ragione di inammissibilità si coglie nella natura delle censure mosse alla sentenza impugnata. I ricorrenti, infatti, criticano - sotto mentite spoglie - la valutazione delle prove da parte dei giudici di merito e le conclusioni cui essi sono pervenuti in ordine alla loro penale responsabilità. Va ricordato, tuttavia, che la valutazione delle prove è riservata, in via esclusiva, all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, e non è sindacabile in cassazione; a meno che ricorra una mancanza o una manifesta illogicità della motivazione (nei termini chiariti da: Cass., sez. un., n. 24 del 24 novembre 1999 Rv 214794; sez. un., n. 47289 del 24 settembre 2003 Rv. 226074), ciò che - nel caso di specie - deve però escludersi. E invero, i giudici di merito hanno chiarito, con dovizia di argomenti, le ragioni della loro decisione (pp. 8 s., 13 ss. della sentenza impugnata); non si ritiene, peraltro - per ovvi motivi - di riportare qui le suddette argomentazioni, sembrando sufficiente al Collegio far rilevare che le stesse non sono manifestamente illogiche; e che, anzi, l’estensore della sentenza ha esposto in modo ordinato e coerente le ragioni che giustificano la decisione adottata, la quale perciò resiste alle censure del ricorrente sul punto. 3. Il ricorso proposto da Cordova Fabio risulta infondato. Infondata è la prima censura, relativa alla pretesa insussistenza del delitto di falsità ideologica in atto pubblico in ragione dell’asserito mancato esercizio di pubbliche funzioni da parte di Amato Ignazio, titolare di uno “Sportello Telematico dell’Automobilista”, abilitato dal Ministero dei Trasporti al rilascio delle carte di circolazione relative a determinate categorie di autoveicoli. Già questa Corte, nel decidere il ricorso avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Palermo proposto nell’ambito del presente procedimento, ha affermato - dettando un principio di diritto che deve in questa sede ribadirsi - che «In tema di reati di falso, il titolare dell’agenzia automobilistica che gestisce il cosiddetto “sportello telematico dell’automobilista” (STA) - il quale, ex art. 4 D.P.R. n. 358 del 2000, deve verificare, ai fini del rilascio della carta di circolazione, la idoneità, la completezza e la conformità tanto della domanda, quanto della documentazione presentata dall’interessato nonché l’avvenuto versamento delle imposte e dei diritti dovuti dal richiedente - forma un atto pubblico, con la conseguenza che egli riveste la qualifica di pubblico ufficiale nel compimento dell’intero “iter” che sfocia nella produzione del predetto documento. (In applicazione del principio di cui in massima la S. C. ha censurato l’ordinanza del Tribunale del riesame, il quale aveva ritenuto che il titolare di detta agenzia agisse come p.u. solo nel momento in cui accertava l’identità del richiedente e considerato le ulteriori attività meramente materiali e al di fuori dei poteri autoritativi e di certificazione del p.u.)» (Cass., Sez. V, n. 28086 del 23 giugno 2011 Rv. 250405). Tale qualità di pubblico ufficiale e l’esercizio delle correlative pubbliche funzioni non sono certo venute meno per il fatto che il certificato di idoneità tecnica del quadriciclo era contraffatto e non poteva essere accettato dall’Amato: l’accettazione di un certificato contraffatto 372 4/2014 Arch. nuova proc. pen. ha implicato la violazione dei doveri di pubblico ufficiale dell’ Amato, non certo il venir meno di tale sua qualità o dell’esercizio di funzioni pubbliche. Peraltro, ogni falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale implica, di per sé, la violazione dei doveri pubblici dell’agente (cfr. Cass., sez. VI, n. 44 del 29 settembre 1993 Rv. 196612; sez. VI, n. 14544 del 26 giugno 1989 Rv. 182375). Quanto alla censura secondo cui sarebbe insussistente il delitto di uso di atto falso contestato con riferimento al certificato di idoneità tecnica contraffatto, perchè tale certificato non potrebbe essere immesso nel sistema informatico del Ministero dei Trasporti, l’assunto difensivo è smentito dalla ricostruzione del fatto compiuta dai giudici di merito, dalla quale risulta invece l’avvenuto inserimento dei dati del certificato contraffatto nel sistema informatico del Ministero dei Trasporti cui è conseguito il rilascio delle carte di circolazione. 4. Il ricorso di Lauria Daniele, infine, risulta inammissibile per manifesta infondatezza. Il ricorrente lamenta che i giudici di merito non hanno dato credito al contratto di vendita datato 5 aprile 2008 prodotto dalla difesa - dal quale risulta che il Lauria avrebbe acquistato il quadriciclo dal Camarda Paolo in una data successiva a quella dei delitti a lui contestati e che il Camarda si sarebbe impegnato a provvedere personalmente egli stesso all’espletamento di tutte le pratiche necessarie alla immatricolazione del veicolo. Tale censura è inammissibile per genericità, perchè non prende in considerazione e non critica le argomentazioni svolte in proposito dai giudici di merito. Costoro hanno spiegato di ritenere inattendibile la versione dei fatti del Lauria, considerato che lo stesso in un primo momento (escusso dalla P.G.) aveva dichiarato di non ricordare da chi avesse acquistato il mezzo; successivamente, aveva esibito una scrittura privata di compravendita datata 27 marzo 2008, dalla quale risultava che egli aveva acquistato il mezzo da tale Gaggitano Vittorio; infine, una volta verificata l’inesistenza della persona risultante da detta scrittura, aveva prodotto altra scrittura quella richiamata nel ricorso - dalla quale risultava che il venditore non sarebbe stato il predetto Gaggitano, ma il coimputato Camarda. Dinanzi al continuo mutamento della versione dei fatti da parte del Lauria, legittima e priva di vizi logici è stata la conclusione dei giudici di merito che hanno negato attendibilità alla scrittura da ultimo prodotta, peraltro priva di data certa. 5. In definitiva, vanno dichiarati inammissibili i ricorsi di Camarda Paolo, Sardina Davide e Lauria Daniele; mentre va rigettato il ricorso di Cordova Fabio. Ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile o rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento. Inoltre, gli imputati che hanno proposto ricorsi inammissibili - ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità - vanno condannati al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti. (Omissis) giur L e g i t t i m i tà II Svolgimento del processo Con sentenza del 3 ottobre 2008, il Tribunale di Avellino dichiarò Rodia Gino responsabile - in concorso con altre persone - del delitto di rapina aggravata (avente ad oggetto n. 15 capi bovini) in danno di Rizzo Michele e, concesse le attenuanti generiche, lo condannò alla pena ritenuta di giustizia, oltre al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite da liquidarsi in separata sede. Avverso tale pronunzia l’imputato propose gravame, ma la Corte di Appello di Napoli, con sentenza del 12 dicembre 2011, confermò la decisione di primo grado. Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato, deducendo la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata con riferimento alla ritenuta responsabilità penale; secondo il ricorrente, nessuna prova vi sarebbe del coinvolgimento del Rodia nella rapina de qua, giacché l’imputato non sarebbe stato visto dalla p.o. sul luogo del delitto, né la sua vettura sarebbe stata utilizzata per commettere il reato; lamenta, in ogni caso, che i giudici di merito non abbiano assolto l’imputato almeno ai sensi del secondo comma dell’art. 530 c.p.p. In data 19 febbraio 2014, perveniva in cancelleria dichiarazione di adesione all’astensione proclamata dall’O.U.A. da parte del difensore dell’imputato, avv. Marino Capone. Motivi della decisione Preliminarmente va esaminata la dichiarazione di adesione all’astensione proclamata dall’O.U.A. da parte del difensore dell’imputato, avv. Marino Capone, con conseguente istanza di rinvio della trattazione del ricorso. L’istanza va rigettata. Com’è noto, il “Codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati”, adottato il 4 aprile 2007 dalle organizzazioni rappresentative dell’avvocatura e approvato dalla “Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali”, ha valore di normativa secondaria (Cass., sez. un., n. 26711 del 30 maggio 2013 Rv. 255346); esso, perciò, è vincolante per gli avvocati, che, in tanto possono legittimamente aderire alle astensioni proclamate dalle associazioni di categoria, in quanto si adeguino alle prescrizioni del detto codice di autoregolamentazione. Orbene, l’art. 3 del Codice anzidetto stabilisce che la mancata comparizione dell’avvocato all’udienza «affinché sia considerata in adesione all’astensione regolarmente proclamata ed effettuata ai sensi della presente disciplina, e dunque considerata legittimo impedimento del difensore, deve essere alternativamente: a) dichiarata - personalmente o tramite sostituto del legale titolare della difesa o del mandato - all’inizio dell’udienza o dell’atto di indagine preliminare; b) comunicata con atto scritto trasmesso o depositato nella cancelleria del giudice o nella segreteria del pubblico ministero, oltreché agli altri avvocati costituiti, almeno due giorni prima della data stabilita». Nel caso di specie, il difensore non ha comunicato la dichiarazione di adesione alla astensione di categoria - proclamata dall’O.U.A. per i giorni 18, 19 e 20 febbraio 2014 - alla cancelleria di questa Corte (almeno) due giorni prima della data dell’udienza. Infatti, rispetto all’udienza odierna del 20 febbraio 2014, la dichiarazione di adesione alla astensione avrebbe dovuto pervenire nella cancelleria di questa Corte non oltre il 18 febbraio 2014; essa, invece, è pervenuta il 19 febbraio 2014, come si ricava dalla attestazione di “pervenuto” apposta dal cancelliere. In proposito, va osservato come non possa aver rilievo il fatto che il difensore abbia inviato la comunicazione via fax nelle ore pomeridiane (ore 16,29) del giorno 18 (ultimo giorno utile). Infatti, la prescrizione del termine ultimo di due giorni precedenti l’udienza, per il tempestivo invio della comunicazione, va inteso nel senso che la comunicazione effettuata nell’ultimo giorno utile deve pervenire nell’ufficio di cancelleria nell’orario di apertura dello stesso, affinché possa essere presa in carico e acquisita agli atti del procedimento; giacché, se la comunicazione è trasmessa via fax nelle ore pomeridiane o addirittura notturne nelle quali la cancelleria è chiusa, l’ufficio non può averne conoscenza se non l’indomani. In altri termini, affinché il giudice possa ritenersi tempestivamente informato della volontà del difensore di aderire all’astensione proclamata dalla categoria non deve guardarsi solo al giorno di trasmissione del fax, ma anche all’orario della trasmissione; cosicché se la trasmissione del fax avviene oltre l’orario di apertura della cancelleria del giudice procedente, cioè a cancelleria chiusa, la comunicazione deve ritenersi effettuata il giorno successivo all’atto dell’apertura dell’ufficio, primo momento utile per prendere atto della comunicazione del difensore. Solo negli orari in cui la cancelleria è aperta può ritenersi, infatti, che l’ufficio del giudice procedente sia stato realmente informato dalla volontà del difensore di aderire alla astensione. Sul punto, può dunque enunciarsi il seguente principio di diritto: «L’adesione del difensore di fiducia all’astensione collettiva degli avvocati dalle udienze, perchè possa ritenersi legittima, deve essere comunicata al giudice procedente secondo quanto prevede l’art. 3 del “Codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati”, adottato il 4 aprile 2007 dalle organizzazioni rappresentative dell’avvocatura e approvato dalla “Commissione di garanzia dell’Attuazione della Legge sullo Sciopero nei Servizi Pubblici Essenziali”; perciò, la dichiarazione di adesione all’astensione, ove non sia comunicata (personalmente o tramite sostituto) in udienza, deve essere comunicata con atto scritto nella cancelleria del giudice procedente almeno due giorni prima della data stabilità per l’udienza e non oltre l’orario di chiusura dell’ufficio» . In ragione della violazione dell’art. 3 del “Codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati”, il diritto del difensore di aderire alla astensione di categoria non può dirsi legittimamente esercitato, cosicché l’istanza di rinvio della trattazione del procedimento va respinta. Arch. nuova proc. pen. 4/2014 373 giur L e g i t t i m i tà Passando all’esame del ricorso, la Corte rileva come esso risulti inammissibile. Il ricorrente lamenta la mancanza e illogicità della motivazione della sentenza impugnata in ordine alla ritenuta responsabilità dell’imputato; ma appare evidente come egli sottoponga alla Corte censure di merito, inammissibili in sede di legittimità. Il ricorrente, infatti, critica - sotto mentite spoglie - la valutazione delle prove da parte dei giudici di merito. Va ricordato, tuttavia, che la valutazione delle prove è riservata, in via esclusiva, all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito e non è sindacabile in cassazione; a meno che ricorra una mancanza o una manifesta illogicità della motivazione, ciò che - nel caso di specie - deve però escludersi. E invero come hanno statuito più volte le Sezioni Unite di questa Corte «L’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi”, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento» (Cass., sez. un., n. 24 del 24 novembre 1999 Rv 214794; sez. un., n. 47289 del 24 settembre 2003 Rv. 226074). Nel caso di specie, i giudici di merito hanno chiarito, con dovizia di argomenti, le ragioni della loro decisione (hanno richiamato, tra l’altro, la decisiva testimonianza del militare Brig. CC. Di Pinto, il quale ha riconosciuto con certezza l’imputato sul luogo del delitto e lo ha veduto poi - alla vista dei militari - allontanarsi e abbandonare la sua autovettura; e hanno spiegato poi come il Rodia fosse - tra gli imputati l’unico che conosceva i luoghi montani dove sono stati sottratti gli animali, gli altri correi essendo di altra regione italiana); non si ritiene, peraltro - per ovvi motivi - di riportare qui integralmente tutte le suddette argomentazioni, sembrando sufficiente al Collegio far rilevare che le stesse non sono manifestamente illogiche; e che, anzi, l’estensore della sentenza ha esposto in modo ordinato e coerente le ragioni che giustificano la decisione adottata, la quale perciò resiste alle censure del ricorrente sul punto. Piuttosto, sono le censure mosse col ricorso che non prendono compiutamente in esame le argomentazioni svolte dai giudici di merito nel provvedimento impugnato, risultando così generiche e, anche sotto tale profilo, inammissibili, limitandosi a proporre a questa Corte una ricostruzione dei fatti alternativa rispetto a quella dei giudici di merito. 374 4/2014 Arch. nuova proc. pen. E tuttavia, come questa Corte ha più volte sottolineato, compito della Corte di cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici del merito (cfr. Cass, sez. I, n. 7113 del 6 giugno 1997 Rv. 208241; sez. II, n. 3438 del 11 giugno 1998 Rv 210938), dovendo invece la Corte di legittimità limitarsi a controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il ragionamento probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che, come dianzi detto, nel caso di specie è dato riscontrare. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile. Ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità - al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti. (Omissis) Corte di cassazione penale sez. VI, 20 marzo 2014, n. 13096 (c.c. 5 marzo 2014) Pres. Di Virginio – Est. Aprile – P.M. D’Ambrosio (parz. diff.) – Ric. De Santis Competenza penale y Competenza per territorio y Incompetenza y Eccezione sollevata per la prima volta nel corso del giudizio in Cassazione y Ammissibilità y Condizioni. . In materia cautelare, l’eccezione sull’incompetenza territoriale dell’autorità giudiziaria procedente può essere sollevata per la prima volta anche con il ricorso per cassazione, purchè il ricorrente adempia all’obbligo di specificità nella deduzione dei motivi e non fondi le sue lamentele su elementi di fatto mai introdotti dinanzi al giudice del merito ovvero sui quali sia necessario procedere a valutazioni o ad accertamenti comunque inammissibili nel giudizio di legittimità. (Mass. Redaz.) (c.p.p., art. 8; c.p.p., art. 21; c.p.p., art. 22; c.p.p., art. 311; c.p.p., art. 606) (1) (1) Negli stessi termini si esprime Cass. pen., sez. VI, 6 luglio 2010, n. 25835, in questa Rivista 2011, 589. Nello stesso senso anche Cass. pen., sez. II, 8 febbraio 2005, n. 4548, ivi 2006, 210. In senso contrario si veda, invece, Cass. pen., sez. III, 28 gennaio 2009, n. 3816, ivi 2010, 87 che ritiene come sia inammissibile in sede di legittimità eccepire la violazione delle regole di competenza territoriale, se di tale violazione non siano stati almeno esaminati i presupposti innanzi al giudice di merito. giur L e g i t t i m i tà Svolgimento del processo e motivi della decisione 1. Con l’ordinanza sopra indicata il Tribunale di Milano, adito ai sensi dell’art. 309 c.p.p., confermava il provvedimento del 4 dicembre 2013 con il quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Monza aveva disposto l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di Fulvio De Santis in relazione al reato di cui agli artt. 81, 110, 319 e 321 c.p., per avere, quale vice sindaco del comune di Frosinone ed assessore con delega all’ambiente, in concorso con l’intermediario Giovanni Battista Ricciotti, accettato la promessa della dazione di una somma di denaro - da stabilire successivamente in misura pari al 10% del valore dell’appalto e, comunque, non inferiore ai maggiori costi che artatamente sarebbero stati inseriti dopo l’aggiudicazione dell’appalto - promessa fattagli da Giancarlo Sangalli, Daniela Sangalli, Patrizia Sangalli e Giorgio Sangalli (rispettivamente amministratore di fatto, procuratore e, gli ultimi due, dirigenti della impresa Sangalli Giancarlo & C. s.r.l. con sede in Monza), per avere, nel corso del 2012, compiuto e per essersi impegnato a compiere atti contrari ai suoi doveri d’ufficio: in particolare per avere messo a disposizione della impresa Sangalli il proprio ruolo di vice sindaco e assessore al ramo, con interventi finalizzati affinché quella impresa risultasse l’unica aggiudicataria dell’appalto relativo al servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti urbani e spazzamento delle strade del comune di Frosinone; facendo in modo che la redazione del capitolato d’appalto fosse affidata ad un consulente esterno “compiacente” appartenente alla società Idecom s.r.l., vicina ai Sangalli, allo scopo di inserire nel capitolato requisiti “ritagliati” su misura alle caratteristiche della società dei Sangalli; prendendo contatto, per il tramite del Ricciotti, con i membri della famiglia Sangalli al fine di definire i dettagli dell’operazione per pilotare l’aggiudicazione dell’appalto e proseguire le trattative per il raggiungimento ed il perfezionamento della quantificazione della promessa della dazione illecita; violando i doveri di correttezza ed imparzialità che avrebbe dovuto rispettare quale pubblico ufficiale, allo scopo di favorire gli interessi di quella impresa privata, che doveva risultare unica “vincitrice” a scapito di altri eventuali concorrenti. Rilevava il Tribunale come le acquisite emergenze procedimentali - in specie quelle desumibili dal contenuto delle intercettazioni telefoniche ed ambientali curate dagli inquirenti e dal tenore delle dichiarazioni ammissorie fatte dai coindagati Daniela e Giorgio Sangalli - avessero dimostrato la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato De Santis; e come gli elementi di conoscenza a disposizione avessero comprovato la sussistenza tanto del concreto pericolo per l’acquisizione e la genuinità della prova, quanto del rischio di recidiva da parte del prevenuto, esigenze rispetto alle quali l’unica misura adatta, oltre che proporzionata alla obiettiva gravità dei fatti, al contesto ed alle modalità di commissione dei reati, appariva quella applicata della custodia cautelare in carcere. 2. Avverso tale ordinanza ha presentato ricorso il De Santis, con atto sottoscritto dal suo difensore avv. Pasquale Lepiane, il quale ha dedotto seguenti quattro motivi. 2.1. Violazione di legge, in relazione agli artt. 8, 27 e 291, comma 2, c.p.p., per avere il Tribunale del riesame omesso di dichiarare l’incompetenza per territorio del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Monza (che già avrebbe dovuto rilevare la propria incompetenza), benché le carte delle indagini avessero dimostrato che le condotte asseritamente delittuose riferibili al De Santis erano state poste in essere tutte nel comune di Frosinone e che le trattative relative alla promessa di denaro erano avvenute all’interno dello studio di Frosinone appartenente al Ricciotti. 2.2. Violazione di legge, in relazione all’art. 309, commi 5 e 10, c.p.p., essere stata omessa al Tribunale di Milano la trasmissione del testo della trascrizione della registrazione stenotipica dell’interrogatorio reso dal De Santis ai sensi dell’art. 294 c.p.p., e per avere il Collegio deciso sulla istanza di riesame sulla base del solo “verbale riassuntivo” dell’interrogatorio nel quale non sono state riportate le risposte date dall’indagato alle domande rivoltegli, con le quali il prevenuto si era difeso analiticamente su ogni aspetto della vicenda de qua. 2.3. Violazione di legge, in relazione agli articoli del codice penale oggetto di addebito e all’art. 273 c.p.p., e carenza di motivazione, per avere il Tribunale lombardo ingiustificatamente confermato la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico del De Santis, nonostante gli atti di indagine e le dichiarazioni degli interessati avessero dimostrato che il Ricciotti aveva agito di propria iniziativa, millantando credito, senza ricevere alcun mandato o incarico da parte del vice sindaco. 2.4. Violazione di legge, in relazione all’art. 274 c.p.p., e vizio di motivazione, per mancanza o manifesta illogicità, per avere il Tribunale del riesame confermato la presenza dei due indicati bisogni di cautela, benché a parlare di influenze sul sindaco fosse stato il Ricciotti e non il De Santis; a nominare i componenti della commissione incaricata per la gara di appalto fosse stato il segretario generale del comune; la polizia giudiziaria avesse acquisito tutta la documentazione relativa alla vicenda in argomento; l’indagato avesse, nel corso del suo interrogatorio, indicato i luoghi dove gli inquirenti avrebbero potuto trovare altre carte; il rischio di recidiva fosse stato desunto esclusivamente dai fatti criminosi accertati; l’indagato sia incensurato, non abbia carichi pendenti, sia un avvocato e si sia dimesso dalla carica di assessore all’ambiente; i fatti oggetto di addebito risalgano a circa un anno prima del momento di applicazione della misura. 3. Il primo motivo del ricorso è fondato, con effetti assorbenti in ordine all’esame dei restanti motivi. Questo Collegio di dover privilegiare l’orientamento interpretativo secondo il quale, in materia cautelare, l’eccezione sull’incompetenza territoriale dell’autorità giudiziaria procedente può essere sollevata per la prima volta anche con il ricorso per cassazione, purché il ricorrente adempia all’obbligo di specificità nella deduzione Arch. nuova proc. pen. 4/2014 375 giur L e g i t t i m i tà dei motivi e non fondi le sue lamentele su elementi di fatto mai introdotti dinanzi al giudice del merito ovvero sui quali sia necessario procedere a valutazioni o ad accertamenti comunque inammissibili nel giudizio di legittimità (così sez. VI, n. 25835 del 4 giugno 2010, Franzé e altri, Rv. 247776; sez. II, n. 4548/05 del 2 dicembre 2004, Ruggiero, Rv. 231139; contra la sola sez. III, n. 3816/09 del 14 ottobre 2008, Leone, Rv. 242822, per la quale è precluso alla Cassazione decidere su violazioni di legge i cui presupposti di fatto non siano stati già esaminati dal giudice del merito). Ed infatti, in generale è possibile affermare che il giudice investito di una richiesta di applicazione di una misura cautelare debba sempre preliminarmente verificare la propria competenza per territorio, sicché, laddove decida su quella istanza senza nulla precisare al riguardo, il provvedimento adottato deve considerarsi comprensivo dell’implicito riconoscimento positivo della propria competenza ratione loci: con la conseguenza che il giudice dell’impugnazione de libertate ben possa essere investito del compito di sindacare la determinazione assunta in merito dal primo giudice. D’altro canto, che l’ordinanza genetica della misura cautelare contenga un’implicita affermazione del giudice di esistenza della propria competenza per territorio, lo si evince dal dettato del combinato disposto degli artt. 291, comma 2, e 27 c.p.p., che attribuiscono a quel giudice il potere eccezionale di disporre l’accoglimento della richiesta cautelare, in presenza di una situazione di urgenza, anche laddove riconosca e dichiari la propria incompetenza. Potere che spetta anche al giudice dell’impugnazione atteso che, come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, la pronuncia di incompetenza avverso provvedimenti cautelari determina, al pari della declaratoria di incompetenza del giudice che aveva disposto la misura cautelare, l’inefficacia differita, ex art. 27 c.p.p., della misura cautelare stessa (così sez. un., n. 1 del 24 gennaio 1996, Fazio, Rv. 204164). Ne deriva che la decisione del tribunale del riesame - che a sua volta ha verificato implicitamente l’esistenza di tutte le condizioni per l’adozione della misura cautelare, dunque anche l’osservanza delle norme che regolano la competenza per territorio, e che ben avrebbe potuto rilevare anche d’ufficio la propria incompetenza, pure senza che la questione avesse costituito oggetto di specifica doglianza con l’atto di impugnazione (così, tra le altre, sez. I, n. 21416 del 14 maggio 2003, De Macceis, Rv. 225196; sez. V, sentenza n. 4084/03 del 13 novembre 2002, Camillo, Rv. 223773; sez. IV, n. 41270 del 9 febbraio 2001, Pupa Kujtim, Rv. 220718; sez. VI, n. 914 del 16 marzo 1999, P.M. in proc. Archidiacono, Rv. 214783) - sostituisce, a tutti gli effetti, quella oggetto di gravame: e rispetto alla prima possono essere fatte valere, con il successivo ricorso per cassazione, le censure in ordine al mancato rispetto di 376 4/2014 Arch. nuova proc. pen. quelle norme di diritto processuale penale, a condizione che la verifica sollecitata, per la prima volta, alla Corte di legittimità si fondi su doglianze qualificate da un adeguato grado di serietà e su elementi fattuali desumibili dalla motivazione del provvedimento impugnato o da atti da quest’ultimo espressamente richiamati. Non sono di ostacolo alla ammissibilità dell’esame dell’esposto motivo, dedotto per la prima volta con il ricorso per cassazione, le disposizioni previste dagli artt. 21, commi 2 e 3, e 23, comma 2, c.p.p., trattandosi di norme aventi ad oggetto forme di decadenza chiaramente riferibili al solo processo, dunque alla fase successiva al momento dell’esercizio dell’azione penale da parte del rappresentante della pubblica accusa, e, in ogni caso, non applicabili al procedimento di impugnazione incidentale dei provvedimenti in materia di misure cautelari personali. Ora, nel fattispecie va rilevato come il ricorrente ha posto la questione della competenza per territorio del giudice della cautela con argomenti e riferimenti dotati di un elevato grado di serietà, evidenziando come il reato di corruzione ipotizzato a suo carico si sarebbe consumato al momento dell’accettazione, da parte sua, della promessa della dazione di denaro da parte dei privati corruttori, fatto questo che gli elementi di prova acquisiti escluderebbero essersi verificato a Monza, bensì a Frosinone. Sotto questo punto di vista, dati di significativo riscontro paiono potersi ravvisare nella motivazione dell’ordinanza del Tribunale del riesame di Milano, laddove è stato sottolineato come tanto l’incontro iniziale tra il vice sindaco De Santis e l’emissario della famiglia Sangalli (v. pag. 3 ord. impugn.), quanto la successiva fase delle trattative, poi conclusasi con l’accettazione della promessa, che avevano visto protagonista, accanto ai privati corruttori, l’intermediario Ricciotti, fossero accaduti a Frosinone, verosimilmente nello studio professionale di quest’ultimo, dove era stata installata l’apparecchiatura per l’effettuazione delle intercettazioni ambientali, e, in parte, in una isolata zona di campagna, sembrerebbe alla periferia di quella stessa città (v. pagg. 4 e segg. ord. impugn.). La motivazione dell’ordinanza impugnata si presenta, comunque, contraddittoria ed incompleta, e, non essendo chiaramente ravvisabile da parte di questa Corte un vizio di consistenza tale da travolgere sia tale provvedimento che quello genetico della misura, il necessario approfondimento per colmare quella lacuna argomentativa - nonché per verificare, in caso di positivo riconoscimento della incompetenza, l’eventuale sussistenza di ragioni di urgenza che possano giustificare il mantenimento interinale della misura - non può che essere rimesso al giudice del merito, cui gli atti vanno rinviati, per nuovo esame, previo annullamento dell’ordinanza gravata. Alla cancelleria vanno demandati gli adempimenti comunicativi previsti dalla legge. (Omisiss) giur L e g i t t i m i tà Corte di cassazione penale sez. II, 5 febbraio 2014, n. 5656 (c.c. 28 gennaio 2014) Pres. Fiandese – Est. Pellegrino – P.M. Gialanella (conf.) – Ric. P.M. in proc. Zagarrio Misure cautelari reali y Sequestro preventivo y Condizioni di applicabilità y Gravi indizi di colpevolezza y Valutazione y Necessità y Esclusione y Riconducibilità del fatto ad una ipotesi astratta di reato y Sufficienza y Fattispecie relativa al sequestro di una patente di guida rilasciata sul presupposto di un certificato medico falso. . In tema di sequestro preventivo, non è necessario valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico della persona nei cui confronti è operato il sequestro, essendo sufficiente che sussista il “fumus commissi delicti”, vale a dire la astratta sussumibilità in una determinata ipotesi di reato del fatto contestato. (Fattispecie relativa al sequestro di una patente di guida rilasciata sul presupposto di un certificato medico falso, nella quale la Corte ha ritenuto superflua ogni ulteriore valutazione in punto di indizi di responsabilità dell’indagata). (c.p.p., art. 321) (1) (1) In senso conforme si esprimono Cass. pen., sez. II, 17 marzo 2010, n. 10618, in Riv. pen., 2011, 229; Cass. pen., sez. I, 3 maggio 2006, n. 15298, ivi 2007, 460 e Cass. pen., sez. VI, 5 agosto 1999, n. 2672, ivi 2000, 185. Svolgimento del processo 1. Con provvedimento in data 20 maggio 2013, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Enna, su conforme richiesta del Procuratore della Repubblica presso il medesimo Tribunale, disponeva il sequestro preventivo della patente di guida categoria “B” n. EN5116684N rilasciata dalla M.T.T.C. di Enna ed intestata a Zagarrio Dalila. La Zagarrio risulta indagata per i seguenti reati: - artt. 81 cpv., 110, 640, comma 2, 497-bis, 477, 482 c.p. (capo 60); - artt. 1 l. 475/1925, 61 n. 2 c.p. (capo 61). Riteneva il Giudice per le indagini preliminari che fossero ravvisabili gravi indizi di colpevolezza a carico della Zagarrio con riguardo al reato di falso nelle certificazioni mediche utilizzate a corredo delle pratiche per il conseguimento della patente di guida e che la disponibilità del titolo abilitativo comportasse aggravamento delle conseguenze del reato medesimo. A seguito di ricorso nell’interesse della Zagarrio, il Tribunale di Enna, in funzione di giudice del riesame, con l’ordinanza impugnata, in accoglimento del gravame, disponeva l’immediata restituzione dei beni in sequestro all’avente diritto, evidenziando come: - l’unico potere che sul merito della causa il giudice del riesame fosse abilitato ad esercitare, si riferisce al raffronto tra fattispecie astratta (legale) e fattispecie concreta (reale), così da imporre il suo potere demolitorio nei soli casi in cui la difformità sia rilevabile “ictu oculi” e tale da impedire alla misura di perseguire il suo fine tipico; - fossero inutilizzabili ex art. 63 c.p.p. le dichiarazioni rese dalla Zagarrio in data 25 gennaio 2013; - le dichiarazioni del dott. Gaudioso costituissero materiale probatorio a livello indiziario irrilevante ai fini della contestazione di reato in capo alla Zagarrio; - non fossero dirimenti, ai fini dell’integrazione del reato di cui al capo 61), i tabulati telefonici relativi all’utenza in uso all’indagata essendo rimasti oscuri sia i confini territoriali delle celle e l’entità delle aree di riferimento, sia la posizione dell’apparecchio telefonico (e, presumibilmente, del suo utilizzatore) nella frazione di tempo corrispondente a quella in cui erano in corso di svolgimento gli esami. 2. Avverso tale provvedimento, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Enna proponeva ricorso per cassazione lamentando violazione di legge penale oltre che mancanza e manifesta illogicità della motivazione. In particolare, lamenta il ricorrente come il Tribunale di Enna non abbia motivato in ordine all’ipotesi accusatoria degli artt. 477- 482 c.p., ovvero di avere concorso con il coindagato Muscarà Giuseppe alla formazione e alla produzione di un falso certificato medico, a firma dott. Gaudioso, ai fini del rilascio della patente di guida. Peraltro, anche a voler ipotizzare che l’attività di contraffazione del certificato fosse stata posta materialmente in essere da soggetti terzi rispetto all’indagata, tuttavia appare ragionevole ritenere che la stessa sia stata quantomeno realizzata ad iniziativa o con la collaborazione del soggetto direttamente interessato alla formazione di tali certificati, che era uno degli adempimenti necessari per il rilascio della patente. Inoltre, se il certificato medico è falso, la decisione del Tribunale era comunque in contrasto sia con l’art. 119 c.d.s. che con l’art. 240 c.p., essendo la falsa patente in sequestro bene destinato alla successiva confisca. Infine, in ordine al valore dei tabulati telefonici, il Tribunale, andando in contraddizione con le osservazioni svolte nella premessa del provvedimento, aveva finito per compiere una valutazione in ordine alla sussistenza degli indizi di colpevolezza ed al requisito della gravità, usurpando di fatto i poteri del giudice del dibattimento. Motivi della decisione 3. Preliminarmente va evidenziato come il ricorso può essere esaminato solo in relazione alla dedotta violazione di legge, non essendo consentita, in materia di misure cautelari reali, la deduzione del vizio di motivazione (cfr., nell’ambito del medesimo procedimento, le precedenti pronunce di questa Corte: Cass., sez. II, n. 1437 del 9 gennaio 2014 - dep. 15 gennaio 2014, P.M. c. Bongiovanni; Id., n. 1438 del 9 gennaio 2014 - dep. 15 gennaio 2014, P.M. c. Calì). 4. Come è noto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, ricorre violazione di legge laddove la motivazione stessa sia del tutto assente o meramente apparente, non avendo i pur minimi requisiti per rendere comprensibile Arch. nuova proc. pen. 4/2014 377 giur L e g i t t i m i tà la vicenda contestata e l’iter logico seguito dal giudice del provvedimento impugnato. In tale caso, difatti, atteso l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, viene a mancare un elemento essenziale dell’atto. Va anche ricordato che, anche se in materia di sequestro preventivo il codice di rito non richiede che sia acquisito un quadro probatorio serio come per le misure cautelari personali, non è però sufficiente prospettare un fatto costituente reato, limitandosi alla sua mera enunciazione e descrizione. È invece necessario valutare le concrete risultanze istruttorie per ricostruire la vicenda anche al semplice livello di “fumus” al fine di ritenere che la fattispecie concreta vada ricondotta alla figura di reato configurata; è inoltre necessario che appaia possibile uno sviluppo del procedimento in senso favorevole all’accusa nonché valutare gli elementi di fatto e gli argomenti prospettati dalle parti. A tale valutazione, poi, dovranno aggiungersi le valutazioni in tema di periculum in mora che, necessariamente, devono essere riferite ad un concreto pericolo di prosecuzione dell’attività delittuosa ovvero ad una concreta possibilità di condanna e, quindi, di confisca. 5. Fermo quanto precede, ritiene il Collegio come il ricorso in parola - in punto violazione di legge - sia fondato. Non appare superfluo ricordare che, secondo le Sezioni Unite di questa Suprema Corte, in tema di sequestro, la verifica delle condizioni di legittimità della misura cautelare da parte del Tribunale del riesame o della Corte di Cassazione non può tradursi in anticipata decisione della questione di merito concernente la responsabilità della persona sottoposta alle indagini in ordine al reato oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale, rimanendo preclusa ogni valutazione riguardo alla sussistenza degli indizi di colpevolezza ed alla gravità degli stessi (Cass., sez. un., n. 7 del 23 febbraio 2000 - dep. 4 maggio 2000, rv. 215840). Ne consegue che, in tema di sequestro, non è necessario valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, essendo sufficiente che sussista il “fumus delicti commissi”, vale a dire la astratta sussumibilità in una determinata fattispecie di reato del fatto contestato come ipotesi d’accusa (cfr., Cass., sez. VI, n. 2672 del 9 luglio 1999 - dep. 5 agosto 1999, rv. 214185). Non è perciò necessario che la motivazione riguardi l’attribuibilità del reato alla persona nei cui confronti è operato il sequestro, essendo evidente che tale sequestro può colpire anche beni di soggetti estranei al reato, ove ricorrano le esigenze connesse all’accertamento dei fatti. 6. Nel caso in esame il Tribunale ha rilevato che sulla scorta delle dichiarazioni rese dal dott. Gaudioso era ipotizzabile la falsità del certificato medico, presupposto per il rilascio della patente di guida. Le valutazioni ulteriori del Tribunale in punto di indizi di responsabilità dell’indagata in ordine al reato ascrittole sono superflue ed illegittima la decisione di dissequestro dei beni. L’ordinanza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio al Tribunale di Enna per nuovo esame. (Omissis) 378 4/2014 Arch. nuova proc. pen. Corte di cassazione penale sez. V, 23 gennaio 2014, n. 3552 (ud. 22 novembre 2013) Pres. Bevere – Est. Lapalorcia – Ric. C.M.N. Misure cautelari personali y Condizioni di applicabilità y Divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa ex art. 282 ter c.p.p. y Condotta persecutoria correlata a particolari ambiti territoriali y Esclusione y Libertà di circolazione e di svolgimento della vita sociale del soggetto passivo y Rilevanza y Erronea indicazione della persona offesa all’interno del provvedimento assunto y Classificazione y Mero errore materiale. . Il divieto di avvicinamento previsto dall’art. 282-ter c.p.p., riferendosi anche alla persona offesa in quanto tale, e non solo ai luoghi da questa frequentati, esprime una precisa scelta normativa di privilegio della libertà di circolazione del soggetto passivo ovvero di priorità dell’esigenza di consentire alla persona offesa il completo svolgimento della propria vita sociale in condizioni di sicurezza laddove la condotta di persistenza persecutoria non sia legata a particolari ambiti locali. Con la conseguenza che il contenuto concreto della misura in questione deve modellarsi rispetto alla predetta esigenza e che la tutela della libertà di circolazione e di relazione della persona offesa non trova limitazioni nella sola sfera del lavoro, degli affetti familiari e degli ambiti ad essa assimilabili. L’erronea indicazione, nel provvedimento genetico della misura, della persona offesa alla quale l’indagato non deve avvicinarsi costituisce un errore, meramente materiale, rimasto privo di effetti da non essere neppure eccepito in sede di riesame, tanto era chiara a quest’ultimo l’identità del soggetto alla cui tutela la misura cautelare era preordinata. (Mass. Redaz.) (c.p.p., art. 282 ter) Svolgimento del processo 1. Il Tribunale del riesame di Salerno, con ordinanza 6 maggio 2013, confermava il provvedimento applicativo della misura cautelare del divieto di avvicinamento alla persona offesa nei confronti di C.M., con l’imputazione provvisoria di atti persecutori in danno di S.V.. 2. Ha proposto ricorso l’indagato tramite il difensore avv. M. Gallo, formulando due motivi di doglianza. 3. Con il primo viene riproposta, richiamando il relativo indirizzo giurisprudenziale di questa corte (Cass. 26819/2011), la questione dell’indeterminatezza del contenuto della misura per mancata precisazione dei luoghi, frequentati dalla persona offesa, oggetto del divieto, rilevando pure come il divieto fosse stato riferito non a S.V. ma alla sorella F. 4. Il secondo motivo investe la ritenuta sussistenza dei gravi indizi ravvisati nelle dichiarazioni della p.o., della madre della stessa, nonché del fidanzato e della sorella, negli sms inoltrati dall’indagato a quest’ultima e nei post inseriti dal C. sul proprio profilo facebook, trascurando, giur L e g i t t i m i tà secondo il ricorrente, che le prime davano atto soltanto di pedinamenti, gli sms - tra l’altro trascritti liberamente dalla sorella della p.o.- non erano né molesti né minacciosi, i post non indicavano mai il nome della persona offesa che tra l’altro avrebbe dovuto collegarsi al profilo del C. per averne conoscenza. Sotto il profilo degli effetti del reato, si rilevava che non era stato precisata l’alterazione determinata alla S. dalla condotta dell’indagato, se non la circostanza che non usciva più da sola. 5. Si chiedeva quindi l’annullamento senza, o, in subordine con rinvio, dell’ordinanza impugnata. Motivi della decisione 1. Il ricorso è infondato e va disatteso. 2. Il primo motivo reitera la questione dell’indeterminatezza del contenuto della misura per mancata precisazione di tali luoghi, supportata da un indirizzo giurisprudenziale di questa corte per il quale la misura cautelare prevista dall’art. 282 ter c.p.p., esigerebbe l’indicazione specifica e dettagliata dei luoghi oggetto del divieto di avvicinamento imposto all’indagato (Cass. 26819/2011). 3. Il collegio ritiene però di dare continuità ad altro, successivo, orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo cui il divieto di avvicinamento previsto dall’art. 282 ter c.p.p., riferendosi anche alla persona offesa in quanto tale, e non solo ai luoghi da questa frequentati, esprime una precisa scelta normativa di privilegio della libertà di circolazione del soggetto passivo ovvero di priorità dell’esigenza di consentire alla persona offesa il completo svolgimento della propria vita sociale in condizioni di sicurezza laddove la condotta di persistenza persecutoria non sia legata a particolari ambiti locali. Con la conseguenza che il contenuto concreto della misura in questione deve modellarsi rispetto alla predetta esigenza e che la tutela della libertà di circolazione e di relazione della persona offesa non trova limitazioni nella sola sfera del lavoro, degli affetti familiari e degli ambiti ad essa assimilabili (Cass. 13568/2012, 19552/2013). 4. Tale orientamento merita di essere privilegiato rispetto al precedente, evocato nel ricorso, in quanto prende acutamente atto della maggior tutela apprestata dall’art. 282 ter, significativamente introdotto con la normativa che ha creato la figura di reato degli atti persecutori, alla Divieto di avvicinamento anti - stalking ex art. 282 ter c.p.p.: il conflitto in Cassazione sui contenuti della misura cautelare di Carmelo Minnella vittima del reato, spesso oggetto di molesti pedinamenti, tutela non realizzabile compiutamente attraverso il divieto di avvicinamento del soggetto agente a determinati luoghi, ma soltanto attraverso quello di avvicinamento alla persona stessa dell’offeso. 5. Per quanto poi sia esatto il rilievo del ricorrente circa l’erronea indicazione, nel provvedimento genetico della misura, in S.F., sorella della persona offesa S.V., della persona alla quale C. non deve avvicinarsi, tuttavia tale errore, meramente materiale, è rimasto a tal punto privo di effetti da non essere neppure eccepito in sede di riesame, tanto era chiara al C. l’identità del soggetto alla cui tutela la misura cautelare era preordinata. 6. Ai limiti dell’ammissibilità è il secondo motivo che investe la sussistenza dei gravi indizi. Nel sottovalutare le dichiarazioni della persona offesa, della madre della stessa, nonché del fidanzato e della sorella che davano atto dei pedinamenti nei confronti della prima, e gli sms inoltrati a quest’ultima nonchè i post inseriti dal C. sul proprio profilo facebook, il ricorrente trascura non solo la valenza gravemente indiziaria di tali elementi, ma anche gli ulteriori dati indiziari emergenti dal provvedimento impugnato, e cioè le offese e minacce dirette alla persona offesa nei luoghi dalla stessa frequentati, ricordate dalla sorella e dal fidanzato, e i messaggi inviati a S.V. tramite facebook con i quali C. ne offendeva la reputazione sessuale e mostrava il proprio astio minacciando di farle del male “non ti preoccupare che il conto sarà fatto in toto”, “beh adesso paghi gli interessi”). 