Consulta il fascicolo n. 4/2014

Indice sommario
Dottrina
Borasi Ivan: Condizione volontaria versus atto
processuale penale, pag. 327
Minnella Carmelo: Divieto di avvicinamento anti
- stalking ex art. 282 ter c.p.p.: il conflitto in Cassazione sui contenuti della misura cautelare,
pag. 379
Russo Licia: La vigilanza privata nel contrasto alla
pirateria. Quali prospettive?, pag. 332
Bibliografia
Corso Stefano Maria: Codice della responsabilità
“da reato” degli enti, pag. 335
Degl’Innocenti Leonardo, Faldi Francesco: I benefici penitenziari, pag. 335
Dell’Agli Carlo: Scritti giuridici, pag. 335
Giurisprudenza
Appello penale
Cognizione del giudice di appello – Benefici – Pronuncia di condanna in riforma dell’assoluzione di
primo grado. F Cass. pen., sez. VI, 28 marzo 2013,
n. 14758 (ud. 27 marzo 2013), V., m., pag. 389
Cognizione del giudice di appello – Circostanze –
Impugnazione del p.m.. F Cass. pen., sez. IV, 26
febbraio 2013, n. 9159 (ud. 8 gennaio 2013), B.,
m., pag. 389
Cognizione del giudice di appello – Reformatio in
peius – Appello del solo imputato ai fini della
diminuzione della pena. F Cass. pen., sez. I, 18
febbraio 2013, n. 7904 (ud. 12 giugno 2012),
Ippoliti, m., pag. 389
Cognizione del giudice di appello – Reformatio in
peius – Estensione del divieto alle statuizioni
civili. F Cass. pen., sez. V, 20 febbraio 2013, n.
8339 (ud. 18 ottobre 2012), T., m., pag. 389
Decreto di citazione – Difensore designato dopo
la notificazione a quello risultante dagli atti –
Nuova notifica. F Cass. pen., sez. IV, 28 marzo
2013, n. 14700 (ud. 10 gennaio 2013), Sigrisi, m.,
pag. 389
Decreto di citazione – Termine per il giudizio –
Violazione del termine di venti giorni. F Cass.
pen., sez. IV, 18 ottobre 2012, n. 40897 (ud. 28
settembre 2012), Migliorino, m., pag. 389
Dibattimento – Rinnovazione dell’istruzione –
Diversa valutazione di attendibilità di un teste
ritenuto in primo grado inattendibile. F Cass.
pen., sez. VI, 12 aprile 2013, n. 16566 (ud. 26
febbraio 2013), Caboni ed altro, m., pag. 389
Dibattimento – Rinnovazione dell’istruzione – Giudizio abbreviato. F Cass. pen., sez. III, 6 febbraio
2013, n. 5854 (ud. 29 novembre 2012), R., m.,
pag. 389
Dibattimento – Rinnovazione dell’istruzione –
Obbligatorietà in caso di reformatio in peius
in appello di sentenza di assoluzione. F Cass.
pen., sez. II, 27 novembre 2012, n. 46065 (ud. 8
novembre 2012), Consagra, m., pag. 389
Dibattimento – Rinnovazione dell’istruzione – Prova nuova disposta dal giudice. F Cass. pen., sez.
VI, 21 febbraio 2013, n. 8700 (ud. 21 gennaio
2013), Leonardo e altri, m., pag. 390
Dibattimento – Rinnovazione dell’istruzione –
Prova sopravvenuta o scoperta. F Cass. pen.,
sez. III, 12 marzo 2013, n. 11530 (ud. 29 gennaio
2013), A.E., m., pag. 390
Dibattimento – Rinnovazione dell’istruzione –
Sentenza di proscioglimento. F Cass. pen., sez.
IV, 25 gennaio 2013, n. 4100 (ud. 6 dicembre
2012), Bifulco, m., pag. 390
Provvedimenti appellabili e inappellabili – Appello
contro sentenza di assoluzione nella vigenza
della legge n. 46 del 2006 – Omessa pronuncia.
F Cass. pen., sez. VI, 7 marzo 2013, n. 10887 (ud.
11 ottobre 2012), Alfiero e altri, m., pag. 390
Applicazione della pena su richiesta delle parti
Pena – Applicazione di pena detentiva superiore
ai due anni – Applicazione delle pene accessorie
e condanna alle spese processuali. F Cass. pen.,
sez. VI, 21 febbraio 2013, n. 8723 (c.c. 6 febbraio
2013), P.G. in proc. Crudele, m., pag. 390
Pena – Determinazione – Mancato riconoscimento
di attenuante concordata. F Cass. pen., sez. VI,
7 febbraio 2013, n. 6157 (c.c. 14 gennaio 2013),
Antonelli, m., pag. 390
Pena – Effetti penali della condanna ai fini della
recidiva – Estinzione. F Cass. pen., sez. III, 13
febbraio 2013, n. 7067 (ud. 12 dicembre 2012),
Micillo, m., pag. 390
Richiesta – Procura speciale rilasciata al difensore
– Declaratoria di contumacia. F Cass. pen., sez.
IV, 28 gennaio 2013, n. 4226 (c.c. 8 gennaio
2013), Evangelista, m., pag. 390
Sentenza – Annullamento in cassazione per erronea qualificazione giuridica del fatto – Formula
dell’annullamento. F Cass. pen., sez. VI, 14 febbraio 2013, n. 7391 (c.c. 23 gennaio 2013), Padolecchia, m., pag. 390
Sentenza – Congruità della pena – Omessa specificazione dell’aumento per la continuazione.
F Cass. pen., sez. VI, 14 febbraio 2013, n. 7401
(c.c. 31 gennaio 2013), P.G. in proc. Gjataj e altri,
m., pag. 390
Sentenza – Controllo sulla corretta qualificazione
giuridica del fatto – Verifica sostanziale del giudice di merito. F Cass. pen., sez. VI, 7 febbraio
2013, n. 6156 (c.c. 14 gennaio 2013), P.G. in proc.
Pavlik, m., pag. 390
Sentenza – Erronea qualificazione giuridica del
fatto – Deducibilità come motivo di ricorso per
cassazione. F Cass. pen., sez. VI, 2 aprile 2013,
n. 15009 (c.c. 27 novembre 2012), Bisignani, m.,
pag. 391
Sentenza – Motivazione – Mancato riconoscimento di una attenuante non richiesta. F Cass. pen.,
sez. VI, 14 febbraio 2013, n. 7401 (c.c. 31 gennaio 2013), P.G. in proc. Gjataj e altri, m., pag. 391
Sentenza – Omessa dichiarazione di falsità di un
atto – Legittimazione della corte di cassazione
ad adottare i provvedimenti di cui all’art. 537
c.p.p.. F Cass. pen., sez. V, 23 novembre 2012,
n. 45861 (c.c. 10 ottobre 2012), P.G. in proc. Liso,
m., pag. 391
Sentenza – Ricorso per cassazione – Sindacato
sulla misura della pena. F Cass. pen., sez. III,
6 marzo 2013, n. 10286 (c.c. 13 febbraio 2013),
Matteliano, m., pag. 391
Atti e provvedimenti del giudice penale
Atti abnormi – Illegittima applicazione della pena
detentiva congiuntamente a quella pecuniaria –
Nel caso in cui tali pene siano previste come alternative – Abnormità o inesistenza del relativo
provvedimento – Esclusione. F Cass. pen., sez. I,
28 marzo 2014, n. 14677 (ud. 20 gennaio 2014),
Medulla, pag. 358
Correzione di errori materiali – Procedimento –
Sospensione condizionale della pena. F Cass.
pen., sez. I, 17 gennaio 2013, n. 2632 (c.c. 23
novembre 2012), La Perla S.a.s.., m., pag. 391
Declaratoria di determinate cause di non punibilità – Udienza preliminare – Sussistenza di
causa estintiva del reato. F Cass. pen., sez. VI,
10 aprile 2013, n. 16386 (c.c. 29 gennaio 2013),
Tarantino, m., pag. 391
Motivazione – Contrasto tra dispositivo e motivazione – Individuazione della volontà decisoria. F
Cass. pen., sez. V, 20 febbraio 2013, n. 8363 (ud.
17 gennaio 2013), Rimbano, m., pag. 391
Motivazione – Motivazione in appello che ometta
di considerare la motivazione della sentenza di
primo grado – Illegittimità. F Cass. pen., sez. V,
20 febbraio 2013, n. 8343 (ud. 24 ottobre 2012),
E. e altri, m., pag. 391
Provvedimenti in camera di consiglio – Legittimo
impedimento del difensore – Rilevanza ai fini
dell’eventuale rinvio dell’udienza. F Cass. pen.,
sez. I, 5 febbraio 2013, n. 5722 (c.c. 20 dicembre
2012), Morano, m., pag. 391
Provvedimenti in camera di consiglio – Udienza
– Impedimento del difensore – Per adesione all’astensione collettiva dalle udienze – Richiesta
di rinvio o sospensione – Ingiustificato diniego
della richiesta di rinvio – Nullità a regime intermedio – Configurabilità – Sussistenza. F Cass.
pen., sez. I, 31 marzo 2014, n. 14775 (ud. 12
marzo 2014), Lapresa, pag. 354
Atti processuali penali
Lingua italiana – Conversazioni telefoniche in
dialetto – Obbligo di traduzione. F Cass. pen.,
sez. I, 31 gennaio 2013, n. 4888 (c.c. 26 ottobre
2012), Antona, m., pag. 391
Azione penale
Notizia di reato – Iscrizione nel registro – Nuovo
reato a carico del medesimo indagato. F Cass.
pen., sez. II, 4 gennaio 2013, n. 150 (ud. 18 ottobre 2012), Andreicik e altri, m., pag. 392
Casellario giudiziale
Iscrizioni riportanti le imputazioni – Correzione –
Richiesta. F Cass. pen., sez. I, 17 gennaio 2013,
n. 2673 (c.c. 13 dicembre 2012), Budetta, m.,
pag. 392
indice sommario
II
Cassazione penale
Giudizio di rinvio – Poteri del giudice di rinvio –
Valutazione delle risultanze processuali. F Cass.
pen., sez. V, 15 febbraio 2013, n. 7567 (c.c. 24
settembre 2012), Scavetto, m., pag. 392
Motivi di ricorso – Illogicità della motivazione
– Impiego di non corretti criteri inferenziali. F
Cass. pen., sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 6582
(c.c. 13 novembre 2012), Cerrito, m., pag. 392
Motivi di ricorso – Illogicità della motivazione –
Sindacato sulla motivazione. F Cass. pen., sez.
V, 6 marzo 2013, n. 10411 (ud. 28 gennaio 2013),
Viola, m., pag. 392
Motivi di ricorso – Mancanza della motivazione
– Elementi probatori. F Cass. pen., sez. II, 27
febbraio 2013, n. 9242 (ud. 8 febbraio 2013),
Reggio, m., pag. 392
Motivi di ricorso – Mancanza della motivazione –
Pedissequa riproduzione del contenuto di altro
provvedimento. F Cass. pen., sez. IV, 12 febbraio
2013, n. 7031 (c.c. 5 febbraio 2013), Conti, m.,
pag. 392
Motivi di ricorso – Mancata assunzione di prova
decisiva – Applicabilità anche nel caso di assunzione di una prova sollecitata al giudice ex
art. 507 c.p.p. F Cass. pen., sez. II, 1 marzo 2013,
n. 9763 (ud. 6 febbraio 2013), Pg in proc. Muraca
e altri, m., pag. 392
Poteri della Cassazione – Prescrizione maturata
prima della pronunzia della sentenza impugnata
– Rilevabilità d’ufficio. F Cass. pen., sez. V, 7 novembre 2012, n. 42950 (ud. 17 settembre 2012),
Xhini, m., pag. 392
Procedimento – Acquisizione di sentenze irrevocabili – Possibilità. F Cass. pen., sez. VI, 23
gennaio 2013, n. 3702 (ud. 4 dicembre 2012),
Capasso e altri, m., pag. 392
Sentenza – Annullamento con rinvio – Dell’appello proposto dalla parte civile – Avverso sentenza
assolutoria – Dichiarazione erronea d’inammissibilità – Rinvio al giudice penale che ha emesso il provvedimento annullato – Sussistenza. F
Cass. pen., sez. V, 24 marzo 2014, n. 13835 (ud.
11 dicembre 2013), Persia, pag. 360
Sentenza – Annullamento con rinvio – Estinzione
del reato. F Cass. pen., sez. V, 21 marzo 2013, n.
13316 (ud. 14 febbraio 2013), Pesce e altri, m.,
pag. 393
Circolazione stradale
Guida in stato di ebbrezza – Accertamento –
Modalità – Alcoltest – Scontrini con esito dell’accertamento etilometrico – Utilizzabilità – In
dibattimento – Nullità – Esclusione. F Cass.
pen., sez. IV, 1 febbraio 2013, n. 5470 (ud. 22
maggio 2012), Russo, m., pag. 393
Guida in stato di ebbrezza – Patteggiamento –
Determinazione della pena secondo la legge
vigente al momento del fatto. F Cass. pen., sez.
IV, 31 ottobre 2012, n. 42496 (c.c. 19 settembre
2012), P.G. in proc. Mercuri, m., pag. 393
Guida in stato di ebbrezza – Patteggiamento –
Omessa confisca del veicolo. – Annullamento
senza rinvio con contestuale applicazione della
confisca. F Cass. pen., sez. IV, 12 dicembre 2012,
n. 48000 (c.c. 30 novembre 2012), Chanoux ed
altro, m., pag. 393
Guida in stato di ebbrezza – Sospensione condizionale della pena – Diniego della sospensione
condizionale della pena e della non menzione
della condanna. F Cass. pen., sez. IV, 18 gennaio
2013, n. 2773 (ud. 27 novembre 2012), Colò, m.,
pag. 393
Circostanze del reato
Concorso di aggravanti e attenuanti (giudizio
di comparazione) – Recidiva – Contestazione
generica. F Cass. pen., sez. I, 12 aprile 2013,
n. 16606 (ud. 9 novembre 2012), P.G. in proc.
Scalzo, m., pag. 393
Competenza penale
Competenza per territorio – Incompetenza –
Eccezione sollevata per la prima volta nel
corso del giudizio in Cassazione – Ammissibilità – Condizioni. F Cass. pen., sez. VI, 20
marzo 2014, n. 13096 (c.c. 5 marzo 2014), De
Santis, pag. 374
Competenza per territorio – Reato a consumazione
prolungata – Concorso di più soggetti residenti
in luoghi diversi. F Cass. pen., sez. II, 14 marzo
2013, n. 11922 (c.c. 12 dicembre 2012), Lavitola,
m., pag. 393
Conflitti – Erronea dichiarazione di nullità del
decreto che dispone il giudizio e restituzione
degli atti al p.m. – Nuova richiesta di rinvio
a giudizio da parte del p.m. al gup. F Cass.
pen., sez. I, 17 gennaio 2013, n. 2664 (c.c. 11
dicembre 2012), Confl. comp. in proc. Sannino, m., pag. 393
Connessione di procedimenti – Continuazione –
Spostamento della competenza. F Cass. pen.,
sez. I, 21 febbraio 2013, n. 8526 (c.c. 9 gennaio
2013), Confl. comp. in proc. Baruffo e altri, m.,
pag. 393
Cosa giudicata penale
Effetti – Inammissibilità di un secondo giudizio
– Accertamento in sede di legittimità. F Cass.
pen., sez. V, 31 gennaio 2013, n. 5099 (ud. 11
dicembre 2012), Bisconti, m., pag. 394
Effetti – Inammissibilità di un secondo giudizio
– Assoluzione dal delitto di peculato avente ad
oggetto notizie di ufficio. F Cass. pen., sez. VI,
28 febbraio 2013, n. 9726 (ud. 21 febbraio 2013),
Carta e altro, m., pag. 394
Effetti – Inammissibilità di un secondo giudizio –
Pendenza nella stessa sede di un processo per
gli stessi fatti nei confronti dello stesso imputato. F Cass. pen., sez. V, 28 settembre 2012, n.
37670 (c.c. 5 luglio 2012), Pmt in proc. Ferrini e
altro, m., pag. 394
Effetti – Inammissibilità di un secondo giudizio –
Violazione dedotta per la prima volta in sede di
legittimità. F Cass. pen., sez. V, 9 gennaio 2013,
n. 1131 (ud. 29 novembre 2012), Siano, m., pag.
394
Difesa e difensori
Incompatibilità – Imputati che abbiano reso dichiarazioni sulla responsabilità di altro imputato
– Divieto di assunzione della difesa da parte di
uno stesso difensore F Cass. pen., sez. VI, 7 marzo 2013, n. 10887 (ud. 11 ottobre 2012), Alfiero e
altri, m., pag. 394
Edilizia e urbanistica
Licenza e concessione edilizia – Ordine di demolizione – Delibera di acquisizione al patrimonio
comunale. F Cass. pen., sez. III, 22 marzo 2013,
n. 13746 (c.c. 29 gennaio 2013), Falco e altro,
m., pag. 394
Esecuzione in materia penale
Abolizione del reato – Revoca della sentenza –
Indagine del giudice dell’esecuzione in ordine
alla sussistenza delle condizioni. F Cass. pen.,
sez. I, 17 gennaio 2013, n. 2638 (c.c. 11 dicembre
2012), Savoca, m., pag. 394
Competenza – Competenza funzionale – Giudice
della revisione. F Cass. pen., sez. I, 22 aprile
2013, n. 18360 (c.c. 25 marzo 2013), Confl. comp.
in proc. di Leo, m., pag. 394
Competenza – Pluralità di imputati – Sentenza
di assoluzione in appello solo per uno di essi –
Competenza del giudice di secondo grado anche
in riferimento agli altri coimputati per i quali
viene confermata la condanna – Sussistenza. F
Cass. pen., sez. I, 28 marzo 2014, n. 14686 (c.c.
28 febbraio 2014), Confl. comp. Trib. Taranto in
proc. Corte App. Lecce, pag. 356
Competenza – Sentenza riformata in appello solo
in relazione all’ordine di demolizione – Individuazione. F Cass. pen., sez. I, 31 gennaio 2013,
n. 4914 (c.c. 19 dicembre 2012), Pg in proc. Silvestri, m., pag. 394
Computo della pena – Concorso formale e reato
continuato – Continuazione tra reati giudicati
con rito ordinario e reati giudicato con rito abbreviato. F Cass. pen., sez. III, 25 febbraio 2013,
n. 9038 (c.c. 20 novembre 2012), Micheletti, m.,
pag. 394
Disciplina del concorso formale e del reato continuato – Ambito di applicazione – Accertamento
della continuazione. F Cass. pen., sez. I, 21
febbraio 2013, n. 8513 (c.c. 9 gennaio 2013),
Cardinale, m., pag. 395
Pene concorrenti – Sopravvenienza di provvedimento di cumulo – Domanda di applicazione
della continuazione. F Cass. pen., sez. I, 14 febbraio 2013, n. 7333 (c.c. 9 novembre 2012), Di
Cuonzo, m., pag. 395
Procedimento di esecuzione – Annullamento senza rinvio di uno o più capi della sentenza di condanna – Sospensione condizionale della pena. F
Cass. pen., sez. I, 12 aprile 2013, n. 16679 (c.c. 1
marzo 2013), Corlando, m., pag. 395
Procedimento di esecuzione – Confisca – Immediata ricorribilità. F Cass. pen., sez. I, 25 gennaio
2013, n. 4083 (c.c. 11 gennaio 2013), Tabbì, m.,
pag. 395
Procedimento di esecuzione – Confisca – Ricorribilità per cassazione. F Cass. pen., sez. I, 25
gennaio 2013, n. 4083 (c.c. 11 gennaio 2013),
Tabbì, m., pag. 395
Procedimento di esecuzione – Domanda di affidamento in prova al servizio sociale – Proposizione
durante l’attuazione di diverso beneficio per altro titolo. F Cass. pen., sez. I, 18 febbraio 2013,
n. 7945 (c.c. 11 febbraio 2013), Valente, m., pag.
395
Procedimento di esecuzione – Inammissibilità per
manifesta infondatezza – Declaratoria de plano.
F Cass. pen., sez. I, 11 febbraio 2013, n. 6558
(c.c. 10 gennaio 2013), Piccinno, m., pag. 395
Procedimento di esecuzione – Incidente di esecuzione – Diritto all’udienza pubblica. F Cass. pen.,
sez. I, 21 marzo 2013, n. 13377 (c.c. 28 settembre
2012), Di Muro, m., pag. 395
Procedimento di esecuzione – Misure di prevenzione – Udienza. F Cass. pen., sez. I, 21 marzo
2013, n. 13377 (c.c. 28 settembre 2012), Di
Muro, m., pag. 395
Procedimento di esecuzione – Omessa fissazione
dell’udienza camerale – Nullità assoluta. F
Cass. pen., sez. III, 11 marzo 2013, n. 11421 (c.c.
29 gennaio 2013), Prediletto, m., pag. 395
indice sommario
Procedimento di esecuzione – Ordine di esecuzione – P.m. incompetente. F Cass. pen., sez. III,
4 marzo 2013, n. 10126 (c.c. 29 gennaio 2013), Di
Cristo, m., pag. 395
Procedimento di esecuzione – Procedimento di
sorveglianza – Partecipazione del condannato. F
Cass. pen., sez. I, 21 gennaio 2013, n. 2865 (c.c.
13 dicembre 2012), Mennai, m., pag. 396
Procedimento di esecuzione – Questioni sul titolo
esecutivo – Sentenza di condanna irrevocabile.
F Cass. pen., sez. I, 31 gennaio 2013, n. 4891
(c.c. 28 novembre 2012), Diaconescu, m., pag.
396
Evasione
Momento consumativo del reato – Allontanamento dal luogo di detenzione domiciliare senza attendere la notifica dell’indulto – Configurabilità
del reato. F Cass. pen., sez. VI, 22 febbraio 2013,
n. 8812 (ud. 14 novembre 2012), Crescenzo, m.,
pag. 396
Falsa testimonianza
Privato denunziante – Legittimazione a proporre
ricorso per cassazione – Esclusione. F Cass.
pen., sez. VI, 25 febbraio 2013, n. 9085 (c.c. 22
novembre 2012), P.C. in proc De Sabato, m., pag.
396
Giudice penale
Ricusazione – Casi – Giudice chiamato a giudicare
lo stesso imputato per fatto diverso. F Cass.
pen., sez. III, 12 marzo 2013, n. 11546 (c.c. 19
febbraio 2013), Frezza, m., pag. 396
Giudizio abbreviato
Procedimento – Integrazione istruttoria disposta
d’ufficio – Facoltà del p.m. di contestazione
della recidiva. F Cass. pen., sez. I, 27 febbraio
2013, n. 9400 (ud. 12 febbraio 2013), Albanese,
m., pag. 396
Richiesta – In sede di udienza preliminare – Da
parte dell’imputato – Termini – Individuazione.
F Cass. pen., sez. un., 15 maggio 2014, n. 20214
(ud. 27 marzo 2014), Frija Mourad, pag. 343
Richiesta – Reiezione – Impugnazione. F Cass.
pen., sez. II, 24 gennaio 2013, n. 3750 (ud. 8
gennaio 2013), Ferrante e altri, m., pag. 396
Giudizio immediato
Procedimento – Decreto che dispone il giudizio –
Requisiti. F Cass. pen., sez. V, 15 febbraio 2013,
n. 7544 (ud. 25 ottobre 2012), C., m., pag. 396
Richiesta di giudizio abbreviato – Termini di fase
della custodia cautelare – Durata. F Cass. pen.,
sez. VI, 25 febbraio 2013, n. 9088 (c.c. 22 novembre 2012), Sall Mame, m., pag. 396
Giudizio penale di primo grado
Dibattimento – Atti introduttivi – Impedimento
a comparire. F Cass. pen., sez. VI, 29 gennaio
2013, n. 4284 (ud. 10 gennaio 2013), G.., m.,
pag. 396
Dibattimento – Atti introduttivi – Impedimento a
comparire. F Cass. pen., sez. II, 4 marzo 2013,
n. 10064 (ud. 19 dicembre 2012), Berlich, m.,
pag. 396
Dibattimento – Atti preliminari al dibattimento –
Esami a richiesta di parte. F Cass. pen., sez. V, 9
gennaio 2013, n. 1139 (ud. 30 novembre 2012),
Scommegna, m., pag. 397
Dibattimento – Esame dei testimoni – Minorenne.
F Cass. pen., sez. IV, 12 aprile 2013, n. 16981
(ud. 12 marzo 2013), F.., m., pag. 397
Dibattimento – Fascicolo – Atto di querela. F
Cass. pen., sez. V, 18 luglio 2012, n. 29034 (ud. 8
maggio 2012), D’Urzo, m., pag. 397
Dibattimento – Nuove contestazioni – Modifica
concernente la data del commesso reato. F
Cass. pen., sez. V, 4 marzo 2013, n. 10196 (ud. 31
gennaio 2013), Mannino, m., pag. 397
Dibattimento – Pubblico ministero – Indicazione
dei fatti che intende provare. F Cass. pen., sez.
VI, 7 marzo 2013, n. 10887 (ud. 11 ottobre 2012),
Alfiero e altri, m., pag. 397
Dibattimento – Rinvio e sospensione – Impedimento del difensore – Per adesione all’astensione collettiva dalle udienze – Espressa con atto
scritto – Termini – Individuazione. F Cass. pen.,
sez. II, n. 13218 (ud. 20 febbraio 2014), Camarda
ed altri, pag. 369
Dibattimento – Rinvio e sospensione – Impedimento del difensore – Per adesione all’astensione collettiva dalle udienze – Espressa con
atto scritto – Termini – Comunicazione tardiva.
F Cass. pen., sez. II, n. 13215 (ud. 20 febbraio
2014), Rodia, pag. 369
Giudizio per decreto
Decreto di condanna – Decreto emesso nonostante l’opposizione del querelante – Ricorso
per cassazione per violazione di legge. F Cass.
pen., sez. II, 23 gennaio 2013, n. 3415 (c.c. 18
dicembre 2012), P.O. in proc. De Luca, m., pag.
397
Richiesta – Opposizione del denunciante – Possibilità. F Cass. pen., sez. III, 21 marzo 2013,
n. 13028 (c.c. 13 febbraio 2013), P.O. in proc.
Traina, m., pag. 397
Impugnazioni penali in genere
Ammissibilità o inammissibilità – Inammissibilità
– Inserimento di frasi di censura della sentenza
impugnata assertive ed apodittiche. F Cass.
pen., sez. VI, 21 febbraio 2013, n. 8700 (ud. 21
gennaio 2013), Leonardo e altri, m., pag. 397
Ammissibilità o inammissibilità – Parte civile –
Procura speciale. F Cass. pen., sez. VI, 2 aprile
2013, n. 14980 (ud. 27 novembre 2012), p.c. in
proc. Santacatterina, m., pag. 397
Ammissibilità o inammissibilità – Sentenza dichiarativa della prescrizione – Appello della parte
civile agli effetti della responsabilità civile. F
Cass. pen., sez. II, 13 febbraio 2013, n. 7041 (ud.
28 novembre 2012), Caleca e altri, m., pag. 397
Effetto estensivo – Appello – Mancato accoglimento – Diritto autonomo dell’imputato non
impugnante a proporre ricorso per cassazione –
Ammissibilità – Esclusione. F Cass. pen., sez. III,
5 marzo 2013, n. 10223 (ud. 24 gennaio 2013),
Mikulic, m., pag. 397
Effetto estensivo – Imputato rinunziante al gravame ex art. 599 c.p.p. – Gravame accolto per altri
coimputati. F Cass. pen., sez. I, 22 aprile 2013,
n. 18351 (c.c. 25 marzo 2013), P.G. in proc. Mosca, m., pag. 397
Effetto estensivo – Operatività nei confronti del
coimputato la cui impugnazione sia stata esaminata nel merito – Esclusione. F Cass. pen., sez.
VI, 23 gennaio 2013, n. 3702 (ud. 4 dicembre
2012), Capasso e altri, m., pag. 398
Effetto estensivo – Prescrizione dichiarata nei
confronti dell’imputato appellante – Operatività
della stessa anche nei confronti di coimputato
non appellante – Sussistenza – Passaggio in
giudicato della sentenza nei suoi confronti –
Irrilevanza. F Cass. pen., sez. III, 5 marzo 2013,
n. 10223 (ud. 24 gennaio 2013), Mikulic, m., pag.
398
Impugnazione della parte civile – Sentenza di condanna che modifica l’imputazione – Interesse
all’impugnazione – Sussistenza – Condizioni.
F Cass. pen., sez. IV, 9 ottobre 2012, n. 39898
(ud. 3 luglio 2012), p.c. in proc. Giacalone, m.,
pag. 398
Interesse ad impugnare – Interesse tendente ad
evitare conseguenze extrapenali pregiudizievoli
o ad assicurarsi effetti extrapenali più favorevoli
– Sufficienza. F Cass. pen., sez. V, 28 settembre
2012, n. 37677 (c.c. 10 luglio 2012), Cornicello,
m., pag. 398
Interesse ad impugnare – Sentenza assolutoria –
Ricorso del p.m.. F Cass. pen., sez. IV, 18 ottobre
2012, n. 40896 (ud. 28 settembre 2012), P.G. in
proc. Del Pozzo, m., pag. 398
Interesse ad impugnare – Sentenza dichiarativa
di prescrizione – Ricorso del pubblico ministero
teso a contestare il calcolo del tempo per la prescrizione. F Cass. pen., sez. VI, 7 febbraio 2013,
n. 6151 (ud. 22 gennaio 2013), P.M. in proc.
Cardellicchio, m., pag. 398
Interessi civili – Declaratoria di estinzione del
reato da parte del giudice di appello – Assenza
di motivazione in ordine alla valutazione della
responsabilità dell’imputato ai fini civilistici. F
Cass. pen., sez. V, 5 febbraio 2013, n. 5764 (ud. 7
dicembre 2012), Sarti, m., pag. 398
Provvedimenti impugnabili o inoppugnabili – Provvedimenti abnormi – Accertamenti sull’identità
dell’imputato. F Cass. pen., sez. III, 4 marzo
2013, n. 10128 (c.c. 29 gennaio 2013), Pmt in
proc. Willi, m., pag. 398
Provvedimenti impugnabili o inoppugnabili –
Provvedimenti abnormi – Istanza del p.m. di
liquidazione dei compensi dovuti al c.t.. F Cass.
pen., sez. IV, 18 gennaio 2013, n. 2820 (c.c. 30
novembre 2012), Pmt in proc. Drigo, m., pag.
398
Provvedimenti impugnabili o inoppugnabili –
Provvedimenti abnormi – Omesso interrogatorio
dell’indagato. F Cass. pen., sez. VI, 28 febbraio
2013, n. 9730 (c.c. 29 gennaio 2013), P.M. in
proc. Laporta, m., pag. 398
Provvedimenti impugnabili o inoppugnabili – Provvedimenti abnormi – Richiesta di riparazione per
ingiusta detenzione. F Cass. pen., sez. IV, 12
febbraio 2013, n. 7001 (c.c. 20 novembre 2012),
Riitano, m., pag. 399
Rinuncia – Formalità – Rinuncia presentata via fax
alla cancelleria del giudice. F Cass. pen., sez. I,
31 gennaio 2013, n. 4884 (c.c. 26 ottobre 2012),
Moltoni, m., pag. 399
Rinuncia – Rinuncia a determinati motivi fra quelli
in cui si articolava l’atto di appello – Procura
speciale. F Cass. pen., sez. V, 24 gennaio 2013,
n. 3820 (ud. 10 gennaio 2013), Ignomeriello e
altri, m., pag. 399
Imputato
Dichiarazioni – Indizianti – Obbligo di informazione. F Cass. pen., sez. V, 8 gennaio 2013, n. 747
(ud. 28 settembre 2012), P.G. in proc. T. e altri,
m., pag. 399
Dichiarazioni – Rinnovazione dell’esame di persona indagata a norma dell’art. 26 della legge
n. 63 del 2001 – Dichiarazioni precedentemente
rese al p.m. radicalmente ritrattate in sede di
rinnovazione. F Cass. pen., sez. II, 4 gennaio
III
indice sommario
IV
2013, n. 150 (ud. 18 ottobre 2012), Andreicik e
altri, m., pag. 399
Identità personale – Attribuzione di generalità errore – Rettifica. F Cass. pen., sez. II, 23 gennaio
2013, n. 3396 (c.c. 16 novembre 2012), Dagrada,
m., pag. 399
Infermità di mente – Accertamento – Sospensione
del processo per incapacità dell’imputato. F
Cass. pen., sez. IV, 31 gennaio 2013, n. 4973 (c.c.
14 dicembre 2012), Barolo, m., pag. 399
Indagini preliminari
Arresto in flagranza e fermo – Stato di flagranza –
Informazione da parte di terzi. F Cass. pen., sez.
IV, 5 aprile 2013, n. 15912 (c.c. 7 febbraio 2013),
P.M. in proc. Cecconi e altri, m., pag. 399
Attività ad iniziativa della polizia giudiziaria –
Documentazione dell’attività – Mancata verbalizzazione di dichiarazioni. F Cass. pen., sez. II,
4 gennaio 2013, n. 150 (ud. 18 ottobre 2012),
Andreicik e altri, m., pag. 399
Attività ad iniziativa della polizia giudiziaria – Prostituzione minorile – Costatazione diretta da parte della polizia giudiziaria. F Cass. pen., sez. III,
12 marzo 2013, n. 11529 (ud. 29 gennaio 2013),
B., m., pag. 399
Attività del P.M. – Accertamenti tecnici non ripetibili – Consulenza balistica. F Cass. pen., sez. I,
8 febbraio 2013, n. 6344 (c.c. 22 gennaio 2013),
Fontanesi, m., pag. 399
Attività del P.M. – Accertamenti tecnici non ripetibili – Individuazione di impronta digitale mediante un sistema di ‘esaltazione’ della stessa. F
Cass. pen., sez. VI, 6 marzo 2013, n. 10350 (ud. 6
febbraio 2013), Granella, m., pag. 399
Attività del P.M. – Mancato svolgimento da parte
del p.m. di attività di indagine a favore dell’indagato – Sanzioni processuali. F Cass. pen., sez. II,
4 marzo 2013, n. 10061 (ud. 20 novembre 2012),
Porcelli, m., pag. 400
Chiusura – Archiviazione – Notifica alla persona
offesa. F Cass. pen., sez. VI, 20 febbraio 2013,
n. 8408 (c.c. 6 febbraio 2013), P.O. in proc. Gironacci, m., pag. 400
Chiusura – Archiviazione – Omesso avviso. F
Cass. pen., sez. III, 12 marzo 2013, n. 11543 (c.c.
27 novembre 2012), P.O. in proc. Ferrari, m., pag.
400
Chiusura – Archiviazione – Opposizione della
persona offesa. F Cass. pen., sez. VI, 11 febbraio
2013, n. 6579 (c.c. 13 novembre 2012), P.O. in
proc. Febbo, m., pag. 400
Chiusura – Archiviazione – Restituzione di cose
sequestrate – Competenza del Gip in funzione
del giudice dell’esecuzione – Provvedimento
adottato “de plano” – Opposizione – Termine. F
Cass. pen., sez. I, 10 aprile 2014, n. 15997 (c.c.
28 febbraio 2014), Villa, pag. 349
Chiusura – Termini – Inutillizabilità degli atti per
scadenza del termine. F Cass. pen., sez. VI, 25
febbraio 2013, n. 9097 (c.c. 17 gennaio 2013),
Lestingi, m., pag. 400
Chiusura – Termini – Proroga. F Cass. pen., sez. V,
5 febbraio 2013, n. 5782 (c.c. 4 dicembre 2012),
Scorrano, m., pag. 400
Udienza preliminare – Atti di indagine espletati
in procedimento diverso e prima della richiesta
di rinvio a giudizio – Acquisizione. F Cass. pen.,
sez. V, 20 febbraio 2013, n. 8353 (ud. 16 gennaio
2013), Fiarè e altri, m., pag. 400
Udienza preliminare – Richiesta di rinvio a giudizio
– Procedimenti connessi – Citazione diretta a
giudizio ammessa solo per alcuni di essi – Richiesta di rinvio a giudizio del P.M. per tutti i procedimenti – Ammissibilità – Richiesta del P.M.
di giudizio immediato per tutti i procedimenti
– Ammissibilità. F Cass. pen., sez. VI, 31 marzo
2014, n. 14816 (ud. 10 dicembre 2013), Scalese,
pag. 351
Udienza preliminare – Richiesta di rinvio a giudizio
– Rituale presentazione presso la cancelleria del
giudice. F Cass. pen., sez. V, 5 ottobre 2012, n.
39407 (ud. 18 luglio 2012), Baracca, m., pag.
400
Istituti di prevenzione e pena (ordinamento penitenziario)
Affidamento in prova al servizio sociale – Sopravvenienza di misura cautelare domiciliare
– Conseguenze. F Cass. pen., sez. VI, 5 aprile
2013, n. 15925 (ud. 28 marzo 2013), Polverino,
m., pag. 400
Misure cautelari personali
Arresti domiciliari – Indisponibilità di un domicilio idoneo – Applicazione della custodia in
carcere. F Cass. pen., sez. II, 23 gennaio 2013,
n. 3429 (c.c. 20 dicembre 2012), Di Mattia, m.,
pag. 400
Condizioni di applicabilità – Divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati
dalla persona offesa ex art. 282 ter c.p.p. –
Condotta persecutoria correlata a particolari
ambiti territoriali – Esclusione – Libertà di
circolazione e di svolgimento della vita sociale
del soggetto passivo – Rilevanza – Erronea
indicazione della persona offesa all’interno
del provvedimento assunto – Classificazione
– Mero errore materiale. F Cass. pen., sez. V,
23 gennaio 2014, n. 3552 (ud. 22 novembre
2013), C.M.N., pag. 378
Condizioni di applicabilità – Esigenze cautelari –
Modalità del fatto. F Cass. pen., sez. I, 21 febbraio 2013, n. 8534 (c.c. 9 gennaio 2013), Liuzzi,
m., pag. 400
Condizioni di applicabilità – Gravi indizi di colpevolezza – Giudizio di esclusione. F Cass. pen.,
sez. II, 27 febbraio 2013, n. 9269 (c.c. 5 dicembre
2012), Della Costa, m., pag. 400
Custodia cautelare in carcere – Durata – Interruzione dei termini – Condizioni – Passaggio in
giudicato della sentenza di condanna – Esclusione. F Trib. pen. Macerata, sez. Gip/Gup, 28
marzo 2014, X, pag. 387
Custodia cautelare in carcere – Durata – Interruzione dei termini – Passaggio in giudicato
della sentenza di condanna – Periodo intercorrente fra il passaggio in giudicato della
sentenza e l’avvio della fase di esecuzione
della pena – Questioni relative alla misura
cautelare custodiale – Competenza – Individuazione. F Trib. pen. Macerata, sez. Gip/
Gup, 28 marzo 2014, X, pag. 387
Estinzione – Effetto della pronuncia di determinate sentenze – Annullamento con rinvio della
sentenza di condanna. F Cass. pen., sez. I, 1
febbraio 2013, n. 5214 (c.c. 15 gennaio 2013),
Zefi, m., pag. 401
Estinzione – Omesso interrogatorio – Nuova emissione di misura cautelare a seguito di quella
precedente. F Cass. pen., sez. II, 27 febbraio
2013, n. 9258 (c.c. 23 novembre 2012), Sarpa,
m., pag. 401
Estinzione – Provvedimenti in caso di scarcerazione per decorrenza dei termini – Ripristino della
custodia per sopravvenuta condanna. F Cass.
pen., sez. II, 27 febbraio 2013, n. 9277 (c.c. 22
gennaio 2013), Tallura, m., pag. 401
Estinzione – Revoca e sostituzione – Richiesta –
Condizioni di salute del detenuto incompatibili
con lo stato di detenzione – Rigetto della richiesta sulla base della documentazione sanitaria
acquisita – Obbligo del giudice di disporre perizia – Sussistenza. F Cass. pen., sez. IV, 11 aprile
2013, n. 16524 (c.c. 15 febbraio 2013), Mafrica,
m., pag. 401
Estinzione – Termine di durata massima della
custodia cautelare – Disconoscimento di una
circostanza attenuante. F Cass. pen., sez. IV, 7
marzo 2013, n. 10674 (c.c. 19 febbraio 2013), P.G.
in proc. Macrì, m., pag. 401
Estinzione – Termine di durata massima della custodia cautelare – Sospensione. F Cass. pen.,
sez. V, 28 settembre 2012, n. 37656 (c.c. 7 giugno 2012), Scozzari, m., pag. 401
Impugnazioni – Appello – Appello del p.m.. F Cass.
pen., sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 6592 (c.c. 25
gennaio 2013), Lacu e altro, m., pag. 401
Impugnazioni – Appello – Impugnazione del p.m..
F Cass. pen., sez. III, 23 gennaio 2013, n. 3443
(c.c. 18 settembre 2012), P.M. in proc. E.., m.,
pag. 401
Impugnazioni – Riesame – Decisione. F Cass.
pen., sez. VI, 29 gennaio 2013, n. 4301 (c.c. 11
gennaio 2013), Musumeci, m., pag. 401
Impugnazioni – Riesame – Procedimento. F Cass.
pen., sez. I, 5 febbraio 2013, n. 5714 (c.c. 18
dicembre 2012), Garufi, m., pag. 401
Impugnazioni – Riesame – Procedimento. F Cass.
pen., sez. VI, 15 febbraio 2013, n. 7521 (c.c. 24
gennaio 2013), Cerbasio, m., pag. 401
Impugnazioni – Riesame – Richiesta. F Cass. pen.,
sez. VI, 18 aprile 2013, n. 17958 (c.c. 16 aprile
2013), Camuri, m., pag. 401
Impugnazioni – Riesame – Sopravvenuta inutilizzabilità. F Cass. pen., sez. VI, 29 gennaio 2013,
n. 4305 (c.c. 17 gennaio 2013), Gallo, m., pag.
402
Procedimento applicativo – Interrogatorio – Sospensione dell’interrogatorio per avvisare il
difensore nominato. F Cass. pen., sez. III, 28
febbraio 2013, n. 9585 (c.c. 17 gennaio 2013),
Gjini, m., pag. 402
Procedimento applicativo – Ordinanza del giudice
– Requisiti. F Cass. pen., sez. IV, 22 gennaio
2013, n. 3303 (c.c. 18 ottobre 2012), Manolache,
m., pag. 402
Procedimento applicativo – Ordinanza del giudice
– Requisiti. F Cass. pen., sez. IV, 11 febbraio
2013, n. 6797 (c.c. 24 gennaio 2013), Canessa e
altro, m., pag. 402
Procedimento applicativo – Potere del g.i.p. di
dare una diversa qualificazione giuridica al fatto
– Sussistenza. F Cass. pen., sez. VI, 19 marzo
2013, n. 12828 (c.c. 14 febbraio 2013), P.., m.,
pag. 402
Riparazione per l’ingiusta detenzione – Richiesta
– Ricovero in casa di cura. F Cass. pen., sez. IV,
8 marzo 2013, n. 11086 (c.c. 6 febbraio 2013), Di
Riso, m., pag. 402
Misure cautelari reali
Impugnazioni – Ricorso per cassazione – Motivi.
F Cass. pen., sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 6589
(c.c. 10 gennaio 2013), Gabriele, m., pag. 402
indice sommario
Impugnazioni – Ricorso per cassazione – Ordinanza del tribunale del riesame di revoca del
sequestro conservativo. F Cass. pen., sez. V, 28
settembre 2012, n. 37655 (c.c. 17 aprile 2012),
Cedis Spa ed altro, m., pag. 402
Impugnazioni – Ricorso per cassazione – Ordinanza del tribunale del riesame di revoca del
sequestro conservativo. F Cass. pen., sez. V, 30
gennaio 2013, n. 4622 (c.c. 7 novembre 2012),
p.c. in proc. Dazzi, m., pag. 402
Impugnazioni – Ricorso per cassazione – Revoca
del sequestro conservativo. F Cass. pen., sez. V,
15 ottobre 2012, n. 40404 (c.c. 17 aprile 2012),
P.C. in proc. Bosio, m., pag. 402
Impugnazioni – Riesame – Decisione F Cass.
pen., sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 6589 (c.c. 10
gennaio 2013), Gabriele, m., pag. 402
Impugnazioni – Sequestro probatorio – Indicazioni
carenti. F Cass. pen., sez. VI, 6 febbraio 2013,
n. 5906 (c.c. 22 gennaio 2013), P.M. in proc. Costanzo Zammataro, m., pag. 403
Sequestro conservativo – Patteggiamento – Ordinanza di conversione del sequestro probatorio in
conservativo. F Cass. pen., sez. III, 22 gennaio
2013, n. 3265 (c.c. 29 novembre 2012), Boukhsibi, m., pag. 403
Sequestro conservativo – Revoca – Condizioni. F
Cass. pen., sez. V, 15 ottobre 2012, n. 40407 (c.c.
17 aprile 2012), R.C. in proc. De Berardinis e altro, m., pag. 403
Sequestro preventivo – Condizioni di applicabilità
– Gravi indizi di colpevolezza – Valutazione –
Necessità – Esclusione – Riconducibilità del
fatto ad una ipotesi astratta di reato – Sufficienza – Fattispecie relativa al sequestro di una
patente di guida rilasciata sul presupposto di un
certificato medico falso. F Cass. pen., sez. II, 5
febbraio 2014, n. 5656 (c.c. 28 gennaio 2014),
P.M. in proc. Zagarrio, pag. 377
Sequestro preventivo – Confisca – Necessità. F
Cass. pen., sez. III, 13 febbraio 2013, n. 7079 (c.c.
23 gennaio 2013), Buzi, m., pag. 403
Sequestro preventivo – Oggetto – Confisca per
equivalente. F Cass. pen., sez. III, 22 gennaio
2013, n. 3260 (c.c. 4 aprile 2012), P.M. in proc.
Currò, m., pag. 403
Sequestro preventivo – Oggetto – Confisca per
equivalente. F Cass. pen., sez. III, 7 marzo 2013,
n. 10567 (c.c. 12 luglio 2012), Falchero, m., pag.
403
Sequestro preventivo – Oggetto – Sequestro
funzionale alla confisca per equivalente. F Cass.
pen., sez. VI, 22 gennaio 2013, n. 3253 (c.c. 5
luglio 2012), P.M. in proc. Zaffagnini e altri, m.,
pag. 403
Sequestro preventivo – Perdita di efficacia –
Sentenza di condanna non irrevocabile. F Cass.
pen., sez. I, 21 febbraio 2013, n. 8533 (c.c. 9
gennaio 2013), Zhugri, m., pag. 403
Sequestro preventivo – Principi di proporzionalità
e adeguatezza – Applicazione. F Cass. pen., sez.
V, 20 febbraio 2013, n. 8382 (c.c. 16 gennaio
2013), Caruso, m., pag. 403
Sequestro preventivo – Provvedimento del p.m. di
rigetto – Annullamento della corte di cassazione.
F Cass. pen., sez. III, 23 gennaio 2013, n. 3449
(c.c. 20 novembre 2012), Torroni, m., pag. 403
Sequestro preventivo – Richiesta di revoca – Provvedimento del p.m. di rigetto. F Cass. pen., sez.
III, 23 gennaio 2013, n. 3449 (c.c. 20 novembre
2012), Torroni, m., pag. 403
Misure di prevenzione
Appartenenti ad associazioni mafiose – Sorveglianza speciale – Assoluzione in appello dal
delitto associativo. F Cass. pen., sez. VI, 11
febbraio 2013, n. 6588 (c.c. 10 gennaio 2013),
Facchineri, m., pag. 403
Procedimento – Richiesta dell’interessato di presenziare all’udienza – Istanza del difensore. F
Cass. pen., sez. I, 31 gennaio 2013, n. 4896 (c.c.
30 novembre 2012), Modou, m., pag. 404
Revoca e modifica – Opposizione a confisca – Terzi
interessati. F Cass. pen., sez. VI, 15 febbraio
2013, n. 7510 (c.c. 23 ottobre 2012), Esposito e
altro, m., pag. 404
Misure di sicurezza
Patrimoniali – Confisca – Beni acquisiti in epoca
precedente all’entrata in vigore della legge. F
Cass. pen., sez. VI, 7 marzo 2013, n. 10887 (ud.
11 ottobre 2012), Alfiero e altri, m., pag. 404
Patrimoniali – Confisca – Denaro sequestrato alle
prostitute. F Cass. pen., sez. III, 25 febbraio
2013, n. 9032 (c.c. 3 ottobre 2012), Dong, m.,
pag. 404
Patrimoniali – Confisca per equivalente – Revoca
e restituzione dei beni in sede esecutiva. F Cass.
pen., sez. I, 30 gennaio 2013, n. 4702 (c.c. 22
ottobre 2012), P.M. in proc. Colonna e altri, m.,
pag. 404
Procedimento – Su istanza degli interessati –
Nelle forme dell’udienza pubblica – Esclusione
– Illegittimità costituzionale parziale. F Corte
cost., 21 maggio 2014, n. 135 (c.c. 12 febbraio
2014), Mag. sorv. Napoli in proc. Z.U., pag. 337
Notificazioni in materia penale
A persona diversa dall’imputato – Difensore –
Abbandono della difesa da parte dei difensori di
fiducia. F Cass. pen., sez. I, 31 gennaio 2013, n.
4928 (c.c. 19 dicembre 2012), Falanga, m., pag.
404
A persona diversa dall’imputato – Imputato interdetto o infermo di mente – Notificazione presso
il tutore. F Cass. pen., sez. V, 28 settembre 2012,
n. 37673 (c.c. 5 luglio 2012), Flachi, m., pag. 404
All’imputato non detenuto – Decreto di citazione
a giudizio – Lettura in udienza al difensore dell’imputato. F Cass. pen., sez. III, 4 aprile 2013,
n. 15624 (ud. 6 febbraio 2013), Fornelli, m., pag.
404
All’imputato non detenuto – Domicilio dichiarato
o eletto – Elezione di domicilio contenuta nell’istanza di ammissione al patrocinio dello stato.
F Cass. pen., sez. III, 27 marzo 2013, n. 14416
(ud. 19 febbraio 2013), El Hairi, m., pag. 404
All’imputato non detenuto – Domicilio dichiarato
o eletto – Mutamento. F Cass. pen., sez. V, 11
marzo 2013, n. 11261 (ud. 13 febbraio 2013),
Costa, m., pag. 404
All’imputato non detenuto – Domicilio dichiarato
o eletto – Mutamento. F Cass. pen., sez. VI,
19 marzo 2013, n. 12821 (ud. 11 marzo 2013),
Adami e altri, m., pag. 404
All’imputato non detenuto – Domicilio dichiarato
o eletto – Successiva modifica della dimora. F
Cass. pen., sez. II, 1 marzo 2013, n. 9776 (c.c. 22
novembre 2012), El Badaoui, m., pag. 405
All’imputato non detenuto – Domicilio dichiarato
o eletto – Trasferimento del domiciliatario. F
Cass. pen., sez. II, 1 marzo 2013, n. 9776 (c.c. 22
novembre 2012), El Badaoui, m., pag. 405
All’imputato non detenuto – Notifica mediante
consegna al difensore di fiducia – Ambito di applicabilità. F Cass. pen., sez. V, 21 marzo 2013, n.
13310 (ud. 14 febbraio 2013), L., m., pag. 405
All’imputato non detenuto – Persona presente
nell’abitazione – Convivenza temporanea. F
Cass. pen., sez. IV, 27 febbraio 2013, n. 9499 (ud.
5 febbraio 2013), Petronelli, m., pag. 405
Forme particolari – Notificazione al difensore trasmessa via fax – Mancata attestazione in calce
all’atto trasmesso della conformità all’originale.
F Cass. pen., sez. II, 11 marzo 2013, n. 11277
(ud. 6 dicembre 2012), Simionato e altro, m.,
pag. 405
Nullità nel processo penale
Nullità assoluta – Nullità a regime intermedio –
Fattispecie. F Cass. pen., sez. II, 11 marzo 2013,
n. 11277 (ud. 6 dicembre 2012), Simionato e altro, m., pag. 405
Nullità relativa – Deducibilità – Omesso avviso
all’indagato della facoltà di farsi assistere da
un difensore. F Cass. pen., sez. IV, 15 novembre
2012, n. 44840 (ud. 11 ottobre 2012), Pg in proc.
Tedeschi, m., pag. 405
Nullità relativa – Sentenza d’appello – Mancata
sottoscrizione da parte del presidente del collegio. F Cass. pen., sez. U, 29 marzo 2013, n. 14978
(ud. 20 dicembre 2012), R.D., m., pag. 405
Parte civile
Costituzione – Associazione per delinquere –
Comune. F Cass. pen., sez. II, 4 gennaio 2013,
n. 150 (ud. 18 ottobre 2012), Andreicik e altri,
m., pag. 405
Legittimazione e interesse – Comune – Per reati
commessi nel proprio territorio – Da privati in
danno di altri privati – Potenziale danno all’immagine della città – Configurabilità in concreto
del danno – Necessità – Fattispecie in tema di
costituzione di parte civile da parte di Comune
nei confronti di alcuni soggetti resisi responsabili dei reati di usura ed estorsione a danno di
altri concittadini. F Cass. pen., sez. II, 21 marzo
2014, n. 13244 (ud. 7 marzo 2014), Lazzaro ed
altri, pag. 364
Pena
Estinzione (Cause di) – Indulto – Concorso di
reati alcuni dei quali insuscettibili di condono.
F Cass. pen., sez. I, 21 febbraio 2013, n. 8552
(c.c. 23 gennaio 2013), P.G. in proc. Piccolo, m.,
pag. 405
Estinzione (Cause di) – Indulto – Istanza che ripropone altra precedente già rigettata. F Cass.
pen., sez. I, 8 febbraio 2013, n. 6323 (c.c. 11
gennaio 2013), Bandiera, m., pag. 406
Pene accessorie – Interdizione dai pubblici uffici –
Ricorso per cassazione per omessa applicazione
di pena accessoria predeterminata per legge.
F Cass. pen., sez. I, 18 febbraio 2013, n. 7909
(ud. 22 gennaio 2013), P.G. in proc. Imberbe, m.,
pag. 406
Sospensione condizionale – Subordinazione alla
demolizione delle opere edilizie abusive – Mancata apposizione di un termine. F Cass. pen.,
sez. III, 7 marzo 2013, n. 10581 (c.c. 6 febbraio
2013), Lombardo, m., pag. 406
Prova penale
Disposizioni generali – Fallimento della prova d’alibi – Valutazione. F Cass. pen., sez. I, 4 dicembre
2012, n. 46797 (ud. 6 novembre 2012), Pandaj,
m., pag. 406
V
VI
indice sommario
Disposizioni generali – Revoca di prove ammesso
– Nel giudizio di appello. F Cass. pen., sez. V,
21 marzo 2013, n. 13277 (ud. 17 gennaio 2013),
Sanna, m., pag. 406
Documenti e scritture – Sentenze civili irrevocabili
– Acquisibilità. F Cass. pen., sez. V, 25 marzo
2013, n. 14042 (ud. 4 marzo 2013), Simona ed
altri, m., pag. 406
Documenti e scritture – Verbali di prove di altri
procedimenti – Prove assunte nell’incidente
probatorio con la partecipazione del difensore.
F Cass. pen., sez. V, 21 marzo 2013, n. 13277
(ud. 17 gennaio 2013), Sanna, m., pag. 406
Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni
– Accesso ai file audio – Presupposti. F Cass.
pen., sez. III, 31 gennaio 2013, n. 4865 (c.c. 13
dicembre 2012), Tarantino e altri, m., pag. 406
Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni
– Comunicazioni tra presenti – Luogo di privata
dimora – Abitacolo di un autoveicolo – Esclusione. F Cass. pen., sez. V, 20 febbraio 2013, n.
8365 (ud. 18 gennaio 2013), Girasole e altri, m.,
pag. 406
Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni
– Mancato inserimento nel fascicolo del dibattimento dei decreti autorizzativi – Inutilizzabilità
delle intercettazioni. F Cass. pen., sez. V, 23
novembre 2012, n. 45853 (ud. 10 ottobre 2012),
Mancini, m., pag. 406
Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni –
Prova del contenuto delle intercettazioni – Trascrizione. F Cass. pen., sez. II, 22 marzo 2013,
n. 13463 (ud. 26 febbraio 2013), P.G. in proc.
Lagano e altri, m., pag. 406
Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni
– Riconducibilità ad essa della registrazione
fonografica di colloquio ad opera di un partecipe
– Esclusione. F Cass. pen., sez. I, 8 febbraio
2013, n. 6339 (c.c. 22 gennaio 2013), Pagliaro,
m., pag. 406
Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni
– Utilizzazione – Comunicazioni di un parlamentare. F Cass. pen., sez. II, 22 febbraio 2013, n.
8739 (c.c. 16 novembre 2012), P.M. in proc. La
Monica, m., pag. 407
Perizia – Saggi grafici – Raccolta. F Cass. pen.,
sez. II, 11 aprile 2013, n. 16400 (ud. 7 marzo
2013), Guadagni, m., pag. 407
Sequestri – Decreto – Richiesta di riesame. F
Cass. pen., sez. V, 5 febbraio 2013, n. 5795 (c.c.
5 dicembre 2012), Grosso, m., pag. 407
Sequestri – Sequestro di cose soggette a confisca
obbligatoria – Richiesta di restituzione da parte
del terzo – Onere probatorio – Necessità – Fattispecie in tema di sequestro di veicolo utilizzato
per il trasporto illecito di rifiuti. F Cass. pen., sez.
III, 28 febbraio 2013, n. 9579 (c.c. 17 gennaio
2013), Longo, m., pag. 407
Testimoni – Incompatibilità – Consulente tecnico
del p.m.. F Cass. pen., sez. IV, 22 gennaio 2013,
n. 3277 (ud. 16 ottobre 2012), Manna e altri, m.,
pag. 407
Rapporti giurisdizionali con autorità straniere in materia penale
Estradizione – Procedimento – Decisione. F Cass.
pen., sez. VI, 7 marzo 2013, n. 10905 (c.c. 6 marzo 2013), Bishara Meged, m., pag. 407
Estradizione – Procedimento – Modalità di inoltro
della domanda. F Cass. pen., sez. VI, 5 aprile
2013, n. 15927 (c.c. 28 marzo 2013), D’Angelantonio, m., pag. 407
Estradizione – Requisito della doppia incriminabilità – Corrispondenza fra lo schema della norma
incriminatrice straniera ed una analoga norma
italiana. F Cass. pen., sez. VI, 5 aprile 2013, n.
15927 (c.c. 28 marzo 2013), D’Angelantonio, m.,
pag. 407
Mandato di arresto europeo – Consegna per
l’estero – Giudice che procede all’udienza di
convalida dell’arresto. F Cass. pen., sez. VI,
27 marzo 2013, n. 14462 (c.c. 26 marzo 2013),
Vilardo, m., pag. 407
Rogatorie – All’estero – Utilizzabilità degli atti assunti. F Cass. pen., sez. VI, 8 febbraio 2013, n.
6346 (ud. 9 novembre 2012), Domizi e altri, m.,
pag. 408
Sentenza penale
Assoluzione – Falsità in documenti – Legittimazione ad impugnare la sentenza in punto relativo
alla dichiarazione di falsità. F Cass. pen., sez. V,
7 gennaio 2013, n. 240 (ud. 30 novembre 2012),
C., m., pag. 408
Assoluzione – Riforma in grado di appello – Presupposti. F Cass. pen., sez. II, 14 marzo 2013,
n. 11883 (ud. 8 novembre 2012), Berlingeri, m.,
pag. 408
Deposito – Termine fissato dalla legge o dal giudice – Sentenza contumaciale – Definizione anticipata del procedimento – Impugnazione dell’imputato contumaciale – Termini – Decorrenza.
F Cass. pen., sez. VI, 21 marzo 2014, n. 13447
(ud. 12 febbraio 2014), Battistelli, pag. 362
Interessi civili – Danni – Spese relative all’azione
civile. F Cass. pen., sez. I, 31 gennaio 2013, n.
4908 (c.c. 19 dicembre 2012), Escolino, m., pag.
408
Interessi civili – Danni – Spese relative all’azione civile. F Cass. pen., sez. VI, 24 aprile 2013,
n. 18615 (ud. 16 aprile 2013), Poloni, m., pag.
408
Motivazione – Riforma integrale della sentenza di
primo grado – Doveri motivazionali del giudice
d’appello. F Cass. pen., sez. V, 20 febbraio 2013,
n. 8361 (ud. 17 gennaio 2013), p.c. in proc. Rastegar, m., pag. 408
Motivazione – Sentenza di appello che riforma la
decisione del giudice di primo grado – Contenuto. F Cass. pen., sez. IV, 19 settembre 2012, n.
35922 (ud. 11 luglio 2012), p.c. in proc. Ingrassia,
m., pag. 408
Relazione tra sentenza e l’accusa contestata –
Giudizio di appello – Attribuzione al fatto contestato di una diversa qualificazione giuridica
in sentenza. F Cass. pen., sez. VI, 13 febbraio
2013, n. 7195 (ud. 8 febbraio 2013), Sema, m.,
pag. 408
Relazione tra sentenza e l’accusa contestata –
Principio di correlazione tra accusa e sentenza
– Contenuto determinato alla luce dell’art. 6
conv. europea come interpretato dalla corte
edu. F Cass. pen., sez. V, 19 febbraio 2013, n.
7984 (ud. 24 settembre 2012), Jovanovic e altro,
m., pag. 408
Relazione tra sentenza e l’accusa contestata – Violazione del principio di correlazione tra accusa e
sentenza – Mutamento degli elementi essenziali
del fatto tale da pregiudicare i diritti della difesa. F
Cass. pen., sez. VI, 8 febbraio 2013, n. 6346 (ud. 9
novembre 2012), Domizi e altri, m., pag. 409
Società
Reati societari – Misure cautelari interdittive –
Provvedimento di applicazione. F Cass. pen.,
sez. VI, 7 marzo 2013, n. 10903 (c.c. 5 marzo
2013), Orsi, m., pag. 409
Reati societari – Responsabilità – Procedimento
di applicazione delle misure interdittive. F Cass.
pen., sez. VI, 7 marzo 2013, n. 10904 (c.c. 5 marzo 2013), Rosi Leopoldo S.p.a.., m., pag. 409
Stupefacenti
Associazione per delinquere per spaccio di stupefacenti – Obbligatorietà dell’aumento per la
recidiva – Esclusione. F Cass. pen., sez. V, 24
gennaio 2013, n. 3820 (ud. 10 gennaio 2013),
Ignomeriello e altri, m., pag. 409
Termini processuali in materia penale
Restituzione in termini – Dedotta nullità della sentenza per mancata traduzione nella lingua dell’imputato alloglotta – Richiesta di restituzione
nel termine per proporre appello. F Cass. pen.,
sez. VI, 8 aprile 2013, n. 16164 (c.c. 19 febbraio
2013), S. e altri, m., pag. 409
Restituzione in termini – Impugnazione della
sentenza contumaciale – Notifica dell’estratto al
difensore di fiducia domiciliatario. F Cass. pen.,
sez. V, 10 aprile 2013, n. 16330 (c.c. 20 marzo
2013), Katler, m., pag. 409
Restituzione in termini – Impugnazioni – Presupposti generali. F Cass. pen., sez. IV, 12 febbraio
2013, n. 7002 (c.c. 20 novembre 2012), Capaldo,
m., pag. 409
Restituzione in termini – Sentenza contumaciale –
Notifica dell’atto di carcerazione durante il periodo feriale di sospensione dei termini processuali.
F Cass. pen., sez. I, 27 febbraio 2013, n. 9444
(c.c. 14 febbraio 2013), Barbu, m., pag. 409
Restituzione in termini – Sentenza contumaciale
– Oneri dell’imputato e dell’a.g.. F Cass. pen.,
sez. II, 1 marzo 2013, n. 9776 (c.c. 22 novembre
2012), El Badaoui, m., pag. 409
Sospensione nel periodo feriale – Rito direttissimo
– Impugnazione. F Cass. pen., sez. VI, 6 marzo
2013, n. 10347 (ud. 6 febbraio 2013), Hamed, m.,
pag. 410
Tribunale per i minorenni
Procedimento – Misure cautelari – Custodia cautelare. F Cass. pen., sez. IV, 14 dicembre 2012,
n. 48436 (c.c. 17 ottobre 2012), V. e altro, m.,
pag. 410
Procedimento – Sospensione del processo e messa alla prova – Decisione adottata de plano. F
Cass. pen., sez. III, 13 febbraio 2013, n. 7066
(ud. 12 dicembre 2012), P.M. in proc. B.., m.,
pag. 410
Tributi e finanze (in materia penale)
Reati finanziari in genere – Accertamento –
Presunzioni legali in materia tributaria. F Cass.
pen., sez. III, 13 febbraio 2013, n. 7078 (c.c. 23
gennaio 2013), Piccolo, m., pag. 410
Reati finanziari in genere – Confisca per equivalente – Profitto del reato. F Cass. pen., sez. III,
28 febbraio 2013, n. 9578 (c.c. 17 gennaio 2013),
Tanghetti, m., pag. 410
Reati finanziari in genere – Presunzioni legali in
materia tributaria – Natura giuridica. F Cass.
pen., sez. III, 13 febbraio 2013, n. 7078 (c.c. 23
gennaio 2013), Piccolo, m., pag. 410
indice sommario
Usura
Momento consumativo del reato – Concorso nel
delitto – Intervento dell’esattore. F Cass. pen.,
sez. II, 14 febbraio 2013, n. 7208 (ud. 6 dicembre
2012), Novelli, m., pag. 410
Legislazione e documentazione
D.L. 20 marzo 2014, n. 36. Disposizioni urgenti in
materia di disciplina degli stupefacenti e so-
stanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di
cui al decreto del Presidente della Repubblica
9 ottobre 1990, n. 309, nonchè di impiego di
medicinali, convertito, con modificazioni, nella L.
16 maggio 2014, n. 79, pag. 411
L. 28 aprile 2014, n. 67. Deleghe al Governo in
materia di pene detentive non carcerarie e di
riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni
in materia di sospensione del procedimento con
messa alla prova e nei confronti degli irreperibili,
pag. 420
D.L. 31 marzo 2014, n. 52. Disposizioni urgenti in
materia di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, convertito, con modificazioni,
nella L. 30 maggio 2014, n. 81, pag. 418
L. 17 aprile 2014, n. 62. Modifica dell’articolo 416
ter del codice penale, in materia di scambio
elettorale politico-mafioso, pag. 420
VII
Dottrina
Condizione volontaria
versus atto
processuale penale
di Ivan Borasi
Il processo (penale) “vive di atti”(1), rectius di fatti
(2), aventi rilevanza giuridica (3), vale a dire idonei a
produrre effetti giuridici lato sensu, da e per il processo,
anche incidentalmente rispetto ad un rapporto giuridico
(processuale) (4). Il nucleo fattuale di genere permette
la qualificazione di ogni avvenimento, umano o naturale, volontario o meno, rilevante per il processo in senso
generale, e per un suo elemento in particolare, in quanto
meritevole di tutela per l’ordinamento nella sua tipicità o
atipicità (5).
Attraverso gli atti processuali (6), consecutivi, ordinati, e dipendenti, si esercitano le funzioni dei soggetti
del processo, da, nel, o per lo stesso, ciò non senza che
fatti giuridici stricto sensu vi incidano in modo più o meno
previsto e volontario; di questi elementi generali, alcuni
sono essenziali, invece altri sono eventuali (7), o anche
accidentali (8).
Mentre l’atto processuale (penale) trova un vincolo
nella legittimazione (9) del soggetto deputato alla propria
realizzazione infungibile, così non è per i fatti giuridici
stricto sensu, seppure spesso a loro volta necessitanti di
una legittimazione di relazione ai fini della propria esplicazione effettuale “interna”.
Il vincolo alle forme, nel tempo e nello spazio, degli
atti processuali, come regola generale (10), trova un proprio “limite”, o valvola di sfogo, nell’autonomia privata
paranegoziale, che mai devesi contrastare con la legalità di
principio, e lo scopo (11) predeterminato (12). La tipicità
delle forme rappresenta il punto di frizione rispetto ad una
tendenza “evolutiva” del diritto, anche processuale penale,
volta a regolare in modo dinamico situazioni mutevoli, nel
tempo e nello spazio, della realtà sociale e giuridica integrata; il rapporto di analisi validante deve riguardare la
connessione tra i principi di legalità, anche processuale, da
un lato, e la meritevolezza di tutela per l’ordinamento (13)
lato sensu, anche in relazione allo scopo da raggiungere,
o causa dell’atto (14), dall’altro, il tutto sullo sfondo della
ragionevole durata di un giusto ed equo processo penale.
In puncto, il ruolo, e l’analisi, della volontà degli atti,
in rapporto anche con i fatti incidenti (15), rappresenta,
tradizionalmente, un elemento di scontro dottrinale forte
(16), soprattutto in relazione ai corollari dell’efficacia
e validità degli stessi, e ciò sullo sfondo del principio di
certezza del diritto nei rapporti giuridici; di volontà può
parlarsi, non solo in chiave di dichiarazione, o di effetto,
ma anche di oggetto del “negozio” processuale (17), e di
motivi dello stesso (18). Punto di espressione primario
dell’elemento soggettivo dell’atto giuridico (19), infatti,
può essere l’autonomia privata regolante (20), spostando
la volontà dalla classica attenzione sotto il mero profilo invalidante, al piano interpretativo-applicativo lato sensu.
L’integrazione tra atti e fatti (naturali o comportamenti umani che siano) rilevanti per il processo, trova una
propria realizzazione nella nozione di presupposto degli
stessi (21), id est come “note oggettive o soggettive” (22)
di accompagnamento, con possibile relazione teleologica
alternativa-principale, al singolo atto oppure all’intero
procedimento/processo (23); si parla anche di atti/fatti sostanziali con effetti processuali (24), ciò non rappresenta
altro che uno spostamento di piano d’analisi di medesime
fenomenologie (25).
All’interno della fattispecie processuale, anche complessa, possono incidere elementi esterni (26), condizionanti l’efficacia (27), costituiti da fatti giuridici lato
sensu, il cui elemento comune deve essere rappresentato
dall’aleatorietà della realizzazione (28), sotto il profilo
anche della conoscenza relativa, pure in ordine alle modalità; il piano della perfezione dei fatti e degli atti, anche
connessi, si deve distinguere da quello dell’efficacia singola o complessa (29).
La figura della condizione ha assunto nel tempo, soprattutto come categoria oltre l’ipotesi volontaria, connotati problematici (30); nell’analisi de qua, invece, l’ottica
deve attestarsi rispetto alla possibilità di una volontaria
apposizione di condizione ad un atto, e dell’incidenza comunque di un fatto giuridico esterno sull’efficacia, anche
per le modalità, dello stesso (31).
Aspetto non secondario è rappresentato dall’eventuale
spostamento temporale, rectius retroattività, dell’efficacia
di un atto perfetto ex se (32), come tale idoneo a raggiungere lo scopo cristallizzato dal legislatore, e ciò per
mera volontà dell’autore; diversa è l’ipotesi dell’estinzione
postuma di tali effetti, ex tunc oppure ex nunc, con un
contemperamento di interessi, l’uno predeterminato,
mentre l’altro determinabile. Fondamentale e primaria
Arch. nuova proc. pen. 4/2014
327
dott
Dottrina
distinzione è, infatti, quella tra condizione sospensiva e
condizione risolutiva (33), incidente non tanto sulla fattispecie ex se, quanto sui fatti giuridici componenti la stessa (34), anche eventualmente nel loro legame causale e/o
cronologico (35).
L’istituto condizionale è tradizionalmente analizzato
avendo come presupposto una tralatizia qualificazione
come di derivazione eminentemente privatistica (36),
legata ad una qualità insita e sottesa nella scelta negoziale volontaristica principale (37); ciò non esclude però
l’esportazione della figura lato sensu in altri ambiti, soprattutto processuali, con valorizzazione delle peculiarità
allocative.
Sul piano processuale fondamentale è la distinzione valoriale nel rapporto tra atto e attività (38), non solamente
da vedersi secondo una logica di visione statico-dinamica,
quanto di collegamento funzionale all’interno di un procedimento lato sensu; la connessione condizione/effetto
può essere vista come elemento fondamentale del punto
d’analisi, anche rispetto al processo penale, da vedersi specularmente rispetto al profilo di validità, che assume un
ruolo primario, invece, di fronte alla condizione legale.
Il procedimento (penale) deve essere visto nell’ordinamento generale come insieme di rapporti (giuridici)
processuali prima che di atti, da distinguere rispetto ai
rapporti obbligatori, anche se aventi rispetto a questi degli elementi comuni di interessenza, legati da un comune
denominatore teleologicamente orientato e tipizzato, rectius indirizzato; ciò sullo sfondo dei principi di leale collaborazione processuale, e di divieto di abuso del diritto
(39). Nel processo penale moderno si realizzano sempre
più fattispecie composte (40), tra loro anche eterogenee,
a formazione progressiva, o procedimentale, attraverso la
convergenza di atti, la perfezione (41) degli stessi, e gli
effetti giuridici prodotti, o da produrre, dove l’autonomia
privata, non solo sul piano della tipicità, gioca un ruolo
fondamentale, anche attraverso la volontà condizionale.
La dichiarazione di parte, tesa ad un effetto procedurale penale, è una dichiarazione di volontà, non una dichiarazione di scienza. Elementi portanti di tale dichiarazione
sono quelli di suitas e volontà degli effetti (42), strettamente connessi al concetto di causa, anche in concreto
(43). La volontà del dichiarante può (44) essere tesa a
concludere un negozio processuale (45), ciò attraverso atti
processuali con in nuce una valenza negoziale, a seconda
dei casi, unilaterale, bilaterale (46) o plurilaterale.
La condizione, in generale, si trova a dover “galleggiare” nel conflitto tra gli interessi pubblico e privato, sotto
diversi piani e corollari, dove comunque la meritevolezza
ragionevole è elemento giuridico imprescindibile di validità, tendenzialmente accessorio, a natura relazionale, frutto di scelta generalmente discrezionale, e con funzione
prettamente limitativa di un effetto giuridico predeterminato, legislativamente o meno, ma comunque meritevole
di tutela per l’ordinamento e per le parti lato sensu.
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4/2014 Arch. nuova proc. pen.
L’oggetto della condizione può essere un fatto naturale,
un comportamento o atto umano (47), futuro ed incerto,
caratteristica che la differenzia dal termine (48), di rilevanza giuridica lato sensu (49). In puncto, può sorgere
un problema relativo all’imputazione soggettiva, id est
allocazione del soggetto nel rapporto, per i caratteri della
estraneità, determinabilità, e futurità (50), e ciò fondamentalmente in legame alle categorie dell’incertezza e
possibilità, ma anche una quaestio in ordine alle fonti di
qualificazione oggettiva, id est allocazione dell’oggetto nel
rapporto; entrambi i requisiti, parimenti, anche nell’atto
alla base dello stesso, come distinzione di profili di un
medesimo fenomeno generale (51), con filo conduttore
comune dato da una necessaria operazione determinativa
successiva rispetto all’atto iniziale (52).
La meritevolezza valoriale di tutela dell’autonomia
privata processuale (53), rappresenta, in puncto, un altro
limite di applicazione.
Tralatiziamente si dice che l’atto processuale è un actus legitimus (54) non tollerante condizioni (o termini)
(55), e ciò fondamentalmente per un’esigenza di certezza
del diritto in combinato disposto alla legalità processuale
(56); peraltro, tale dogma passato, deve ormai scontrarsi,
in modo virtuoso, con una visione dinamica ed effettuale
(57) del diritto integrato, senza preconcetti da un lato, ma
anche evitando derive autonomistiche dall’altro (58).
Il tema dell’ammissibilità di un’annessione volontaria
di condizione ad un atto processuale penale, come “autolimitazione della volontà” (59), troppo spesso è legato ad
una visione “particolare”, vale a dire senza tenere conto
dell’ambito in cui il problema inerisce; gli atti oltre che
in rapporto tra di loro, si connettono, infatti, ai soggetti
autori, dove la volontà la fa da padrona, anche al di là
della tipicità singola cristallizzata nelle forme e negli effetti, espressa fondamentalmente attraverso veri e propri
negozi processuali, impliciti o meno, ottenuti collegando
atti e momenti di espressione degli stessi in modo spurio,
evidenziando, quindi, fatti giuridici che avrebbero potuto
direttamente condizionare gli atti di riferimento. In altre
parole, negare, a priori, condizioni volontarie dirette di
atti processuali, non farebbe altro che traslare il fenomeno a negozi processuali indiretti, o collegati, lasciando alla
“prassi” ciò che invece potrebbe/dovrebbe risultare meritevole di tutela giuridica ex se; ciò non esclude che vi siano
atti per propria natura intrinseca non condizionabili, quali
ad esempio gli atti dovuti o facoltativi (60).
La manifestazione condizionale costituisceuna dichiarazione processuale, qualificabile come atto (61),
anche in relazione alla forma, e segue le regole di validità
e produzione di effetti della categoria, soprattutto sotto
il profilo della legittimazione, iniziale o sopravvenuta, sia
in senso propositivo, che di revoca; si esprime attraverso
una volontà principale, rectius comune, ed una accessoria
(62).
dott
Dottrina
In puncto, fondamentale è il profilo d’analisi in ordine
alla validità lato sensu della condizione apposta, soprattutto in connessione alla determinabilità ex ante, ed agli effetti rispetto alla fattispecie astrattamente condizionabile.
In ordine alla condicio facti, in dottrina si suole distinguere tra il momento soggettivo previsionale ed il momento
oggettivo d’evento (63), legati tra loro da un’autonomia
che si potrebbe dire indirizzata (64); il tutto all’interno
di un meccanismo progressivo di formazione, con una
situazione di pendenza, ed una aspettativa condizionale,
oggettiva e soggettiva (65).
Fondamentale per l’attività dell’interprete in ordine
agli elementi aggiuntivi della dichiarazione processuale, è
la valutazione del rapporto tra il patrimonio indisponibile
per il soggetto dichiarante e la volontà dell’atto principale,
quest’ultima eventualmente anche presupposta (66).
La manifestazione “subordinata” (67) deve essere
specifica, id est tale da permetterne in modo pieno la valutazione, e non impossibile ex ante (68), oggettivamente
o soggettivamente (69); in tali ipotesi l’atto non produce
effetti, e ciò per la valorizzazione del ruolo peculiare della
volontà, anche in negativo, di tale dichiarazione (70).
Diversa, invece, l’ipotesi in cui la dichiarazione sia
subordinata in modo ex ante ammissibile, ma solo ex
post rivelatosi impossibile (71); in tale situazione, deve
ritenersi che l’impossibilità sopravvenuta elida solo la
condizione relativa, nel senso di considerarla come non
proposta (72).
Dalla ricerca analitica ut supra si scorge come, lo scontro complesso tra il momento condizionale negoziale e l’atto giuridico processuale integrato, in realtà, non debba essere letto in chiave escludente a priori, quanto in funzione
regolante un bilanciamento valoriale di interessi, da e per
il sistema ordinamentale generale, sullo sfondo di un contraddittorio efficiente ed utile, quantomeno a posteriori,
senza dimenticare la sedes materiae di riferimento, id est
avendo ben a mente le forti limitazioni riscontrabili, nel
processo penale, ad un uso negoziale privatistico, stricto
sensu, delle regole processuali “tipiche”, in particolare
sotto il profilo della meritevolezza di tutela, da un lato,
e della necessaria ragionevole durata (macro e micro),
dall’altro.
Note
(1) GALATI, voce Atti processuali penali, in Dig. disc. pen., 1987,
I, 356.
(2) In ordine alla figura de qua, un approfondimento generale in TASSO, Oltre il diritto. Alla ricerca della giuridicità del fatto, Padova, 2012, 89
e ss.; FALZEA, voce Fatto giuridico, in Enc. dir., 1967, XVI, 941 e ss..
(3) In ordine alla figura de qua, un approfondimento generale in
IRTI, voce Rilevanza giuridica, in Nss. dig. it., 1968, XV, 1091 e ss..
(4) In tema, importante analisi in REDENTI, voce Atti processuali
(diritto processuale civile), in Enc. dir., 1959, IV, 107. In ordine alla nozione generale di rapporto giuridico, cfr. ex multis ALLARA, Le vicende
del rapporto giuridico, fattispecie, fatti giuridici, Torino, 1941; CICALA,
Rapporto giuridico, diritto subiettivo e pretesa, Torino, 1909.
(5) Per un’analisi della nozione di atto giuridico lato sensu, Cfr.
GALATI, voce Atti processuali penali, cit., 357 e ss..
(6) Per un approfondimento generale in tema, si vedano ORIANI,
voce Atti processuali (diritto processuale civile), in Enc. giur. Trecc.,
1988, IV; CONSO, voce Atti processuali penali, in Enc. dir., 1959; REDENTI, voce Atti processuali (diritto processuale civile), cit.; DONDINA,
voce Atti processuali (civili e penali), in Nss. dig. it., 1957, I; FALZEA, La
condizione e gli elementi dell’atto giuridico, Milano, 1941; BRUGI, voce
Atti di procedura, in Dig. it., 1893-1899, 308 e ss..
(7) In tema di legame tra atti e procedimento, si veda GALATI, voce
Atti processuali penali, cit., 365 e ss..
(8) Si parla anche di distinzione tra “substantialia” e non “substantialia processus”, ma con implicazioni fondamentalmente sul piano della
validità, in LOZZI, voce Atti processuali (diritto processuale penale), in
Enc. giur. Trecc., 1988, IV, 8.
(9) Per un’esplicazione di tale requisito, si veda GALATI, voce Atti
processuali penali, cit., 366.
(10) In tal senso GALATI, voce Atti processuali penali, cit. 367.
(11) Sul punto, importanti considerazioni a valenza generale in
ORIANI, voce Atti processuali (diritto processuale civile), in cit., 4.
(12) Per un’esplicazione di ciò nella categoria specifica del pregiudizio effettivo invalidante, in rapporto al soddisfacimento dello scopo o
interesse, tutelato e tutelabile, si veda LOZZI, voce (diritto processuale
penale), cit., 7 e ss..
(13) Per un approfondimento generale della nozione si veda MODUGNO, voce Ordinamento giuridico (dottrine generali), in Enc. dir., 1980,
XXX, 678 e ss..
(14) Per un’analisi in tema di valenza, anche processuale, della nozione de qua, ORIANI, voce Atti processuali (diritto processuale civile), cit., 9.
(15) Per una visione di atto processuale in quanto solo all’interno
del processo, con distinzione rispetto alla sola influenza possibile di un
atto esterno, Cfr. DENTI, Note sui vizi della volontà negli atti processuali, Pavia, 1959.
(16) In tema, considerazioni sul punto anche in ORIANI, voce Atti
processuali (diritto processuale civile), cit., 8.
(17) Per un approfondimento della figura de qua, cfr. DENTI, voce
Negozio processuale, in Enc. dir., 1978, XXVIII, 138 e ss.; RICCIO, La
volontà delle parti nel processo penale, Napoli, 1969, 58 e ss.; COSTA,
Contributo alla teoria dei negozi giuridici processuali, Bologna, 1921.
(18) Sul punto, considerazioni in LOZZI, voce Atti processuali (diritto processuale penale), cit., 9.
(19) Da un certo punto di vista, in chiave parallela alla fattispecie
sostanziale di reato, può parlarsi quantomeno di bipartizione, come
teoria generale dell’atto, tra elementi oggettivo e soggettivo, oltre ai
corollari di ciascuno di essi.
(20) In tema, importante analisi in TATARANO, “Incertezza” autonomia privata e modello condizionale, Napoli, 1976, ove il rapporto con
gli interessi di parte assume un ruolo centrale; modello questo esportabile anche in ambito processuale, seppure tenendo conto delle peculiarità
della sedes materiae.
(21) Per una disamina sulla complessità della categoria de qua, si
veda LOZZI, voce Atti processuali (diritto processuale penale), cit., 9.
Chiarisce la natura di “presupposto” delle condizioni di procedibilità, da
distinguersi quindi rispetto alla figura condizionale stricto sensu, CONSO, I fatti giuridici processuali penali, Milano, 1955, 197 e ss..
(22) CONSO, voce Atti processuali penali, cit., 145.
(23) In tema, interessanti considerazioni in CONSO, voce Atti
processuali penali, cit., 146. Sulle nozioni di procedimento e processo,
un fondamentale approfondimento in FAZZALARI, voce Procedimento e
processo (teoria generale), in Enc. dir., 1986, XXXV, 819 e ss..
(24) In tema, per un’analisi compiuta si veda ORIANI, voce Atti
processuali (diritto processuale civile), cit., 2.
(25) L’integrazione rilevante per il processo, peraltro, trova un’epifania anche in quei comportamenti processuali pratici, o indiretti, a
corollario delle scelte espresse in concreto, realizzanti una sorta di atto
processuale “integrato”.
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329
dott
Dottrina
(26) Per un’approfondita analisi del rapporto condizione/presupposto, dell’atto o dell’azione, oppure del rapporto processuale, cfr. CONSO,
I fatti giuridici processuali penali, cit., 163 e ss..
(27) In tema di efficacia, un approfondimento in FALZEA, voce
Efficacia giuridica, in Enc. dir., 1965, XIV, 432 e ss.. Un’incidenza legata,
invece, all’esistenza, id est rilevanza giuridica, o anche volontà complessiva, escluderebbe effetti interinali, o preliminari, nel momento di pendenza, magari effettivamente voluti a prescindere dall’avveramento della
condizione, anche in senso preclusivo generale, oppure effetti definitivi
per la parte della fattispecie non coperta da condizione, cfr. FALZEA, La
condizione e gli elementi dell’atto giuridico, cit., 251-252.
(28) Il riferimento normativo alla disciplina della condizione giuridica nei contratti, in certi limiti a portata anche generale, è dato dagli
artt. 1353 e ss. c.c..
(29) In tema, considerazioni interessanti in CONSO, I fatti giuridici
processuali penali, cit., 180 e ss.
(30) Cfr. CONSO, I fatti giuridici processuali penali, cit., 184.
(31) Piano differenziato, e non strettamente legato all’analisi de
qua, è quello della validità, sul punto un approfondimento in FALZEA, La
condizione e gli elementi dell’atto giuridico, cit., 316 e ss...
(32) Parla anche di rilevanza giuridica FALZEA, La condizione e gli
elementi dell’atto giuridico, cit., 27.
(33) Parla anche di “inefficacia pendente” e “inefficacia successiva”
SCOGNAMIGLIO, voce Inefficacia (diritto privato), in Enc. giur. Trecc.,
1989, XVI, 4 e ss.. Per una disamina dottrinale generale in materia di inefficacia processuale, Cfr. GIANNOZZI, Per uno studio del concetto di inefficacia processuale, in Studi in memoria di C. Furno, Milano, 1973, 437 e ss..
(34) In tema, interessanti considerazioni in CONSO, I fatti giuridici
processuali penali, cit., 192.
(35) Chiarisce la non correttezza della distinzione, all’interno di
una fattispecie complessa di fatti/atti, tra fatti principali e secondari, essenziali e inessenziali, cause e concause, CONSO, I fatti giuridici processuali penali, cit., 206; diversa è invece la nozione di accidentalità, da
tenersi comunque distinta da quella di accessorietà.
(36) Per un approfondimento generale in tema, si vedano LENER,
Contributo allo studio condizione unilaterale, Milano, 2012; TATARANOROMANO, Condizione e modus, Napoli, 2009; ALCARO, La condizione
nel contratto: tra atto e attività, Padova, 2008; PETRELLI, La condizione
«elemento essenziale» del negozio giuridico. Teoria generale e profili
applicativi, Milano, 2000; MAGGI, Condizione unilaterale, Napoli,
1998; LENZI, Condizione, autonomia privata e funzione di autotutela.
L’adempimento dedotto in condizione, Milano, 1996; PECCENINI, La
condizione nei contratti, Padova, 1995; MAIORCA, voce Condizione, in
Dig. disc. priv. sez. civ., 1988, III, 273 e ss..
(37) In tema di vizi della volontà, si vedano LEONE, Il problema dei
vizi della volontà nel diritto processuale penale, in Raccolta di scritti in
onore di Arturo Carlo Jemolo, Milano, 1963, III; DENTI, Note sui vizi
della volontà negli atti processuali civili, cit.; GUARNERI, Irrilevanza dei
vizi della volontà negli atti processuali, in Riv. it. dir. pen., 1957; PETROCELLI, I vizi della volontà nel processo penale, in Saggi di diritto penale,
Padova, 1952; PETROCELLI, I vizi della volontà nel processo penale, in
La Corte d’Appello, 1929; FLORIAN, Nuovi appunti sugli atti giuridici
processuali penali (i vizi della volontà), in Riv. dir. proc. pen., 1920, I.