7. Quanto al profilo degli effetti del reato, mentre la circostanza che la persona offesa abbia smesso di uscire da sola configura già un’alterazione rilevante delle abitudini di vita determinata dalla condotta dell’indagato, si evidenzia che l’ordinanza richiama comunque sul punto il provvedimento genetico della misura il quale valorizzava anche ulteriori aspetti, senza contare che la questione non era stata specificamente sollevata con la richiesta di riesame e con quelle formulate ad esito della relativa udienza. 8. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Si ritiene di disporre l’oscuramento dei dati identificativi. (Omissis) SOMMARIO 1. La misura cautelare del divieto di avvicinamento e la sua componente vittimologica. 2. L’irrilevanza dell’errore del nome della persona offesa. 3. I contrastanti orientamenti di legittimità sul contenuto della misura. 4. L’esatta portata dell’orientamento prevalente e la sua (impropria) estensione. 5. Critiche all’orientamento prevalente e prospettive di superamento. 6. Nuovo orizzonte interpretativo della Suprema Corte. 1. La misura cautelare del divieto di avvicinamento e la sua componente vittimologica La pronuncia in esame torna ad occuparsi della misura cautelare del divieto di avvicinamento ex art. 282-ter c.p.p., introdotta dal D.L. 23 febbraio 2009 n. 11 (convertito in L. Arch. nuova proc. pen. 4/2014 379 giur L e g i t t i m i tà 23 aprile 2009 n. 38), ritagliata dal legislatore proprio in relazione al delitto di atti persecutori (anche se non è da escludere che la stessa possa avere un’applicazione generalizzata e viene applicata dalla giurisprudenza anche per l’affine figura delittuosa dei maltrattamenti in famiglia), (1) costituisce un argine alla reiterazione delle condotte moleste e minacciose e/o un freno al rischio di attentati alla genuinità della prova, per lo meno “in prima battuta”, (2) salva l’applicazione di una misura più afflittiva qualora si dovesse aggravare il quadro cautelare o l’indagato di stalking prosegua nel compimento delle sue incursioni persecutorie. (3) Viceversa, laddove vi sia un giudizio di attenuazione delle esigenze cautelari (in origine talmente gravi da giustificare un’iniziale applicazione della custodia cautelare o degli arresti domiciliari), ma non di completa elisione, la misura del divieto di avvicinamento può rappresentare l’ultimo passaggio cautelare prima della revoca di ogni forma di restrizione della libertà personale (4). Siamo all’interno di quel «microsistema cautelare orientato alla tutela della vittima» (5) (o misure cautelari “a tutela dell’offeso” (6)) che presenta peculiari caratteristiche, sia con riferimento ai contenuti delle misure – si pensi alle previsioni di carattere limitativo-proibitivo, con riguardo al divieto di contatti sia con la persona della vittima, sia con il contesto nella quale essa vive (luoghi e persone, quali i familiari di questa) – che agli effetti cautelari, cioè conseguenze automatiche determinate dall’applicazione della misura che possono attivare provvedimenti da parte di altre autorità (7). La finalità della misura prevista dall’art. 282-ter c.p.p. è stata sottolineata dalla giurisprudenza di legittimità: «scopo della previsione è evidentemente quello di rispondere a specifiche ragioni di cautela special preventiva, riferite non solo alla personalità dell’indagato ed alla proclività dello stesso alla commissione di reati, ma anche al particolare rilievo che in questa prospettiva assumono la posizione della persona offesa ed i rapporti fra la stessa ed il soggetto agente; il che ricollega il campo applicativo della norma a reati in cui è particolarmente significativa la componente vittimologica, qual è senz’altro il delitto di cui all’art. 612-bis c.p.» (8). Tale peculiarità del divieto di avvicinamento alla persona offesa e ai luoghi da questa frequentati si riflette sul contenuto della misura cautelare prevista dall’art. 282-ter c.p.p. (come pure quella dell’allontanamento dalla casa familiare di cui all’art. 282-bis c.p.p.) caratterizzata «per essere normativamente “temperata” sulla situazione che si vuole tutelare in via cautelare» (9). Infatti, mentre il giudice penale è abituato a maneggiare misure cautelari “interamente predeterminate”, che generalmente non necessitano di integrazioni prescrittive e quando vi sono, sono di minima entità, invece, sia l’allontanamento dalla casa familiare, che il divieto di avvicinamento – misure entrambe ispirate all’esperienza comparata dell’order of 380 4/2014 Arch. nuova proc. pen. protection della legislazione di common law – si connotano perché affidano al giudice della cautela il compito, oltre che di verificare i presupposti applicativi ordinari, di riempire la misura di quelle prescrizioni essenziali per raggiungere l’obiettivo cautelare ovvero per limitare le conseguenze della misura stessa. Tuttavia, proprio tale flessibilità e la scarna descrizione normativa dei contenuti del divieto di avvicinamento, ampliando gli spazi di discrezionalità normalmente riconosciuti al giudice (alquanto esigui in materia di provvedimenti de libertate, caratterizzata da un elevato tasso di legalità, per la massima salvaguardia della libertà personale dell’imputato), viene considerata «al limite della compatibilità con l’art. 13 Cost., che ammette restrizioni per mano dell’autorità giudiziaria “nei soli […] modi previsti dalla legge”» (10). L’efficacia di queste misure, funzionali ad evitare il pericolo della reiterazione delle condotte illecite, è quindi subordinata a come il giudice le riempie di contenuti attraverso le prescrizioni che le norme gli consentono. Ne consegue che per le misure in questione appare necessaria la completa comprensione delle dinamiche che sono alla base dell’illecito, nel senso che il giudice deve modellare la misura in relazione alla situazione di fatto. Ciò comporta che «il pubblico ministero nella sua richiesta (e ancor prima la polizia giudiziaria) dovrà ben rappresentare al giudice, oltre agli elementi essenziali per l’applicazione della misura, anche aspetti apparentemente di contorno, che invece possono assumere una importanza fondamentale ai fini dei provvedimenti di allontanamento o di divieto di avvicinamento, che possono risultare utili per dare il migliore contenuto al provvedimento cautelare» (11). 2. L’irrilevanza dell’errore del nome della persona offesa L’erronea indicazione, nel provvedimento genetico della misura, della persona offesa alla quale l’indagato non deve avvicinarsi costituisce un errore, meramente materiale, rimasto privo di effetti da non essere neppure eccepito in sede di riesame, tanto era chiara a quest’ultimo l’identità del soggetto alla cui tutela la misura cautelare era preordinata. Il sottoposto al divieto di avvicinamento lamentava la questione dell’indeterminatezza anche con riferimento alla circostanza che il divieto fosse stato riferito non alla persona offesa ma alla di lei sorella. Ma la Suprema Corte risponde che «per quanto poi sia esatto il rilievo del ricorrente circa l’erronea indicazione, nel provvedimento genetico della misura, in S.F., sorella della persona offesa S.V., della persona alla quale C. non deve avvicinarsi, tuttavia tale errore, meramente materiale, è rimasto a tal punto privo di effetti da non essere neppure eccepito in sede di riesame, tanto era chiara al C. l’identità del soggetto alla cui tutela la misura cautelare era preordinata». Sul punto, solo ove l’errore riguardi l’indagato (e non la persona offesa) l’ordinanza cautelare è nulla, sebbene giur L e g i t t i m i tà si è precisato che «in materia di misure cautelari, costituisce mero errore materiale, e non violazione dell’art. 292 comma 2 lett. a) c.p.p., che richiede a pena di nullità che l’ordinanza cautelare contenga l’indicazione delle generalità dell’indagato, la imprecisione del solo “nome”, qualora risultino esatti gli altri dati identificativi (cognome, luogo e data di nascita) e non vi siano dubbi sulla corretta identificazione dell’indagato» (12). Inoltre, l’indicazione delle generalità complete dell’indagato nell’ordinanza cautelare è indispensabile - essendone sanzionata da nullità l’omissione - solo nel caso in cui si tratti di ordinanza adottata autonomamente, ex art. 291 c.p.p., e non anche nel caso in cui essa sia emessa dopo la convalida dell’arresto in flagranza dell’indagato ad opera della P.G., in quanto, in tal caso, l’identificazione è stata già compiuta, in maniera esauriente e completa, senza alcuna possibilità di errore sulla sua identità (13). 3. I contrastanti orientamenti di legittimità sul contenuto della misura La sentenza in rassegna si inserisce all’interno del conflitto tra le sezioni semplici della Suprema Corte, sulla necessità o meno di indicare i luoghi abitualmente frequentati dalla vittima di atti persecutori. Secondo una prima posizione giurisprudenziale, tracciata dalla VI sezione della Suprema Corte, l’applicazione della misura di cui all’art. 282-ter c.p.p. esigerebbe l’indicazione specifica e dettagliata dei luoghi oggetto del divieto di avvicinamento imposto all’indagato. Nell’ambito dei luoghi abitualmente frequentati la norma pretende che vengano individuati “luoghi determinati”, perché solo in questo modo il provvedimento assume una conformazione completa, che ne consente non solo l’esecuzione, ma anche il controllo che tali prescrizioni siano osservate. D’altra parte, la completezza e la specificità del provvedimento costituisce una garanzia per un giusto contemperamento tra le esigenze di sicurezza, incentrate sulla tutela della vittima, e il minor sacrificio della libertà di movimento della persona sottoposta ad indagini. In altri termini, deve ritenersi che con il provvedimento ex art. 282-ter c.p.p., il giudice debba necessariamente indicare in maniera specifica e dettagliata i luoghi rispetto ai quali all’indagato è fatto divieto di avvicinamento, non potendo essere concepibile una misura cautelare, come quella oggetto di esame, che si limiti a fare riferimento genericamente “a tutti luoghi frequentati” dalla vittima. Così concepito il provvedimento, oltre a non rispettare il contenuto legale, appare strutturato in maniera del tutto generica, imponendo una condotta di non facere indeterminata rispetto ai luoghi, la cui individuazione finisce per essere di fatto rimessa alla persona offesa. A questo orientamento se ne contrappone un altro, più recente e ormai prevalente nella giurisprudenza della V sezione di Cassazione, secondo il quale il provvedimento con il quale il giudice dispone, ex art. 282-ter c.p.p., il divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa o il mantenimento di una determinata distanza non deve necessariamente indicare i luoghi oggetto del divieto, ma può riguardare tutti i luoghi dalla stessa frequentati (14). Secondo tale posizione giurisprudenziale, la misura cautelare in esame è stata oggetto nel tempo dei due accennati interventi normativi: dapprima la legge 4 aprile 2001, n. 154, art. 1, ha introdotto l’art. 282-bis c.p.p. che prevede, al secondo comma, il divieto di avvicinamento quale misura accessoria all’allontanamento dalla casa familiare. Successivamente l’interpolazione del 2009 che, prendendo atto della insufficienza di una tutela “statica” dell’incolumità della vittima (laddove le circostanze rendano concreto il pericolo di un’aggressione della stessa nel corso dello svolgimento della sua vita di relazione e pertanto inadeguata una mera interdizione all’indagato del luogo di abitazione della persona offesa), ha previsto il divieto di avvicinamento quale misura principale ed autonoma con il palese scopo di rendere detta tutela più efficace in determinate situazioni; ed è particolarmente significativo, a questo riguardo, che la disposizione sia stata introdotta contestualmente alla previsione del delitto di atti persecutori. Per la Suprema Corte, le modalità commissive del reato di cui all’art. 612-bis c.p. «comprendono infatti quali manifestazioni tipiche il costante pedinamento della vittima, da parte del soggetto agente, anche in luoghi nei quali la prima si trovi occasionalmente, e l’espressione di atteggiamenti minacciosi o intimidatori anche in assenza di contatto fisico diretto con la persona offesa e purtuttavia dalla stessa percepibili. Alle necessità indotte da quest’ultima tipologia comportamentale soccorre la sostanziale estensione della nozione di “avvicinamento” al superamento di una distanza minima della vittima, stabilita secondo le esigenze di tutela suggerite dal caso concreto. Ma, in termini più generali, il riferimento oggettuale del divieto di avvicinamento non più solo ai luoghi frequentati dalla persona offesa, ma altresì alla persona offesa in quanto tale, esprime una precisa scelta normativa di privilegio, anche nelle situazioni in esame, della libertà di circolazione del soggetto passivo» (15). La norma, in altre parole, esprime una scelta di priorità dell’esigenza di consentire alla persona offesa il completo svolgimento della propria vita sociale in condizioni di sicurezza da aggressioni alla propria incolumità anche laddove la condotta dell’autore del reato assuma connotazioni di persistenza persecutoria tale da non essere legata a particolari ambiti locali; con la conseguenza che è rispetto a tale esigenza che deve modellarsi il contenuto concreto di una misura la quale ha comunque natura inevitabilmente coercitiva rispetto a libertà anche fondamentali dell’indagato. Anche per la pronuncia in esame, «tale orientamento merita di essere privilegiato rispetto al precedente, evocato nel ricorso, in quanto prende acutamente atto della magArch. nuova proc. pen. 4/2014 381 giur L e g i t t i m i tà gior tutela apprestata dall’art. 282-ter, significativamente introdotto con la normativa che ha creato la figura di reato degli atti persecutori, alla vittima del reato, spesso oggetto di molesti pedinamenti, tutela non realizzabile compiutamente attraverso il divieto di avvicinamento del soggetto agente a determinati luoghi, ma soltanto attraverso quello di avvicinamento alla persona stessa dell’offeso». 4. L’esatta portata dell’orientamento prevalente e la sua (impropria) estensione La sentenza in commento, inserendosi all’interno di quest’ultimo orientamento, consente di svolgere alcune importanti puntualizzazioni in ordine all’esatta portata dell’interpretazione dell’art. 282-terc.p.p. da parte della Suprema Corte. Correttamente i giudici di legittimità ritengono – come sostenuto dai precedenti arresti, a partire da quello della sez. V, n. 13568/12 – che «la misura cautelare in esame, per effetto dell’integrazione effettuata con l’introduzione dell’art. 282-ter c.p.p., ha assunto una dimensione articolata in più fattispecie applicative, graduate in base alle esigenze di cautela del caso concreto». Infatti la norma consente di graduare, a seconda del quadro cautelare e del grado di invasività delle condotte persecutorie e delle proiezioni spaziali in cui le stesse si consumano, il contenuto della misura cautelare prevedendo il solo divieto di avvicinamento ai luoghi di abituale frequentazione della vittima (o ad una certa distanza di essi) (16) o di mantenere una certa distanza dalla persona offesa ovunque la stessa si trovi (17), ovvero statuire sia un divieto di avvicinamento ‘personale’ che ai luoghi in cui si esplica la vita della vittima di stalking (18). Sul punto la Suprema Corte è chiarissima nel ritenere che l’indicazione dei luoghi determinati frequentati dalla persona offesa rimane invero significativa nel caso in cui le modalità della condotta criminosa non manifestino un campo d’azione che esuli dai luoghi nei quali la vittima trascorra una parte apprezzabile del proprio tempo o costituiscano punti di riferimento della propria quotidianità di vita, quali quelli indicati dall’art. 282-bis c.p.p., nel luogo di lavoro o di domicilio della famiglia di provenienza. Quando viceversa, «ed è situazione come si è detto ricorrente per il reato di cui all’art. 612-bis c.p., la condotta oggetto della temuta reiterazione abbia i connotati della persistente ed invasiva ricerca di contatto con la vittima in qualsiasi luogo in cui la stessa si trovi, è prevista la possibilità di individuare la stessa persona offesa, e non i luoghi da essa frequentati, come riferimento centrale del divieto di avvicinamento. Ed in tal caso diviene irrilevante l’individuazione di luoghi di abituale frequentazione della vittima; dimensione essenziale della misura è invero a questo punto il divieto di avvicinamento a quest’ultima nel corso della sua vita quotidiana ovunque essa si svolga. Nella situazione descritta, in generale, la predeterminazione dei luoghi di cui sopra risulterebbe chiaramente dissonante con le finalità della misura. Essa verrebbe di 382 4/2014 Arch. nuova proc. pen. fatto a porsi come un’inammissibile limitazione del libero svolgimento della vita sociale della persona offesa, che viceversa costituisce precipuo oggetto di tutela della norma. La vittima si vedrebbe invero costretta a contenere la propria libertà di movimento nell’ambito dei luoghi indicati ovvero ad essere esposta, esorbitando dagli stessi, a quella condizione di pericolo per la propria incolumità che si presuppone essere stato riconosciuta sussistente anche al di fuori del perimetro della ricorrente frequentazione della persona offesa» (19). Analogo discorso deve farsi per quanto riguarda l’individuazione dei soggetti legati alla persona offesa da rapporti di parentela, di lavoro o di natura affettiva, ai sensi dell’art. 282-ter, comma 2, c.p.p.; un’elencazione completa ed esauriente non sarebbe possibile e quindi la prescrizione è necessariamente generica, mirando ad evitare che attraverso attività molestatrice di persone legate alla vittima, il molestatore possa indirettamente colpire quest’ultima. È evidente, pertanto, che la norma tende ad evitare determinati comportamenti nei confronti di persone che l’indagato sa essere legate da particolari rapporti alla persona offesa (20). Secondo tale orientamento di legittimità, è “solo” nel caso in cui il divieto di avvicinamento abbia ad oggetto la persona offesa che non occorre individuare quali sono i luoghi inibiti all’indagato di atti persecutori. Una volta riconosciuta la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura del divieto di avvicinarsi “alla persona offesa” non è necessaria una specifica predeterminazione dei luoghi frequentati dalla vittima ed interdetti all’indagato, essendo sufficiente il richiamo ai luoghi “abitualmente” frequentati (21). Quando, invece, l’ordinanza ex art. 282-ter c.p.p. si limiti a vietare di avvicinarsi a tutti i luoghi frequentati dalla persona offesa il divieto di avvicinamento potrà avere solo una caratterizzazione “reale” e non “personale”, con la conseguenza che dovranno essere specificamente individuati i luoghi che siano abitualmente frequentati dalla persona offesa (con l’esclusione di quelli nei quali la presenza dell’offeso dovesse essere sporadica, occasionale, casuale e che di conseguenza non sarebbero in alcun modo predeterminabili nel provvedimento restrittivo) (22), pena la violazione del “contenuto legale” dell’art. 282-ter c.p.p.. In quest’ultimo senso, una pronuncia della V sezione si è correttamente pronunciata ritenendo che pur essendo necessaria la specificazione dei luoghi di abituale frequentazione della vittima di stalking, nel caso deciso era presente il carattere della determinatezza, invece, nella misura che prescrive all’obbligato di non avvicinarsi alla “dimora” della persona offesa e al luogo in cui la stessa “presta attività lavorativa” nonché al “luogo di dimora delle sorelle”, «trattandosi di luoghi chiaramente individuati, ben noti all’obbligato, sicché non risulta compromessa la giur L e g i t t i m i tà chiarezza dell’obbligo, né viene imposto un obbligo esorbitante dalle finalità della cautela» (23). Invece, in qualche pronuncia sembra estendere l’orientamento prevalente sulla non necessaria indicazione dei luoghi di abituale frequentazione della persona offesa anche qualora il divieto di avvicinamento non abbia ad oggetto quest’ultima. In un caso, infatti, in cui la misura cautelare degli arresti domiciliari era stata sostituita dalla diversa misura del divieto di avvicinarsi a tutti i luoghi frequentati dalla persona offesa (la di lui moglie) e dalle figlie della coppia, con particolare riguardo alle zone limitrofe la scuola frequentata dalle minori, che il ricorrente era autorizzato a vedere solo secondo modalità già in atto, documentate da relazioni dei competenti servizi sociali, (24) la Suprema Corte richiama il prevalente orientamento di legittimità. Ma si tratta di un richiamo improprio in quanto nel caso di specie mancava il divieto di avvicinamento alla vittima di atti persecutori. Anche a voler accogliere l’orientamento della V sezione della Cassazione, non basta, dunque, che sia contestato il delitto di stalking per ritenere non necessario indicare i luoghi del perimetro del dispiegarsi della quotidianità della persona offesa. Occorre che la misura cautelare ex art 282-ter c.p.p. abbia ad oggetto il divieto di avvicinamento della vittima delle condotte persecutorie. 5. Critiche all’orientamento prevalente e prospettive di superamento Una volta compiuta questa necessaria specificazione sulla diversa disciplina del divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, a seconda che lo stesso sia posto (o meno) in aggiunta al divieto di avvicinamento ‘personale’, la dottrina ha comunque criticato l’orientamento di legittimità più recente – che reputa legittimi i provvedimenti che abbiano , tra i contenuti prescrittivi, un divieto di accesso “a tutti i luoghi frequentati dalla persona offesa”, nelle ipotesi in cui il giudice abbia deciso di imporre anche un divieto di avvicinamento dell’offeso – in quanto non solo aggrava il deficit di legalità dell’istituto cautelare in questione, ma anche rischia di «favorire nelle prassi il disimpegno dei giudici di merito rispetto a laboriose sagomature del vincolo cautelare sulla concreta situazione pericolosa» (25). L’indeterminatezza dei luoghi frequentati dalla persona offesa connoterebbe, inoltre, il provvedimento cautelare di eccessiva gravosità e da sostanziale ineseguibilità, al punto da quasi addirittura rasentarne l’abnormità. Il controllo dell’osservanza delle prescrizioni sarebbe più sfuggente e le eventuali conseguenze sanzionatorie ex art. 276 c.p.p. rischiano di essere collegate a «violazione del tutto incerte» (26). In verità, su quest’ultimo aspetto parte della dottrina e la Suprema Corte ricordano, con riferimento alle violazioni inconsapevoli delle prescrizioni cautelari che l’aggravamento della misura presuppone la rimproverabilità delle trasgressioni: «non bisogna dimenticare, infatti, che ai fini della valutazione del rispetto della misura si deve tener conto anche dell’elemento soggettivo» (27). Allora, come è stato ben affermato, «il punto più delicato è che la vaghezza del provvedimento non può non incidere sull’onerosità della sua osservanza da parte del destinatario, il quale rischia di trovarsi obbligato ad astenersi dal frequentare una lunga serie di luoghi, nei quali può ragionevolmente ritenere possibile la presenza della persona ‘protetta’» (28). L’orientamento prevalente della Suprema Corte, confermato dalla sentenza in commento, non ritiene invece fondate le preoccupazioni espresse nell’opposto orientamento giurisprudenziale e della dottrina in ordine alla soggezione dell’indagato a limitazioni della propria libertà personale di carattere indefinito, estranee alle proprie intenzioni persecutorie e di fatto dipendenti dalla volontà della persona offesa. Secondo i giudici di legittimità, «le prescrizioni, anche nel generico riferimento al divieto di avvicinarsi alla persona offesa ed ai luoghi in cui la stessa in concreto si trovi, mantengono invero un contenuto coercitivo sufficientemente definito nell’essenziale imposizione di evitare contatti ravvicinati con la vittima, la presenza della quale in un certo luogo è sufficiente ad indicare lo stesso come precluso all’accesso dell’indagato». Invero, la Suprema Corte sembra confondere la problematica della necessaria predeterminazione dei luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa ed inibiti all’indagato con quella, alquanto diversa, degli incontri occasionali tra l’indagato di atti persecutori e la persona offesa. Infatti, di maggior garanzia per gli stessi diritti di colui che viene gravato dal divieto, risulta la soluzione che impone allo stalker di non avvicinarsi a tutti i luoghi frequentati dalla vittima, e comunque di allontanarsi da detti luoghi in ogni occasione di incontro. In altre parole, non vi è alcuna compressione ingiustificata della libertà dell’indagato, né vuota indeterminatezza delle modalità applicative della misura: fermo restando che gli è proibito transitare in una via determinata ed in prossimità dei luoghi abitualmente frequentati dalla parte offesa, egli può recarsi dove vuole, salvo doversene allontanare qualora incontri - anche imprevedibilmente - la persona da tutelare. Sul punto, confermate le superiori riserve critiche in ordine all’eccessiva onerosità del divieto ex art. 282-ter c.p.p. nel caso in cui non vengano indicati specificamente i luoghi interdetti a prescindere dall’attuale presenza della persona offesa, è preferibile ritenere che restano esclusi dall’obbligo imposto con la misura gli eventuali, occasionali e non prevedibili incontri (ad esempio camminando per strada), purché in luoghi diversi da quelli che l’indagato sa essere abitualmente frequentati per motivi di lavoro, di vita o affettivi dalla persona offesa che non si traducano in alcun tipo di contatto molesto (29). Arch. nuova proc. pen. 4/2014 383 giur L e g i t t i m i tà 6. Nuovo orizzonte interpretativo della Suprema Corte L’orientamento seguito dalla Suprema Corte dalla sentenza in rassegna sulla non necessaria indicazione dei luoghi inibiti all’indagato nel caso in cui il provvedimento cautelare ex art. 282-ter c.p.p. preveda il divieto di avvicinamento alla persona offesa del delitto di atti persecutori, anche se tende a cristallizzarsi in seno al giudice di legittimità, va criticato per l’eccessiva intederminatezza del contenuto prescrittivo della norma (30). Per riportare la norma nell’alveo del principio di legalità processuale che sovraintende alle limitazione della libertà personale, spetta all’interprete, ma soprattutto ai giudici, perfezionare la norma sul piano applicativo con l’aggiunta di congrue quantificazioni utili a conferire al precetto la necessaria determinatezza (31). Sembra, dunque, preferibile sposare il primo e meno recente orientamento secondo il quale l’applicazione della misura di cui all’art. 282-ter c.p.p. esigerebbe in ogni caso, anche quando sia accompagnata dal divieto di avvicinamento alla presunta vittima di stalking, l’indicazione specifica e dettagliata dei luoghi oggetto del divieto di avvicinamento imposto all’indagato. La completezza e la specificità del provvedimento costituiscono, infatti, una garanzia per un giusto contemperamento tra le esigenze di sicurezza, incentrate sulla tutela della vittima, e il minor sacrificio della libertà personale e di movimento della persona sottoposta ad indagini (32). In tal senso, la posizione giurisprudenziale, relativa alla non necessaria indicazione dei luoghi frequentati dalla persona offesa qualora tale misura si aggiunga al divieto di avvicinamento ‘personale’, è stata ritenuta recentemente in contrasto con il divieto di cumulo di misure cautelari sancito dalla nota sentenza La Stella delle Sezioni Unite (33). In particolare, con la previsione dell’art. 282-ter c.p.p. il legislatore ha previsto una triplice modalità della fattispecie cautelare del divieto di avvicinamento che il giudice potrà considerare al fine di adeguare la tutela alle esigenze ravvisate nel caso di specie: quella del divieto di avvicinamento ai luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa, quella di mantenere una determinata distanza da tali luoghi e, infine, quella di mantenere una determinata distanza dalla persona offesa. Mentre le prime due tipologie hanno come riferimento “determinati luoghi” fissando rispetto ad essi l’ambito nel quale l’inibizione è efficace, la terza, invece, si incentra sulla “determinata distanza” da tenere rispetto alla persona offesa. Il giudice ha quindi la possibilità di adeguare l’intervento cautelare previsto dall’art. 282-ter c.p.p. alle esigenze di specie attraverso le tre diverse flessioni previste, ma la scelta del divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa deve rispettare la connotazione legale che lo vuole riferito a “determinati” luoghi, che è compito del giudice indicare a pena di una censurabile indeterminatezza (34). 384 4/2014 Arch. nuova proc. pen. Note (1) BELLANTONI, Divieto di avvicinamento alla persona offesa ex art. 282 ter c.p.p. e determinazione di luoghi e distanze, in Dir. pen. proc., 2013, 1288. (2) In molte pronunce cautelari, alla luce del quadro indiziario e cautelare, il giudice ritiene “allo stato” la misura del divieto di avvicinamento ex art. 282-ter c.p.p. idonea a fronteggiare il pericolo di reiterazione del reato di atti persecutori: cfr., G.I.P. Trib. Catania, 2 ottobre 2009, in Fam. min., 2010, 1, 59; G.I.P. Trib. Napoli, 30 giugno 2009, in Resp. civ. prev., 2009, 11, p. 2319, in cui l’indagato, non accettando la decisione della moglie di procedere a separazione legale, la cacciava di casa e, ciò nonostante, la perseguitava, minacciava ed ingiuriava di continuo. (3) Per Cass. pen., sez. V, 5 luglio 2011 n. 34520, in Ced Cass. 2011, rv. 250927, «La reiterazione di condotte persecutorie nei confronti della persona offesa legittima, in virtù dell’art. 299, comma 4, c.p.p., la sostituzione della misura applicata con altra più grave, con riferimento all’aggravarsi delle esigenze cautelari, trattandosi di fatti sintomatici di un più elevato grado di pericolosità». Allo stesso modo, sez. V, 11 febbraio 2011 n. 15230, in Diritto e Giustizia 2011, in relazione alla contestazione provvisoria del reato di atti persecutori, ha ritenuto legittima la sostituzione della misura del divieto di avvicinamento di cui all’art. 282-ter c.p.p con quella più grave degli arresti domiciliari allorché l’indagato continui a tenere comportamenti minacciosi e molesti in danno della persona offesa, tali da costituire ulteriori reiterazioni del reato in contestazione. (4) Cass. pen., sez. V, 16 gennaio 2013, n. 36887, in Cass. pen., 2014, n. 6. (5) EPIDENDIO, (incontro di studio, organizzato dal C.S.M., il 19-21 ottobre 2009, sul tema La violenza sulle donne: inquadramento giuridico, indagini e giudizio), Gli strumenti di intervento cautelare in sede civile e penale, in http://appinter.csm.it/incontri/relaz/18244.pdf. (6) BRONZO, Profili critici delle misure cautelari “a tutela dell’offeso”, in Cass. pen., 2012, 3469. (7) Per MAFFEO, Il nuovo delitto di atti persecutori (stalking): un primo commento al D.L. n. 11 del 2009 (conv. con modif. dalla L. n. 38 del 2009), in Cass. pen., 2009, 2729, «quello disegnato dal legislatore è, quindi, uno spettro di tutela molto ampio che rende più intenso il nucleo di prevenzione della misura e che, guardando alle caratteristiche proprie dei fatti di stalking, sembra una scelta legislativa particolarmente felice». (8) Cass. pen., sez. V, 27 febbraio 2013, n. 14297, in questa Rivista, 2013, 2717; Cass. pen., sez. V, 16 gennaio 2012 n. 13568, in Cass. pen., 2012, 3466, con nota di BRONZO, Profili critici delle misure cautelari “a tutela dell’offeso”, cit. (9) Cass. pen., sez. VI, 7 aprile 2011 n. 26819, in Ced. Cass. pen. 2011, rv. 250728. (10) BRONZO, Profili critici delle misure cautelari “a tutela dell’offeso”, cit., p. 3473. MORELLI, Commento sub art. 9 D.L. 23 febbraio 2009 n. 11 (stalking), in Leg. pen., 2009, 499 s., avanza una critica alla formulazione dell’art. 282-ter c.p.p. sul piano della determinatezza e del rispetto del principio di legalità in materia cautelare, sottolineando che, «rispetto alla sostanziale precisione descrittiva delle altre misure cautelari, qui la norma chiede al giudice di costruire la cautela di volta in volta, offrendogli ben pochi appigli», per cui «il ruolo del giudice appare esorbitante e stona con i principi in materia di limitazioni temporanee della libertà»; l’A., nel valorizzare il principio di legalità, ritiene che le esigenze ad esso connesse implichino «inderogabili pretese di determinatezza nella creazione di ogni strumento cautelare», non essendo il legislatore «autorizzato a licenziare fattispecie cautelari vaghe o indeterminate, la cui precisa definizione sia lasciata alla dialettica tra pubblico ministero e giudice». Ritiene, invece, che il divieto di avvicinamento è comunque regolato dalla legge nei presupposti e nelle condizioni di applicabilità, in conformità ai suesposti principi di legalità e di tassatività, COLLINI, Il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa tra principio di legalità e discrezionalità giudiziale, in http://www.penalecontemporaneo.it (24 gennaio 2012), 3. (11) Ancora Cass. pen., sez. VI, 7 aprile 2011, n. 26819, cit. giur L e g i t t i m i tà (12) Cass. pen., sez. VI, 9 marzo 2006, n. 21939, in CED Cass. pen., 2006, rv 234616. (13) Cass. pen., sez. IV, 18 ottobre 2012, n. 3303, in CED Cass. pen., 2012, rv 254960. (14) PITTARO, Il delitto di atti persecutori (il c.d. stalking), in Fam dir., 2014, 164. (15) Cass. pen., sez. V, 16 gennaio 2012 n. 13568, cit.; Id., sez. V, 27 febbraio 2013, n. 14297, cit.; Id., sez. V, 26 marzo 2013, n. 19552, in Dir. pen. proc., 2013, 1283. (16) MARANDOLA, I profili processuali delle nuove norme in materia di sicurezza pubblica, di contrasto alla violenza sessuale e stalking, in Dir. pen. proc., 2009, 967, ricorda che poiché l’art. 282-ter c.p.p. parla di determinata distanza dai luoghi indicati nei commi 1 e 2, il giudice ha l’obbligo di indicarla nel provvedimento. (17) Non avendo predeterminato il legislatore la distanza che l’indagato deve tenere dalle persone e dei luoghi da questi frequentati indicati nell’ordinanza ex art. 282-ter c.p.p., LORUSSO, Sicurezza pubblica e diritto emergenziale: fascino ed insidie dei rimedi processuali, in Dir. pen. proc., 2010, 3, p. 271, ha segnalato i rischi di provocare disparità di trattamento, insiti nella concreta applicazione della misura, atteso che al giudice è attribuito l’ampio potere discrezionale di determinare caso per caso, la giusta distanza di sicurezza dell’autore delle condotte persecutorie dalla persona offesa, ovvero dai luoghi da quest’ultima abitualmente frequentati. Per GEMELLI, Stalking: la vicenda processuale del cacciatore e la sua preda, in Giust. pen., 2010, III, 498, «non è causale, infatti, che le prime applicazioni giurisprudenziali presentano un panorama assai variegato, nel quale la zona vietata non è uniformata su tutto il territorio nazionale» (18) Il diverso grado di afflittività di siffatte tipologie cautelari presentano un grado di afflittività assai variabile che «impone all’autorità giudiziaria un attento dosaggio della restrizione che, da un lato ‘compensi’ il modesto tasso di legalità e, dall’altro, assicuri il rispetto del fondamentale principio di adeguatezza – minimo sacrificio alla libertà necessario al soddisfacimento del bisogno preventivo – anche alla concreta conformazione del vincolo»: così, BRONZO, Osservazioni a Cass. pen., sez. V, 27 febbraio 2013, n. 14297, cit., in Cass. pen., 2013, 2722-2723, il quale aggiunge che viene in gioco il rispetto del ‘principio di proporzione’, utilizzato dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo per valutare la legittimità convenzionale delle misure privative della libertà personale. (19) Cass. pen., sez. V, 16 gennaio 2012 n. 13568, cit., ripresa pedissequamente da Cass. pen., sez. V, 26 marzo 2013, n. 19552, cit. (20) Cass. pen., sez. V, 27 febbraio 2013, n. 14297, cit. (21) Cass. pen., sez. V, 26 marzo 2013, n. 19552, cit.; Sez. V, 27 febbraio 2013, n. 14297, cit. (22) BRONZO, Profili critici delle misure cautelari “a tutela dell’offeso”, cit, 3476; per BELLANTONI, Divieto di avvicinamento alla persona offesa ex art. 282 ter c.p.p. e determinazione di luoghi e distanze, cit., «la norma, dunque, facendo riferimento a luoghi “determinati”, richiede di certo l’esatta indicazione di essi, mediante l’utilizzo di precisi dati validi a specificamente e inequivocabilmente indicati in concreto. Inoltre, ponendosi l’accento sull’avverbio “abitualmente”, frequentati dalla persona offesa, riferito al dover essere dei luoghi stessi, si deduce come la disposizione intende riferirsi ai luoghi soliti, consueti e legati all’abitudine della persona offesa. Laddove, poi, e per di più, l’aggettivo “frequentati” da ultimo, è obbligatoriamente da intendersi come riferito a luoghi che siano visitati assiduamente dalla persona offesa». (23) Cass. pen., sez. V, 4 aprile 2013, n. 27798, in Diritto e Giustizia (5 aprile 2013). (24) Cass. pen., sez. V, 16 gennaio 2013, n. 36887, cit.; il provvedimento prescriveva altresì all’indagato di non comunicare con la denunciante o con i familiari conviventi della donna, neppure mediante squilli telefonici o clacson. (25) BRONZO, Profili critici delle misure cautelari “a tutela dell’offeso”, cit., 3473. Ed, invece, l’attento esercizio della discrezionalità giudiziale (legato alla sommaria tipizzazione normativa) si impone anche perché, essendo l’apparato ‘probatorio’ sul quale poggia la misura cautelare è spesso costituito unicamente dall’offeso, quest’ultimo potrebbe trasferire nella dinamica cautelare sentimenti di astio o di risentimento, ove, ad esempio, il procedimento penale e l’intervento cautelare si interseca con il ricorso di separazione personale tra i coniugi. E ad aggravare siffatto quadro si consideri che, , come sottolineato da Cass. pen., sez. III, 20 novembre 2013, n. 6384, in Fam. Dir., 2014, n. 6, «il contesto conflittuale originato dalla crisi della relazione di coppia tra i due coniugi non è assolutamente idoneo ad escludere o ridurre la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza del reato di atti persecutori, ma anzi appare assai rilevante, tant’è che l’art. 612-bis, comma 2, c.p., prevede addirittura come aggravante l’esistenza di rapporti di coniugio o di pregressi rapporti affettivi tra le parti». Nel caso di spese, i giudici di legittimità hanno ritenuto illogico negare la misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla ex moglie laddove si riconosce un comportamento molesto del marito legalmente separato in un clima di grande conflittualità familiare. (26) MORELLI, Commento sub art. 9, cit., 506. (27) Cass. pen., sez. V, 27 febbraio 2013, n. 14297, cit., 2720. (28) BRONZO, Osservazioni a sez. V, 27 febbraio 2013, n. 14297, cit., 2723. (29) In questi termini, Cass. pen., sez. V, 27 febbraio 2013, n. 14297, cit. (30) CIAVOLA, Profili di diritto processuale e penitenziario in tema di coppie di fatto, in http://www.penalecontemporaneo.it, 27 s. (31) NEGRI, Le misure cautelari a tutela della vittima: dietro il paradigma flessibile, il rischio di un’incontrollata prevenzione, in Giur. it., 2012, 470. (32) BELLANTONI, Divieto di avvicinamento alla persona offesa ex art. 282 ter c.p.p. e determinazione di luoghi e distanze, cit., 1291. (33) Cass. pen., sez. un., 30 maggio 2006 n. 29907, in Cass. pen., 2006, 3973, per la quale «il codice di procedura penale, sulla scorta del modello fornito dalla formula costituzionale, all’interno dei pilastri fondamentali del sistema delle cautele incidenti sulla libertà personale, sancisce nell’art. 272 c.p.p. che “le libertà della persona possono essere limitate con misure cautelari soltanto a norma delle disposizioni del presente titolo”. Quella espressa dalla norma processuale non è la mera sottolineatura della necessità di previsione legale, che già scaturisce dalla doppia riserva, di legge e di giurisdizione, dettata dall’art. 13, comma 2, Cost. per ogni forma di compressione della libertà personale riflettendosi in essa piuttosto il proposito di ridurre ad un “numero chiuso” le figure di misure limitative della libertà utilizzabili in funzione cautelare nel corso del procedimento penale, non potendo quindi essere applicate misure e prescrizioni diverse da quelle espressamente considerate. È grazie soprattutto all’impiego dell’avverbio «soltanto» che il significato garantistico del principio di legalità si apprezza sotto il profilo della tassatività e tipicità, in quanto diretto a vincolare rigorosamente alla previsione legislativa (cioè ai soli “casi e modi” previsti dalla legge) l’esercizio della discrezionalità del giudice a cui è inibito creare ex novo, attraverso l’osmosi e il cumulo di più prescrizioni o misure, ulteriori “tipi”, estranei alla pur vasta gamma degli specifici modelli, coercitivi ed interdittivi, normativamente predisposti». (34) Cass. pen., sez. V, 28 marzo 2014, n. 14766, in Guida dir., 2014, 18, 68. Arch. nuova proc. pen. 4/2014 385 Merito Tribunale penale di Macerata sez. Gip/Gup, 28 marzo 2014 Est. Potetti – Imp. X Misure cautelari personali y Custodia cautelare in carcere y Durata y Interruzione dei termini y Condizioni y Passaggio in giudicato della sentenza di condanna y Esclusione. Misure cautelari personali y Custodia cautelare in carcere y Durata y Interruzione dei termini y Passaggio in giudicato della sentenza di condanna y Periodo intercorrente fra il passaggio in giudicato della sentenza e l’avvio della fase di esecuzione della pena y Questioni relative alla misura cautelare custodiale y Competenza y Individuazione. . La misura cautelare custodiale non viene interrotta in via automatica dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna, ma si protrae fino a confluire ed a trasformarsi, anche retroattivamente, in detenzione a titolo di pena, non oltre l’apertura della fase esecutiva. (c.p.p., art. 300) (1) . Nel periodo intercorrente fra il passaggio in giudicato della sentenza e il concreto avvio della fase di esecuzione della pena (ma non oltre) la competenza per la risoluzione delle questioni relative alla misura cautelare custodiale spetta al giudice dell’esecuzione, in quanto unico giudice procedente in quella fase medesima, nonché giudice istituzionalmente designato a decidere su ogni questione comunque connessa all’esecuzione della sentenza. (c.p.p., art. 300) (2) (1) La sentenza in epigrafe segue l’orientamento espresso da Cass. pen., sez. IV, 7 novembre 1997, n. 2761, in questa Rivista 1998, 458, secondo cui l’efficacia delle misure cautelari viene meno, secondo l’art. 300, comma 3, c.p.p., soltanto se la pena irrogata è dichiarata estinta ovvero condizionalmente sospesa e non quando, a seguito di sentenza di condanna, deve essere ancora eseguita. Nel senso invece di ritenere che il passaggio in giudicato della sentenza sia previsto fra le cause di estinzione delle misure cautelari di cui agli artt. 300 e 303 c.p.p., v. Cass. pen., sez. VI, 8 maggio 2008, n. 18733, ivi 2008, 833. (2) Analogo principio si rinviene, pur con riferimento alle misure cautelari non custodiali, in Cass. pen., sez. un., 11 maggio 2011, n. 18353, in questa Rivista 2011, 407. Svolgimento del processo e motivi della decisione Il Giudice pronunciando sulla richiesta di autorizzazione ad allontanarsi dalla propria abitazione, a firma degli avv. (omissis), depositata in data (omissis) nell’interesse di X, attualmente agli arresti domiciliari in proc. n. (omissis), osserva quanto segue. 