(38) In tema, si veda ALCARO, La condizione nel contratto: tra atto
e attività, cit..
(39) Per un approfondimento in tema, si veda NICOTRA, L’abuso del
processo tra regole deontologiche ed esigenze di economia processuale,
in http://www.giuri.unige.it/corsistudio/documents/Nicotra.pdf, 2008.
(40) Per un approfondimento generale della figura de qua, si vedano
CATAUDELLA, voce Fattispecie, in Enc. dir., 1967, XVI, 926 e ss.; CONSO,
I fatti giuridici processuali penali, cit., 115 e ss..
(41) Nozione che presuppone una relazione minima con elementi
essenziali di un modello, ma non escludente rispetto ad elementi ulteriori accidentali integrativi dello stesso; per una valorizzazione della distinzione, sul punto, tra fattispecie e fatto in chiave effettuale, Cfr. CONSO, I
fatti giuridici processuali penali, cit., 27.
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(42) Cfr. BORASI, Il ruolo della componente volitiva nei fatti processuali penali, in questa Rivista, 2012, III, 253.
(43) Per un approfondimento della figura de qua, seppur in ambito
contrattuale, ma a valenza generale, Cfr. ROLFI, Sulla causa dei contratti atipici a titolo gratuito, in Corr. giur., 2003, I, 46 e ss..
(44) Vi sono situazioni in cui gli atti processuali, come atti giuridici
stricto sensu in chiave statica, id est con effetti e disciplina predeterminati dal legislatore (per un approfondimento generale della figura de
qua, cfr. GALGANO, Diritto civile e commerciale, Milano, 1999, III, 36 e
ss..), rimangono tali anche in chiave dinamico-relazionale, per volontà
del dichiarante o vincolo naturale.
(45) In tema, per un approfondimento analitico, Cfr. PROCACCINO,
Il negozio probatorio dibattimentale, Milano, 2010, 25; si veda, inoltre,
BONINI, Forme di manifestazione e contenuti della giustizia penale consensuale, in AA.VV., Scritti in onore di Antonio Cristiani, Torino, 2001.
(46) In tema di accordo negoziale di patteggiamento, si veda BORASI, Il patteggiamento. Approccio di sistema alle implicazioni processuali, Montecatini Terme, 2012.
(47) Sulla nozione di fatto giuridico processuale penale, cfr. PAGLIARO, voce Fatto (diritto processuale penale), in Enc. dir., 1967, XVI,
941 e ss.; CONSO, I fatti giuridici processuali penali, cit.. Non di poco
conto poi, soprattutto nell’ambito processuale, è la distinzione tra, comportamento puro e semplice, da un lato, e comportamento qualificato
realizzante un atto, dall’altro, a prescindere dall’eventuale rilevanza giuridica di entrambi, nell’ordinamento in generale, e nel rapporto specifico
in particolare.
(48) Di fronte ad una certezza sul se e quando di realizzazione,
si deve infatti parlare di termine (cfr. BORASI, I termini nel processo
penale, Piacenza, 2011, 16), rispetto a cui il legame problematico con
gli atti processuali (penali) non viene approfondito nel presente lavoro,
anche se avente naturalmente punti di contatto con quanto espresso
rispetto alla figura condizionale stricto sensu, soprattutto in chiave di
sistema. In tema, per un approfondimento d’analisi in ordine all’istituto
del termine giuridico, si vedano CARNELUTTI, Sistema del diritto processuale civile, cit., 477-479; MAIORCA, voce Condizione, cit., 329 e ss., ove
si chiarisce anche il regime di eventuale concorso con la figura giuridica
della condizione (o delle condizioni).
(49) Sul punto della rilevanza processuale penale come concetto
legato, ma non indissolubilmente, a quello di validità stricto sensu, cfr.
LOZZI, voce Atti processuali (diritto processuale penale), in cit., 2.
(50) In ordine a questi elementi, cfr. FALZEA, La condizione e gli
elementi dell’atto giuridico, cit., 258.
(51) Cfr. FALZEA, La condizione e gli elementi dell’atto giuridico,
cit., 301-302.
(52) Categoria incompatibile, nell’annessione, ad un rapporto
giuridico processuale, è quella delle condizioni meramente potestative,
rispetto a cui si possono richiamare le medesime quaestiones portate dal
disposto di cui all’art. 1355 c.c.; compatibili in astratto, invece, sono le
altre condizioni, comunemente classificabili come affermative, negative,
potestative, causali, e miste.
(53) Nozione affine è quella di potere dispositivo, anche se più legata al procedimento/processo in complesso, che non al singolo atto che
lo compone; sul punto, importanti considerazioni in RICCIO, La volontà
delle parti nel processo penale, cit., 214 e ss..
(54) Parla di actus legitimi come di dichiarazioni di volontà non
condizionabili per natura legale FALZEA, voce Condizione (diritto civile), in Enc. giur. Trecc., 1988, III, 6.
(55) Cfr. ORIANI, voce Atti processuali (diritto processuale civile),
cit., 9; COSTA-SEGNI, voce Procedimento civile, in Nss. dig. it., 1966,
XIII, 1054; CARNELUTTI, Sistema del diritto processuale civile, Padova,
1938, II, 477.
(56) In ordine a tali principi generali, Cfr. ex multis MAZZA, Il principio di legalità nel nuovo sistema penale liquido, in Giur. cost., 2012, V;
CARNELUTTI, La certezza del diritto, in Riv. dir. civ., 1943, XX.
(57) In dottrina si parla anche di migliore tutela degli interessi sottesi, Cfr. ORIANI, voce Atti processuali (diritto processuale civile), cit., 9.
dott
Dottrina
(58) Di eventuali problemi sotto il profilo dell’eguaglianza dei soggetti di fronte alla legge, anche processuale, cfr. LOZZI, voce Atti processuali (diritto processuale penale), cit., 8.
(59) CARNELUTTI, Sistema del diritto processuale civile, cit., 472.
(60) Cfr. CARNELUTTI, Sistema del diritto processuale civile, cit.,
472 e ss., il quale ritiene peraltro che non solo i negozi di diritto privato,
ma anche gli atti imperativi, possono in astratto essere condizionati in
modo volontario, ad esclusione dei provvedimenti e negozi processuali.
(61) Precisazione del rapporto tra volontà dell’atto processuale ed
effetti conseguenti, in chiave dispositiva, come sempre predeterminati,
in RICCIO, La volontà delle parti nel processo penale, cit., 212.
(62) Cfr. Cass., sez. un. pen., sent. n. 44711 del 2004, in CED, in tema
di rito abbreviato.
(63) Cfr. FALZEA, La condizione e gli elementi dell’atto giuridico,
cit., 78.
(64) Chiarisce come, tra evento in condizione e clausola condizionale, solo quest’ultima possa essere oggetto dell’autonomia regolatoria, e
quindi del contemperamento degli interessi sottesi, VARRONE, Ideologia
e dogmatica nella teoria del negozio giuridico, Napoli, 1972, 86 e ss..
(65) Cfr. FALZEA, La condizione e gli elementi dell’atto giuridico,
cit., 130 e ss.
(66) In ordine ai caratteri dell’istituto della presupposizione, di
origine civilistica, cfr. SERIO, voce Presupposizione, in Dig. disc. priv.
sez. civ., 1996, XIV, 294 e ss..
(67) Da differenziarsi rispetto agli schemi composti di “manifestazioni” subordinate, o alternative, eventualmente anche condizionate.
(68) Ritiene che, per l’ammissibilità di un atto condizionato che possa produrre una stasi processuale in caso di mancato avveramento della
condizione, sia necessario anche il compimento di un atto non condizionato “giudicabile”, COSTA-SEGNI, voce Procedimento civile, cit., 1054.
(69) Parla di impossibilità oggettiva, o soggettiva, della condizione,
ZACCHÈ, Il giudizio abbreviato, Milano, 2004, 162-163.
(70) Quando viene effettuata una dichiarazione complessa, il dichiarante si assume il rischio processuale della non valenza, comprese le
preclusioni eventualmente verificatesi; in puncto Cfr. Cass. pen., sez. II,
sent. n. 25307 del 2012, CED 253406, in tema di rito abbreviato.
(71) Diverso “momento” è quello del mancato avveramento della
condizione, strettamente legato all’istituto dell’inefficacia (della dichiarazione), eventualmente anche per il trascorrere di un termine
stabilito, oppure di un termine ragionevole in caso di mancata fissazione,
sullo sfondo dei doveri di buona fede e leale collaborazione dei soggetti
processuali, che a certe condizioni possono rendere applicabile, anche
in ambito processuale, il portato generale di cui all’art. 1359 c.c.; per
un approfondimento generale sul punto, anche se in ambito civilistico,
cfr. PECCENINI, La finzione di avveramento della condizione, Padova,
1994, 7 e ss..
(72) Cfr. Cass., sez. un. pen., sent. n. 41461 del 2012, CED 253211, in
tema di rito abbreviato.
Arch. nuova proc. pen. 4/2014
331
dott
Dottrina
La vigilanza privata nel
contrasto alla pirateria.
Quali prospettive? (*)
di Licia Russo
(*) Testo della relazione svolta dalla dott.ssa Licia Russo, docente di
diritto e procedura penale militare presso l’università degli studi di Palermo, nell’Incontro di studi su “Nuclei di vigilanza armata nell’attività di
contrasto alla pirateria: profili internazionalistici e penalistici” (Roma,
22-23 novembre 2012).
SOMMARIO
1. Introduzione. 2. I nuclei militari di protezione e le guardie
giurate. 3. Conclusioni.
1. Introduzione
Il coinvolgimento della Marina militare italiana nell’attività di contrasto alla pirateria si sviluppa, come è noto, in
modo alternativo nel contesto di operazioni, sia nazionali
sia internazionali, nell’ambito della Nato (Ocean Shield 2009) e dell’Unione Europea (Missione Atlanta-2008).
Nonostante i positivi risultati ottenuti dalle nostre
Unità navali, le ampie dimensioni delle aree a rischio di
pirateria e la progressiva espansione del fenomeno hanno determinato la decisione di utilizzare altresì i cosiddetti Nuclei militari di protezione (NMP), costituiti da
personale della Marina militare o di altre Forze armate,
imbarcati su navi mercantili, battenti bandiera italiana,
che navighino in acque internazionali a rischio di pirateria, individuate da un apposito decreto del Ministro della
Difesa, sentiti i Ministri degli Affari esteri e dei Trasporti
(Somalia, Mare cinese meridionale, Golfo di Aden..), come
previsto dal decreto legge 12 luglio 2011, n. 107, conv. nella
legge 2 agosto 2011, n. 130.
Lo stesso provvedimento legislativo ha inoltre previsto
la possibilità di utilizzare unità di guardie giurate, individuate preferibilmente in soggetti, che abbiano prestato
servizio militare nelle Forze armate, anche come volontari,
con esclusione solo dei militari di leva (art. 5 comma 2).
2. I nuclei militari di protezione e le guardie giurate
Il decreto legge in oggetto ha anche previsto, con riferimento agli artt. 5, 5 bis e 5 ter, l’emanazione da parte
del Governo di un decreto attuativo che, però, a tutt’oggi,
non è stato ancora emanato anche se, in data 24 ottobre
2012, il testo predisposto dal Ministero è stato inviato al
Consiglio di Stato per il prescritto parere, come ha riferito
in aula, rispondendo ad una interrogazione, il Sottosegretario di Stato all’Interno, dott. Carlo De Stefano.
In particolare, il decreto attuativo dovrebbe “definire”
le modalità concernenti:
1) il porto di armi da fuoco;
2) il trasporto delle armi e il relativo munizionamento;
332
4/2014 Arch. nuova proc. pen.
3) la quantità di armi detenute a bordo della nave e la
loro tipologia;
4) l’imbarco e lo sbarco delle armi dai porti limitrofi
alle zone a rischio di pirateria;
5) i rapporti tra le guardie giurate e il comandante
dell’unità navale.
Queste previsioni dovrebbero garantire la libertà e la
sicurezza della navigazione commerciale negli spazi marittimi internazionali a rischio di pirateria.
Pur in assenza del decreto attuativo, cercherò di svolgere alcuni brevi riflessioni sull’argomento, cercando di
evidenziare le funzioni sia dei Nuclei militari di protezione, sia delle guardie giurate.
Anzitutto, è necessario che la singola unità navale
abbia predisposto lungo il bordo della stessa almeno uno
dei dispositivi di sicurezza (barriere di filo spinato, idranti…), consigliati dall’International maritime organization
(IMO); organizzazione internazionale marittima con sede
in Londra, che ha sempre privilegiato l’utilizzazione per il
contrasto alla pirateria di personale delle Marine militari,
appartenente sia a singoli Stati, sia alla Nato ovvero all’Unione europea (Missione Atlanta).
La prima differenza tra i Nuclei militari e le guardie
giurate riguarda il rapporto di “sussidiarietà” che intercorre tra questi soggetti.
Le guardie giurate, infatti, potranno essere imbarcate
a bordo delle navi mercantili solo in mancanza dei Nuclei
militari (art. 4 D.L. n. 107/2011, conv. in L. n. 130/2011, e
art. 6 D.M. Interno n. 154/2009).
Inoltre, le guardie giurate devono essere autorizzate
allo svolgimento delle loro funzioni ai sensi degli artt.
133 e 134 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza
(R.D. 18 giugno 1931 n. 773). In particolare, l’art. 133 si
riferisce alle guardie giurate destinate alla vigilanza o
custodia di proprietà mobiliari o immobiliari), mentre
l’art.134 demanda a questo personale la facoltà di svolgere
investigazioni, ricerche e raccolta di informazioni per
conto di privati.
Ed ancora, le guardie giurate devono essere in possesso
della licenza rilasciata dal Ministro dell’Interno per il possesso delle armi e della autorizzazione del Prefetto della
provincia per svolgere il servizio.
Le guardie giurate sono scelte, come si è già accennato,
tra coloro che abbiano prestato servizio nelle forze armate,
anche come volontari, con esclusione del servizio di leva
e devono avere superato i corsi teorico-pratici, stabiliti
dal Ministro dell’Interno con un apposito decreto. La possibilità di frequentare i predetti corsi è stata prorogata al
31 dicembre 2012.
Non si riscontra, invece, alcuna differenza tra i Nuclei
militari e le guardie giurate relativamente alle condizioni
per l’imbarco e la navigazione.
Un altro aspetto che differenzia i Nuclei militari di
protezione e le guardie giurate riguarda i rapporti con il
Comandante della nave.
dott
Dottrina
In forza dell’art. 5 del D.L. n. 107/2011 conv. nella L. n.
130/2011, infatti, i componenti i Nuclei militari sono sottoposti alle direttive e alle regole di ingaggio del Ministero
della Difesa e devono obbedire al Comandante del Nucleo
operativo, al quale sono attribuite le funzioni di ufficiale
di polizia giudiziaria.
Il provvedimento legislativo de quo tace, invece, sui rapporti delle guardie giurate con il Comandante delle nave,
che dovranno essere disciplinati dal decreto attuativo.
Si deve comunque ritenere che le guardie giurate siano
sottoposte all’autorità del Comandante della nave, che, a
bordo della nave, ha poteri di polizia anche relativamente
all’eventuale uso delle armi.
Un’altra questione riguarda i poteri assegnati ai componenti dei Nuclei militari e le prerogative delle guardie
giurate.
In particolare, ai militari sono assegnati i seguenti
compiti:
1) la protezione degli equipaggi e delle unità navali
nazionali;
2) l’acquisizione e la condivisione delle informazioni
operative;
3) la collaborazione all’addestramento degli equipaggi;
4) l’attività di supporto al comandante della nave nelle
attività decisionali di cosiddetta “evasione” per evitare un
attacco dei pirati.
Quali sono invece i compiti delle guardie giurate?
Riteniamo che le stesse possano svolgere le attività di
protezione dell’equipaggio e dell’unità navale, contribuendo anche, mediante lo svolgimento di indagini, all’acquisizione di informazioni e alla predisposizione di mappe dei
rischi, atte a prevenire gli attacchi dei pirati, ai sensi del
già citato art. 134 del Testo unico delle leggi di pubblica
sicurezza.
Non riteniamo, invece, che le guardie giurate possano
avere un ruolo centrale nell’attività di addestramento dell’equipaggio e di supporto al comandante della nave.
Un altro problema riguarda, allo stato, la tematica relativa alle armi data la mancata emanazione del decreto
attuativo.
Premesso, infatti, che il vigente Codice della navigazione (artt. 193, comma 3, e 1136) è notevolmente restrittivo
relativamente all’imbarco di armi a bordo di navi mercantili, in osservanza delle norme internazionali, finalizzate
ad impedire che le navi mercantili si trasformino in navi
da guerra, si deve evidenziare, anzitutto, che sia le guardie
giurate, sia i Nuclei militari, hanno il compito di “proteggere” la nave a rischio di pirateria.
La funzione, invece, di dare la cosiddetta “caccia” ai
pirati è affidata esclusivamente alle navi da guerra ovvero
alle navi in servizio di Stato, che sono regolarmente autorizzate (art. 106 e 110 della Convenzione internazionale
sul diritto del mare del 1982).
Ne conseguono due diverse situazioni per l’uso delle
armi da parte dei militari dei Nuclei e delle guardie giurate, nello svolgimento dell’attività di protezione dell’unità
navale.
I militari dei Nuclei di protezione, avendo la qualità
di operatori di polizia giudiziaria limitatamente ai reati
di cui agli artt. 1135 (pirateria) e 1136 (nave sospetta di
pirateria) del Codice della navigazione ed a quelli ad essi
connessi ai sensi dell’art. 12 c.p.p., ferme restando le attribuzioni del Comandante, possono legittimamente usare le armi o altri mezzi di coazione per difendere l’unità
navale.
È evidente che i componenti dei Nuclei, laddove siano
appartenenti all’Arma dei Carabinieri, avranno la qualifica
di ufficiale o agente di polizia giudiziaria con competenza
generale e illimitata, cioè in ogni luogo e per la generalità
dei reati, ai sensi dell’art. 57 comma 1, lett. b), e comma
2, lett. b), c.p.p.
Inoltre, al personale militare dei Nuclei di protezione
si applicano, oltre le cause comuni di giustificazione, anche la nuova causa di giustificazione, introdotta dall’art.
4 commi 1 sexies e 1 septies del D.L. 4 novembre 2009, n.
152, conv. nella legge n. 197/2009.
L’art. 5, comma 2 del citato decreto legge n. 107 del
2011, prevedendo l’applicabilità di questa causa di giustificazione, ha però sostituito la «necessità delle operazioni militari» con la «necessità di protezione del naviglio
commerciale».
Ne consegue che non saranno punibili i militari che,
nell’ambito delle operazioni di contrasto alla pirateria
di cui al comma 1 dello stesso art. 5, in conformità alle
direttive, alle regole di ingaggio ovvero agli ordini legittimamente impartiti fanno uso ovvero ordinano di fare uso
delle armi, della forza ovvero di un altro mezzo di coazione
fisica per proteggere il naviglio mercantile.
Nel caso in cui i militari eccedano colposamente i limiti
previsti dalla legge, dalle direttive, dalle regole di ingaggio
o dagli ordini legittimamente impartiti, ovvero dalla necessità di protezione del naviglio, si potranno applicare nei
loro confronti le disposizioni concernenti i delitti colposi,
se il fatto è previsto dalla legge come delitto colposo.
La situazione è ben diversa nel caso in cui le armi
vengano utilizzate dalle guardie giurate per difendere se
stesse o il naviglio mercantile in quanto l’art. 5 bis del
decreto legge n. 107 del 2011 si limita a prevedere che le
guardie giurate, autorizzate ai sensi degli art. 133 e 134
del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza possono
utilizzare le armi, in dotazione delle navi, custodite in
appositi locali e previa autorizzazione rilasciata all’Armatore dal Ministro dell’Interno ai sensi dell’art. 28 del
Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza. Le guardie
giurate, inoltre, possono utilizzare le armi di loro proprietà nelle acque internazionali, previa autorizzazione del
Ministero dell’Interno.
Arch. nuova proc. pen. 4/2014
333
dott
Dottrina
È evidente che, in presenza di un attacco dei pirati, le
guardie giurate potranno fare uso delle armi in dotazione
solo per “legittima difesa”, individuale e collettiva, e, in
caso di commissione di reati, potrà essere alle stesse applicata la relativa causa di giustificazione.
Ulteriori problematiche riguardano i poteri di arresto
in flagranza di reato in quanto si possono presentare due
situazioni diverse, a secondo che ad operare l’arresto siano
i componenti dei Nuclei militari di protezione ovvero le
guardie giurate.
I militari dei nuclei infatti, avendo attribuita la qualifica di ufficiale o agente di polizia giudiziaria limitatamente
ai reati di cui agli artt. 1135 e 1136 del Codice della navigazione ed a quelli agli stessi connessi ex art. 12 c.p.p.,
potranno operare l’arresto in flagranza sia obbligatorio,
sia facoltativo ai sensi delle disposizioni del codice di procedura penale (art. 380 e 381 c.p.p.) e in conformità alle
disposizioni e alle regole di ingaggio emanate dal Ministro
della Difesa.
Le guardie giurate, invece, potranno avvalersi soltanto
del disposto dell’art. 383 c.p.p. che consente a qualsiasi privato cittadino di procedere all’arresto in flagranza, quando
si tratta di delitti perseguibili d’ufficio con riferimento ai
quali risulterebbe obbligatorio l’arresto ad iniziativa della
polizia giudiziaria ex art. 380 c.p.p.
Nel silenzio della legge, infatti, non ci sembra possibile
un’ulteriore estensione della facoltà di arresto alle guardie giurate in quanto l’art. 13 comma 3 della Costituzione
legittima ad adottare provvedimenti provvisori limitativi
della libertà personale soltanto “l’autorità di pubblica
sicurezza”, e, quindi, gli organi di polizia.
Con riferimento alle persone arrestate in flagranza
un’ulteriore questione riguarda il procedimento di convalida della misura. A tal fine, infatti, le persone arrestate
dovrebbero essere trasbordate su una nave militare per
334
4/2014 Arch. nuova proc. pen.
metterle a disposizione dell’autorità giudiziaria (art. 5
comma 2 D.L. n. 107/2011, conv. nella L. n. 130/2011 che
richiama l’art. 5 D.L. 209/2008, conv. nella L. n. 12/2009).
Ne consegue che, a causa di queste difficoltà, sia i
Nuclei militari sia le guardie giurate si limiteranno a respingere, anche con l’uso delle armi, gli attacchi dei pirati,
senza procedere all’eventuale arresto degli stessi.
3. Conclusioni
Molteplici sono i problemi che, come si è visto, si presentano all’interprete; alcuni, a tutt’oggi, non risolti data
la mancata emanazione del decreto attuativo della legge
n. 130 del 2011, che dovrebbe regolamentare le modalità
di utilizzazione delle guardie giurate a bordo delle navi
mercantili e le loro attribuzioni.
Ritengo infatti che sia necessaria:
a) una adeguata formazione “specialistica” e innovativa per le funzioni che le guardie giurate dovranno svolgere
a bordo delle navi mercantili, implementando, per la loro
formazione, i corsi teorico-pratici;
b) una più precisa definizione dei rapporti intercorrenti tra il Comandante della nave che, come si è già detto, è
responsabile delle scelte per l’utilizzazione del personale
militare e delle guardie giurate;
c) la specificazione dei rapporti tra il Comandante
della nave e l’Armatore;
d) la regolamentazione delle modalità di transito delle
armi;
e) la risoluzione della questione relativa all’inquadramento contrattuale delle guardie giurate.
In conclusione è auspicabile che vengano date delle risposte ai molti quesiti che ho evidenziato, ma, soprattutto,
mi auguro che sia potenziata la cooperazione tra gli Stati
per potere reprimere, o, almeno, contrastare in modo sempre più efficace la pirateria, mediante un bilanciamento
tra le esigenze umanitarie e le esigenze di sicurezza.
Bibliografia
Corso Stefano Maria
Codice della
responsabilità
“da reato” degli enti
Torino, Giappichelli, 2014, pp. 556, €
22,00
L’opera, giunta alla II edizione, propone il testo del decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231, aggiornato al marzo
2014, sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche. Le norme penali e civili richiamate nel testo
del decreto sono riportate in nota,
così da offrire un quadro completo
di immediato utilizzo. Caratteristica
saliente dell’opera è l’esposizione ragionata della giurisprudenza di merito
e di legittimità, nonché sovranazionale, intervenuta in relazione a ciascun
articolo, così da offrire al lettore una
visuale aggiornatissima del “diritto vivente”. Le decisioni giurisprudenziali
sono accompagnate dal richiamo alla
dottrina che le ha annotate, in modo
da agevolare l’approfondimento che si
renda necessario per finalità accademiche e processuali. Particolarmente
ampia è, ad esempio, la giurisprudenza sull’art. 25 septies che mira a
imporre una “cultura della sicurezza”
in ogni ente datore di lavoro. Un’ampia sezione finale dà contezza delle
leggi collegate al D.L.vo n. 231/2001
sia come “fonti europee” che come
“fonti interne”. L’opera è destinata alle
aziende, ai professionisti, ai magistrati e agli studenti chiamati, ciascuno
nella propria ottica, a misurarsi con
questo “microsistema” che utilizza il
procedimento penale per accertare ed
eventualmente reprimere gli illeciti
amministrativi che hanno causato o
non impedito la commissione dei c.d.
reati presupposto (artt. 24-26 D.L.vo
n. 231/2001).
E.T.
Degl’Innocenti Leonardo
Faldi Francesco
I benefici penitenziari
Collana Teoria e pratica del diritto
Maior, Ed. Giuffrè, Milano 2014, pp.
554, € 58.00
Il volume delinea un quadro completo
della disciplina vigente in materia di
benefici penitenziari e di sanzioni sostitutive e dei relativi procedimenti
di applicazione ed è aggiornato alle
ultime novità introdotte dalle recenti
leggi 9 agosto 2013, n. 94 e 21 febbraio
2014, n. 10, che affrontano il fenomeno del sovraffollamento carcerario,
nonché al recentissimo arresto della
Corte Costituzionale 26 febbraio 2014,
n. 35 in tema di stupefacenti.
La materia è illustrata attraverso
l’analisi dei più significativi orientamenti dottrinali e giurisprudenziali,
grazie al costante riferimento a decisioni sia di legittimità che di merito,
molte delle quali inedite.
M.B.
Dell’Agli Carlo
Scritti giuridici
Area Scienze giuridiche, Ed. Aracne,
Roma 2014, pp. 453, s.p.
L’Opera è una interessante raccolta di
articoli e note a sentenza, che l’auto-
re ha prodotto durante la sua carriera
di funzionario dell’Amministrazione
giudiziaria, riferite alla giurisprudenza sia di merito che di legittimità.
La materia a cui l’autore riserva i
più ampi spazi di trattazione è senza
dubbio il diritto processuale penale,
ma sono presenti argute osservazioni
anche su altri argomenti di notevole
interesse come, ad esempio, sull’imposta di registro dovuta per il rilascio
della copia esecutiva della sentenza o
sulla direttiva n. 220/90 della Comunità Europea sugli organismi geneticamente modificati.
Tra gli argomenti affrontati nelle
note a sentenza dell’Autore, in ambito penalistico si segnalano: reato
continuato; connessione e riunione di
procedimenti; imputazione generica;
in ambito civilistico: le notifiche a
mezzo posta.
Tra i contributi dottrinali, interessanti in materia penale quelli in tema
di recupero spese nel processo penale
nei confronti del coimputato che non
ha proposto gravame; di questioni di
competenza; di avviso di deposito dell’ordinanza di custodia cautelare e diritto del difensore al rilascio di copia
degli atti depositati nella cancelleria
del giudice che ha disposto l’ordinanza di misura cautelare; di specifico
mandato del difensore secondo la ratio dell’art. 571, terzo comma, c.p.p.
In materia civile si segnala l’utilizzo
dell’immobile in assenza della prescritta autorizzazione sanitaria.
M.B.
Arch. nuova proc. pen. 4/2014
335
Corte costituzionale
Corte costituzionale
21 maggio 2014, n. 135
(c.c. 12 febbraio 2014)
Pres. Silvestri – Rel. Frigo – Ric. Mag. sorv. Napoli in proc. Z.U.
Misure di sicurezza y Procedimento y Su istanza
degli interessati y Nelle forme dell’udienza pubblica
y Esclusione y Illegittimità costituzionale parziale.
. Sono
costituzionalmente illegittimi, in riferimento
agli artt. 111, primo comma, e 117, primo comma, Cost.,
gli artt. 666, comma 3, 678, comma 1, e 679, comma 1,
c.p.p., nella parte in cui non consentono che la procedura di applicazione delle misure di sicurezza si svolga,
su istanza degli interessati, nelle forme della pubblica
udienza. (c.p.p., art. 666; c.p.p., art. 678; c.p.p., art.
679) (1)
(1) Si rimanda, per utili riferimenti, alla sentenza Corte cost. 12
marzo 2010, n. 93, in questa Rivista 2010, 297, che perviene alle medesime conclusioni della pronuncia in epigrafe pur con riferimento
al procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza depositata il 29 novembre 2012, il
Magistrato di sorveglianza di Napoli ha sollevato, in riferimento agli artt. 111, primo comma, e 117, primo comma,
della Costituzione, questione di legittimità costituzionale
degli artt. 666, comma 3, 678, comma 1, e 679, comma 1,
del codice di procedura penale, «nella parte in cui non
consentono che la procedura di applicazione delle misure
di sicurezza si svolga, su istanza degli interessati, nelle
forme della pubblica udienza».
Il giudice a quo – investito di un procedimento, promosso d’ufficio, per la dichiarazione di abitualità nel reato
– riferisce che il difensore dell’interessato aveva chiesto
che la procedura fosse trattata «in forma pubblica».
Il rimettente rileva che, in base alla normativa vigente,
la richiesta non potrebbe essere accolta. L’art. 679, comma
1, cod. proc. pen. demanda la competenza in materia al
magistrato di sorveglianza, stabilendo che «Quando una
misura di sicurezza diversa dalla confisca è stata, fuori
dei casi previsti dall’articolo 312, ordinata con sentenza,
o deve essere ordinata successivamente, il magistrato di
sorveglianza, su richiesta del pubblico ministero o di ufficio, accerta se l’interessato è persona socialmente pericolosa e adotta i provvedimenti conseguenti, premessa, ove
occorra, la dichiarazione di abitualità o professionalità nel
reato». Quanto al rito, l’art. 678, comma 1, cod. proc. pen.
dispone che il magistrato di sorveglianza, nelle materie
attinenti alle misure di sicurezza e alla dichiarazione di
abitualità o professionalità nel reato, procede «a norma
dell’articolo 666», il cui comma 3 a sua volta prevede che
«il giudice […], designato il difensore di ufficio all’interessato che ne sia privo, fissa la data dell’udienza in camera
di consiglio».
Il dato normativo risulterebbe, pertanto, inequivoco
nello stabilire che il procedimento per l’applicazione delle
misure di sicurezza abbia luogo «in camera di consiglio»:
formula che – alla luce di un consolidato orientamento
della giurisprudenza di legittimità – implica un rinvio alla
disciplina generale dettata dall’art. 127 cod. proc. pen., il
cui comma 6 dispone espressamente che l’udienza si svolge «senza la presenza del pubblico».
La pubblicità dell’udienza non potrebbe essere, d’altra
parte, “recuperata” neppure in sede di appello avverso
la decisione del magistrato di sorveglianza, posto che, in
forza del citato art. 678, comma 1, cod. proc. pen., anche
il tribunale di sorveglianza – cui l’appello è devoluto (art.
680, comma 1, cod. proc. pen.) – procede nelle materie di
sua competenza a norma dell’art. 666.
Ad avviso del giudice a quo, le norme censurate violerebbero, per questo verso, l’art. 117, primo comma, Cost.,
ponendosi in contrasto – non superabile in via di interpretazione – con il principio di pubblicità dei procedimenti
giudiziari, sancito dall’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre
1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n.
848, così come interpretato dalla Corte europea dei diritti
dell’uomo.
In recenti pronunce nei confronti dello Stato italiano,
attinenti ad altre materie (sentenza 13 novembre 2007, Bocellari e Rizza contro Italia; sentenza 8 luglio 2008, Perre e
altri contro Italia; sentenza 10 aprile 2012, Lorenzetti contro Italia), la Corte di Strasburgo ha in effetti ritenuto che
la procedura «in camera di consiglio» – e, dunque, senza
l’intervento del pubblico – sia incompatibile con l’indicata
garanzia convenzionale. Ciò è avvenuto, in particolare, con
riguardo al procedimento per l’applicazione delle misure
di prevenzione (cui si riferiscono le prime due pronunce
dianzi citate). La Corte europea ha, infatti, osservato che
– pur a fronte dell’elevato «grado di tecnicismo» di dette
procedure e delle esigenze di protezione della vita privata
di terzi indirettamente interessati, in esse spesso riscontrabili – l’entità della «posta in gioco» e gli effetti che le
procedure stesse possono produrre impongono di ritenere
che il controllo del pubblico sull’esercizio della giurisdizione rappresenti una condizione necessaria ai fini del
Arch. nuova proc. pen. 4/2014
337
giur
C o r t e c o s t i t u z i o n al e
rispetto dei diritti dei soggetti coinvolti: prospettiva nella
quale dovrebbe essere offerta a questi ultimi «almeno la
possibilità di sollecitare una pubblica udienza davanti alle
sezioni specializzate dei tribunali e delle corti d’appello».
Se questa conclusione vale quando la «posta in gioco» è
la confisca di «beni e capitali», come nel caso delle misure
di prevenzione patrimoniali, a maggior ragione essa si
imporrebbe rispetto al procedimento di sicurezza, suscettibile di incidere in modo diretto e rilevante sulla libertà
personale del soggetto interessato. Nell’ipotesi sottoposta all’esame del rimettente, l’eventuale dichiarazione di
abitualità nel reato potrebbe determinare l’applicazione
di una misura di sicurezza detentiva, quale l’assegnazione
ad una casa di lavoro per un periodo minimo di due anni,
o anche non detentiva, ma comunque significativamente
limitativa della libertà personale, quale la libertà vigilata.
L’incidenza del procedimento sulla libertà personale
dell’interessato sarebbe resa, d’altro canto, ancor più
«traumatica» dalla circostanza che la pronuncia del magistrato di sorveglianza non segue immediatamente la
commissione dei fatti di reato, ma può intervenire anche
a notevole distanza di tempo da essi: ciò, segnatamente
nei casi in cui il procedimento sia attivato all’esito di valutazioni basate sulle condanne risultanti del certificato
del casellario giudiziale, come tipicamente avviene per la
dichiarazione di abitualità nel reato.
Le affermazioni della Corte europea dei diritti dell’uomo, dianzi ricordate, indurrebbero a dubitare della
legittimità costituzionale delle norme censurate anche in
riferimento all’art. 111, primo comma, Cost., in forza del
quale la giurisdizione si attua mediante il giusto processo
regolato dalla legge.
Sebbene, infatti, il procedimento disciplinato dagli
artt. 666, 678, 680 e 127 cod. proc. pen. appaia strutturato,
nel complesso, in modo tale da assicurare l’effettività del
diritto di difesa, la previsione del suo svolgimento nella
forma dell’udienza camerale non garantirebbe un controllo sull’esercizio dell’attività giurisdizionale adeguato alla
gravità dei provvedimenti adottabili. In questa prospettiva, ai fini dell’attuazione di un «equo processo», dovrebbe
essere prevista la possibilità di svolgere il procedimento in
forma pubblica almeno su richiesta degli interessati.
2.– È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata
infondata.
La difesa dello Stato osserva come nel procedimento
per l’applicazione delle misure di sicurezza vengano in
rilievo esigenze di riservatezza, in relazione agli elementi
istruttori posti a fondamento della decisione, la quale costituisce la risultante di un giudizio che non ha ad oggetto
la sussistenza di un fatto-reato, ma soprattutto la personalità dell’interessato.
Tali esigenze, unite a quelle di celerità processuale,
prevarrebbero sull’esigenza della pubblicità, la quale, anche
nella disciplina del dibattimento penale, risulta recessiva
laddove sussistano particolari esigenze di riservatezza, tanto che in tal caso l’udienza può svolgersi a porte chiuse.
338
4/2014 Arch. nuova proc. pen.
Considerato in diritto
1.– Il Magistrato di sorveglianza di Napoli dubita della
legittimità costituzionale della disposizione combinata
degli artt. 666, comma 3, 678, comma 1, e 679, comma 1,
del codice di procedura penale, nella parte in cui non consente che il procedimento per l’applicazione delle misure
di sicurezza si svolga, su istanza degli interessati, nelle
forme dell’udienza pubblica.
Ad avviso del giudice a quo, le norme censurate violerebbero l’art. 117, primo comma, Cost., ponendosi in contrasto – non superabile in via di interpretazione – con il
principio di pubblicità dei procedimenti giudiziari, sancito
dall’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali
(CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e
resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, così come
interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
Le medesime disposizioni violerebbero, altresì, l’art.
111, primo comma, Cost., giacché la possibilità di svolgere
in forma pubblica il procedimento in questione, almeno su
richiesta degli interessati, risulterebbe indispensabile ai
fini dell’attuazione di un «giusto processo», tenuto conto
della gravità dei provvedimenti adottabili in esito al procedimento stesso, direttamente incidenti sulla libertà
personale.
2.– In via preliminare, va rilevato che, nonostante la
generica formulazione del quesito, il dubbio di legittimità
costituzionale sottoposto all’esame della Corte deve ritenersi circoscritto alla mancata previsione della possibilità
di trattazione in udienza pubblica dei procedimenti di
sicurezza nei gradi di merito (prima istanza e appello).
A questi soltanto risulta, infatti, riferito il principio
affermato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nelle
decisioni richiamate a sostegno delle censure. Lo stesso
rimettente, d’altro canto, nello svolgere le sue doglianze,
ha posto l’accento esclusivamente sull’assenza di pubblicità delle udienze che, nel procedimento in discussione, si svolgono davanti al magistrato di sorveglianza e al
tribunale di sorveglianza, competente per l’appello (art.
680, comma 1, cod. proc. pen.), senza alcun riferimento al
giudizio davanti alla Corte di cassazione, eventualmente
introdotto ai sensi dell’art. 666, comma 6, cod. proc. pen.
3.– Così precisata, la questione è fondata, in riferimento all’art. 111, primo comma, e all’art. 117, primo comma,
Cost.
Con la sentenza n. 93 del 2010, questa Corte ha già
dichiarato costituzionalmente illegittimi, per contrasto
con il secondo dei parametri indicati, l’art. 4 della legge
27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei
confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per
la pubblica moralità) e l’art. 2-ter della legge 31 maggio
1965, n. 575 (Disposizioni contro la mafia), nella parte in
cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione
si svolga, davanti al tribunale e alla corte d’appello, nelle
forme dell’udienza pubblica.
Considerazioni analoghe a quelle svolte in detta decisione – successivamente recepita dal legislatore negli
giur
C o r t e c o s t i t u z i o n al e
artt. 7, comma 1, e 10, comma 2, del decreto legislativo
6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e
delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni
in materia di documentazione antimafia, a norma degli
articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136) – valgono
anche agli odierni fini.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, costante a
partire dalle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, le norme
della CEDU – nel significato loro attribuito dalla Corte
europea dei diritti dell’uomo, specificamente istituita per
dare a esse interpretazione e applicazione (art. 32, paragrafo 1, della Convenzione) – integrano, quali «norme
interposte», il parametro costituzionale espresso dall’art.
117, primo comma, Cost., nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti
dagli «obblighi internazionali» (ex plurimis, sentenze n.
30 del 2014, n. 264 del 2012, n. 236, n. 113 e n. 80 del 2011).
Ne deriva che, ove si profili un contrasto – non superabile a
mezzo di una interpretazione “adeguatrice” – fra una norma interna e una norma della CEDU, il giudice comune,
non potendo rimuoverlo tramite la semplice non applicazione della norma interna, deve denunciare la rilevata
incompatibilità tramite la proposizione di una questione
incidentale di legittimità costituzionale per violazione del
suddetto parametro.
Nel caso oggi in esame, i dubbi di compatibilità con la
normativa convenzionale attengono alle modalità di svolgimento del procedimento in materia di applicazione delle
misure di sicurezza, previsto dall’art. 679, comma 1, cod.
proc. pen.: procedimento del quale non è in discussione il
carattere giurisdizionale, del resto espressamente evocato
dall’art. 2, numero 96), della legge 16 febbraio 1987, n. 81
(Delega legislativa al Governo della Repubblica per l’emanazione del nuovo codice di procedura penale). La norma
censurata stabilisce, in specie, nella parte cui è riferita la
questione, che «Quando una misura di sicurezza diversa
dalla confisca è stata, fuori dei casi previsti dall’articolo
312, ordinata con sentenza, o deve essere ordinata successivamente, il magistrato di sorveglianza, su richiesta del
pubblico ministero o di ufficio, accerta se l’interessato è
persona socialmente pericolosa e adotta i provvedimenti
conseguenti, premessa, ove occorra, la dichiarazione di
abitualità o professionalità nel reato». Contro il provvedimento del magistrato di sorveglianza è ammesso appello
al tribunale di sorveglianza (art. 680, comma 1, cod. proc.
pen.).
Come rimarca il giudice a quo, il dato normativo appare
univoco nello stabilire che il procedimento in questione si
svolga nella forma dell’udienza in camera di consiglio e,
dunque, senza la partecipazione del pubblico.
L’art. 678, comma 1, cod. proc. pen. prevede, infatti, che
il tribunale di sorveglianza, nelle materie di sua competenza, e il magistrato di sorveglianza, nelle materie attinenti (per quanto qui interessa) alle misure di sicurezza e
alla dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato,
applicano le regole stabilite per il procedimento di esecuzione dall’art. 666 cod. proc. pen. Trova applicazione, per-
tanto, anche il comma 3 di detto articolo, il quale prevede
la fissazione di una «udienza in camera di consiglio».
Tale formula rende operante, a sua volta, per quanto
non diversamente disposto, la disciplina generale in materia di «procedimento in camera di consiglio» dettata
dall’art. 127 cod. proc. pen.: e, dunque, – nell’assenza di
previsioni derogatorie sul punto – anche la disposizione
del comma 6, in forza della quale «l’udienza si svolge senza
la presenza del pubblico».
4.– Siffatto regime non appare, tuttavia, compatibile
con l’art. 6, paragrafo 1, della CEDU, il quale stabilisce –
per la parte conferente – che «ogni persona ha diritto a
che la sua causa sia esaminata […], pubblicamente ed
entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale […]», soggiungendo, altresì, che «la sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l’accesso nella
sala di udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell’interesse della
morale, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in
una società democratica, quando lo esigono gli interessi
dei minori o la protezione della vita privata delle parti in
causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria
dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità
possa portare pregiudizio agli interessi della giustizia».
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha reiteratamente ravvisato una simile situazione di contrasto con riguardo
al procedimento applicativo delle misure di prevenzione,
del quale la disciplina italiana vigente all’epoca prevedeva
parimenti la trattazione in forma camerale (sentenza 13
novembre 2007, Bocellari e Rizza contro Italia, sulla cui
scia sentenza 17 maggio 2011, Capitani e Campanella contro Italia; sentenza 2 febbraio 2010, Leone contro Italia;
sentenza 5 gennaio 2010, Bongiorno e altri contro Italia;
sentenza 8 luglio 2008, Perre e altri contro Italia).
A tale conclusione la Corte europea è pervenuta richiamando la propria costante giurisprudenza, secondo
la quale la pubblicità delle procedure giudiziarie tutela
le persone soggette alla giurisdizione contro una giustizia
segreta, che sfugge al controllo del pubblico, e costituisce
anche uno strumento per preservare la fiducia nei giudici,
contribuendo così a realizzare lo scopo dell’art. 6, paragrafo 1, della CEDU: ossia l’equo processo.