1) Ultrattività della misura cautelare rispetto al giudicato. L’art. 300, comma 3, c.p.p. prevede che quando in qualsiasi grado del processo è pronunciata sentenza di condanna, le misure perdono efficacia se la pena irrogata è dichiarata estinta ovvero condizionalmente sospesa. Stabilendo con chiarezza che, nella fase susseguente ad una pronuncia di condanna, le misure cautelari in atto perdono efficacia solo nelle ipotesi di declaratoria di estinzione della pena o di sua sospensione condizionale (cioè in casi nei quali la stessa sentenza di condanna esclude in radice ogni prospettiva di applicazione della pena), la norma sopra ricordata rende invece chiaro che, negli altri casi, le misure cautelari sono destinate a conservare la loro efficacia, secondo le regole loro proprie, nella fase che precede l’esecuzione della sentenza di condanna. Una siffatta interpretazione appare, da un lato, conforme alle nitide indicazioni che provengono dal codice di rito e, dall’altro lato, è quella che meglio risponde alla logica del sistema cautelare. Infatti, è l’unica idonea ad evitare il paradosso della cessazione automatica ed immediata delle misure cautelari nello stesso momento nel quale viene pronunciata una sentenza di condanna (o ad essa parificata, come nel caso di “patteggiamento) suscettibile di effettiva esecuzione (v. Cass., Sez. VI, n. 17 giugno 2007; conf. Cass., n. 18733-08). Del resto, pronunciandosi in una fattispecie in cui la sospensione riguardava l’esecuzione della pena in attesa del procedimento di sorveglianza sull’istanza di affidamento ai servizi sociali, la Cassazione ha già avuto modo di affermare l’orientamento qui espresso, affermando che l’efficacia delle misure cautelari viene meno, secondo l’art. 300, comma 3, c.p.p., “soltanto” se la pena irrogata è dichiarata estinta ovvero condizionalmente sospesa e non quando, a seguito di sentenza di condanna, deve essere ancora eseguita (v. Cass., IV, n. 2761-97). Cass., n. 33132-12 ha poi chiarito che la norma di cui all’art. 300 cod. proc. pen., stabilendo, al comma 3, che le misure cautelari perdono immediatamente efficacia quando la pena irrogata con la sentenza di condanna è dichiarata estinta o condizionalmente sospesa, ossia in casi nei quali la stessa sentenza di condanna esclude ogni possibilità concreta di esecuzione della pena inflitta, rende manifesto come, negli altri casi, le misure cautelari sono destinate a conservare la loro efficacia nella fase che precede l’espiazione, per cui quando la sentenza di condanna sia diversa da quelle espressamente indicate dall’art. 300 Arch. nuova proc. pen. 4/2014 387 giur Merito comma 3, cit., la misura cautelare custodiale rimane valida ed efficace perché funzionalmente predisposta alla successiva instaurazione della fase esecutiva ad iniziativa del pubblico ministero, ma solo sino a che tale iniziativa non sia in concreto assunta; tale conclusione trova conferma nelle previsioni, da un lato dell’art. 656 cod. proc. pen., il quale ai commi 5 e 9, lett. b), fa dipendere, negandola, la concedibilità della sospensione delle pene brevi dalla misura cautelare in corso, e, al comma 10, prevede che fino alla decisione del giudice di sorveglianza, il condannato permanga nello stato detentivo domiciliare nel quale si trova, dall’altro dell’art. 657 c.p.p., comma 1, che stabilisce come il periodo di custodia cautelare ancora in corso sia inserito nel computo della pena detentiva da eseguire. Esse dimostrano chiaramente che la predetta custodia non è interrotta in via automatica dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna, ma si protrae fino a confluire ed a trasformarsi, anche retroattivamente, in detenzione espiativa, non oltre l’apertura della fase esecutiva. 2) La competenza a provvedere. Premesso quanto sopra (e affermata, cioè, l’ultrattività della misura cautelare rispetto al passaggio in giudicato della sentenza), occorre decidere quale autorità giudiziaria abbia competenza a decidere in ordine alle questioni/istanze successive al medesimo passaggio in giudicato. Ad avviso di questo giudice, per la competenza vale, anche per le misure cautelari custodiali, quanto già affermato dalle Sezioni Unite, n. 18353-11 (che si occupavano delle misure cautelari non custodiali), nella parte (di valenza generale) in cui esse presero atto che nella realtà pratica 388 4/2014 Arch. nuova proc. pen. non si può escludere che insorgano comunque problemi in ordine alla (sorte o modificazione della) misura cautelare, nel periodo (che può rivelarsi non breve) intercorrente fra il passaggio in giudicato della sentenza e il concreto avvio della fase di esecuzione della pena. Ma solo in questa fase la competenza per la loro risoluzione spetta (come già ritenuto da Cass., n. 3109409) al giudice dell’esecuzione, in quanto unico giudice “procedente” in quella fase medesima, nonché giudice istituzionalmente designato a decidere su ogni questione comunque connessa all’esecuzione della sentenza. Infatti dette Sezioni Unite, applicando quanto sopra alla fattispecie di causa, nella quale era sorto un conflitto fra giudice dell’esecuzione e magistrato di sorveglianza in ordine alla competenza a provvedere su una istanza di revoca della misura dell’obbligo di soggiorno presentata dopo il passaggio in giudicato della sentenza e prima dell’inizio della sua esecuzione, risolsero il conflitto stesso nel senso dell’attribuzione della competenza a provvedere al giudice dell’esecuzione. 3) Conclusione. Nel caso di specie, per quanto sopra si è detto, la misura cautelare custodiale (arresti domiciliari) vige effettivamente oltre il giudicato. Tuttavia, l’Ufficio Eecuzioni Penali della Procura della Repubblica in sede ha già (da tempo) comunicato l’inizio dell’esecuzione penale. Ne consegue (per quanto sopra si è detto) che deve ritenersi cessata la competenza funzionale di questo giudice dell’esecuzione a provvedere sulla misura cautelare de qua. (Omissis) Massimario I testi dei documenti qui riprodotti sono desunti dagli Archivi del Centro elettronico di documentazione della Corte di cassazione. I titoli sono stati elaborati dalla redazione Appello penale ■ Cognizione del giudice di appello – Benefici – Pronuncia di condanna in riforma dell’assoluzione di primo grado. Nell’ipotesi in cui il giudice d’appello, su impugnazione del P.M., riformi la sentenza assolutoria di primo grado pronunciando condanna dell’imputato, deve motivare, pur in assenza di specifiche deduzioni di parte, circa l’eventuale, mancata, concessione della sospensione condizionale della pena o di altri analoghi benefici. F Cass. pen., sez. VI, 28 marzo 2013, n. 14758 (ud. 27 marzo 2013), V. (c.p., art. 163; c.p.p., art. 597). [RV254690] ■ Cognizione del giudice di appello – Circostanze – Impugnazione del p.m.. Non incorre nel vizio di ultrapetizione la pronuncia del giudice di appello che, accogliendo l’impugnazione del pubblico ministero in ordine al riconoscimento di una circostanza aggravante (nella specie, ex art. 609 ter c.p.), ponga officiosamente quest’ultima in comparazione con le attenuanti generiche già riconosciute. F Cass. pen., sez. IV, 26 febbraio 2013, n. 9159 (ud. 8 gennaio 2013), B. (c.p., art. 609 ter; c.p.p., art. 597). [RV254935] ■ Cognizione del giudice di appello – Reformatio in peius – Appello del solo imputato ai fini della diminuzione della pena. In ipotesi di appello del solo imputato con richiesta di diminuzione della pena, il giudice non può riformare in senso negativo il giudizio di comparazione tra circostanze attenuanti ed aggravanti, anche senza incidere sulla sanzione inflitta. F Cass. pen., sez. I, 18 febbraio 2013, n. 7904 (ud. 12 giugno 2012), Ippoliti. (c.p.p., art. 597). [RV254914] ■ Cognizione del giudice di appello – Reformatio in peius – Estensione del divieto alle statuizioni civili. Il divieto di “reformatio in peius” concerne esclusivamente le disposizioni di natura penale, ma non si estende alle statuizioni civili della sentenza. F Cass. pen., sez. V, 20 febbraio 2013, n. 8339 (ud. 18 ottobre 2012), T. (c.p.p., art. 597). [RV255014] ■ Decreto di citazione – Difensore designato dopo la notificazione a quello risultante dagli atti – Nuova notifica. La rituale esecuzione della notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello al difensore di fiducia non determina a carico dell’ufficio procedente alcun obbligo di ulteriore notifica al nuovo difensore successivamente nominato dall’imputato ancorchè l’altro difensore risulti essere stato revocato e, pertanto, la relativa omissione non è causa di nullità. F Cass. pen., sez. IV, 28 marzo 2013, n. 14700 (ud. 10 gennaio 2013), Sigrisi. (c.p.p., art. 178; c.p.p., art. 601). [RV254747] ■ Decreto di citazione – Termine per il giudizio – Violazione del termine di venti giorni. In tema di giudizio di appello, la violazione del termine a comparire, stabilito in venti giorni dall’art. 601, comma terzo, c.p.p., comporta una nullità di ordine generale a regime intermedio che, se non sanata ai sensi dell’art. 184 c.p.p., impone al giudice la rinnovazione dell’atto, ex art. 185, a seguito della quale non è consentito integrare il termine originario insufficiente, occorrendo provvedere alla sua integrale rinnovazione, di modo che sia sempre garantito un termine libero di venti giorni con carattere consecutivo, trattandosi di termine previsto per garantire in modo adeguato l’intervento, l’assistenza e la rappresentanza dell’imputato. F Cass. pen., sez. IV, 18 ottobre 2012, n. 40897 (ud. 28 settembre 2012), Migliorino (c.p.p., art. 178; c.p.p., art. 180; c.p.p., art. 182; c.p.p., art. 601). [RV255005] ■ Dibattimento – Rinnovazione dell’istruzione – Diversa valutazione di attendibilità di un teste ritenuto in primo grado inattendibile. Il giudice di appello per riformare in “peius” una sentenza assolutoria è obbligato - in base all’art. 6 CEDU, così come interpretato dalla sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo del 5 luglio 2011, nel caso Dan c/Moldavia - alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale solo quando intende operare un diverso apprezzamento di attendibilità di una prova orale, ritenuta in primo grado non attendibile. F Cass. pen., sez. VI, 12 aprile 2013, n. 16566 (ud. 26 febbraio 2013), Caboni ed altro. (l. 4 agosto 1955, n. 848, art. 6; c.p.p., art. 593; c.p.p., art. 603). [RV254623] ■ Dibattimento – Rinnovazione dell’istruzione – Giudizio abbreviato. Il giudice di appello qualora intenda riformare la precedente sentenza di assoluzione deve procedere alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale per l’audizione dei testimoni ritenuti inattendibili, a nulla rilevando che il procedimento in primo grado sia stato definito con il rito abbreviato. (Fattispecie nella quale la S.C., richiamando la sentenza CEDU del 5 luglio 2011 nel caso Dan c/Moldavia, ha annullato con rinvio la sentenza di appello per assumere le dichiarazioni dei soggetti che avevano appreso la notizia degli abusi sessuali subiti dal minore e per esaminare la stessa vittima non escussa in incidente probatorio, in quanto la registrazione dei colloqui non assicurava le esigenze del contraddittorio). F Cass. pen., sez. III, 6 febbraio 2013, n. 5854 (ud. 29 novembre 2012), R.. (c.p.p., art. 192; c.p.p., art. 438; c.p.p., art. 593; c.p.p., art. 603). [RV254850] ■ Dibattimento – Rinnovazione dell’istruzione – Obbligatorietà in caso di reformatio in peius in appello di sentenza di assoluzione. È manifestamente infondata l’eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 603 c.p.p. per contrasto con l’art. 117 della Costituzione e con l’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo (così come interpretato dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo del 5 luglio 2011, nel caso Dan c/ Moldavia), nella parte in cui non prevede la preventiva necessaria obbligatorietà della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per una nuova audizione dei testimoni già escussi in primo grado, nel caso in cui la Corte di Appello intenda riformare “in peius” una sentenza di assoluzione dell’imputato. (In motivazione, la Corte ha rilevato che l’art. 603 c.p.p., nella interpretazione datane dalla giurisprudenza, è perfettamente coincidente e sovrapponibile con il principio di diritto enunciato dalla Corte Edu, consentendo un’ampia possibilità di rinnovazione del dibattimento, su richiesta di parte o di ufficio, anche per procedere alla riassunzione di prove già assunte in primo grado). F Cass. pen., sez. II, 27 novembre 2012, n. 46065 (ud. 8 novembre 2012), Consagra. (c.p.p., art. 603; l. 4 agosto 1955, n. 848, art. 6). [RV254726] Arch. nuova proc. pen. 4/2014 389 mas Ma s s i m a r i o ■ Dibattimento – Rinnovazione dell’istruzione – Prova nuova disposta dal giudice. La rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel giudizio di appello implica, a norma dell’art. 495, comma primo, c.p.p., che, a fronte dell’ammissione di prove a carico, l’imputato ha diritto all’ammissione delle prove a discarico sui fatti costituenti oggetto delle prime, nel rispetto dei parametri previsti dagli artt. 190 e 190 bis c.p.p., con esclusione, quindi, delle sole prove vietate dalla legge o manifestamente superflue o irrilevanti. (In applicazione del principio, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata che aveva respinto la richiesta di ammissione di prove a discarico ritenendo le stesse ‘non necessariè). F Cass. pen., sez. VI, 21 febbraio 2013, n. 8700 (ud. 21 gennaio 2013), Leonardo e altri. (c.p.p., art. 190; c.p.p., art. 190 bis; c.p.p., art. 495; c.p.p., art. 603). [RV254585] ■ Dibattimento – Rinnovazione dell’istruzione – Prova sopravvenuta o scoperta. In tema di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, per prova “sopravvenuta o scoperta” dopo la sentenza di primo grado si intende la prova con carattere di novità, rinvenibile laddove essa sopraggiunga autonomamente, senza alcuno svolgimento di attività, o quando venga reperita dopo l’espletamento di un’opera di ricerca, la quale dia i suoi risultati in un momento posteriore alla decisione. (Fattispecie nella quale è stata ritenuta illegittima la mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale per l’assunzione in appello della deposizione di un testimone rintracciato ed identificato dopo la conclusione del giudizio di primo grado). F Cass. pen., sez. III, 12 marzo 2013, n. 11530 (ud. 29 gennaio 2013), A.E. (c.p.p., art. 495; c.p.p., art. 603; c.p.p., art. 606). [RV254991] ■ Dibattimento – Rinnovazione dell’istruzione – Sentenza di proscioglimento. Il giudice d’appello per procedere alla “reformatio in peius” della sentenza assolutoria di primo grado non è tenuto a procedere alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale. (La Corte ha precisato che, nel caso specie, il giudice d’appello non ha compiuto una rivisitazione in senso peggiorativo delle prove già acquisite, ma ha fornito una lettura corretta e logica degli elementi probatori palesemente travisati dal primo giudice). F Cass. pen., sez. IV, 25 gennaio 2013, n. 4100 (ud. 6 dicembre 2012), Bifulco. (c.p.p., art. 603). [RV254950] ■ Provvedimenti appellabili e inappellabili – Appello contro sentenza di assoluzione nella vigenza della legge n. 46 del 2006 – Omessa pronuncia. Il giudice di appello che, investito d’impugnazione del P.M. avverso sentenza di assoluzione, non ne abbia ancora pronunciato l’inammissibilità ai sensi della legge n. 46 del 2006, legittimamente decide su di essa, anche se il gravame sia stato proposto nella vigenza di tale legge, a seguito del sopravvenire della sentenza n. 26 del 2007 della Corte cost., dichiarativa dell’illegittimità costituzionale dell’art. 593 c.p.p., nella parte in cui esclude il potere del P.M. di appellare le sentenze di proscioglimento, fatta eccezione per le ipotesi previste dall’art. 603, comma secondo, c.p.p., se la prova è decisiva, attesa l’efficacia “ex tunc” delle pronunce di annullamento. F Cass. pen., sez. VI, 7 marzo 2013, n. 10887 (ud. 11 ottobre 2012), Alfiero e altri. (c.p.p., art. 593; c.p.p., art. 603; l. 20 febbraio 2006, n. 46). [RV254784] Applicazione delle parti della pena su richiesta ■ Pena – Applicazione di pena detentiva superiore ai due anni – Applicazione delle pene accessorie e condanna alle spese processuali. In caso di patteggiamento di una pena detentiva superiore ai due anni devono essere necessariamente applicate le pene accessorie obbligatorie per legge e l’imputato deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e a quelle di custodia cautelare. F Cass. pen., sez. VI, 21 febbraio 2013, n. 8723 (c.c. 6 390 4/2014 Arch. nuova proc. pen. febbraio 2013), P.G. in proc. Crudele. (c.p.p., art. 444; c.p.p., art. 445). [RV254689] ■ Pena – Determinazione – Mancato riconoscimento di attenuante concordata. In tema di patteggiamento, è inammissibile l’impugnazione della sentenza che applica la pena nella misura finale esattamente concordata dalle parti, anche se non sia concessa un’attenuante pure prevista nell’accordo, ma non esplicitamente calcolata ai fini della concreta quantificazione della sanzione. F Cass. pen., sez. VI, 7 febbraio 2013, n. 6157 (c.c. 14 gennaio 2013), Antonelli. (c.p.p., art. 444; c.p.p., art. 591; d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73). [RV254898] ■ Pena – Effetti penali della condanna ai fini della recidiva – Estinzione. In tema di patteggiamento, la declaratoria di estinzione del reato conseguente al decorso dei termini e al verificarsi delle condizioni previste dall’art. 445 c.p.p. comporta l’esclusione degli effetti penali anche ai fini della recidiva. F Cass. pen., sez. III, 13 febbraio 2013, n. 7067 (ud. 12 dicembre 2012), Micillo. (c.p., art. 106; c.p.p., art. 445). [RV254742] ■ Richiesta – Procura speciale rilasciata al difensore – Declaratoria di contumacia. Nel caso in cui l’imputato abbia rilasciato procura speciale al difensore per procedere all’applicazione della pena su richiesta delle parti, non può farsi luogo alla declaratoria di contumacia, sicché la lettura in dibattimento del dispositivo e della motivazione contestuale equivale a notificazione della sentenza e da essa decorre il termine di quindici giorni per proporre impugnazione, non rilevando che all’imputato siano stati comunque effettuati avvisi dell’avvenuto deposito del provvedimento. F Cass. pen., sez. IV, 28 gennaio 2013, n. 4226 (c.c. 8 gennaio 2013), Evangelista. (c.p.p., art. 444; c.p.p., art. 446). [RV254670] ■ Sentenza – Annullamento in cassazione per erronea qualificazione giuridica del fatto – Formula dell’annullamento. L’annullamento, in sede di legittimità, della sentenza di patteggiamento che abbia recepito un accordo delle parti fondato sull’erronea qualificazione giuridica del fatto va disposto senza rinvio, con trasmissione degli atti al giudice di merito perché proceda a nuovo giudizio, in quanto detto vizio produce la nullità irrimediabile del patto con conseguente necessità di riportare la situazione processuale alla fase precedente la sua stipula. F Cass. pen., sez. VI, 14 febbraio 2013, n. 7391 (c.c. 23 gennaio 2013), Padolecchia. (c.p.p., art. 444). [RV254877] ■ Sentenza – Congruità della pena – Omessa specificazione dell’aumento per la continuazione. In tema di patteggiamento, ai fini della verifica della congruità della sanzione, con riguardo all’aumento di pena per la continuazione, non vi è necessità di una esplicita motivazione in ordine all’aumento della pena posta a base del calcolo, ma è sufficiente la valutazione della pena finale, purché non illegale. F Cass. pen., sez. VI, 14 febbraio 2013, n. 7401 (c.c. 31 gennaio 2013), P.G. in proc. Gjataj e altri. (c.p.p., art. 444). [RV254879] ■ Sentenza – Controllo sulla corretta qualificazione giuridica del fatto – Verifica sostanziale del giudice di merito. In tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, il giudice ha il dovere di verificare la corretta qualificazione giuridica del fatto contestato in termini non meramente formali, ma sostanziali e specifici, in ordine alla fattispecie concreta quale emerge dagli atti, essendo tale indagine necessaria per una corretta valutazione della congruità della pena. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato una sentenza di patteggiamento che aveva recepito l’accordo delle parti in ordine ad un fatto qualificato come tentato furto, ritenendo che dagli atti fossero ravvisabili gli estremi per una definizione dello stesso come tentativo di rapina impropria). F Cass. pen., sez. VI, 7 febbraio 2013, n. 6156 (c.c. 14 gennaio 2013), P.G. in proc. Pavlik. (c.p.p., art. 444). [RV254897] mas Ma s s i m a r i o ■ Sentenza – Erronea qualificazione giuridica del fatto – Deducibilità come motivo di ricorso per cassazione. In tema di patteggiamento, la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo l’erronea qualificazione del fatto contenuto in sentenza deve essere limitata ai casi di errore manifesto, ossia ai casi in cui sussiste l’eventualità che l’accordo sulla pena si trasformi in un accordo sui reati, mentre deve essere esclusa tutte le volte in cui la diversa qualificazione presenti margini di opinabilità; inoltre, anche in questo caso, la verifica sull’osservanza della previsione contenuta nell’art. 444, comma secondo, c.p.p. deve essere compiuta esclusivamente sulla base dei capi di imputazione, della succinta motivazione della sentenza e dei motivi dedotti nel ricorso. (Fattispecie in cui la Corte, in applicazione del principio, ha escluso sia la rilevanza di decisioni che, in sede cautelare, avevano ritenuto l’insussistenza dei reati contestati sia l’ammissibilità di motivi la cui valutazione implicava la necessità di una verifica dibattimentale). F Cass. pen., sez. VI, 2 aprile 2013, n. 15009 (c.c. 27 novembre 2012), Bisignani. (c.p.p., art. 129; c.p.p., art. 444). [RV254865] ■ Sentenza – Motivazione – Mancato riconoscimento di una attenuante non richiesta. In tema di patteggiamento, non può essere censurato in sede di legittimità il difetto di motivazione della sentenza in ordine ad una circostanza attenuante non richiesta e non applicata, dovendo il giudice investito della richiesta di applicazione della pena pronunciarsi, in base all’art. 444, comma secondo, c.p.p., solo sulla qualificazione giuridica del fatto e sulla applicazione e comparazione delle circostanze prospettate dalle parti. (Fattispecie relativa al mancato riconoscimento dell’attenuante della lieve entità dei fatti prevista dall’art. 73, comma quinto, d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309). F Cass. pen., sez. VI, 14 febbraio 2013, n. 7401 (c.c. 31 gennaio 2013), P.G. in proc. Gjataj e altri. (c.p.p., art. 444; d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73). [RV254878] ■ Sentenza – Omessa dichiarazione di falsità di un atto – Legittimazione della corte di cassazione ad adottare i provvedimenti di cui all’art. 537 c.p.p.. In ipotesi di sentenza di patteggiamento che abbia omesso illegittimamente di dichiarare la falsità di un documento la Corte di Cassazione, investita del relativo ricorso, può adottare direttamente i provvedimenti previsti dall’art. 537 c.p.p., non occorrendo alcuna valutazione di merito per una declaratoria che la legge pone come effetto inevitabile della sentenza di condanna, a cui è equiparabile la sentenza di applicazione della pena su accordo delle parti. F Cass. pen., sez. V, 23 novembre 2012, n. 45861 (c.c. 10 ottobre 2012), P.G. in proc. Liso (c.p.p., art. 444; c.p.p., art. 537). [RV254989] ■ Sentenza – Ricorso per cassazione – Sindacato sulla misura della pena. In tema di sentenza di applicazione della pena, è inammissibile il ricorso per cassazione che proponga motivi concernenti la misura della pena, salvo non si versi in ipotesi di pena illegale. F Cass. pen., sez. III, 6 marzo 2013, n. 10286 (c.c. 13 febbraio 2013), Matteliano (c.p.p., art. 444; c.p.p., art. 606). [RV254980] Atti e provvedimenti del giudice penale ■ Correzione di errori materiali – Procedimento – Sospensione condizionale della pena. La procedura di correzione dell’errore materiale non è utilizzabile per l’eliminazione del beneficio della sospensione condizionale della pena, erroneamente concesso. F Cass. pen., sez. I, 17 gennaio 2013, n. 2632 (c.c. 23 novembre 2012), La Perla S.a.s.. (c.p.p., art. 130; c.p., art. 163). [RV254616] ■ Declaratoria di determinate cause di non punibilità – Udienza preliminare – Sussistenza di causa estintiva del reato. Il G.u.p., se rileva nel corso dell’udienza preliminare una causa estintiva del reato, ha l’obbligo di dichiararla, senza poter effettuare alcun approfondimento del “thema decidendum” né poter modificare la qualificazione giuridica del fatto. (Nella specie, la Corte ha ritenuto corretta la declaratoria di prescrizione per il delitto di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, pur in presenza di una richiesta dell’imputato di riqualificare il fatto come corruzione per atto di ufficio). F Cass. pen., sez. VI, 10 aprile 2013, n. 16386 (c.c. 29 gennaio 2013), Tarantino. (c.p.p., art. 129; c.p.p., art. 425; c.p., art. 318; c.p., art. 319). [RV254705] ■ Motivazione – Contrasto tra dispositivo e motivazione – Individuazione della volontà decisoria. In caso di contrasto tra dispositivo e motivazione della sentenza, la regola della prevalenza del dispositivo quale immediata espressione della volontà decisoria del giudice non è assoluta ma va contemperata, tenendo conto del caso specifico, con la valutazione dell’eventuale pregnanza degli elementi, tratti dalla motivazione, significativi di detta volontà. F Cass. pen., sez. V, 20 febbraio 2013, n. 8363 (ud. 17 gennaio 2013), Rimbano. (c.p.p., art. 125; c.p.p., art. 546). [RV254820] ■ Motivazione – Motivazione in appello che ometta di considerare la motivazione della sentenza di primo grado – Illegittimità. È illegittima la motivazione del giudice di appello che si fondi sulla pedissequa riproduzione - realizzata mediante l’applicazione informatica del ‘copia-incollà - di intere pagine dell’ordinanza custodiale e che trascuri pressoché interamente le motivazioni della sentenza di primo grado, risolvendosi in abnorme “contemplatio” dell’attività di indagine preliminare e tradendo la sua precipua fisionomia di “revisio prioris istantiae”, pur se nel circoscritto ambito del “devolutum”; d’altro canto, detto inusuale sistema motivazionale non è nemmeno riconducibile al paradigma della motivazione “per relationem”, considerato che in nessun caso la motivazione del provvedimento genetico della custodia cautelare può ritenersi congrua rispetto alle esigenze di giustificazione di una sentenza di appello. F Cass. pen., sez. V, 20 febbraio 2013, n. 8343 (ud. 24 ottobre 2012), E. e altri. (c.p.p., art. 125). [RV254651] ■ Provvedimenti in camera di consiglio – Legittimo impedimento del difensore – Rilevanza ai fini dell’eventuale rinvio dell’udienza. Il legittimo impedimento del difensore, quale causa di rinvio dell’udienza, non rileva nei procedimenti in camera di consiglio, per i quali è previsto che i difensori, il pubblico ministero e le altre parti interessate, siano sentiti solo se compaiono, sicché, ai fini della corretta instaurazione del contraddittorio, é sufficiente che vi sia stata la notificazione dell’avviso di fissazione dell’udienza. (Nella specie la Corte ha ritenuto che la richiesta di differimento dell’udienza fissata dinanzi al tribunale di sorveglianza per adesione del difensore all’astensione collettiva non imponga il rinvio ad altra udienza). F Cass. pen., sez. I, 5 febbraio 2013, n. 5722 (c.c. 20 dicembre 2012), Morano. (c.p.p., art. 127; c.p.p., art. 420 ter; c.p.p., art. 484; c.p.p., art. 666). [RV254807] Atti processuali penali ■ Lingua italiana – Conversazioni telefoniche in dialetto – Obbligo di traduzione. In ipotesi di conversazioni in dialetto, quando si procede alla loro trascrizione non sussiste obbligo di provvedere alla traduzione, in quanto la valutazione della necessità di tale adempimento spetta al giudice di merito, atteso che il grado di intellegibilità del dialetto si traduce in un accertamento di fatto. F Cass. pen., sez. I, 31 gennaio 2013, n. 4888 (c.c. 26 ottobre 2012), Antona. (c.p.p., art. 143; c.p.p., art. 147). [RV254566] Arch. nuova proc. pen. 4/2014 391 mas Ma s s i m a r i o Azione penale ■ Notizia di reato – Iscrizione nel registro – Nuovo reato a carico del medesimo indagato. Ai fini del computo della durata massima delle indagini preliminari, l’iscrizione per un nuovo reato a carico del medesimo indagato, individua il “dies a quo” da cui decorre il termine, ferma restando l’utilizzabilità degli elementi emersi prima della nuova iscrizione nel corso di accertamenti relativi ad altri fatti, attesa l’assenza di preclusioni derivanti dall’art. 407 c.p.p.. F Cass. pen., sez. II, 4 gennaio 2013, n. 150 (ud. 18 ottobre 2012), Andreicik e altri. (c.p.p., art. 405; c.p.p., art. 407). [RV254676] Casellario giudiziale ■ Iscrizioni riportanti le imputazioni – Correzione – Richiesta. È illegittima la declaratoria di inammissibilità, ai sensi del comma secondo dell’art. 666 c.p.p., della richiesta di correzione del certificato del casellario giudiziale nel quale siano, in contrasto con le disposizioni dell’art. 4 lett. d), del d.p.r. 313 del 2002, riportate le imputazioni ascritte al condannato. F Cass. pen., sez. I, 17 gennaio 2013, n. 2673 (c.c. 13 dicembre 2012), Budetta. (c.p.p., art. 666; d.p.r. 14 novembre 2002, n. 313, art. 4; d.p.r. 14 novembre 2002, n. 313, art. 40). [RV254629] Cassazione penale ■ Giudizio di rinvio – Poteri del giudice di rinvio – Valutazione delle risultanze processuali. La Corte di cassazione risolve una questione di diritto anche quando giudica sull’adempimento del dovere di motivazione, sicché il giudice di rinvio, pur conservando la libertà di decisione mediante un’autonoma valutazione delle risultanze probatorie relative al punto annullato, è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema implicitamente o esplicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, restando in tal modo vincolato a una determinata valutazione delle risultanze processuali. F Cass. pen., sez. V, 15 febbraio 2013, n. 7567 (c.c. 24 settembre 2012), Scavetto. (c.p.p., art. 623; c.p.p., art. 627). [RV254830] ■ Motivi di ricorso – Illogicità della motivazione – Impiego di non corretti criteri inferenziali. È affetta dal vizio di illogicità e di carenza della motivazione la decisione del giudice di merito che, in luogo di fondare la sua decisione su massime di esperienza - che sono caratterizzate da generalizzazioni tratte con procedimento induttivo dalla esperienza comune, conformemente agli orientamenti diffusi nella cultura e nel contesto spazio-temporale in cui matura la decisione - utilizzi semplici congetture, cioè ipotesi fondate su mere possibilità, non verificate in base all’ “id quod plerumque accidit” ed insuscettibili, quindi, di verifica empirica. F Cass. pen., sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 6582 (c.c. 13 novembre 2012), Cerrito. (c.p.p., art. 192; c.p.p., art. 606). [RV254572] ■ Motivi di ricorso – Illogicità della motivazione – Sindacato sulla motivazione. Il principio dell’oltre ragionevole dubbio”, introdotto nell’art. 533 c.p.p. dalla legge n. 46 del 2006, non ha mutato la natura del sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza e non può, quindi, essere utilizzato per valorizzare e rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che tale duplicità sia stata oggetto di attenta disamina da parte del giudice dell’appello. F Cass. pen., sez. V, 6 marzo 2013, n. 10411 (ud. 28 gennaio 2013), Viola. (c.p.p., art. 533; c.p.p., art. 606). [RV254579] ■ Motivi di ricorso – Mancanza della motivazione – Elementi probatori. In tema di ricorso in cassazione ai sensi dell’art. 606, comma primo lett. e), la denunzia di minime incongruenze argomentative o l’omessa esposizione di elementi di valutazione, che il 392 4/2014 Arch. nuova proc. pen. ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione, ma che non siano inequivocabilmente munite di un chiaro carattere di decisività, non possono dar luogo all’annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma è solo l’esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione. F Cass. pen., sez. II, 27 febbraio 2013, n. 9242 (ud. 8 febbraio 2013), Reggio (c.p.p., art. 606). [RV254988] ■ Motivi di ricorso – Mancanza della motivazione – Pedissequa riproduzione del contenuto di altro provvedimento. E nullo per difetto di motivazione il provvedimento del giudice che riproduca alla lettera ampi stralci della parte motiva di altra pronuncia, a meno che detta tecnica di redazione manifesti una autonoma rielaborazione da parte del decidente e dia adeguata risposta alle doglianze proposte dal ricorrente. (Fattispecie in cui è stata riconosciuta la nullità dell’ordinanza del giudice del riesame che aveva confermato la decisione del gip limitandosi a riprodurre, attraverso la tecnica informatica del copia - incolla, circa venti pagine della motivazione impugnata). F Cass. pen., sez. IV, 12 febbraio 2013, n. 7031 (c.c. 5 febbraio 2013), Conti. (c.p.p., art. 125; c.p.p., art. 546). [RV254937] ■ Motivi di ricorso – Mancata assunzione di prova decisiva – Applicabilità anche nel caso di assunzione di una prova sollecitata al giudice ex art. 507 c.p.p. La mancata assunzione di una prova decisiva - quale motivo di impugnazione per cassazione - può essere dedotta solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l’ammissione a norma dell’art. 495, secondo comma, c.p.p., sicché il motivo non potrà essere validamente invocato nel caso in cui il mezzo di prova sia stato sollecitato dalla parte attraverso l’invito al giudice di merito ad avvalersi dei poteri discrezionali di integrazione probatoria di cui all’art. 507 c.p.p. e da questi sia stato ritenuto non necessario ai fini della decisione. F Cass. pen., sez. II, 1 marzo 2013, n. 9763 (ud. 6 febbraio 2013), P.G. in proc. Muraca e altri. (c.p.p., art. 495; c.p.p., art. 507; c.p.p., art. 606). [RV254974] ■ Poteri della Cassazione – Prescrizione maturata prima della pronunzia della sentenza impugnata – Rilevabilità d’ufficio. Il giudice di legittimità può rilevare d’ufficio la prescrizione del reato maturata prima della pronunzia della sentenza impugnata e non rilevata dal giudice d’appello, pur se non dedotta con il ricorso e nonostante i motivi dello stesso vengano ritenuti inammissibili. F Cass. pen., sez. V, 7 novembre 2012, n. 42950 (ud. 17 settembre 2012), Xhini. (c.p.p., art. 129; c.p.p., art. 606; c.p., art. 157). [RV254633] ■ Procedimento – Acquisizione di sentenze irrevocabili – Possibilità. Nel giudizio di legittimità è consentita l’acquisizione di una sentenza irrevocabile, quando l’interessato non sia stato in grado di produrla nei precedenti gradi di giudizio, ma la stessa non può essere oggetto della valutazione prevista dall’art. 238 bis, c.p.p., imponendo l’annullamento con rinvio della pronuncia impugnata, al fine di rivalutare nel merito la situazione probatoria emersa nel giudizio non ancora definito a seguito della pendenza del ricorso per cassazione, ferme restando le preclusioni processuali già formate. F Cass. pen., sez. VI, 23 gennaio 2013, n. 3702 (ud. 4 dicembre 2012), Capasso e altri. (c.p.p., art. 187; c.p.p., art. 192; c.p.p., art. 238 bis; c.p.p., art. 606). [RV254766] mas Ma s s i m a r i o ■ Sentenza – Annullamento con rinvio – Estinzione del reato. Deve essere annullata con rinvio la sentenza che, avendo radicalmente omesso di motivare, a fronte della presenza di causa estintiva del reato, sulla sussistenza delle condizioni per il proscioglimento nel merito, ed impugnata sul punto, impedisca per ciò stesso alla Corte di cassazione di procedere a constatare la sussistenza dei medesimi presupposti. F Cass. pen., sez. V, 21 marzo 2013, n. 13316 (ud. 14 febbraio 2013), Pesce e altri (c.p.p., art. 129; c.p.p., art. 623). [RV254984] Circolazione stradale ■ Guida in stato di ebbrezza – Accertamento – Modalità – Alcoltest – Scontrini con esito dell’accertamento etilometrico – Utilizzabilità – In dibattimento – Nullità – Esclusione. In tema di guida in stato di ebbrezza, la produzione in dibattimento della sola copia fotostatica degli scontrini ove sono stati registrati gli esiti dell’accertamento etilometrico non integra alcuna nullità e costituisce piena prova del fatto ascritto all’imputato. F Cass. pen., sez. IV, 1 febbraio 2013, n. 5470 (ud. 22 maggio 2012), Russo (nuovo c.s., art. 186; c.p.p., art. 189; att. c.p.p., art. 114). [RV254847] ■ Guida in stato di ebbrezza – Patteggiamento – Determinazione della pena secondo la legge vigente al momento del fatto. La legge n. 120 del 2010, che introduce la sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, può trovare applicazione - quale disposizione di favore, ex art. 2, comma quarto, c.p. - anche in relazione ai fatti commessi sotto il vigore della previgente disciplina; tuttavia, una volta individuata la disposizione più favorevole, il giudice deve applicarla nella sua integralità non potendo combinare un frammento della legge previgente ed un frammento di quella vigente, giacché in tal modo si verrebbe ad applicare una terza legge di carattere intertemporale non prevista dal legislatore, violando il principio di legalità. Deve, pertanto, essere annullata senza rinvio la sentenza pronunciata, ex art. 444 c.p.p., in ordine al reato di guida in stato di ebbrezza (art. 186, comma secondo, lett. c), c.d.s.), con la quale la pena applicata all’imputato sia determinata secondo la più favorevole in vigore al momento del fatto e sia sostituita con la sanzione del lavoro di pubblica utilità, introdotta dalla successiva legge n. 120 del 2010, che per il reato di cui all’art. 186, comma secondo, lett. c), c.d.s. prevede una pena più severa (da sei mesi ad un anno), in quanto detta pena è stata illegalmente sostituita, giacché qualora si ritenga il “novum” normativo di cui alla legge n. 120 del 2010 più favorevole in concreto esso deve essere applicato nella sua integralità, ivi compreso il nuovo e più severo trattamento sanzionatorio per il succitato reato. F Cass. pen., sez. IV, 31 ottobre 2012, n. 42496 (c.c. 19 settembre 2012), P.G. in proc. Mercuri (c.p.p., art. 444; nuovo c.s., art. 186). [RV254613] ■ Guida in stato di ebbrezza – Patteggiamento – Omessa confisca del veicolo. – Annullamento senza rinvio con contestuale applicazione della confisca. In tema di guida in stato di ebbrezza, deve essere annullata senza rinvio la sentenza con cui il giudice di merito applichi la pena su richiesta delle parti, omettendo di disporre la confisca del veicolo; detta sanzione amministrativa accessoria, può essere, infatti, ex art. 620, comma primo, lett. l), c.p.p., direttamente disposta dal giudice di legittimità, trattandosi di provvedimento consequenziale compatibile con la cognizione di mera legittimità, avuto riguardo all’appartenenza del veicolo all’imputato, accertata in sede di merito, e alla superfluità di un nuovo giudizio. F Cass. pen., sez. IV, 12 dicembre 2012, n. 48000 (c.c. 30 novembre 2012), Chanoux ed altro (nuovo c.s., art. 186; c.p.p., art. 620). [RV254962] ■ Guida in stato di ebbrezza – Sospensione condizionale della pena – Diniego della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna. È apparente la motivazione con la quale il giudice per giustificare il diniego dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna, consideri esaustivo il riferimento alla gravità del reato - nella specie, peraltro, di natura contravvenzionale (guida in stato di ebbrezza) - e ometta di indicare i concreti elementi di valutazione fondanti il negativo giudizio prognostico ostativo ai benefici richiesti, nonostante l’incensuratezza dell’imputato, costituente un elemento di indubbia valenza positiva, che esige, nell’ambito della fattispecie sottoposta al vaglio giudiziale nei suoi profili soggettivi e oggettivi, l’individuazione di uno o più elementi di segno contrario idonei a neutralizzarla. F Cass. pen., sez. IV, 18 gennaio 2013, n. 2773 (ud. 27 novembre 2012), Colò (nuovo c.s., art. 186; c.p.p., art. 125; c.p.p., art. 133; c.p.p., art. 163). [RV254969] Circostanze del reato ■ Concorso di aggravanti e attenuanti (giudizio di comparazione) – Recidiva – Contestazione generica. La generica contestazione della recidiva a persona imputata di omicidio consumato osta all’applicazione dell’aumento obbligatorio previsto dall’art. 99 c.p., non essendo precisato a quale tipo di recidiva esso vada correlato, e non inibisce, nel concorso di circostanze attenuanti, il giudizio di prevalenza di queste ultime, escluso, ai sensi dell’art. 69 comma quarto c.p., solo nei casi di recidiva reiterata di cui all’art. 99, comma quarto, c.p. F Cass. pen., sez. I, 12 aprile 2013, n. 16606 (ud. 9 novembre 2012), P.G. in proc. Scalzo. (c.p., art. 63; c.p., art. 70; c.p., art. 99; c.p.p., art. 407). [RV254569] Competenza penale ■ Competenza per territorio – Reato a consumazione prolungata – Concorso di più soggetti residenti in luoghi diversi. La competenza territoriale a conoscere di un reato a consumazione prolungata in cui concorrano più soggetti, tutti residenti in luoghi diversi, non può essere determinata secondo la regola prioritaria di cui all’art. 8 comma primo cod.proc.pen., né secondo quella suppletiva di cui al successivo art. 9 comma primo, ma va stabilita facendo ricorso al criterio residuale del luogo di prima iscrizione della “notitia criminis”. (Fattispecie in tema di tentativo di estorsione estrinsecantesi in reiterate richieste di somme di danaro). F Cass. pen., sez. II, 14 marzo 2013, n. 11922 (c.c. 12 dicembre 2012), Lavitola. (c.p., art. 56; c.p., art. 629; c.p.p., art. 8; c.p.p., art. 9). [RV254799] ■ Conflitti – Erronea dichiarazione di nullità del decreto che dispone il giudizio e restituzione degli atti al p.m. – Nuova richiesta di rinvio a giudizio da parte del p.m. al gup. Qualora il giudice del dibattimento, avendo dichiarato la nullità del decreto che dispone il giudizio, restituisca gli atti al Pubblico ministero e questi formuli al Gup una nuova richiesta di rinvio a giudizio, non si determina una “stasi processuale” riconducibile alla ipotesi di cui all’art. 28 c.p.p., dovendo il giudice della udienza preliminare, indipendentemente dalla correttezza della ordinanza del giudice del dibattimento, sulla quale non ha alcun potere di sindacare, procedere a seguito della nuova richiesta del P.M.. F Cass. pen., sez. I, 17 gennaio 2013, n. 2664 (c.c. 11 dicembre 2012), Confl. comp. in proc. Sannino. (c.p.p., art. 28; c.p.p., art. 416; c.p.p., art. 429). [RV254674] ■ Connessione di procedimenti – Continuazione – Spostamento della competenza. La connessione fondata sull’astratta configurabilità del vincolo della continuazione è idonea a determinare lo spostamento della competenza soltanto quando l’identità del disegno criminoso sia comune a tutti i compartecipi, giacché l’interesse di un Arch. nuova proc. pen. 4/2014 393 mas Ma s s i m a r i o imputato alla trattazione unitaria di fatti in continuazione non può pregiudicare quello del coimputato a non essere sottratto al giudice naturale. F Cass. pen., sez. I, 21 febbraio 2013, n. 8526 (c.c. 9 gennaio 2013), Confl. comp. in proc. Baruffo e altri. (c.p., art. 81; c.p.p., art. 12). [RV254924] Cosa giudicata penale ■ Effetti – Inammissibilità di un secondo giudizio – Accertamento in sede di legittimità. Non è deducibile dinanzi alla Corte di cassazione la violazione del divieto del “ne bis in idem”, in quanto è precluso, in sede di legittimità, l’accertamento del fatto, necessario per verificare la preclusione derivante dalla coesistenza di procedimenti iniziati per lo stesso fatto e nei confronti della stessa persona, e non potendo la parte produrre documenti concernenti elementi fattuali, la cui valutazione è rimessa esclusivamente al giudice di merito. F Cass. pen., sez. V, 31 gennaio 2013, n. 5099 (ud. 11 dicembre 2012), Bisconti. (c.p.p., art. 649). [RV254654] ■ Effetti – Inammissibilità di un secondo giudizio – Assoluzione dal delitto di peculato avente ad oggetto notizie di ufficio. Non sussiste violazione del divieto di un secondo giudizio quando all’imputato, assolto da un addebito di peculato concernente notizie di ufficio, si contesti il reato di utilizzazione illegittima delle medesime notizie di ufficio, trattandosi di illeciti aventi ad oggetto condotte solo in parte sovrapponibili, perché relative, nella prima fattispecie, all’appropriazione e, nella seconda, all’impiego dei medesimi dati. F Cass. pen., sez. VI, 28 febbraio 2013, n. 9726 (ud. 21 febbraio 2013), Carta e altro. (c.p.p., art. 649; c.p., art. 314; c.p., art. 326). [RV254592] ■ Effetti – Inammissibilità di un secondo giudizio – Pendenza nella stessa sede di un processo per gli stessi fatti nei confronti dello stesso imputato. Se vi è pendenza presso la medesima sede giudiziaria di un processo per gli stessi fatti e nei confronti degli stessi imputati, il giudice del dibattimento relativo al processo instaurato da ultimo, investito della litispendenza, deve statuire sul punto e non può, invece, sospendere il processo, che va definito con sentenza di improcedibilità. F Cass. pen., sez. V, 28 settembre 2012, n. 37670 (c.c. 5 luglio 2012), Pmt in proc. Ferrini e altro. (c.p.p., art. 28; c.p.p., art. 129; c.p.p., art. 529; c.p.p., art. 649). [RV254562] ■ Effetti – Inammissibilità di un secondo giudizio – Violazione dedotta per la prima volta in sede di legittimità. È deducibile nel giudizio di cassazione la preclusione derivante dal giudicato formatosi sul medesimo fatto, atteso che la violazione del divieto del “bis in idem” si risolve in un “error in procedendo”, a meno che la decisione della relativa questione non comporti la necessità di accertamenti di fatto, nel qual caso la stessa deve essere proposta al giudice dell’esecuzione. F Cass. pen., sez. V, 9 gennaio 2013, n. 1131 (ud. 29 novembre 2012), Siano. (c.p.p., art. 606; c.p.p., art. 649). [RV254837] Difesa e difensori ■ Incompatibilità – Imputati che abbiano reso dichiarazioni sulla responsabilità di altro imputato – Divieto di assunzione della difesa da parte di uno stesso difensore L’inosservanza del disposto di cui all’art. 106, comma quarto bis, c.p.p., secondo cui non può essere assunta da uno stesso difensore la difesa di più imputati che abbiano reso dichiarazioni concernenti la responsabilità di altro imputato nel medesimo procedimento ovvero in procedimento connesso o probatoriamente collegato, non costituisce causa di nullità o di inutilizzabilità di dette dichiarazioni, comportando essa - oltre la eventuale responsabilità disciplinare del difensore - soltanto la necessità, da parte del giudice, di una verifica particolarmente incisiva relativamente alla loro attendibilità. F Cass. pen., sez. VI, 7 marzo 2013, n. 10887 (ud. 11 ottobre 2012), Alfiero e altri. (c.p.p., art. 106). [RV254783] 394 4/2014 Arch. nuova proc. pen. Edilizia