Come attestano le eccezioni previste dalla seconda
parte della norma, questa non impedisce, in assoluto, alle
autorità giudiziarie di derogare al principio di pubblicità
dell’udienza. La stessa Corte europea ha, d’altra parte,
ritenuto che alcune situazioni eccezionali, attinenti alla
natura delle questioni da trattare – quale, ad esempio, il
carattere «altamente tecnico» del contenzioso – possano
giustificare che si faccia a meno di un’udienza pubblica.
In ogni caso, tuttavia, l’udienza a porte chiuse, per tutta
o parte della durata, deve essere «strettamente imposta
dalle circostanze della causa».
Con riguardo alla fattispecie sottoposta al suo esame, la
Corte europea non ha contestato che il procedimento per
l’applicazione di misure di prevenzione possa presentare
«un elevato grado di tecnicità», in quanto tendente – nel
caso di misure patrimoniali – al controllo «delle finanze e
Arch. nuova proc. pen. 4/2014
339
giur
C o r t e c o s t i t u z i o n al e
dei movimenti di capitali», o che possa talora coinvolgere
«interessi superiori», quale la protezione della vita privata
di terze persone indirettamente interessate da detto controllo. Non è tuttavia possibile – secondo la Corte europea
– non tener conto dell’entità della «posta in gioco» nelle
procedure in questione – le quali mirano alla confisca di
«beni e capitali», incidendo così direttamente sulla situazione patrimoniale della persona soggetta a giurisdizione
– nonché degli effetti che esse possono produrre sulle persone: situazione a fronte della quale «non si può affermare
che il controllo del pubblico» – almeno su sollecitazione
del soggetto coinvolto – «non sia una condizione necessaria alla garanzia dei diritti dell’interessato».
Sulla scorta di tali considerazioni, la Corte di Strasburgo ha, quindi, ritenuto «essenziale», ai fini della realizzazione della garanzia prefigurata dalla norma convenzionale, «che le persone […] coinvolte in un procedimento di
applicazione delle misure di prevenzione si vedano almeno offrire la possibilità di sollecitare una pubblica udienza
davanti alle sezioni specializzate dei tribunali e delle corti
d’appello».
5.– In termini analoghi la Corte europea si è espressa,
più di recente, con riferimento al procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione, del quale la legge processuale italiana (art. 315, comma 3, in relazione all’art.
646, comma 1, cod. proc. pen.) egualmente prevede lo
svolgimento nelle forme dell’udienza camerale (sentenza
10 aprile 2012, Lorenzetti contro Italia).
Anche in questo caso, la Corte di Strasburgo ha ritenuto essenziale che i singoli coinvolti nella procedura
fruiscano almeno della facoltà di richiedere la trattazione
in forma pubblica dell’udienza innanzi la corte d’appello
(competente nel merito in unico grado), non ravvisando
alcuna circostanza eccezionale che valga a giustificare
una deroga generale e assoluta al principio di pubblicità
dei giudizi. Nell’ambito della procedura considerata,
infatti, i giudici interni sono chiamati essenzialmente a
valutare se l’interessato abbia contribuito a provocare la
sua detenzione intenzionalmente o per colpa grave: sicché
non si discute di «questioni di natura tecnica che possono
essere regolate in maniera soddisfacente unicamente in
base al fascicolo».
6.– Con la citata sentenza n. 93 del 2010, questa Corte
ha già avuto modo di escludere che la norma convenzionale, così come interpretata dalla Corte europea, contrasti
con le conferenti tutele offerte dalla nostra Costituzione:
ipotesi nella quale la norma stessa – che si colloca pur
sempre a un livello sub-costituzionale – rimarrebbe inidonea a integrare il parametro dell’art. 117, primo comma,
Cost. (ex plurimis, sentenze n. 113 del 2011, n. 311 del
2009, n. 349 e n. 348 del 2007).
L’assenza di un esplicito richiamo, non scalfisce, infatti,
il valore costituzionale del principio di pubblicità delle
udienze giudiziarie, peraltro consacrato anche in altre
carte internazionali dei diritti fondamentali. La pubblicità
del giudizio – specie di quello penale – rappresenta, in
effetti, un principio connaturato ad un ordinamento democratico (ex plurimis, sentenze n. 373 del 1992, n. 69 del
340
4/2014 Arch. nuova proc. pen.
1991 e n. 50 del 1989). Il principio non ha valore assoluto,
potendo cedere in presenza di particolari ragioni giustificative, purché, tuttavia, obiettive e razionali (sentenza n.
212 del 1986), e, nel caso del dibattimento penale, collegate ad esigenze di tutela di beni a rilevanza costituzionale
(sentenza n. 12 del 1971).
7.– Ciò posto, le conclusioni raggiunte dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in rapporto ai procedimenti per
l’applicazione delle misure di prevenzione e per la riparazione dell’ingiusta detenzione non possono non valere
anche in relazione al procedimento di applicazione delle
misure di sicurezza, oggetto dell’odierna questione.
L’obiettivo precipuo di detto procedimento è, infatti,
quello di accertare la concreta pericolosità sociale del
soggetto che dovrebbe essere sottoposto alla misura: accertamento al quale il magistrato di sorveglianza è chiamato non solo nell’ipotesi in cui sia egli stesso a provvedere alla dichiarazione di abitualità o professionalità nel
reato o all’applicazione di una misura di sicurezza nei casi
previsti dall’art. 205, secondo comma, cod. pen., ma anche
quando si tratti di dare esecuzione ai corrispondenti provvedimenti assunti dal giudice con la sentenza di condanna
o di proscioglimento che definisce il processo penale. Ciò,
in ossequio al principio che esige – una volta rimosse le
presunzioni legali prefigurate dall’originaria disciplina
del codice penale – un giudizio sulla pericolosità effettiva
dell’interessato non solo nel momento in cui la misura di
sicurezza è applicata, ma anche in quello nel quale essa
deve essere concretamente eseguita.
Avuto riguardo all’evidenziato oggetto dell’accertamento, non si è, dunque, di fronte ad un contenzioso a carattere meramente e altamente «tecnico», rispetto al quale
il controllo del pubblico sull’esercizio dell’attività giurisdizionale – richiesto dall’art. 6, paragrafo 1, della CEDU,
così come interpretato dalla Corte di Strasburgo – possa
ritenersi non necessario alla luce della peculiare natura
delle questioni trattate.
Quanto, poi, alle esigenze di riservatezza che, ad avviso
dell’Avvocatura dello Stato, giustificherebbero la sottrazione dell’udienza di sicurezza al regime della pubblicità,
esse vengono riferite allo stesso soggetto nei cui confronti
il procedimento si svolge, in correlazione ai mezzi istruttori richiesti ai fini del giudizio sulla sua personalità. Ma, a
prescindere da ogni altra possibile obiezione, è dirimente
al riguardo il rilievo che siffatte esigenze risulterebbero
comunque ininfluenti rispetto al petitum, che mira a lasciare allo stesso interessato la valutazione dell’opportunità di rendere pubblica la trattazione della procedura.
Per altro verso, poi, la «posta in gioco» nel procedimento in questione si presenta, senza alcun dubbio, particolarmente elevata. Nella generalità dei casi, la verifica
della pericolosità sociale, operata nell’ambito del procedimento di cui si discute, è prodromica alla sottoposizione
dell’interessato a misure di sicurezza personali (art. 215
cod. pen.). Nell’ambito delle misure di sicurezza patrimoniali (art. 236, primo comma, cod. pen.), la confisca
risulta, infatti, espressamente esclusa dall’ambito di operatività del procedimento stesso, essendo la competenza
giur
C o r t e c o s t i t u z i o n al e
in materia attribuita al giudice dell’esecuzione (art. 676,
comma 1, cod. proc. pen.); mentre la cauzione di buona
condotta è prevista in pochissime ipotesi, oltre a risultare
largamente desueta nella pratica.
Le misure di sicurezza personali comportano, peraltro,
limitazioni di rilevante spessore alla libertà personale,
raggiungendo, nel caso delle misure detentive, un tasso di
afflittività del tutto analogo a quello delle pene detentive.
Dette misure sono applicate, inoltre, per periodi minimi
di notevole durata. Nell’ipotesi oggetto del giudizio a quo,
ad esempio, l’eventuale dichiarazione di delinquenza
abituale dell’interessato potrebbe comportare la sua assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro
per la durata minima di due anni (art. 217 cod. pen.); in
altre ipotesi il periodo minimo di internamento è anche
più lungo. La revoca anticipata della misura, prima della
scadenza del termine di durata minima, all’esito di un
riesame della pericolosità, rappresenta, d’altro canto, una
mera eventualità.
Al pari del procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione, anche quello considerato presenta, dun-
que, specifiche particolarità, che valgono a differenziarlo
da un complesso di altre procedure camerali e che conferiscono specifico risalto alle esigenze alla cui soddisfazione
il principio di pubblicità delle udienze è preordinato. Si
tratta, infatti, di un procedimento all’esito del quale il giudice è chiamato ad esprimere un giudizio di merito, idoneo
ad incidere in modo diretto, definitivo e sostanziale su un
bene primario dell’individuo, costituzionalmente tutelato,
quale la libertà personale.
Si deve, pertanto, concludere che, anche nel caso in
esame, sia indispensabile, ai fini della realizzazione della
garanzia prevista dall’art. 6, paragrafo 1, della CEDU, che
le persone coinvolte nel procedimento abbiano la possibilità di chiedere il suo svolgimento in forma pubblica.
8.– Gli artt. 666, comma 3, 678, comma 1, e 679, comma
1, cod. proc. pen. vanno dichiarati, pertanto, costituzionalmente illegittimi, nella parte in cui non consentono
che, su istanza degli interessati, il procedimento per l’applicazione delle misure di sicurezza si svolga, davanti al
magistrato di sorveglianza e al tribunale di sorveglianza,
nelle forme dell’udienza pubblica. (Omissis)
Arch. nuova proc. pen. 4/2014
341
Contrasti
Corte di cassazione penale
sez. un., 15 maggio 2014, n. 20214
(ud. 27 marzo 2014)
Pres. Santacroce – Est. Bianchi – P.M. Destro (diff.) – Ric. Frija Mourad
Giudizio abbreviato y Richiesta y In sede di
udienza preliminare y Da parte dell’imputato y Termini y Individuazione.
. Nell’udienza preliminare la richiesta di giudizio abbreviato può essere presentata dall’imputato anche
dopo la formulazione delle conclusioni da parte del
pubblico ministero, ma comunque non oltre le conclusioni definitive rassegnate dal proprio difensore.
(Mass. Redaz.) (c.p.p., art. 438; c.p.p., art. 441) (1)
(1) Con la sentenza in epigrafe le SS.UU. hanno risolto il contrasto giurisprudenziale relativamente alla questione se può ritenersi
tempestiva la richiesta di giudizio abbreviato, proposta nel corso dell’udienza preliminare, prima che il giudice dichiari chiusa la discussione, ma dopo le conclusioni del pubblico ministero. In senso contrario alla pronuncia in commento, la giurisprudenza di legittimità
prevalente sostiene che tale richiesta possa essere proposta fino al
momento in cui il giudice dell’udienza preliminare dichiara chiusa
la discussione. Si vedano in tal senso Cass. pen., sez. I, 24 marzo
2009, n. 12887, in questa Rivista 2010, 227 e Cass. pen., sez. I, 13
gennaio 2003, n. 755, in Ius&Lex dvd n. 4/2014, ed. La Tribuna. Segue
l’orientamento di cui in massima Cass. pen., sez. III, 12 maggio 2011,
n. 18820, in questa Rivista 2012, 565, secondo la quale la richiesta di
giudizio abbreviato nell’udienza preliminare può essere inoltrata fino
al momento in cui il giudice conferisce la parola al pubblico ministero per la formulazione delle conclusioni.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 17 aprile 2012 il Tribunale di Lecco
riteneva Mourad Frija responsabile del reato di cui agli
articoli 81 cpv. c.p., 73, commi 1 e 1 bis D.P.R. n. 309 del
1990 perché con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, senza l’autorizzazione di cui all’articolo 17
e fuori dell’ipotesi dell’articolo 75 del predetto decreto,
acquistava la Laila Boukchen e deteneva rilevanti quantitativi di sostanza stupefacente del tipo cocaina che in
seguito cedeva a Zouahir Mackour e Hichem Nani e a terze
persone rimaste sconosciute che la utilizzavano alcuni per
svolgere autonoma attività di spaccio, altri per uso personale, fatto commesso in varie località negli anni 2008
e 2009; concesse le attenuanti generiche, lo condannava
alla pena di sei anni di reclusione e 40.000 euro di multa.
Interposto appello dal difensore dell’imputato in punto
di mancata concessione del rito abbreviato, di affermazione della responsabilità e di trattamento sanzionatorio, la
Corte di appello di Milano, con sentenza del 2 novembre
2012, confermava integralmente la sentenza gravata.
2. Ha presentato ricorso per cassazione l’imputato per
mezzo del proprio difensore, avv. Maria Elena Concarotti,
formulando tre motivi.
Con il primo deduce erronea applicazione dell’articolo
438, commi 1 e 2, c.p.p., per non avere la Corte territoriale
concesso il recupero del rito abbreviato che era stato,
si sostiene, tempestivamente e regolarmente richiesto.
All’udienza preliminare celebrata il 19 dicembre 2011 il
difensore dell’imputato, nel prendere la parola per formulare le conclusioni, aveva chiesto l’ammissione al rito
abbreviato, richiesta rifiutata poiché considerata tardiva;
la richiesta era stata reiterata prima dell’apertura del
dibattimento di primo grado ed in quella sede nuovamente rigettata; infine la richiesta in oggetto era stata posta
alla base dei motivi di appello ma il giudice di secondo
grado aveva confermato quanto deciso dal Tribunale di
Lecco e cioè che la richiesta era da considerare tardiva in
quanto proposta dopo che nell’udienza preliminare aveva
preso la parola il pubblico ministero per formulare le proprie conclusioni. Il difensore contesta tale decisione, richiamandosi alla prevalente giurisprudenza di legittimità
(Sez. 1, n. 12887 del 2009 e n. 15982 del 2004) secondo
cui la richiesta in questione può essere proposta fino al
momento in cui il giudice preliminare dichiara chiusa la
discussione.
Con un secondo motivo deduce mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nella parte
in cui si è ritenuto sussistere la penale responsabilità
dell’imputato, laddove non vi sarebbe prova del comportamento addebitato.
Con il terzo motivo sostiene la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in punto
di determinazione della pena, ritenuta eccessiva rispetto
ai fatti commessi, non essendosi tenuto adeguato conto
del comportamento tenuto dall’imputato, volto a chiarire i
fatti, e del materiale probatorio disponibile. Dalla condotta accertata, anzi, poteva emergere al massimo una conoscenza dell’illecito traffico rientrante nell’ipotesi della
connivenza non punibile, mentre il ritenuto concorso non
è stato minimamente provocato e motivato.
3. Con dichiarazione personale recante da data del 4
gennaio 2014, pervenuta alla Corte di Cassazione il 10
successivo, il ricorrente dichiara di voler specificare che,
come già precisato nell’interrogatorio reso durante le indagini preliminari, egli aveva solo tentato di intraprendere, senza peraltro riuscirvi, l’attività di spaccio di sostanze
stupefacenti unicamente nella provincia di Bergamo dove
risiedeva, e mai invece nelle province di Lecco o di Brescia; di essere pentito di tale comportamento avendone
compreso il disvalore.
Arch. nuova proc. pen. 4/2014
343
giur
Contrasti
4. Il ricorso è stato assegnato alla Quarta Sezione
penale, la quale, all’esito dell’udienza pubblica svoltasi
il 16 gennaio 2014, ravvisando l’esistenza di un contrasto
giurisprudenziale in relazione alla individuazione del termine finale entro cui nell’udienza preliminare deve essere
formulata la richiesta di giudizio abbreviato, ha rimesso il
ricorso alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 618 c.p.p.
Riferisce la sezione rimettente che in proposito si confrontano due opposti orientamenti, uno più risalente e
numericamente prevalente (Sez. I, n. 755 del 14 novembre
2002, Tinnirello, Rv. 223251; Sez. I, n. 15982 del 23 marzo
2004, Marzocca, Rv. 227761; Sez. I, n. 12887 del 19 febbraio
2009, Iervasi, Rv. 243041), secondo cui l’espressione «fino a
che non siano formulate le conclusioni a norma degli artt.
421 e 422» impiegata dall’allora vigente art. 439, comma 2,
c.p.p. per designare il momento preclusivo della richiesta
di giudizio abbreviato in udienza preliminare è certamente
idonea a ricomprendere l’intera fase della discussione prevista dal comma 2 dell’art. 421 fino al suo epilogo; l’altro,
più restrittivo, sostenuto in realtà da un’unica articolata
pronuncia (Sez. III, n. 18820 del 31 marzo 2011, T., Rv.
250009) che consapevolmente si pone in contrato con i
precedenti contrari, ritiene che la richiesta di giudizio abbreviato nell’udienza preliminare può essere proposta fino
al momento in cui il giudice conferisce la parola al pubblico ministero per la formulazione delle conclusioni.
5. Il Primo Presidente, con decreto del 12 febbraio 2014,
ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la
trattazione l’odierna udienza pubblica.
Motivi della decisione
1. Il quesito cui le Sezioni Unite sono chiamate a rispondere è il seguente: “Se può ritenersi tempestiva la richiesta di giudizio abbreviato, proposta nel corso dell’udienza
preliminare, prima che il giudice dichiari chiusa la discussione ma dopo le conclusioni del pubblico ministero”.
2. In proposito sussiste effettivamente un contrasto di
giurisprudenza, atteso che secondo un primo orientamento, che l’ordinanza di rimessione definisce “più risalente,
ma prevalente”, la risposta deve essere positiva, come
affermato a partire dalla sentenza Sez. I, n. 755 del 14
novembre 2002, Tinnirello, Rv. 223251, secondo la quale
l’espressione «fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli artt. 421 e 422» impiegata dall’allora
vigente art. 439, comma 2, c.p.p. (riprodotta nel testo dell’articolo 438, comma 2, c.p.p. come sostituito dall’art. 27
legge 16 dicembre 1999, n. 479) per designare il momento
preclusivo della richiesta di giudizio abbreviato in udienza
preliminare è «certamente idonea a ricomprendere l’intera fase della discussione prevista dal comma 2 dell’art. 421
fino al suo epilogo».
A sostegno di tale soluzione si è rilevato che il legislatore, quando ha voluto collegare delle decadenze al
momento iniziale della discussione lo ha detto chiaramente, adottando le opportune, diverse, espressioni come nei
casi della formulazione della richiesta di oblazione nelle
contravvenzioni punite con pene alternative (art. 162 bis,
comma quinto, c.p.) e della rinuncia all’impugnazione da
344
4/2014 Arch. nuova proc. pen.
parte del pubblico ministero e delle parti private (art. 589,
commi 1 e 3, c.p.p.); si è richiamata inoltre la ratio deflazionistica del giudizio abbreviato che induce ad una interpretazione lata delle norme che ne regolano l’accesso.
Si allineano alla sentenza Tinnirello, come ricorda
la ordinanza di rimessione, due pronunce risolutive dei
conflitti di competenza sollevate da giudici dibattimentali, investiti del giudizio a seguito della declaratoria di
inammissibilità di richieste di rito abbreviato, reputate
intempestive dal giudice dell’udienza preliminare. Nel
primo caso (Sez. I, n. 15982 del 23 marzo 2004, Marzocca,
Rv. 227761) tali richieste erano state considerate tardive
perché presentate dopo che il pubblico ministero aveva
preso le proprie conclusioni; e la Corte ha ritenuto invece
che la richiesta fosse tempestiva in quanto l’espressione
utilizzata dall’art. 438 «si riferisce all’intera fase della
discussione fino al suo epilogo, di guisa che il termine
finale per la rituale proposizione della richiesta è rappresentato dal momento in cui si esaurisce tale discussione». Nel secondo (Sez. I, n. 12887 del 19 febbraio 2009,
Iervasi, Rv. 243041) la tardività era collegata al fatto che
la richiesta di giudizio abbreviato era stata presentata per
la prima volta nell’udienza successiva all’attività di integrazione probatoria disposta dal giudice ex art. 421 bis
c.p.p.; e la Corte ha chiarito che la richiesta può essere
presentata fino al momento in cui viene dichiarata chiusa
la discussione e quindi anche dopo l’eventuale emissione
dei provvedimenti di integrazione delle indagini o delle
prove, che non possono che precedere la chiusura della
discussione. Nello stesso senso dell’ultima pronuncia si
era già espressa, sia pure incidentalmente, Sez. V, n. 6777
del 9 febbraio 2006, Paolone, Rv. 233829, che, nel giudicare
erronea la sentenza della corte territoriale nella parte in
cui aveva ritenuto inutilizzabili la consulenza di parte e
i documenti prodotti dall’imputato nel corso dell’udienza
preliminare anteriormente alla richiesta di ammissione
al giudizio abbreviato, rammenta che tale richiesta «può
essere presentata anche dopo l’eventuale integrazione
istruttoria disposta dal giudice dell’udienza preliminare ai
sensi degli artt. 421 bis o 422 c.p.p.».
In senso diametralmente e consapevolmente opposto si
è invece espressa Sez. III, n. 18820 del 31 marzo 2011, T.,
Rv. 250009, che, in un caso in cui la richiesta di giudizio abbreviato era stata avanzata dopo che la discussione era già
stata avviata e dopo che il P.M. ed alcuni difensori avevano
già formulato richieste conclusive, ha reputato corretta
la decisione dei giudici di merito che avevano ritenuto
tardiva la richiesta, affermando il principio secondo cui
quest’ultima «nell’udienza preliminare può essere proposta sino al momento in cui il giudice conferisca la parola al
p.m. per la formulazione delle conclusioni».
A fondamento dell’opposta ricostruzione la pronuncia
in esame postula anzitutto l’intenzione del legislatore di
individuare anche all’interno dell’udienza preliminare, pur
nella sua apparente informalità se raffrontata all’udienza
dibattimentale, diverse fasi che in parte evocano la struttura di quest’ultima. È così possibile individuare «un momento iniziale di “costituzione delle parti” (art. 420), un
giur
Contrasti
momento di “discussione” (nel corso del quale il p.m. illustra le ragioni a sostegno della propria richiesta di rinvio
a giudizio ed i difensori quelle opposte) ed un momento
di “conclusioni” (in cui il pubblico ministero, prima, ed i
difensori, poi, rassegnano le rispettive richieste finali)»; la
scansione risponde all’esigenza, avvertita dal legislatore,
«di dare ordine ad un rito (l’udienza preliminare) che
non può, e non deve, risolversi in una generica ed informale discussione produttrice di confusione e di probabili
iniquità» ed è altresì funzionale rispetto all’esigenza di
individuare termini certi per le attività che comportano
decadenze (costituzione di parte civile e richiesta di ammissione al rito abbreviato). È dunque necessario - prosegue la sentenza in esame - individuare senza equivoci il
termine descritto con l’espressione “fino a che non siano
formulate le conclusioni a norma degli artt. 421 e 422”.
L’ampio orientamento espresso dai precedenti della Corte,
nel far riferimento al momento in cui si esaurisce la discussione con la formulazione delle conclusioni di tutte le
parti ingenera il dubbio che tale momento vada a coincidere con quello in cui il giudice dichiara chiusa la discussione e si ritira in camera di consiglio per decidere. Ma,
osserva la sentenza, se tale fosse stato l’intento del legislatore, «non ci sarebbe stato alcun motivo di usare questa
espressione composita ed apparentemente ambigua ma si
sarebbe piuttosto detto, come fatto chiaramente nell’art.
421, comma 4, che la facoltà di richiedere il rito abbreviato
avrebbe potuto, e dovuto, essere esercitata “prima che il
giudice dichiari chiusa la discussione”; se ciò non è avvenuto, è perché, evidentemente, si è inteso [...] individuare
un termine diverso ed un po’ “anticipato” rispetto a quello
della “fine della discussione”». La disposizione in esame
è, in realtà, prosegue la sentenza, «decisamente chiara» e
risponde a precise esigenze di trasparenza sulle modalità
di svolgimento del rito ed anche di par condicio (quando,
ad esempio, si tratti di procedimento con più imputati). In
tale ultima situazione, infatti, «considerata la possibilità,
tutt’altro che remota, che vi siano imputati in posizioni
differenti (sì che le scelte difensive dell’uno possono riverberare sull’altro) deve essere necessario che tutti siano
posti nelle medesime condizioni e che quindi, per tutti, il
termine-sbarramento, entro cui rappresentare le proprie
strategie processuali, sia il medesimo. Ciò può avvenire
solo se la lettura dell’art. 421, comma 2, sia quella che lo
stesso tenore della norma suggerisce (tanto più se raffrontato al diverso linguaggio normativo nell’art. 421, comma
4) e cioè, che la linea di confine è data dal momento in
cui il g.u.p. concede la parola al p.m. per “formulare le
conclusioni a norma degli artt. 421 e 422”». Diversamente opinando, si potrebbero ingenerare ulteriori motivi di
confusione e di disparità di trattamento a seconda che
l’espressione “formulazione delle conclusioni di tutte le
parti” venga intesa separatamente (vale a dire per ciascun
imputato) ovvero, per tutti gli imputati. Potrebbe, infatti,
darsi il caso (soprattutto per procedimenti con più imputati) in cui, ad un’udienza preliminare completa, dove
tutti abbiano concluso, in limine della camera di consiglio,
uno o più imputati improvvisamente cambino opinione e
riaprano interamente il discorso formulando una richiesta
di rito abbreviato, cui potrebbe accodarsi anche qualche
altro imputato. Ma potrebbe anche verificarsi l’ipotesi in
cui, invece, si voglia ritenere ancora aperta la possibilità
di chiedere il rito abbreviato solo a «quell’imputato per il
quale il difensore non abbia ancora concluso»; in tal caso,
però, si scivolerebbe su un piano di palese disparità di
trattamento tra imputati essendo evidente che, poiché
le discussioni difensive non possono essere simultanee,
la scansione dei tempi di discussione (talvolta, necessariamente ripartita in giorni diversi) non avrebbe più
- come è sempre stato - un obiettivo meramente pratico
di pianificare gli interventi ma potrebbe diventare esso
stesso strumento per nuove strategie difensive alla luce
delle conclusioni che vengano, via via, rassegnate da altri.
Il tutto, all’evidenza, finirebbe per delineare uno scenario
sempre più confuso in cui il termine per accedere la rito
abbreviato (scelta processuale di non poca rilevanza) non
sarebbe più lo stesso per tutti i coimputati ma risulterebbe
legato a profili arbitrari, casuali ed (eventualmente) ad
astuzie difensive.
Di recente si è poi espressa in favore dell’orientamento
maggioritario, sia pure soltanto in via di obiter, Sez. I, n.
348 del 18 dicembre 2013, Di Paolo, osservando che in
presenza di un dettato normativo che introduce una preclusione, l’interpretazione - anche al fine di non ledere
l’aspettativa all’esercizio della relativa facoltà - non può
determinare l’anticipazione della scadenza del termine
rispetto all’ordinario significato dei termini utilizzati dal
legislatore.
3. Per addivenire alla soluzione della questione è opportuno richiamare brevemente le linee fondamentali del
giudizio abbreviato.
Come noto, si tratta di un procedimento introdotto nel
vigente codice che rientra nel novero delle procedure semplificate alternative al dibattimento aventi finalità deflattive, volte cioè a consentire la definizione con forme più agili
e veloci di gran parte del contenzioso, consentendo in tal
modo di rendere concretamente attuabile, nel sistema di
obbligatorietà dell’azione penale che caratterizza il nostro
ordinamento, la operatività del modello di processo accusatorio più garantista e correlativamente più complesso.
La sua utilizzazione non ha avuto all’inizio di risultati
sperati anche perché l’istituto non era privo di incongruenze e criticità che ne ostacolavano un buon funzionamento. Numerose pronunce della Corte costituzionale,
l’intervento del legislatore (legge 16 dicembre 1999, n.
479, c.d. legge Carotti) e successivi ulteriori arresti del
giudice delle leggi ne hanno ridisegnato i contorni in
termini assolutamente innovativi rispetto all’impianto
originario, con il risultato di configurare, sempre nel contemperamento degli obiettivi di deflazione e garanzia, un
vero e proprio diritto potestativo dell’imputato inserito nel
contesto di un’udienza preliminare anch’essa rinnovata
negli strumenti probatori a disposizione del giudice. Si è
così pervenuti all’attuale assetto normativo caratterizzato
dalla contemporanea presenza di un giudizio abbreviato
“non condizionato”, la cui ammissibilità non necessita del
Arch. nuova proc. pen. 4/2014
345
giur
Contrasti
consenso del pubblico ministero e del vaglio discrezionale
del giudice, cui è tuttavia riservato un potere di integrazione probatoria ex officio; e di un abbreviato “condizionato”,
in cui la richiesta è invece condizionata appunto ad una
integrazione probatoria che il giudice deve vagliare sotto
i profili della necessarietà ai fini della decisione e della
compatibilità con le finalità di economia processuale.
4. In questo quadro, i cui dettagli non è necessario approfondire, non essendo gli stessi rilevanti ai fini che ne
occupano, si inserisce la questione della individuazione
del termine finale entro cui, nel corso dell’udienza preliminare, può essere formulata la richiesta di ammissione al
giudizio abbreviato; questione la cui rilevanza è evidente
ove si consideri che in caso di richiesta presentata tardivamente si verifica la definitiva preclusione per l’imputato
dei benefici del rito, secondo gli schemi della decadenza.
Punto di partenza è la norma di legge di riferimento e
cioè il comma 2 dell’articolo 438 c.p.p., secondo cui nell’udienza preliminare la richiesta di giudizio abbreviato
può essere proposta, oralmente o per iscritto, «fino a che
non siano formulate le conclusioni a norma degli articoli
421 e 422»; disposizione del tutto coincidente con quella
precedente alla novella del 1999, contenuta nell’allora
vigente articolo 439, comma 2.
La formula, pur nell’apparente semplicità, si è prestata
a differenti interpretazioni atteso che, sul mero piano letterale, essa può comprendere e pertanto riferirsi all’intero
periodo che va dal momento immediatamente antecedente la formulazione delle prime conclusioni, quelle del p.m.,
fino all’ultimo momento in cui termina la discussione e si
cristallizzano le conclusioni rassegnate da tutte le parti,
cioè quello della replica da parte del difensore che parla
per ultimo. Per pervenire ad una corretta interpretazione
è dunque necessaria una complessiva valutazione delle
esigenze sottese alla disposizione e del contesto in cui la
stessa si inserisce.
Le ipotesi messe in campo dalla giurisprudenza e approfondite dalla dottrina sono sostanzialmente tre, confrontandosi una tesi restrittiva, ispirata alla ritenuta esigenza
di garantire una ordinata gestione dell’udienza preliminare,
secondo cui la richiesta deve intervenire prima che venga
conferita la parola al pubblico ministero e basata sulla
convinzione che l’espressione usata dal legislatore sia atta
ad indicare l’esordio della discussione; una intermedia, che
ritiene indispensabile la conoscenza della posizione assunta dal pubblico ministero e pertanto delle sue conclusioni
e riferisce il termine al momento della formulazione delle
conclusioni da parte del difensore del singolo imputato; ed
una terza, che allarga ulteriormente lo spazio, per consentire la massima osservanza al favor nei confronti delle potenzialità deflazionistiche del rito alternativo e di tenere conto
delle posizioni espresse da tutti gli imputati e in particolare
dell’evenienza rappresentata dalla possibile costituzione di
un contumace dopo l’intervento di una o alcuna delle altre
difese, e fa coincidere il termine con il momento in cui si
esaurisce la discussione con la formulazione delle conclusioni di tutte le parti e, in particolare, nei processi soggettivamente cumulati, dei difensori di tutti gli imputati.
346
4/2014 Arch. nuova proc. pen.
5. È opportuno preliminarmente chiarire che vanno
tenuti distinti i due piani relativi, da un lato, alla corretta
individuazione del termine di cui si discute e, dall’altro,
agli accertamenti probatori consentiti nell’udienza preliminare e che precedono la richiesta.
È da considerare pacifico, nonostante un risalente precedente contrario (relativo peraltro ad un procedimento
celebrato prima della legge Carotti) che la richiesta di
giudizio abbreviato può essere formulata anche per la prima volta a seguito dell’attività di integrazione probatoria
svolta dal giudice nell’udienza preliminare. Da tempo è
stato invero opportunamente chiarito che già nel vigore
del testo originario del codice ben erano consentite sia
ai fini della richiesta di rinvio a giudizio sia ai fini di un
eventuale pronuncia di sentenza di non luogo a procedere
integrazioni probatorie nel corso dell’udienza preliminare
ove il giudice ritenesse di non poter decidere allo stato
degli atti, e che le stesse, se svolte prima della richiesta
del giudizio abbreviato, erano pienamente utilizzabili
anche in tale prospettiva, potendo addirittura giustificare
la presentazione di una richiesta in precedenza non formulata dall’imputato che poteva aver ritenuto opportuno
“accettare il rischio” che il giudice dichiarasse chiusa la
discussione e precludesse così definitivamente l’accesso al
giudizio abbreviato.
L’integrazione istruttoria è seguita, come è logico, atteso il mutato quadro di riferimento che ne consegue, da
una nuova discussione nel corso della quale le parti sono
legittimate a formulare conclusioni che ben possono essere diverse da quelle precedenti; secondo uno schema che
può, in ipotesi, ripetersi anche più volte. Tale conclusione
è conforme al chiaro dettato dell’art. 438 c.p.p., che sia al
comma 2 (non modificato sul punto) che al comma 6 (introdotto dalla legge Carotti) richiama gli artt. 421 e 422 e
dunque evidentemente anche il terzo periodo del comma
3 dell’art. 422, dove è stabilito che a seguito dell’attività di
integrazione probatoria, il pubblico ministero ed i difensori
«formulano e illustrano le rispettive conclusioni». Il meccanismo risulta oggi tanto più razionale dopo che la Corte
costituzionale (sentenza n. 77 del 1994) ha reso praticabile l’incidente probatorio anche nell’udienza preliminare,
e dopo che la legge Carotti ha notevolmente ampliato il
campo dell’integrazione probatoria in essa assumibile, attribuendo esplicitamente al giudice un potere di iniziativa
ex officio, e sono stati definitivamente chiariti i caratteri
del giudizio abbreviato nel senso che la funzione acceleratoria del medesimo si esprime con riguardo alla esclusione della fase del dibattimento e non rispetto alla celebrazione più o meno dilatata dell’udienza preliminare (v.
Corte cost., sent. n. 115 del 2001). Né può trarsi elemento
in contrario dal fatto che il testo dell’art. 438, comma 2, è
rimasto invariato dopo la riforma del 1999, non essendosi
provveduto a inserire in esso il richiamo anche all’art. 421
bis, dovendosi ritenere, come già è stato affermato (Sez.
I, n. 12887 del 19 febbraio 2009, Iervasi, Rv. 243041, alla
quale è conforme la dottrina unanime) che si tratta di una
mera svista redazionale da parte del legislatore del 1999,
che non implica la volontà di escludere la rilevanza della
giur
Contrasti
eventuale fase di integrazione delle indagini ai fini della
possibilità di chiedere il giudizio abbreviato; una diversa
conclusione sarebbe peraltro assurda atteso che con l’art.
421 bis il legislatore ha in realtà recepito il contenuto del
precedente art. 422, comma 1, dando ad esso una più razionale e puntuale disciplina.
6. Tale puntualizzazione non risolve tuttavia la specifica
questione sulla quale le Sezioni Unite sono state chiamate
a pronunciarsi: ritenere tempestiva la domanda di giudizio
abbreviato presentata per la prima volta dopo l’integrazione
ex artt. 421 bis o 422 c.p.p. non significa aver risolto la questione della individuazione dell’esatto ambito temporale in
cui nell’udienza preliminare, prima o dopo la integrazione
probatoria o investigativa, si verifica la scadenza del termine per la presentazione del giudizio abbreviato.
Nell’affrontare la questione devono essere tenute presenti anche le ragioni sistematiche collegate al complessivo impianto codicistico.
Le norme processuali sono, in via generale, scritte con
riferimento all’ipotesi del procedimento che riguarda un
singolo imputato, parte del rapporto con lo Stato, che con
il processo assicura a lui, e nei procedimenti cumulativi a
ciascuno e a tutti gli imputati, il miglior sistema di garanzie per accertare fatti e responsabilità; non assumono di
norma rilevanza ai fini strettamente processuali i rapporti
tra i vari imputati se non nei limiti in cui ciò è espressamente previsto. Anche nel disciplinare i procedimenti
deflativi del dibattimento il legislatore del 1988, al pari di
quello della novella del 1999, ha avuto come riferimento
solo il caso che a chiedere la semplificazione delle forme
processuali sia un singolo imputato.
È inoltre opportuno richiamare l’attenzione sul fatto
che lo svolgimento ordinario dell’udienza preliminare vede
susseguirsi, secondo quanto risulta dal dettato normativo,
diversi momenti, tra loro concettualmente distinti se separati, se pur nella pratica a volte ciò possa risultare meno
evidente. Si possono distinguere la costituzione delle parti, l’ammissione di atti e documenti, la eventuale modifica
dell’imputazione, le eventuali dichiarazioni spontanee o
l’interrogatorio dell’imputato, l’esposizione dei difensori
delle parti private, la replica per una sola volta del pubblico ministero e dei difensori, la decisione del giudice,
che può essere definitiva o interlocutoria, quest’ultima
ove il giudice ritenga necessaria l’attività di integrazione
probatoria o investigativa; in tal caso si terrà una nuova
udienza preliminare con nuova discussione. Alla necessità
di fare attenzione a tale scansione si è richiamata la Corte
costituzionale, sia pure con riferimento ad una diversa
questione (sent. n. 117 del 2011 relativa alla posizione
del pubblico ministero a seguito del deposito del fascicolo
delle investigazioni difensive); e l’esigenza di rispettare
un ordine nell’udienza preliminare è stata sottolineata
dalla sentenza n. 18820 del 2011 della Terza Sezione, di
cui sopra si è riferito.
7. Tanto premesso ritiene il Collegio che il richiamo
alle conclusioni contenuto nell’art. 438 debba essere
inteso con riferimento alla definitiva formulazione delle
conclusioni di ogni singola parte.
Una tale affermazione non solo non contrasta con
il tenore letterale della norma e con le potenzialità deflattive del rito ma appare anche maggiormente rispettosa
dell’impianto sistematico del codice nonché del diritto di
difesa dell’imputato.
Deve infatti escludersi che possa essere considerato
momento preclusivo quello della formulazione delle conclusioni da parte del pubblico ministero; e ciò non solo e
non tanto per il raffronto con altre disposizioni del codice
in cui il legislatore non ha avuto difficoltà a specificare il
diverso momento cui intendeva riferirsi; quanto e soprattutto per ragioni di ordine sostanziale che, specialmente
dopo le modifiche introdotte con la citata legge del 1999,
rendono imprescindibile l’esigenza che l’imputato abbia
conoscenza delle conclusioni del pubblico ministero, il
quale può tra l’altro anche modificare l’imputazione a
norma dell’art. 423, prima di formulare o meno la richiesta del rito abbreviato. Le richieste finali dell’accusa assumono infatti un evidente rilievo ai fini della decisione
dell’imputato di avanzare o meno la richiesta di giudizio
abbreviato.
Una conferma si rinviene dall’esame dei lavori parlamentari relativi all’approvazione della legge Carotti, da
cui risulta che nel corso della seconda lettura del testo
in esame da parte della Camera dei Deputati è stata abbandonata l’originaria espressione «appena concluse le
formalità di apertura del dibattimento», sostituendola con
quella attuale.
Deve altresì escludersi la tesi secondo cui momento
finale, unico per tutti gli imputati, sarebbe quello in cui
l’ultimo difensore prende la parola. Tale soluzione viene
sostenuta con il richiamo alla opportunità di dare il massimo spazio possibile alle potenzialità deflattive del rito
e alla necessità di evitare disparità tra gli imputati, osservandosi che il soggetto il cui difensore interloquisce
per primo avrebbe una conoscenza più limitata rispetto a
quello il cui difensore interviene per ultimo, potendo questi ad esempio usufruire delle dichiarazioni o degli interrogatori di contumaci che decidessero, per scelta o perché
prima impossibilitati, di presentarsi dopo gli interventi di
una o di alcune delle difese.
L’osservazione non può essere condivisa. La conoscenza
delle conclusioni degli altri imputati non è elemento cui
può fondatamente riconoscersi l’efficacia di influenzare le
scelte di ciascun imputato. La pretesa esigenza di parità
pare impropriamente invocata, atteso che ciò che deve essere assicurato, trovando anche tutela costituzionale, è la
parità tra le parti contrapposte del processo, e cioè tra accusa e difesa. Agli imputati devono essere garantiti uguali
diritti e uguali opportunità, il che certamente avviene
quando, rispettando le scansioni dell’udienza preliminare
e l’ordine dei relativi interventi, agli stessi si riconosce il
diritto di richiedere l’accesso al rito dopo le conclusioni
del pubblico ministero.
La necessità di tenere conto delle dichiarazioni del
coimputato contumace, costituitosi a discussione già
iniziata non può indurre ad accogliere una soluzione
che si allontana dal modello fornito dal legislatore con le
Arch. nuova proc. pen. 4/2014
347
giur
Contrasti
scansioni dell’udienza preliminare, finendo a spostare il
termine in questione al momento in cui il giudice dichiara
chiusa la discussione; ma precisazione delle conclusioni e
dichiarazione di chiusura della discussione sono momenti
letteralmente e concettualmente distinti, costituendo il
primo atto di parte e il secondo atto del giudice, non può
essere ignorata la volontà del legislatore espressa con il riferimento letterale alle conclusioni. Peraltro l’eventualità
della costituzione tardiva del contumace laddove la stessa si risolva nella introduzione nel processo di elementi
nuovi, rilevanti anche per altri imputati, è situazione di
cui, ove si verifichi, il giudice potrà eventualmente tenere
conto o in sede di replica o autorizzando nuove conclusioni, analogamente a quanto è espressamente previsto dopo
le integrazioni investigative e istruttorie.
8. Deve pertanto essere formulato il seguente principio
di diritto: “nell’udienza preliminare la richiesta di giudizio
abbreviato può essere presentata dopo la formulazione
delle conclusioni da parte del pubblico ministero e deve
essere formulata da ciascun imputato al più tardi nel momento in cui il proprio difensore formula le proprie conclusioni definitive”.
9. I motivi di ricorso attinenti la responsabilità e il trattamento sanzionatorio sono infondati.
9.1. Sostiene la difesa che la ritenuta responsabilità si
basa soltanto sul contenuto di una serie di intercettazioni
telefoniche relative a una utenza cellulare dell’imputato
da cui unico elemento certo desumibile sarebbe l’esistenza di contatti tra il ricorrente e Laila Boukchen, Zouahir Mackour e Hichem Nani; contatti dai quali sarebbe
stata fatta discendere del tutto arbitrariamente la sua
partecipazione alla rete di spaccio debellata con l’operazione “Venere Nera”; ma le intercettazioni di cui si discute
riguarderebbero conversazioni che non provano nulla
ovvero conversazioni in cui non è dimostrato che si parli
del Frija, ovvero ancora conversazioni da cui non può in
alcun modo discendere prova della sua responsabilità o
che al più possono attestare una eventuale disponibilità
di stupefacente da parte del Frija in epoche pregresse ma
irrilevanti ai fini della prova dei reati di cui è processo,
perché nelle stesse l’interessato afferma chiaramente di
non avere nulla. Neppure la responsabilità potrebbe essere desunta dal fatto che dopo l’arresto della Boukchen
egli abbia parlato dell’avvenimento con altre persone,
dimostrando ciò solo un comprensibile interessamento
alle sorti della donna, ma non una sua responsabilità in
348
4/2014 Arch. nuova proc. pen.
merito al possesso e alla cessione di sostanze stupefacenti.
Evidenzia ancora il ricorrente che non sono mai stati effettuati sequestri di stupefacenti a suo carico e nemmeno
esistono sommarie informazioni che lo chiamano direttamente in causa, e che anche il possesso della somma di
euro 1.490 è privo di significato in mancanza di qualsiasi
considerazione volta ad escludere che tale somma possa
essere stata legittimamente posseduta dal ricorrente che
in quel periodo lavorava.