e urbanistica ■ Licenza e concessione edilizia – Ordine di demolizione – Delibera di acquisizione al patrimonio comunale. Il giudice dell’esecuzione ha il potere di verificare che l’incompatibilità dell’ordine di demolizione con la delibera di acquisizione gratuita dell’opera abusiva al patrimonio comunale sia attuale e non meramente eventuale, non essendo consentito paralizzare indefinitamente il ripristino dell’assetto urbanistico violato. (Fattispecie relativa a rigetto della richiesta di revoca dell’ordine di demolizione, nella quale è stata qualificata come mero atto di indirizzo la delibera di acquisizione al patrimonio comunale priva dell’impegno di spesa e di una adeguata istruttoria). F Cass. pen., sez. III, 22 marzo 2013, n. 13746 (c.c. 29 gennaio 2013), Falco e altro. (c.p.p., art. 665; c.p.p., art. 675; d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380, art. 31). [RV254752] Esecuzione in materia penale ■ Abolizione del reato – Revoca della sentenza – Indagine del giudice dell’esecuzione in ordine alla sussistenza delle condizioni. In tema di revoca della sentenza per “abolitio criminis”, deve escludersi l’operatività dell’istituto qualora esso richieda al giudice della esecuzione non un riscontro meramente ricognitivo della perdita di efficacia della norma incriminatrice, ma una indagine valutativa in ordine alla sussistenza delle condizioni cui è subordinata la produzione dell’effetto abrogativo. ( Fattispecie in cui la Suprema Corte ha ritenuto che dalla dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale dell’art. 68 T.U.L.P.S. sulla necessità della licenza del questore non sia dato desumere, attraverso un percorso meramente ricognitivo, l’intervenuta abrogazione della diversa fattispecie di reato proprio prevista dall’art. 31 legge n. 110 del 1975, in materia di vigilanza sulle attività di tiro a segno). F Cass. pen., sez. I, 17 gennaio 2013, n. 2638 (c.c. 11 dicembre 2012), Savoca. (c.p.p., art. 673; r.d. 18 giugno 1931, n. 773, art. 68; l. 18 aprile 1975, n. 110, art. 31). [RV254561] ■ Competenza – Competenza funzionale – Giudice della revisione. Deve escludersi l’attribuzione della funzione di giudice dell’esecuzione all’organo giurisdizionale competente per la revisione atteso che il procedimento di revisione, a differenza delle impugnazioni ordinarie, non concorre alla formazione del giudicato penale, ma lo presuppone, in quanto finalizzato alla revoca, totale o parziale, della sentenza di condanna divenuta irrevocabile. F Cass. pen., sez. I, 22 aprile 2013, n. 18360 (c.c. 25 marzo 2013), Confl. comp. in proc. di Leo. (c.p.p., art. 629; c.p.p., art. 648; c.p.p., art. 665; c.p.p., art. 666). [RV254801] ■ Competenza – Sentenza riformata in appello solo in relazione all’ordine di demolizione – Individuazione. Nella ipotesi in cui la corte di appello abbia confermato la condanna in primo grado dell’imputato in ordine alla violazione urbanistica ed abbia modificato l’ordine di consegna con quello di demolizione del manufatto, la competenza del giudice dell’esecuzione va individuata nel giudice di primo grado. F Cass. pen., sez. I, 31 gennaio 2013, n. 4914 (c.c. 19 dicembre 2012), Pg in proc. Silvestri. (c.p.p., art. 665; d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380, art. 31). [RV254630] ■ Computo della pena – Concorso formale e reato continuato – Continuazione tra reati giudicati con rito ordinario e reati giudicato con rito abbreviato. Riconosciuta, in fase esecutiva, la continuazione tra più reati, alcuni dei quali oggetto di condanna all’esito di giudizio abbreviato, e altri di condanna all’esito di giudizio ordinario, la riduzione ex art. 442 c.p.p. va applicata, ove reati più gravi risultino quelli giudicati col rito ordinario, sull’aumento di pena per i reati satellite giudicati con il rito abbreviato. F Cass. pen., sez. III, 25 febbraio 2013, n. 9038 (c.c. 20 novembre 2012), Micheletti. (c.p., art. 81; c.p.p., art. 442; c.p.p., art. 671). [RV254977] mas Ma s s i m a r i o ■ Disciplina del concorso formale e del reato continuato – Ambito di applicazione – Accertamento della continuazione. In tema di applicazione della continuazione in sede esecutiva il giudice, ponendo a raffronto le sentenze deve verificare la ricorrenza di almeno alcuni degli indici rivelatori dell’identità del disegno criminoso - tra cui la distanza cronologica tra i fatti, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, la tipologia dei reati, il bene protetto, l’omogeneità delle violazioni, la causale, le condizioni di tempo e di luogo - onde accertare se sussista o meno la preordinazione di fondo che cementa le singole violazioni. F Cass. pen., sez. I, 21 febbraio 2013, n. 8513 (c.c. 9 gennaio 2013), Cardinale. (c.p.p., art. 671; c.p., art. 81). [RV254809] ■ Pene concorrenti – Sopravvenienza di provvedimento di cumulo – Domanda di applicazione della continuazione. In materia di applicazione in sede esecutiva della disciplina del reato continuato è ammissibile, in quanto non meramente ripropositiva, la domanda relativa a fatti, successivamente ricompresi insieme ad altri in un provvedimento di esecuzione di pene concorrenti ex art. 663 c.p.p., che abbiano già formato oggetto di una precedente istanza, respinta, di applicazione della continuazione, costituendo la sopravvenienza di un provvedimento di cumulo, ancorché comprensiva di reati per i quali l’esistenza del vincolo sia stata esclusa, un nuovo elemento che impone la valutazione del nesso ideativo e volitivo tra tutti i fatti in esso confluiti. F Cass. pen., sez. I, 14 febbraio 2013, n. 7333 (c.c. 9 novembre 2012), Di Cuonzo. (c.p.p., art. 663; c.p.p., art. 666; c.p.p., art. 671). [RV254805] ■ Procedimento di esecuzione – Annullamento senza rinvio di uno o più capi della sentenza di condanna – Sospensione condizionale della pena. In caso di annullamento senza rinvio di uno o più capi di condanna, spetta al giudice dell’esecuzione provvedere sulla istanza di sospensione condizionale, avanzata ma non valutata nel giudizio di cognizione in quanto la pena complessivamente irrogata risultava superiore al limite di legge per la concedibilità del beneficio. F Cass. pen., sez. I, 12 aprile 2013, n. 16679 (c.c. 1 marzo 2013), Corlando. (c.p., art. 163; c.p., art. 164; c.p.p., art. 671; c.p.p., art. 673). [RV254570] ■ Procedimento di esecuzione – Confisca – Immediata ricorribilità. In materia di confisca, avverso il provvedimento del giudice dell’esecuzione, sia che questi abbia deciso “de plano” ai sensi dell’art. 667, comma quarto, c.p.p. sia che abbia provveduto irritualmente ex art. 666 stesso codice, è data solo la facoltà di proporre opposizione e non ricorso immediato per cassazione. F Cass. pen., sez. I, 25 gennaio 2013, n. 4083 (c.c. 11 gennaio 2013), Tabbì. (c.p.p., art. 666; c.p.p., art. 667). [RV254811] ■ Procedimento di esecuzione – Confisca – Ricorribilità per cassazione. In sede esecutiva, il principio di conversione dell’impugnazione è applicabile anche in caso di opposizione sulla base del principio generale di conservazione degli atti giuridici e del “favor impugnationis” (Nella specie la Corte ha qualificato come opposizione ex art. 667, comma quarto, c.p.p., disponendone la trasmissione alla corte d’appello, il ricorso per cassazione proposto avverso il provvedimento conseguente all’istanza di revoca della confisca emesso non “de plano”, bensì a seguito di irrituale fissazione della comparizione delle parti). F Cass. pen., sez. I, 25 gennaio 2013, n. 4083 (c.c. 11 gennaio 2013), Tabbì. (c.p.p., art. 666; c.p.p., art. 667). [RV254812] ■ Procedimento di esecuzione – Domanda di affidamento in prova al servizio sociale – Proposizione durante l’attuazione di diverso beneficio per altro titolo. È inammissibile la domanda di affidamento in prova al servizio sociale proposta dal condannato con riguardo a titolo di priva- zione della libertà sopravvenuto durante l’attuazione del diverso beneficio della detenzione domiciliare cui lo stesso condannato sia stato ammesso con precedente decisione del Tribunale di sorveglianza, dovendo applicarsi l’art. 51 bis ord. pen. e non potendo ritenersi giustificata la riproposizione della richiesta, già respinta, della misura più ampia. F Cass. pen., sez. I, 18 febbraio 2013, n. 7945 (c.c. 11 febbraio 2013), Valente. (l. 26 luglio 1975, n. 354, art. 51 bis; c.p.p., art. 666). [RV254815] ■ Procedimento di esecuzione – Inammissibilità per manifesta infondatezza – Declaratoria de plano. Il decreto di inammissibilità per manifesta infondatezza può essere emesso “de plano”, ai sensi dell’art. 666, comma secondo, c.p.p., soltanto quando essa sia riscontrabile per difetto delle condizioni di legge e, cioè, per vizio di legittimità e non per ragioni di merito. F Cass. pen., sez. I, 11 febbraio 2013, n. 6558 (c.c. 10 gennaio 2013), Piccinno. (c.p.p., art. 666). [RV254887] ■ Procedimento di esecuzione – Incidente di esecuzione – Diritto all’udienza pubblica. In materia di incidente di esecuzione, (nella specie, fissato con procedura camerale sull’istanza di revoca della confisca) non sussiste violazione del principio di necessaria pubblicità dell’udienza stabilito dalla Corte costituzionale (sent. n. 93 del 2010 e n. 80 del 2011) e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (sent. 13 novembre 2007, Bocellari e Rizza c/ Italia), atteso che esso, dettato in relazione alle misure di prevenzione personali e patrimoniali, non è applicabile direttamente né può essere esteso in via analogica ad altre procedure camerali, soggette per legge a diverse forme procedurali. F Cass. pen., sez. I, 21 marzo 2013, n. 13377 (c.c. 28 settembre 2012), Di Muro (c.p.p., art. 127; c.p.p., art. 178). [RV254945] ■ Procedimento di esecuzione – Misure di prevenzione – Udienza. In materia di procedimento incidentale per l’applicazione di misure di prevenzione, anche qualora l’udienza si svolga con “presenza del pubblico” anziché con rito camerale, non trovano applicazione i principi che attengono al pubblico dibattimento e le previsioni di nullità, dettate dal legislatore, per lo svolgimento del medesimo. F Cass. pen., sez. I, 21 marzo 2013, n. 13377 (c.c. 28 settembre 2012), Di Muro (c.p.p., art. 127; c.p.p., art. 666). [RV254946] ■ Procedimento di esecuzione – Omessa fissazione dell’udienza camerale – Nullità assoluta. Il provvedimento che il giudice dell’esecuzione assume “de plano”, senza fissazione dell’udienza in camera di consiglio, fuori dei casi espressamente stabiliti dalla legge é affetto da nullità d’ordine generale e di carattere assoluto, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento. (Fattispecie relativa ad omessa fissazione di udienza camerale a seguito della richiesta di eliminazione dell’iscrizione nel casellario giudiziale di sentenza di patteggiamento, in violazione dell’art. 40 del d.p.r. n. 313 del 2002). F Cass. pen., sez. III, 11 marzo 2013, n. 11421 (c.c. 29 gennaio 2013), Prediletto. (c.p.p., art. 178; c.p.p., art. 179; c.p.p., art. 666; d.p.r. 14 novembre 2002, n. 313, art. 40). [RV254939] ■ Procedimento di esecuzione – Ordine di esecuzione – P.m. incompetente. In tema di esecuzione, l’incompetenza del pubblico ministero che ha emesso il relativo ordine non determina la nullità dello stesso, trattandosi di provvedimento non giurisdizionale e non autonomamente impugnabile, avverso il quale è proponibile soltanto l’incidente di esecuzione. (Fattispecie in tema di esecuzione di ordine di demolizione di manufatto abusivo emesso da magistrato della Procura presso il giudice che aveva emesso la sentenza posta in esecuzione e non già l’ultima sentenza di condanna). F Cass. pen., sez. III, 4 marzo 2013, n. 10126 (c.c. 29 gennaio 2013), Di Cristo. (c.p.p., art. 655; c.p.p., art. 656; c.p.p., art. 666). [RV254978] Arch. nuova proc. pen. 4/2014 395 mas Ma s s i m a r i o ■ Procedimento di esecuzione – Procedimento di sorveglianza – Partecipazione del condannato. Nell’ambito del procedimento di sorveglianza, non essendo necessaria la partecipazione al giudizio del condannato, non rileva il suo legittimo impedimento a comparire, a meno che egli abbia preventivamente richiesto di essere sentito personalmente. F Cass. pen., sez. I, 21 gennaio 2013, n. 2865 (c.c. 13 dicembre 2012), Mennai. (c.p.p., art. 127; c.p.p., art. 666; c.p.p., art. 678). [RV254701] ■ Procedimento di esecuzione – Questioni sul titolo esecutivo – Sentenza di condanna irrevocabile. Il giudice dell’esecuzione, a fronte di un appello tardivo avverso una sentenza con attestazione di irrevocabilità, non ha il dovere di sospendere automaticamente l’esecuzione della pena in attesa che il giudice dell’impugnazione si pronunci sull’ammissibilità dell’appello, spettando a quest’ultimo un autonomo potere di sospensione. F Cass. pen., sez. I, 31 gennaio 2013, n. 4891 (c.c. 28 novembre 2012), Diaconescu. (c.p.p., art. 591; c.p.p., art. 670). [RV254700] Evasione ■ Momento consumativo del reato – Allontanamento dal luogo di detenzione domiciliare senza attendere la notifica dell’indulto – Configurabilità del reato. Integra il reato di evasione l’allontanamento del detenuto dall’abitazione ove si trova ristretto in detenzione domiciliare, senza attendere la formale comunicazione del provvedimento di rimessione in libertà a seguito dell’entrata in vigore della legge con la quale è stato concesso l’indulto. F Cass. pen., sez. VI, 22 febbraio 2013, n. 8812 (ud. 14 novembre 2012), Crescenzo. (c.p., art. 385; c.p.p., art. 672). [RV254685] Falsa testimonianza ■ Privato denunziante – Legittimazione a proporre ricorso per cassazione – Esclusione. Nel delitto di falsa testimonianza, essendo persona offesa solo lo Stato, il privato, pur se costituito parte civile, non è legittimato a proporre ricorso per cassazione contro la sentenza di non luogo a procedere. F Cass. pen., sez. VI, 25 febbraio 2013, n. 9085 (c.c. 22 novembre 2012), P.C. in proc De Sabato. (c.p.p., art. 428; c.p.p., art. 606; c.p., art. 372). [RV254581] Giudice penale ■ Ricusazione – Casi – Giudice chiamato a giudicare lo stesso imputato per fatto diverso. Non dà luogo ad una ipotesi di ricusazione, ai sensi dell’art. 37 c.p.p. come risultante a seguito della parziale dichiarazione di illegittimità di cui alla sentenza n. 283 del 2000 della Corte costituzionale, la circostanza che il magistrato abbia già preso parte a un giudizio a carico dell’ imputato per fatti diversi sebbene caratterizzati dalla pretesa identità delle fonti probatorie valutate e da valutare, atteso che una stessa fonte probatoria, considerata importante ed attendibile in un processo, potrebbe non esserlo altrettanto in un altro. (Fattispecie nella quale è stata dichiarata inammissibile l’istanza di ricusazione proposta nei confronti di un componente del collegio penale che aveva già giudicato l’imputato per i reati di associazione per delinquere e violazioni tributarie commesse in qualità di legale rappresentante di altre società). F Cass. pen., sez. III, 12 marzo 2013, n. 11546 (c.c. 19 febbraio 2013), Frezza. (c.p.p., art. 37). [RV254760] Giudizio abbreviato ■ Procedimento – Integrazione istruttoria disposta d’ufficio – Facoltà del p.m. di contestazione della recidiva. In tema di giudizio abbreviato, nella ipotesi di integrazione probatoria officiosa, la facoltà del pubblico ministero di effettuare nuova contestazione della recidiva è limitata alle nuove acquisizioni e non può, pertanto, basarsi su dati preesistenti alla integrazione promossa dal giudice. F Cass. pen., sez. I, 27 396 4/2014 Arch. nuova proc. pen. febbraio 2013, n. 9400 (ud. 12 febbraio 2013), Albanese. (c.p., art. 99; c.p.p., art. 438; c.p.p., art. 441; c.p.p., art. 441 bis). [RV254955] ■ Richiesta – Reiezione – Impugnazione. La richiesta di applicazione della diminuente prevista per il rito abbreviato non ammesso nel giudizio di primo grado è motivo di impugnazione non esclusivamente personale e, quindi, se accolto, è estensibile agli altri imputati, impugnanti o meno, che lo abbiano proposto. (In applicazione di tale principio la Corte ha annullato senza rinvio la sentenza di merito che aveva concesso la diminuente a tutti i coimputati proponenti appello avverso la reiezione della istanza da parte del tribunale, omettendo di esaminare l’identica posizione dei coimputati non impugnanti). F Cass. pen., sez. II, 24 gennaio 2013, n. 3750 (ud. 8 gennaio 2013), Ferrante e altri (c.p.p., art. 442; c.p.p., art. 587). [RV254549] Giudizio immediato ■ Procedimento – Decreto che dispone il giudizio – Requisiti. Ai fini della rituale contestazione del delitto di “stalking” - che ha natura di reato abituale - non si richiede che il capo di imputazione rechi la precisa indicazione del luogo e della data di ogni singolo episodio nel quale si sia concretato il compimento di atti persecutori, essendo sufficiente a consentire un’adeguata difesa la descrizione in sequenza dei comportamenti tenuti, la loro collocazione temporale di massima e gli effetti derivatine alla persona offesa. F Cass. pen., sez. V, 15 febbraio 2013, n. 7544 (ud. 25 ottobre 2012), C. (c.p., art. 612 bis; c.p.p., art. 453). [RV255016] ■ Richiesta di giudizio abbreviato – Termini di fase della custodia cautelare – Durata. I termini di durata massima della custodia cautelare, nel caso di giudizio abbreviato ammesso dopo il decreto che dispone il giudizio, si commisurano a quelli propri della fase del giudizio dibattimentale per il periodo antecedente all’ordinanza ammissiva del rito alternativo, e a quelli previsti per quest’ultimo in relazione al periodo successivo, con la precisazione che gli stessi, complessivamente considerati, non possono estendersi per un tempo maggiore rispetto a quello che legge assegna alla fase del giudizio ex art. 303, comma primo, lett. b), c.p.p.. F Cass. pen., sez. VI, 25 febbraio 2013, n. 9088 (c.c. 22 novembre 2012), Sall Mame. (c.p.p., art. 303; c.p.p., art. 458). [RV254582] Giudizio penale di primo grado ■ Dibattimento – Atti introduttivi – Impedimento a comparire. Il giudice di merito può ritenere l’insussistenza dell’impedimento a comparire dell’imputato, dedotto mediante l’allegazione di certificato medico, anche indipendentemente da una verifica fiscale e facendo ricorso a nozioni di comune esperienza che rimandino all’impossibilità del soggetto portatore della patologia di essere presente in giudizio se non a prezzo di un grave e non evitabile rischio per la propria salute. (Fattispecie in cui il certificato medico si limitava ad indicare uno stato di salute che rendeva “sconsigliabile” un lungo viaggio, ma non tale da far “temere uno sviluppo drammatico o minaccioso dal punto di vista vitale”). F Cass. pen., sez. VI, 29 gennaio 2013, n. 4284 (ud. 10 gennaio 2013), G.. (c.p.p., art. 420 ter). [RV254896] ■ Dibattimento – Atti introduttivi – Impedimento a comparire. Nessun provvedimento di sospensione o di rinvio del dibattimento deve essere adottato dal giudice quando l’imputato risulta assistito da due difensori e uno solo di essi ha addotto un impedimento legittimo alla comparizione all’udienza. (Nella specie la S.C. ha ritenuto, in adesione al principio, corretta la sostituzione con difensore di ufficio del legale non presentatosi in udienza ancorché non adducendo alcun legittimo impedimento). F Cass. pen., sez. II, 4 marzo 2013, n. 10064 (ud. 19 dicembre 2012), Berlich. (c.p.p., art. 420 ter). [RV254875] mas Ma s s i m a r i o ■ Dibattimento – Atti preliminari al dibattimento – Esami a richiesta di parte. Il termine stabilito per il deposito delle liste testimoniali è computato in giorni interi e liberi e dunque allo stesso non si applica la proroga automatica del termine che scade in un giorno festivo stabilito dal comma terzo dell’art. 172 c.p.p... F Cass. pen., sez. V, 9 gennaio 2013, n. 1139 (ud. 30 novembre 2012), Scommegna. (c.p.p., art. 172; c.p.p., art. 468). [RV254838] ■ Dibattimento – Esame dei testimoni – Minorenne. L’esame testimoniale del minore, vittima di abusi sessuali, non richiede obbligatoriamente l’assistenza di un esperto di psicologia infantile, non essendo quest’ultima imposta dalla legge. (In motivazione, la S.C. ha ricordato che le Carte intenzionali di Noto e Lanzarote raccomandano, più che la presenza dell’esperto, la videoregistrazione dell’esame). F Cass. pen., sez. IV, 12 aprile 2013, n. 16981 (ud. 12 marzo 2013), F.. (c.p.p., art. 498). [RV254943] ■ Dibattimento – Fascicolo – Atto di querela. Legittimamente il giudice, ai fini del proprio convincimento, utilizza la querela che, su concordi volontà delle parti, sia stata acquisita al fascicolo per il dibattimento. F Cass. pen., sez. V, 18 luglio 2012, n. 29034 (ud. 8 maggio 2012), D’Urzo. (c.p.p., art. 431; c.p.p., art. 493; c.p.p., art. 511). [RV254611] ■ Dibattimento – Nuove contestazioni – Modifica concernente la data del commesso reato. La modifica in udienza del capo di imputazione, consistente nella diversa indicazione della data del commesso reato, non sempre comporta una alterazione avente incidenza sulla identità sostanziale e sulla identificazione dell’addebito, atteso che, a seconda dei casi, l’esatta collocazione temporale di un fatto delittuoso può assumere o meno rilevanza decisiva, condizionando le possibilità di difesa dell’imputato. Pertanto, detta rilevanza deve essere accertata alla luce delle finalità della norme di cui agli artt. 516-522 c.p.p., preordinate ad assicurare il contraddittorio ed il pieno esercizio del diritto di difesa; con la conseguenza che la modifica, avvenuta in udienza, della data del reato - nella specie commesso il giorno precedente a quello indicato in imputazione - non comportando alcuna significativa modifica della contestazione, immutata nei suoi tratti essenziali, non è idonea in nessun modo a pregiudicare le facoltà difensive. F Cass. pen., sez. V, 4 marzo 2013, n. 10196 (ud. 31 gennaio 2013), Mannino. (c.p.p., art. 516; c.p.p., art. 520; c.p.p., art. 521; c.p.p., art. 522). [RV254658] ■ Dibattimento – Pubblico ministero – Indicazione dei fatti che intende provare. L’esposizione introduttiva del P.M. che riporta il contenuto di atti assunti nelle indagini preliminari, o comunque inutilizzabili, non determina alcuna ipotesi di nullità, in quanto trattasi di attività di parte che non vincola in alcun modo il giudice, né pregiudica i diritti della difesa. F Cass. pen., sez. VI, 7 marzo 2013, n. 10887 (ud. 11 ottobre 2012), Alfiero e altri. (d.l. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 sexies; l. 7 agosto 1992, n. 356; c.p.p., art. 649; c.p., art. 416 bis). [RV254787] Giudizio per decreto ■ Decreto di condanna – Decreto emesso nonostante l’opposizione del querelante – Ricorso per cassazione per violazione di legge. La persona offesa è legittimata a ricorrere per cassazione per violazione di legge contro il decreto penale emesso nonostante la sua rituale opposizione manifestata nell’atto di querela a tale forma di definizione del procedimento. F Cass. pen., sez. II, 23 gennaio 2013, n. 3415 (c.c. 18 dicembre 2012), P.O. in proc. De Luca. (c.p.p., art. 459; c.p.p., art. 606). [RV254773] ■ Richiesta – Opposizione del denunciante – Possibilità. La scelta del rito processuale da seguire compete esclusivamente al pubblico ministero in qualità di titolare dell’azione penale, non essendo prevista alcuna facoltà per il denunciante di opporsi alla formulazione della richiesta di emissione di decreto penale di condanna. F Cass. pen., sez. III, 21 marzo 2013, n. 13028 (c.c. 13 febbraio 2013), P.O. in proc. Traina (c.p.p., art. 459). [RV255028] Impugnazioni penali in genere ■ Ammissibilità o inammissibilità – Inammissibilità – Inserimento di frasi di censura della sentenza impugnata assertive ed apodittiche. In tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili i motivi che si limitano a riprodurre le censure dedotte in appello, anche se con l’aggiunta di frasi incidentali di censura alla sentenza impugnata meramente assertive ed apodittiche, laddove difettino di una critica argomentata avverso il provvedimento ‘attaccatò e l’indicazione delle ragioni della loro decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice di merito. F Cass. pen., sez. VI, 21 febbraio 2013, n. 8700 (ud. 21 gennaio 2013), Leonardo e altri. (c.p.p., art. 581; c.p.p., art. 591; c.p.p., art. 606). [RV254584] ■ Ammissibilità o inammissibilità – Parte civile – Procura speciale. È inammissibile l’appello del difensore della parte civile munito di procura speciale a norma dell’art. 100 c.p.p. priva di una univoca specificazione in ordine al conferimento del potere di impugnazione, posto che la procura alle liti, essendo funzionale a conferire lo “ius postulandi”, non è assimilabile a quelle previste dagli artt. 76 e 122 c.p.p., le quali attribuiscono al procuratore la capacità di essere soggetto del rapporto processuale. (Fattispecie in cui la procura conteneva la nomina del difensore al quale veniva conferito il potere di rappresentare la parte “in ogni grado del giudizio in relazione alla sopra estesa dichiarazione di costituzione di parte civile”). F Cass. pen., sez. VI, 2 aprile 2013, n. 14980 (ud. 27 novembre 2012), p.c. in proc. Santacatterina. (c.p.p., art. 76; c.p.p., art. 100; c.p.p., art. 122). [RV254861] ■ Ammissibilità o inammissibilità – Sentenza dichiarativa della prescrizione – Appello della parte civile agli effetti della responsabilità civile. In materia di impugnazioni, la parte civile, anche dopo la l. n. 46 del 2006, conserva il potere di impugnare le sentenze di proscioglimento ed il giudice dell’impugnazione ha, nei limiti del devoluto ed agli effetti della devoluzione, i poteri che avrebbe dovuto esercitare il giudice che ha prosciolto, sicché qualora il giudice di appello ritenga che il giudice di primo grado abbia errato nel dichiarare la prescrizione, deve statuire, ai soli fini civili, prima nel merito e, poi, sulle domande civili, quand’anche dovesse nuovamente dichiarare l’estinzione del reato per prescrizione nel frattempo sopravvenuta. F Cass. pen., sez. II, 13 febbraio 2013, n. 7041 (ud. 28 novembre 2012), Caleca e altri (c.p.p., art. 538; c.p.p., art. 576; c.p.p., art. 622). [RV254999] ■ Effetto estensivo – Appello – Mancato accoglimento – Diritto autonomo dell’imputato non impugnante a proporre ricorso per cassazione – Ammissibilità – Esclusione. È inammissibile il ricorso per cassazione dell’imputato non appellante che si sia avvalso nel giudizio di appello dell’effetto estensivo dell’impugnazione presentata dai coimputati, qualora questa non sia stata accolta. F Cass. pen., sez. III, 5 marzo 2013, n. 10223 (ud. 24 gennaio 2013), Mikulic. (c.p.p., art. 587). [RV254639] ■ Effetto estensivo – Imputato rinunziante al gravame ex art. 599 c.p.p. – Gravame accolto per altri coimputati. Non sussiste l’effetto estensivo dell’impugnazione in favore di colui che abbia richiesto l’applicazione della pena concordata in appello, avendo egli in tal modo rinunziato al motivo di gravame inizialmente comune con altri coimputati al fine di ottenere, ai sensi dell’art. 599 comma quarto c.p.p., una nuova e più favorevole determinazione della pena. (Nella specie la Corte ha escluso l’effetto estensivo con riferimento all’annullamento con rinvio della sentenza, per la mancata celebrazione dell’udienza preliminare). F Cass. pen., sez. I, 22 aprile 2013, n. 18351 (c.c. 25 marzo 2013), P.G. in proc. Mosca. (c.p.p., art. 587; c.p.p., art. 599). [RV254800] Arch. nuova proc. pen. 4/2014 397 mas Ma s s i m a r i o ■ Effetto estensivo – Operatività nei confronti del coimputato la cui impugnazione sia stata esaminata nel merito – Esclusione. L’effetto estensivo dell’impugnazione non opera a favore degli altri imputati quando la questione posta a fondamento dell’impugnazione sia stata già esaminata nel merito con una decisione diversa ed incompatibile con quella di cui si chiede l’estensione. F Cass. pen., sez. VI, 23 gennaio 2013, n. 3702 (ud. 4 dicembre 2012), Capasso e altri. (c.p.p., art. 587; c.p.p., art. 599; c.p.p., art. 602; c.p.p., art. 649). [RV254765] ■ Effetto estensivo – Prescrizione dichiarata nei confronti dell’imputato appellante – Operatività della stessa anche nei confronti di coimputato non appellante – Sussistenza – Passaggio in giudicato della sentenza nei suoi confronti – Irrilevanza. La prescrizione del reato rilevata a seguito dell’appello di un imputato deve essere dichiarata in forza dell’effetto estensivo dell’impugnazione nei confronti di altro imputato non appellante anche qualora la causa estintiva sia maturata successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di primo grado nei confronti di quest’ultimo. F Cass. pen., sez. III, 5 marzo 2013, n. 10223 (ud. 24 gennaio 2013), Mikulic. (c.p., art. 157; c.p.p., art. 587). [RV254640] ■ Impugnazione della parte civile – Sentenza di condanna che modifica l’imputazione – Interesse all’impugnazione – Sussistenza – Condizioni. Sussiste l’interesse della parte civile ad impugnare ai fini civili la sentenza di condanna che dia al fatto una diversa qualificazione giuridica allorché da quest’ultima possa derivare una differente quantificazione del danno da risarcire, cui si pervenga tenendo conto anche della gravità del reato e dell’entità del patema d’animo sofferto dalla vittima. (Nella specie la S.C. ha affermato il principio in relazione all’impugnazione della parte civile avverso una sentenza di condanna di un automobilista - la cui condotta era stata valutata come dolosa dal Gup e come colposa dalla Corte d’Assise d’Appello - il quale, riconosciuto capace di intendere e di volere pur versando in condizione di astinenza da assunzione di stupefacenti, aveva causato la morte di quattro pedoni investendoli sul marciapiede). F Cass. pen., sez. IV, 9 ottobre 2012, n. 39898 (ud. 3 luglio 2012), P.C. in proc. Giacalone (c.p.p., art. 521; c.p.p., art. 568; c.p.p., art. 576). [RV254672] ■ Interesse ad impugnare – Interesse tendente ad evitare conseguenze extrapenali pregiudizievoli o ad assicurarsi effetti extrapenali più favorevoli – Sufficienza. In tema di impugnazioni l’interesse del ricorrente è ravvisabile non solo quando questi miri a conseguire effetti penali più vantaggiosi ma anche quando tenda ad evitare conseguenze extrapenali pregiudizievoli o ad assicurarsi effetti penali più favorevoli che l’ordinamento faccia dipendere dalla pronuncia domandata. (Fattispecie in cui la Suprema Corte ha riconosciuto l’interesse alla impugnazione dinanzi al Tribunale del riesame dell’imputato che, a seguito della imposizione di misura cautelare, era stato sottoposto a procedimento disciplinare, nonostante nelle more il G.i.p. avessse revocato il provvedimento restrittivo). F Cass. pen., sez. V, 28 settembre 2012, n. 37677 (c.c. 10 luglio 2012), Cornicello (c.p.p., art. 568; c.p.p., art. 581; c.p.p., art. 591). [RV254557] ■ Interesse ad impugnare – Sentenza assolutoria – Ricorso del p.m.. Sussiste l’interesse del P.M. ad impugnare la sentenza di assoluzione - nella specie pronunciata perché il fatto non sussiste - qualora ritenga sussistenti i presupposti per la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione fondata sulla mancanza di prova dell’innocenza dell’imputato. F Cass. pen., sez. IV, 18 ottobre 2012, n. 40896 (ud. 28 settembre 2012), P.G. in proc. Del Pozzo (c.p.p., art. 129; c.p.p., art. 568). [RV255004] 398 4/2014 Arch. nuova proc. pen. ■ Interesse ad impugnare – Sentenza dichiarativa di prescrizione – Ricorso del pubblico ministero teso a contestare il calcolo del tempo per la prescrizione. È inammissibile, per sopravvenuta carenza di interesse, il ricorso per cassazione del pubblico ministero avverso la sentenza dichiarativa dell’estinzione del reato per prescrizione, ove con esso si denunci l’erroneità del calcolo del tempo necessario al prodursi di tale vicenda, quando il termine di legge, come indicato nell’atto di impugnazione, è comunque spirato in data precedente a quella della decisione della Corte di cassazione. F Cass. pen., sez. VI, 7 febbraio 2013, n. 6151 (ud. 22 gennaio 2013), P.M. in proc. Cardellicchio. (c.p.p., art. 568). [RV254858] ■ Interessi civili – Declaratoria di estinzione del reato da parte del giudice di appello – Assenza di motivazione in ordine alla valutazione della responsabilità dell’imputato ai fini civilistici. La previsione di cui all’art. 578 c.p.p. - per la quale il giudice di appello o quello di legittimità, che dichiarino l’estinzione per amnistia o prescrizione del reato per cui sia intervenuta in primo grado condanna, sono tenuti a decidere sull’impugnazione agli effetti delle disposizioni dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili - comporta che i motivi di impugnazione dell’imputato devono essere esaminati compiutamente, non potendosi dare conferma alla condanna (anche solo generica) al risarcimento del danno in ragione della mancanza di prova dell’innocenza dell’imputato, secondo quanto previsto dall’art. 129, comma secondo, c.p.p.; qualora, pertanto, tale motivazione manchi, l’annullamento della sentenza di appello, limitatamente alla conferma delle statuizioni civili, deve essere disposto con rinvio al giudice penale. F Cass. pen., sez. V, 5 febbraio 2013, n. 5764 (ud. 7 dicembre 2012), Sarti. (c.p.p., art. 129; c.p.p., art. 578; c.p.p., art. 622). [RV254965] ■ Provvedimenti impugnabili o inoppugnabili – Provvedimenti abnormi – Accertamenti sull’identità dell’imputato. È illegittimo ma non abnorme il provvedimento con cui il giudice del dibattimento disponga la restituzione degli atti al P.M. per accertamenti sull’identità dell’imputato. (In motivazione la Corte ha sottolineato che la regressione del procedimento non è caratterizzante di abnormità posto che se l’atto del giudice è espressione di un potere riconosciutogli, si è in presenza di un regresso “consentito” anche se i presupposti che ne legittimano l’emanazione siano stati per errore ritenuti sussistenti). F Cass. pen., sez. III, 4 marzo 2013, n. 10128 (c.c. 29 gennaio 2013), Pmt in proc. Willi (c.p.p., art. 66; c.p.p., art. 568). [RV254979] ■ Provvedimenti impugnabili o inoppugnabili – Provvedimenti abnormi – Istanza del p.m. di liquidazione dei compensi dovuti al c.t.. È abnorme il provvedimento con cui il Tribunale, investito dal P.M. dell’istanza di liquidazione dei compensi dovuti al consulente tecnico, disponga la restituzione degli atti allo stesso Pubblico Ministero, considerato che la competenza a provvedere alla liquidazione delle spese in questione è del magistrato che procede e che, quindi, ha la disponibilità del fascicolo. F Cass. pen., sez. IV, 18 gennaio 2013, n. 2820 (c.c. 30 novembre 2012), Pmt in proc. Drigo. (c.p.p., art. 568; d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, art. 168). [RV254963] ■ Provvedimenti impugnabili o inoppugnabili – Provvedimenti abnormi – Omesso interrogatorio dell’indagato. Non è abnorme l’ordinanza con cui il G.U.P. dichiari la nullità della richiesta di rinvio a giudizio per omesso interrogatorio dell’indagato che ne abbia fatto richiesta. (Fattispecie in cui la nullità era stata dichiarata sul presupposto dell’illegittimo rigetto dell’istanza di rinvio dell’interrogatorio formulata dalla difesa dell’indagato). F Cass. pen., sez. VI, 28 febbraio 2013, n. 9730 (c.c. 29 gennaio 2013), P.M. in proc. Laporta. (c.p.p., art. 416). [RV254587] mas Ma s s i m a r i o ■ Provvedimenti impugnabili o inoppugnabili – Provvedimenti abnormi – Richiesta di riparazione per ingiusta detenzione. Integra gli estremi dell’atto abnorme, il provvedimento con cui il giudice di appello, investito della richiesta di riparazione per ingiusta detenzione, sospenda il procedimento “sine die”, in attesa della definizione di altro procedimento in corso in fase dibattimentale, al fine dell’eventuale applicazione dell’istituto della “fungibilità”. F Cass. pen., sez. IV, 12 febbraio 2013, n. 7001 (c.c. 20 novembre 2012), Riitano. (c.p.p., art. 314; c.p.p., art. 315; c.p.p., art. 568; c.p.p., art. 657). [RV254961] - ha introdotto un meccanismo preordinato ad evitare la stasi prolungata ed ingiustificata del procedimento, non distinguendo, tuttavia, tra i casi di incapacità temporanea e di accertata incapacità permanente e immodificabile. In quest’ultimo caso, in virtù di un’interpretazione dell’art. 72 c.p.p. conforme al canone di ragionevolezza, il giudice, fermo il controllo sulla situazione dell’imputato a scadenza semestrale, può valutare la necessità di disporre la perizia quando ne ravvisi l’esigenza ovvero di rinviarla ad un momento successivo. F Cass. pen., sez. IV, 31 gennaio 2013, n. 4973 (c.c. 14 dicembre 2012), Barolo (c.p.p., art. 70; c.p.p., art. 71; c.p.p., art. 72; c.p.p., art. 220). [RV255013] ■ Rinuncia – Formalità – Rinuncia presentata via fax alla cancelleria del giudice. È ammissibile la rinuncia all’impugnazione contenuta in un atto a firma del ricorrente trasmessa via fax alla cancelleria del giudice “ad quem”, non essendo il rispetto delle forme di cui all’art. 589 c.p.p. previsto a pena di inammissibilità. F Cass. pen., sez. I, 31 gennaio 2013, n. 4884 (c.c. 26 ottobre 2012), Moltoni. (c.p.p., art. 582; c.p.p., art. 589). [RV254602] Indagini preliminari ■ Rinuncia – Rinuncia a determinati motivi fra quelli in cui si articolava l’atto di appello – Procura speciale. Non opera il principio della necessità della procura speciale ai fini della validità della rinuncia del difensore alla impugnazione, nel caso in cui quest’ultima non investa l’atto di appello ma sia limitata ad alcuni dei motivi su cui l’impugnazione si articoli. F Cass. pen., sez. V, 24 gennaio 2013, n. 3820 (ud. 10 gennaio 2013), Ignomeriello e altri. (c.p.p., art. 589). [RV254567] Imputato ■ Dichiarazioni – Indizianti – Obbligo di informazione. Ai fini della sussistenza dell’obbligo di informazione di cui all’art. 63 c.p.p. - nel caso di dichiarazioni rese da soggetto che avrebbe dovuto essere sentito sin dall’inizio come persona indagata rileva solo la concreta situazione conoscibile ed apprezzabile al momento in cui le dichiarazioni siano rese, essendo, pertanto, irrilevante l’applicazione di eventuali scriminanti per le quali sia necessaria un’evidenza e, comunque, un grado di certezza raggiungibile solo a seguito di apposite indagini. F Cass. pen., sez. V, 8 gennaio 2013, n. 747 (ud. 28 settembre 2012), P.G. in proc. T. e altri. (c.p., art. 46; c.p., art. 54; c.p.p., art. 63). [RV254599] ■ Dichiarazioni – Rinnovazione dell’esame di persona indagata a norma dell’art. 26 della legge n. 63 del 2001 – Dichiarazioni precedentemente rese al p.m. radicalmente ritrattate in sede di rinnovazione. Sono utilizzabili le dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari dai soggetti indicati negli artt. 64 e 197 bis disp. att. c.p.p. se, nel corso della rinnovazione dell’interrogatorio a norma dell’art. 26, comma secondo, legge 1 marzo 2001, n. 63, il dichiarante ritratti nella sua interezza quanto sino ad allora riferito. F Cass. pen., sez. II, 4 gennaio 2013, n. 150 (ud. 18 ottobre 2012), Andreicik e altri. (c.p.p., art. 64; c.p.p., art. 197 bis; l. 1 marzo 2001, n. 63, art. 26). [RV254677] ■ Identità personale – Attribuzione di generalità errore – Rettifica. In caso di attribuzione all’imputato di generalità erronee, per incertezza nella sua individuazione anagrafica, è possibile procedere alla rettifica mediante la procedura di correzione dell’errore materiale. F Cass. pen., sez. II, 23 gennaio 2013, n. 3396 (c.c. 16 novembre 2012), Dagrada. (c.p.p., art. 66; c.p.p., art. 130). [RV254772] ■ Infermità di mente – Accertamento – Sospensione del processo per incapacità dell’imputato. In tema di sospensione del procedimento per incapacità dell’imputato a parteciparvi, la disposizione di cui all’art. 72 c.p.p. - nel prevedere l’onere del giudice di procedere al controllo sullo stato di mente dell’imputato a scadenza periodica semestrale, o anche più breve, se necessario, mediante accertamenti peritali ■ Arresto in flagranza e fermo – Stato di flagranza – Informazione da parte di terzi. Non sussiste la condizione di cosiddetta “quasi flagranza” qualora l’inseguimento dell’indagato da parte della P.G. sia stato iniziato per effetto e solo dopo l’acquisizione di informazioni da parte di terzi. F Cass. pen., sez. IV, 5 aprile 2013, n. 15912 (c.c. 7 febbraio 2013), P.M. in proc. Cecconi e altri. (c.p.p., art. 380; c.p.p., art. 381; c.p.p., art. 382). [RV254966] ■ Attività ad iniziativa della polizia giudiziaria – Documentazione dell’attività – Mancata verbalizzazione di dichiarazioni. La mancata verbalizzazione da parte delle polizia giudiziaria di dichiarazioni da essa ricevute, in contrasto con quanto prescritto dall’art. 357 c.p.p., non le rende nulle o inutilizzabili in quanto nessuna sanzione in tal senso è prevista da detta norma, sicché salvi i limiti di cui all’art. 350, commi 6 e 7, c.p.p., l’agente o l’ufficiale di polizia giudiziaria può fare relazione del loro contenuto all’autorità giudiziaria e rendere testimonianza “de relato”. F Cass. pen., sez. II, 4 gennaio 2013, n. 150 (ud. 18 ottobre 2012), Andreicik e altri. (c.p.p., art. 350; c.p.p., art. 357). [RV254678] ■ Attività ad iniziativa della polizia giudiziaria – Prostituzione minorile – Costatazione diretta da parte della polizia giudiziaria. Non costituisce “attività di contrasto” soggetta ad autorizzazione dell’autorità giudiziaria, ai sensi dell’art. 14 della legge 3 agosto 1998, n. 269, l’accertamento compiuto dalla polizia giudiziaria e puntualmente riferito in dibattimento, consistente nella costatazione diretta della commissione del reato di prostituzione minorile. (Fattispecie nella quale è stata ritenuta utilizzabile la deposizione di un ispettore di polizia che, qualificatosi come cliente, si era recato in un’abitazione in cui era presente una minore che, immediatamente, iniziava a sbottonarsi i pantaloni). F Cass. pen., sez. III, 12 marzo 2013, n. 11529 (ud. 29 gennaio 2013), B. (c.p.p., art. 191; c.p., art. 600 bis; l. 3 agosto 1998, n. 269, art. 14). [RV255023] ■ Attività del P.M. – Accertamenti tecnici non ripetibili – Consulenza balistica. La consulenza balistica (nella specie, di comparazione tra le striature presenti sul proiettile rinvenuto sul luogo del delitto e quelle prodotte sul proiettile “test” esploso con la pistola posseduta dall’indagato all’epoca dei fatti) non ha natura di accertamento irripetibile, laddove la permanente disponibilità della rivoltella sequestrata consenta in ogni fase del procedimento la ripetizione dell’accertamento. F Cass. pen., sez. I, 8 febbraio 2013, n. 6344 (c.c. 22 gennaio 2013), Fontanesi. (c.p.p., art. 359; c.p.p., art. 360). [RV254884] ■ Attività del P.M. – Accertamenti tecnici non ripetibili – Individuazione di impronta digitale mediante un sistema di ‘esaltazione’ della stessa. L’attività di individuazione delle impronte digitali mediante un sistema che, attraverso l’uso di un prodotto chimico, evidenzia e fissa le stesse non è assoggettato alla disciplina prevista per gli accertamenti non ripetibili. F Cass. pen., sez. VI, 6 marzo 2013, n. 10350 (ud. 6 febbraio 2013), Granella. (c.p.p., art. 354; c.p.p., art. 359; c.p.p., art. 360). [RV254589] Arch. nuova proc. pen. 4/2014 399 mas Ma s s i m a r i o ■ Attività del P.M. – Mancato svolgimento da parte del p.m. di attività di indagine a favore dell’indagato – Sanzioni processuali. Il dovere del P.M. di svolgere attività di indagine a favore dell’indagato non è presidiato da alcuna sanzione processuale, sicché la sua violazione non può essere dedotta con ricorso per cassazione proposto per mancata assunzione di una prova decisiva. (Nella specie, la Corte ha evidenziato che la difesa può comunque svolgere attività di indagine in via autonoma rispetto al P.M. nonché formulare proprie richieste istruttorie nel giudizio ordinario o abbreviato). F Cass. pen., sez. II, 4 marzo 2013, n. 10061 (ud. 20 novembre 2012), Porcelli. (c.p.p., art. 358; c.p.p., art. 606). [RV254872] ■ Chiusura – Archiviazione – Notifica alla persona offesa. Il termine entro il quale la persona offesa dal reato può ricorrere per cassazione contro il decreto di archiviazione adottato in violazione del contraddittorio decorre dalla data di effettiva conoscenza della notizia della sua esistenza. F Cass. pen., sez. VI, 20 febbraio 2013, n. 8408 (c.c. 6 febbraio 2013), P.O. in proc. Gironacci. (c.p.p., art. 408; c.p.p., art. 409; c.p.p., art. 585; c.p.p., art. 606). [RV254767] ■ Chiusura – Archiviazione – Omesso avviso. L’omesso avviso della richiesta di archiviazione alla persona offesa che ne abbia fatto richiesta determina la violazione del contraddittorio e la conseguente nullità, ex art. 127, comma quinto, c.p.p. del decreto di archiviazione, impugnabile con ricorso per cassazione, esperibile nel termine di impugnazione ordinario di quindici giorni, che decorre dal momento in cui la persona offesa abbia avuto notizia del provvedimento. (Nella specie la S.C. ha ritenuto che il predetto termine decorresse dal momento in cui la persona offesa aveva acquisito copia degli atti del procedimento). F Cass. pen., sez. III, 12 marzo 2013, n. 11543 (c.c. 27 novembre 2012), P.O. in proc. Ferrari. (c.p.p., art. 127; c.p.p., art. 408; c.p.p., art. 409; c.p.p., art. 585). [RV254743] ■ Chiusura – Archiviazione – Opposizione della persona offesa. È inammissibile l’opposizione della persona offesa che sollecita investigazioni suppletive superflue ed inidonee a determinare modificazioni sostanziali del quadro probatorio. (Fattispecie in cui la Corte ha rilevato che gli approfondimenti di indagine richiesti non potevano considerarsi dirimenti, sull’assunto “che manca - e non appare raggiungibile - la prova” del fatto asserito dalla persona offesa). F Cass. pen., sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 6579 (c.c. 13 novembre 2012), P.O. in proc. Febbo. (c.p.p., art. 410). [RV254869] ■ Chiusura – Termini – Inutillizabilità degli atti per scadenza del termine. Il termine di durata delle indagini è di sei mesi anche in relazione al reato di associazione per delinquere, salvo che nei casi in cui questa sia diretta alla commissione dei reati previsti dall’art. 380, comma secondo, lett. a), b), c), d), f), g) ed i) c.p.p., e sia quindi obbligatorio l’arresto in flagranza. (In applicazione del principio, la Corte ha rilevato l’inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti oltre il sesto mese dall’iscrizione nel registro delle notizie di reato relativamente ad un’associazione per delinquere dedita all’organizzazione di furti in istituti di credito). F Cass. pen., sez. VI, 25 febbraio 2013, n. 9097 (c.c. 17 gennaio 2013), Lestingi. (c.p.p., art. 380; c.p.p., art. 405; c.p.p., art. 407). [RV254583] ■ Chiusura – Termini – Proroga. La richiesta di proroga del termine per la conclusione delle indagini preliminari, da notificare all’indagato per consentirgli di controdedurre, deve contenere, ai sensi dell’art. 406 c.p.p., l’indicazione della notizia di reato - senza che siano necessarie indicazioni temporali e spaziali del fatto né delle norme che si intendono violate in concreto - e l’esposizione dei motivi che 400 4/2014 Arch. nuova proc. pen. giustificano la proroga, i quali costituiscono l’oggetto del contraddittorio. F Cass. pen., sez. V, 5 febbraio 2013, n. 5782 (c.c. 4 dicembre 2012), Scorrano (c.p.p., art. 406). [RV255007] ■ Udienza preliminare – Atti di indagine espletati in procedimento diverso e prima della richiesta di rinvio a giudizio – Acquisizione. Rientrano tra gli atti di indagine suppletiva, e sono dunque acquisibili nell’udienza preliminare, anche gli atti relativi ad indagini espletate in un procedimento diverso ed in data precedente a quella della richiesta di rinvio a giudizio. (Nella specie si trattava del verbale di interrogatorio di un collaboratore di giustizia). F Cass. pen., sez. V, 20 febbraio 2013, n. 8353 (ud. 16 gennaio 2013), Fiarè e altri. (c.p.p., art. 419). [RV254714] ■ Udienza preliminare – Richiesta di rinvio a giudizio – Rituale presentazione presso la cancelleria del giudice. In materia di richiesta di rinvio a giudizio, qualora questa sia stata ritualmente presentata dal pubblico ministero presso la cancelleria del giudice, non costituisce causa di nullità l’omesso precedente deposito della stessa nella segreteria del pubblico ministero. F Cass. pen., sez. V, 5 ottobre 2012, n. 39407 (ud. 18 luglio 2012), Baracca. (c.p.p., art. 128; c.p.p., art. 178; c.p.p., art. 416). [RV254600] Istituti di prevenzione e pena (ordinamento penitenziario) ■ Affidamento in prova al servizio sociale – Sopravvenienza di misura cautelare domiciliare – Conseguenze. Il sopraggiungere della misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di soggetto sottoposto alla misura alternativa dell’affidamento in prova ai servizi sociali ha come effetto quello di sospendere il corso di quest’ultima fino alla cessazione della misura cautelare con essa incompatibile. F Cass. pen., sez. VI, 5 aprile 2013, n. 15925 (ud. 28 marzo 2013), Polverino. (c.p.p., art. 298; l. 26 luglio 1975, n. 354, art. 47 ter). [RV254732] Misure cautelari personali ■ Arresti domiciliari – Indisponibilità di un domicilio idoneo – Applicazione della custodia in carcere. In tema di scelta della misura idonea a soddisfare le ritenute esigenze cautelari, è legittima l’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nel caso in cui il giudice ritenga che la pericolosità del soggetto da sottoporre a cautela possa essere neutralizzata attraverso l’applicazione degli arresti domiciliari, ma il predetto soggetto non disponga di un domicilio all’uopo idoneo. F Cass. pen., sez. II, 23 gennaio 2013, n. 3429 (c.c. 20 dicembre 2012), Di Mattia. (c.p.p., art. 275; c.p.p., art. 284; c.p.p., art. 285). [RV254777] ■ Condizioni di applicabilità – Esigenze cautelari – Modalità del fatto. Ai fini dell’individuazione dell’esigenza cautelare di cui all’art. 274, lettera c), c.p.p., il giudice può porre a base della valutazione della personalità dell’indagato le stesse modalità del fatto commesso da cui ha dedotto anche la gravità del medesimo. F Cass. pen., sez. I, 21 febbraio 2013, n. 8534 (c.c. 9 gennaio 2013), Liuzzi. (c.p.p., art. 274). [RV254928] ■ Condizioni di applicabilità – Gravi indizi di colpevolezza – Giudizio di esclusione. Il requisito della gravità degli indizi di colpevolezza non può essere ritenuto insussistente sulla base di una valutazione separata dei vari dati probatori, dovendosi invece verificare se gli stessi, coordinati ed apprezzati globalmente secondo logica comune, assumano la valenza richiesta dall’art. 273 c.p.p., atteso che essi, in considerazione della loro natura, sono idonei a dimostrare il fatto se coordinati organicamente. F Cass. pen., sez. II, 27 febbraio 2013, n. 9269 (c.c. 5 dicembre 2012), Della Costa. (c.p.p., art. 273). [RV254871] mas Ma s s i m a r i o ■ Estinzione – Effetto della pronuncia di determinate sentenze – Annullamento con rinvio della sentenza di condanna. L’annullamento con rinvio di una sentenza di condanna, relativo alla sola applicabilità della misura di sicurezza dell’espulsione dello straniero, non determina l’automatica caducazione della misura cautelare non custodiale, che conserva la sua funzionalità in riferimento alla misura di sicurezza ancora “sub iudice”. F Cass. pen., sez. I, 1 febbraio 2013, n. 5214 (c.c. 15 gennaio 2013), Zefi. (c.p.p., art. 300; c.p.p., art. 656; c.p.p., art. 657). [RV254577] ■ Estinzione – Omesso interrogatorio – Nuova emissione di misura cautelare a seguito di quella precedente. Nell’ipotesi di emissione di una nuova misura custodiale in seguito alla dichiarazione di inefficacia, ai sensi dell’art. 309, commi 5 e 10, c.p.p., di quella precedente, il giudice per le indagini preliminari non ha l’obbligo di interrogare l’indagato prima di ripristinare nei suoi confronti il regime carcerario. F Cass. pen., sez. II, 27 febbraio 2013, n. 9258 (c.c. 23 novembre 2012), Sarpa. (c.p.p., art. 294; c.p.p., art. 302; c.p.p., art. 309). [RV254870] ■ Estinzione – Provvedimenti in caso di scarcerazione per decorrenza dei termini – Ripristino della custodia per sopravvenuta condanna. In tema di custodia cautelare in carcere, il ripristino nei confronti dell’imputato, a seguito di sopravvenuta condanna, deve fondarsi sull’entità della pena detentiva inflitta oltre che sulla natura e sulla gravità del reato in funzione del giudizio di probabilità che il condannato possa sottrarsi all’esecuzione della sentenza, ove questa divenga irrevocabile. (Fattispecie in cui l’imputato era stato condannato in appello alla pena di sette anni di reclusione per partecipazione ad un’associazione di tipo mafioso che in passato aveva favorito la latitanza degli associati). F Cass. pen., sez. II, 27 febbraio 2013, n. 9277 (c.c. 22 gennaio 2013), Tallura. (c.p.p., art. 275; c.p., art. 416 bis). [RV254876] ■ Estinzione – Revoca e sostituzione – Richiesta – Condizioni di salute del detenuto incompatibili con lo stato di detenzione – Rigetto della richiesta sulla base della documentazione sanitaria acquisita – Obbligo del giudice di disporre perizia – Sussistenza. In tema di misure coercitive, nel caso in cui il giudice ritenga di non accogliere immediatamente, sulla base della documentazione sanitaria acquisita, la richiesta di revoca o di sostituzione della custodia cautelare in carcere, fondata sulla prospettazione della particolare gravità delle condizioni di salute dell’indagato incompatibili con lo stato di detenzione, è tenuto a nominare un perito per svolgere gli accertamenti del caso. (Fattispecie nella quale la S.C. ha censurato la decisione del tribunale del riesame secondo cui le condizioni di salute del detenuto, per l’assenza di un apprezzabile “fumus”, non richiedevano l’automatico espletamento di una perizia). F Cass. pen., sez. IV, 11 aprile 2013, n. 16524 (c.c. 15 febbraio 2013), Mafrica (c.p.p., art. 275; c.p.p., art. 299). [RV254846] ■ Estinzione – Termine di durata massima della custodia cautelare – Disconoscimento di una circostanza attenuante. Nel caso in cui il giudice di legittimità abbia disposto l’annullamento con rinvio limitatamente all’esclusione di una circostanza aggravante (nella specie, sub art. 7 d.l. n. 152 del 1991, conv. in l. 203 del 1991) in grado d’appello, deve ritenersi che si sia formato il giudicato sull’affermazione di responsabilità dell’imputato a prescindere dalle statuizioni del giudice in ordine al bilanciamento tra le circostanze, sicché i termini di custodia cautelare cui deve farsi riferimento sono, ai sensi dell’art. 303, comma primo, lett. d), seconda parte, c.p.p., quelli stabiliti per la durata massima delle misure cautelari dal quarto comma dello stesso articolo. F Cass. pen., sez. IV, 7 marzo 2013, n. 10674 (c.c. 19 febbraio 2013), P.G. in proc. Macrì. (c.p.p., art. 303; c.p.p., art. 624; d.l. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7). [RV254940] ■ Estinzione – Termine di durata massima della custodia cautelare – Sospensione. Compete al giudice di appello il potere di adottare il provvedimento di sospensione dei termini di custodia cautelare per la durata del tempo di redazione della sentenza di primo grado. F Cass. pen., sez. V, 28 settembre 2012, n. 37656 (c.c. 7 giugno 2012), Scozzari (c.p.p., art. 304). [RV254556] ■ Impugnazioni – Appello – Appello del p.m.. L’appello del P.M., ex art. 310 c.p.p., avverso ordinanza cautelare, i cui motivi siano riferiti al solo punto dell’adeguatezza della misura emessa, non attribuisce al tribunale del riesame la cognizione anche sui punti della gravità indiziaria e delle esigenze cautelari, a meno che non siano emersi elementi nuovi o diversi, non valutati precedentemente dal giudice che ha emesso il provvedimento. F Cass. pen., sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 6592 (c.c. 25 gennaio 2013), Lacu e altro. (c.p.p., art. 299; c.p.p., art. 310). [RV254578] ■ Impugnazioni – Appello – Impugnazione del p.m.. Il giudice dell’appello cautelare personale non può provvedere, in caso di impugnazione del P.M., stante il principio devolutivo, in merito a misure cautelari diverse, anche se meno gravi, rispetto a quella originariamente richiesta dal P.M., ove, anche in sede di appello, non sia stata fatta richiesta di applicazione di una misura meno grave. F Cass. pen., sez. III, 23 gennaio 2013, n. 3443 (c.c. 18 settembre 2012), P.M. in proc. E.. (c.p.p., art. 309; c.p.p., art. 310). [RV254680] ■ Impugnazioni – Riesame – Decisione. In materia di procedimento di riesame, il termine di dieci giorni entro il quale deve intervenire la decisione inizia a decorrere dalla trasmissione degli atti, anche se effettuata dopo il quinto giorno dalla richiesta a causa del maturare di quest’ultimo in data festiva. F Cass. pen., sez. VI, 29 gennaio 2013, n. 4301 (c.c. 11 gennaio 2013), Musumeci. (c.p.p., art. 172; c.p.p., art. 309). [RV254895] ■ Impugnazioni – Riesame – Procedimento. In materia di riesame delle misure cautelari, per atti “sopravvenuti” si intendono quelli non conosciuti al momento dell’istanza ex. art. 291 primo comma c.p.p., e venuti a conoscenza del P.M. dopo la scadenza del termine di cinque giorni previsto dall’art. 309 comma quinto c.p.p. (Nella specie la Corte ha escluso che potesse riconoscersi il carattere della sopravvenienza ad una videoregistrazione comunque antecedente l’applicazione della misura e riversata in un brogliaccio posto a disposizione della difesa nei termini di legge). F Cass. pen., sez. I, 5 febbraio 2013, n. 5714 (c.c. 18 dicembre 2012), Garufi. (c.p.p., art. 291; c.p.p., art. 309). [RV254883] ■ Impugnazioni – Riesame – Procedimento. In tema di misure cautelari, se i decreti autorizzativi delle intercettazioni telefoniche non siano allegati alla richiesta del P.M., la successiva omessa trasmissione degli stessi al Tribunale del riesame a seguito di impugnazione del provvedimento coercitivo non determina l’inutilizzabilità, né la nullità assoluta ed insanabile delle intercettazioni, salvo che la difesa dell’indagato abbia presentato specifica e tempestiva richiesta di acquisizione, e la stessa o il giudice non siano stati in condizione di effettuare un efficace controllo di legittimità. F Cass. pen., sez. VI, 15 febbraio 2013, n. 7521 (c.c. 24 gennaio 2013), Cerbasio. (c.p.p., art. 180; c.p.p., art. 183; c.p.p., art. 271; c.p.p., art. 291). [RV254586] ■ Impugnazioni – Riesame – Richiesta. In tema di riesame, i termini per la relativa richiesta decorrono dall’attestazione del difensore in calce al verbale dell’interrogatorio dell’imputato, effettuato ai sensi dell’art. 294 c.p.p., di avere ricevuto l’avviso del deposito dell’ordinanza cautelare e di avere preso cognizione del contenuto della stessa. F Cass. pen., sez. VI, 18 aprile 2013, n. 17958 (c.c. 16 aprile 2013), Camuri. (c.p.p., art. 293; c.p.p., art. 294; c.p.p., art. 309). [RV254734] Arch. nuova proc. pen. 4/2014 401 mas Ma s s i m a r i o ■ Impugnazioni – Riesame – Sopravvenuta inutilizzabilità. La sostituzione di una misura cautelare personale con altra di natura interdittiva comporta la sopravvenuta inammissibilità del riesame in precedenza richiesto, salvo che sussista lo specifico interesse dell’imputato a coltivare l’impugnazione ai fini di una futura utilizzazione della pronunzia favorevole per il riconoscimento della riparazione per ingiusta detenzione. F Cass. pen., sez. VI, 29 gennaio 2013, n. 4305 (c.c. 17 gennaio 2013), Gallo. (c.p.p., art. 287; c.p.p., art. 309; c.p.p., art. 310; c.p.p., art. 314). [RV254576] ■ Procedimento applicativo – Interrogatorio – Sospensione dell’interrogatorio per avvisare il difensore nominato. Qualora il giudice che procede all’interrogatorio previsto dall’art. 294 c.p.p. non abbia avuto conoscenza della nomina del difensore di fiducia effettuata dall’indagato con dichiarazione resa all’ufficio matricola, nel raccogliere a verbale la nomina suddetta non è tenuto a sospendere l’interrogatorio per avvisare il difensore nominato, atteso che tale obbligo sussiste soltanto ove la designazione intervenga in tempo utile e non anche ove essa sia contestuale al compimento dell’atto. (Fattispecie relativa ad avviso di fissazione di interrogatorio antecedente di cinque minuti la dichiarazione di nomina). F Cass. pen., sez. III, 28 febbraio 2013, n. 9585 (c.c. 17 gennaio 2013), Gjini. (c.p.p., art. 96; c.p.p., art. 123; c.p.p., art. 294). [RV254750] ■ Procedimento applicativo – Ordinanza del giudice – Requisiti. L’indicazione delle generalità complete dell’indagato nell’ordinanza cautelare è indispensabile - essendone sanzionata da nullità l’omissione - solo nel caso in cui si tratti di ordinanza adottata autonomamente, ex art. 291 c.p.p., e non anche nel caso in cui essa sia emessa dopo la convalida dell’arresto in flagranza dell’indagato ad opera della P.G., in quanto, in tal caso, l’identificazione è stata già compiuta, in maniera esauriente e completa, senza alcuna possibilità di errore sulla sua identità. F Cass. pen., sez. IV, 22 gennaio 2013, n. 3303 (c.c. 18 ottobre 2012), Manolache. (c.p.p., art. 291; c.p.p., art. 292; c.p.p., art. 391). [RV254960] ■ Procedimento applicativo – Ordinanza del giudice – Requisiti. In tema di misure coercitive, il tempo trascorso dalla commissione del reato non esclude automaticamente l’attualità e la concretezza delle condizioni di cui all’art. 274 comma primo, lett. c) c.p.p. (Nella fattispecie la Corte ha ritenuto congrua la motivazione della misura custodiale in quanto fondata sull’accertamento di plurimi episodi di spaccio di droga). F Cass. pen., sez. IV, 11 febbraio 2013, n. 6797 (c.c. 24 gennaio 2013), Canessa e altro. (c.p.p., art. 274). [RV254936] ■ Procedimento applicativo – Potere del g.i.p. di dare una diversa qualificazione giuridica al fatto – Sussistenza. In tema di misure cautelari personali, il giudice, pur essendo vincolato alla richiesta del pubblico ministero in ordine agli elementi di fatto che integrano la contestazione, può legittimamente modificare la definizione giuridica dell’addebito. (Fattispecie in cui il G.I.P., con valutazione confermata dal Tribunale del riesame, aveva riqualificato in termini di maltrattamenti in famiglia il fatto contestato dal pubblico ministero “sub specie” di tentata estorsione). F Cass. pen., sez. VI, 19 marzo 2013, n. 12828 (c.c. 14 febbraio 2013), P.. (c.p.p., art. 291). [RV254902] ■ Riparazione per l’ingiusta detenzione – Richiesta – Ricovero in casa di cura. È ammissibile la richiesta di riparazione per la ingiusta detenzione in relazione alla restrizione della libertà indebitamente sofferta per l’applicazione della misura di sicurezza del ricovero in una casa di cura. F Cass. pen., sez. IV, 8 marzo 2013, n. 11086 (c.c. 6 febbraio 2013), Di Riso. (c.p.p., art. 314; c.p., art. 222). [RV254938] 402 4/2014 Arch. nuova proc. pen. Misure cautelari reali ■ Impugnazioni – Ricorso per cassazione – Motivi. È ammissibile il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, pur consentito solo per violazione di legge, quando la motivazione del provvedimento impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perché sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l’”iter” logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato il provvedimento impugnato che, in ordine a contestazioni per i reati previsti dagli artt. 416, 323, 476, 483 e 353 c.p. con riguardo all’affidamento di incarichi di progettazione e direzione di lavori pubblici, non aveva specificato le violazioni riscontrate, ma aveva fatto ricorso ad espressioni ambigue, le quali, anche alla luce di quanto prospettato dalla difesa in sede di riesame, non erano idonee ad escludere che si fosse trattato di mere irregolarità amministrative). F Cass. pen., sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 6589 (c.c. 10 gennaio 2013), Gabriele. (c.p.p., art. 325; c.p., art. 323; c.p., art. 353; c.p., art. 476). [RV254893] ■ Impugnazioni – Ricorso per cassazione – Ordinanza del tribunale del riesame di revoca del sequestro conservativo. La parte civile è legittimata a proporre ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame che ha revocato il sequestro conservativo, derivando dal combinato disposto degli artt. 325, comma secondo e 318 c.p.p. la legittimazione a proporre richiesta di riesame o ricorso diretto in cassazione di chiunque vi abbia interesse. F Cass. pen., sez. V, 28 settembre 2012, n. 37655 (c.c. 17 aprile 2012), Cedis Spa ed altro. (c.p.p., art. 318; c.p.p., art. 324; c.p.p., art. 325). [RV254609] ■ Impugnazioni – Ricorso per cassazione – Ordinanza del tribunale del riesame di revoca del sequestro conservativo. Sussiste la legittimazione della parte civile ad impugnare, con ricorso per cassazione, l’ordinanza del Tribunale del riesame di revoca del sequestro conservativo, in quanto dal combinato disposto degli art. 325, comma secondo, e 318 c.p.p., che attribuisce la legittimazione a proporre richiesta di riesame avverso il provvedimento di sequestro conservativo a chiunque vi abbia interesse si desume che anche la parte civile può presentare direttamente ricorso per cassazione e, conseguentemente, che può pure proporre ricorso ex art. 325, comma primo, c.p.p.. F Cass. pen., sez. V, 30 gennaio 2013, n. 4622 (c.c. 7 novembre 2012), p.c. in proc. Dazzi. (c.p.p., art. 316; c.p.p., art. 318; c.p.p., art. 324; c.p.p., art. 325). [RV254645] ■ Impugnazioni – Ricorso per cassazione – Revoca del sequestro conservativo. La parte civile è legittimata a ricorrere avverso l’ordinanza con cui il Tribunale per il riesame ha provveduto alla revoca del sequestro conservativo disposto nel suo interesse. F Cass. pen., sez. V, 15 ottobre 2012, n. 40404 (c.c. 17 aprile 2012), P.C. in proc. Bosio (c.p.p., art. 316; c.p.p., art. 324; c.p.p., art. 325). [RV254552] ■ Impugnazioni – Riesame – Decisione È illegittimo il provvedimento di sequestro preventivo che prospetti ipotesi alternative sulla proprietà dei beni sottoposti a vincolo perché ciò comporta anche la impossibilità di individuare il soggetto nei cui confronti l’atto viene eseguito, e, quindi, il titolare del diritto alla restituzione, cui spetta la facoltà di proporre riesame. (Fattispecie relativa a sequestro di somme di denaro giacenti sul conto corrente intestato a Comune ma provento di attività criminosa, ex artt. 640, 323 e 353 c.p., perpetrata dal sindaco e dal direttore dell’ufficio tecnico). F Cass. pen., sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 6589 (c.c. 10 gennaio 2013), Gabriele. (c.p.p., art. 321). [RV254894] mas Ma s s i m a r i o ■ Impugnazioni – Sequestro probatorio – Indicazioni carenti. In tema di sequestro probatorio, l’eventuale incompletezza del provvedimento impugnato (nella specie, per la non compiuta indicazione delle esigenze probatorie) può essere sanata dal Tribunale del riesame, che ha l’obbligo di verificare l’effettiva sussistenza dei requisiti per la sua emissione e, in caso positivo, di procedere all’integrazione della motivazione carente. F Cass. pen., sez. VI, 6 febbraio 2013, n. 5906 (c.c. 22 gennaio 2013), P.M. in proc. Costanzo Zammataro. (c.p.p., art. 324). [RV254900] ■ Sequestro conservativo – Patteggiamento – Ordinanza di conversione del sequestro probatorio in conservativo. L’ordinanza con cui, all’esito del giudizio (nella specie di applicazione della pena), il sequestro probatorio è convertito in sequestro conservativo, è ricorribile per cassazione. F Cass. pen., sez. III, 22 gennaio 2013, n. 3265 (c.c. 29 novembre 2012), Boukhsibi. (c.p.p., art. 262; c.p.p., art. 586). [RV254683] ■ Sequestro conservativo – Revoca – Condizioni. Il sequestro conservativo, prima della definitività della sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, è suscettibile di revoca soltanto nel caso in cui venga offerta idonea cauzione e non anche per il venire meno dei presupposti che ne hanno legittimato l’adozione. F Cass. pen., sez. V, 15 ottobre 2012, n. 40407 (c.c. 17 aprile 2012), R.C. in proc. De Berardinis e altro. (c.p.p., art. 316; c.p.p., art. 317). [RV254631] ■ Sequestro preventivo – Confisca – Necessità. La confisca prevista dall’art. 12 sexies del d.l. 8 giugno 1992, n. 306 (conv. in legge 7 agosto 1992, n. 356) non deve essere necessariamente preceduta dal sequestro preventivo, trattandosi di una ipotesi di confisca obbligatoria. F Cass. pen., sez. III, 13 febbraio 2013, n. 7079 (c.c. 23 gennaio 2013), Buzi. (c.p.p., art. 321; d.l. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 sexies). [RV254751] ■ Sequestro preventivo – Oggetto – Confisca per equivalente. In tema di sequestro preventivo ai fini della confisca per equivalente, rientra tra i compiti del giudice del riesame l’onere di effettuare, sulla base dei dati disponibili, la valutazione relativa alla equivalenza tra il valore dei beni in sequestro e l’entità del profitto del reato. F Cass. pen., sez. III, 22 gennaio 2013, n. 3260 (c.c. 4 aprile 2012), P.M. in proc. Currò. (c.p., art. 322 ter; c.p.p., art. 321; c.p.p., art. 324). [RV254679] ■ Sequestro preventivo – Oggetto – Confisca per equivalente. In tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, il giudice che emette il provvedimento ablativo è tenuto soltanto ad indicare l’importo complessivo da sequestrare, mentre l’individuazione specifica dei beni da apprendere e la verifica della corrispondenza del loro valore al “quantum” indicato nel sequestro è riservata alla fase esecutiva demandata al pubblico ministero. (Fattispecie nella quale la S.C. ha annullato il provvedimento del tribunale del riesame, che aveva respinto l’appello del P.M. perché il decreto di sequestro non conteneva l’indicazione dei beni da assoggettare a vincolo al fine di verificarne la corrispondenza all’entità del profitto del reato). F Cass. pen., sez. III, 7 marzo 2013, n. 10567 (c.c. 12 luglio 2012), Falchero. (d.l.vo 10 marzo 2000, n. 74; c.p.p., art. 321; c.p., art. 322 ter; l. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1). [RV254918] ■ Sequestro preventivo – Oggetto – Confisca per equivalente. In tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto del reato (nella specie, di omesso versamento di ritenute certificate), il soggetto destinatario del provvedimento ablativo, nel caso di sproporzione tra il valore economico dei beni da confiscare indicato nel decreto di sequestro e l’ammontare delle cose sottoposte a vincolo, può contestare tale eccedenza al fine di ottenere una riduzione della garanzia, presentando apposita richiesta al P.M., al gip, ovvero appello al tribunale del riesame. F Cass. pen., sez. III, 7 marzo 2013, n. 10567 (c.c. 12 luglio 2012), Falchero. (c.p., art. 322 ter; c.p.p., art. 321; d.l.vo 10 marzo 2000, n. 74; l. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1). [RV254919] ■ Sequestro preventivo – Oggetto – Sequestro funzionale alla confisca per equivalente. Ai fini del sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente “ex” art. 322 ter, c.p., il profitto confiscabile al corruttore va identificato nel solo incremento di valore che il bene abbia ricevuto per effetto dell’attività corruttiva. Ne consegue che il giudice deve prima stabilire il valore dell’incremento del bene e, successivamente, disporre il vincolo cautelare nei limiti del valore corrispondente all’incremento stesso. F Cass. pen., sez. VI, 22 gennaio 2013, n. 3253 (c.c. 5 luglio 2012), P.M. in proc. Zaffagnini e altri. (c.p.p., art. 321; c.p., art. 319; c.p., art. 332 ter). [RV254684] ■ Sequestro preventivo – Perdita di efficacia – Sentenza di condanna non irrevocabile. In tema di misure cautelari reali, quando sia intervenuta una sentenza non irrevocabile di condanna deve escludersi l’esecutività immediata dei provvedimenti restitutori dei beni sottoposti a sequestro preventivo anche nell’ipotesi in cui non ne sia stata disposta la confisca, potendo quest’ultima intervenire nel successivo grado di giudizio di merito e, ricorrendo l’ipotesi di confisca obbligatoria, anche in sede esecutiva. (Fattispecie relativa ad una sentenza di condanna intervenuta in primo grado per i reati di spaccio di droga, in cui non era stata disposta la confisca obbligatoria di beni, sequestrati ex art. 12 sexies d.l. n. 306 del 1992, conv. in l. 356 del 1992). F Cass. pen., sez. I, 21 febbraio 2013, n. 8533 (c.c. 9 gennaio 2013), Zhugri. (c.p.p., art. 321; c.p.p., art. 323; d.l. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 sexies). [RV254927] ■ Sequestro preventivo – Principi di proporzionalità e adeguatezza – Applicazione. I principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità, dettati dall’art. 275 c.p.p. per le misure cautelari personali, sono applicabili anche alle misure cautelari reali, dovendo il giudice motivare adeguatamente sulla impossibilità di conseguire il medesimo risultato attraverso altri e meno invasivi strumenti cautelari. (Fattispecie di sequestro preventivo di bene immobile comportante la privazione in capo al possessore della disponibilità dello stesso pur a fronte della sola ritenuta esigenza di evitarne la circolazione). F Cass. pen., sez. V, 20 febbraio 2013, n. 8382 (c.c. 16 gennaio 2013), Caruso. (c.p.p., art. 275; c.p.p., art. 321). [RV254712] ■ Sequestro preventivo – Provvedimento del p.m. di rigetto – Annullamento della corte di cassazione. In caso di annullamento senza rinvio del provvedimento con cui il P.M. rigetti la richiesta di revoca del sequestro preventivo, la Corte di cassazione trasmette gli atti direttamente al giudice per le indagini preliminari e non già allo stesso P.M.. F Cass. pen., sez. III, 23 gennaio 2013, n. 3449 (c.c. 20 novembre 2012), Torroni. (c.p.p., art. 321; c.p.p., art. 620). [RV254711] ■ Sequestro preventivo – Richiesta di revoca – Provvedimento del p.m. di rigetto. È abnorme, e pertanto ricorribile per cassazione, il provvedimento con cui il P.M., in luogo di trasmettere al Gip, con le proprie valutazioni negative, la richiesta di revoca di sequestro preventivo, proceda a rigettarla direttamente. F Cass. pen., sez. III, 23 gennaio 2013, n. 3449 (c.c. 20 novembre 2012), Torroni. (c.p.p., art. 321). [RV254710] Misure di prevenzione ■ Appartenenti ad associazioni mafiose – Sorveglianza speciale – Assoluzione in appello dal delitto associativo. In tema di misure di prevenzione nei confronti di indiziati di appartenenza ad associazioni mafiose, è illegittimo, per essere la Arch. nuova proc. pen. 4/2014 403 mas Ma s s i m a r i o motivazione meramente apparente, il decreto con cui il giudice di appello confermi la misura della sorveglianza speciale nei confronti del preposto, sulla scia di una sentenza di condanna di primo grado per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p., senza tenere in conto alcuno la sentenza di assoluzione intervenuta in appello. F Cass. pen., sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 6588 (c.c. 10 gennaio 2013), Facchineri. (c.p., art. 416 bis; c.p.p., art. 125; l. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 4; l. 31 maggio 1965, n. 575, art. 2 ter). [RV254574] ■ Procedimento – Richiesta dell’interessato di presenziare all’udienza – Istanza del difensore. Nel procedimento di sorveglianza, la richiesta dell’interessato di presenziare all’udienza è atto formale che deve provenire direttamente da questi e non può ritenersi implicita nella istanza del difensore con la quale si chiede di autorizzare il condannato, ai sensi dell’art. 22 disp. att. c.p.p., ad allontanarsi dal domicilio. F Cass. pen., sez. I, 31 gennaio 2013, n. 4896 (c.c. 30 novembre 2012), Modou. (c.p.p., art. 666; c.p.p., art. 678). [RV254603] ■ Revoca e modifica – Opposizione a confisca – Terzi interessati. In tema di procedimento di prevenzione, è inammissibile il ricorso per cassazione presentato personalmente dal terzo interessato avverso il decreto che dispone la misura patrimoniale della confisca, avendo costui, in quanto portatore di interessi civilistici, un onere di patrocinio, che é soddisfatto solo attraverso il conferimento di procura alle liti al difensore. F Cass. pen., sez. VI, 15 febbraio 2013, n. 7510 (c.c. 23 ottobre 2012), Esposito e altro. (c.p.p., art. 100; c.p.c., art. 83). [RV254580] Misure di sicurezza ■ Patrimoniali – Confisca – Beni acquisiti in epoca precedente all’entrata in vigore della legge. L’ipotesi di confisca prevista dall’art. 12 sexies d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356, può essere disposta anche in relazione a cespiti acquisiti in epoca anteriore all’entrata in vigore delle disposizioni che l’hanno istituita, in quanto il principio di irretroattività opera solo con riguardo alle confische aventi sicura natura sanzionatoria e non anche in relazione alle misure di sicurezza, tra cui va ricompresa la confisca in questione. F Cass. pen., sez. VI, 7 marzo 2013, n. 10887 (ud. 11 ottobre 2012), Alfiero e altri. (d.l. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 sexies; c.p.p., art. 493). [RV254786] 404 Notificazioni in materia penale ■ A persona diversa dall’imputato – Difensore – Abbandono della difesa da parte dei difensori di fiducia. È legittima la notificazione all’imputato dell’estratto contumaciale della sentenza, eseguita presso il difensore nominato d’ufficio in sostituzione di quelli di fiducia che il giudice aveva motivatamente ritenuto aver abbandonato la difesa per mancato svolgimento di qualsiasi attività defensionale. F Cass. pen., sez. I, 31 gennaio 2013, n. 4928 (c.c. 19 dicembre 2012), Falanga. (c.p.p., art. 97; c.p.p., art. 161). [RV254606] ■ A persona diversa dall’imputato – Imputato interdetto o infermo di mente – Notificazione presso il tutore. La previsione che le notificazioni all’imputato interdetto o infermo di mente si eseguano presso il tutore non si applica nella ipotesi di imputato al quale sia stata inflitta la pena accessoria della interdizione legale. F Cass. pen., sez. V, 28 settembre 2012, n. 37673 (c.c. 5 luglio 2012), Flachi. (c.p.p., art. 166; c.p., art. 32). [RV254696] ■ All’imputato non detenuto – Decreto di citazione a giudizio – Lettura in udienza al difensore dell’imputato. È affetta da nullità assoluta ed insanabile la notifica del decreto di citazione a giudizio dell’imputato avvenuta in udienza mediante lettura dell’atto al sostituto processuale del difensore, non potendo trovare applicazione il principio di equipollenza della lettura alle notificazioni previsto dall’art. 148, comma quinto, c.p.p., che riguarda unicamente “i provvedimenti” e “gli avvisi dati dal giudice verbalmente” e non anche gli atti processuali che devono essere necessariamente consegnati al destinatario. F Cass. pen., sez. III, 4 aprile 2013, n. 15624 (ud. 6 febbraio 2013), Fornelli (c.p.p., art. 148; c.p.p., art. 157; c.p.p., art. 161; c.p.p., art. 178). [RV255027] ■ All’imputato non detenuto – Domicilio dichiarato o eletto – Elezione di domicilio contenuta nell’istanza di ammissione al patrocinio dello stato. L’elezione di domicilio effettuata con l’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato opera anche nel procedimento principale in relazione al quale il beneficio è richiesto. F Cass. pen., sez. III, 27 marzo 2013, n. 14416 (ud. 19 febbraio 2013), El Hairi (c.p.p., art. 161; d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, art. 78; d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, art. 79). [RV255029] ■ Patrimoniali – Confisca – Denaro sequestrato alle prostitute. In tema di sfruttamento della prostituzione solo la porzione di denaro consegnata allo sfruttatore o al favoreggiatore è confiscabile obbligatoriamente quale prezzo del reato con la sentenza di condanna o di patteggiamento, mentre devono essere restituite le somme percepite dalle prostitute che sono qualificabili come provento del reato. F Cass. pen., sez. III, 25 febbraio 2013, n. 9032 (c.c. 3 ottobre 2012), Dong. (c.p., art. 240; l. 20 febbraio 1958, n. 75, art. 3; c.p.p., art. 444). [RV254738] ■ All’imputato non detenuto – Domicilio dichiarato o eletto – Mutamento. In tema di notificazioni, la dichiarazione di domicilio prevale su una precedente elezione di domicilio, a meno che l’imputato non manifesti, in modo espresso od implicito, la volontà di mantenere quale luogo dove ricevere le notificazioni a lui dirette il domicilio eletto. F Cass. pen., sez. V, 11 marzo 2013, n. 11261 (ud. 13 febbraio 2013), Costa (c.p.p., art. 161; c.p.p., art. 162; c.p.p., art. 164). [RV254555] ■ Patrimoniali – Confisca per equivalente – Revoca e restituzione dei beni in sede esecutiva. La confisca per equivalente disposta con sentenza divenuta definitiva non può essere revocata in sede esecutiva, né il sopravvenuto fallimento della società a cui i beni erano stati confiscati, può essere considerato “caso eccezionale” o “fatto nuovo” rivalutabile dal giudice dell’esecuzione ed idoneo alla rimozione del provvedimento ablativo. (Fattispecie in cui la Suprema Corte, in applicazione del suddetto principio di diritto, ha ritenuto la nullità del provvedimento con cui il giudice dell’esecuzione aveva disposto la restituzione parziale dei beni in favore della curatela della società fallita). F Cass. pen., sez. I, 30 gennaio 2013, n. 4702 (c.c. 22 ottobre 2012), P.M. in proc. Colonna e altri. (c.p., art. 322 ter; c.p., art. 640 quater; c.p.p., art. 666; c.p.p., art. 676). [RV254565] ■ All’imputato non detenuto – Domicilio dichiarato o eletto – Mutamento. È valida l’elezione di domicilio contenuta nel corpo dell’atto di impugnazione sottoscritto e presentato personalmente dall’interessato al pubblico ufficiale preposto a riceverlo, il quale vi apponga e sottoscriva, a sua volta, l’attestazione di avvenuta presentazione, necessariamente riferibile all’atto nella sua interezza, con la conseguenza che è viziata da nullità assoluta la notificazione di tutti gli atti successivi presso altro domicilio. (Fattispecie relativa ad elezione di domicilio contenuta nella procura speciale al difensore incaricato per la presentazione dell’appello, apposta in calce all’atto di impugnazione e richiamata nell’intestazione di questo). F Cass. pen., sez. VI, 19 marzo 2013, n. 12821 (ud. 11 marzo 2013), Adami e altri. (c.p.p., art. 162). [RV254908] 4/2014 Arch. nuova proc. pen. mas Ma s s i m a r i o ■ All’imputato non detenuto – Domicilio dichiarato o eletto – Successiva modifica della dimora. È valida la notificazione all’imputato effettuata presso il domicilio eletto a mani di persona capace e convivente (nella specie, il cugino) a nulla rilevando, in assenza di comunicazione della variazione di domicilio, il mutamento di dimora frattanto intervenuto, dovendo il rapporto di convivenza con i familiari intendersi come basato, più che sulla continuità della coabitazione, sulla persistenza dei vincoli che legano tra loro i membri di una stessa famiglia, che non cessano a causa del temporaneo allontanamento di uno di essi. F Cass. pen., sez. II, 1 marzo 2013, n. 9776 (c.c. 22 novembre 2012), El Badaoui. (c.p.p., art. 157; c.p.p., art. 161; c.p.p., art. 162). [RV254824] ■ All’imputato non detenuto – Domicilio dichiarato o eletto – Trasferimento del domiciliatario. In tema di notificazioni, poiché l’elezione di domicilio pone, a carico di chi la effettui, l’onere di verificare che il soggetto indicato come domiciliatario sia effettivamente reperibile nel luogo indicato e di comunicare non solo ogni variazione del domicilio ma anche la sua invalidità sopravvenuta, deve ritenersi regolarmente effettuata la notificazione mediante consegna a persona dichiaratasi convivente dell’imputato nel domicilio eletto anche se l’imputato, “ab origine”, risiedeva altrove, senza che di ciò avesse dato comunicazione all’Ufficio. F Cass. pen., sez. II, 1 marzo 2013, n. 9776 (c.c. 22 novembre 2012), El Badaoui. (c.p.p., art. 161). [RV254825] ■ All’imputato non detenuto – Notifica mediante consegna al difensore di fiducia – Ambito di applicabilità. Per “prima notificazione” a seguito della quale può procedersi a notificare mediante consegna al difensore di fiducia ai sensi dell’art. 157, comma ottavo bis, c.p.p., deve intendersi solo quella relativa al primo atto del procedimento, e non anche quella relativa al primo atto di ogni grado di giudizio. (In applicazione del principio la Corte ha ritenuto legittimamente eseguita, con le modalità suddette, la notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello). F Cass. pen., sez. V, 21 marzo 2013, n. 13310 (ud. 14 febbraio 2013), L. (c.p.p., art. 157). [RV254982] ■ All’imputato non detenuto – Persona presente nell’abitazione – Convivenza temporanea. In materia di notificazione all’imputato non detenuto, ai fini dell’applicazione dell’art. 157 c.p.p., per familiari conviventi devono intendersi non soltanto le persone che vivono stabilmente con il destinatario dell’atto e che anagraficamente facciano parte della sua famiglia, ma anche quelle che, per altri motivi, si trovino al momento della notificazione nella casa di abitazione del medesimo, purché le stesse, per la qualifica declinata all’ufficiale giudiziario, rappresentino a quest’ultimo una situazione di convivenza, sia pure di carattere meramente temporaneo, che legittima nell’agente notificatore il ragionevole affidamento che l’atto perverrà all’interessato. F Cass. pen., sez. IV, 27 febbraio 2013, n. 9499 (ud. 5 febbraio 2013), Petronelli. (c.p.p., art. 157). [RV254758] ■ Forme particolari – Notificazione al difensore trasmessa via fax – Mancata attestazione in calce all’atto trasmesso della conformità all’originale. In tema di notificazioni al difensore, la violazione dell’art. 148, comma secondo bis, c.p.p. - che prevede, nel caso di utilizzo di mezzi tecnici idonei (nella specie, il fax), l’attestazione, in calce all’atto inviato, dell’avvenuta trasmissione del testo originale non determina alcuna nullità, ma costituisce mera irregolarità. F Cass. pen., sez. II, 11 marzo 2013, n. 11277 (ud. 6 dicembre 2012), Simionato e altro. (c.p.p., art. 148; c.p.p., art. 606). [RV254874] Nullità nel processo penale ■ Nullità assoluta – Nullità a regime intermedio – Fattispecie. Qualora il decreto che dispone il giudizio destinato all’imputato venga per errore notificato presso lo studio del difensore di fiducia invece che al domicilio validamente, eletto sussiste una nullità non assoluta, ma a regime intermedio, come tale deducibile a pena di decadenza nei termini previsti dall’art. 491 c.p.p., in quanto l’atto deve ritenersi comunque giunto a conoscenza dell’interessato. (Fattispecie in cui il difensore di ufficio, nominato a norma dell’art. 97, comma quarto, c.p.p. in sostituzione di quello che aveva ricevuto l’atto a mezzo fax, non aveva formulato osservazioni sulla regolarità delle notificazioni o sulla dichiarazione di contumacia dell’imputato). F Cass. pen., sez. II, 11 marzo 2013, n. 11277 (ud. 6 dicembre 2012), Simionato e altro. (c.p.p., art. 97; c.p.p., art. 148; c.p.p., art. 179; c.p.p., art. 491). [RV254873] ■ Nullità relativa – Deducibilità – Omesso avviso all’indagato della facoltà di farsi assistere da un difensore. La nullità derivante dall’omesso avviso all’indagato, da parte della polizia giudiziaria, della facoltà di farsi assistere dal difensore, ha natura intermedia e deve ritenersi sanata se non dedotta prima, ovvero immediatamente dopo il compimento dell’atto; peraltro, detto termine non è posto in relazione alla necessaria effettuazione di un successivo atto cui intervenga la parte o il difensore, ben potendo la relativa eccezione essere proposta al di fuori di specifici atti, mediante lo strumento delle ‘memorie e richieste’ che, ex art. 121 c.p.p., possono essere inoltrate in ogni stato e grado del procedimento. (Nella specie trattasi di nullità derivante da omesso avviso all’indagato della facoltà di farsi assistere dal difensore in sede di alcooltest). F Cass. pen., sez. IV, 15 novembre 2012, n. 44840 (ud. 11 ottobre 2012), P.G. in proc. Tedeschi. (c.p.p., art. 178; c.p.p., art. 180; c.p.p., art. 182; c.p.p., art. 354). [RV254959] ■ Nullità relativa – Sentenza d’appello – Mancata sottoscrizione da parte del presidente del collegio. La mancata sottoscrizione della sentenza d’appello da parte del presidente del collegio non giustificata espressamente da un suo impedimento legittimo e sottoscritta dal solo estensore configura una nullità relativa che non incide né sul giudizio né sulla decisione consacrata nel dispositivo, e che, ove dedotta dalla parte nel ricorso per cassazione, comporta l’annullamento della sentenza-documento e la restituzione degli atti al giudice di appello, nella fase successiva alla deliberazione, affinché si provveda ad una nuova redazione della sentenza-documento che, sottoscritta dal presidente e dall’estensore, deve essere nuovamente depositata, con l’effetto che i termini di impugnazione decorreranno, ai sensi dell’art. 585 c.p.p., dalla notificazione e comunicazione dell’avviso di deposito della stessa sentenza. (Nella specie la S.C. ha escluso che la mancata sottoscrizione da parte del presidente del collegio comporti una mera irregolarità rimediabile con il procedimento di correzione dell’errore materiale oppure una nullità riguardante l’intero giudizio con conseguente necessità di rinnovazione dello stesso o, infine, l’inesistenza della sentenza). F Cass. pen., sez. un., 29 marzo 2013, n. 14978 (ud. 20 dicembre 2012), R.D.. (c.p.p., art. 181; c.p.p., art. 546; c.p.p., art. 585). [RV254671] Parte civile ■ Costituzione – Associazione per delinquere – Comune. In materia di reati associativi, il Comune nel cui territorio l’associazione a delinquere si è insediata ed ha operato ha titolo alla costituzione di parte civile in relazione al danno che la presenza dell’associazione stessa ha arrecato all’immagine della città, allo sviluppo turistico ed alle attività produttive ad esso collegate. F Cass. pen., sez. II, 4 gennaio 2013, n. 150 (ud. 18 ottobre 2012), Andreicik e altri. (c.p.p., art. 74; c.p., art. 416 bis). [RV254675] Pena ■ Estinzione (Cause di) – Indulto – Concorso di reati alcuni dei quali insuscettibili di condono. In tema di indulto, la regola stabilita nell’art. 174, comma secondo, c.p.