9.2. Rileva il Collegio che tali doglianze mostrano chiaramente la loro natura di contestazioni non consentite,
non essendo dalle stesse evidenziata una illogicità manifesta della giustificazione che i giudici di merito hanno
fornito in ordine alla ritenuta responsabilità.
Ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., i vizi
della motivazione (anche il travisamento dei fatti deducibile sotto questo profilo) devono risultare «dal testo del
provvedimento impugnato», mentre non possono derivare
da un controllo della Corte di cassazione sulla interpretazione e valutazione delle prove, che è compito del giudice
di merito. Pur dopo le modifiche introdotte in tale disposizione dalla legge 20 febbraio 2006, n. 46, non è consentito
sollecitare alla Corte di cassazione una rilettura degli elementi di fatto, atteso che tale valutazione è riservata in via
esclusiva al giudice di merito; essendo il sindacato della
Cassazione limitato alla sola legittimità, sì che esula dai
poteri della stessa quello di una rilettura degli elementi di
fatto posti a fondamento della decisione.
Nella specie, la richiesta di ammissione al rito abbreviato, formulata dal difensore dell’imputato all’atto delle
formulazioni delle proprie conclusioni, dopo che erano
state già raccolte quelle del pubblico ministero, non poteva essere considerata tardiva; la stessa è stata reiterata
prima dell’apertura del dibattimento di primo grado ed in
quella sede nuovamente rigettata; infine la richiesta in
oggetto è stata posta alla base dei motivi di appello, ma il
giudice di secondo grado ha confermato quanto deciso dal
Tribunale di Lecco.
11. In conclusone la sentenza impugnata deve essere
annullata senza rinvio relativamente alla misura della
pena; la quale, trattandosi di mero calcolo matematico,
può essere rideterminata in questa sede ex art. 620, comma
1, lett. l), c.p.p., in quella di quattro anni di reclusione a
26.666 euro di multa.
Il ricorso nel resto è da rigettare. (Omissis)
Legittimità
Corte di cassazione penale
sez. I, 10 aprile 2014, n. 15997
(c.c. 28 febbraio 2014)
Pres. Giordano – Est. Cassano – P.M. Galli (diff.) – Ric. Villa
Indagini preliminari
y Chiusura y Archiviazione
y Restituzione di cose sequestrate y Competenza
del Gip in funzione del giudice dell’esecuzione y
Provvedimento adottato “de plano” y Opposizione
y Termine.
. Nel caso in cui il procedimento penale si concluda con
provvedimento di archiviazione, la competenza a decidere sull’istanza di restituzione delle cose sequestrate
spetta al giudice per le indagini preliminari, nella qualità di giudice dell’esecuzione, il cui provvedimento, ai
sensi dell’art. 667, comma 4, c.p.p., va adottato “de plano” ed è suscettibile di opposizione da proporsi entro il
termine di quindici giorni, decorrente dalla data della
comunicazione o della notificazione ovvero, in mancanza, da quella della effettiva conoscenza da parte
dell’interessato. (Mass. Redaz.) (c.p.p., art. 667) (1)
(1) Nello stesso senso si esprimono Cass. pen., sez. III, 22 settembre
2010, n. 34219, in Ius&Lex dvd n. 4/2014, ed. La Tribuna e Cass. pen.,
sez. VI, 2 dicembre 1995, n. 3282, in questa Rivista 1996, 472.
Svolgimento del processo
1. Il 13 maggio 2013 il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, in funzione di giudice dell’esecuzione, in sede di opposizione al provvedimento di
rigetto adottato il 24 giugno 2010 inaudita altera parte, dichiarava inammissibile, in quanto tardivamente proposta,
la richiesta avanzata da Luigi Villa, volta ad ottenere la
restituzione della pianta topografica della città di Milano
rilevata nell’anno 1807, disegnata, in scala da 1 a 100, in
39 fogli delle dimensioni mm 675 x 53 (oltre ad un foglio di
unione), con inchiostro nero e carmino e finemente colorita ad acquarello, da Piero Gada (pubblicata al n. 91 del catalogo “Milano e dintorni”, stampato nel mese di dicembre
2000. Il bene era stato sottoposto a sequestro, in quanto
corpo di reato, nell’ambito del procedimento penale iscritto nei confronti di Villa per il delitto di ricettazione (art.
648 c.p.), successivamente definito con archiviazione per
difetto dell’elemento soggettivo del reato.
Il giudice osservava che la notificazione dell’ordinanza
di rigetto dell’istanza di restituzione del bene, adottata
de plano, non era stata rituale, poiché era stata eseguita
presso il domicilio eletto divenuto inefficace, trattandosi
di domicilio eletto in fase di cognizione (art. 164 c.p.p.).
Peraltro, la parte interessata aveva avuto piena conoscenza della decisione adottata il 27 dicembre 2011, allorché
il nuovo difensore nel frattempo nominato (avv. Tommaso
Butrano) aveva ottenuto copia degli atti, secondo quanto
risultante dalla sottoscrizione apposta dal suddetto legale
sulla domanda di visione ed estrazione di copia degli atti
del procedimento penale n. 21101/06 R.G. N.R., nel cui
ambito era stato emesso il provvedimento poi oggetto di
opposizione ai sensi del combinato disposto degli artt. 676
e 667, comma 4, c.p.p. L’opposizione era stata proposta
dal difensore solo in data 21 marzo 2012 e, quindi, oltre il
termine di quindici giorni stabilito dalla legge.
2. Avverso il suddetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, Villa, il
quale formula le seguenti censure.
Lamenta violazione degli artt. 262, 263, commi 4 e 6,
665, 666, comma 6, 676, 667, comma 4, 585, comma 1 lett.
a), 175, comma 2 c.p.p.. Osserva in proposito che il ricorso
introduttivo dell’incidente di esecuzione era stato proposto in duplice forma: mediante “ricorso” diretto al giudice
dell’esecuzione competente per la restituzione dopo
l’adozione del decreto di archiviazione; “in subordine”,
nella forma dell’opposizione alla precedente ordinanza
reiettiva. Rilevava che erroneamente Villa aveva, a suo
tempo, indirizzato la richiesta di restituzione al pubblico
ministero anziché al giudice dell’esecuzione e che, erroneamente, l’Ufficio di Procura aveva trasmesso gli atti al
giudice dell’esecuzione in base al principio di conservazione degli atti processuali anziché dichiarare l’irricevibilità
dell’istanza.
Denuncia, inoltre, violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla declaratoria di inammissibilità
dell’opposizione, intervenuta dopo la fissazione dell’udienza camerale (e, quindi, dopo un’implicita valutazione di
ammissibilità), all’esito della quale veniva riservata la
decisione (effettivamente intervenuta a distanza di sette
mesi) e senza considerare la qualificazione “subordinata”
attribuita dalla difesa.
Da ultimo eccepisce violazione di legge e vizio della
motivazione con riguardo alle ragioni poste a base della
decisione adottata, attesa l’irritualità della notifica del
provvedimento adottato de plano che non ammetteva
equipollenti e che, pertanto, non determinava la decorrenza dei termini per impugnare, l’impossibilità di assumere
quale dies a qua un atto “interno” al procedimento, quale
la richiesta di estrazione di copia degli atti, nonché l’assenza di un’effettiva conoscenza del provvedimento oggetto d’impugnazione.
Arch. nuova proc. pen. 4/2014
349
giur
L e g i t t i m i tà
Motivi della decisione
Il ricorso non è fondato.
1. Occorre preliminarmente rilevare che, dopo che il
giudice per le indagini preliminari ha emesso, in accoglimento della richiesta formulata dal pubblico ministero,
decreto di archiviazione, la competenza a provvedere sulla
richiesta di restituzione delle cose in sequestro appartiene al giudice per le indagini preliminari in funzione di
giudice dell’esecuzione.
Una conclusione del genere si fonda sull’interpretazione logico-sistematica dell’art. 263 c.p.p. Tale disposizione,
pur non prendendo in espressa considerazione, nell’ambito del procedimento per la restituzione delle cose sequestrate, il provvedimento di archiviazione, stabilisce, al
sesto comma, che, dopo la sentenza non più soggetta a
impugnazione, sulla restituzione delle cose sequestrate
provvede il giudice dell’esecuzione. Tale previsione, pur
se espressamente riferita alla sentenza, costituisce, in realtà, l’espressione di un principio di carattere generale in
base al quale, qualora alla restituzione del bene non abbia
provveduto il giudice che procede ed il procedimento sia
stato “definito” (ossia non esiste più un giudice che procede alla cognizione), l’interessato rivolgersi al giudice
dell’esecuzione.
Tale regola si applica anche al provvedimento di archiviazione, atteso che esso definisce la fase delle indagini
preliminari, facendo sì che tutti i poteri in materia conferiti al pubblico ministero ed al giudice per le indagini preliminari passino a quest’ultimo, ma in funzione di giudice
dell’esecuzione (sez. I, n. 12880 del 19 febbraio 2009).
Appare ispirata al medesimo principio l’affermazione
secondo cui, avverso il provvedimento di restituzione
di cose sequestrate adottato dal giudice per le indagini
preliminari, a seguito dell’accoglimento della richiesta
del pubblico ministero di archiviazione, non è esperibile
il mezzo di impugnazione previsto dall’art. 322-bis c.p.p.,
ma esclusivamente il rimedio generale dell’incidente di
esecuzione, attivabile anche nella suddetta materia (sez.
VI, n. 3282 del 27 settembre 1995).
Diversamente ragionando, si determinerebbe un’ingiustificata diversità di trattamento rispetto alla sentenza di
proscioglimento.
Occorre, invero, ricordare che, nel procedimento delineato dall’art. 263 c.p.p., contro la decisione del giudice
per le indagini preliminari è esperibile soltanto il ricorso
per cassazione, mentre contro il provvedimento del giudice dell’esecuzione è prevista, come si ribadirà, la possibilità di opposizione da trattarsi in contraddittorio a
norma dell’art. 666 c.p.p.
Di conseguenza, una volta intervenuta la definizione
della fase delle indagini preliminari mediante l’adozione
del decreto di archiviazione, la competenza a provvedere
sull’istanza di restituzione della parte spetta al giudice per
le indagini preliminari in qualità di giudice dell’esecuzione (sez. III, n. 34219 del 24 giugno 2010; sez. III, n. 3170
dell’11 ottobre 2000).
2. Il codice di rito (art. 676, comma 1 e art. 667 c.p.p.,
comma 4, c.p.p.) prevede che i provvedimenti in materia
350
4/2014 Arch. nuova proc. pen.
di confisca e di restituzione delle cose sequestrate siano
adottati dal giudice dell’esecuzione senza formalità e cioè
senza fissazione dell’udienza di comparizione delle parti
(de plano) e che contro tali provvedimenti gli interessati
possano proporre opposizione davanti allo stesso giudice
il quale dovrà procedere con le forme dell’incidente di
esecuzione di cui all’art. 666 c.p.p., previa fissazione dell’udienza.
3. Ciò posto, si tratta ora di verificare se la richiesta di
restituzione, erroneamente indirizzata al pubblico ministero, potesse - come avvenuto nel caso in esame - essere
trasmessa al giudice dell’esecuzione ed essere da questi
qualificata come atto introduttivo dell’incidente di esecuzione, a norma dell’art. 568, comma quinto, c.p.p.
Il provvedimento impugnato è esente dai vizi denunziati nella parte in cui ha ritenuto rituale l’investitura del
giudice per le indagini preliminari, quale giudice dell’esecuzione, da parte del pubblico ministero, correttamente
ritenutosi incompetente alla luce dei principi illustrati al
paragrafo precedente. Deve, infatti, trovare applicazione,
il principio generale di conservazione degli atti giuridici
e del favor impugnationis (sez. IV, n. 18233 del 9 marzo
2007; sez. III, n. 14724 del 20 gennaio 2004; sez. IV, n.
34403 del 27 maggio 2003; sez. III, n. 8124 del 5 dicembre
2002; sez. IV, n. 2417 del 7 ottobre 1997; sez. III, n. 1182
del 7 aprile 1995). Non può, infatti, farsi discendere la
inammissibilità (“irricevibilità”, secondo il ricorrente)
della richiesta solo dalla erronea indicazione dell’Autorità
giudiziaria competente, considerato che la qualificazione
della richiesta come atto introduttivo dell’incidente di
esecuzione comportava la possibilità, concessa dall’ordinamento all’interessato, di avere una duplice pronuncia di
merito sulle sue doglianze.
4. Se, dunque, il giudice per le indagini preliminari ha,
nel caso in esame, ritualmente provveduto in funzione di
giudice dell’esecuzione, era da ritenersi corretto il ricorso
alla disciplina contemplata dall’art. 676, comma l, c.p.p.,
alla stregua del quale il giudice dell’esecuzione è competente a decidere in ordine alla restituzione delle cose sequestrate e procede a norma dell’art. 667, comma 4, c.p.p.,
vale a dire senza formalità con ordinanza comunicata al
pubblico ministero e notificata all’interessato e contro la
quale possono proporre opposizione davanti allo stesso
giudice il pubblico ministero, l’interessato e il difensore.
5. Priva di pregio è anche l’ultima censura.
Costituisce principio generale in materia di diritto
d’impugnazione, che, in mancanza della conoscenza legale del provvedimento, il dies a quo coincide con la data
della conoscenza effettiva secondo una regola generale
nel nostro sistema processuale che in tal senso prevede,
tutte quelle volte in cui non si sia provveduto a notiziare il
destinatario di un atto nei cui confronti sia esperibile un
qualsiasi mezzo di gravame (sez. VI, n. 1572 del 29 marzo
2000; sez. I, n. 19955 del 17 febbraio 2010; sez. III, n. 47128
del 20 marzo 2012; Corte Cost. 16 luglio 1991 n. 153). Del
resto lo stesso dato testuale dell’art. 667, comma 4, c.p.p.
depone nel senso che il termine per proporre eventuale
impugnazione decorre dalla data della “comunicazione”
giur
L e g i t t i m i tà
(termine omnicomprensivo che include la piena conoscenza legale da parte del destinatario naturale del provvedimento in vista di una eventuale impugnazione) o della
“notificazione”.
In base alle considerazioni sinora svolte, il provvedimento impugnato è esente da censure nella parte in cui,
con ampi e puntuali riferimenti a circostanze di fatto non
contestate dalla difesa, ha argomentato che l’avv. Bufano, nominato da Villa quale legale di fiducia nell’ambito
dell’incidente di esecuzione, ha avuto piena ed effettiva
conoscenza del provvedimento adottato de plano dal giudice per le indagini preliminari mediante l’acquisizione
di copia degli atti del fascicolo n. 21101/06 - fascicolo nel
cui ambito è stata emessa l’ordinanza impugnata -, come
comprovato dalla sottoscrizione per ricevuta apposta sull’istanza di visione e copia degli atti stessi.
Altrettanto non controversa è la circostanza che l’opposizione prevista dagli artt. 676 e 667, comma 4, c.p.p. è
stata proposta il 21 marzo 2012, ossia ben oltre il termine
stabilito dalla legge per proporla.
7. Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
(Omissis)
Corte di cassazione penale
sez. VI, 31 marzo 2014, n. 14816
(ud. 10 dicembre 2013)
Pres. Milo – Est. Leo – P.M. Scardaccione (conf.) – Ric. Scalese
Indagini preliminari
y Udienza preliminare y Richiesta di rinvio a giudizio y Procedimenti connessi y Citazione diretta a giudizio ammessa solo per
alcuni di essi y Richiesta di rinvio a giudizio del P.M.
per tutti i procedimenti y Ammissibilità y Richiesta
del P.M. di giudizio immediato per tutti i procedimenti y Ammissibilità.
. Il disposto di cui all’art. 551 c.p.p., secondo il quale,
“nel caso di procedimenti connessi, se la citazione diretta a giudizio è ammessa solo per alcuni di essi, il pubblico ministero presenta per tutti la richiesta di rinvio a
giudizio a norma dell’art. 416”, implica che, verificandosi la suddetta condizione, il pubblico ministero è anche
facoltizzato a chiedere per tutti, in luogo del rinvio a
giudizio, l’instaurazione del giudizio immediato. (Mass.
Redaz.) (c.p.p., art. 416; c.p.p., art. 551) (1)
(1) Non risultano editi precedenti che affrontino la medesima fattispecie. Utili riferimenti sul tema si rinvengono in Cass. pen., sez. I,
31 maggio 2007, n. 21350, in questa Rivista 2008, 368.
Svolgimento del processo
1. È impugnata la sentenza n. 2371/12 con la quale la Corte d’appello di Bari, in data 19 ottobre 2012,
parzialmente riformando una sentenza resa dal Tribunale
di Bari in composizione monocratica, ha ritenuto Carlo
Scalese responsabile dei delitti di resistenza a pubblico
ufficiale e lesioni personali.
Dagli indicati provvedimenti risulta che Scalese è stato
tratto in arresto dopo un duro scontro intervenuto, con due
guardie giurate e un agente della Polizia di Stato, all’interno di un locale pubblico. Dopo avere insultato le guardie
e percosso una tra esse, l’odierno ricorrente avrebbe risposto in tono insultante anche all’agente di polizia, che
a seguito dell’alterco si era qualificato esibendo il proprio
distintivo, e poi si sarebbe avventato su di lui, colpendolo con calci e pugni. Le lesioni riportate dalla guardia e
dall’agente erano state poi certificate presso i servizi di
pronto soccorso del locale ospedale.
Nei confronti di Scalese era stata promossa l’azione
penale per un delitto qualificato mediante riferimento
contestuale agli artt. 336 e 337 c.p., sul presupposto che
egli avesse minacciato le persone offese al fine di costringerle ad astenersi da un atto del loro ufficio, ed avesse poi opposto resistenza mentre le stesse persone offese
compivano un atto d’ufficio. Era stato contestato anche un
delitto di lesioni personali aggravate, qualificato a mente
degli artt. 582, 585, 576, primo comma, n. 1, c.p.
L’azione era stata promossa mediante richiesta di giudizio immediato, che il giudice per le indagini preliminari
aveva accolto, e Scalese era stato condannato, in esito al
conseguente giudizio dibattimentale, con riferimento ai
reati descritti nell’originaria imputazione.
Con la sentenza oggetto dell’odierna impugnazione
la Corte territoriale ha inteso rimuovere il giudizio di
condanna in ordine al delitto di cui all’art. 336 c.p., riqualificando il fatto come reato di ingiurie e minacce in
riferimento alle due guardie giurate (con conseguente dichiarazione di improcedibilità dell’azione, dato il difetto
di querela), e considerando assorbita la relativa condotta,
per il resto, nella fattispecie di resistenza a pubblico ufficiale concernente l’agente della Polizia di Stato.
Valutando una questione proposta dalla difesa con
i motivi di appello, la Corte ha escluso la nullità del decreto di giudizio immediato e del successivo dibattimento,
eccepita in quanto, per i delitti di cui agli artt. 336 e 337
c.p., è prevista la citazione diretta a giudizio, con conseguente inammissibilità del ricorso al rito immediato. Per
un verso - si è detto - il decreto giudiziale ha riguardato
anche il delitto di lesioni aggravate di cui al capo B) della
rubrica. Per altro verso, il decreto in questione sarebbe
sindacabile, dal giudice del dibattimento, riguardo alla
sola eventualità della carenza del previo interrogatorio, e
non dunque per il vizio dedotto dalla difesa.
2. Con un primo motivo di impugnazione la difesa
dell’imputato deduce, in sostanza, violazione della legge
processuale, ribadendo che il giudizio immediato non è
ammissibile per reati in ordine ai quali deve procedersi
mediante citazione diretta (sono richiamati l’art. 606,
comma 1, lettere a), b) e c), e l’art. 549 c.p.p.). La violazione denunciata avrebbe comportato nullità del giudizio
e della sentenza, e privato l’imputato della possibilità di
accedere ai riti speciali nei termini consentiti dal giudizio
a citazione diretta.
Con un secondo blocco di rilievi critici, il ricorrente
deduce che si sarebbe data motivazione carente e conArch. nuova proc. pen. 4/2014
351
giur
L e g i t t i m i tà
traddittoria in merito all’asserita credibilità dei testi di
accusa, trascurando tra l’altro specifici motivi di rancore
che l’agente di polizia coinvolto nel fatto avrebbe nutrito
nei confronti dell’imputato (il quale, in sostanza, sarebbe
stato assolto da un’accusa di evasione derivante da denuncia sporta, in tutt’altra e precedente occasione, proprio
dall’agente di cui si tratta).
Motivi della decisione
1. Il ricorso è infondato.
1.1. Con il primo motivo viene lamentata una violazione
della legge processuale, con riguardo al rigetto delle eccezioni di nullità della sentenza di primo grado e del relativo
dibattimento. La nullità deriverebbe dal ricorso alla procedura di giudizio immediato, che sarebbe stata adottata pur
essendo perseguiti, secondo il Difensore, reati in ordine ai
quali è prescritto il ricorso alla citazione diretta (art. 550,
comma 2, lettere a) e b), c.p.p., relativamente ai delitti di
cui agli artt. 336 e 337 c.p.).
La censura non è adeguatamente focalizzata, non
essendo neppure indicata la previsione sanzionatoria
che il Giudice dell’appello avrebbe dovuto applicare, e
lamentandosi genericamente una violazione dei «diritti
difensivi» derivante da una indebita variazione delle «cadenze processuali tipiche», anche con riguardo ai tempi
dell’eventuale opzione per il giudizio abbreviato.
In ciò il ricorso riproduce la censura proposta con i
motivi di appello (ove almeno si leggeva un fugace riferimento all’omesso deposito degli atti ex art. 415-bis c.p.p.),
senza minimamente confrontarsi con la replica offerta
dalla Corte territoriale.
Viene tuttavia denunciato un error in procedendo, la
cui eventuale sussistenza, e la cui eventuale rilevanza, è
necessario siano valutate da questa Corte.
1.2. Nella sentenza impugnata si sviluppano due repliche alle censure difensive.
La seconda si risolve in un richiamo alla giurisprudenza che da lungo tempo esclude la possibilità di un
sindacato del giudice dibattimentale sulla ricorrenza dei
presupposti per il ricorso al rito immediato. Per la verità
l’orientamento in questione attiene essenzialmente alla
valutazione circa l’evidenza della prova, e si estende all’osservanza del termine entro il quale il pubblico ministero
dovrebbe esercitare l’azione nella forma in questione, sul
presupposto che detto termine non sia perentorio. Non potrebbe dirsi di contro affermato un indirizzo che escluda la
rilevazione di nullità afferenti al rito.
Non sono mancate pronunce in tal senso (sez. III, sentenza n. 31728 del 28 marzo 2013, En Naoumi, rv. 256733,
per altro fondata in via principale sull’asserita tardività
dell’eccezione; sez. IV, sentenza, n. 46761 del 25 ottobre
2007, Gianatti, rv. 238506, per altro riferita, in motivazione, ad un giudizio di insussistenza della nullità dedotta).
Ma ve ne sono anche di segno opposto (sez. V, sentenza
n. 1245 del 21 gennaio 1998, Cusani, rv. 210027; sez. VI,
sentenza n. 6989 del 10 gennaio 2011, rv. 249463).
Non potrebbe in particolare teorizzarsi l’indifferenza
del sistema nel caso di ricorso al rito immediato per reati
352
4/2014 Arch. nuova proc. pen.
procedibili mediante citazione diretta. Anzi, è questo uno
dei terreni sui quali si manifesta l’opinione che le nullità
sono deducibili, innanzi al giudice dibattimentale, sempre
che non si determini una decadenza o sanatoria (il che
avviene, ad esempio, quando l’imputato, raggiunto da un
decreto di giudizio immediato per i reati di cui all’art. 550
c.p.p., promuove un giudizio abbreviato, e pretende di far
valere in quell’ambito il vizio de quo: sez. VI, sentenza n.
5902 del 13 ottobre 2011, Adiletta, rv. 252065; sez. IV, sentenza n. 41073 del 3 novembre 2010, Halilovic, rv. 248773).
In mancanza di un’accettazione degli effetti dell’atto, o
comunque di una sanatoria, la nullità è stata considerata
deducibile, ed ha implicato un giudizio di legittimità del
provvedimento di restituzione degli atti al giudice per le
indagini preliminari (sez. I, sentenza n. 8227 del 10 febbraio 2010, Ly, rv. 246249: «il giudice del dibattimento può
sindacare i presupposti e le condizioni per l’ammissione
del giudizio immediato qualora essi si risolvano in violazioni di norme procedimentali concernenti l’intervento,
l’assistenza o la rappresentanza dell’imputato»).
In effetti la stessa Corte territoriale, in conclusione
della propria analisi, si è posta il problema della nullità
del decreto introduttivo del giudizio, individuando il solo
problema del previo interrogatorio, e notando come, nella
specie, lo stesso risultasse regolarmente assunto.
L’appellante, per la verità, aveva piuttosto compiuto un
vago riferimento alla perdita «della ulteriore garanzia di
cui all’art. 415-bis» (assumendo erroneamente l’intervento
di una novità assoluta). I rilievi difensivi, per altro verso,
potrebbero evocare un problema di competenza funzionale del giudice per le indagini preliminari che adotti un
decreto di giudizio immediato per reati a citazione diretta.
Tuttavia questa Corte non è chiamata, nella specie, ad approfondire le questioni indicate, posto che il Giudice del
provvedimento impugnato ha proposto una soluzione alternativa del problema posto dall’odierno ricorrente, che
è conforme al diritto processuale.
1.3. Infatti, come si è anticipato, la Corte territoriale
ha ritenuto che nella specie potesse procedersi mediante
rito immediato in ragione della connessione esistente tra
reati «a citazione diretta» ed un reato per il quale, invece,
l’azione deve esercitarsi, nella forma ordinaria, mediante
la richiesta di rinvio a giudizio.
Va detto anzitutto che il rilievo è fondato in fatto (tanto
che il ricorrente non lo contesta, ed anzi ignora del tutto
l’argomento): contro Scalese si procedeva anche per un
reato punito con pena superiore nel massimo ai quattro
anni di reclusione, trattandosi di lesioni personali aggravate a norma dell’art. 61 n. 2 c.p., e dunque, propriamente,
a norma dell’art. 585, comma 1, in rapporto all’art. 576,
comma 1, numero 1, c.p.p.
Ora, l’art. 551 c.p.p. stabilisce che, quando il procedimento concernente un reato perseguibile mediante
citazione diretta è connesso ad altro nel quale si debba
procedere diversamente, «il pubblico ministero presenta
per tutti la richiesta di rinvio a giudizio a norma dell’art.
416».
giur
L e g i t t i m i tà
Il senso della norma è chiaro: la opportunità del simultaneus processus implica la prevalenza del rito più
garantito, perchè segnato dal controllo giudiziale circa i
presupposti per un utile avvio della fase dibattimentale.
La lettera della legge, come appena si è visto, allude
per i casi in questione alla richiesta di rinvio a giudizio. La
Corte ritiene, per altro, che la disposizione non potrebbe
essere intesa nel senso di un divieto del ricorso ai riti alternativi previsti per i casi in cui, nella forma «ordinaria»,
la domanda di giudizio deve passare attraverso il vaglio
dell’udienza preliminare.
Si tratterebbe di un assurdo sistematico, in forza del
quale, riguardo ai reati a citazione diretta per i quali la
prova sia evidente, e che potrebbero essere portati alla
conoscenza del giudice dibattimentale senza alcun filtro,
risulterebbe poi inadeguato il controllo giudiziale implicato dal rito immediato, e dovrebbe procedersi necessariamente mediante l’udienza preliminare. Con il paradosso
che la connessione con reati tendenzialmente più gravi,
e perseguibili col rito speciale, comporterebbe il massimo
aggravamento della procedura, non richiesto per i richiamati e più gravi reati, e men che meno richiesto per i reati
a citazione diretta per i quali la prova non sia evidente.
Sembra chiaro, quindi, come l’art. 551 c.p.p. vada letto
nel senso che, per il caso di connessione, i reati «a citazione diretta» seguono la sorte di quelli diversi, qualunque
poi la stessa debba essere alla luce delle norme che segnano, in generale, l’opzione tra udienza preliminare e
modalità alternative di esercizio dell’azione.
Non sembrano ostare, alla soluzione indicata, due possibili rilievi. È vero, anzitutto, che il ricorso al giudizio
immediato priva l’imputato del deposito degli atti ex art.
415-bis c.p.p., che invece vi sarebbe nel caso di citazione
diretta. L’obiezione è valida tuttavia per qualunque genere
di reato, a cominciare da quelli connessi ai reati de quibus,
ed è notoriamente superata con riferimento al requisito
di evidenza della prova ed alla necessità, comunque, del
previo interrogatorio.
Neppure potrebbe dirsi, per altro verso, che l’incompatibilità del rito immediato con la procedura a citazione
diretta comporti, per i reati pertinenti a quest’ultima, una
«mancanza delle condizioni che giustificano» la scelta
dello stesso rito immediato, con applicazione conseguente
del comma 2 dell’art. 553 c.p.p., e dunque secondo una
alternativa tra scelte comunque diverse da quella compiuta nel caso di specie: la separazione dei procedimenti
(con conseguente «recupero» della citazione diretta) o
la prevalenza del rito ordinario, nel caso di connessione
inscindibile (con conseguente «abbandono» del rito immediato).
Anzitutto, prevale nella specie un favor separationis cui
sottende una ratio incompatibile con la logica del simulta-
neus processus che segna invece l’art. 551 c.p.p. Tale ratio
si identifica con la possibilità di definire prontamente una
parte almeno del giudizio, e quindi pare riferibile essenzialmente al requisito di evidenza della prova, più che ad
altri fattori di discernimento tra le procedure. In secondo
luogo, la lettura ipotizzata implicherebbe, ancora una volta, conseguenze incongrue dal punto di vista sistematico.
Si ipotizzi la sussistenza di una riunione indispensabile tra
i procedimenti: una comune evidenza della prova tra reati
«ordinari» e reati «a citazione diretta» dovrebbe implicare
l’obbligo per i primi di procedere mediante l’udienza preliminare: cioè, sarebbero i reati per i quali nessun filtro è
necessario a imporre agli altri il più laborioso tra i filtri
previsti dal codice, senza che ciò sia imposto dalla natura
dell’addebito o dalla qualità della prova.
In realtà può e deve ritenersi (anche nella logica della
ragionevole durata) che l’art. 551 c.p.p. fondi un caso di
procedibilità mediante rito immediato riguardo a reati
a citazione diretta, e che dunque non operi il comma 2
dell’art. 453 c.p., poiché le «condizioni che giustificano» la
scelta di tale rito sussistono anche per detti reati, ferma
restando la necessità di una connotazione di evidenza per
la prova in ordine a tutti i fatti connessi.
Di qui il principio: nel caso in cui reati perseguibili
mediante citazione diretta siano connessi a reati per i
quali dovrebbe essere promossa l’udienza preliminare - e
per tutti i reati in questione vi sia evidenza della prova e
ricorrano le ulteriori condizioni di cui all’art. 453 c.p.p. - il
pubblico ministero è ammesso a procedere congiuntamente mediante richiesta di giudizio immediato.
2. La serie delle doglianze affastellate nell’ambito del
«secondo motivo» del ricorrente non può essere presa in
considerazione nel presente giudizio di legittimità, perchè
si tratta di rilievi generici, in buona parte analoghi a quelli
proposti con l’atto di appello, e comunque pertinenti al
fatto ed al merito della decisione giudiziale.
La sentenza impugnata si caratterizza per una diffusa e congruente valutazione del quadro probatorio. Il
ricorrente denuncia contraddizioni tra le prove che non
sono adeguatamente specificate. La Corte territoriale,
comunque, ha considerato partitamente le deposizioni dei
due testi a difesa, illustrando con rilievi logici le ragioni
della loro inattendibilità od ininfluenza, e del credito da
conferire necessariamente alle deposizioni contrapposte,
provenienti anche da testi “indipendenti” e riscontrate dai
certificati sanitari.
L’illustrazione di elementi confermativi che attengono
specificamente alla deposizione dell’agente Miele, provenienti finanche da uno dei testi a difesa, vale ampiamente
a bilanciare i riferimenti, evanescenti e non credibilmente
giustificati, a pretese ragioni di inimicizia dello stesso
agente nei confronti del ricorrente. (Omissis)
Arch. nuova proc. pen. 4/2014
353
giur
L e g i t t i m i tà
Corte di cassazione penale
sez. I, 31 marzo 2014, n. 14775
(ud. 12 marzo 2014)
Pres. Giordano – Est. Vecchio – P.M. Iacoviello (diff.) – Ric. Lapresa
Atti e provvedimenti del giudice penale y Prov-
vedimenti in camera di consiglio y Udienza y Impedimento del difensore y Per adesione all’astensione
collettiva dalle udienze y Richiesta di rinvio o sospensione y Ingiustificato diniego della richiesta di
rinvio y Nullità a regime intermedio y Configurabilità y Sussistenza.
. In tema di giudizio camerale di appello costituisce
causa di nullità (a regime intermedio) la ingiustificata
reiezione della richiesta di rinvio avanzata dal difensore sulla base della sua dichiarata adesione, nelle forme
e nei termini previsti dal codice di autoregolamentazione, all’astensione collettiva dalle udienze deliberata
dalle competenti associazioni di categoria. (Mass. Redaz.) (c.p.p., art. 127; c.p.p., art. 486) (1)
(1) La pronuncia in epigrafe conferma quanto già recentemente
affermato da Cass. pen., sez. VI, 17 gennaio 2014, n. 1826, in questa
Rivista 2014, 305. Secondo il precedente contrario orientamento,
espresso, ex multis, da Cass. pen., sez. I, 22 febbraio 2012, n. 6907, ivi
2013, 583; Cass. pen., sez. V, 13 ottobre 2010, n. 36623, in Ius&Lex dvd,
n. 4/2014; Cass. pen., sez. VI, 7 luglio 2006, n. 23778, in questa Rivista 2007, 511; Cass. pen., sez. un., 27 giugno 1998, 7551, in Ius&Lex
dvd n. 4/2014, ed. La Tribuna, il disposto dell’art. 486, quinto comma,
c.p.p. non si applica ai giudizi d’appello che si svolgono con le forme
previste dall’art. 127 c.p.p.. Tale indirizzo è stato poi superato dalla
decisione delle SS.UU. 19 giugno 2013, n. 26711, ibidem, secondo
cui, nei procedimenti relativi a misure cautelari personali, non
è consentita l’astensione dalle udienze da parte del difensore che
aderisca ad una protesta di categoria, in quanto l’art. 4 del Codice di
“Autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati”
esclude espressamente che l’astensione possa riguardare le udienze
penali “afferenti misure cautelari”.
Svolgimento del processo e motivi della decisione
1. - Con sentenza, deliberata il 28 ottobre 2009 e depositata il 13 novembre 2009, il giudice della udienza
preliminare del Tribunale ordinario di Rimini, in esito al
giudizio, celebrato col rito abbreviato, ritenuti il concorso
di circostanze attenuanti generiche (equivalenti alle aggravanti) e la continuazione tra tutti i reati, ha condannato alla pena principale della reclusione in otto anni e
alle pene accessorie di legge, Jaco Lapresa, imputato dei
delitti di rapina aggravata tentata (capo A della rubrica),
di rapina aggravata consumata (capo B, ibidem), di lesione personale aggravata (capo B, rectius C, ibidem) e di
omicidio tentato aggravato (capo C, rectius D, ibidem),
commessi tutti in danno di Camillo Massimiliano Menna,
in Riccione il 24 agosto 2007.
2. - Sugli appelli proposti dall’imputato e dal Procuratore generale della Repubblica, all’esito della udienza di trattazione dei gravami, celebrata in camera di consiglio con
l’intervento del Pubblico Ministero e senza partecipazione
dell’appellante e del difensore, la Corte di appello di Bologna, con sentenza, deliberata il 23 marzo 2012 e depositata
354
4/2014 Arch. nuova proc. pen.
il 2 aprile 2012, in parziale riforma della sentenza impugnata (nel resto confermata) ha ritenuto l’assorbimento della
rapina tentata in quella consumata e il concorso formale
tra detto reato e quello di lesione personale; ha escluso la
continuazione tra i succitati delitti e l’omicidio tentato; ha
rideterminato le pene principali in ragione di cinque anni
e quattro mesi di reclusione per la rapina (come ritenuta)
e in complessivi due anni, venti giorni di reclusione e quattrocento euro di multa pei residui reati.
I giudici di merito hanno accertato che il giudicabile,
in concorso con altri compartecipi non identificati, mediante violenza, consistita nello sferrare pugni e calci,
aveva tentato di sottrarre il portafoglio di Camillo Massimiliano Menna; quindi con un violento schiaffo al volto
si era impossessato del copricapo del Menna; e a costui
aveva cagionato lesioni personali all’orbita dell’occhio destro; successivamente, agendo da solo, aveva compiuto
atti idonei diretti in modo non equivoco a cagionare la
morte del medesimo Menna, che colpiva violentemente al
capo con un corpo contundente (un mattone di cemento)
provocando l’insorgenza di trauma cranio encefalico, la
rottura della arteria meningea media, conseguente ematoma extradurale acuto, senza, tuttavia, conseguire, per
cause indipendenti dalla propria volontà, l’intento omicida, in quanto, grazie alle cure praticate, la vittima riusciva
a sopravvivere.
Con riferimento ai motivi di gravame e in relazione a
quanto serba rilievo nella sede del presente scrutinio di
legittimità, la Corte territoriale ha motivato:
a) le condotte di rapina e di lesione, cronologicamente
antecedenti alla perpetrazione dell’omicidio tentato sono
comprovate dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa
e dal conquesto immediato del Menna con l’amico Nicola
Gragnaniello; non è influente la circostanza che del tentativo di sottrazione del portafoglio la vittima abbia fatto
menzione alla polizia giudiziaria «solo in seconda battuta»;
è da escludere ogni intento calunniatorio, comunque, finalizzato ad aggravare la posizione del prevenuto da parte del
Menna; costui, infatti, in relazione allo schiaffo subito, neppure ha attribuito la materialità della condotta alla azione
personale di Lapresa, avendo dichiarato di non essere in
grado di indicare chi tra gli aggressori lo avesse colpito;
b) deve essere disattesa la richiesta dell’appellante di
derubricazione del più grave delitto, correttamente qualificato dal primo giudice in conformità della contestazione;
il dolo omicida, quanto meno nella forma alternativa, è
dimostrato dalla zona corporea attinta (sede di organi vitali), dalla micidialità del mezzo e dalla estrema violenza
colla quale Lapresa inflisse il «pur unico colpo».
3. -L’imputato, col ministero del difensore di fiducia,
avvocata Francesca Cramis, mediante atto recante la data
del 3 luglio 2012, depositato il 5 luglio 2012, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza e, congiuntamente, avverso la ordinanza della Corte territoriale 23 marzo
2012, di rigetto della mozione difensiva di differimento
della trattazione del gravame in dipendenza della adesione del difensore alla astensione dalle udienze promossa
dalla associazione di categoria.
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Il ricorrente ha sviluppato due motivi.
3.1 - Col primo motivo il difensore denunzia, ai sensi
dell’articolo 606, comma 1, lettera c), c.p.p. inosservanza
di norme processuali stabilite a pena di nullità, in relazione all’articolo 420-ter c.p.p., e con riferimento agli articoli
111 della Costituzione e 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali,
adottata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848.
Il ricorrente deduce: il diritto «di sciopero del difensore è costituzionalmente garantito dall’articolo 40 della
Costituzione» e prevale sul «combinato disposto degli articoli 443, comma 3, 599 e 127 c.p.p.» che non contemplano
«l’impedimento a comparire del difensore cui è equiparata
la adesione alla astensione dalle udienze».
La celebrazione della udienza in assenza del difensore
aderente alla astensione dalle udienze, sanziona illegittimamente e contraddittoriamente l’esercizio del diritto
costituzionale, lede il contraddittorio del giusto processo,
sancito dall’articolo 111 della Costituzione e il «diritto a
un processo equo» garantito dall’articolo 6 della Convenzione citata.
La Corte territoriale non ha neppure designato un difensore di ufficio sicché l’appellante è «rimasto del tutto
sguarnito di difesa».
3.2 - Col secondo motivo il difensore dichiara promiscuamente di denunziare, ai sensi dell’articolo 606, comma
l, lettere b), c) ed e), c.p.p. «erronea applicazione della
legge penale, inosservanza delle norme processuali [...]
mancanza o manifesta illogicità della motivazione» e deduce: in ordine al delitto di rapina la sentenza è «lacunosa»; difetta il «riscontro probatorio»; la persona offesa non
fatto cenno nella querela della sottrazione del copricapo;
difetta, altresì, la prova del delitto di lesione personale; la
documentazione medica, in atti, concerne gli esiti della
successiva condotta delittuosa; quanto al tentato omicidio
la «univocità del gesto» non è dimostrata; il ricorrente
non aveva alcun intento omicida, siccome ha confermato
nell’interrogatorio di garanzia; ha colpito una sola volta
Menna e si è allontanato; non vi è stata reiterazione dei
colpi; né vi è stata contestuale esternazione di alcun proposito omicida; era stata, piuttosto, la vittima a «recarsi
incontro all’imputato»; Menna ha cercato «lo scontro e il
contatto con l’imputato»; dopo che fu colpito si recò da
solo al pronto soccorso.
4. - Fondato è, nei termini che seguono, il primo motivo
di ricorso, preclusivo dell’esame delle ulteriori censure.
4.1 - Questa Corte suprema di cassazione, a Sezioni
Unite, in materia di procedimenti incidentali de libertate
- affatto sovrapponibili per l’identità del rito, modellato
sulle forme dell’articolo 127 c.p.p., al giudizio abbreviato
camerale in grado di appello, disciplinato dall’articolo 444,
comma 3, c.p.p. che rinvia all’articolo 599 c.p.p. il quale, a
sua volta, richiama l’articolo 127 c.p.p. - ha recentemente
fissato il seguente principio di diritto: «non è consentita
l’astensione dalle udienze da parte del difensore che aderisca ad una protesta di categoria, in quanto l’articolo 4
del Codice di “Autoregolamentazione delle astensioni dal-
le udienze degli avvocati”, adottato il 4 aprile 2007 [...],
avente valore di normativa secondaria, esclude espressamente che l’astensione possa riguardare le udienze penali
“afferenti misure cautelari”»; sicché, «in applicazione di
tale principio, [ha] rigettato l’istanza di rinvio avanzata
dal difensore dell’imputato nel giudizio di cassazione proposto ai sensi dell’art. 311 c.p.p.» (sez. un., n. 26711 del 30
maggio 2013 - dep. 19 giugno 2013, Ucciero, Rv. 255346).
Siffatto arresto ha implicitamente superato il precedente orientamento affermato delle medesime Sezioni Unite - e
concordemente ribadito dalle altre Sezioni di questa Corte
suprema di cassazione con consolidata giurisprudenza -secondo il quale la disposizione dell’articolo 486, comma 5,
c.p.p. [attualmente, per effetto della novella del 16 dicembre
1999, n. 479, dell’articolo 420-ter, comma 5, c.p.p.], recante
la previsione della sospensione o del rinvio del dibattimento
in caso di legittimo impedimento del difensore, non si applica ai procedimenti in camera di consiglio che si svolgono
nelle forme previste dall’articolo 127 c.p.p.; e ciò sul presupposto che, in difetto di espressa previsione normativa dell’impedimento del difensore (a differenza dell’impedimento
dell’imputato che ha manifestato la volontà di comparire, v.
articolo 599, comma 2, c.p.p.), «nessun rilievo» debba essere
«riconosciuto - in generale – all’impedimento a comparire
del difensore» e, comunque - per quanto qui precipuamente
rileva - alla adesione del difensore alla astensione collettiva
dalle udienze, promossa dalle organizzazioni di categoria
(sez. un., n. 7551 del 8 aprile 1998 - dep. 27 giugno 1998,
Cerroni, Rv. 210795, secondo la quale, proprio in «fattispecie
relativa ad adesione del difensore all’astensione collettiva
dalle udienze [..] in relazione a giudizio abbreviato in grado
di appello, il disposto dell’art. 486, comma quinto, c.p.p., a
norma del quale il giudice provvede alla sospensione o al
rinvio del dibattimento in caso di legittimo impedimento
del difensore, non si applica ai procedimenti in camera di
consiglio che si svolgono con le forme previste dall’art. 127
c.p.p.»; cui adde sez. VI, n. 1855 del 9 ottobre 1992, Sibio, Rv.