- secondo la quale, nel concorso di reati, l’indulto si applica una volta sola, dopo cumulate le pene, secondo le norArch. nuova proc. pen. 4/2014 405 mas Ma s s i m a r i o me concernenti il concorso di reati - opera solo alla condizione che tutte le pene siano condonabili, per cui, ove tale situazione non ricorra, bisogna separare le pene condonabili da quelle non condonabili e, quindi, unificare queste ultime con la parte delle prime che sia eventualmente residuata dopo l’applicazione del beneficio indulgenziale e, infine, se del caso, operare la riduzione prevista dall’art. 78 c.p.. F Cass. pen., sez. I, 21 febbraio 2013, n. 8552 (c.c. 23 gennaio 2013), P.G. in proc. Piccolo. (c.p., art. 78; c.p., art. 174; c.p.p., art. 663). [RV254929] ■ Estinzione (Cause di) – Indulto – Istanza che ripropone altra precedente già rigettata. In tema di richiesta di applicazione dell’indulto è ammissibile l’istanza presentata al giudice della esecuzione che, pur prospettando questioni identiche a quelle oggetto di istanza già rigettata, le fondi su elementi diversi da quelli già considerati e dei quali non si è tenuto conto ai fini della precedente decisione. F Cass. pen., sez. I, 8 febbraio 2013, n. 6323 (c.c. 11 gennaio 2013), Bandiera. (c.p.p., art. 666; l. 31 luglio 2006, n. 241, art. 1). [RV254953] ■ Pene accessorie – Interdizione dai pubblici uffici – Ricorso per cassazione per omessa applicazione di pena accessoria predeterminata per legge. La pena accessoria predeterminata per legge può essere applicata a seguito di ricorso per cassazione avverso la sentenza di condanna o di patteggiamento che abbia omesso di disporne l’applicazione. F Cass. pen., sez. I, 18 febbraio 2013, n. 7909 (ud. 22 gennaio 2013), P.G. in proc. Imberbe. (c.p., art. 29; c.p.p., art. 606). [RV254916] ■ Sospensione condizionale – Subordinazione alla demolizione delle opere edilizie abusive – Mancata apposizione di un termine. Il termine per adempiere all’obbligo di demolizione del manufatto abusivo, cui sia stato subordinato il beneficio della sospensione condizionale della pena, nel caso in cui il giudice abbia omesso di provvedere alla sua indicazione, è quello di giorni novanta dal passaggio in giudicato della sentenza, desumibile dai parametri della disciplina urbanistica prevista dall’art. 31 del d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380. F Cass. pen., sez. III, 7 marzo 2013, n. 10581 (c.c. 6 febbraio 2013), Lombardo. (d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44; c.p., art. 163; c.p., art. 165; c.p.p., art. 674). [RV254757] Prova penale ■ Disposizioni generali – Fallimento della prova d’alibi – Valutazione. Il fallimento della prova d’alibi costituisce un indizio di reità che confluisce, unitamente a tutti gli altri, nella valutazione globale e senza che occorra un più intenso livello di persuasività, essendo sufficiente che converga con gli altri a costituire un quadro di gravità indiziaria seria ed univoca. F Cass. pen., sez. I, 4 dicembre 2012, n. 46797 (ud. 6 novembre 2012), Pandaj. (c.p.p., art. 192). [RV254558] 406 e sostanziali asimmetrie in ordine alla valutazione della prova che caratterizzano i due diversi ordinamenti processuali. F Cass. pen., sez. V, 25 marzo 2013, n. 14042 (ud. 4 marzo 2013), Simona ed altri (c.p.p., art. 238 bis). [RV254981] ■ Documenti e scritture – Verbali di prove di altri procedimenti – Prove assunte nell’incidente probatorio con la partecipazione del difensore. È legittima l’acquisizione e l’utilizzazione dei verbali dell’incidente probatorio formati in altro procedimento a carico dello stesso imputato con la partecipazione del suo difensore. F Cass. pen., sez. V, 21 marzo 2013, n. 13277 (ud. 17 gennaio 2013), Sanna. (c.p.p., art. 238; c.p.p., art. 392; c.p.p., art. 403). [RV254840] ■ Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni – Accesso ai file audio – Presupposti. In tema di misure cautelari, è presupposto necessario per l’esercizio del diritto di accesso ai file audio contenenti le registrazioni delle intercettazioni telefoniche l’utilizzo effettivo delle conversazioni captate nel provvedimento limitativo della libertà professionale. (Fattispecie nella quale la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso con cui è stata dedotta la nullità dell’interrogatorio di garanzia per mancata consegna dei file contenenti il traffico intercettato non essendo stato dimostrato il loro utilizzo ai fini cautelari). F Cass. pen., sez. III, 31 gennaio 2013, n. 4865 (c.c. 13 dicembre 2012), Tarantino e altri. (c.p.p., art. 116; c.p.p., art. 178; c.p.p., art. 266; c.p.p., art. 268). [RV254744] ■ Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni – Comunicazioni tra presenti – Luogo di privata dimora – Abitacolo di un autoveicolo – Esclusione. In tema di intercettazioni ambientali, l’abitacolo di un autoveicolo non può essere considerato luogo di privata dimora, sì che, in tal caso, non può trovare applicazione il disposto di cui all’art. 266, comma secondo, c.p.p.. F Cass. pen., sez. V, 20 febbraio 2013, n. 8365 (ud. 18 gennaio 2013), Girasole e altri (c.p.p., art. 266; c.p.p., art. 267; c.p.p., art. 271). [RV254657] ■ Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni – Mancato inserimento nel fascicolo del dibattimento dei decreti autorizzativi – Inutilizzabilità delle intercettazioni. In materia di intercettazioni telefoniche, i relativi decreti autorizzativi non rientrano tra gli atti che devono essere inseriti nel fascicolo per il dibattimento, sicché il loro mancato inserimento nello stesso non determina alcuna inutilizzabilità o nullità degli esiti delle intercettazioni. F Cass. pen., sez. V, 23 novembre 2012, n. 45853 (ud. 10 ottobre 2012), Mancini. (c.p.p., art. 191; c.p.p., art. 267; c.p.p., art. 271; c.p.p., art. 431). [RV254834] ■ Disposizioni generali – Revoca di prove ammesso – Nel giudizio di appello. È legittima la revoca da parte del giudice dell’appello di una prova precedentemente ammessa e motivata in relazione alla ritenuta sopravvenuta superfluità della medesima in ragione dell’esito dell’assunzione delle altre prove per le quali era stata disposta la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale. F Cass. pen., sez. V, 21 marzo 2013, n. 13277 (ud. 17 gennaio 2013), Sanna. (c.p.p., art. 495; c.p.p., art. 603). [RV254839] ■ Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni – Prova del contenuto delle intercettazioni – Trascrizione. In tema di intercettazioni telefoniche, il contenuto delle conversazioni intercettate può essere provato anche mediante deposizione testimoniale, non essendo necessaria la trascrizione delle registrazioni nelle forme della perizia, atteso che la prova è costituita dalla bobina o dalla cassetta, che l’art. 271, comma primo, c.p.p. non richiama la previsione dell’art. 268, comma settimo, c.p.p. tra le disposizioni la cui inosservanza determina l’inutilizzabilità e che la mancata trascrizione non è espressamente prevista né come causa di nullità, né è riconducibile alle ipotesi di nullità di ordine generale tipizzate dall’art. 178 c.p.p.. F Cass. pen., sez. II, 22 marzo 2013, n. 13463 (ud. 26 febbraio 2013), P.G. in proc. Lagano e altri. (c.p.p., art. 178; c.p.p., art. 268; c.p.p., art. 271). [RV254910] ■ Documenti e scritture – Sentenze civili irrevocabili – Acquisibilità. L’acquisibilità delle sentenze divenute irrevocabili ai fini della prova dei fatti in esse accertati riguarda esclusivamente le sentenze pronunziate in altro procedimento penale e non anche quelle pronunziate in un procedimento civile, attese le evidenti ■ Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni – Riconducibilità ad essa della registrazione fonografica di colloquio ad opera di un partecipe – Esclusione. Non è riconducibile alla nozione di intercettazione la registrazione fonografica di un colloquio svoltosi tra presenti o mediante strumenti di trasmissione, operata, sebbene clandestinamente, 4/2014 Arch. nuova proc. pen. mas Ma s s i m a r i o da un soggetto che ne sia partecipe o, comunque, sia ammesso ad assistervi, costituendo, invece, una forma di memorizzazione fonica di un fatto storico, della quale l’autore può disporre legittimamente, anche a fini di prova. (La Corte ha specificato che tale principio non viene meno per la circostanza che l’autore della registrazione abbia previamente denunciato fatti di cui sia vittima, né può ritenersi che per ciò solo le successive registrazioni realizzate dal denunciante con il proprio cellulare fossero state concordate con la polizia giudiziaria). F Cass. pen., sez. I, 8 febbraio 2013, n. 6339 (c.c. 22 gennaio 2013), Pagliaro. (c.p.p., art. 234; c.p.p., art. 266; c.p.p., art. 267; c.p.p., art. 268). [RV254814] ■ Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni – Utilizzazione – Comunicazioni di un parlamentare. In tema di intercettazioni telefoniche, in assenza di autorizzazione della Camera di appartenenza, non può escludersi l’utilizzabilità nei confronti del terzo delle conversazioni captate sull’utenza nella sua disponibilità cui abbia preso parte casualmente un parlamentare, anche dopo che quest’ultimo sia stato identificato come interlocutore del soggetto intercettato, salvo che si accerti che le stesse erano finalizzate ad intercettare indirettamente il parlamentare. F Cass. pen., sez. II, 22 febbraio 2013, n. 8739 (c.c. 16 novembre 2012), P.M. in proc. La Monica (c.p.p., art. 121; c.p.p., art. 266; l. 20 giugno 2003, n. 140, art. 4; l. 20 giugno 2003, n. 140, art. 6). [RV254548] ■ Perizia – Saggi grafici – Raccolta. Il rilascio di saggio grafico non può essere equiparato alle dichiarazioni autoindizianti la cui inutilizzabilità in caso di violazione delle prescrizioni è prevista dall’art. 63 c.p.p. e, pertanto, non è affetto da nullità il provvedimento con cui il giudice disponga la raccolta di essi, al fine di sottoporli al perito quali scritture di comparazione senza averne dato avviso alle parti ed in mancanza dell’intervento dei difensori. F Cass. pen., sez. II, 11 aprile 2013, n. 16400 (ud. 7 marzo 2013), Guadagni. (c.p.p., art. 63; c.p.p., art. 224; c.p.p., art. 225; c.p.p., art. 228). [RV254886] ■ Sequestri – Decreto – Richiesta di riesame. In tema di sequestro preventivo, i documenti favorevoli all’indagato che debbono essere trasmessi dall’autorità procedente al Gip ed al Tribunale del riesame per la decisione, concernono elementi fattuali di natura oggettiva - idonei a contrastare concretamente, vanificando o attenuando, gli elementi posti a fondamento della misura cautelare - tra i quali non rientra la consulenza tecnica di parte, la quale può, comunque, ex art. 324 e 309, comma nono, c.p.p., essere prodotta direttamente dalla parte dinanzi al Tribunale. F Cass. pen., sez. V, 5 febbraio 2013, n. 5795 (c.c. 5 dicembre 2012), Grosso. (c.p.p., art. 309; c.p.p., art. 321; c.p.p., art. 324). [RV254646] ■ Sequestri – Sequestro di cose soggette a confisca obbligatoria – Richiesta di restituzione da parte del terzo – Onere probatorio – Necessità – Fattispecie in tema di sequestro di veicolo utilizzato per il trasporto illecito di rifiuti. In tema di sequestro di cose pertinenti al reato che ne renda obbligatoria la successiva confisca (nella specie, veicolo adoperato per il trasporto di rifiuti pericolosi senza autorizzazione), il terzo che invochi la restituzione delle cose sequestrate qualificandosi come proprietario o titolare di altro diritto reale è tenuto a provare i fatti costitutivi della sua pretesa e, in particolare, oltre alla titolarità del diritto vantato, anche l’estraneità al reato e la buona fede, intesa come assenza di condizioni in grado di configurare a suo carico un qualsivoglia addebito di negligenza da cui sia derivata la possibilità dell’uso illecito del bene. F Cass. pen., sez. III, 28 febbraio 2013, n. 9579 (c.c. 17 gennaio 2013), Longo (c.p., art. 240; c.p.p., art. 253; c.p.p., art. 262; c.p.p., art. 263). [RV254749] ■ Testimoni – Incompatibilità – Consulente tecnico del p.m.. Il consulente tecnico nominato dal P.M., in sede di indagini preliminari, e da questi non inserito nella propria lista testimoniale, può essere indicato, in assenza di specifiche disposizioni che limitino il potere dispositivo delle parti in materia di prova, nella lista testimoniale dell’imputato e, pertanto, da questi chiamato a deporre, considerato che egli non è compreso tra i soggetti che, ex art. 197 c.p.p., non possono essere assunti come testimoni né riveste la qualità di ausiliario in senso tecnico, riservata al personale appartenente alla segreteria o cancelleria dell’ufficio. F Cass. pen., sez. IV, 22 gennaio 2013, n. 3277 (ud. 16 ottobre 2012), Manna e altri (c.p.p., art. 197). [RV255009] Rapporti giurisdizionali con straniere in materia penale autorità ■ Estradizione – Procedimento – Decisione. In tema di estradizione per l’estero, il divieto di pronuncia favorevole contemplato dall’art. 705, comma secondo, lett. c), c.p.p., opera esclusivamente nelle ipotesi in cui sia riscontrabile una situazione allarmante riferibile ad una scelta normativa o di fatto dello Stato richiedente, a prescindere da contingenze estranee ad orientamenti istituzionali e rispetto alle quali sia comunque possibile attivare una tutela legale. (Fattispecie relativa ad una richiesta di estradizione avanzata dalla Repubblica Araba d’Egitto per una persona appartenente alla minoranza religiosa copta, in cui la S.C. ha annullato con rinvio la sentenza impugnata ritenendo opportuno un approfondimento istruttorio circa la specifica rilevanza delle vicende inerenti all’attuale contesto politico-istituzionale). F Cass. pen., sez. VI, 7 marzo 2013, n. 10905 (c.c. 6 marzo 2013), Bishara Meged. (c.p.p., art. 698; c.p.p., art. 705). [RV254768] ■ Estradizione – Procedimento – Modalità di inoltro della domanda. In tema di estradizione per l’estero deve escludersi che le modalità di inoltro della domanda impongano il ricorso a particolari formalità, essendo sufficiente la riconducibilità certa della domanda stessa allo Stato estero richiedente. (Nella specie, la Corte ha ritenuto idonea la richiesta composta da alcune pagine dattiloscritte trasmesse via fax, corredata da documenti contenuti in un plico con sigillo ufficiale del Dipartimento dello Stato estero). F Cass. pen., sez. VI, 5 aprile 2013, n. 15927 (c.c. 28 marzo 2013), D’Angelantonio. (c.p.p., art. 700). [RV254817] ■ Estradizione – Requisito della doppia incriminabilità – Corrispondenza fra lo schema della norma incriminatrice straniera ed una analoga norma italiana. Ai fini della concedibilità dell’estradizione per l’estero, per soddisfare il requisito della doppia incriminabilità, di cui all’art. 13, secondo comma, c.p., non è necessario che lo schema astratto della norma incriminatrice dell’ordinamento straniero trovi il suo esatto corrispondente in una norma del nostro ordinamento, ma è sufficiente che lo stesso fatto sia previsto come reato da entrambi gli ordinamenti, a nulla rilevando l’eventuale diversità del titolo e la difformità del trattamento sanzionatorio. (Nella specie la Corte di merito aveva ritenuto irrilevante la circostanza che talune condotte oggetto dei reati ipotizzati dallo Stato estero non integrassero uno specifico reato per l’ordinamento italiano ma solo segmenti della truffa perpetrata ai danni della J.P. Morgan Bank). F Cass. pen., sez. VI, 5 aprile 2013, n. 15927 (c.c. 28 marzo 2013), D’Angelantonio. (c.p.p., art. 697; c.p.p., art. 698; c.p., art. 13). [RV254818] ■ Mandato di arresto europeo – Consegna per l’estero – Giudice che procede all’udienza di convalida dell’arresto. In tema di mandato di arresto europeo, il giudice che procede alla convalida dell’arresto ai sensi dell’art. 13 legge n. 69 del 2005 non è incompatibile allo svolgimento dell’udienza camerale con cui la Corte di appello decide sulla richiesta di consegna. F Cass. Arch. nuova proc. pen. 4/2014 407 mas Ma s s i m a r i o pen., sez. VI, 27 marzo 2013, n. 14462 (c.c. 26 marzo 2013), Vilardo. (c.p.p., art. 34; l. 22 aprile 2005, n. 69, art. 13; l. 22 aprile 2005, n. 69, art. 17). [RV254770] ■ Rogatorie – All’estero – Utilizzabilità degli atti assunti. Sono utilizzabili dal giudice italiano le informative redatte dalla polizia estera e da questa consegnate direttamente ad autorità di polizia italiane, al di fuori di procedure formali di rogatoria, attese l’assenza di divieti di legge e la conformità di tale prassi alla consuetudine internazionale. (Fattispecie relativa ad informative consegnate presso la sede di Eurojust all’Aja ed utilizzate in giudizio abbreviato). F Cass. pen., sez. VI, 8 febbraio 2013, n. 6346 (ud. 9 novembre 2012), Domizi e altri. (c.p.p., art. 696; c.p.p., art. 727; c.p.p., art. 729). [RV254889] Sentenza penale ■ Assoluzione – Falsità in documenti – Legittimazione ad impugnare la sentenza in punto relativo alla dichiarazione di falsità. L’imputato prosciolto può impugnare le statuizioni in punto di falsità dei documenti che incidano sui suoi interessi, posto che la regola di legittimazione ad impugnare prevista dall’art. 537 comma terzo c.p.p. si pone come norma speciale rispetto a quella contenuta nell’art. 593 comma secondo c.p.p.. (Fattispecie in cui è stato riconosciuto l’interesse dell’imputata, prosciolta in primo grado, ad impugnare il capo della sentenza che ordinava la cancellazione della trascrizione del proprio atto di matrimonio, sebbene tale capo non coincidesse con quello della imputazione a lei contestata). F Cass. pen., sez. V, 7 gennaio 2013, n. 240 (ud. 30 novembre 2012), C.. (c.p.p., art. 537; c.p.p., art. 568; c.p.p., art. 593). [RV254601] ■ Assoluzione – Riforma in grado di appello – Presupposti. Nel giudizio di appello, per la riforma di una sentenza assolutoria non basta, in mancanza di elementi sopravvenuti, una mera e diversa valutazione del materiale probatorio già acquisito in primo grado ed ivi ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, che sia caratterizzata da pari o addirittura minore plausibilità rispetto a quella operata dal primo giudice, occorrendo, invece, una forza persuasiva superiore, tale da far venir meno ogni ragionevole dubbio. (Nella specie, la Corte ha confermato la sentenza di condanna del giudice di appello che, riformando una sentenza di assoluzione di primo grado per il delitto di truffa per l’incertezza sulla sussistenza del dolo, aveva valorizzato circostanze di fatto già esistenti, ma pretermesse dal primo giudice, idonee a dimostrare con certezza il carattere doloso della condotta). F Cass. pen., sez. II, 14 marzo 2013, n. 11883 (ud. 8 novembre 2012), Berlingeri. (c.p.p., art. 533; c.p.p., art. 605; c.p.p., art. 606). [RV254725] ■ Interessi civili – Danni – Spese relative all’azione civile. Il potere della corte di cassazione di sospendere, ai sensi dell’art. 612 c.p.p., l’esecuzione della condanna civile non riguarda la parte inerente il ristoro delle spese processuali sostenute dalla parte civile. F Cass. pen., sez. I, 31 gennaio 2013, n. 4908 (c.c. 19 dicembre 2012), Escolino. (c.p.p., art. 541; c.p.p., art. 612). [RV254702] ■ Interessi civili – Danni – Spese relative all’azione civile. La condanna di più imputati al pagamento delle spese in favore della parte civile deve ritenersi regolata dall’art. 97 c.p.c. per cui ciascuno dei soccombenti è condannato in proporzione al rispettivo interesse nella causa, applicandosi, invece, la solidarietà nel solo caso di interesse comune. F Cass. pen., sez. VI, 24 aprile 2013, n. 18615 (ud. 16 aprile 2013), Poloni. (c.p.p., art. 74; c.p.p., art. 592; c.p.c., art. 97). [RV254844] 408 4/2014 Arch. nuova proc. pen. ■ Motivazione – Riforma integrale della sentenza di primo grado – Doveri motivazionali del giudice d’appello. Il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza e non può, invece, limitarsi ad imporre la propria valutazione del compendio probatorio perché preferibile a quella coltivata nel provvedimento impugnato. F Cass. pen., sez. V, 20 febbraio 2013, n. 8361 (ud. 17 gennaio 2013), P.C. in proc. Rastegar. (c.p.p., art. 605; c.p.p., art. 606). [RV254638] ■ Motivazione – Sentenza di appello che riforma la decisione del giudice di primo grado – Contenuto. In tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che riformi la decisione di condanna del giudice di primo grado, nella specie pervenendo a una sentenza di assoluzione, non può limitarsi ad inserire nella struttura argomentativa della decisione impugnata, genericamente richiamata, delle notazioni critiche di dissenso, essendo, invece, necessario che egli riesamini, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal primo giudice, considerando quello eventualmente sfuggito alla sua valutazione e quello ulteriormente acquisito per dare, riguardo alle parti della prima sentenza non condivise, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni. F Cass. pen., sez. IV, 19 settembre 2012, n. 35922 (ud. 11 luglio 2012), p.c. in proc. Ingrassia. (c.p.p., art. 530; c.p.p., art. 605; c.p.p., art. 606). [RV254617] ■ Relazione tra sentenza e l’accusa contestata – Giudizio di appello – Attribuzione al fatto contestato di una diversa qualificazione giuridica in sentenza. Il giudice di appello può procedere alla riqualificazione giuridica del fatto nel rispetto del principio del giusto processo previsto dall’art. 6 CEDU, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, anche senza disporre una rinnovazione totale o parziale dell’istruttoria dibattimentale, sempre che sia sufficientemente prevedibile la ridefinizione dell’accusa inizialmente formulata, che il condannato sia in condizione di far valere le proprie ragioni in merito alla nuova definizione giuridica del fatto e che questa non comporti una modifica “in peius” del trattamento sanzionatorio e del computo della prescrizione. (In applicazione di questo principio, la Corte ha ritenuto rispettato l’art. 6 della CEDU in relazione ad una sentenza di appello che, in riforma di quella di primo grado di condanna per lesioni personali, aveva riqualificato il fatto come tentato omicidio. F Cass. pen., sez. VI, 13 febbraio 2013, n. 7195 (ud. 8 febbraio 2013), Sema. (c.p.p., art. 597; l. 4 agosto 1955, n. 848, art. 6). [RV254720] ■ Relazione tra sentenza e l’accusa contestata – Principio di correlazione tra accusa e sentenza – Contenuto determinato alla luce dell’art. 6 conv. europea come interpretato dalla corte edu. In tema di correlazione tra accusa e sentenza, il rispetto della regola del contraddittorio - che deve essere assicurato all’imputato, anche in ordine alla diversa definizione giuridica del fatto, conformemente all’art. 111, comma secondo, Cost., integrato dall’art. 6 Convenzione europea, come interpretato dalla Corte EDU - impone esclusivamente che detta diversa qualificazione giuridica non avvenga ‘a sorpresà e cioè nei confronti dell’imputato che, per la prima volta e, quindi, senza mai avere la possibilità di interloquire sul punto, si trovi di fronte ad un fatto storico radicalmente trasformato in sentenza nei suoi elementi essenziali rispetto all’originaria imputazione, di cui rappresenti uno sviluppo inaspettato. Ne consegue che non sussiste la violazione dell’art. 521 c.p.p. qualora la diversa qualificazione giuridica del fatto appaia come uno dei possibili epiloghi decisori del giudizio, secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile e l’imputato ed il suo difensore abbiano avuto nella fase di merito la possibilità di interloquire in ordine al contenuto mas Ma s s i m a r i o dell’imputazione, anche attraverso l’ordinario rimedio dell’impugnazione (nella specie proposta avverso la sentenza di primo grado contenente la diversa qualificazione giuridica del fatto). F Cass. pen., sez. V, 19 febbraio 2013, n. 7984 (ud. 24 settembre 2012), Jovanovic e altro. (c.p.p., art. 521). [RV254649] ■ Relazione tra sentenza e l’accusa contestata – Violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza – Mutamento degli elementi essenziali del fatto tale da pregiudicare i diritti della difesa. Sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza se il fatto contestato sia mutato nei suoi elementi essenziali, così da provocare una situazione di incertezza e di cambiamento sostanziale della fisionomia dell’ipotesi accusatoria capace di impedire o menomare il diritto di difesa dell’imputato. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso che la condanna per il fatto di offerta in vendita di sostanza stupefacente, a fronte di contestazione di cessione della stessa, anche se con riferimento ad una data diversa da quella indicata nell’imputazione, integrasse la violazione suddetta). F Cass. pen., sez. VI, 8 febbraio 2013, n. 6346 (ud. 9 novembre 2012), Domizi e altri. (c.p.p., art. 521; d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73). [RV254888] Società ■ Reati societari – Misure cautelari interdittive – Provvedimento di applicazione. In tema di responsabilità da reato degli enti, è nullo il provvedimento applicativo di misura cautelare che non esponga i motivi per i quali si ritengono non rilevanti gli elementi forniti dalla difesa, in quanto l’art. 45 del d.l.vo 8 giugno 2001 n. 231 richiama espressamente l’art. 292 c.p.p., nel contesto di un modello procedimentale a contradditorio anticipato. (Fattispecie relativa ad ordinanza motivata “per relationem” con riferimento ad un provvedimento cautelare personale, priva di qualunque osservazione sulle contestazioni mosse dalla difesa contro di questo mediante richiesta di riesame e riproposte all’udienza fissata ex art. 47 d.l.vo n. 231 del 2001). F Cass. pen., sez. VI, 7 marzo 2013, n. 10903 (c.c. 5 marzo 2013), Orsi. (d.l.vo 8 giugno 2001, n. 231, art. 45; d.l.vo 8 giugno 2001, n. 231, art. 47; c.p.p., art. 292). [RV254719] ■ Reati societari – Responsabilità – Procedimento di applicazione delle misure interdittive. In tema di responsabilità da reato degli enti, è viziata per difetto di motivazione l’ordinanza che, nel disporre nei confronti della persona giuridica una misura interdittiva, in merito alla sussistenza dei gravi indizi del reato presupposto si limiti a rinviare “per relationem” alla motivazione del provvedimento applicativo delle misure cautelari personali agli autori del medesimo, senza dare conto delle ragioni per cui abbia disatteso le contestazioni sollevate in proposito dalla difesa nel corso dell’udienza prevista dall’art. 47 d.l.vo n. 231 del 2001. F Cass. pen., sez. VI, 7 marzo 2013, n. 10904 (c.c. 5 marzo 2013), Rosi Leopoldo S.p.a.. (d.l.vo 8 giugno 2001, n. 231, art. 45; d.l.vo 8 giugno 2001, n. 231, art. 47; c.p.p., art. 292). [RV254642] Stupefacenti ■ Associazione per delinquere per spaccio di stupefacenti – Obbligatorietà dell’aumento per la recidiva – Esclusione. In ipotesi di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti costituita al fine di commettere fatti di lieve entità, non opera l’obbligatorietà della recidiva prevista dall’art. 99, comma quinto, c.p., non rientrando il reato in esame nelle ipotesi previste dall’art. 407, comma secondo, lett. a, c.p.p.. F Cass. pen., sez. V, 24 gennaio 2013, n. 3820 (ud. 10 gennaio 2013), Ignomeriello e altri. (d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 74; c.p., art. 99; c.p.p., art. 407). [RV254568] Termini processuali in materia penale ■ Restituzione in termini – Dedotta nullità della sentenza per mancata traduzione nella lingua dell’imputato alloglotta – Richiesta di restituzione nel termine per proporre appello. È inammissibile l’istanza di restituzione nel termine per proporre appello avverso una sentenza sul presupposto della nullità della stessa per mancata traduzione nella lingua dell’imputato alloglotta, in quanto trattasi di motivo estraneo al modello procedimentale previsto dall’art. 175 c.p.p.. F Cass. pen., sez. VI, 8 aprile 2013, n. 16164 (c.c. 19 febbraio 2013), S. e altri. (c.p.p., art. 143; c.p.p., art. 175). [RV254903] ■ Restituzione in termini – Impugnazione della sentenza contumaciale – Notifica dell’estratto al difensore di fiducia domiciliatario. In tema di restituzione nel termine per impugnare, la notifica dell’estratto contumaciale della sentenza al difensore di fiducia presso cui l’imputato ha eletto domicilio deve ritenersi regolare anche quando il legale abbia nel frattempo rinunziato al mandato, ma non per questo è sufficiente a fondare una valida presunzione di conoscenza del provvedimento da parte dello stesso imputato, atteso che tale presunzione presuppone la permanenza del legame professionale. F Cass. pen., sez. V, 10 aprile 2013, n. 16330 (c.c. 20 marzo 2013), Katler. (c.p.p., art. 107; c.p.p., art. 161; c.p.p., art. 175). [RV254842] ■ Restituzione in termini – Impugnazioni – Presupposti generali. Non è consentita la restituzione in termini per l’espletamento di attività processuali che la parte aveva ampiamente la possibilità di compiere nel corso del giudizio e che non ha espletato per sua negligenza. (Nella specie la S.C. ha ritenuto legittimamente negata la restituzione in termini, richiesta alla Corte d’Appello dopo il rigetto dell’istanza di riparazione per ingiusta detenzione, invocata allo scopo di depositare documentazione non prodotta nel corso del giudizio nonostante che per quattro volte l’udienza fosse stata rinviata per dare al difensore la possibilità, da quest’ultimo non utilizzata, di effettuare la produzione in questione). F Cass. pen., sez. IV, 12 febbraio 2013, n. 7002 (c.c. 20 novembre 2012), Capaldo. (c.p.p., art. 175). [RV254662] ■ Restituzione in termini – Sentenza contumaciale – Notifica dell’atto di carcerazione durante il periodo feriale di sospensione dei termini processuali. Qualora la conoscenza della sentenza di condanna si realizzi mediante la notifica dell’atto di carcerazione e questa avvenga durante il periodo feriale di sospensione dei termini processuali, i trenta giorni previsti per la presentazione della richiesta di restituzione nel termine per proporre impugnazione avverso la sentenza contumaciale decorrono dalla fine del periodo feriale di sospensione. F Cass. pen., sez. I, 27 febbraio 2013, n. 9444 (c.c. 14 febbraio 2013), Barbu. (c.p.p., art. 548; c.p.p., art. 585). [RV254816] ■ Restituzione in termini – Sentenza contumaciale – Oneri dell’imputato e dell’a.g.. Il diritto alla restituzione nel termine per impugnare una sentenza contumaciale opera solo quando risulti dagli atti la mancata conoscenza del procedimento da parte dell’imputato, non essendo sufficiente la dichiarazione di quest’ultimo di non aver ricevuto notifica del provvedimento, atteso che all’onere dell’Autorità Giudiziaria di compiere ogni necessaria verifica, ai sensi dell’art. 175 comma secondo c.p.p., corrisponde l’onere dell’interessato di allegare circostanze rilevanti, suscettibili di verifica da parte dell’Autorità Giudiziaria stessa. F Cass. pen., sez. II, 1 marzo 2013, n. 9776 (c.c. 22 novembre 2012), El Badaoui. (c.p.p., art. 175). [RV254826] Arch. nuova proc. pen. 4/2014 409 mas Ma s s i m a r i o ■ Sospensione nel periodo feriale – Rito direttissimo – Impugnazione. L’istituto della sospensione nel periodo feriale, fuori dei casi previsti dall’art. 2 legge 7 ottobre 1969, n. 742, si applica anche al termine per proporre impugnazione avverso le sentenze deliberate all’esito di giudizio direttissimo conseguente alla convalida di arresto in flagranza. F Cass. pen., sez. VI, 6 marzo 2013, n. 10347 (ud. 6 febbraio 2013), Hamed. (c.p.p., art. 449; c.p.p., art. 582; c.p.p., art. 588; l. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 2). [RV254588] Tribunale per i minorenni ■ Procedimento – Misure cautelari – Custodia cautelare. In tema di custodia cautelare nei confronti di minorenne, sebbene l’art. 23 d.p.r. n. 448 del 1988 non preveda tra i casi in cui può essere applicata la custodia cautelare, l’ipotesi di cui all’art. 380, comma secondo, lett. e) bis (delitti di furto in abitazione e con strappo, ex art. 624 bis c.p.), tuttavia, il predetto art. 23 richiama l’art. 380, comma secondo, lett. e) che prevede l’ipotesi del reato di furto aggravato ex art. 625, comma primo, n 2, prima parte, c.p. che corrisponde esattamente all’ipotesi di cui all’art. 624 bis, comma terzo, c.p. (furto in abitazione o con strappo aggravato da una o più delle circostanze di cui all’art. 625, comma primo, c.p.). Ne consegue che nell’ipotesi di furto aggravato in abitazione sono applicabili nei confronti di imputati minorenni l’arresto in flagranza e la custodia cautelare. F Cass. pen., sez. IV, 14 dicembre 2012, n. 48436 (c.c. 17 ottobre 2012), V. e altro (c.p.p., art. 380; d.p.r. 22 settembre 1988, n. 448, art. 23). [RV255010] ■ Procedimento – Sospensione del processo e messa alla prova – Decisione adottata de plano. In tema di procedimento nei confronti di minorenni, è affetta da nullità generale a regime intermedio la declaratoria di estinzione del reato per esito positivo della prova adottata in assenza di apposita udienza. F Cass. pen., sez. III, 13 febbraio 2013, n. 7066 (ud. 12 dicembre 2012), P.M. in proc. B.. (d.p.r. 22 settembre 1988, n. 448, art. 29; c.p.p., art. 178). [RV254682] Tributi e finanze (in materia penale) ■ Reati finanziari in genere – Accertamento – Presunzioni legali in materia tributaria. Le presunzioni tributarie non costituiscono di per sé fonte di prova della commissione di un reato, ma, assumendo esclusiva- 410 4/2014 Arch. nuova proc. pen. mente il valore di dati di fatto liberamente valutabili dal giudice, possono essere posti a fondamento di una misura cautelare reale (nella specie, sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente). F Cass. pen., sez. III, 13 febbraio 2013, n. 7078 (c.c. 23 gennaio 2013), Piccolo. (c.p.p., art. 192; c.p.p., art. 321; c.p., art. 322 ter). [RV254853] ■ Reati finanziari in genere – Confisca per equivalente – Profitto del reato. In tema di reati tributari, il profitto del reato oggetto del sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente è costituito dal risparmio economico derivante dalla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, che rimane inalterato anche nella ipotesi di sospensione della esecutività della cartella esattoriale da parte della commissione tributaria. F Cass. pen., sez. III, 28 febbraio 2013, n. 9578 (c.c. 17 gennaio 2013), Tanghetti. (d.l.vo 10 marzo 2000, n. 74; c.p.p., art. 321; c.p., art. 322 ter; l. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1). [RV254748] ■ Reati finanziari in genere – Presunzioni legali in materia tributaria – Natura giuridica. Le presunzioni legali previste dalle norme tributarie, pur potendo avere valore indiziario, non possono costituire di per sé fonte di prova della commissione del reato, assumendo esclusivamente il valore di dati di fatto, che devono essere valutati liberamente dal giudice penale unitamente ad elementi di riscontro che diano certezza dell’esistenza della condotta criminosa. (Fattispecie nella quale la S.C. ha ritenuto inutilizzabile la presunzione contenuta nell’art. 32 d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, che configura come ricavi sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari). F Cass. pen., sez. III, 13 febbraio 2013, n. 7078 (c.c. 23 gennaio 2013), Piccolo. (d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32; d.l.vo 10 marzo 2000, n. 74; c.p.p., art. 192). [RV254852] Usura ■ Momento consumativo del reato – Concorso nel delitto – Intervento dell’esattore. Risponde del delitto di concorso in usura il soggetto che, per conto altrui, procede alla riscossione dei pagamenti fatti dalla persona offesa nell’ambito di un rapporto usurario. F Cass. pen., sez. II, 14 febbraio 2013, n. 7208 (ud. 6 dicembre 2012), Novelli. (c.p.p., art. 378; c.p., art. 644). [RV254947] Legislazione e documentazione I D.L. 20 marzo 2014, n. 36. Disposizioni urgenti in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, nonchè di impiego di medicinali (Gazzetta Ufficiale Serie gen. - n. 67 del 21 marzo 2014), convertito, con modificazioni, nella L. 16 maggio 2014, n. 79 (Gazzetta Ufficiale Serie gen. - n. 115 del 20 maggio 2014). Capo I Disposizioni in materia di stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossico dipendenza 1. (Modificazioni al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309). 1. All’articolo 2 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1, alla lettera e), il numero 2) è sostituito dal seguente: «2) il completamento e l’aggiornamento delle tabelle di cui all’articolo 13, sentiti il Consiglio superiore di sanità e l’Istituto superiore di sanità;». 2. All’articolo 13 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, sono apportate le seguenti modificazioni: a) il comma 1 è sostituito dal seguente: «1. Le sostanze stupefacenti o psicotrope sottoposte alla vigilanza ed al controllo del Ministero della salute e i medicinali a base di tali sostanze, ivi incluse le sostanze attive ad uso farmaceutico, sono raggruppate, in conformità ai criteri di cui all’articolo 14, in cinque tabelle, allegate al presente testo unico. Il Ministero della salute stabilisce con proprio decreto il completamento e l’aggiornamento delle tabelle con le modalità di cui all’articolo 2, comma 1, lettera e), numero 2).»; b) il comma 3 è abrogato; c) il comma 5 è sostituito dal seguente: «5. Il Ministero della salute, sentiti il Consiglio superiore di sanità e l’Istituto superiore di sanità, ed in accordo con le convenzioni internazionali in materia di sostanze stupefacenti o psicotrope, dispone con apposito decreto l’esclusione da una o più misure di controllo di quei medicinali e dispositivi diagnostici che per la loro composizione qualitativa e quantitativa non possono trovare un uso diverso da quello cui sono destinati.». 3. L’articolo 14 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, è sostituito dal seguente: «Art. 14 (Criteri per la formazione delle tabelle). - 1. La inclusione delle sostanze stupefacenti o psicotrope nelle tabelle di cui all’articolo 13 è effettuata in base ai seguenti criteri: a) nella tabella I devono essere indicati: 1) l’oppio e i materiali da cui possono essere ottenute le sostanze oppiacee naturali, estraibili dal papavero sonnifero; gli alcaloidi ad azione narcotico-analgesica da esso estraibili; le sostanze ottenute per trasformazione chimica di quelle prima indicate; le sostanze ottenibili per sintesi che siano riconducibili, per struttura chimica o per effetti, a quelle oppiacee precedentemente indicate; eventuali intermedi per la loro sintesi; 2) le foglie di coca e gli alcaloidi ad azione eccitante sul sistema nervoso centrale da queste estraibili; le sostanze ad azione analoga ottenute per trasformazione chimica degli alcaloidi sopra indicati oppure per sintesi; 3) le sostanze di tipo amfetaminico ad azione eccitante sul sistema nervoso centrale; 4) ogni altra sostanza che produca effetti sul sistema nervoso centrale ed abbia capacità di determinare dipendenza fisica o psichica dello stesso ordine o di ordine superiore a quelle precedentemente indicate; 5) gli indolici, siano essi derivati triptaminici che lisergici, e i derivati feniletilamminici, che abbiano effetti allucinogeni o che possano provocare distorsioni sensoriali; 6) le sostanze ottenute per sintesi o semisintesi che siano riconducibili per struttura chimica o per effetto farmaco-tossicologico al tetraidrocannabinolo; 7) ogni altra pianta o sostanza naturale o sintetica che possa provocare allucinazioni o gravi distorsioni sensoriali e tutte le sostanze ottenute per estrazione o per sintesi chimica che provocano la stessa tipologia di effetti a carico del sistema nervoso centrale; 8) le preparazioni contenenti le sostanze di cui alla presente lettera, in conformità alle modalità indicate nella tabella dei medicinali di cui alla lettera e); b) nella tabella II devono essere indicati: 1) la cannabis e i prodotti da essa ottenuti; 2) le preparazioni contenenti le sostanze di cui alla presente lettera, in conformità alle modalità indicate nella tabella dei medicinali di cui alla lettera e); c) nella tabella III devono essere indicati: 1) i barbiturici che hanno notevole capacità di indurre dipendenza fisica o psichica o entrambe, nonchè altre sostanze ad effetto ipnotico-sedativo ad essi assimilabili. Sono pertanto esclusi i barbiturici a lunga durata e di accertato effetto antiepilettico e i barbiturici a breve durata di impiego quali anestetici generali, sempre che tutte le dette sostanze non comportino i pericoli di dipendenza innanzi indicati; 2) le preparazioni contenenti le sostanze di cui alla presente lettera, in conformità alle modalità indicate nella tabella dei medicinali di cui alla lettera e); Arch. nuova proc. pen. 4/2014 411 leg L e g i s la z i o n e e d o c u m e n t a z i o n e d) nella tabella IV devono essere indicate: 1) le sostanze per le quali sono stati accertati concreti pericoli di induzione di dipendenza fisica o psichica di intensità e gravità minori di quelli prodotti dalle sostanze elencate nelle tabelle I e III; 2) le preparazioni contenenti le sostanze di cui alla presente lettera, in conformità alle modalità indicate nella tabella dei medicinali di cui alla lettera e); e) nella tabella denominata “tabella dei medicinali” e suddivisa in cinque sezioni, sono indicati i medicinali a base di sostanze attive stupefacenti o psicotrope, ivi incluse le sostanze attive ad uso farmaceutico, di corrente impiego terapeutico ad uso umano o veterinario. Nella sezione A della tabella dei medicinali sono indicati: 1) i medicinali contenenti le sostanze analgesiche oppiacee naturali, di semisintesi e di sintesi; 2) i medicinali di cui all’allegato III bis al presente testo unico; 3) i medicinali contenenti sostanze di corrente impiego terapeutico per le quali sono stati accertati concreti pericoli di induzione di grave dipendenza fisica o psichica; 4) i medicinali contenenti barbiturici che hanno notevole capacità di indurre dipendenza fisica o psichica o entrambe, nonchè altre sostanze ad effetto ipnotico-sedativo ad essi assimilabili; f) nella sezione B della tabella dei medicinali sono indicati: 1) i medicinali che contengono sostanze di corrente impiego terapeutico per le quali sono stati accertati concreti pericoli di induzione di dipendenza fisica o psichica di intensità e gravità minori di quelli prodotti dai medicinali elencati nella sezione A; 2) i medicinali contenenti barbiturici ad azione antiepilettica e quelli contenenti barbiturici con breve durata d’azione; 3) i medicinali contenenti le benzodiazepine, i derivati pirazolopirimidinici ed i loro analoghi ad azione ansiolitica o psicostimolante che possono dar luogo al pericolo di abuso e generare farmacodipendenza; g) nella sezione C della tabella dei medicinali sono indicati: 1) i medicinali contenenti le sostanze elencate nella tabella dei medicinali, sezione B, da sole o in associazione con altre sostanze attive ad uso farmaceutico, per i quali sono stati accertati concreti pericoli di induzione di dipendenza fisica o psichica; h) nella sezione D della tabella dei medicinali sono indicati: 1) i medicinali contenenti le sostanze elencate nella tabella dei medicinali, sezioni A o B, da sole o in associazione con altre sostanze attive ad uso farmaceutico quando per la loro composizione qualitativa e quantitativa e per le modalità del loro uso, presentano rischi di abuso o farmacodipendenza di grado inferiore a quello dei medicinali compresi nella tabella dei medicinali, sezioni A e C, e pertanto non sono assoggettate alla disciplina delle sostanze che entrano a far parte della loro composizione; 2) i medicinali ad uso parenterale a base di benzodiazepine; 3) i medicinali per uso diverso da quello iniettabile, i quali, in associazione con altre sostanze attive ad uso farmaceutico non stupefacenti contengono alcaloidi totali dell’oppio con equivalente ponderale in morfina non superiore allo 0,05 per cento in peso espresso come base anidra; i suddetti medicinali devono essere tali da impedire praticamente il recupero dello stupefacente con facili ed estemporanei procedimenti estrattivi; 3 bis) in considerazione delle prioritarie esigenze terapeutiche nei confronti del dolore severo, composti medicinali utilizzati in terapia del dolore elencati nell’allegato III bis, limitatamente alle forme farmaceutiche diverse da quella parenterale; i) nella sezione E della tabella dei medicinali sono indicati: 412 4/2014 Arch. nuova proc. pen. 1) i medicinali contenenti le sostanze elencate nella tabella dei medicinali, sezioni A o B, da sole o in associazione con altre sostanze attive ad uso farmaceutico, quando per la loro composizione qualitativa e quantitativa o per le modalità del loro uso, possono dar luogo a pericolo di abuso o generare farmacodipendenza di grado inferiore a quello dei medicinali elencati nella tabella dei medicinali, sezioni A, B, C o D. 2. Nelle tabelle di cui al comma 1 sono compresi, ai fini della applicazione del presente testo unico, tutti gli isomeri, gli esteri, gli eteri, ed i sali anche relativi agli isomeri, esteri ed eteri, nonchè gli stereoisomeri nei casi in cui possono essere prodotti, relativi alle sostanze incluse nelle tabelle I, II, III e IV, e ai medicinali inclusi nella tabella dei medicinali, salvo sia fatta espressa eccezione. 3. Le sostanze incluse nelle tabelle sono indicate con la denominazione comune internazionale, il nome chimico, la denominazione comune italiana o l’acronimo, se esiste. È, tuttavia, ritenuto sufficiente, ai fini della applicazione del presente testo unico, che nelle tabelle la sostanza sia indicata con almeno una delle denominazioni sopra indicate, purchè idonea ad identificarla. 4. Le sostanze e le piante di cui al comma 1, lettere a) e b), sono soggette alla disciplina del presente testo unico anche ove si presentino sotto ogni forma di prodotto, miscuglio o miscela. 5. La tabella dei medicinali indica la classificazione ai fini della fornitura. Sono comunque fatte salve le condizioni stabilite dall’Agenzia italiana del farmaco all’atto del rilascio dell’autorizzazione all’immissione in commercio, nonchè le limitazioni e i divieti stabiliti dal Ministero della salute per esigenze di salute pubblica. 3 bis. Al comma 2 dell’articolo 19 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Le autorizzazioni non possono essere rilasciate ai soggetti di cui al presente comma, persone fisiche o legali rappresentanti di enti, che abbiano avuto condanne o sanzioni ai sensi degli articoli 73, 74 e 75; in tali casi sono immediatamente revocate anche le autorizzazioni già rilasciate». 