193526; sez. VI, n. 6868 del 3 maggio 1993 dep. 9 luglio 1993,
Ginanneschi, Rv. 195140; sez. IV, n. 2503 del 17 dicembre
1993 - dep. 25 febbraio 1993, Tuminetti, Rv. 197737; sez. III,
n. 10155 del 11 luglio 1995 - dep. 6 ottobre 1995, Ghia, Rv.
202778; sez. I, n. 579 del 5 dicembre 1995 - dep. 18 gennaio
1996, De Rosa, Rv. 203464; sez. IV, n. 2543 del 21 febbraio
1996 - dep. 6 marzo 1996, Pulcini ed altro, Rv. 204581; sez.
VI, n. 4420 del 27 marzo 1996 - dep. 30 aprile 1996, Grillo,
Rv. 205087; sez. V, n. 11269 del 17 febbraio 1998 - dep. 27
ottobre 1998, Gulinello, Rv. 211515; sez. III, n. 7939 del 4
giugno 1998 - dep. 7 luglio 1998, Dotti F, Rv. 211683; sez. V,
n. 5619 del 22 novembre 1999 - dep. 28 febbraio 2000, Patalano, Rv. 215482; sez. I, n. 388 del 25 novembre 1999 - dep.
14 gennaio 2000, Arienti, Rv. 215144; sez. I, n. 41687 del 2
ottobre 2001 - dep. 21 novembre 2001, Morelli, Rv. 220041;
sez. IV, n. 33283 del 12 dicembre 2001 - dep. 4 ottobre 2002,
Adducci ed altri, Rv. 222497; sez. IV, n. 14866 del 3 febbraio
2004 - dep. 26 marzo 2004, Bazzucchi, Rv. 227918; sez. V, n.
23323 del 23 marzo 2004 - dep. 19 maggio 2004, Collini ed
altro, Rv. 228867; sez. V, n. 22308 del 23 marzo 2004 - dep.
10 maggio 2004, Chinaglia, Rv. 228093; sez. IV, n. 21761 del
Arch. nuova proc. pen. 4/2014
355
giur
L e g i t t i m i tà
15 aprile 2004 - dep. 7 maggio 2004, Zangari ed altro, Rv.
228592; sez. VI, n. 40542 del 23 settembre 2004 - dep. 15
ottobre 2004, Di Gregorio, Rv. 230260; sez. IV, n. 20576 del 17
marzo 2005 - dep. 1 giugno 2005, Arenzani, Rv. 231360; sez.
V, n. 16555 del 6 aprile 2006 - dep. 16 maggio 2006, Verbi,
Rv. 234451; sez. VI, n. 23778 del 24 maggio 2006 - dep. 7 luglio 2006, Guarino, Rv. 234726; sez. VI, n. 34462 del 20 febbraio 2007 - dep. 12 settembre 2007, De Martino e altri, Rv.
237792; sez. IV, n. 33392 del 14 luglio 2008 - dep. 12 agosto
2008, Menoni, Rv. 240901; sez. V, n. 36623 del 16 luglio 2010
- dep. 13 ottobre 2010, Borra e altri, Rv. 248435; sez. VI, n.
10840 del 18 ottobre 2011 - dep. 20 marzo 2012, Cosentino,
Rv. 252278; e sez. I, n. 6907 del 24 novembre 2011 - dep. 22
febbraio 2012, Ganceanu, Rv. 252401).
La sentenza Ucciero, invece, annettendo rilevanza alla
valutazione della conformità della astensione dalle udienze alle disposizioni del Codice di Autoregolamentazione
forense del 4 aprile 2007, e, soprattutto, modulando la
decisione sulla mozione di differimento della trattazione
del procedimento (formulata dal difensore aderente alla
astensione), in funzione della ridetta valutazione, dimostra di aver fatto proprio (pur senza espressa esplicitazione delle ragioni della revisione dell’orientamento) il
presupposto antitetico rispetto a quello - fino a quel momento ritenuto - della assoluta irrilevanza dei motivi del
mancato intervento del difensore (ritualmente avvisato),
in relazione ai procedimenti in parola.
Successivamente, con recentissimo arresto, questa
Corte suprema di cassazione ha espressamente affermato,
proprio in termini, il principio di diritto secondo il quale,
nel giudizio camerale di appello delle sentenze pronunciate col rito abbreviato, in caso di legittimo esercizio
della «libertà di astensione» da parte del difensore (nei
casi previsti e secondo le forme stabilite dal Codice di autoregolamentazione), la reiezione della mozione difensiva
di «rinvio» comporta la nullità generale, a regime intermedio, del procedimento, ai sensi degli articoli 178, comma I,
lettera c), e 180 c.p.p. (sez. VI, n. 1826 del 24 ottobre 2013
- dep. 17 gennaio 2014, A. S., non massimata).
A tale approdo ermeneutico il Collegio si uniforma.
Sicché, nella specie, il diniego del rinvio, implicitamente chiesto (con nota dal 14 marzo 2012) dal difensore
di fiducia dell’appellante aderente alla astensione dalla
udienze indetta dalla associazione di categoria, in conformità delle disposizioni del Codice di autoregolamentazione, cit., comporta la nullità della sentenza.
In mancanza dell’intervento alla udienza camerale davanti alla Corte territoriale di alcun difensore e dell’imputato (v. fascicolo della Corte di appello di Bologna n. 915/10
Regg. App., pp. 26 - 30), la invalidità non è stata sanata (per
decadenza) ai sensi dell’articolo 182 c.p.p.; sicché risulta
tempestivamente dedotta, nel termine di cui all’articolo
180, comma I, c.p.p., col ricorso per cassazione.
Conseguono - laddove deve manifestamente escludersi
la ricorrenza di veruna delle ipotesi contemplate dall’articolo 129 c.p.p. - l’annullamento della sentenza impugnata
e il rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di
appello di Bologna. (Omissis)
356
4/2014 Arch. nuova proc. pen.
Corte di cassazione penale
sez. I, 28 marzo 2014, n. 14686
(c.c. 28 febbraio 2014)
Pres. Giordano – Est. Vecchio – P.M. D’Ambrosio (conf.) – Ric. Confl.
comp. Trib. Taranto in proc. Corte App. Lecce
Esecuzione in materia penale y Competenza y
Pluralità di imputati y Sentenza di assoluzione in
appello solo per uno di essi y Competenza del giudice di secondo grado anche in riferimento agli altri coimputati per i quali viene confermata la condanna y Sussistenza.
. In tema di esecuzione, con riferimento al caso di sentenza pronunciata nei confronti di più soggetti, taluno
dei quali, condannato in primo grado, sia stato assolto
all’esito del giudizio d’appello, va affermata, per il principio dell’unitarietà dell’esecuzione, la competenza
del giudice di secondo grado anche con riguardo alle
posizioni di coloro per i quali la condanna sia stata
confermata. (Mass. Redaz.) (c.p.p., art. 665) (1)
(1) In senso conforme si veda Cass. pen., sez. I, 16 marzo 2010, n.
10415, in questa Rivista 2011, 225; nello stesso senso anche Cass.
pen., sez. I, 19 novembre 2009, n. 44481, in Ius&Lex dvd n. 4/2014, ed.
La Tribuna. In senso difforme si esprime invece Cass. pen., sez. III, 24
novembre 2001, n. 45826, in questa Rivista 2002, 596.
Svolgimento del processo e motivi della decisione
1. - Con ordinanza, deliberata il 12 novembre 2012 e
pubblicata mediante lettura e inserimento nel processo
verbale della udienza in camera di consiglio partecipata,
la Corte di appello di Lecce - Sezione distaccata di Taranto, in funzione di giudice della esecuzione, ha declinato,
a favore del Tribunale di quella stessa sede, la competenza a provvedere sulla richiesta di riconoscimento della
continuazione, presentata nell’interesse del condannato
Leonardo D’Aprile dal difensore di fiducia, avvocato Luigi
Esposito.
La Corte territoriale ha motivato che la competenza
quale giudice della esecuzione spetta al Tribunale, in
quanto quell’ ufficio ha deliberato nei confronti del condannato instante il provvedimento divenuto irrevocabile
per ultimo, costituito dalla sentenza 9 dicembre 2002, confermata integralmente dal giudice di appello con sentenza
22 febbraio 2010.
2. - Il Tribunale ordinario di Taranto, in composizione
collegiale e in funzione di giudice della esecuzione, mediante ordinanza deliberata il 2 ottobre 2012 e depositata
il 23 ottobre 2013, ha resistito alla investitura e ha elevato
conflitto negativo di competenza, obiettando che il giudice
della esecuzione, cui spettava provvedere, era la Corte territoriale, in quanto colla precitata sua sentenza del 22 febbraio 2010, pur avendo confermato la condanna nei confronti del D’Aprile, aveva, tuttavia, riformato la sentenza
di primo grado nei confronti di altro appellante (Tommaso
Aquilino) sul punto della responsabilità, dichiarando non
doversi procedere nei confronti dell’imputato, essendo il
reato a lui ascritto estinto per prescrizione.
giur
L e g i t t i m i tà
3. - Il conflitto negativo improprio di competenza ammissibile in rito in quanto entrambi i giudici della
esecuzione contemporaneamente ricusano di provvedere
sul medesimo incidente (pel riconoscimento della continuazione) promosso dallo stesso condannato - deve essere
risolto nel senso della affermazione della competenza del
giudice il quale per primo la ha negata.
3.1 - In relazione alla specifica posizione del ricorrente, la Corte territoriale sostiene che la propria sentenza
del 22 febbraio 2010 è di «conferma integrale» di quella
appellata.
Il Tribunale premette, invece, che la Corte di appello,
«con riferimento alla posizione di D’Aprile, ha esclusivamente ridotto la pena inflitta in primo grado».
Errati risultano i rifermenti di entrambi i giudici in
conflitto.
Dal certificato penale, in atti, emerge che la Corte di
appello di Lecce - Sezione distaccata di Taranto, colla
sentenza del 22 febbraio 2010, «in parziale riforma» della
sentenza di primo grado, ha eliminato la pena accessoria
della interdizione (temporanea) dai pubblici uffici.
La soluzione della discrasia non è influente ai fini della
determinazione della competenza del giudice della esecuzione.
3.2 - La quaestio iuris che rileva è se, nel caso in cui il
provvedimento divenuto irrevocabile per ultimo riguardi
più parti, la riforma sostanziale, nel senso del proscioglimento, nei confronti di persona diversa dal condannato
instante, valga a radicare nei confronti di costui, la competenza del giudice di secondo grado, ai sensi dell’articolo
665, comma 2, c.p.p.
3.3 - Occorre premettere che nella giurisprudenza di
questa Corte suprema di cassazione è - per vero - consolidato il principio di diritto (già, peraltro, affermato nel
vigore del previdente codice di rito del 1930, v. sez. I, n.
2522 del 17 ottobre 1989 dep. 27 novembre 1989, Vallese,
Rv. 182657) della «unitarietà della esecuzione», sicché
«con riferimento alla sentenza pronunciata in grado di appello che, nel procedimento a carico di più imputati, abbia
riformato la sentenza di primo grado (in ordine a statuizioni non concernenti esclusivamente la pena, le misure
di sicurezza e le disposizioni civili) soltanto nei confronti
di uno o di alcuni imputati, l’organo dell’esecuzione e il
giudice dell’esecuzione sono rispettivamente il pubblico
ministero e il giudice di secondo grado anche rispetto agli
altri imputati che non abbiano eventualmente impugnato
la sentenza di secondo grado o nei cui confronti questa
sia stata confermata» (sez. VI, n. 831 del 4 marzo 1991 dep. 9 maggio 1991, P.G. in proc. Filippini, Rv. 190050; cui
adde sez. I, n. 3925 del 8 ottobre 1992 - dep. 23 novembre
1992, P.M. in proc. Mesi, Rv. 192360; sez. I, n. 6282 del 16
novembre 1999 - dep. 28 dicembre 1999, Riina, Rv. 215019;
sez. I, n. 2277 del 28 marzo 2000 - dep. 12 maggio 2000, Di
Nardo, Rv. 216075; sez. I, n. 16666 del 21 marzo 2001 - dep.
23 aprile 2001, Conflitto comp. in proc. Kotan, Rv. 219020;
sez. I, n. 44481 del 4 novembre 2009 - dep. 19 novembre
2009, Confl. comp. in proc. Arena, Rv. 245681; e, da ultimo,
sez. I, n. 21681 del 22 marzo 2013 - dep. 21 maggio 2013,
Confl. comp. in proc. Fiore, Rv. 256081: «nei procedimenti
con pluralità di imputati la competenza a provvedere “in
executivis” è del giudice di appello non solo rispetto agli
imputati per i quali la sentenza di primo grado sia stata sostanzialmente riformata, ma anche per quelli nei cui confronti la decisione di primo grado sia stata confermata»).
3.4 - Orbene, con specifico riferimento alla quaestio
iuris enunciata, è dato censire un contrasto giurisprudenziale.
Secondo un indirizzo, per vero risalente nel tempo,
ma anche di recente ribadito, «il principio secondo cui,
quando la sentenza di condanna pronunciata in primo
grado nei confronti di più soggetti sia stata riformata dal
giudice di secondo grado con riguardo soltanto a tal uno di
essi, la competenza in materia di esecuzione appartiene
per tutti al giudice di secondo grado, opera nel presupposto che la riforma della decisione di primo grado consista
in una statuizione comunque suscettibile di richiedere
l’intervento del giudice dell’esecuzione; il che non si verifica quando il giudice di secondo grado si sia limitato ad
assolvere taluno degli imputati condannati in prime cure,
confermando integralmente la pronuncia di condanna nei
confronti degli altri. [sez. I, n. 990 del 25 febbraio 1994
- dep. 29 marzo 1994, Confl. comp. in proc. Paltanin, Rv.
196984; cui adde sez. III, n. 45826 del 20 novembre 2001
- dep. 24 dicembre 2001, Dorati S, Rv. 220609; sez. I, n.
35234 del 1 ottobre 2002 - dep. 21 ottobre 2002, P.M. in
proc.Piacentini, Rv. 222172; sez. I, n. 44481 del 4 novembre
2009 - dep. 19 novembre 2009, Confl. comp. in proc. Arena,
Rv. 245681 (con richiamo obiter dictum); e sez. I, n. 30004
del 5 giugno 2013 - dep. 12 luglio 2013, Pmt in proc. Grillo,
Rv. 256215].
Invece, secondo un altro indirizzo (postosi in consapevole contrasto col precedente, in seno a questa stessa sezione), nel caso di riforma della sentenza di primo
grado, consistita nella assoluzione di uno degli imputati e
nella integrale conferma delle condanne inflitte agli altri
prevenuti, deve affermarsi «la competenza del giudice di
secondo grado in relazione all’esecuzione della sentenza
nella parte relativa alla condanna inflitta e, quindi, confermata in grado di appello» (sez. I, n. 10415 del 16 febbraio
2010 - dep. 16 marzo 2010, PG in proc. Guarnieri e altro,
Rv. 246395).
3.5 - A tale secondo indirizzo il Collegio si uniforma.
L’arresto testè citato ha condivisibilmente confutato il
presupposto - affatto erroneo - del contrario orientamento
secondo il quale la decisione di proscioglimento non «richiedere[bbe] l’intervento del giudice dell’esecuzione»
(e, pertanto, sarebbe ininfluente ai fini della competenza)
e, ancora, traendo spunto dalla considerazione del canone
normativo di determinazione della competenza nel caso di
provvedimento deliberato su rinvio di questa Corte suprema di cassazione (articolo 665, comma 3, ultimo inciso),
ha argomentato «il carattere formale delle regole di determinazione della competenza», fondate su «criteri astratti,
funzionali ad una ordinata e unitaria predeterminazione
della competenza a prescindere dalla possibilità che taluna delle statuizioni che concorrono a determinarla sia
Arch. nuova proc. pen. 4/2014
357
giur
L e g i t t i m i tà
o meno in concreto suscettibile di esecuzione o di dare
luogo a interventi del giudice dell’esecuzione».
Mentre la decisione in senso contrario, successivamente intervenuta (Rv. 256215, cit.), si è limitata a richiamare
il fallace presupposto (ampiamente confutato) che la
sentenza di proscioglimento «non sarebbe suscettibile di
richiedere l’intervento del giudice della esecuzione».
3.6 - Per vero - al di là della rilevanza che assume nel
concorso con altri provvedimenti di proscioglimento, di
non luogo a procedere o di condanna (per il medesimo
fatto e nei confronti della stessa persona), ai sensi dell’articolo 669, commi 7 e 8, c.p.p. - la sentenza di proscioglimento, oltre alle statuizioni di liberazione, di rilascio o di
restituzione è, invece, suscettibile di comportare plurimi
interventi in executivis, tutti normativamente, previsti
quali e la revoca della sentenza stessa, se pronunciata
«per estinzione del reato o per mancanza di imputabilità»,
in dipendenza della abolitio criminis o della dichiarazione
della illegittimità costituzionale della norma incriminatrice (articolo 673, comma 2, c.p.p.); e la esecuzione delle
misure di sicurezza personali (articolo 658 c.p.p.); la applicazione o la revoca della confisca (articolo 676, comma 1,
c.p.p.) la declaratoria della falsità documentale accertata
ai sensi dell’articolo 537, comma 4, c.p.p. (articolo 675,
comma 1, c.p.p.); e la cancellazione, la ripristinazione,
la riforma o la rinnovazione dei documenti (articolo 675,
comma 2, c.p.p.).
E significativamente il legislatore non ha circoscritto
l’ambito della competenza del giudice della esecuzione
alle sole sentenze o ai soli decreti penali di condanna, ma
ha fatto riferimento alla generale categoria del «provvedimento» giudiziario, la quale categoria comprende sia le
sentenze e i decreti penali di condanna che le sentenze di
non luogo a procedere e quelle di proscioglimento (articolo 665 c.p.p.).
La contraria opinione oltretutto comporterebbe la
conseguenza (sicuramente anomala) dello sdoppiamento
della competenza del giudice della esecuzione in relazione ai provvedimenti chiesti dalla persona definitivamente
prosciolta nel giudizio di appello, per effetto della totale
riforma della condanna riportata in primo grado: nei confronti di costui non è certamente configurabile la competenza del giudice, di prime cure, quello, cioè, della condanna (totalmente riformata in secondo grado), mentre il
suddetto giudice sarebbe, invece, competente in relazione
agli incidenti relativi alla persone condannate colla stessa
sentenza (confermata ovvero riformata soltanto in relazione alla pena, alle misure di sicurezza o alle disposizioni
civili).
Conclusivamente, da un canto, la rilevanza dei provvedimenti di proscioglimento in executivis e, precipuamente, la loro attitudine a costituire materia esclusiva
di deliberazione del giudice della esecuzione e, dall’altro
canto, il principio della «unitarietà della esecuzione»,
comportano il corollario che la riforma sostanziale della
medesima sentenza (pur nel senso del proscioglimento)
adottata nei confronti di persona diversa dal condannato
instante (nei confronti del quale la decisione è stata con-
358
4/2014 Arch. nuova proc. pen.
fermata ovvero riformata soltanto in relazione alla pena,
alle misure di sicurezza o alle disposizioni civili), radica
per tutti la competenza del giudice di secondo grado,
quale giudice della esecuzione, ai sensi dell’articolo 665,
comma 2, ultimo inciso, c.p.p.
3.7 - Orbene tale ipotesi ricorre nella specie: infatti non
sorge questione sul punto che la sentenza della Corte di
appello di Lecce - Sezione distaccata di Taranto, mentre
nei confronti del condannato instante ha soltanto modificato il trattamento sanzionatorio, escludendo la pena accessoria, ha, tuttavia, riformato in senso c.d. «sostanziale»
la sentenza del Tribunale ordinario di quella stessa sede
nei confronti di altro imputato, prosciogliendolo per estinzione del reato.
Conseguono la declaratoria della competenza della
Corte territoriale e la trasmissione degli atti a quell’ufficio. (Omissis)
Corte di cassazione penale
sez. I, 28 marzo 2014, n. 14677
(ud. 20 gennaio 2014)
Pres. Chieffi – Est. Mazzei – P.M. Galasso (diff.) – Ric. Medulla
Atti e provvedimenti del giudice penale y Atti
abnormi y Illegittima applicazione della pena
detentiva congiuntamente a quella pecuniaria y Nel
caso in cui tali pene siano previste come alternative y Abnormità o inesistenza del relativo provvedimento y Esclusione.
. L’illegittima
applicazione, con provvedimento non
più soggetto ad impugnazione, della pena detentiva
congiuntamente a quella pecuniaria, in un caso nel
quale la pena detentiva e quella pecuniaria siano invece previste come alternative, non può essere eliminata
in sede esecutiva, non dando essa luogo ad abnormità
o inesistenza giuridica di detto provvedimento. (Mass.
Redaz.) (c.p.p., art. 568; c.p.p., art. 670) (1)
(1) Nello stesso senso della pronuncia in commento si vedano Cass.
pen., sez. I, 19 marzo 2009, n. 12453, in questa Rivista 2010, 348 e
Cass. pen., sez. I, 9 aprile 1997, n. 2174, in Ius&Lex dvd n. 4/2014,
ed. La Tribuna. In genere, sull’abnormità ed inesistenza del provvedimento, si veda Cass. pen., sez. V, 29 luglio 1997, n. 2053, in questa
Rivista 1998, 273.
Svolgimento del processo
1. Con ordinanza deliberata il 18 marzo 2013 il Tribunale di Genova, giudice dell’esecuzione, ha dichiarato
illegale e, per l’effetto, non eseguibile la pena detentiva
applicata a Medulla Massimo con decreto di condanna, in
data 7 marzo 2011, del Giudice per le indagini preliminari
del Tribunale di Genova, pari a mesi uno e giorni quindici
di arresto, convertita in euro 11.250 (undicimiladuecentocinquanta) di ammenda, confermando per il resto la pena
pecuniaria applicata congiuntamente a quella detentiva
nella misura di euro 6.000 (seimila) di ammenda e ordinando l’esecuzione solo di quest’ultima.
giur
L e g i t t i m i tà
Il Medulla, infatti, era stato condannato congiuntamente alla suddetta pena, detentiva e pecuniaria, per il reato
previsto dall’art. 5, lett. b), e 6 della legge 30 aprile 1962,
n. 283, avendo detenuto alimenti in cattivo stato di conservazione, in violazione della norma incriminatrice che
prevede, alternativamente, la pena detentiva o pecuniaria.
2. Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso
per cassazione il Medulla personalmente, per dedurre i
vizi di violazione di legge e difetto di motivazione, in relazione agli artt. 1 c.p., 25 Cost. e 125, comma 3, c.p.p.,
avendo il giudice dell’esecuzione, a fronte della rilevata
illegalità della pena applicata, omesso di dichiarare l’inesistenza ovvero l’abnormità del decreto di condanna, con
la conseguente totale ineseguibilità di esso, nonostante
l’esplicita denuncia di tali sanzioni processuali da parte
del ricorrente.
3. Il Procuratore generale presso questa Corte, ritenuta
l’infondatezza, nel caso di specie, della dedotta inesistenza
o abnormità dell’atto, ha chiesto il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile perchè manifestamente
infondato.
1.1. Questa Corte si è già pronunciata sul tema della
pena illegale, applicata con provvedimento divenuto irrevocabile, e ha affermato il principio secondo cui, in sede
esecutiva, l’illegittimità della pena può essere rilevata
solo quando la sanzione irrogata non sia prevista dall’ordinamento giuridico ovvero quando, per specie e quantità,
risulti eccedente il limite legale, ma non quando risulti
errato il calcolo attraverso il quale essa è stata determinata - salvo che non sia frutto di errore macroscopico - trattandosi di errore censurabile solo attraverso gli ordinari
mezzi di impugnazione della sentenza (sez. I, n. 38712
del 23 gennaio 2013, dep. 19 settembre 2013, Villirillo, Rv.
256879). In particolare, la condanna a pena illegittima,
contenuta in sentenza non ritualmente impugnata, non
può essere rettificata in sede esecutiva, salvo che sia configurabile un’ipotesi di assoluta abnormità della sanzione
(sez. I, n. 4869 del 6 luglio 2000, dep. 9 agosto 2000, Colucci, Rv. 216746); la pena sia frutto di un errore macroscopico non giustificabile e non di una argomentata, pur
discutibile, valutazione (sez. I, n. 12453 del 3 marzo 2009,
dep. 19 marzo 2009, Alfieri, Rv. 243742); la sanzione sia
oggetto di palese errore di calcolo, in grado di comportarne la sostanziale illegalità (sez. IV, n. 26117 del 16 maggio
2012, dep. 5 luglio 2012, Toma, Rv. 253562).
E, invero, il principio di legalità della pena, enunciato
dall’art. 1 c.p. ed implicitamente dall’art. 25, comma secondo, Cost., informa di sé tutto il sistema penale e non
può ritenersi operante solo in sede di cognizione. Tale
principio, che vale sia per le pene detentive sia per le pene
pecuniarie, vieta che una pena che non trovi fondamento in una norma di legge, anche se inflitta con sentenza
non più soggetta ad impugnazione ordinaria, possa avere
esecuzione, essendo avulsa da una pretesa punitiva dello
Stato (sez. V, n. 809 del 29 aprile 1985, dep. 20 maggio
1985, Lattanzio, Rv. 169333).
1.2. Il ricorrente postula che l’illegittimità della pena
congiunta, in luogo di quella alternativa, applicata con
provvedimento irrevocabile, nella specie decreto di condanna non ritualmente impugnato essendo stato oggetto
di ricorso per cassazione dichiarato inammissibile e non
di opposizione, determini l’inesistenza o l’abnormità dell’intero provvedimento applicativo e, di conseguenza, la
totale ineseguibilità di esso.
Tale tesi è palesemente infondata nel caso in esame,
connotato dall’irrogazione di pene previste dall’ordinamento giuridico, seppure in via alternativa e non congiunta, con riguardo al contestato reato contravvenzionale di
cui all’art. 5, comma primo, lett. b), e 6, comma terzo, della
legge 30 aprile 1962, n. 283, con successive modificazioni
(Disciplina igienica della produzione e della vendita delle
sostanze alimentari e delle bevande).
E, invero, l’inesistenza giuridica dei provvedimenti del
giudice è configurabile esclusivamente rispetto a quegli
atti che, seppur materialmente esistenti, siano privi dei
requisiti minimi (quali la provenienza da un organo investito del potere giurisdizionale penale, l’esternazione in
forma scritta, l’adozione nei confronti di una persona esistente e assoggettabile alla giurisdizione penale) necessari per poter essere riconosciuti come atti processuali del
giudice e, come tali, assolutamente inidonei a produrre
quegli effetti che la legge ricollega agli atti di questo tipo
e insuscettibili di essere sanati dal giudicato; essa non
comprende, invece, quegli atti che, pur essendo provvisti dei requisiti minimi per essere qualificati come atti
processuali, siano tuttavia affetti da vizi che, a seconda
della maggiore o minore gravità ad essi attribuita dall’ordinamento, possono incidere, con diversi gradi di rilevanza,
sulla loro validità e sono rilevabili solo se dedotti mediante impugnazione (sez. IV, n. 1986 del 2 settembre 1985,
dep. 10 settembre 1985, Costanzo, Rv. 170313; sez. II, n.
7761 del 15 novembre 1986, dep. 27 giugno 1987, Troja, Rv.
176261; sez. V, n. 7 del 26 aprile 1989, dep. 9 maggio 1989,
Goria, Rv. 181304).
In applicazione di tale nozione giuridica è stata ritenuta inesistente, oltre alla sentenza emessa da soggetto
estraneo all’ordinamento giudiziario, quella assolutamente priva di dispositivo per omessa statuizione decisoria
nei confronti dell’imputato, ma non anche la sentenza
carente di motivazione (sez. II, n. 29427 del 15 giugno
2011, dep. 22 luglio 2011, Ferrari, Rv. 251027; sez. VI, n.
31965 del 2 luglio 2013, dep. 23 luglio 2013, Sicignano,
Rv. 255888); e la decisione pronunciata nei confronti di
imputato dopo la morte dello stesso (sez. un., n. 3489 del
23 gennaio 1982, dep. 30 marzo 1982, Renna, Rv. 153021;
sez. VI, n. 10199 del 9 marzo 2010, dep. 12 marzo 2010,
Iaconis, Rv. 246541).
Ancora diversa è la pur evocata nozione di abnormità,
la quale può riguardare sia il profilo strutturale, allorché
l’atto, pur essendo giuridicamente esistente, si ponga, per
la sua singolarità, al di fuori del sistema organico della
legge processuale; sia il profilo funzionale, quando esso,
pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi
del processo e l’impossibilità di proseguirlo (sez. un., n.
Arch. nuova proc. pen. 4/2014
359
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L e g i t t i m i tà
26 del 24 novembre 1999, dep. 26 gennaio 2000, Magnani,
Rv. 215094; sez. un., n. 5307 del 20 dicembre 2007, dep. 1
febbraio 2008, Battistella, Rv. 238240).
Diversamente dall’atto giuridicamente inesistente,
l’atto abnorme non è indifferente alla formazione del
giudicato, poiché le disposizioni del codice di rito concernenti i termini per la proposizione dell’impugnazione
operano anche con riferimento al ricorso per cassazione
avverso gli atti abnormi; con la sola eccezione delle ipotesi
di gravame proposto nei confronti di quei provvedimenti
non abnormi ma, appunto, inesistenti perchè affetti da
un’anomalia genetica così radicale che, determinandone
l’inesistenza materiale o giuridica e rendendoli inidonei
a passare in giudicato, può essere denunciata in qualsiasi
momento (sez. un., n. 11 del 9 luglio 1997, dep. 31 luglio
1997, Quarantelli, Rv. 208221; conformi tra le molte: sez.
III, n. 20377 del 24 febbraio 2004, dep. 30 aprile 2004, La
Rocca, Rv. 229034; sez. VI, n. 30920 del 30 giugno 2009,
dep. 24 luglio 2009, Cavagliano, Rv. 244556).
1.3. Va, dunque, affermato il principio di diritto secondo
cui l’applicazione di pena illegale, per errore nella determinazione e/o nel calcolo di essa, non configura un caso di
inesistenza giuridica o abnormità del provvedimento che
la dispone, e, ove sia il frutto di palese errore giuridico
o materiale e non di argomentata valutazione del giudice
della cognizione, ne impone la correzione o rettifica da
parte del giudice dell’esecuzione, adito ai sensi dell’art.
666 c.p.p., nel rispetto dell’art. 25, comma secondo, Cost. e
dell’art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia
dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (Cedu),
che escludono l’inflizione di pena superiore a quella che
era applicabile al momento in cui il reato è stato commesso.
Segue che legittimamente, nel caso di specie, il Giudice
dell’esecuzione ha escluso la più gravosa pena detentiva,
applicata nel decreto penale congiuntamente a quella
pecuniaria, nonostante la previsione alternativa delle medesime sanzioni nell’art. 6, comma terzo, legge n. 283 del
1962, in riferimento all’art. 5, comma primo, lett. b), della
stessa legge, e, coerentemente, ha determinato la pena
da eseguire nella sola sanzione pecuniaria dell’ammenda
più favorevole al condannato; con la precisazione che tale
correzione postuma rispetto all’irrevocabilità del decreto
di condanna, contrariamente all’assunto del ricorrente,
non lo ha privato degli effetti favorevoli del relativo procedimento speciale, a norma dell’art. 460, comma 5, c.p.p.
(estinzione del reato e di ogni effetto penale della condanna).
2. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso
consegue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616,
comma 1, c.p.p., al pagamento delle spese processuali e, in
mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost.,
sent. n. 186 del 2000), al versamento a favore della cassa
delle ammende di una sanzione pecuniaria che si stima
equo determinare, tra il minimo e il massimo previsti, in
euro mille. (Omissis)
360
4/2014 Arch. nuova proc. pen.
Corte di cassazione penale
sez. V, 24 marzo 2014, n. 13835
(ud. 11 dicembre 2013)
Pres. Marasca – Est. Vessichelli – P.M. Volpe (conf.) – Ric. Persia
Cassazione penale y Sentenza y Annullamento con
rinvio y Dell’appello proposto dalla parte civile y Avverso sentenza assolutoria y Dichiarazione erronea
d’inammissibilità y Rinvio al giudice penale che ha
emesso il provvedimento annullato y Sussistenza.
. Qualora l’appello proposto dalla parte civile avverso
la sentenza assolutoria emessa all’esito del giudizio di
primo grado venga erroneamente dichiarato inammissibile, la corte di cassazione, nell’accogliere il ricorso
proposto dalla medesima parte civile, deve annullare
il provvedimento con rinvio allo stesso giudice penale
che lo ha emesso, e non al giudice civile. (Mass. Redaz.)
(c.p.p., art. 622) (1)
(1) In senso analogo si veda Cass. pen., sez. II, 24 maggio 2013, n.
22347, in Ius&Lex dvd n. 4/2014, ed. La Tribuna. In argomento cfr.
Cass. civ. 24 novembre 1998, ibidem.
Svolgimento del processo e motivi della decisione
Propone ricorso per cassazione, Persia Michele, quale
parte civile nel procedimento penale a carico di Trombetta Vincenzo, Trombetta Nicola e Fiorentino Francesca,
concluso con sentenza di primo grado, di assoluzione di
tutti gli imputati, dai reati loro rispettivamente ascritti:
sentenza rimasta confermata in appello, a seguito della
declaratoria di inammissibilità della impugnazione proposta dalla parte civile.
E proprio tale sentenza, pronunciata 1’8 giugno 2012,
dalla Corte di appello di Potenza, ha formato oggetto del
predetto ricorso.
In particolare, Trombetta Vincenzo era stato assolto, in
primo grado, dal reato di minacce e lesioni, in danno di
Persia Michele (capo B), perchè il fatto non costituisce
reato mentre Trombetta Nicola e Fiorentino Francesca,
unitamente a Trombetta Vincenzo, erano stati assolti dai
reati di ingiuria, minacce e lesioni personali, sempre in
danno del Persia, rispettivanente a ciascuno contestati ai
capi A), C), D) e E) (con riferimento, come il reato su
B), ad una vicenda del 2 aprile 2003) perchè il fatto non
sussiste.
La Corte d’appello di Potenza ha dichiarato, come detto,
inammissibile l’appello della parte civile, perchè carente
della specificazione dei profili civilistici della domanda.
Deduce la ricorrente parte civile, ai soli effetti civili, la
violazione dell’articolo 576 c.p.p.
Nell’atto d’appello era stata esplicitamente richiesta la
condanna, dell’imputato, al risarcimento dei danni della
parte civile, che venivano quantificati in € 60.000.
D’altra parte, anche la richiesta del riconoscimento della
responsabilità dell’imputato era chiaramente finalizzata agli
interessi civili, essendo da escludere che l’impugnazione
della parte civile, in assenza di gravame del pubblico ministero, possa sortire l’effetto di una condanna penale.
giur
L e g i t t i m i tà
Il ricorso è fondato.
Sciogliendo un contrasto venutosi a formare, nella giurisprudenza di legittimità, a proposito della modalità di formulazione della domanda della parte civile che impugni,
ai sensi dell’articolo 576 c.p.p., la sentenza di assoluzione
dell’imputato, le Sezioni unite di questa Corte hanno fonrulato il principio - al quale ci si conforma, condividendolo
secondo cui l’impugnazione della parte civile, avverso la
sentenza di proscioglimento che non abbia accolto le sue
conclusioni, è ammissibile anche quando non contenga
l’espressa indicazione che l’atto è proposto ai soli effetti
civili (sez. un., sentenza n. 6509 del 20 dicembre 2012 ud.
(dep. 8 febbraio 2013 ) Rv. 254130).
Ha posto in evidenza, il supremo consesso, che la non
necessità della formale enunciazione della finalizzazione
dell’atto di gravame, agli effetti civili, si fonda sulla superfluità di un tale elemento, dal momento che è lo stesso
articolo 576 c.p.p. a circoscrivere, in tal modo, l’impugnazione svolta dalla parte civile.
Si è aggiunto che, se la finalità del gravame in questione
non può, per precisa volontà normativa, fuoruscire da tale
ambito, il richiedere all’impugnante la sopra menzionata
specificazione si risolverebbe, in definitiva, nel pretendere
un adempimento non necessario.
D’altra parte, anche la giurisprudenza citata nella sentenza impugnata ha riconosciuto che è ammissibile l’impugnazione proposta dalla parte civile avverso la sentenza
di assoluzione, preordinata a chiedere l’affermazione della
responsabilità dell’imputato, quale logico presupposto
della condanna alle restituzioni e al risarcimento del danno, con la conseguenza che detta richiesta non può condurre ad una modifica della decisione penale, sulla quale
si è formato il giudicato in mancanza dell’impugnazione
del P.M., ma semplicemente all’affermazione della responsabilità dell’imputato per un fatto previsto dalla legge
come reato, che giustifica la condanna alle restituzioni ed
al risarcimento del danno.
Consegue ai predetti rilievi, che l’appello della parte
civile, concluso con la richiesta, riportata a pagina 3 della
sentenza impugnata, della condanna degli imputati al
risarcimento del danno quantificabile in € 60.000, sul presupposto del riconoscimento della sussistenza di tutti gli
elementi integranti i fatti - reato che costituivano la base
giuridica per l’affermazione della detta responsabilità
civile, era ammissibile.
La sentenza impugnata va dunque annullata con rinvio.
Questo va disposto alla competente Corte di appello, in
sede penale, perchè celebri il giudizio di appello finalizzato alla statuizione di natura civilistica, analogamente a
quanto disposto anche dalle Sezioni unite, nella sentenza
n. 6509 del 20 dicembre 2012, sopra citata, con riferimento
ad identico tipo di ricorso. Invero, nel particolare caso di
specie, è il giudice penale, in sede di rinvio, investito dell’emenda della pronuncia di quello adito, in prima battuta,
con l’appello irregolarmente dichiarato inammissibile, a
dovere provvedere alla valutazione della fattispecie, così
come devoluta dalla parte civile con i motivi di gravame,
nell’ottica della eventuale ricostruzione di essa come
illecito penale, presupposto necessario ai fini del riconoscimento del risarcimento richiesto.
In linea generale, la decisione sull’appello della parte
civile, che miri alla riforma della sentenza di proscioglimento, è un potere attribuito alla sede penale, al fine di
consentire la integrazione dei presupposti di accertamento per il risarcimento del danno, derivante dal combinato
disposto degli artt. 538 e 576, ossia dalle norme che - come
affermato dalle Sezioni unite nella sentenza sopra citata
- consentono tale riconoscimento sul presupposto dell’accertamento del fatto reato, a prescindere dalla esistenza
del verdetto assolutorio agli effetti penali, destinato a
rimanere intangibile.
Tale accertamento, cioè, è consentito e previsto in sede
penale, con la massima ampiezza dei poteri connaturati
a tale genere di processo, al fine di non fare incorrere, la
PC, nel vincolo preclusivo che, altrimenti, in sede civile,
per essa, già costituita in sede penale, ma astenutasi dall’appellare la sentenza proscioglitiva, deriverebbe dall’art.
652 c.p.p.: una norma che, proprio nei confronti del soggetto che si è costituito costituto parte civile nel processo
penale, impedirebbe di procedere all’accertamento sul
fatto, quando questo, in sede penale, fosse stato definito
con la formula che il fatto non sussiste o l’imputato non
lo ha commesso o con le altre previste dallo stesso precetto, sempre che, per l’appunto, la parte civile non abbia
interposto appello nella sede penale, ai sensi dell’art. 576
c.p.p..
Ma anche in sede di rinvio, deve essere il giudice
penale a provvedere, con gli stessi poteri del giudice del
provvedimento annullato.
In questo caso, non è il tema della preclusione penale
ad essere decisivo, ma il testo stesso dell’art. 622 c.p.p.
Non si produrrebbe, infatti, una preclusione analoga
a quella sopra descritta, in presenza di annullamento
con rinvio disposto, ai sensi dell’art. 622 c.p.p., dalla Cassazione, al giudice civile, contestualmente alla conferma
della sentenza assolutoria dalla responsabilità penale,
come ripetutamente precisato anche dalla giurisprudenza
civile della cassazione (sez. III, sentenza n. 11897 del 24
novembre 1998, Rv. 521054; sez. III, sentenza n. 11936 del
22 maggio 2006, Rv. 591008).
Tuttavia, l’art. 622 c.p.p. prevede il rinvio al giudice
civile soltanto quando sia annullata una sentenza di “proscioglimento”, su ricorso della parte civile, e non anche
quando sia annullata una sentenza meramente processuale del giudice dell’appello penale, quale è quella, di
inammissibilità, portata al vaglio di questa Corte (v., sez.
II, sentenza n. 897 del 24 ottobre 2003 ud., dep. 16 gennaio
2004, Rv. 227966): il trasferimento di sede è sancito dal
codice di rito, cioè, quando sia esaurita la disamina prevista, nei diversi gradi del giudizio penale, sul merito della
vicenda di interesse per la parte civile.
E ciò alla luce di disposizioni che, per il loro carattere
extra ordinem, non appaiono suscettibili di interpretazione analogica.
Arch. nuova proc. pen. 4/2014
361
giur
L e g i t t i m i tà
La conclusione qui accreditata, con l’implicito avallo
della sentenza delle Sezioni unite del 2012, non sembra,
d’altra parte, porsi in contrasto con il principio, formulato
nella successiva sentenza delle SS.UU. n. 40109 del 2013
che, pure, ha riconosciuto ampia operatività all’art. 622
c.p.p., a proposito del dovere di rinvio, al giudice civile,
nel caso di accoglimento del ricorso della parte civile.
Infatti la sentenza del 2013 ha compiuto una esegesi,
semantica e sistematica, dell’art. 622 c.p.p. che è precetto
che, nel caso di specie, relativo come detto a ricorso contro sentenza di inammissibilità di appello, non viene in
considerazione. (Omissis)
tumaciale all’imputato, avvenuta prima della scadenza del
termine indicato nel dispositivo, ma dalla scadenza di quest’ultimo: ciò anche in applicazione dell’autonomia della
decorrenza dei termini per imputato e difensore, prevista
dall’art. 585 comma 3 c.p.p.. Con la decorrenza al prescritto 9 maggio 2012, la scadenza doveva ritenersi consumata
al 23 giugno 2012, da qui la ritualità dell’appello.
3. Il procuratore generale ha presentato conclusioni
scritte per il rigetto del ricorso e, in subordine, per la sua
rimessione alle Sezioni unite.
Il 6 febbraio 2014 è stata depositata memoria difensiva
a sostegno dei motivi di ricorso.
Motivi della decisione
Corte di cassazione penale
sez. VI, 21 marzo 2014, n. 13447
(ud. 12 febbraio 2014)
Pres. Conti – Est. Citterio – P.M. Baldi (diff.) – Ric. Battistelli
Sentenza penale y Deposito y Termine fissato dalla
legge o dal giudice y Sentenza contumaciale y Definizione anticipata del procedimento y Impugnazione
dell’imputato contumaciale y Termini y Decorrenza.
. Qualora, nel caso di sentenza contumaciale, il giudice,
dopo essersi assegnato, ai sensi dell’art. 544, comma 3,
c.p.p., un determinato termine per il deposito della
motivazione, provveda anticipatamente a tale incombenza e di ciò, ai sensi dell’art. 544, comma 3, c.p.p.,
venga dato avviso all’imputato, deve ritenersi che quest’ultimo possa comunque fruire, per la proposizione
dell’impugnazione, del termine stabilito dall’art. 585,
lett. c), c.p.p., con decorrenza, ove anche la notifica
dell’avviso sia stata precedente alla data di scadenza
originariamente fissata per il deposito della motivazione, da detta ultima data e non da quella della notifica.
(Mass. Redaz.) (c.p.p., art. 544; c.p.p., art. 585) (1)
(1) In senso difforme dalla pronuncia in commento si veda Cass.
pen., sez. IV, 17 marzo 2003, n. 12260, in questa Rivista 2004, 237,
che statuisce che per l’imputato contumace il termine per proporre
impugnazione sia quello della notifica dell’avviso di deposito dell’estratto contumaciale con cui si definisce il procedimento.
Svolgimento del processo
1. La Corte d’appello di L’Aquila ha dichiarato inammissibile per tardività l’atto di impugnazione proposto
nell’interesse di Andrea Battistelli avverso la sentenza del
Tribunale di Pescara, che in data 9 febbraio 2012 lo aveva
condannato per reati ex artt. 337 e 651 c.p.. Argomentava
la Corte distrettuale che a fronte di notifica dell’estratto
contumaciale in data 3 maggio 2012 l’atto d’appello era
stato presentato solo il 22 giugno 2012, oltre il termine di
45 giorni rilevante nella specie.