4. All’articolo 26 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, il comma 1 è sostituito dal seguente: «1. Salvo quanto stabilito nel comma 2, è vietata nel territorio dello Stato la coltivazione delle piante comprese nelle tabelle I e II di cui all’articolo 14, ad eccezione della canapa coltivata esclusivamente per la produzione di fibre o per altri usi industriali, diversi da quelli di cui all’articolo 27, consentiti dalla normativa dell’Unione europea.». 5. Soppresso dalla legge di conversione. 6. All’articolo 34 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, il comma 1 è sostituito dal seguente: «1. Presso ciascun ente o impresa, autorizzati alla fabbricazione di sostanze stupefacenti o psicotrope, comprese nelle tabelle I, II e nella tabella dei medicinali, sezione A, di cui all’articolo 14, devono essere dislocati uno o più militari della Guardia di finanza per il controllo dell’entrata e dell’uscita delle sostanze stupefacenti o psicotrope, nonchè per la sorveglianza a carattere continuativo durante i cicli di lavorazione.». L e g i s la z i o n e e d o c u m e n t a z i o n e 7. All’articolo 35 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, al comma 1, le parole: «nelle tabelle I, II, III, IV e VI di cui all’articolo 14» sono sostituite dalle seguenti: «nelle tabelle di cui all’articolo 14, con esclusione di quelle incluse nelle sezioni C, D ed E della tabella dei medicinali». 8. All’articolo 36 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1, le parole: «I, II, III, IV e V» sono soppresse; b) al comma 3, le parole: «delle preparazioni ottenute» sono sostituite dalle seguenti: «dei prodotti ottenuti». 9. All’articolo 38 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, sono apportate le seguenti modificazioni: a) il comma 1 è sostituito dal seguente: «1. La vendita o cessione, a qualsiasi titolo, anche gratuito, delle sostanze e dei medicinali compresi nelle tabelle di cui all’articolo 14, esclusi i medicinali di cui alla tabella dei medicinali, sezioni D ed E, è fatta alle persone autorizzate ai sensi del presente testo unico in base a richiesta scritta con buono acquisto conforme al modello predisposto dal Ministero della salute. I titolari o i direttori di farmacie aperte al pubblico o ospedaliere possono utilizzare i buoni acquisto anche per richiedere, a titolo gratuito, i medicinali compresi nella tabella dei medicinali, esclusi i medicinali e le sostanze attive ad uso farmaceutico di cui alla tabella dei medicinali, sezioni D ed E, ad altre farmacie aperte al pubblico o ospedaliere, qualora si configuri il carattere di urgenza terapeutica.»; b) dopo il comma 1 è inserito il seguente: «1 bis. Il Ministero della salute stabilisce con proprio decreto il modello dei buoni acquisto.». 9 bis. L’articolo 39 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, è abrogato. 10. Il comma 1 dell’articolo 40 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, è sostituito dal seguente: «1. Il Ministero della salute, nel rispetto delle normative comunitarie, al momento dell’autorizzazione all’immissione in commercio, determina, in rapporto alla loro composizione, indicazione terapeutica e posologia, le confezioni dei medicinali contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope che possono essere messe in commercio ed individua, in applicazione dei criteri di cui all’articolo 14, la sezione della tabella dei medicinali in cui collocare il medicinale stesso.». 11. All’articolo 41 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1, lettera d), le parole: «nelle tabelle I e II previste dall’articolo 14» sono sostituite dalle seguenti: «nelle leg tabelle I, II, III e nella tabella dei medicinali, sezione A, di cui all’articolo 14»; b) al comma 1 bis, la parola: «farmaci» è sostituita dalla seguente: «medicinali», e le parole: «di pazienti affetti da dolore severo in corso di patologia neoplastica o degenerativa» sono sostituite dalle seguenti: «di malati che hanno accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore secondo le vigenti disposizioni». 12. All’articolo 42 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, sono apportate le seguenti modificazioni: a) la rubrica è sostituita dalla seguente: «Acquisto di medicinali a base di sostanze stupefacenti e di sostanze psicotrope da parte di medici chirurghi»; b) il comma 1 è sostituito dal seguente: «1. I medici chirurghi ed i medici veterinari, i direttori sanitari o responsabili di ospedali, case di cura in genere, prive dell’unità operativa di farmacia, e titolari di gabinetto per l’esercizio delle professioni sanitarie qualora, per le normali esigenze terapeutiche, si determini la necessità di approvvigionarsi di medicinali a base di sostanze stupefacenti o psicotrope compresi nella tabella dei medicinali, sezioni A, B e C, di cui all’articolo 14, devono farne richiesta scritta in triplice copia alla farmacia o al grossista di medicinali. La prima delle predette copie rimane per documentazione al richiedente; le altre due devono essere rimesse alla farmacia o alla ditta all’ingrosso; queste ultime ne trattengono una per il proprio discarico e trasmettono l’altra all’azienda sanitaria locale a cui fanno riferimento.»; c) al comma 2, le parole: «delle predette preparazioni» sono sostituite dalle seguenti: «dei predetti medicinali» e le parole: «lire duecentomila a lire un milione» sono sostituite dalle seguenti: «euro 100 ad euro 500»; d) al comma 3, le parole: «delle preparazioni acquistate» sono sostituite dalle seguenti: «dei medicinali acquistati» e le parole: «delle preparazioni stesse» sono sostituite dalle seguenti: «dei medicinali stessi». 13. L’articolo 43 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, è sostituito dal seguente: «Art. 43 (Obblighi dei medici chirurghi e dei medici veterinari). - 1. I medici chirurghi e i medici veterinari prescrivono i medicinali compresi nella tabella dei medicinali, sezione A, di cui all’articolo 14, su apposito ricettario approvato con decreto del Ministero della salute. 2. La prescrizione dei medicinali indicati nella tabella dei medicinali, sezione A, di cui all’articolo 14 può comprendere un solo medicinale per una cura di durata non superiore a trenta giorni, ad eccezione della prescrizione dei medicinali di cui all’allegato III bis per i quali la ricetta può comprendere fino a due medicinali diversi tra loro o uno stesso medicinale con due dosaggi differenti per una cura di durata non superiore a trenta giorni. 3. Nella ricetta devono essere indicati: a) cognome e nome dell’assistito ovvero del proprietario dell’animale ammalato; b) la dose prescritta, la posologia ed il modo di somministrazione; c) l’indirizzo e il numero telefonico professionali del medico chirurgo o del medico veterinario da cui la ricetta è rilasciata; Arch. nuova proc. pen. 4/2014 413 leg L e g i s la z i o n e e d o c u m e n t a z i o n e d) la data e la firma del medico chirurgo o del medico veterinario da cui la ricetta è rilasciata; e) il timbro personale del medico chirurgo o del medico veterinario da cui la ricetta è rilasciata. 4. Le ricette di cui al comma 1 sono compilate in duplice copia a ricalco per i medicinali non forniti dal Servizio sanitario nazionale, ed in triplice copia a ricalco per i medicinali forniti dal Servizio sanitario nazionale. Una copia della ricetta è comunque conservata dall’assistito o dal proprietario dell’animale ammalato. Il Ministero della salute stabilisce con proprio decreto la forma ed il contenuto del ricettario di cui al comma 1. 4 bis. Per la prescrizione, nell’ambito del Servizio sanitario nazionale, di medicinali previsti dall’allegato III bis per il trattamento di pazienti affetti da dolore severo, in luogo del ricettario di cui al comma 1, contenente le ricette a ricalco di cui al comma 4, può essere utilizzato il ricettario del Servizio sanitario nazionale, disciplinato dal decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 17 marzo 2008, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 86 dell’11 aprile 2008. Il Ministro della salute, sentiti il Consiglio superiore di sanità e l’Istituto superiore di sanità, può, con proprio decreto, aggiornare l’elenco dei medicinali di cui all’allegato III bis. 5. La prescrizione dei medicinali compresi nella tabella dei medicinali, sezione A, di cui all’articolo 14, qualora utilizzati per il trattamento degli stati di tossicodipendenza da oppiacei o di alcooldipendenza, è effettuata utilizzando il ricettario di cui al comma 1 nel rispetto del piano terapeutico predisposto da una struttura sanitaria pubblica o da una struttura privata autorizzata ai sensi dell’articolo 116 e specificamente per l’attività di diagnosi di cui al comma 2, lettera d), del medesimoarticolo . La persona alla quale sono consegnati in affidamento i medicinali di cui al presente comma è tenuta ad esibire a richiesta la prescrizione medica o il piano terapeutico in suo possesso. 5 bis. La prescrizione di medicinali compresi nella tabella dei medicinali, sezione A, per il trattamento degli stati di tossicodipendenza da oppiacei deve essere effettuata all’interno del piano terapeutico individualizzato, secondo modalità stabilite con decreto del Ministero della salute. 6. I medici chirurghi e i medici veterinari sono autorizzati ad approvvigionarsi attraverso autoricettazione, a trasportare e a detenere i medicinali compresi nell’allegato III bis per uso professionale urgente, utilizzando il ricettario di cui al comma 1.Una copia della ricetta è conservata dal medico chirurgo o dal medico veterinario che tiene un registro delle prestazioni effettuate, annotandovi le movimentazioni, in entrata ed uscita, dei medicinali di cui si è approvvigionato e che successivamente ha somministrato. Il registro delle prestazioni non è di modello ufficiale e deve essere conservato per due anni a far data dall’ultima registrazione effettuata; le copie delle autoricettazioni sono conservate, come giustificativo dell’entrata, per lo stesso periodo del registro. 7. Il personale che opera nei distretti sanitari di base o nei servizi territoriali o negli ospedali pubblici o accreditati delle aziende sanitarie locali è autorizzato a consegnare al domicilio di malati che hanno accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore secondo le vigenti disposizioni, ad esclusione del trattamento domiciliare degli stati di tossicodipendenza da oppiacei, le quantità terapeutiche dei medicinali compresi nell’allegato III bis accompagnate dalla certificazione medica che ne prescrive la posologia e l’utilizzazione nell’assistenza domiciliare. 8. Gli infermieri professionali che effettuano servizi di assistenza domiciliare nell’ambito dei distretti sanitari di base o nei servizi territoriali delle aziende sanitarie locali e i familiari 414 4/2014 Arch. nuova proc. pen. dei pazienti, opportunamente identificati dal medico o dal farmacista che ivi effettuano servizio, sono autorizzati a trasportare le quantità terapeutiche dei medicinali compresi nell’allegato III bis accompagnate dalla certificazione medica che ne prescrive la posologia e l’utilizzazione a domicilio di malati che hanno accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore secondo le vigenti disposizioni, ad esclusione del trattamento domiciliare degli stati di tossicodipendenza da oppiacei. 9. La prescrizione dei medicinali compresi nella tabella dei medicinali, sezioni B, C e D, di cui all’articolo 14 è effettuata con ricetta da rinnovarsi volta per volta e da trattenersi da parte del farmacista. 10. La prescrizione dei medicinali compresi nella tabella dei medicinali, sezione E, di cui all’articolo 14 è effettuata con ricetta medica. 10 bis. I medici chirurghi, su richiesta dei pazienti in corso di trattamento terapeutico con medicinali stupefacenti o psicotropi che si recano all’estero, provvedono alla redazione della certificazione di possesso dei medicinali stupefacenti o psicotropi compresi nella tabella dei medicinali, da presentare all’autorità doganale all’uscita dal territorio nazionale, individuati con decreto del Ministero della salute, che definisce anche il modello della certificazione». 14. L’articolo 45 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, è sostituito dal seguente: «Art. 45 (Dispensazione dei medicinali). - 1. La dispensazione dei medicinali compresi nella tabella dei medicinali, sezione A, di cui all’articolo 14 è effettuata dal farmacista che annota sulla ricetta il nome, il cognome e gli estremi di un documento di riconoscimento dell’acquirente. 2. Il farmacista dispensa i medicinali di cui al comma 1 dietro presentazione di prescrizione medica compilata sulle ricette previste dai commi 1 e 4 bis dell’articolo 43 nella quantità e nella forma farmaceutica prescritta. 3. Il farmacista ha l’obbligo di accertare che la ricetta sia stata redatta secondo le disposizioni stabilite nell’articolo 43, di annotarvi la data di spedizione e di apporvi il timbro della farmacia e di conservarla tenendone conto ai fini del discarico dei medicinali sul registro di entrata e uscita di cui al comma 1 dell’articolo 60. 3 bis. Il farmacista spedisce comunque le ricette che prescrivano un quantitativo che, in relazione alla posologia indicata, superi teoricamente il limite massimo di terapia di trenta giorni, ove l’eccedenza sia dovuta al numero di unità posologiche contenute nelle confezioni in commercio. In caso di ricette che prescrivano una cura di durata superiore a trenta giorni, il farmacista consegna un numero di confezioni sufficiente a coprire trenta giorni di terapia, in relazione alla posologia indicata, dandone comunicazione al medico prescrittore. 4. La dispensazione dei medicinali di cui alla tabella dei medicinali, sezioni B e C, è effettuata dal farmacista dietro presentazione di ricetta medica da rinnovarsi volta per volta. Il farmacista appone sulla ricetta la data di spedizione e il timbro della farmacia e la conserva tenendone conto ai fini del discarico dei medicinali sul registro di entrata e di uscita di cui all’articolo 60, comma 1. 5. Il farmacista conserva per due anni, a partire dal giorno dell’ultima registrazione nel registro di cui all’articolo 60, comma 1, le ricette che prescrivono medicinali compresi nella tabella dei medicinali, sezioni A, B e C. Nel caso di fornitura di medicinali L e g i s la z i o n e e d o c u m e n t a z i o n e a carico del Servizio sanitario nazionale, il farmacista è tenuto a conservare una copia della ricetta originale o fotocopia della ricetta originale, recante la data di spedizione. 6. La dispensazione dei medicinali di cui alla tabella dei medicinali, sezione D, è effettuata dal farmacista dietro presentazione di ricetta medica da rinnovarsi volta per volta. 6 bis. All’atto della dispensazione dei medicinali inseriti nellasezione D della tabella dei medicinali, successivamente alla data del 15 giugno 2009, limitatamente alle ricette diverse da quella di cui al decreto del Ministro della salute 10 marzo 2006, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 76 del 31 marzo 2006, o da quella del Servizio sanitario nazionale, disciplinata dal decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 17 marzo 2008, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 86 dell’11 aprile 2008, il farmacista deve annotare sulla ricetta il nome, il cognome e gli estremi di un documento di riconoscimento dell’acquirente. Il farmacista conserva per due anni, a partire dal giorno dell’ultima registrazione, copia o fotocopia della ricetta ai fini della dimostrazione della liceità del possesso dei farmaci consegnati dallo stesso farmacista al paziente o alla persona che li ritira. 7. La dispensazione dei medicinali di cui alla tabella dei medicinali, sezione E, è effettuata dal farmacista dietro presentazione di ricetta medica. 8. Decorsi trenta giorni dalla data del rilascio, la prescrizione medica non può essere più spedita. 9. Salvo che il fatto costituisca reato, il contravventore alle disposizioni del presente articolo è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da euro 100 ad euro 600. 10. Il Ministro della salute provvede a stabilire, con proprio decreto, tenuto conto di quanto previsto dal decreto ministeriale 15 luglio 2004 in materia di tracciabilità di medicinali, la forma ed il contenuto dei moduli idonei al controllo del movimento dei medicinali a base di sostanze stupefacenti o psicotrope tra le farmacie interne degli ospedali e singoli reparti. 10 bis. Su richiesta del cliente e in caso di ricette che prescrivono più confezioni, il farmacista, previa specifica annotazione sulla ricetta, può spedirla in via definitiva consegnando un numero di confezioni inferiore a quello prescritto, dandone comunicazione al medico prescrittore, ovvero può consegnare, in modo frazionato, le confezioni, purchè entro il termine di validità della ricetta e previa annotazione del numero di confezioni volta per volta consegnato.». 15. All’articolo 46 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1, le parole: «delle preparazioni indicate nelle tabelle I, II, III, IV e V previste» sono sostituite dalle seguenti: «dei medicinali compresi nella tabella dei medicinali, sezioni A, B, C e D, prevista»; b) al comma 4, le parole: «delle preparazioni» sono sostituite dalle seguenti: «dei medicinali». 16. All’articolo 47 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1, le parole: «delle preparazioni indicate nelle tabelle I, II, III, IV e V previste» sono sostituite dalle seguenti: «dei medicinali compresi nella tabella dei medicinali, sezioni A, B, C e D, prevista»; leg b) al comma 4, le parole: «delle preparazioni» sono sostituite dalle seguenti: «dei medicinali». 16 bis. Al comma 9 dell’articolo 50 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, le parole: “I, II, III, IV e V” sono sostituite dalle seguenti: “I, II, III e IV”. 17. All’articolo 54 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1, le parole: «tabelle I, II, III, IV e V di cui all’articolo 14» sono sostituite dalle seguenti: «tabelle di cui all’articolo 14, con esclusione dei medicinali di cui alle sezioni C, D ed E della tabella dei medicinali,»; b) al comma 2, le parole: «I, II, e III previste dall’articolo 14» sono sostituite dalle seguenti: «di cui all’articolo 14, con esclusione dei medicinali di cui alle sezioni B, C, D ed E della tabella dei medicinali,». 18. L’articolo 60 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, è sostituito dal seguente: «Art. 60 (Registro di entrata e uscita). - 1. Ogni acquisto o cessione, anche a titolo gratuito, di sostanze e di medicinali di cui alle tabelle previste dall’articolo 14, è iscritto in un registro speciale nel quale, senza alcuna lacuna, abrasione o aggiunta, in ordine cronologico, secondo una progressione numerica unica per ogni sostanza o medicinale, è tenuto in evidenza il movimento di entrata e di uscita delle stesse sostanze o medicinali. Tale registro è numerato e firmato in ogni pagina dal responsabile dell’azienda unità sanitaria locale o da un suo delegato che riporta nella prima pagina gli estremi della autorizzazione ministeriale e dichiara nell’ultima il numero delle pagine di cui il registro è costituito. Il registro è conservato da parte degli enti e delle imprese autorizzati alla fabbricazione, per la durata di dieci anni dal giorno dell’ultima registrazione. Detto termine è ridotto a cinque anni per le officine autorizzate all’impiego e per le imprese autorizzate al commercio all’ingrosso. Lo stesso termine è ridotto a due anni per le farmacie aperte al pubblico e per le farmacie ospedaliere. I direttori sanitari e i titolari di gabinetto di cui all’articolo 42, comma 1, conservano il registro di cui al presente comma per due anni dal giorno dell’ultima registrazione. 2. I responsabili delle farmacie aperte al pubblico e delle farmacie ospedaliere nonchè delle aziende autorizzate al commercio all’ingrosso riportano sul registro il movimento dei medicinali di cui alla tabella dei medicinali, sezioni A, B e C, secondo le modalità indicate al comma 1 e nel termine di quarantotto ore dalla dispensazione. 3. Le unità operative delle strutture sanitarie pubbliche e private, nonchè le unità operative dei servizi territoriali delle aziende sanitarie locali sono dotate di registro di carico e scarico dei medicinali di cui alla tabella dei medicinali, sezioni A, B e C, prevista dall’articolo 14. 4. I registri di cui ai commi 1 e 3 sono conformi ai modelli predisposti dal Ministero della salute e possono essere composti da un numero di pagine adeguato alla quantità di stupefacenti normalmente detenuti e movimentati. Arch. nuova proc. pen. 4/2014 415 leg L e g i s la z i o n e e d o c u m e n t a z i o n e 5. In alternativa ai registri di cui ai commi 1 e 3, il Ministero della salute stabilisce con proprio decreto le modalità di registrazione su supporto informatico della movimentazione delle sostanze e dei medicinali di cui alle tabelle previste dall’articolo 14. 6. Il registro di cui al comma 3 è vidimato dal direttore sanitario, o da un suo delegato, che provvede alla sua distribuzione. Il registro è conservato, in ciascuna unità operativa, dal responsabile dell’assistenza infermieristica per due anni dalla data dell’ultima registrazione. 7. Il dirigente medico preposto all’unità operativa è responsabile della effettiva corrispondenza tra la giacenza contabile e quella reale dei medicinali di cui alla tabella dei medicinali, sezioni A, B e C, prevista dall’articolo 14. 8. Il direttore responsabile del servizio farmaceutico compie periodiche ispezioni per accertare la corretta tenuta dei registri di reparto di cui al comma 3 e redige apposito verbale da trasmettere alla direzione sanitaria.». 19. All’articolo 61 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, il comma 1 è sostituito dal seguente: «1. Nel registro di cui all’articolo 60, comma 1, tenuto da enti e imprese autorizzati alla fabbricazione di sostanze stupefacenti o psicotrope nonchè dei medicinali, compresi nelle tabelle di cui all’articolo 14, è annotata ciascuna operazione di entrata e di uscita o di passaggio in lavorazione.». 20. All’articolo 62 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, il comma 1 è sostituito dal seguente: «1. Il registro di cui all’articolo 60, comma 1, tenuto dagli enti e imprese autorizzati all’impiego ed al commercio di sostanze stupefacenti o psicotrope nonchè dei medicinali di cui alle tabelle previste dall’articolo 14 ed il registro delle farmacie per quanto concerne i medicinali di cui alla tabella dei medicinali, sezioni A, B e C, dell’articolo 14, sono chiusi al 31 dicembre di ogni anno. La chiusura si compie mediante scritturazione riassuntiva di tutti i dati comprovanti i totali delle qualità e quantità dei prodotti avuti in carico e delle quantità e qualità dei prodotti impiegati o commercializzati durante l’anno, con l’indicazione di ogni eventuale differenza o residuo.». 21. All’articolo 63 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, il comma 1 è sostituito dal seguente: «1. Gli enti o le imprese autorizzati alla fabbricazione di sostanze stupefacenti o psicotrope nonchè dei medicinali compresi nelle tabelle di cui all’articolo 14 tengono anche un registro di lavorazione, numerato e firmato in ogni pagina da un funzionario del Ministero della salute all’uopo delegato, nel quale sono iscritte le quantità di materie prime poste in lavorazione, con indicazione della loro esatta denominazione e della data di entrata nel reparto di lavorazione, nonchè i prodotti ottenuti da ciascuna lavorazione. Tale registro è conservato per dieci anni a far data dall’ultima registrazione.». 22. Il comma 1 dell’articolo 65 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodi- 416 4/2014 Arch. nuova proc. pen. pendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, è sostituito dal seguente: «1. Gli enti e le imprese autorizzati alla produzione, alla fabbricazione e all’impiego di sostanze stupefacenti o psicotrope nonchè dei medicinali, compresi nelle tabelle di cui all’articolo 14, trasmettono al Ministero della salute, alla Direzione centrale per i servizi antidroga e alla competente unità sanitaria locale annualmente, non oltre il 31 gennaio di ciascun anno, i dati riassuntivi dell’anno precedente e precisamente: a) i risultati di chiusura del registro di carico e scarico; b) la quantità e qualità delle sostanze utilizzate per la produzione di medicinali preparati nel corso dell’anno; c) la quantità e la qualità dei medicinali venduti nel corso dell’anno; d) la quantità e la qualità delle giacenze esistenti al 31 dicembre.». 23. All’articolo 66 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, il comma 1 è sostituito dal seguente: «1. Gli enti e le imprese autorizzati ai sensi dell’articolo 17 che abbiano effettuato importazioni o esportazioni di sostanze stupefacenti o psicotrope nonchè di medicinali compresi nelle tabelle di cui all’articolo 14, trasmettono al Ministero della salute, entro quindici giorni dalla fine di ogni trimestre, i dati relativi ai permessi di importazione o di esportazione utilizzati nel corso del trimestre precedente. Gli enti e le imprese autorizzati alla fabbricazione trasmettono, altresì, un rapporto sulla natura e quantità delle materie prime ricevute e di quelle utilizzate per la lavorazione degli stupefacenti o sostanze psicotrope nonchè dei medicinali ricavati, e di quelli venduti nel corso del trimestre precedente. In tale rapporto, per l’oppio grezzo, nonchè per le foglie e pasta di coca è indicato il titolo in sostanze attive ad azione stupefacente.». 24. Gli articoli 69 e 71 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, sono abrogati. 24 bis. La rubrica del titolo VII del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, è sostituita dalla seguente: “Prescrizioni particolari relative ai precursori di droghe”. 24 ter. All’articolo 73 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni: a) il comma 5 è sostituito dal seguente: «5. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329.»; b) il comma 5 bis è sostituito dal seguente: «5 bis. Nell’ipotesi di cui al comma 5, limitatamente ai reati di cui al presente articolo commessi da persona tossicodipendente o da assuntore di sostanze stupefacenti o psicotrope, il L e g i s la z i o n e e d o c u m e n t a z i o n e giudice, con la sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, su richiesta dell’imputato e sentito il pubblico ministero, qualora non debba concedersi il beneficio della sospensione condizionale della pena, può applicare, anzichè le pene detentive e pecuniarie, quella del lavoro di pubblica utilità di cui all’articolo 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, secondo le modalità ivi previste. Con la sentenza il giudice incarica l’ufficio locale di esecuzione penale esterna di verificare l’effettivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità. L’ufficio riferisce periodicamente al giudice. In deroga a quanto disposto dal citato articolo 54 del decreto legislativo n. 274 del 2000, il lavoro di pubblica utilità ha una durata corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata. Esso può essere disposto anche nelle strutture private autorizzate ai sensi dell’articolo 116, previo consenso delle stesse. In caso di violazione degli obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, in deroga a quanto previsto dal citato articolo 54 del decreto legislativo n. 274 del 2000, su richiesta del pubblico ministero o d’ufficio, il giudice che procede, o quello dell’esecuzione, con le formalità di cui all’articolo 666 del codice di procedura penale, tenuto conto dell’entità dei motivi e delle circostanze della violazione, dispone la revoca della pena con conseguente ripristino di quella sostituita. Avverso tale provvedimento di revoca è ammesso ricorso per cassazione, che non ha effetto sospensivo. Il lavoro di pubblica utilità può sostituire la pena per non più di due volte.». 24 quater. All’articolo 75 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1, l’alinea è sostituito dal seguente: «Chiunque, per farne uso personale, illecitamente importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque detiene sostanze stupefacenti o psicotrope è sottoposto, per un periodo da due mesi a un anno, se si tratta di sostanze stupefacenti o psicotrope comprese nelle tabelle I e III previste dall’articolo 14, e per un periodo da uno a tre mesi, se si tratta di sostanze stupefacenti o psicotrope comprese nelle tabelle II e IV previste dallo stesso articolo, a una o più delle seguenti sanzioni amministrative:»; b) dopo il comma 1 è inserito il seguente: «1 bis. Ai fini dell’accertamento della destinazione ad uso esclusivamente personale della sostanza stupefacente o psicotropa o del medicinale di cui al comma 1, si tiene conto delle seguenti circostanze: a) che la quantità di sostanza stupefacente o psicotropa non sia superiore ai limiti massimi indicati con decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro della giustizia, sentita la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per le politiche antidroga, nonchè della modalità di presentazione delle sostanze stupefacenti o psicotrope, avuto riguardo al peso lordo complessivo o al confezionamento frazionato ovvero ad altre circostanze dell’azione, da cui risulti che le sostanze sono destinate ad un uso esclusivamente personale; b) che i medicinali contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope elencate nella tabella dei medicinali, sezioni A, B, C e D, non eccedano il quantitativo prescritto». 25. All’articolo 114 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui leg al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, il comma 2 è sostituito dal seguente: «2. Il perseguimento degli obiettivi previsti dal comma 1 può essere affidato dai comuni e dalle comunità montane o dalle loro associazioni alle competenti aziende unità sanitarie locali o alle strutture private autorizzate ai sensi dell’articolo 116.». 26. All’articolo 115 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, al comma 1 la parola: «ausiliari» è soppressa. 27. All’articolo 120 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, sono apportate le seguenti modificazioni: a) il comma 1 è sostituito dal seguente: «1. Chiunque fa uso di sostanze stupefacenti e di sostanze psicotrope può chiedere al servizio pubblico per le dipendenze o ad una struttura privata autorizzata ai sensi dell’articolo 116 e specificamente per l’attività di diagnosi, di cui al comma 2, lettera d), del medesimo articolo di essere sottoposto ad accertamenti diagnostici e di eseguire un programma terapeutico e socio-riabilitativo.»; b) al comma 3, le parole: «dell’unità» sono sostituite dalle seguenti: «delle aziende unità» e dopo le parole: «unità sanitarie locali,» sono inserite le seguenti: «e con le strutture private autorizzate ai sensi dell’articolo 116»; c) il comma 4 è sostituito dal seguente: «4. Gli esercenti la professione medica che assistono persone dedite all’uso di sostanze stupefacenti e di sostanze psicotrope possono, in ogni tempo, avvalersi dell’ausilio del servizio pubblico per le dipendenze e delle strutture private autorizzate ai sensi dell’articolo 116.»; d) il comma 7 è sostituito dal seguente: «7. Gli operatori del servizio pubblico per le dipendenze e delle strutture private autorizzate ai sensi dell’articolo 116 non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione della propria professione, nè davanti all’autorità giudiziaria nè davanti ad altra autorità. Agli stessi si applicano le disposizioni dell’articolo 200 del codice di procedura penale e si estendono le garanzie previste per il difensore dalle disposizioni dell’articolo 103 del codice di procedura penale in quanto applicabili.». 28. All’articolo 122 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, sono apportate le seguenti modificazioni: a) il comma 1 è sostituito dal seguente: «1. Il servizio pubblico per le dipendenze e le strutture private autorizzate ai sensi dell’articolo 116, compiuti i necessari accertamenti e sentito l’interessato, che può farsi assistere da un medico di fiducia autorizzato a presenziare anche agli accertamenti necessari, definiscono un programma terapeutico e socio-riabilitativo personalizzato che può prevedere, ove le condizioni psicofisiche del tossicodipendente lo consentano, in collaborazione con i centri di cui all’articolo 114 e avvalendosi delle cooperative di solidarietà sociale e delle associazioni di cui all’articolo 115, iniziative volte ad un pieno inserimento sociale attraverso l’orientamento e la formazione professionale, attività di pubblica utilità o di solidarietà sociale. Nell’ambito dei programmi terapeutici che lo prevedono, possono adottare Arch. nuova proc. pen. 4/2014 417 leg L e g i s la z i o n e e d o c u m e n t a z i o n e metodologie di disassuefazione, nonchè trattamenti psico-sociali e farmacologici adeguati. Il servizio pubblico per le dipendenze verifica l’efficacia del trattamento e la risposta del paziente al programma.»; b) al comma 2, le parole: «deve essere» sono sostituite dalla seguente: «viene» e dopo la parola: «studio» è inserita la seguente: «e»; c) al comma 3, le parole: «riabilitative iscritte in un albo regionale o provinciale» sono sostituite dalle seguenti: «private autorizzate ai sensi dell’articolo 116»; d) il comma 4 è sostituito dal seguente: «4. Quando l’interessato ritenga di attuare il programma presso strutture private autorizzate ai sensi dell’articolo 116 e specificamente per l’attività di diagnosi, di cui al comma 2, lettera d), del medesimo articolo, la scelta può cadere su qualsiasi struttura situata nel territorio nazionale che si dichiari di essere in condizioni di accoglierlo.». 28 bis. Al comma 1 dell’articolo 123 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, le parole: «alle tabelle I e II, sezioni A, B e C,” sono sostituite dalle seguenti: “alla tabella I e alla tabella dei medicinali». 29. All’articolo 127 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, il comma 8 è sostituito dal seguente: «8. I progetti di cui alle lettere a) e c) del comma 7 non possono prevedere la somministrazione delle sostanze stupefacenti o psicotrope incluse nelle tabelle I e II di cui all’articolo 14 e delle sostanze non inserite nella Farmacopea ufficiale, fatto salvo l’uso dei medicinali oppioidi prescrivibili.». 30. Al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, sono inserite le tabelle, previste dagli articoli 13, comma 1, e 14 del citato testo unico, come modificati dai commi 2 e 3 del presente articolo, nonchè l’allegato III bis, riportati nell’allegato A al presente decreto. 2. (Efficacia degli atti amministrativi adottati ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309). 1. A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto riprendono a produrre effetti gli atti amministrativi adottati sino alla data di pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 12 febbraio 2014, ai sensi del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni. 1 bis. Nei decreti applicativi del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, adottati dalla data di entrata in vigore della legge 21 febbraio 2006, n. 49, fino alla data di pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 12 febbraio 2014, ogni richiamo alla tabella II è da intendersi riferito alla tabella dei medicinali, di cui all’allegato A al presente decreto. 418 4/2014 Arch. nuova proc. pen. Capo II Impiego dei medicinali 3. (Disposizioni in materia di impiego di medicinali). 2. Dopo il comma 4 dell’articolo 1 del decreto legge 21 ottobre 1996, n. 536, convertito dalla legge 23 dicembre 1996, n. 648, è inserito il seguente: «4 bis. Anche se sussista altra alternativa terapeutica nell’ambito dei medicinali autorizzati, previa valutazione dell’Agenzia italiana del farmaco (AIFA), sono inseriti nell’elenco di cui al comma 4, con conseguente erogazione a carico del Servizio sanitario nazionale, i medicinali che possono essere utilizzati per un’indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata, purchè tale indicazione sia nota e conforme a ricerche condotte nell’ambito della comunità medico-scientifica nazionale e internazionale, secondo parametri di economicità e appropriatezza. In tal caso l’AIFA attiva idonei strumenti di monitoraggio a tutela della sicurezza dei pazienti e assume tempestivamente le necessarie determinazioni.». 4. (Entrata in vigore). 1. Il presente decreto entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana e sarà presentato alle Camere per la conversione in legge. (Si omettono le tabelle) II D.L. 31 marzo 2014, n. 52. Disposizioni urgenti in materia di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari (Gazzetta Ufficiale Serie gen. - n. 76 del 1 aprile 2014), convertito, con modificazioni, nella L. 30 maggio 2014, n. 81 (Gazzetta Ufficiale Serie gen. - n. 125 del 31 maggio 2014). 1. (Modifiche all’articolo 3 ter del decreto legge 22 dicembre 2011, n. 211, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 febbraio 2012, n. 9). 1. Al comma 4 dell’articolo 3 ter del decreto legge 22 dicembre 2011, n. 211, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 febbraio 2012, n. 9, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al primo periodo, le parole: «1° aprile 2014» sono sostituite dalle seguenti: «31 marzo 2015»; b) dopo il primo periodo sono aggiunti i seguenti: «Il giudice dispone nei confronti dell’infermo di mente e del seminfermo di mente l’applicazione di una misura di sicurezza, anche in via provvisoria, diversa dal ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario o in una casa di cura e custodia, salvo quando sono acquisiti elementi dai quali risulta che ogni misura diversa non è idonea ad assicurare cure adeguate e a fare fronte alla sua pericolosità sociale, il cui accertamento è effettuato sulla base delle qualità soggettive della persona e senza tenere conto delle condizioni di cui all’articolo 133, secondo comma, numero 4, del codice penale. Allo stesso modo provvede il magistrato di sorveglianza quando interviene ai sensi dell’articolo 679 del codice di procedura penale. Non costituisce elemento idoneo a supportare il giudizio di pericolosità sociale la sola mancanza di programmi terapeutici individuali». 1 bis. All’articolo 3 ter del decreto legge 22 dicembre 2011, n. 211, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 febbraio 2012, n. 9, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 6, dopo il terzo periodo sono inseriti i seguenti: «A tal fine le regioni, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, nell’ambito delle risorse destinate alla formazione, organizzano corsi di formazione per gli operatori L e g i s la z i o n e e d o c u m e n t a z i o n e del settore finalizzati alla progettazione e alla organizzazione di percorsi terapeutico-riabilitativi e alle esigenze di mediazione culturale. Entro il 15 giugno 2014, le regioni possono modificare i programmi presentati in precedenza al fine di provvedere alla riqualificazione dei dipartimenti di salute mentale, di contenere il numero complessivo di posti letto da realizzare nelle strutture sanitarie di cui al comma 2 e di destinare le risorse alla realizzazione o riqualificazione delle sole strutture pubbliche»; b) dopo il comma 8 è inserito il seguente: «8.1. Fino al superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, l’attuazione delle disposizioni di cui al presente Articolo costituisce adempimento ai fini della verifica del Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza.». 1 ter. I percorsi terapeutico-riabilitativi individuali di dimissione di ciascuna delle persone ricoverate negli ospedali psichiatrici giudiziari alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, di cui ai commi 5 e 6 dell’articolo 3 ter del decreto legge 22 dicembre 2011, n. 211, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 febbraio 2012, n. 9, e successive modificazioni, devono essere obbligatoriamente predisposti e inviati al Ministero della salute e alla competente autorità giudiziaria entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. I programmi sono predisposti dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano attraverso i competenti dipartimenti e servizi di salute mentale delle proprie aziende sanitarie, in accordo e con il concorso delle direzioni degli ospedali psichiatrici giudiziari. Per i pazienti per i quali è stata accertata la persistente pericolosità sociale, il programma documenta in modo puntuale le ragioni che sostengono l’eccezionalità e la transitorietà del prosieguo del ricovero. 1 quater. Le misure di sicurezza detentive provvisorie o definitive, compreso il ricovero nelle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, non possono durare oltre il tempo stabilito per la pena detentiva prevista per il reato commesso, avuto riguardo alla previsione edittale massima. Per la determinazione della pena a tali effetti si applica l’articolo 278 del codice di procedura penale. Per i delitti puniti con la pena dell’ergastolo non si applica la disposizione di cui al primo periodo. 2. Al fine di monitorare il rispetto del termine di cui all’articolo 3 ter, comma 4, del decreto legge 22 dicembre 2011, n. 211, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 febbraio 2012, n. 9, come modificato dal comma 1 del presente decreto, le regioni comunicano al Ministero della salute, al Ministero della giustizia e al comitato paritetico interistituzionale di cui all’articolo 5, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° aprile 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 126 del 30 leg maggio 2008, entro l’ultimo giorno del semestre successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto, lo stato di realizzazione e riconversione delle strutture di cui all’articolo 3 ter, comma 6, del decreto legge 22 dicembre 2011, n. 211, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 febbraio 2012, n. 9, nonchè tutte le iniziative assunte per garantire il completamento del processo di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari. Quando dalla comunicazione della regione risulta che lo stato di realizzazione e riconversione delle strutture e delle iniziative assunte per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari è tale da non garantirne il completamento entro il successivo semestre il Governo provvede in via sostitutiva a norma dell’articolo 3 ter, comma 9, del decreto legge 22 dicembre 2011, n. 211, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 febbraio 2012, n. 9. 2 bis. Entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto è attivato presso il Ministero della salute un organismo di coordinamento per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari composto da rappresentanti del Ministero della salute, del Ministero della giustizia, delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, al fine di esercitare funzioni di monitoraggio e di coordinamento delle iniziative assunte per garantire il completamento del processo di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari. A tal fine l’organismo di coordinamento si raccorda con il comitato paritetico interistituzionale di cui all’articolo 5, comma 2, del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1º aprile 2008. La partecipazione alle sedute dell’organismo di coordinamento non dà luogo alla corresponsione di compensi, gettoni, emolumenti, indennità o rimborsi spese comunque denominati. Ogni tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Ministro della salute e il Ministro della giustizia trasmettono alle Camere una relazione sullo stato di attuazione delle suddette iniziative. 3. Agli oneri derivanti dalla proroga prevista dal comma 1, pari a 4,38 milioni di euro per il 2014 ed a 1,46 milioni di euro per il 2015, si provvede mediante corrispondente riduzione, per i medesimi anni, dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 3 ter, comma 7, del decreto legge 22 dicembre 2011, n. 211, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 febbraio 2012, n. 9. Le relative risorse sono iscritte al pertinente programma dello stato di previsione del Ministero della giustizia per gli anni 2014 e 2015. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con proprio decreto, le occorrenti variazioni di bilancio. 2. (Entrata in vigore). 1. Il presente decreto entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sarà presentato alle Camere per la conversione in legge. Arch. nuova proc. pen. 4/2014 419 leg L e g i s la z i o n e e d o c u m e n t a z i o n e III L. 17 aprile 2014, n. 62. Modifica dell’articolo 416 ter del codice penale, in materia di scambio elettorale politico-mafioso (Gazzetta Ufficiale Serie gen. - n. 90 del 17 aprile 2014). 1. 1. L’articolo 416 ter del codice penale è sostituito dal seguente: «Art. 416 ter. - (Scambio elettorale politico-mafioso). - Chiunque accetta la promessa di procurare voti mediante le modalità di cui al terzo comma dell’articolo 416 bis in cambio dell’erogazione o della promessa di erogazione di denaro o di altra utilità è punito con la reclusione da quattro a dieci anni. La stessa pena si applica a chi promette di procurare voti con le modalità di cui al primo comma». 2. 1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. IV L. 28 aprile 2014, n. 67. Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili (Gazzetta Ufficiale Serie gen. - n. 100 del 2 maggio 2014). Capo I Deleghe al Governo 1. (Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie). 1. Il Governo è delegato ad adottare uno o più decreti legislativi per la riforma del sistema delle pene, con le modalità e nei termini previsti dai commi 2 e 3 e nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi: a) prevedere che le pene principali siano l’ergastolo, la reclusione, la reclusione domiciliare e l’arresto domiciliare, la multa e l’ammenda; prevedere che la reclusione e l’arresto domiciliari si espiano presso l’abitazione del condannato o altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza, di seguito denominato «domicilio», con durata continuativa o per singoli giorni della settimana o per fasce orarie; b) per i reati per i quali è prevista la pena dell’arresto o della reclusione non superiore nel massimo a tre anni, secondo quanto disposto dall’articolo 278 del codice di procedura penale, prevedere che la pena sia quella della reclusione domiciliare o dell’arresto domiciliare; c) per i delitti per i quali è prevista la pena della reclusione tra i tre e i cinque anni, secondo quanto disposto dall’articolo 278 del codice di procedura penale, prevedere che il giudice, tenuto conto dei criteri indicati dall’articolo 133 del codice penale, possa applicare la reclusione domiciliare; d) prevedere che, nei casi indicati nelle lettere b) e c), il giudice possa prescrivere l’utilizzo delle particolari modalità di controllo di cui all’articolo 275 bis del codice di procedura penale; e) prevedere che le disposizioni di cui alle lettere b) e c) non si applichino nei casi previsti dagli articoli 102, 103, 105 e 108 del codice penale; f) prevedere che il giudice sostituisca le pene previste nelle lettere b) e c) con le pene della reclusione o dell’arresto in carcere, qualora non risulti disponibile un domicilio idoneo ad assicurare la custodia del condannato ovvero quando il comportamento del condannato, per la violazione delle prescrizioni dettate o per la commissione di ulteriore reato, risulti incompatibile con la prosecuzione delle stesse, anche sulla base delle esigenze di tutela della persona offesa dal reato; 420 4/2014 Arch. nuova proc. pen. g) prevedere che, per la determinazione della pena agli effetti dell’applicazione della reclusione e dell’arresto domiciliare, si applichino, in ogni caso, i criteri di cui all’articolo 278 del codice di procedura penale; h) prevedere l’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 385 del codice penale nei casi di allontanamento non autorizzato del condannato dal luogo in cui sono in corso di esecuzione le pene previste dalle lettere b) e c); i) prevedere, altresì, che per i reati di cui alle lettere b) e c) il giudice, sentiti l’imputato e il pubblico ministero, possa applicare anche la sanzione del lavoro di pubblica utilità, con le modalità di cui alla lettera l); l) prevedere che il lavoro di pubblica utilità non possa essere inferiore a dieci giorni e consista nella prestazione di attività non retribuita in favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato; prevedere che la prestazione debba essere svolta con modalità e tempi che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute del condannato; prevedere che la durata giornaliera della prestazione non possa comunque superare le otto ore; m) escludere la punibilità di condotte sanzionate con la sola pena pecuniaria o con pene detentive non superiori nel massimo a cinque anni, quando risulti la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento, senza pregiudizio per l’esercizio dell’azione civile per il risarcimento del danno e adeguando la relativa normativa processuale penale; n) provvedere al coordinamento delle nuove norme in materia di pene detentive non carcerarie sia con quelle di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689, sia con quelle di cui alla legge 26 novembre 2010, n. 199, sia con la disciplina dettata dal testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n. 313, sia con quelle di cui alla legge 26 luglio 1975, n. 354, tenendo conto della necessità di razionalizzare e di graduare il sistema delle pene, delle sanzioni sostitutive e delle misure alternative applicabili in concreto dal giudice di primo grado. 2. I decreti legislativi previsti dal comma 1 sono adottati entro il termine di otto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge su proposta del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. Gli schemi dei decreti legislativi, a seguito di deliberazione preliminare del Consiglio dei ministri, sono trasmessi alle Camere, corredati di relazione tecnica, per l’espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, che sono resi entro il termine di trenta giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale i decreti possono essere emanati anche in mancanza dei predetti pareri. Qualora tale termine venga a scadere nei trenta giorni antecedenti allo spirare del termine previsto dal primo periodo o successivamente, la scadenza di quest’ultimo è prorogata di sessanta giorni. Nella redazione dei decreti legislativi di cui al presente comma il Governo tiene conto delle eventuali modificazioni della normativa vigente comunque intervenute fino al momento dell’esercizio della delega. I predetti decreti legislativi contengono, altresì, le disposizioni necessarie al coordinamento con le altre norme legislative vigenti nella stessa materia. 3. Entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore dell’ultimo dei decreti legislativi di cui al presente articolo possono essere emanati uno o più decreti legislativi correttivi e integrativi, con il rispetto del procedimento di cui al comma 2 nonchè dei principi e criteri direttivi di cui al comma 1. L e g i s la z i o n e e d o c u m e n t a z i o n e 4. Dall’attuazione della delega di cui al presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. 5. Le amministrazioni pubbliche interessate provvedono ai compiti derivanti dall’attuazione della delega con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente. 2. (Delega al Governo per la riforma della disciplina sanzionatoria). 1. Il Governo è delegato ad adottare, entro i termini e con le procedure di cui ai commi 4 e 5, uno o più decreti legislativi per la riforma della disciplina sanzionatoria dei reati e per la contestuale introduzione di sanzioni amministrative e civili, in ordine alle fattispecie e secondo i principi e criteri direttivi specificati nei commi 2 e 3. 2. La riforma della disciplina sanzionatoria nelle fattispecie di cui al presente comma è ispirata ai seguenti principi e criteri direttivi: a)trasformare in illeciti amministrativi tutti i reati per i quali è prevista la sola pena della multa o dell’ammenda, ad eccezione delle seguenti materie: 1)edilizia e urbanistica; 2)ambiente, territorio e paesaggio; 3)alimenti e bevande; 4)salute e sicurezza nei luoghi di lavoro; 5)sicurezza pubblica; 6)giochi d’azzardo e scommesse; 7)armi ed esplosivi; 8)elezioni e finanziamento ai partiti; 9)proprietà intellettuale e industriale; b) trasformare in illeciti amministrativi i seguenti reati previsti dal codice penale: 1) i delitti previsti dagli articoli 527, primo comma, e 528, limitatamente alle ipotesi di cui al primo e al secondo comma; 2) le contravvenzioni previste dagli articoli 652, 659, 661, 668 e 726; c) trasformare in illecito amministrativo il reato di cui all’articolo 2, comma 1 bis, del decreto legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, purchè l’omesso versamento non ecceda il limite complessivo di 10.000 euro annui e preservando comunque il principio per cui il datore di lavoro non risponde a titolo di illecito amministrativo, se provvede al versamento entro il termine di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione; d) trasformare in illeciti amministrativi le contravvenzioni punite con la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda, previste dalle seguenti disposizioni di legge: 1) articolo 11, primo comma, della legge 8 gennaio 1931, n. 234; 2) articolo 171 quater della legge 22 aprile 1941, n. 633; 3) articolo 3 del decreto legislativo luogotenenziale 10 agosto 1945, n. 506; 4) articolo 15, secondo comma, della legge 28 novembre 1965, n. 1329; 5) articolo 16, quarto comma, del decreto legge 26 ottobre 1970, n. 745, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 1970, n. 1034; 6) articolo 28, comma 2, del testo unico in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309; e) prevedere, per i reati trasformati in illeciti amministrativi, sanzioni adeguate e proporzionate alla gravità della violazione, leg alla reiterazione dell’illecito, all’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle sue conseguenze, nonchè alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche; prevedere come sanzione principale il pagamento di una somma compresa tra un minimo di euro 5.000 ed un massimo di euro 50.000; prevedere, nelle ipotesi di cui alle lettere b) e d), l’applicazione di eventuali sanzioni amministrative accessorie consistenti nella sospensione di facoltà e diritti derivanti da provvedimenti dell’amministrazione; f) indicare, per i reati trasformati in illeciti amministrativi, quale sia l’autorità competente ad irrogare le sanzioni di cui alla lettera e), nel rispetto dei criteri di riparto indicati nell’articolo 17 della legge 24 novembre 1981, n. 689; g) prevedere, per i casi in cui venga irrogata la sola sanzione pecuniaria, la possibilità di estinguere il procedimento mediante il pagamento, anche rateizzato, di un importo pari alla metà della stessa. 3. La riforma della disciplina sanzionatoria nelle fattispecie di cui al presente comma è ispirata ai seguenti principi e criteri direttivi: a) abrogare i reati previsti dalle seguenti disposizioni del codice penale: 1) delitti di cui al libro secondo, titolo VII, capo III, limitatamente alle condotte relative a scritture private, ad esclusione delle fattispecie previste all’articolo 491; 2) articolo 594; 3) articolo 627; 4) articoli 631, 632 e 633, primo comma, escluse le ipotesi di cui all’articolo 639 bis; 5) articolo 635, primo comma; 6) articolo 647; b) abrogare, trasformandolo in illecito amministrativo, il reato previsto dall’articolo 10 bis del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, conservando rilievo penale alle condotte di violazione dei provvedimenti amministrativi adottati in materia; c) fermo il diritto al risarcimento del danno, istituire adeguate sanzioni pecuniarie civili in relazione ai reati di cui alla lettera a); d) prevedere una sanzione pecuniaria civile che, fermo restando il suo carattere aggiuntivo rispetto al diritto al risarcimento del danno dell’offeso, indichi tassativamente: 1) le condotte alle quali si applica; 2) l’importo minimo e massimo della sanzione; 3) l’autorità competente ad irrogarla; e) prevedere che le sanzioni pecuniarie civili relative alle condotte di cui alla lettera a) siano proporzionate alla gravità della violazione, alla reiterazione dell’illecito, all’arricchimento del soggetto responsabile, all’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle sue conseguenze, nonchè alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche. 4. I decreti legislativi previsti dal comma 1 sono adottati entro il termine di diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge su proposta del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. Gli schemi dei decreti legislativi sono trasmessi alle Camere, corredati di relazione tecnica, ai fini dell’espressione dei pareri da parte delle Commissioni competenti per materia e per i profili finanziari, che sono resi entro il termine di trenta giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale i decreti sono emanati anche in mancanza dei predetti pareri. Qualora tale termine venga a scadere nei trenta giorni antecedenti allo spirare del termine previsto dal Arch. nuova proc. pen. 4/2014 421 leg L e g i s la z i o n e e d o c u m e n t a z i o n e primo periodo o successivamente, la scadenza di quest’ultimo è prorogata di sessanta giorni. Nella predisposizione dei decreti legislativi il Governo tiene conto delle eventuali modificazioni della normativa vigente comunque intervenute fino al momento dell’esercizio della delega. I decreti legislativi di cui al comma 1 contengono, altresì, le disposizioni necessarie al coordinamento con le altre norme legislative vigenti nella stessa materia. 5. Entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore dell’ultimo dei decreti legislativi di cui al presente articolo, possono essere emanati uno o più decreti correttivi ed integrativi, nel rispetto della procedura di cui al comma 4 nonchè dei principi e criteri direttivi di cui al presente articolo. Capo II Sospensione del procedimento con messa alla prova 3. (Modifiche al codice penale in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova). 1. Dopo l’articolo 168 del codice penale sono inseriti i seguenti: «Art. 168 bis (Sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato). - Nei procedimenti per reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonchè per i delitti indicati dal comma 2 dell’articolo 550 del codice di procedura penale, l’imputato può chiedere la sospensione del processo con messa alla prova. La messa alla prova comporta la prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonchè, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato. Comporta altresì l’affidamento dell’imputato al servizio sociale, per lo svolgimento di un programma che può implicare, tra l’altro, attività di volontariato di rilievo sociale, ovvero l’osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali. La concessione della messa alla prova è inoltre subordinata alla prestazione di lavoro di pubblica utilità. Il lavoro di pubblica utilità consiste in una prestazione non retribuita, affidata tenendo conto anche delle specifiche professionalità ed attitudini lavorative dell’imputato, di durata non inferiore a dieci giorni, anche non continuativi, in favore della collettività, da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le aziende sanitarie o presso enti o organizzazioni, anche internazionali, che operano in Italia, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato. La prestazione è svolta con modalità che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell’imputato e la sua durata giornaliera non può superare le otto ore. La sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato non può essere concessa più di una volta. La sospensione del procedimento con messa alla prova non si applica nei casi previsti dagli articoli 102, 103, 104, 105 e 108. Art. 168 ter (Effetti della sospensione del procedimento con messa alla prova). - Durante il periodo di sospensione del procedimento con messa alla prova il corso della prescrizione del reato è sospeso. Non si applicano le disposizioni del primo comma dell’articolo 161. L’esito positivo della prova estingue il reato per cui si procede. L’estinzione del reato non pregiudica l’applicazione delle sanzioni amministrative accessorie, ove previste dalla legge. 422 4/2014 Arch. nuova proc. pen. Art. 168 quater (Revoca della sospensione del procedimento con messa alla prova). - La sospensione del procedimento con messa alla prova è revocata: 1) in caso di grave o reiterata trasgressione al programma di trattamento o alle prescrizioni imposte, ovvero di rifiuto alla prestazione del lavoro di pubblica utilità; 2) in caso di commissione, durante il periodo di prova, di un nuovo delitto non colposo ovvero di un reato della stessa indole rispetto a quello per cui si procede». 4. (Modifiche al codice di procedura penale in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova). 1. Al codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni: a) nel libro sesto, dopo il titolo V è aggiunto il seguente: «Titolo V bis Sospensione del procedimento con messa alla prova Art. 464 bis (Sospensione del procedimento con messa alla prova). - 1. Nei casi previsti dall’articolo 168 bis del codice penale l’imputato può formulare richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova. 2. La richiesta può essere proposta, oralmente o per iscritto, fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli articoli 421 e 422 o fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado nel giudizio direttissimo e nel procedimento di citazione diretta a giudizio. Se è stato notificato il decreto di giudizio immediato, la richiesta è formulata entro il termine e con le forme stabiliti dall’articolo 458, comma 1. Nel procedimento per decreto, la richiesta è presentata con l’atto di opposizione. 3. La volontà dell’imputato è espressa personalmente o per mezzo di procuratore speciale e la sottoscrizione è autenticata nelle forme previste dall’articolo 583, comma 3. 4. All’istanza è allegato un programma di trattamento, elaborato d’intesa con l’ufficio di esecuzione penale esterna, ovvero, nel caso in cui non sia stata possibile l’elaborazione, la richiesta di elaborazione del predetto programma. Il programma in ogni caso prevede: a) le modalità di coinvolgimento dell’imputato, nonchè del suo nucleo familiare e del suo ambiente di vita nel processo di reinserimento sociale, ove ciò risulti necessario e possibile; b) le prescrizioni comportamentali e gli altri impegni specifici che l’imputato assume anche al fine di elidere o di attenuare le conseguenze del reato, considerando a tal fine il risarcimento del danno, le condotte riparatorie e le restituzioni, nonchè le prescrizioni attinenti al lavoro di pubblica utilità ovvero all’attività di volontariato di rilievo sociale; c) le condotte volte a promuovere, ove possibile, la mediazione con la persona offesa. 5. Al fine di decidere sulla concessione, nonchè ai fini della determinazione degli obblighi e delle prescrizioni cui eventualmente subordinarla, il giudice può acquisire, tramite la polizia giudiziaria, i servizi sociali o altri enti pubblici, tutte le ulteriori informazioni ritenute necessarie in relazione alle condizioni di vita personale, familiare, sociale ed economica dell’imputato. Tali informazioni devono essere portate tempestivamente a conoscenza del pubblico ministero e del difensore dell’imputato. Art. 464 ter (Richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova nel corso delle indagini preliminari). - 1. Nel corso delle indagini preliminari, il giudice, se è presentata una richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova, trasmette gli atti al pubblico ministero affinchè esprima il consenso o il dissenso nel termine di cinque giorni. L e g i s la z i o n e e d o c u m e n t a z i o n e 2. Se il pubblico ministero presta il consenso, il giudice provvede ai sensi dell’articolo 464 quater. 3. Il consenso del pubblico ministero deve risultare da atto scritto e sinteticamente motivato, unitamente alla formulazione dell’imputazione. 4. Il pubblico ministero, in caso di dissenso, deve enunciarne le ragioni. In caso di rigetto, l’imputato può rinnovare la richiesta prima dell’apertura del dibattimento di primo grado e il giudice, se ritiene la richiesta fondata, provvede ai sensi dell’articolo 464 quater. Art. 464 quater (Provvedimento del giudice ed effetti della pronuncia). - 1. Il giudice, se non deve pronunciare sentenza di proscioglimento a norma dell’articolo 129, decide con ordinanza nel corso della stessa udienza, sentite le parti nonchè la persona offesa, oppure in apposita udienza in camera di consiglio, della cui fissazione è dato contestuale avviso alle parti e alla persona offesa. Si applica l’articolo 127. 2. Il giudice, se ritiene opportuno verificare la volontarietà della richiesta, dispone la comparizione dell’imputato. 3. La sospensione del procedimento con messa alla prova è disposta quando il giudice, in base ai parametri di cui all’articolo 133 del codice penale, reputa idoneo il programma di trattamento presentato e ritiene che l’imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati. A tal fine, il giudice valuta anche che il domicilio indicato nel programma dell’imputato sia tale da assicurare le esigenze di tutela della persona offesa dal reato. 4. Il giudice, anche sulla base delle informazioni acquisite ai sensi del comma 5 dell’articolo 464 bis, e ai fini di cui al comma 3 del presente articolo può integrare o modificare il programma di trattamento, con il consenso dell’imputato. 5. Il procedimento non può essere sospeso per un periodo: a) superiore a due anni quando si procede per reati per i quali è prevista una pena detentiva, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria; b) superiore a un anno quando si procede per reati per i quali è prevista la sola pena pecuniaria. 6. I termini di cui al comma 5 decorrono dalla sottoscrizione del verbale di messa alla prova dell’imputato. 7. Contro l’ordinanza che decide sull’istanza di messa alla prova possono ricorrere per cassazione l’imputato e il pubblico ministero, anche su istanza della persona offesa. La persona offesa può impugnare autonomamente per omesso avviso dell’udienza o perchè, pur essendo comparsa, non è stata sentita ai sensi del comma 1. L’impugnazione non sospende il procedimento. 8. Nel caso di sospensione del procedimento con messa alla prova non si applica l’articolo 75, comma 3. 9. In caso di reiezione dell’istanza, questa può essere riproposta nel giudizio, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento. Art. 464 quinquies (Esecuzione dell’ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova). - 1. Nell’ordinanza che dispone la sospensione del procedimento con messa alla prova, il giudice stabilisce il termine entro il quale le prescrizioni e gli obblighi relativi alle condotte riparatorie o risarcitorie imposti devono essere adempiuti; tale termine può essere prorogato, su istanza dell’imputato, non più di una volta e solo per gravi motivi. Il giudice può altresì, con il consenso della persona offesa, autorizzare il pagamento rateale delle somme eventualmente dovute atitolo di risarcimento del danno. 2. L’ordinanza è immediatamente trasmessa all’ufficio di esecuzione penale esterna che deve prendere in carico l’imputato. 3. Durante la sospensione del procedimento con messa alla prova, il giudice, sentiti l’imputato e il pubblico ministero, può modificare con ordinanza le prescrizioni originarie, ferma re- leg stando la congruità delle nuove prescrizioni rispetto alle finalità della messa alla prova. Art. 464 sexies (Acquisizione di prove durante la sospensione del procedimento con messa alla prova). - 1. Durante la sospensione del procedimento con messa alla prova il giudice, con le modalità stabilite per il dibattimento, acquisisce, a richiesta di parte, le prove non rinviabili e quelle che possono condurre al proscioglimento dell’imputato. Art. 464 septies (Esito della messa alla prova). - 1. Decorso il periodo di sospensione del procedimento con messa alla prova, il giudice dichiara con sentenza estinto il reato se, tenuto conto del comportamento dell’imputato e del rispetto delle prescrizioni stabilite, ritiene che la prova abbia avuto esito positivo. A tale fine acquisisce la relazione conclusiva dell’ufficio di esecuzione penale esterna che ha preso in carico l’imputato e fissa l’udienza per la valutazione dandone avviso alle parti e alla persona offesa. 2. In caso di esito negativo della prova, il giudice dispone con ordinanza che il processo riprenda il suo corso. Art. 464 octies (Revoca dell’ordinanza). - 1. La revoca dell’ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova è disposta anche d’ufficio dal giudice con ordinanza. 2. Al fine di cui al comma 1 del presente articolo il giudice fissa l’udienza ai sensi dell’articolo 127 per la valutazione dei presupposti della revoca, dandone avviso alle parti e alla persona offesa almeno dieci giorni prima. 3. L’ordinanza di revoca è ricorribile per cassazione per violazione di legge. 4. Quando l’ordinanza di revoca è divenuta definitiva, il procedimento riprende il suo corso dal momento in cui era rimasto sospeso e cessa l’esecuzione delle prescrizioni e degli obblighi imposti. Art. 464 novies (Divieto di riproposizione della richiesta di messa alla prova). - 1. Nei casi di cui all’articolo 464 septies, comma 2, ovvero di revoca dell’ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova, l’istanza non può essere riproposta.»; b)dopo l’articolo 657 è inserito il seguente: «Art. 657 bis (Computo del periodo di messa alla prova dell’imputato in caso di revoca). - 1. In caso di revoca o di esito negativo della messa alla prova, il pubblico ministero, nel determinare la pena da eseguire, detrae un periodo corrispondente a quello della prova eseguita. Ai fini della detrazione, tre giorni di prova sono equiparati a un giorno di reclusione o di arresto, ovvero a 250 euro di multa o di ammenda.». 5. (Introduzione del capo X bis del titolo I delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale). 1. Dopo il capo X del titolo I delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, è inserito il seguente: «Capo X bis Disposizioni in materia di messa alla prova Art. 141 bis (Avviso del pubblico ministero per la richiesta di ammissione alla messa alla prova). - 1. Il pubblico ministero, anche prima di esercitare l’azione penale, può avvisare l’interessato, ove ne ricorrano i presupposti, che ha la facoltà di chiedere di essere ammesso alla prova, ai sensi dell’articolo 168 bis del codice penale, e che l’esito positivo della prova estingue il reato. Art. 141 ter (Attività dei servizi sociali nei confronti degli adulti ammessi alla prova). - 1. Le funzioni dei servizi sociali per la messa alla prova, disposta ai sensi dell’articolo 168 bis del codice penale, sono svolte dagli uffici locali di esecuzione penale Arch. nuova proc. pen. 4/2014 423 leg L e g i s la z i o n e e d o c u m e n t a z i o n e esterna, nei modi e con i compiti previsti dall’articolo 72 della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni. 2. Ai fini del comma 1, l’imputato rivolge richiesta all’ufficio locale di esecuzione penale esterna competente affinchè predisponga un programma di trattamento. L’imputato deposita gli atti rilevanti del procedimento penale nonchè le osservazioni e le proposte che ritenga di fare. 3. L’ufficio di cui al comma 2, all’esito di un’apposita indagine socio-familiare, redige il programma di trattamento, acquisendo su tale programma il consenso dell’imputato e l’adesione dell’ente o del soggetto presso il quale l’imputato è chiamato a svolgere le proprie prestazioni. L’ufficio trasmette quindi al giudice il programma accompagnandolo con l’indagine socio-familiare e con le considerazioni che lo sostengono. Nell’indagine e nelle considerazioni, l’ufficio riferisce specificamente sulle possibilità economiche dell’imputato, sulla capacità e sulla possibilità di svolgere attività riparatorie nonchè sulla possibilità di svolgimento di attività di mediazione, anche avvalendosi a tal fine di centri o strutture pubbliche o private presenti sul territorio. 4. Quando è disposta la sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato, l’ufficio di cui al comma 2 informa il giudice, con la cadenza stabilita nel provvedimento di ammissione e comunque non superiore a tre mesi, dell’attività svolta e del comportamento dell’imputato, proponendo, ove necessario, modifiche al programma di trattamento, eventuali abbreviazioni di esso ovvero, in caso di grave o reiterata trasgressione, la revoca del provvedimento di sospensione. 5. Alla scadenza del periodo di prova, l’ufficio di cui al comma 2 trasmette al giudice una relazione dettagliata sul decorso e sull’esito della prova medesima. 6. Le relazioni periodiche e quella finale dell’ufficio di cui al comma 2 del presente articolo sono depositate in cancelleria non meno di dieci giorni prima dell’udienza di cui all’articolo 464 septies del codice, con facoltà per le parti di prenderne visione ed estrarne copia.». 6. (Modifica al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n. 313, in materia di messa alla prova). 1. All’articolo 3 (L), comma 1, del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n. 313, dopo la lettera i) è inserita la seguente: «i bis) l’ordinanza che ai sensi dell’articolo 464 quater del codice di procedura penale dispone la sospensione del procedimento con messa alla prova.». 7. (Disposizioni in materia di pianta organica degli uffici locali di esecuzione penale esterna del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia). 1. Qualora, in relazione alle esigenze di attuazione del presente capo, si renda necessario procedere all’adeguamento numerico e professionale della pianta organica degli uffici di esecuzione penale esterna del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia, il Ministro della giustizia riferisce tempestivamente alle competenti Commissioni parlamentari in merito alle modalità con cui si provvederà al predetto adeguamento, previo stanziamento delle occorrenti risorse finanziarie da effettuare con apposito provvedimento legislativo. 424 4/2014 Arch. nuova proc. pen. 2. Entro il 31 maggio di ciascun anno, il Ministro della giustizia riferisce alle competenti Commissioni parlamentari in merito all’attuazione delle disposizioni in materia di messa alla prova. 8. (Regolamento del Ministro della giustizia per disciplinare le convenzioni in materia di lavoro di pubblica utilità conseguente alla messa alla prova dell’imputato). 1. Ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, il Ministro della giustizia, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, adotta un regolamento allo scopo di disciplinare le convenzioni che il Ministero della giustizia o, su delega di quest’ultimo, il presidente del tribunale, può stipulare con gli enti o le organizzazioni di cui al terzo comma dell’articolo 168 bis del codice penale, introdotto dall’articolo 3, comma 1, della presente legge. I testi delle convenzioni sono pubblicati nel sito internet del Ministero della giustizia e raggruppati per distretto di corte di appello. Capo III Sospensione del procedimento nei confronti degli irreperibili 9. (Modifiche al codice di procedura penale in materia di udienza preliminare). 1. Al comma 1 dell’articolo 419 del codice di procedura penale, le parole: «non comparendo sarà giudicato in contumacia» sono sostituite dalle seguenti: «, qualora non compaia, si applicheranno le disposizioni di cui agli articoli 420 bis, 420 ter, 420 quater e 420 quinquies». 2. L’articolo 420 bis del codice di procedura penale è sostituito dal seguente: «Art. 420 bis (Assenza dell’imputato). - 1. Se l’imputato, libero o detenuto, non è presente all’udienza e, anche se impedito, ha espressamente rinunciato ad assistervi, il giudice procede in sua assenza. 2. Salvo quanto previsto dall’articolo 420 ter, il giudice procede altresì in assenza dell’imputato che nel corso del procedimento abbia dichiarato o eletto domicilio ovvero sia stato arrestato, fermato o sottoposto a misura cautelare ovvero abbia nominato un difensore di fiducia, nonchè nel caso in cui l’imputato assente abbia ricevuto personalmente la notificazione dell’avviso dell’udienza ovvero risulti comunque con certezza che lo stesso è a conoscenza del procedimento o si è volontariamente sottratto alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo. 3. Nei casi di cui ai commi 1 e 2, l’imputato è rappresentato dal difensore. È altresì rappresentato dal difensore ed è considerato presente l’imputato che, dopo essere comparso, si allontana dall’aula di udienza o che, presente ad una udienza, non compare ad udienze successive. 4. L’ordinanza che dispone di procedere in assenza dell’imputato è revocata anche d’ufficio se, prima della decisione, l’imputato compare. Se l’imputato fornisce la prova che l’assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo, il giudice rinvia l’udienza e l’imputato può chiedere l’acquisizione di atti e documenti ai sensi dell’articolo 421, comma 3. Nel corso del giudizio di primo grado, l’imputato ha diritto di formulare richiesta di prove ai sensi dell’articolo 493. Ferma restando in ogni caso la validità degli atti regolarmente compiuti in precedenza, l’imputato può altresì chiedere la rinnovazione di prove già assunte. Nello stesso modo si procede se l’imputato dimostra che versava nell’assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento e che la prova dell’impedimento è pervenuta con ritardo senza sua colpa. L e g i s la z i o n e e d o c u m e n t a z i o n e 5. Il giudice revoca altresì l’ordinanza e procede a norma dell’articolo 420 quater se risulta che il procedimento, per l’assenza dell’imputato, doveva essere sospeso ai sensi delle disposizioni di tale articolo.». 3. L’articolo 420 quater del codice di procedura penale è sostituito dal seguente: «Art. 420 quater (Sospensione del processo per assenza dell’imputato). - 1. Fuori dei casi previsti dagli articoli 420 bis e 420 ter e fuori delle ipotesi di nullità della notificazione, se l’imputato non è presente il giudice rinvia l’udienza e dispone che l’avviso sia notificato all’imputato personalmente ad opera della polizia giudiziaria. 2. Quando la notificazione ai sensi del comma 1 non risulta possibile, e sempre che non debba essere pronunciata sentenza a norma dell’articolo 129, il giudice dispone con ordinanza la sospensione del processo nei confronti dell’imputato assente. Si applica l’articolo 18, comma 1, lettera b). Non si applica l’articolo 75, comma 3. 3. Durante la sospensione del processo, il giudice, con le modalità stabilite per il dibattimento, acquisisce, a richiesta diparte , le prove non rinviabili.». 4. L’articolo 420 quinquies del codice di procedura penale è sostituito dal seguente: «Art. 420 quinquies (Nuove ricerche dell’imputato e revoca della sospensione del processo). - 1. Alla scadenza di un anno dalla pronuncia dell’ordinanza di cui al comma 2 dell’articolo 420 quater, o anche prima quando ne ravvisi l’esigenza, il giudice dispone nuove ricerche dell’imputato per la notifica dell’avviso. Analogamente provvede a ogni successiva scadenza annuale, qualora il procedimento non abbia ripreso il suo corso. 2. Il giudice revoca l’ordinanza di sospensione del processo: a) se le ricerche di cui al comma 1 hanno avuto esito positivo; b) se l’imputato ha nel frattempo nominato un difensore di fiducia; c) in ogni altro caso in cui vi sia la prova certa che l’imputato è a conoscenza del procedimento avviato nei suoi confronti; d) se deve essere pronunciata sentenza a norma dell’articolo 129. 3. Con l’ordinanza di revoca della sospensione del processo, il giudice fissa la data per la nuova udienza, disponendo che l’avviso sia notificato all’imputato e al suo difensore, alle altre parti private e alla persona offesa, nonchè comunicato al pubblico ministero. 4. All’udienza di cui al comma 3 l’imputato può formulare richiesta ai sensi degli articoli 438 e 444.». 10. (Disposizioni in materia di dibattimento). 1. L’articolo 489 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente: «Art. 489 (Dichiarazioni dell’imputato contro il quale si è proceduto in assenza nell’udienza preliminare). - 1. L’imputato contro il quale si è proceduto in assenza nel corso dell’udienza preliminare può chiedere di rendere le dichiarazioni previste dall’articolo 494. 2. Se l’imputato fornisce la prova che l’assenza nel corso dell’udienza preliminare è riconducibile alle situazioni previste dall’articolo 420 bis, comma 4, è rimesso nel termine per formulare le richieste di cui agli articoli 438 e 444.». 2. All’articolo 490 del codice di procedura penale, le parole: «o contumace», ovunque ricorrono, sono soppresse. 3. All’articolo 513, comma 1, del codice di procedura penale, le parole: «contumace o» sono soppresse. leg 4. All’articolo 520 del codice di procedura penale, le parole: «contumace o», ovunque ricorrono, sono soppresse. 5. All’articolo 548, comma 3, del codice di procedura penale, le parole: «notificato all’imputato contumace e» sono soppresse. 11. (Disposizioni in materia di impugnazioni e di restituzione nel termine). 1. Alla lettera d) del comma 2 dell’articolo 585 del codice di procedura penale, le parole: «la notificazione o» e le parole: «per l’imputato contumace e» sono soppresse. 2. Il comma 4 dell’articolo 603 del codice di procedura penale è abrogato. 3. All’articolo 604 del codice di procedura penale, dopo il comma 5 è inserito il seguente: «5 bis. Nei casi in cui si sia proceduto in assenza dell’imputato, se vi è la prova che si sarebbe dovuto provvedere ai sensi dell’articolo 420 ter o dell’articolo 420 quater, il giudice di appello dichiara la nullità della sentenza e dispone il rinvio degli atti al giudice di primo grado. Il giudice di appello annulla altresì la sentenza e dispone la restituzione degli atti al giudice di primo grado qualora l’imputato provi che l’assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo di primo grado. Si applica l’articolo 489, comma 2.». 4. All’articolo 623, comma 1, del codice di procedura penale, la lettera b) è sostituita dalla seguente: «b) se è annullata una sentenza di condanna nei casi previsti dall’articolo 604, commi 1, 4 e 5 bis, la Corte di cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al giudice di primo grado.». 5. Dopo l’articolo 625 bis del codice di procedura penale è inserito il seguente: «Art. 625 ter (Rescissione del giudicato). - 1. Il condannato o il sottoposto a misura di sicurezza con sentenza passata in giudicato, nei cui confronti si sia proceduto in assenza per tutta la durata del processo, può chiedere la rescissione del giudicato qualora provi che l’assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo. 2. La richiesta è presentata, a pena di inammissibilità, personalmente dall’interessato o da un difensore munito di procura speciale autenticata nelle forme dell’articolo 583, comma 3, entro trenta giorni dal momento dell’avvenuta conoscenza del procedimento. 3. Se accoglie la richiesta, la Corte di cassazione revoca la sentenza e dispone la trasmissione degli atti al giudice di primo grado. Si applica l’articolo 489, comma 2.». 6. Il comma 2 dell’articolo 175 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente: «2. L’imputato condannato con decreto penale, che non ha avuto tempestivamente effettiva conoscenza del provvedimento, è restituito, a sua richiesta, nel termine per proporre opposizione, salvo che vi abbia volontariamente rinunciato.». 12. (Modifiche al codice penale in materia di prescrizione del reato). 1. Al primo comma dell’articolo 159 del codice penale, dopo il numero 3) è aggiunto il seguente: «3 bis) sospensione del procedimento penale ai sensi dell’articolo 420 quater del codice di procedura penale.». 2. Dopo il terzo comma dell’articolo 159 del codice penale, è aggiunto il seguente: «Nel caso di sospensione del procedimento ai sensi dell’articolo 420 quater del codice di procedura penale, la durata della sospensione della prescrizione del reato non può superare i termini previsti dal secondo comma dell’articolo 161 del presente codice». Arch. nuova proc. pen. 4/2014 425 leg L e g i s la z i o n e e d o c u m e n t a z i o n e 13. (Modalità e termini di comunicazione e gestione dei dati relativi all’assenza dell’imputato). 1. Con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’interno, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabiliti le modalità e i termini secondo i quali devono essere comunicati e gestiti i dati relativi all’ordinanza di sospensione del processo per assenza dell’imputato, al decreto di citazione in giudizio del medesimo e alle successive informazioni all’autorità giudiziaria. 14. (Modifica alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271). 1. Dopo l’articolo 143 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, è inserito il seguente: «Art. 143 bis (Adempimenti in caso di sospensione del processo per assenza dell’imputato). - 1. Quando il giudice dispone la sospensione ai sensi dell’articolo 420 quater del codice, la relativa ordinanza e il decreto di fissazione dell’udienza preliminare ovvero il decreto che dispone il giudizio o il decreto di citazione a giudizio sono trasmessi alla locale sezione di polizia giudiziaria, per l’inserimento nel Centro elaborazione dati, di cui all’articolo 8 della legge 1º aprile 1981, n. 121, e successive modificazioni.». 15. (Modifiche al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di 426 4/2014 Arch. nuova proc. pen. anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n. 313). 1. Al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n. 313, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 3 (L), comma 1, dopo la lettera i bis), introdotta dall’art. 6 della presente legge, è inserita la seguente: «i ter) i provvedimenti con cui il giudice dispone la sospensione del procedimento ai sensi dell’articolo 420 quater del codice di procedura penale.»; b) all’articolo 5 (L), comma 2, dopo la lettera l) è aggiunta la seguente: «l bis) ai provvedimenti con cui il giudice dispone la sospensione del procedimento ai sensi dell’articolo 420 quater del codice di procedura penale, quando il provvedimento è revocato.». Capo IV Disposizioni comuni 16. (Clausola di invarianza finanziaria). 1. Le amministrazioni interessate provvedono all’attuazione di ciascuno degli articoli da 2 a 15 nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Indice cronologico della giurisprudenza AVVERTENZA: La segnalazione m. sta ad indicare una pronuncia che viene riportata, nella pagina indicata, solo in massima. Cass. pen., sez. V, 18 luglio 2012, n. 29034 (ud. 8 maggio 2012), D’Urzo, m., pag. 397 Cass. pen., sez. IV, 19 settembre 2012, n. 35922 (ud. 11 luglio 2012), p.c. in proc. Ingrassia, m., pag. 408 Cass. pen., sez. V, 28 settembre 2012, n. 37655 (c.c. 17 aprile 2012), Cedis Spa ed altro, m., pag. 402 Cass. pen., sez. V, 28 settembre 2012, n. 37656 (c.c. 7 giugno 2012), Scozzari, m., pag. 401 Cass. pen., sez. V, 28 settembre 2012, n. 37670 (c.c. 5 luglio 2012), Pmt in proc. Ferrini e altro, m., pag. 394 Cass. pen., sez. V, 28 settembre 2012, n. 37673 (c.c. 5 luglio 2012), Flachi, m., pag. 404 Cass. pen., sez. V, 28 settembre 2012, n. 37677 (c.c. 10 luglio 2012), Cornicello, m., pag. 398 Cass. pen., sez. V, 5 ottobre 2012, n. 39407 (ud. 18 luglio 2012), Baracca, m., pag. 400 Cass. pen., sez. IV, 9 ottobre 2012, n. 39898 (ud. 3 luglio 2012), P.C. in proc. Giacalone, m., pag. 398 Cass. pen., sez. V, 15 ottobre 2012, n. 40404 (c.c. 17 aprile 2012), P.C. in proc. Bosio, m., pag. 402 Cass. pen., sez. V, 15 ottobre 2012, n. 40407 (c.c. 17 aprile 2012), R.C. in proc. De Berardinis e altro, m., pag. 403 Cass. pen., sez. IV, 18 ottobre 2012, n. 40896 (ud. 28 settembre 2012), P.G. in proc. Del Pozzo, m., pag. 398 Cass. pen., sez. IV, 18 ottobre 2012, n. 40897 (ud. 28 settembre 2012), Migliorino, m., pag. 389 Cass. pen., sez. IV, 31 ottobre 2012, n. 42496 (c.c. 19 settembre 2012), P.G. in proc. Mercuri, m., pag. 393 Cass. pen., sez. V, 7 novembre 2012, n. 42950 (ud. 17 settembre 2012), Xhini, m., pag. 392 Cass. pen., sez. IV, 15 novembre 2012, n. 44840 (ud. 11 ottobre 2012), P.G. in proc. Tedeschi, m., pag. 405 Cass. pen., sez. V, 23 novembre 2012, n. 45853 (ud. 10 ottobre 2012), Mancini, m., pag. 406 Cass. pen., sez. V, 23 novembre 2012, n. 45861 (c.c. 10 ottobre 2012), P.G. in proc. Liso, m., pag. 391 Cass. pen., sez. II, 27 novembre 2012, n. 46065 (ud. 8 novembre 2012), Consagra, m., pag. 389 Cass. pen., sez. I, 4 dicembre 2012, n. 46797 (ud. 6 novembre 2012), Pandaj, m., pag. 406 Cass. pen., sez. IV, 12 dicembre 2012, n. 48000 (c.c. 30 novembre 2012), Chanoux ed altro, m., pag. 393 Cass. pen., sez. IV, 14 dicembre 2012, n. 48436 (c.c. 17 ottobre 2012), V. e altro, m., pag. 410 Cass. pen., sez. II, 4 gennaio 2013, n. 150 (ud. 18 ottobre 2012), Andreicik e altri, m., pag. 392, 399, 405 Cass. pen., sez. V, 7 gennaio 2013, n. 240 (ud. 30 novembre 2012), C., m., pag. 408 Cass. pen., sez. V, 8 gennaio 2013, n. 747 (ud. 28 settembre 2012), P.G. in proc. T. e altri, m., pag. 399 Cass. pen., sez. V, 9 gennaio 2013, n. 1131 (ud. 29 novembre 2012), Siano, m., pag. 394 Cass. pen., sez. V, 9 gennaio 2013, n. 1139 (ud. 30 novembre 2012), Scommegna, m., pag. 397 Cass. pen., sez. I, 17 gennaio 2013, n. 2632 (c.c. 23 novembre 2012), La Perla S.a.s., m., pag. 391 Cass. pen., sez. I, 17 gennaio 2013, n. 2638 (c.c. 11 dicembre 2012), Savoca, m., pag. 394 Cass. pen., sez. I, 17 gennaio 2013, n. 2664 (c.c. 11 dicembre 2012), Confl. comp. in proc. Sannino, m., pag. 393 Cass. pen., sez. I, 17 gennaio 2013, n. 2673 (c.c. 13 dicembre 2012), Budetta, m., pag. 392 Cass. pen., sez. IV, 18 gennaio 2013, n. 2773 (ud. 27 novembre 2012), Colò, m., pag. 393 Cass. pen., sez. IV, 18 gennaio 2013, n. 2820 (c.c. 30 novembre 2012), Pmt in proc. Drigo, m., pag. 398 Cass. pen., sez. I, 21 gennaio 2013, n. 2865 (c.c. 13 dicembre 2012), Mennai, m., pag. 396 Cass. pen., sez. 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