2. Ricorre nell’interesse dell’imputato il difensore avv.
Di Girolamo. Con unico motivo di violazione di legge deduce che poiché il Tribunale aveva indicato in sentenza
il termine di deposito dei 90 giorni, il proprio termine per
impugnare non decorreva dalla notifica dell’estratto con-
362
4/2014 Arch. nuova proc. pen.
4. Il ricorso è fondato.
4.1 La fattispecie con cui la Corte suprema deve confrontarsi è la seguente: deliberazione di dispositivo di
sentenza con indicazione di termine per il deposito della
motivazione diverso dall’ordinario; deposito concretamente anticipato e precedente alla scadenza del termine assegnato in sentenza; notifica dell’estratto al solo imputato
(che era contumace), avvenuta essa pure prima della
ricordata scadenza assegnata nel dispositivo; atto di appello presentato dal difensore nei 45 giorni successivi alla
scadenza del termine indicato nel dispositivo ma oltre i
45 giorni decorrenti dall’avvenuta notificazione anticipata
dell’estratto contumaciale all’imputato.
Tale fattispecie pone sul piano logico - sistematico due
questioni:
- quale sia il momento dal quale decorrono i 45 giorni
per l’impugnazione, quando la sentenza sia stata depositata prima della scadenza del termine indicato nel dispositivo e di tale anticipato deposito sia stata data tempestiva
comunicazione alle parti;
- se, nel caso la soluzione sia quella fatta propria dalla
Corte d’appello, il difensore abbia diritto ad una propria
notificazione dell’avviso di avvenuto deposito anticipato,
autonoma rispetto a quella che intervenga per l’imputato
(ex art. 585 comma 3 c.p.p.).
5. Nel caso concreto, in cui l’appello è stato presentato
nei 45 giorni dalla scadenza del termine indicato nel dispositivo, la prima questione è pregiudiziale.
5.1 Nella giurisprudenza di questa Corte suprema vi è
un precedente massimato (sez. IV, sent. 12260/2003) che
afferma corretta l’individuazione della decorrenza del termine per impugnare nel momento della notificazione dell’anticipato deposito della sentenza. Ciò, si è argomentato,
«per la decisiva ragione che il termine per impugnare è di
quindici, trenta e quarantacinque giorni e non di trenta e
quarantacinque giorni più il termine per il deposito della
sentenza, essendo riservato il termine per il deposito,
ovviamente, alla redazione della sentenza, al giudice,
quindi, e non all’imputato o alle altre parti, sicché, qualora la sentenza sia depositata prima della scadenza del
termine e ne sia notificato l’estratto all’imputato prima di
tale scadenza, il termine di trenta giorni, che è il termine
per impugnare, decorrerà per l’imputato contumace dalla
data della notificazione e non dalla scadenza del termine
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per il deposito della sentenza, avendo egli diritto ex lege
a trenta giorni e non a trenta giorni più quel numero di
giorni che vanno dal deposito alla scadenza del termine
per il deposito. D’altro canto, il dato testuale è inequivoco,
prevedendo il comma 2 dell’art. 585 c.p.p., come si è visto, che “i termini previsti dal comma 1 - cioè i quindici,
i trenta e i quaranta giorni - decorrono da determinati
fatti tassativamente elencati, fatto che, per il contumace,
è la notificazione dell’avviso di deposito con l’estratto del
provvedimento”».
Tale insegnamento si inserisce in un indirizzo giurisprudenziale che in termini prevalenti, precedenti e successivi, afferma invece essere ogni eventuale notifica precedente la scadenza del termine indicato nel dispositivo
inefficace a determinare autonomamente una decorrenza
diversa e anticipata rispetto a quella indicata in tale dispositivo (sez. V sent. 8942/1995; sez. IV sent. 3250/1997;
sez. I, sent. 6381/2000; sez. III, sent. 2070/2000; sez. V, sent.
19519/2007; sez. VI, sent. 14356/2009). A sostegno della
conclusione si assume che «l’operatività di detto termine
ordinario non resta esclusa dalla notifica dell’estratto
contumaciale in data anteriore, in quanto un’esclusione
siffatta, ad evidenza irrazionale nella disciplina logicosistematica delle impugnazioni, comprimerebbe ingiustificatamente i diritti della difesa (alla compiuta tutela,
invece, è rivolta - con finalità sicuramente non restrittive
- la previsione dell’art. 548, comma terzo, c.p.p.)».
Il principio di diritto affermato da 12260/2003 risulterebbe confermato successivamente, secondo la massimazione intervenuta, da due sentenze della Quinta
sezione (sent. 40259/2008; sent. 40165/2009). Si tratta
però in entrambe le fattispecie di impugnazioni proposte
dalla parte pubblica, aspetto che dalle motivazioni risulta
determinante nella soluzione dei rispettivi casi concreti.
Nel secondo, in cui si tratta di impugnazione di sentenza
deliberata ai sensi dell’art. 425 c.p.p., in realtà si prospetta in termini assorbenti il diverso tema dell’irrilevanza dell’assegnazione di un termine diverso da quello
ordinario previsto per provvedimenti camerali: sez. un.,
sent. 21039/2011. Nel primo, la Quinta sezione dà conto
del maggioritario indirizzo contrario e, pur adombrandone
la non persuasività, argomenta la diversa soluzione appunto con l’affermazione che in quel caso non si sarebbe
posto un problema di contrazione del diritto di difesa in
quanto l’impugnazione era stata proposta dalla parte pubblica, sicché non vi sarebbe stata la eadem ratio richiamata dalla giurisprudenza contraria (la sentenza svolge
anche un’interessante riflessione sulla peculiare diligenza
richiesta dallo specifico microsistema ex artt. 544 e 548
c.p.p. alla parte civile, per trarne argomento a sostegno
della propria conclusione).
5.2 A giudizio di questa Sezione l’insegnamento prevalente va confermato, con le ulteriori considerazioni che
seguono, senza che il riferito quadro delle pronunce massimate renda necessaria, o anche solo opportuna, la rimessione della questione alle Sezioni unite (in definitiva, per
quanto ricordato, solo la sentenza 12260/2003 costituendo
allo stato precedente in termini contrario).
Il microsistema normativo destinato al tema della conoscibilità della sentenza, comprensiva della deliberazione e della motivazione che spiega la prima, è costituito in
particolare dagli artt. 544, 545, 548 e 585 c.p.p..
Il legislatore ha previsto in via generale i due casi, della
motivazione contestuale (545 comma 2 e comma 3) e
della motivazione differita (548.2 e .3); nel secondo caso,
la scelta normativa ha perseguito un preciso equilibrio tra
le esigenze di razionalità ed economia processuale e la tutela indefettibile per l’esercizio del diritto di difesa nella
peculiare occasione dell’impugnazione del provvedimento
deliberato.
Tale equilibrio è raggiunto con la previsione di un sistema legale di termini generali predefiniti, termini pertanto ex lege ed operanti con automatismo, collegati alle
due fattispecie che possono verificarsi.
Così, si prevede un termine ordinario per il deposito
della sentenza (il quindicesimo giorno da quello della pronuncia, 544 comma 2) dalla cui scadenza decorre il termine per l’impugnazione, ma contestualmente si attribuisce
al giudice la facoltà di indicare un termine più lungo purché non eccedente il novantesimo giorno da quello della
pronuncia (544 comma 3: si noti, il giudice può indicare
qualsiasi giorno all’interno dei novanta ex lege, quindi
pure con riferimento diretto al calendario compreso in
tale periodo e senza, in particolare, essere vincolato ad
indicazioni che corrispondano a numeri - venti, trenta,
quarantacinque, sessanta - che in qualche modo possono
trovare fonte in altre disposizioni processuali). Quando il
giudice deposita la motivazione entro tali termini previsti
ex lege, nessuna notificazione o comunicazione è dovuta ad
alcuna delle parti, pubblica o privata, sicché è onere delle
stesse attivarsi per la concreta conoscenza del contenuto
della sentenza e il conseguente rispetto dei termini per
impugnare (585 comma primo lett. a-, b-, c-, in relazione
al comma secondo lettere b - e c - prima parte).
Quando invece il giudice non osserva per il deposito
il termine generale, o quello diverso che ha indicato nel
dispositivo (e prescindendo in questa sede dal tema della
valenza della proroga prevista dall’art. 154 comma 4 bis
disp. att. c.p.p.), alle parti deve essere comunicato e notificato l’avviso del deposito (tardivo) della sentenza (548
comma 2 in relazione all’art. 585 comma 2 lett. c - seconda
parte).
Ciò che va evidenziato, in questo microsistema, è che
l’indicazione di un maggior termine per il deposito non è
attribuita alla pura discrezionalità del giudice, ma è ancorata alla sussistenza di specifici requisiti (544 comma 3) il
cui elemento unificante è quello di costituire ragioni che
rendono non possibile l’osservanza del termine generale di
quindici giorni. Da qui il perseguimento dell’equilibrio (tra
efficienza ed economia del microsistema relativo al deposito della motivazione non contestuale e salvaguardia del
diritto di difesa) con la corrispondente, e consequenziale,
previsione ex lege di un maggior termine. Pertanto, a ben
vedere, il deposito anticipato della motivazione (specialmente quando lo scostamento dei tempi sia imponente) se
costituisce da un lato un obiettivo segno dell’inadeguatezza
Arch. nuova proc. pen. 4/2014
363
giur
L e g i t t i m i tà
della preventiva valutazione del giudice, tuttavia non può
essere apprezzato come una “revoca” della precedente valutazione di complessità (nelle sue varie possibili forme di
sussistenza) né, tantomeno e in assenza di una previsione
normativa conforme, può determinare gli effetti propri di
un provvedimento di revoca della precedente statuizione.
In questi termini va pertanto condiviso e ribadito
il precedente indirizzo prevalente, che nega rilievo ed
efficacia alla notificazione, o alla comunicazione, di un
deposito anticipato rispetto al termine precedentemente
indicato nel dispositivo, perchè ciò determinerebbe una
violazione del diritto di difesa, come in via generale e con
apprezzamento preliminare, tutt’altro che manifestamente irrazionale, costituito dal legislatore quanto ai termini
per impugnare.
5.3 Se questa è la ricostruzione generale del microsistema de quo (valida ed efficace pertanto per ogni imputato, che sia stato presente o sia stato qualificato assente al
momento della deliberazione), ugualmente condivisibile è
la ulteriore conclusione, relativa specificamente all’imputato contumace, che esclude la possibilità di interpretare
il combinato disposto del terzo comma dell’art. 548 e la
lettera d - del secondo comma dell’art. 585 in termini peggiorativi, conducendo sostanzialmente alla compressione
del diritto di difesa dell’imputato contumace ed inevitabilmente al suo trattamento sfavorevole, rispetto a quello
degli imputati presenti o assenti.
Ed in effetti l’espressione “in ogni caso”, con cui il terzo
comma dell’art. 548 prevede l’obbligo di notificare sempre
all’imputato contumace l’avviso di deposito con l’estratto
della sentenza, deve essere interpretato nel senso dell’ampliamento delle garanzie, non della loro compressione (che
sarebbe in sé manifestamente irrazionale e determinerebbe una disparità di trattamento essa pure palesemente irrazionale). “In ogni caso”, pertanto, non può che significare
che, quale che sia il termine del deposito della sentenza
(contestuale, ordinario, più lungo indicato dal giudice nel
dispositivo) e a prescindere dal rispetto o meno del termine
assegnato dalla legge o indicato dal giudice per il deposito,
all’imputato contumace deve essere notificato non solo
l’avviso di deposito ma anche l’estratto contumaciale della
sentenza: ciò spiega la corrispondente previsione della
lettera d - del secondo comma dell’art. 585 (che prevede
la decorrenza del termine per impugnare dall’esecuzione
della notificazione dell’avviso di deposito con l’estratto del
provvedimento: sull’inconfigurabilità di alcuna equipollenza con altro atto, sez. un., sent. 35402/2003; sez. VI sent.
7706/2004; sez. I, sent. 3798/2001).
Appare così francamente asistematica una lettura
del comma 2 lett. d dell’art. 585 c.p.p. che finisce con
l’estrapolare la lettera della norma dal contesto sistematico dell’intero articolo, quando tale contesto individua il
giorno di esecuzione dell’avviso di deposito con estratto
contumaciale in una prospettiva che vede quel momento
fisiologicamente seguire l’avvenuta scadenza dei termini
di deposito e meccanismo che consente l’attivazione della
decorrenza dei termini per impugnare, anche per l’imputato contumace.
364
4/2014 Arch. nuova proc. pen.
In altri e conclusivi termini, il combinato disposto degli artt. 544, 548 comma 3 e 585 comma 2 lett. d - c.p.p.
prevede per il contumace una garanzia aggiuntiva: al sistema di termini ex lege delineato dagli artt. 544 comma
2 e 3, 548 comma 1 e 2 e 585 comma 1 (che prevede in
definitiva un termine complessivo dato dalla somma di
quello generale o indicato dal giudice, sintomatico della
valutata sussistenza di complessità, e di quello scelto dal
legislatore con quantificazione automatica corrispondente
ai vari casi), efficace per gli imputati presenti o assenti
al momento della deliberazione, per il contumace si aggiunge la previsione della peculiare modalità (avviso di
deposito con estratto) con cui l’informazione sull’esistenza della sentenza deve essere trasmessa. Modalità che
“in ogni caso” deve essere seguita e dalla cui necessaria
esecuzione solo decorre il termine per impugnare, senza
che questa modalità di informazione possa determinare
una contrazione del termine complessivo stabilito in via
generale dal legislatore.
5.4 Deve pertanto essere ribadito il principio di diritto
che per l’imputato contumace il termine per impugnare
decorre dall’esecuzione della notificazione dell’avviso di
deposito con l’estratto del provvedimento, quando tale
notificazione avvenga dopo la scadenza dei termini di cui
all’art. 544, commi due e tre, c.p.p., e dalla loro scadenza
quando la notificazione sia eseguita antecedentemente.
(Omissis)
Corte di cassazione penale
sez. II, 21 marzo 2014, n. 13244
(ud. 7 marzo 2014)
Pres. Petti – Est. Gallo – P.M. Galasso (parz. diff.) – Ric. Lazzaro ed altri
Parte civile y Legittimazione e interesse y Comune
y Per reati commessi nel proprio territorio y Da
privati in danno di altri privati y Potenziale danno
all’immagine della città y Configurabilità in concreto del danno y Necessità y Fattispecie in tema
di costituzione di parte civile da parte di Comune
nei confronti di alcuni soggetti resisi responsabili
dei reati di usura ed estorsione a danno di altri
concittadini.
. In tema di costituzione di parte civile da parte di un
comune per reati che siano stati commessi nel proprio
territorio, premesso che, in astratto, qualunque reato
posto in essere da privati in danno di privati può arrecare danno all’immagine della città in cui esso è stato
perpetrato, occorre tuttavia, perché sia riconosciuta
la legittimazione del comune a costituirsi parte civile,
che quel danno sia concretamente configurabile. (Nella
specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha annullato la decisione del giudice di merito che, nell’accogliere la costituzione di parte civile di un comune nei
confronti di taluni soggetti resisi responsabili dei reati
di usura ed estorsione in danno di privati, non aveva
spiegato per quale ragione tali reati, privi di alcuna
giur
L e g i t t i m i tà
proiezione esterna di tipo mafioso, avessero prodotto un
danno all’immagine della città). (Mass. Redaz.) (c.p.p.,
art. 74; c.p.p., art. 629; c.p.p., art. 644) (1)
(1) Nello stesso senso della pronuncia in epigrafe si vedano Cass.
pen., sez. II, 4 gennaio 2013, n. 150, in Ius&Lex dvd n. 4/2014, ed.
La Tribuna e Cass. pen., sez. I, 18 ottobre 1995, n. 10371, in questa
Rivista 1996, 473.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza in data 23 maggio 2013, la Corte di
appello di Catania, in parziale riforma della sentenza 11
giugno 2012 del Gup presso il Tribunale di Catania, assolto
Papaserio Felice dal reato ascrittogli al capo D) e qualificato il fatto di cui al capo E) come tentata estorsione
aggravata, rideterminava la pena in anni tre di reclusione
ed €. 600,00 di multa; riduceva le pene inflitte agli altri
imputati per i reati di usura ed estorsione loro ascritti,
provvedendo a rideterminarle in anni cinque di reclusione
ed € 1.000,00 di multa per Lazzaro Bartolo Carmelo ed in
anni quattro di reclusione ed €. 600,00 di multa ciascuno
per Scuderi Salvatore e Rando Tiziano.
3. Avverso tale sentenza propongono ricorso Lazzaro
Bartolo Carmelo, Scuderi Salvatore, Rando Tiziano e Papaserio Felice per mezzo dei rispettivi difensori di fiducia.
4. Lazzaro Bartolo Carmelo solleva quattro motivi di
gravame con il quali deduce
4.1 Violazione di legge e vizio della motivazione in
relazione all’art. 644 c.p.. Al riguardo eccepisce che nella
fattispecie non sussistono gli estremi della condotta punibile per il reato di usura non essendo stato accertato né
il tasso usurario, né quali somme siano state consegnate
al ricorrente. Eccepisce, inoltre che il mero esattore non
concorre nel reato di usura ove non riesca ad ottenere il
pagamento del credito usurario poiché non fornisce un
contributo causale alla realizzazione dell’elemento oggettivo del reato e precisa che dagli atti emerge chiaramente
che la parte offesa non ha mai versato alcuna somma di
denaro al ricorrente. Contesta inoltre il valore probatorio
della conversazione registrata dalla stessa parte offesa,
mancando del tutto la prova dell’avvenuto superamento
del tasso soglia. Deduce, infine, che l’annullamento del
reato di usura cui al capo B), travolge anche il reato di
estorsione di cui al capo C).
4.2 Violazione di legge e vizio della motivazione, dolendosi del diniego delle attenuanti generiche e della assoluta mancanza di motivazione sulla richiesta di esclusione
della recidiva.
4.3 Violazione di legge e vizio della motivazione,
dolendosi della dosimetria della pena e del più severo
trattamento sanzionatorio rispetto al coimputato Lazzaro
Maurizio;
4.4 Vizio della motivazione in relazione alle doglianze
poste a fondamento dell’impugnazione.
5. Scuderi Salvatore solleva 11 motivi di ricorso con i
quali deduce:
5.1 Inosservanza o erronea applicazione dell’art. 74
c.p.p. dolendosi che la Corte d’appello abbia riconosciuto
la legittimazione del Comune di Catania a costituirsi parte
civile, sebbene l’ente territoriale non avesse subito alcun
danno per le vicende oggetto del processo.
5.2 Mancanza o mera apparenza della motivazione in
ordine alla ritenuta attendibilità della persona offesa. Al
riguardo contesta che alle dichiarazioni della persona
offesa, Licari Giuseppe possa essere attribuito il carattere
della “spontaneità ed immediatezza” e che i contenuti di
tali dichiarazioni si siano mantenuti costanti nel tempo.
Per l’effetto richiama una serie di contraddizioni nelle
numerose versioni fornite dal Licari agli inquirenti sul
ruolo dello Scuderi. Eccepisce, inoltre, che anche in relazione all’estorsione le dichiarazioni del Licari sono assolutamente contrastanti fra di loro. Infine contesta che
le inaffidabili dichiarazioni della persona offesa abbiano
trovato riscontro in ulteriori emergenze investigative, dal
momento che le uniche tre intercettazioni in atti che fanno riferimento allo Scuderi hanno un contenuto indiziante
assolutamente irrilevante.
5.3 Inosservanza dell’art. 644 c.p. in riferimento all’elemento materiale del reato e vizio della motivazione
sul punto. Al riguardo eccepisce che nella fattispecie
manca la prova del patto usurario che da tutte le fonti
di prova emerge che lo Scuderi è soggetto che presente
l’Impellizzeri al Licari e rimane estraneo agli accordi fra
i due, al punto che egli si è dovuto attivare a fronte dell’inadempienza del Licari, trovandosi obbligato egli stesso
a soggiacere a pretese usurarie di terzi.
5.4 Inosservanza dell’art. 644 c.p. in riferimento all’elemento soggettivo del reato e vizio della motivazione sul
punto. In proposito eccepisce che la richiesta di denaro
avanzata dallo Scuderi alla persona offesa, a titolo di ristoro di quanto ha dovuto sborsare per far fronte alle pressioni dell’Impellizzeri sono prive di coscienza e volontà di
perseguire vantaggi usurari.
5.5 Inosservanza dell’art. 629 c.p. in riferimento all’elemento materiale del reato e vizio della motivazione
sul punto. Il ricorrente contesta che nella fattispecie sussistano gli estremi del reato di estorsione per l’assenza di
violenza o minaccia e fornisce una diversa lettura degli
episodi interpretati come minacciosi.
5.6 Inosservanza dell’art. 629 c.p. in riferimento all’elemento soggettivo del reato e vizio della motivazione sul
punto. Al riguardo eccepisce che nella condotta dell’agente manca il dolo tipico del reato di estorsione che deve
abbracciare anche la consapevolezza dell’ingiustizia del
profitto, avendo, invece, lo Scuderi preteso solo quanto gli
era dovuto.
5.7 Inosservanza dell’art. 61 n. 7 c.p. e vizio della motivazione sul punto. In proposito si duole che i giudici
dell’appello abbiano confermato l’applicazione dell’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità, senza specificare quali e quante somme avrebbe ricevuto lo
Scuderi dalla persona offesa.
5.8 Inosservanza dell’art. 628, comma 3, n. 1, c.p. e vizio
della motivazione sul punto, dolendosi che non sussistono
le condizioni per l’applicazione dell’aggravante della minaccia commessa da più persone riunite.
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L e g i t t i m i tà
5.9 Inosservanza ed erronea applicazione dell’aggravante di cui all’art. 61, n. 2 c.p. e vizio della motivazione
sul punto. Al riguardo eccepisce che non poteva essere
applicata al prevenuto l’aggravante di aver commesso il
fatto di estorsione al fine di poter eseguire il delitto di
cui al capo J, non essendo stato tale reato contestato allo
Scuderi.
5.10 Inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 62,
bis c.p. e vizio della motivazione sul punto, dolendosi de1
diniego delle attenuanti generiche.
5.11 Inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 133
c.p. e vizio della motivazione sul punto, dolendosi della
dosimetria della pena.
6. Rando Tiziano solleva tre motivi di gravame con i
quali deduce:
6.1 Mancanza della motivazione in relazione a specifiche questioni sollevate con il primo motivo d’appello e violazione dell’art. 192 e 530 c.p.p.. Al riguardo eccepisce che
riguardo al contestato delitto di usura la Corte territoriale
non ha fornito alcuna risposta in ordine alle somme che il
Rando avrebbe percepito, alla luce del fatto che le indagini
della G.d.F. avevano concluso che non era stato possibile
accertare quanto il Licari avesse ricevuto e quanto avesse
restituito. Quanto all’estorsione si duole che la sentenza
impugnata abbia fondato la responsabilità dell’imputato
esclusivamente sulla base delle dichiarazioni rese dalla
persona offesa, lasciando senza risposta le censure della
difesa in ordine all’inattendibilità di costui.
6.2 Vizio della motivazione e violazione di legge con
riferimento alla mancata derubricazione del reato di
estorsione in tentativo di estorsione.
6.3 Mancanza della motivazione in relazione a specifiche questioni sollevate con il terzo motivo d’appello con
il quale si chiedeva di escludere l’applicazione delle aggravanti:
- ex art. 61 n. 7 c.p. in relazione all’art. 644;
- ex art. 644, commi 1 e 4 n. 3 c.p.;
- ex art. 61 n. 2 e 7 in relazione all’art. 629 c.p.;
- ex art. 628 comma 3, n. 1, in relazione all’art. 629 c.p.
nonché di ridurre al minimo l’applicazione dell’art. 81 e
concedere le attenuanti generiche.
7. Papaserio Felice solleva due motivi di gravame con
i quali deduce:
7.1 Violazione di legge in relazione agli artt. 56 e 629
c.p. e vizio della motivazione sul punto. Al riguardo contesta la sussistenza degli estremi del delitto punibile per il
reato di minaccia anche sotto il profilo del tentativo essendo inattendibili le dichiarazioni della persona offesa,
la quale, peraltro, non fa mai accenno a comportamenti di
violenza o di minaccia perpetrati nei suoi confronti.
7.2 Violazione di legge e vizio della motivazione in
relazione alla non riscontrata mancanza di legittimazione
del Comune di Catania e dell’azienda dei trasporti a costituirsi parte civile.
Motivi della decisione
1. Preliminarmente occorre rilevare che sono fondate
le censure in punto di difetto di legittimazione a costi-
366
4/2014 Arch. nuova proc. pen.
tuirsi parte civile con riferimento al Comune di Catania
ed all’Azienda siciliana trasporti - AST S.p.a. sollevate
dalla difesa di Scuderi e Papaserio. In primo grado tutti
gli imputati sono stati condannati al risarcimento del
danno nei confronti della parte civile Comune di Catania,
da liquidarsi in separata sede, nonché il Papaserio anche
al risarcimento del danno in favore dell’azienda Siciliana
Trasporti, da liquidarsi in separata sede, ed il giudice
d’appello ha confermato tali statuizioni civili, assorbendo
la motivazione del giudice di primo grado. In punto di diritto non v’è dubbio che l’Ente territoriale sia legittimato
a costituirsi parte civile per far valere il proprio diritto al
risarcimento del danno all’immagine, ove effettivamente
subito. In materia di reati associativi, la giurisprudenza di
questa Corte ha riconosciuto che il Comune nel quale la
associazione si è insediata ed ha operato ha per ciò stesso
titolo alla costituzione di parte civile, quanto meno per il
danno che la presenza dell’associazione a delinquere arreca all’immagine della città, allo sviluppo turistico ed alle
attività produttive ad esso correlate (Cass. sez. I, sentenza
n. 10371 del 8 luglio 1995 ud., dep. 18 ottobre 1995, Rv.
202736; da ultimo, sez. II, sentenza n. 150 del 18 ottobre
2012 ud., dep. 4 gennaio 2013, Rv. 254675). In astratto
qualunque reato commesso da privati in danno di privati
può produrre un danno all’Ente territoriale, ma perchè sia
riconosciuta la legittimità alla costituzione come parte
civile del Comune che invoca un danno all’immagine, occorre che tale danno sia concretamente configurabile. Nel
caso di specie il Gup ha ritenuto sussistente il danno all’immagine per il Comune e l’AST affermando che: «appare
invero indubbio che i fatti in contestazione abbiano creato
un vulnus all’immagine dell’Ente locale, nonché della società datrice di lavoro, sub specie di perdita di prestigio e
di considerazione da parte dei consociati o di settori o di
categorie con le quali le predette parti civili interagiscono». Tuttavia il Gup non ha spiegato per quale ragione dei
fatti di usura ed estorsione commessi da privati in danno
di privati, senza alcuna proiezione esterna di tipo mafioso,
abbiano causato un danno all’immagine ai due Enti territoriali. Di conseguenza la condanna al risarcimento del
danno nei confronti del Comune e dell’Azienda Siciliana
Trasporti deve essere annullata senza rinvio per essere il
danno civile inesistente. Dell’annullamento si giovano anche gli imputati non ricorrenti in punto di statuizioni civili
in virtù del principio dell’estensione dell’impugnazione di
cui all’art. 587 c.p.p.
2. Per quanto riguarda le altre questioni sollevate dai
ricorrenti, sempre in via preliminare, occorre rilevare,
in punto di diritto, che la sentenza appellata e quella
di appello, quando non vi è difformità sulle conclusioni
raggiunte, si integrano vicendevolmente, formando un
tutto organico ed inscindibile, una sola entità logico giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare
della congruità della motivazione. Pertanto, il giudice di
appello, in caso di pronuncia conforme a quella appellata,
può limitarsi a rinviare per relationem a quest’ultima sia
nella ricostruzione del fatto sia nelle parti non oggetto di
specifiche censure (Cass. sez. I, sentenza n. 4827 del 28
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L e g i t t i m i tà
aprile 1994, ud. 18 marzo 1994, Rv. 198613, Lo Parco; sez.
VI, sentenza n. 11421 del 25 novembre 1995, ud. 29 settembre 1995, Rv. 203073, Baldini). Inoltre, la giurisprudenza
di questa Suprema Corte ritiene che non possano giustificare l’annullamento minime incongruenze argomentative
o l’omessa esposizione di elementi di valutazione che,
ad avviso della parte, avrebbero potuto dar luogo ad una
diversa decisione, sempreché tali elementi non siano muniti di un chiaro e inequivocabile carattere di decisività e
non risultino, di per sè, obiettivamente e intrinsecamente
idonei a determinare una diversa decisione. In argomento,
si è spiegato che non costituisce vizio della motivazione
qualsiasi omissione concernente l’analisi di determinati
elementi probatori, in quanto la rilevanza dei singoli dati
non può essere accertata estrapolandoli dal contesto in
cui essi sono inseriti, ma devono essere posti a confronto
con il complesso probatorio, dal momento che soltanto una
valutazione globale e una visione di insieme permettono di
verificare se essi rivestano realmente consistenza decisiva
oppure se risultino inidonei a scuotere la compattezza logica dell’impianto argomentativo, dovendo intendersi, in
quest’ultimo caso, implicitamente confutati. (Cass. sez. V,
sentenza n. 3751 del 23 marzo 2000, ud. 15 febbraio 2000,
Rv. 215722, Re Carlo; sez. V, sentenza n. 3980 del 15 ottobre 2003, ud. 23 settembre 2003, Rv.226230, Fabrizi; sez.
V, sentenza n. 7572 del 11 giugno 1999, ud. 22 aprile 1999,
Rv. 213643, Maffeis). Le posizioni della giurisprudenza di
legittimità rivelano, dunque, che non è considerata automatica causa di annullamento la motivazione incompleta
né quella implicita quando l’apparato logico relativo agli
elementi probatori ritenuti rilevanti costituisca diretta ed
inequivoca confutazione degli elementi non menzionati,
a meno che questi presentino determinante efficienza e
concludenza probatoria, tanto da giustificare, di per sè,
una differente ricostruzione del fatto e da ribaltare gli
esiti della valutazione delle prove.
3. In applicazione di tali principi, può osservarsi che
la sentenza di secondo grado recepisce in modo critico
e valutativo la sentenza di primo grado, correttamente
limitandosi a ripercorre, e ad approfondire alcuni aspetti
del complesso probatorio oggetto di valutazione critica da
parte della difesa, omettendo, in modo del tutto legittimo
in applicazione dei principi sopra enunciati, di esaminare quelle doglianze degli atti di appello che avevano
già trovato risposta esaustiva nella sentenza del primo
giudice, salvo quanto si dirà con riferimento alle singole
posizioni.
4. Lazzaro Bartolo Carmelo. Per quanto riguarda il primo motivo, le censure circa l’insussistenza dell’elemento
oggettivo del reato di usura non sono fondate. Il semplice
richiamo ad un passo della C.N.R. (che peraltro non è
stata allegata al ricorso) in cui la G.d.F. rileva che, alla
luce della documentazione fornita dal Licari non è stato
possibile accertare il tasso di interesse usurario, non è elemento, di per sé, idoneo a ribaltare le tenuta del tessuto
argomentativo delle due sentenze di merito, unitariamente
considerate, dal momento che la natura usuraria del mutuo di cui al capo B), anche se non potuta accertare sulla
base di documentazione contabile, emerge da un complesso di elementi nei quali convergono le dichiarazioni della
persona offesa, gli esiti delle attività investigative, anche
captative e le dichiarazioni di altri soggetti informati sui
fatti. Quanto alla posizione di Lazzaro Bartolo Carmelo che
contesta la sussistenza degli estremi del suo concorso nel
reato di usura sul presupposto di aver svolto solo la funzione dell’esattore senza riuscire nello scopo, è inconferente
il richiamo alla giurisprudenza citata dal ricorrente. È ben
vero che questa Sezione con la sentenza n. 41045/2005 ha
statuito che, poichè, a seguito delle modifiche introdotte
dalla legge 7 marzo 1996 n. 108, si deve ritenere che il
reato di usura sia annoverabile tra i delitti a “condotta
frazionata” o a “consumazione prolungata”, concorre nel
reato previsto dall’art. 644 c.p., solo colui il quale, ricevuto
l’incarico di recuperare il credito usurario, sia riuscito a
ottenerne il pagamento; negli altri casi, l’incaricato risponde del reato di favoreggiamento personale o, nell’ipotesi di violenza o minaccia nei confronti del debitore, di
estorsione, posto che il momento consumativo del reato
di usura rimane quello originario della pattuizione (Cass.
sez. II., sentenza n, 41045 del 13 ottobre 2005 c.c., dep. 11
novembre 2005, Rv. 232698). Tuttavia dalla lettura delle
sentenze dei giudici di merito non emerge che il Lazzaro
si sia limitato ad esercitare il ruolo di esattore, senza ottenere risultato alcuno. Al contrario il fatto che sia stata
riconosciuta la sua responsabilità nel reato di estorsione
consumata, in concorso con altri, dimostra che le somme
oggetto della pattuizione illecita degli interessi sono state
- almeno in parte - riscosse.
5. Per quanto riguarda il secondo motivo, sono infondate le censure del ricorrente in punto di diniego delle attenuanti generiche, avendo la Corte d’appello sul punto specificamente e correttamente motivato. È fondata, invece,
la censura in punto di recidiva. Secondo l’insegnamento
delle Sezioni Unite, infatti, in tema di recidiva facoltativa,
è richiesto al giudice uno specifico dovere di motivazione
sia ove egli ritenga sia ove egli escluda la rilevanza della
stessa (Cass. sez. un., sentenza Il. 5859 del 27 ottobre
2011 ud., dep. 15 febbraio 2012, Rv. 251690). Nel caso di
specie, a fronte di una specifica richiesta dell’appellante,
la Corte territoriale ha applicato la recidiva senza un rigo
di motivazione.
6. Infine per quanto riguarda il terzo motivo, sono
infondate le censure in merito alla dosimetria della pena
in quanto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, nell’ipotesi in cui la determinazione della pena non si discosti
eccessivamente dai minimi edittali, il giudice ottempera
all’obbligo motivazionale di cui all’art. 125, comma terzo,
c.p., anche ove adoperi espressioni come “pena congrua”,
“pena equa”, “congruo aumento”, ovvero si richiami alla
gravità del reato o alla personalità del reo (Cass. sez. III,
sentenza n. 33773 del 29 maggio 2007 ud., dep. 3 settembre
2007, Rv. 237402). É stato, poi, ulteriormente precisato che
la specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o
aumenti per circostanze, è necessaria soltanto se la pena
sia di gran lunga superiore alla misura media di quella
Arch. nuova proc. pen. 4/2014
367
giur
L e g i t t i m i tà
edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto
dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 c.p. le espressioni
del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”,
come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità
a delinquere (Cass. sez. II, sentenza n. 36245 del 26 giugno 2009 ud., dep.18 settembre 2009, Rv. 245596). Nel caso
di specie la pena inflitta è molto al di sotto della misura
media di quella edittale. Pertanto nessuna censura può essere mossa, sotto questo profilo alla sentenza impugnata,
né può essere preso in considerazione l’argomento della
disparità di trattamento rispetto alla pena inflitta al padre
del ricorrente, trattandosi di posizioni differenti e di imputato giudicato separatamente.
7. Di conseguenza la sentenza impugnata deve essere
annullata nei confronti di Lazzaro Bartolo Carmelo, limitatamente alla motivazione in punto di recidiva, con rinvio
ad altra sezione della corte d’appello di Catania per nuovo
giudizio.
8. Scuderi Salvatore. Per quanto riguarda la legittimazione della parte civile Comune di Catania, il ricorso è
fondato per quanto detto sopra.
9. Per quanto riguarda il secondo motivo, le censure in
punto di inattendibilità della persona offesa ripropongono
le medesime obiezioni già sollevate con i motivi d’appello che la Corte territoriale ha preso in considerazione e
confutato con motivazione sufficiente e priva di vizi logici,
correttamente limitandosi a ripercorrere e ad approfondire alcuni aspetti del complesso probatorio oggetto di
valutazione critica da parte della difesa (cfr. pagg. 13 e
14). Pertanto le censure del ricorrente non possono trovare accoglimento.
10. Per quanto riguarda il terzo motivo ed il quarto
motivo in punto di insussistenza dell’elemento oggettivo
e dell’elemento soggettivo del reato di usura, le obiezioni
del ricorrente ripropongono le medesime tesi difensive già
sollevate con i motivi d’appello che la Corte territoriale ha
superato, mediante il richiamo alla motivazione della sentenza di primo grado e mediante l’analisi della condotta
dello Scuderi, alla luce delle numerose denunce e dichiarazioni del Licari e delle stesse dichiarazioni dell’imputato
rese nella fase cautelare e nel giudizio di primo grado. Il
tessuto argomentativo delle due sentenze di merito rende
ragione della sussistenza dell’elemento obiettivo del reato
di usura e del dolo dell’agente e non viene scalfito, sotto il
profilo logico, dalle censure del ricorrente.
11. Anche le censure sollevate con il quinto e sesto
motivo in punto di insussistenza dell’elemento oggettivo
e soggettivo del reato di estorsione ripropongono le tesi
difensive in punto di inesistenza della condotta minacciosa che i giudici del merito hanno valutato e respinto con
motivazione congrua. Nè si può ragionevolmente accedere
alla tesi che la minaccia di mettere in contatto il Licari
con i malavitosi che avevano prestato a Scuderi il denaro
da anticipare ad Impellizzeri non sia condotta minacciosa,
bensì «richiesta di aiuto ed informazione qualificata e veritiera». Tale informazione qualificata e veritiera non v’è
dubbio che integri gli estremi della minaccia in quanto,
secondo la lezione di questa Corte, la minaccia costitutiva
368
4/2014 Arch. nuova proc. pen.
del delitto di estorsione, oltre ad essere palese ed esplicita, può essere manifestata anche in maniera implicita ed
indiretta, essendo solo necessario che sia idonea ad incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo,
in relazione alle circostanze concrete, alla personalità
dell’agente, alle condizioni soggettive della vittima e alle
condizioni ambientali in cui questa opera (Cass. sez. II,
sentenza n. 19724 del 20 maggio 2010 c.c., dep. 25 maggio
2010, Rv. 247117).
12. Sono infondate le censure sollevate con il settimo
motivo in punto di applicazione dell’aggravante del danno
patrimoniale di rilevante entità. La sentenza di primo
grado ha effettuato una ricostruzione dei fatti dalla quale
emerge la natura fittizia del preliminare di vendita stipulato dal Licheri a favore di Impellizzeri Paolo, siccome
inteso a fornire delle garanzie reali a fronte della concessione di un mutuo a tassi usurari. Quindi correttamente il
Gup ha concluso che le circostanze esaminate «dimostrano il pieno coinvolgimento del Votadoro e dello Scuderi
in detta operazione in quanto dimostrative dell’attività di
intermediazione da essi svolta». Pertanto correttamente il
Gup ha riconosciuto l’aggravante di cui all’art. 61 n. 7 c.p.
poiché essa si riferisce al danno complessivamente subito
dalla persona offesa per le condotte usurarie ed estorsive
alle quali lo Scuderi ha concorso.
13. Ugualmente infondate sono le censure circa l’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 628, comma 3,
n. 1, c.p.. I giudici del merito hanno riconosciuto come
affidabili le dichiarazioni della persona offesa e dagli
atti emerge che il Licari ha dichiarato di essere stato
minacciato in più occasioni dallo Scuderi accompagnato
da tale Pino e da tale Emanuele (cfr. dichiarazioni rese
il 27 luglio 2011 e riportate a pag. 48/49 della sentenza
di primo grado). Di conseguenza anche l’ottavo motivo
deve essere rigettato in quanto correttamente i giudici
del merito hanno applicato l’aggravante della presenza di
più persone riunite con riferimento al reato di estorsione
contestato al capo H).
14. Quanto all’aggravante teleologica, è evidente che
tale aggravante non si riferisce al capo J che non risulta
contestato allo Scuderi, ma alla condotta di cui al capo
G). Del resto il tenore letterale dell’imputazione non lascia dubbi sul fatto che l’aggravante del fine di coprire
capitali ed interessi usurari, si riferisce al reato di usura
contestato a Scuderi Salvatore e Votadoro Giacomo al capo
G). Pertanto anche il nono motivo deve essere rigettato, in
quanto i giudici del merito correttamente hanno applicato
l’aggravante di cui all’art. 61, n. 2 c.p.
15. Infine sono infondate anche le censure in punto di
diniego delle attenuanti generiche e di dosimetria della
pena sollevate con i motivi 10 e 11. Quanto alle generiche
la Corte d’appello ha specificamente motivato sul punto osservando che alla concessione delle attenuanti generiche
«ostano la gravità e la reiterazione dei fatti ed il mediocre
comportamento processuale (improntato alla mistificazione di una vicenda per molti aspetti conclamata)». Non v’è
dubbio che l’apprezzamento circa la gravità dei fatti ed il
comportamento processuale del prevenuto costituiscono
giur
L e g i t t i m i tà
elementi rilevanti ex artt. 133 e 62 bis c.p. per cui nessuna
censura può essere mossa sotto questo aspetto alla sentenza impugnata. Ugualmente infondate sono le censure
in merito al trattamento sanzionatorio. Al riguardo valgono le osservazioni sviluppate al punto 6) con riferimento
alla posizione di Lazzaro Bartolo Carmelo.
16. Rando Tiziano. Per quanto riguarda le censure
sollevate con il primo motivo di ricorso, valgono le osservazioni svolte in via preliminare ai punti 2) e 3). Nel
caso di specie, la sentenza di secondo grado recepisce
in modo critico e valutativo la sentenza di primo grado,
correttamente limitandosi a ripercorrere e ad esaminare
per somme linee alcuni aspetti del complesso probatorio
oggetto di valutazione critica da parte della difesa, omettendo, in modo del tutto legittimo in applicazione dei principi sopra enunciati, di esaminare quelle doglianze degli
atti di appello che avevano già trovato risposta esaustiva
nella sentenza del primo giudice. Nè il ricorrente è stato
in grado di indicare elementi idonei a rovesciare la ricostruzione dei giudici del merito che non siano stati esaminati ovvero siano stati travisati dal giudice d’appello, che
ha rilevato che «nessuna delle imprecisioni e lacune segnalate nell’atto di impugnazione appaiono idonee, stante
la concreta modestia e la evidente marginalità a scalfire
la complessiva attendibilità delle accuse specificamente
rivolte al Rando».
17. Per le stesse ragioni devono essere respinte le censure sollevate con il secondo motivo in punto di derubricazione del delitto di estorsione consumata in tentativo.
La Corte territoriale ha esaminato l’analoga richiesta sollevata con i motivi d’appello e la respinta con motivazione
congrua, osservando che: «il Licari ha chiaramente riferito delle costanti minacce ricevute ad opera del Rando,
non solo nel periodo successivo alla ritenuta estinzione
del debito, ma anche precedentemente senza esprimere
soluzioni di continuità».
18. Infine devono essere respinte anche le censure
sollevate con il terzo motivo in punto di sussistenza delle
contestate aggravanti. Sul punto correttamente la sentenza impugnata rimanda alla sentenza del Gup perchè le
obiezioni del ricorrente in ordine alla sussistenza delle aggravanti hanno già trovato risposta esaustiva e giuridicamente corretta nella motivazione della sentenza di primo
grado (pagg. 4, 5 e 6).
19. Papaserio Felice. É infondato il primo motivo di
ricorso in punto di violazione di legge e vizi della motivazione. Anche in questo caso le contestazioni del ricorrente
riguardano l’affidabilità delle dichiarazioni a suo carico
della persona offesa. Senonchè nel caso di specie, come
rileva la Corte d’appello - le indicazioni del Licari sono
state riscontrate dagli esiti del servizio di appostamento
della Guardia di Finanza. Nè sarebbe possibile dubitare del
carattere anche implicitamente minaccioso delle pressanti
richieste del Papaserio circa il pagamento del debito in favore del Rando. Di conseguenza anche il ricorso del Rando
deve essere rigettato, salvo quanto si è detto sopra in punto
di annullamento delle statuizioni civili. (Omissis)
I
Corte di cassazione penale
sez. II, 21 marzo 2014, n. 13218
(ud. 20 febbraio 2014)
Pres. Petti – Est. Lombardo – P.M. Romano (parz. diff.) – Ric. Camarda
ed altri
Giudizio penale di primo grado y Dibattimento y
Rinvio e sospensione y Impedimento del difensore y
Per adesione all’astensione collettiva dalle udienze y
Espressa con atto scritto y Termini y Individuazione.
. La richiesta di rinvio dell’udienza per adesione del difensore all’astensione collettiva dalle udienze non può
essere accolta ove non risultino osservate le condizioni
previste dal codice di autoregolamentazione, ivi compresa, in particolare, quella dettate dell’art. 3, lett. b),
di detto codice, nella parte in cui dispone che, quando
l’adesione sia espressa con atto scritto, questo sia comunicato, con almeno due giorni di anticipo, oltre che
all’autorità procedente, anche agli altri avvocati costituiti. (Mass. Redaz.) (c.p.p., art. 420 ter; l. 12 giugno
1990, n. 146) (1)
II
Corte di cassazione penale
sez. II, 21 marzo 2014, n. 13215
(ud. 20 febbraio 2014)
Pres. Petti – Est. Lombardo – P.M. Romano (parz. diff.) – Ric. Rodia
Giudizio penale di primo grado y Dibattimento y
Rinvio e sospensione y Impedimento del difensore y
Per adesione all’astensione collettiva dalle udienze
y Espressa con atto scritto y Termini y Comunicazione tardiva.
. In tema di adesione del difensore all’astensione collettiva dalle udienze deliberata dagli organi rappresentativi della categoria, quando essa venga espressa con
atto scritto, la relativa comunicazione deve ritenersi
tardiva, rispetto al termine di almeno due giorni di
anticipo previsto dall’art. 3, lett. b), del codice di autoregolamentazione, quando pervenga all’ufficio destinatario oltre l’orario di chiusura del medesimo. (Mass.
Redaz.) (c.p.p., art. 420 ter; c.p.p., art. 486) (2)
(1) Non risultano editi precedenti che affrontino l’esatta fattispecie.
Sulla natura del Codice di autoregolamentazione delle astensioni
dalle udienze degli avvocati, si veda Cass. pen., sez. un., 19 giugno
2013, n. 26711, in Ius&Lex dvd n. 4/2014, ed. La Tribuna.
(2) Nello stesso senso si esprime Cass. pen., sez. I, 3 giugno 1998, n.
6528, in Ius&Lex dvd n. 4/2014, ed. La Tribuna. Cfr. sul tema Cass.
pen., sez. II, 12 giugno 2009, n. 24533, in questa Rivista 2010, 769.
Arch. nuova proc. pen. 4/2014
369
giur
L e g i t t i m i tà
I
Svolgimento del processo
Con sentenza del 28 luglio 2011, il G.I.P. del Tribunale
di Palermo, in esito a giudizio abbreviato, dichiarò Camarda Paolo colpevole dei reati di cui agli artt. 479 (per avere
concorso con Amato Ignazio - titolare di uno “Sportello
Telematico dell’Automobilista”, abilitato dal Ministero dei
Trasporti al rilascio delle carte di circolazione relative a
determinate categorie di autoveicoli - nella redazione di
certificati di circolazione di diversi quadricicli contenenti
false attestazioni), 489 (per avere fatto uso di certificati di
idoneità per la circolazione contraffatti), 367 (per avere
denunciato falsamente i furti dei quadricicli di cui sopra)
e 640 (per avere consumato truffe in danno di diverse
compagnie assicuratrici dalle quali riscuoteva indennizzi
non dovutigli per i falsi episodi di furto denunciati); Sardina Davide colpevole del delitto di cui all’art. 367 (per
avere denunciato falsamente il furto di un quadriciclo);
Cordova Fabio colpevole dei reati di cui agli artt. 479 (per
avere concorso con Amato Ignazio titolare di uno sportello
telematico dell’Automobilista - nella redazione di un certificato di circolazione di un quadriciclo contenente false
attestazioni), 489 (per avere fatto uso di un certificato di
idoneità per la circolazione contraffatto) e 648 (per avere
acquistato il quadriciclo proveniente dal furto patito da
Santamaria Giuseppe); Lauria Daniele colpevole dei reati
di cui agli artt. 479 (per avere concorso con Amato Ignazio
- titolare di uno sportello telematico dell’Automobilista
-nella redazione di un certificato di circolazione di un
quadriciclo contenente false attestazioni), 489 (per avere
fatto uso di un certificato di idoneità per la circolazione
contraffatto) e 648 (per avere acquistato il quadriciclo proveniente dal furto patito da Li Vigni Francesco);
e, unificati i reati sotto il vincolo della continuazione, li
condannò alle pene ritenute di giustizia; condannò inoltre
Camarda Paolo al risarcimento dei danni in favore delle
parti civili costituite Fondiaria - SAI Assicurazioni S.p.A.,
Milano Assicurazioni S.p.A. e Liguria Assicurazioni S.p.A.
Avverso tale pronunzia gli imputati proposero gravame,
ma la Corte di Appello di Palermo, con sentenza del 25
marzo 2013, confermò la decisione di primo grado.
Ricorre per cassazione il difensore di Camarda Paolo
e Sardina Davide, deducendo la violazione degli artt. 192
e 530 c.p.p., nonché la illogicità della motivazione, con
riferimento alla mancata assoluzione dei suoi assistiti; deduce che i giudici di merito avrebbero errato nel valutare
le prove, violando le regole dettate dagli artt. 192 ss. c.p.p.;
a suo dire, una corretta valutazione delle prove avrebbe
dovuto condurre la Corte di Appello ad assolvere gli imputati, per lo meno ai sensi dell’art. 530 comma 2 c.p.p.
Ricorre per cassazione anche il difensore di Cordova
Fabio, deducendo:
1) la violazione dell’art. 479 c.p., nonché la mancanza,
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione
della sentenza impugnata con riferimento alla ritenuta
sussistenza del delitto di falsità ideologica in atto pub-
370
4/2014 Arch. nuova proc. pen.
blico; deduce, in particolare, che il certificato di idoneità
tecnica del quadriciclo di provenienza furtiva ricevuto dal
Cordova era palesemente falso (perchè riportante una
data - quella del 20 dicembre 2006 - successiva al 13 luglio 2006, data fino alla quale soltanto ne era consentito il
rilascio dalla legge), conseguentemente esso non poteva
essere accettato da un soggetto titolare di uno “Sportello
Telematico dell’Automobilista” nell’esercizio delle sue
pubbliche funzioni, ma solo al di fuori delle sue funzioni
di pubblico ufficiale, non potendo peraltro gli estremi relativi al certificato di idoneità tecnica contraffatto essere
accettati dal sistema telematico del C.E.D. del Ministero
dei Trasporti; sarebbe stata, dunque, carente la qualità di
pubblico ufficiale dell’Amato nella commissione della condotta contestata, sarebbe quindi insussistente il delitto di
cui all’art. 479 per lo Amato e per lo stesso Cordova, quale
extraneus concorrente;
2) la violazione degli artt. 489 e 476 c.p., nonché la
mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione della sentenza impugnata con riferimento alla
ritenuta sussistenza del delitto di uso di atto falso contestato con riferimento al certificato di idoneità tecnica
contraffatto, non potendo tale certificato, proprio perchè
vistosamente contraffatto, essere in alcun modo utilizzato
e, tantomeno, essere immesso nel sistema informatico del
Ministero dei Trasporti.
Ricorre per cassazione, infine, il difensore di Lauria Daniele, deducendo la violazione degli artt. 192 c.p.p. e 110,
479, 789, 769, 648 c.p., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata con riferimento alla ritenuta irrilevanza
della scrittura privata prodotta dalla difesa, costituita dal
contratto di vendita datato 5 aprile 2008 sottoscritto da
Camarda Paolo (quale venditore) e Lauria Daniele (quale
compratore) avente ad oggetto il quadriciclo di provenienza furtiva ricevuto dal Lauria; deduce l’errore della
Corte di Appello nell’aver ritenuto irrilevante tale documento e deduce, altresì, il carattere decisivo dello stesso,
risultando da esso che la data di acquisto del quadriciclo
da parte del Lauria è successiva rispetto ai delitti a lui
contestati e che il venditore (Camarda Palo) si impegnava
a provvedere personalmente egli stesso all’espletamento
di tutte le pratiche necessarie alla immatricolazione del
veicolo, conformemente a quanto nelle sue spontanee dichiarazioni il Camarda aveva dichiarato.
In data 17 febbraio 2014, perveniva in cancelleria dichiarazione di adesione all’astensione proclamata dall’O.U.A. da parte del difensore delle parti civili costituite,
avv. Luigi Ragno.
Motivi della decisione
1. Preliminarmente va esaminata la dichiarazione di
adesione all’astensione proclamata dall’O.U.A. da parte
del difensore delle parti civili, con conseguente istanza di
rinvio della trattazione del ricorso.
L’istanza va rigettata.
Com’è noto, il “Codice di autoregolamentazione delle
astensioni dalle udienze degli avvocati”, adottato il 4
giur
L e g i t t i m i tà
aprile 2007 dalle organizzazioni rappresentative dell’avvocatura e approvato dalla “Commissione di garanzia
dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali”, ha valore di normativa secondaria (Cass.,
sez. un., n. 26711 del 30 maggio 2013 Rv. 255346); esso,
perciò, è vincolante per gli avvocati, che, in tanto possono
legittimamente aderire alle astensioni proclamate dalle
associazioni di categoria, in quanto si adeguino alle prescrizioni del detto codice di autoregolamentazione.
Orbene, l’art. 3 del Codice anzidetto stabilisce che la
mancata comparizione dell’avvocato all’udienza «affinché
sia considerata in adesione all’astensione regolarmente
proclamata ed effettuata ai sensi della presente disciplina, e dunque considerata legittimo impedimento del
difensore, deve essere alternativamente:
a) dichiarata - personalmente o tramite sostituto del
legale titolare della difesa o del mandato - all’inizio dell’udienza o dell’atto di indagine preliminare;
b) comunicata con atto scritto trasmesso o depositato
nella cancelleria del giudice o nella segreteria del pubblico ministero, oltreché agli altri avvocati costituiti, almeno
due giorni prima della data stabilita».
In proposito, va osservato che, dovendo il giudice
verificare la legittimità dell’adesione all’astensione dalle
udienze da parte del difensore, è onere di quest’ultimo
- ove opti per la comunicazione scritta dell’adesione all’astensione all’ufficio giudiziario - fornire la prova di aver
comunicato la sua dichiarazione di adesione all’astensione anche agli altri difensori costituiti. La prova può essere fornita con ogni mezzo. Ma in assenza di tale prova,
il diritto all’astensione non può ritenersi legittimamente
esercitato, per mancata osservanza dell’art. 3 del Codice
di autoregolamentazione.
Nel caso di specie, il difensore delle parti civili ha inviato via fax, alla cancelleria di questa Corte, la dichiarazione di adesione alla astensione di categoria, proclamata
dall’O.U.A. per i giorni 18, 19 e 20 febbraio 2014. La comunicazione è pervenuta il giorno 17 febbraio 2014, in vista
dell’udienza odierna del 20 febbraio 2014, ed è pertanto
tempestiva. Ma il difensore non ha fornito la prova di avere
esteso la detta comunicazione ai difensori dei ricorrenti,
come prescritto dall’art. 3 del Codice di autoregolamentazione. Non solo non ha fornito prova di aver effettuato
tale comunicazione, ma neppure ha affermato, nella sua
dichiarazione di adesione all’astensione, di avervi provveduto. Pertanto, il diritto del difensore all’astensione non
può dirsi legittimamente esercitato.
In ragione della violazione dell’art. 3 del “Codice di
autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli
avvocati”, l’istanza di rinvio della trattazione del procedimento deve, perciò, essere respinta.
Sul punto, può dunque enunciarsi il seguente principio
di diritto:
«L’ adesione del difensore di fiducia all’astensione collettiva degli avvocati dalle udienze, perchè possa ritenersi
legittima ai sensi dell’art. 3 del “Codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati”, adottato il 4 aprile 2007 dalle organizzazioni rappresentative
dell’avvocatura, ove non sia comunicata (personalmente o
tramite sostituto) in udienza dal difensore, deve essere da
lui comunicata con atto scritto almeno due giorni prima
della data stabilita per l’udienza, oltre che alla cancelleria
del giudice procedente, anche agli altri avvocati costituiti;
è onere del difensore che aderisce all’astensione - per
consentire al giudice di controllare la legittimità della sua
adesione all’astensione di categoria - fornire la prova di
aver tempestivamente comunicato tale adesione agli altri
difensori costituiti».
2. Passando all’esame dei ricorsi, rileva la Corte come il
ricorso proposto congiuntamente da Camarda Paolo e Sardina Davide risulti inammissibile per assoluta genericità.
Va ricordato che, secondo la giurisprudenza pacifica
di questa Corte in tema di inammissibilità del ricorso per
cassazione, i motivi devono ritenersi generici non solo
quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le
ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato
(Cass., sez. V, n. 28011 del 15 febbraio 2013 Rv. 255568);
cosicché è inammissibile il ricorso per cassazione quando
manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni
argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a
fondamento dell’atto d’impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato (cfr., ex
plurimis, Cass., sez. II, n. 19951 del 15 maggio 2008 Rv.
240109).
Ai fini della validità del ricorso per cassazione non è,
dunque, sufficiente che il ricorso consenta di individuare
le statuizioni concretamente impugnate e i limiti dell’impugnazione, ma è altresì necessario che le ragioni sulle
quali esso si fonda siano esposte con sufficiente grado di
specificità e che siano correlate con la motivazione della
sentenza impugnata; con la conseguenza che se, da un
lato, il grado di specificità dei motivi non può essere stabilito in via generale ed assoluta, dall’altro, esso esige pur
sempre - a pena di inammissibilità del ricorso - che alle
argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano
contrapposte quelle del ricorrente, volte ad incrinare il
fondamento logico - giuridico delle prime.
Pertanto, è onere del ricorrente, nel chiedere l’annullamento del provvedimento impugnato, prendere in
considerazione gli argomenti svolti dal giudice di merito
e sottoporli a critica, nei limiti - s’intende delle censure
di legittimità.
Orbene, nel caso di specie, i ricorrenti lamentano la
illogicità della motivazione; deducono che i giudici di
merito avrebbero mal valutato le prove, violando le regole
dettate dagli artt. 192 ss. c.p.p.; deducono che una corretta
valutazione delle prove avrebbe dovuto condurre la Corte
di Appello ad assolvere gli imputati almeno ai sensi dell’art. 530 comma 2 c.p.p.
Ma i ricorrenti omettono del tutto di prendere in considerazione argomentazioni svolte dai giudici di merito nella sentenza impugnata, per criticarle e per contrapporre
ad esse altri argomenti, volti ad incrinarne il fondamento
logico - giuridico. Con ciò, i loro ricorsi si palesano inammissibili per genericità.
Arch. nuova proc. pen. 4/2014
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E peraltro, altra ragione di inammissibilità si coglie nella natura delle censure mosse alla sentenza impugnata.
I ricorrenti, infatti, criticano - sotto mentite spoglie - la
valutazione delle prove da parte dei giudici di merito e
le conclusioni cui essi sono pervenuti in ordine alla loro
penale responsabilità. Va ricordato, tuttavia, che la valutazione delle prove è riservata, in via esclusiva, all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, e non è sindacabile in cassazione; a meno che ricorra una mancanza o una
manifesta illogicità della motivazione (nei termini chiariti
da: Cass., sez. un., n. 24 del 24 novembre 1999 Rv 214794;
sez. un., n. 47289 del 24 settembre 2003 Rv. 226074), ciò
che - nel caso di specie - deve però escludersi.
E invero, i giudici di merito hanno chiarito, con dovizia
di argomenti, le ragioni della loro decisione (pp. 8 s., 13 ss.
della sentenza impugnata); non si ritiene, peraltro - per
ovvi motivi - di riportare qui le suddette argomentazioni,
sembrando sufficiente al Collegio far rilevare che le stesse
non sono manifestamente illogiche; e che, anzi, l’estensore della sentenza ha esposto in modo ordinato e coerente
le ragioni che giustificano la decisione adottata, la quale
perciò resiste alle censure del ricorrente sul punto.
3. Il ricorso proposto da Cordova Fabio risulta infondato.
Infondata è la prima censura, relativa alla pretesa
insussistenza del delitto di falsità ideologica in atto pubblico in ragione dell’asserito mancato esercizio di pubbliche funzioni da parte di Amato Ignazio, titolare di uno
“Sportello Telematico dell’Automobilista”, abilitato dal Ministero dei Trasporti al rilascio delle carte di circolazione
relative a determinate categorie di autoveicoli.
Già questa Corte, nel decidere il ricorso avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Palermo proposto nell’ambito del presente procedimento, ha affermato - dettando
un principio di diritto che deve in questa sede ribadirsi - che
«In tema di reati di falso, il titolare dell’agenzia automobilistica che gestisce il cosiddetto “sportello telematico dell’automobilista” (STA) - il quale, ex art. 4 D.P.R. n. 358 del 2000,
deve verificare, ai fini del rilascio della carta di circolazione, la idoneità, la completezza e la conformità tanto della
domanda, quanto della documentazione presentata dall’interessato nonché l’avvenuto versamento delle imposte e
dei diritti dovuti dal richiedente - forma un atto pubblico,
con la conseguenza che egli riveste la qualifica di pubblico
ufficiale nel compimento dell’intero “iter” che sfocia nella
produzione del predetto documento. (In applicazione del
principio di cui in massima la S. C. ha censurato l’ordinanza
del Tribunale del riesame, il quale aveva ritenuto che il
titolare di detta agenzia agisse come p.u. solo nel momento
in cui accertava l’identità del richiedente e considerato le
ulteriori attività meramente materiali e al di fuori dei poteri
autoritativi e di certificazione del p.u.)» (Cass., Sez. V, n.
28086 del 23 giugno 2011 Rv. 250405).
Tale qualità di pubblico ufficiale e l’esercizio delle
correlative pubbliche funzioni non sono certo venute
meno per il fatto che il certificato di idoneità tecnica del
quadriciclo era contraffatto e non poteva essere accettato
dall’Amato: l’accettazione di un certificato contraffatto
372
4/2014 Arch. nuova proc. pen.
ha implicato la violazione dei doveri di pubblico ufficiale
dell’ Amato, non certo il venir meno di tale sua qualità o
dell’esercizio di funzioni pubbliche. Peraltro, ogni falsità
ideologica commessa dal pubblico ufficiale implica, di per
sé, la violazione dei doveri pubblici dell’agente (cfr. Cass.,
sez. VI, n. 44 del 29 settembre 1993 Rv. 196612; sez. VI, n.
14544 del 26 giugno 1989 Rv. 182375).
Quanto alla censura secondo cui sarebbe insussistente
il delitto di uso di atto falso contestato con riferimento
al certificato di idoneità tecnica contraffatto, perchè tale
certificato non potrebbe essere immesso nel sistema informatico del Ministero dei Trasporti, l’assunto difensivo è
smentito dalla ricostruzione del fatto compiuta dai giudici
di merito, dalla quale risulta invece l’avvenuto inserimento dei dati del certificato contraffatto nel sistema informatico del Ministero dei Trasporti cui è conseguito il rilascio
delle carte di circolazione.
4. Il ricorso di Lauria Daniele, infine, risulta inammissibile per manifesta infondatezza.
Il ricorrente lamenta che i giudici di merito non hanno
dato credito al contratto di vendita datato 5 aprile 2008 prodotto dalla difesa - dal quale risulta che il Lauria avrebbe acquistato il quadriciclo dal Camarda Paolo in una data
successiva a quella dei delitti a lui contestati e che il Camarda si sarebbe impegnato a provvedere personalmente
egli stesso all’espletamento di tutte le pratiche necessarie
alla immatricolazione del veicolo.
Tale censura è inammissibile per genericità, perchè
non prende in considerazione e non critica le argomentazioni svolte in proposito dai giudici di merito.
Costoro hanno spiegato di ritenere inattendibile la
versione dei fatti del Lauria, considerato che lo stesso in
un primo momento (escusso dalla P.G.) aveva dichiarato di
non ricordare da chi avesse acquistato il mezzo; successivamente, aveva esibito una scrittura privata di compravendita
datata 27 marzo 2008, dalla quale risultava che egli aveva
acquistato il mezzo da tale Gaggitano Vittorio; infine, una
volta verificata l’inesistenza della persona risultante da detta scrittura, aveva prodotto altra scrittura quella richiamata
nel ricorso - dalla quale risultava che il venditore non sarebbe stato il predetto Gaggitano, ma il coimputato Camarda.
Dinanzi al continuo mutamento della versione dei fatti
da parte del Lauria, legittima e priva di vizi logici è stata
la conclusione dei giudici di merito che hanno negato attendibilità alla scrittura da ultimo prodotta, peraltro priva
di data certa.
5. In definitiva, vanno dichiarati inammissibili i ricorsi
di Camarda Paolo, Sardina Davide e Lauria Daniele; mentre va rigettato il ricorso di Cordova Fabio.
Ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., con il provvedimento che
dichiara inammissibile o rigetta il ricorso, la parte privata
che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento
delle spese del procedimento. Inoltre, gli imputati che hanno proposto ricorsi inammissibili - ravvisandosi profili di
colpa nella determinazione della causa di inammissibilità
- vanno condannati al pagamento a favore della Cassa delle
ammende della somma di euro mille, così equitativamente
fissata in ragione dei motivi dedotti. (Omissis)
giur
L e g i t t i m i tà
II
Svolgimento del processo
Con sentenza del 3 ottobre 2008, il Tribunale di Avellino
dichiarò Rodia Gino responsabile - in concorso con altre
persone - del delitto di rapina aggravata (avente ad oggetto n. 15 capi bovini) in danno di Rizzo Michele e, concesse
le attenuanti generiche, lo condannò alla pena ritenuta
di giustizia, oltre al risarcimento dei danni in favore delle
parti civili costituite da liquidarsi in separata sede.
Avverso tale pronunzia l’imputato propose gravame, ma
la Corte di Appello di Napoli, con sentenza del 12 dicembre
2011, confermò la decisione di primo grado.
Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato, deducendo la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità
della motivazione della sentenza impugnata con riferimento alla ritenuta responsabilità penale; secondo il ricorrente, nessuna prova vi sarebbe del coinvolgimento del Rodia
nella rapina de qua, giacché l’imputato non sarebbe stato
visto dalla p.o. sul luogo del delitto, né la sua vettura sarebbe stata utilizzata per commettere il reato; lamenta, in ogni
caso, che i giudici di merito non abbiano assolto l’imputato
almeno ai sensi del secondo comma dell’art. 530 c.p.p.
In data 19 febbraio 2014, perveniva in cancelleria dichiarazione di adesione all’astensione proclamata dall’O.U.A. da
parte del difensore dell’imputato, avv. Marino Capone.
Motivi della decisione
Preliminarmente va esaminata la dichiarazione di
adesione all’astensione proclamata dall’O.U.A. da parte
del difensore dell’imputato, avv. Marino Capone, con conseguente istanza di rinvio della trattazione del ricorso.
L’istanza va rigettata.
Com’è noto, il “Codice di autoregolamentazione delle
astensioni dalle udienze degli avvocati”, adottato il 4
aprile 2007 dalle organizzazioni rappresentative dell’avvocatura e approvato dalla “Commissione di garanzia
dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali”, ha valore di normativa secondaria (Cass.,
sez. un., n. 26711 del 30 maggio 2013 Rv. 255346); esso,
perciò, è vincolante per gli avvocati, che, in tanto possono
legittimamente aderire alle astensioni proclamate dalle
associazioni di categoria, in quanto si adeguino alle prescrizioni del detto codice di autoregolamentazione.
Orbene, l’art. 3 del Codice anzidetto stabilisce che la
mancata comparizione dell’avvocato all’udienza «affinché
sia considerata in adesione all’astensione regolarmente
proclamata ed effettuata ai sensi della presente disciplina, e dunque considerata legittimo impedimento del
difensore, deve essere alternativamente:
a) dichiarata - personalmente o tramite sostituto del
legale titolare della difesa o del mandato - all’inizio dell’udienza o dell’atto di indagine preliminare;
b) comunicata con atto scritto trasmesso o depositato
nella cancelleria del giudice o nella segreteria del pubblico ministero, oltreché agli altri avvocati costituiti, almeno
due giorni prima della data stabilita».
Nel caso di specie, il difensore non ha comunicato la
dichiarazione di adesione alla astensione di categoria
- proclamata dall’O.U.A. per i giorni 18, 19 e 20 febbraio
2014 - alla cancelleria di questa Corte (almeno) due giorni
prima della data dell’udienza.
Infatti, rispetto all’udienza odierna del 20 febbraio
2014, la dichiarazione di adesione alla astensione avrebbe
dovuto pervenire nella cancelleria di questa Corte non
oltre il 18 febbraio 2014; essa, invece, è pervenuta il 19
febbraio 2014, come si ricava dalla attestazione di “pervenuto” apposta dal cancelliere.
In proposito, va osservato come non possa aver rilievo
il fatto che il difensore abbia inviato la comunicazione
via fax nelle ore pomeridiane (ore 16,29) del giorno 18
(ultimo giorno utile). Infatti, la prescrizione del termine
ultimo di due giorni precedenti l’udienza, per il tempestivo invio della comunicazione, va inteso nel senso che
la comunicazione effettuata nell’ultimo giorno utile deve
pervenire nell’ufficio di cancelleria nell’orario di apertura
dello stesso, affinché possa essere presa in carico e acquisita agli atti del procedimento; giacché, se la comunicazione è trasmessa via fax nelle ore pomeridiane o addirittura
notturne nelle quali la cancelleria è chiusa, l’ufficio non
può averne conoscenza se non l’indomani.
In altri termini, affinché il giudice possa ritenersi
tempestivamente informato della volontà del difensore di
aderire all’astensione proclamata dalla categoria non deve
guardarsi solo al giorno di trasmissione del fax, ma anche
all’orario della trasmissione; cosicché se la trasmissione
del fax avviene oltre l’orario di apertura della cancelleria
del giudice procedente, cioè a cancelleria chiusa, la comunicazione deve ritenersi effettuata il giorno successivo
all’atto dell’apertura dell’ufficio, primo momento utile per
prendere atto della comunicazione del difensore. Solo negli
orari in cui la cancelleria è aperta può ritenersi, infatti, che
l’ufficio del giudice procedente sia stato realmente informato dalla volontà del difensore di aderire alla astensione.
Sul punto, può dunque enunciarsi il seguente principio
di diritto: «L’adesione del difensore di fiducia all’astensione collettiva degli avvocati dalle udienze, perchè possa ritenersi legittima, deve essere comunicata al giudice
procedente secondo quanto prevede l’art. 3 del “Codice di
autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli
avvocati”, adottato il 4 aprile 2007 dalle organizzazioni rappresentative dell’avvocatura e approvato dalla “Commissione di garanzia dell’Attuazione della Legge sullo Sciopero
nei Servizi Pubblici Essenziali”; perciò, la dichiarazione
di adesione all’astensione, ove non sia comunicata (personalmente o tramite sostituto) in udienza, deve essere
comunicata con atto scritto nella cancelleria del giudice
procedente almeno due giorni prima della data stabilità
per l’udienza e non oltre l’orario di chiusura dell’ufficio» .
In ragione della violazione dell’art. 3 del “Codice di
autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli
avvocati”, il diritto del difensore di aderire alla astensione di categoria non può dirsi legittimamente esercitato,
cosicché l’istanza di rinvio della trattazione del procedimento va respinta.
Arch. nuova proc. pen. 4/2014
373
giur
L e g i t t i m i tà
Passando all’esame del ricorso, la Corte rileva come
esso risulti inammissibile.
Il ricorrente lamenta la mancanza e illogicità della motivazione della sentenza impugnata in ordine alla ritenuta
responsabilità dell’imputato; ma appare evidente come
egli sottoponga alla Corte censure di merito, inammissibili
in sede di legittimità.
Il ricorrente, infatti, critica - sotto mentite spoglie - la
valutazione delle prove da parte dei giudici di merito. Va
ricordato, tuttavia, che la valutazione delle prove è riservata, in via esclusiva, all’apprezzamento discrezionale
del giudice di merito e non è sindacabile in cassazione; a
meno che ricorra una mancanza o una manifesta illogicità
della motivazione, ciò che - nel caso di specie - deve però
escludersi.
E invero come hanno statuito più volte le Sezioni Unite
di questa Corte «L’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto,
dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione
essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo
sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità
di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il
giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile,
deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare
percepibile “ictu oculi”, dovendo il sindacato di legittimità
al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se
non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate
in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento»
(Cass., sez. un., n. 24 del 24 novembre 1999 Rv 214794; sez.
un., n. 47289 del 24 settembre 2003 Rv. 226074).
Nel caso di specie, i giudici di merito hanno chiarito, con
dovizia di argomenti, le ragioni della loro decisione (hanno
richiamato, tra l’altro, la decisiva testimonianza del militare Brig. CC. Di Pinto, il quale ha riconosciuto con certezza
l’imputato sul luogo del delitto e lo ha veduto poi - alla vista
dei militari - allontanarsi e abbandonare la sua autovettura;
e hanno spiegato poi come il Rodia fosse - tra gli imputati
l’unico che conosceva i luoghi montani dove sono stati sottratti gli animali, gli altri correi essendo di altra regione italiana); non si ritiene, peraltro - per ovvi motivi - di riportare
qui integralmente tutte le suddette argomentazioni, sembrando sufficiente al Collegio far rilevare che le stesse non
sono manifestamente illogiche; e che, anzi, l’estensore della
sentenza ha esposto in modo ordinato e coerente le ragioni
che giustificano la decisione adottata, la quale perciò resiste
alle censure del ricorrente sul punto.
Piuttosto, sono le censure mosse col ricorso che non prendono compiutamente in esame le argomentazioni svolte dai
giudici di merito nel provvedimento impugnato, risultando
così generiche e, anche sotto tale profilo, inammissibili,
limitandosi a proporre a questa Corte una ricostruzione dei
fatti alternativa rispetto a quella dei giudici di merito.
374
4/2014 Arch. nuova proc. pen.
E tuttavia, come questa Corte ha più volte sottolineato,
compito della Corte di cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta
nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una
rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione
delle prove a quella compiuta dai giudici del merito (cfr.
Cass, sez. I, n. 7113 del 6 giugno 1997 Rv. 208241; sez. II,
n. 3438 del 11 giugno 1998 Rv 210938), dovendo invece
la Corte di legittimità limitarsi a controllare se costoro
abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se
il ragionamento probatorio, da essi reso manifesto nella
motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che,
come dianzi detto, nel caso di specie è dato riscontrare.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., con il provvedimento
che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha
proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché ravvisandosi profili di colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità - al
pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di euro mille, così equitativamente fissata in ragione
dei motivi dedotti. (Omissis)
Corte di cassazione penale
sez. VI, 20 marzo 2014, n. 13096
(c.c. 5 marzo 2014)
Pres. Di Virginio – Est. Aprile – P.M. D’Ambrosio (parz. diff.) – Ric. De
Santis
Competenza penale y Competenza per territorio
y Incompetenza y Eccezione sollevata per la prima
volta nel corso del giudizio in Cassazione y Ammissibilità y Condizioni.
. In materia cautelare, l’eccezione sull’incompetenza
territoriale dell’autorità giudiziaria procedente può essere sollevata per la prima volta anche con il ricorso per
cassazione, purchè il ricorrente adempia all’obbligo di
specificità nella deduzione dei motivi e non fondi le sue
lamentele su elementi di fatto mai introdotti dinanzi
al giudice del merito ovvero sui quali sia necessario
procedere a valutazioni o ad accertamenti comunque
inammissibili nel giudizio di legittimità. (Mass. Redaz.)
(c.p.p., art. 8; c.p.p., art. 21; c.p.p., art. 22; c.p.p., art.
311; c.p.p., art. 606) (1)
(1) Negli stessi termini si esprime Cass. pen., sez. VI, 6 luglio 2010,
n. 25835, in questa Rivista 2011, 589. Nello stesso senso anche Cass.
pen., sez. II, 8 febbraio 2005, n. 4548, ivi 2006, 210. In senso contrario si veda, invece, Cass. pen., sez. III, 28 gennaio 2009, n. 3816,
ivi 2010, 87 che ritiene come sia inammissibile in sede di legittimità
eccepire la violazione delle regole di competenza territoriale, se di
tale violazione non siano stati almeno esaminati i presupposti innanzi al giudice di merito.
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L e g i t t i m i tà
Svolgimento del processo e motivi della decisione
1. Con l’ordinanza sopra indicata il Tribunale di Milano,
adito ai sensi dell’art. 309 c.p.p., confermava il provvedimento del 4 dicembre 2013 con il quale il Giudice per le
indagini preliminari del Tribunale di Monza aveva disposto
l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di Fulvio De Santis in relazione al reato
di cui agli artt. 81, 110, 319 e 321 c.p., per avere, quale vice
sindaco del comune di Frosinone ed assessore con delega
all’ambiente, in concorso con l’intermediario Giovanni
Battista Ricciotti, accettato la promessa della dazione di
una somma di denaro - da stabilire successivamente in
misura pari al 10% del valore dell’appalto e, comunque,
non inferiore ai maggiori costi che artatamente sarebbero
stati inseriti dopo l’aggiudicazione dell’appalto - promessa
fattagli da Giancarlo Sangalli, Daniela Sangalli, Patrizia
Sangalli e Giorgio Sangalli (rispettivamente amministratore di fatto, procuratore e, gli ultimi due, dirigenti della
impresa Sangalli Giancarlo & C. s.r.l. con sede in Monza),
per avere, nel corso del 2012, compiuto e per essersi impegnato a compiere atti contrari ai suoi doveri d’ufficio: in
particolare per avere messo a disposizione della impresa
Sangalli il proprio ruolo di vice sindaco e assessore al ramo,
con interventi finalizzati affinché quella impresa risultasse l’unica aggiudicataria dell’appalto relativo al servizio di
raccolta e trasporto dei rifiuti urbani e spazzamento delle
strade del comune di Frosinone; facendo in modo che la
redazione del capitolato d’appalto fosse affidata ad un consulente esterno “compiacente” appartenente alla società
Idecom s.r.l., vicina ai Sangalli, allo scopo di inserire nel
capitolato requisiti “ritagliati” su misura alle caratteristiche della società dei Sangalli; prendendo contatto, per il
tramite del Ricciotti, con i membri della famiglia Sangalli
al fine di definire i dettagli dell’operazione per pilotare
l’aggiudicazione dell’appalto e proseguire le trattative per
il raggiungimento ed il perfezionamento della quantificazione della promessa della dazione illecita; violando i
doveri di correttezza ed imparzialità che avrebbe dovuto
rispettare quale pubblico ufficiale, allo scopo di favorire
gli interessi di quella impresa privata, che doveva risultare
unica “vincitrice” a scapito di altri eventuali concorrenti.
Rilevava il Tribunale come le acquisite emergenze
procedimentali - in specie quelle desumibili dal contenuto
delle intercettazioni telefoniche ed ambientali curate dagli inquirenti e dal tenore delle dichiarazioni ammissorie
fatte dai coindagati Daniela e Giorgio Sangalli - avessero
dimostrato la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza
a carico dell’indagato De Santis; e come gli elementi di
conoscenza a disposizione avessero comprovato la sussistenza tanto del concreto pericolo per l’acquisizione e
la genuinità della prova, quanto del rischio di recidiva da
parte del prevenuto, esigenze rispetto alle quali l’unica misura adatta, oltre che proporzionata alla obiettiva gravità
dei fatti, al contesto ed alle modalità di commissione dei
reati, appariva quella applicata della custodia cautelare
in carcere.
2. Avverso tale ordinanza ha presentato ricorso il De
Santis, con atto sottoscritto dal suo difensore avv. Pasquale Lepiane, il quale ha dedotto seguenti quattro motivi.
2.1. Violazione di legge, in relazione agli artt. 8, 27 e 291,
comma 2, c.p.p., per avere il Tribunale del riesame omesso
di dichiarare l’incompetenza per territorio del Giudice per
le indagini preliminari del Tribunale di Monza (che già
avrebbe dovuto rilevare la propria incompetenza), benché
le carte delle indagini avessero dimostrato che le condotte
asseritamente delittuose riferibili al De Santis erano state
poste in essere tutte nel comune di Frosinone e che le
trattative relative alla promessa di denaro erano avvenute
all’interno dello studio di Frosinone appartenente al Ricciotti.
2.2. Violazione di legge, in relazione all’art. 309, commi
5 e 10, c.p.p., essere stata omessa al Tribunale di Milano
la trasmissione del testo della trascrizione della registrazione stenotipica dell’interrogatorio reso dal De Santis ai
sensi dell’art. 294 c.p.p., e per avere il Collegio deciso sulla
istanza di riesame sulla base del solo “verbale riassuntivo”
dell’interrogatorio nel quale non sono state riportate le
risposte date dall’indagato alle domande rivoltegli, con
le quali il prevenuto si era difeso analiticamente su ogni
aspetto della vicenda de qua.
2.3. Violazione di legge, in relazione agli articoli del
codice penale oggetto di addebito e all’art. 273 c.p.p., e
carenza di motivazione, per avere il Tribunale lombardo
ingiustificatamente confermato la sussistenza dei gravi
indizi di colpevolezza a carico del De Santis, nonostante
gli atti di indagine e le dichiarazioni degli interessati avessero dimostrato che il Ricciotti aveva agito di propria iniziativa, millantando credito, senza ricevere alcun mandato
o incarico da parte del vice sindaco.
2.4. Violazione di legge, in relazione all’art. 274 c.p.p., e
vizio di motivazione, per mancanza o manifesta illogicità,
per avere il Tribunale del riesame confermato la presenza
dei due indicati bisogni di cautela, benché a parlare di influenze sul sindaco fosse stato il Ricciotti e non il De Santis; a nominare i componenti della commissione incaricata
per la gara di appalto fosse stato il segretario generale del
comune; la polizia giudiziaria avesse acquisito tutta la documentazione relativa alla vicenda in argomento; l’indagato avesse, nel corso del suo interrogatorio, indicato i luoghi
dove gli inquirenti avrebbero potuto trovare altre carte; il
rischio di recidiva fosse stato desunto esclusivamente dai
fatti criminosi accertati; l’indagato sia incensurato, non
abbia carichi pendenti, sia un avvocato e si sia dimesso
dalla carica di assessore all’ambiente; i fatti oggetto di
addebito risalgano a circa un anno prima del momento di
applicazione della misura.
3. Il primo motivo del ricorso è fondato, con effetti assorbenti in ordine all’esame dei restanti motivi.
Questo Collegio di dover privilegiare l’orientamento
interpretativo secondo il quale, in materia cautelare,
l’eccezione sull’incompetenza territoriale dell’autorità
giudiziaria procedente può essere sollevata per la prima
volta anche con il ricorso per cassazione, purché il ricorrente adempia all’obbligo di specificità nella deduzione
Arch. nuova proc. pen. 4/2014
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L e g i t t i m i tà
dei motivi e non fondi le sue lamentele su elementi di fatto mai introdotti dinanzi al giudice del merito ovvero sui
quali sia necessario procedere a valutazioni o ad accertamenti comunque inammissibili nel giudizio di legittimità
(così sez. VI, n. 25835 del 4 giugno 2010, Franzé e altri, Rv.
247776; sez. II, n. 4548/05 del 2 dicembre 2004, Ruggiero,
Rv. 231139; contra la sola sez. III, n. 3816/09 del 14 ottobre
2008, Leone, Rv. 242822, per la quale è precluso alla Cassazione decidere su violazioni di legge i cui presupposti
di fatto non siano stati già esaminati dal giudice del merito).
Ed infatti, in generale è possibile affermare che il
giudice investito di una richiesta di applicazione di una
misura cautelare debba sempre preliminarmente verificare la propria competenza per territorio, sicché, laddove
decida su quella istanza senza nulla precisare al riguardo,
il provvedimento adottato deve considerarsi comprensivo
dell’implicito riconoscimento positivo della propria competenza ratione loci: con la conseguenza che il giudice
dell’impugnazione de libertate ben possa essere investito
del compito di sindacare la determinazione assunta in
merito dal primo giudice.
D’altro canto, che l’ordinanza genetica della misura
cautelare contenga un’implicita affermazione del giudice
di esistenza della propria competenza per territorio, lo si
evince dal dettato del combinato disposto degli artt. 291,
comma 2, e 27 c.p.p., che attribuiscono a quel giudice il potere eccezionale di disporre l’accoglimento della richiesta
cautelare, in presenza di una situazione di urgenza, anche
laddove riconosca e dichiari la propria incompetenza. Potere che spetta anche al giudice dell’impugnazione atteso
che, come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte,
la pronuncia di incompetenza avverso provvedimenti
cautelari determina, al pari della declaratoria di incompetenza del giudice che aveva disposto la misura cautelare,
l’inefficacia differita, ex art. 27 c.p.p., della misura cautelare stessa (così sez. un., n. 1 del 24 gennaio 1996, Fazio,
Rv. 204164). Ne deriva che la decisione del tribunale del
riesame - che a sua volta ha verificato implicitamente l’esistenza di tutte le condizioni per l’adozione della misura
cautelare, dunque anche l’osservanza delle norme che
regolano la competenza per territorio, e che ben avrebbe
potuto rilevare anche d’ufficio la propria incompetenza,
pure senza che la questione avesse costituito oggetto di
specifica doglianza con l’atto di impugnazione (così, tra
le altre, sez. I, n. 21416 del 14 maggio 2003, De Macceis,
Rv. 225196; sez. V, sentenza n. 4084/03 del 13 novembre
2002, Camillo, Rv. 223773; sez. IV, n. 41270 del 9 febbraio
2001, Pupa Kujtim, Rv. 220718; sez. VI, n. 914 del 16 marzo
1999, P.M. in proc. Archidiacono, Rv. 214783) - sostituisce,
a tutti gli effetti, quella oggetto di gravame: e rispetto alla
prima possono essere fatte valere, con il successivo ricorso
per cassazione, le censure in ordine al mancato rispetto di
376
4/2014 Arch. nuova proc. pen.
quelle norme di diritto processuale penale, a condizione
che la verifica sollecitata, per la prima volta, alla Corte di
legittimità si fondi su doglianze qualificate da un adeguato
grado di serietà e su elementi fattuali desumibili dalla motivazione del provvedimento impugnato o da atti da quest’ultimo espressamente richiamati.
Non sono di ostacolo alla ammissibilità dell’esame dell’esposto motivo, dedotto per la prima volta con il ricorso
per cassazione, le disposizioni previste dagli artt. 21, commi 2 e 3, e 23, comma 2, c.p.p., trattandosi di norme aventi
ad oggetto forme di decadenza chiaramente riferibili al
solo processo, dunque alla fase successiva al momento dell’esercizio dell’azione penale da parte del rappresentante
della pubblica accusa, e, in ogni caso, non applicabili al
procedimento di impugnazione incidentale dei provvedimenti in materia di misure cautelari personali.
Ora, nel fattispecie va rilevato come il ricorrente ha
posto la questione della competenza per territorio del
giudice della cautela con argomenti e riferimenti dotati
di un elevato grado di serietà, evidenziando come il reato
di corruzione ipotizzato a suo carico si sarebbe consumato
al momento dell’accettazione, da parte sua, della promessa della dazione di denaro da parte dei privati corruttori,
fatto questo che gli elementi di prova acquisiti escluderebbero essersi verificato a Monza, bensì a Frosinone.
Sotto questo punto di vista, dati di significativo riscontro
paiono potersi ravvisare nella motivazione dell’ordinanza
del Tribunale del riesame di Milano, laddove è stato sottolineato come tanto l’incontro iniziale tra il vice sindaco De
Santis e l’emissario della famiglia Sangalli (v. pag. 3 ord.
impugn.), quanto la successiva fase delle trattative, poi
conclusasi con l’accettazione della promessa, che avevano
visto protagonista, accanto ai privati corruttori, l’intermediario Ricciotti, fossero accaduti a Frosinone, verosimilmente nello studio professionale di quest’ultimo, dove era
stata installata l’apparecchiatura per l’effettuazione delle
intercettazioni ambientali, e, in parte, in una isolata zona
di campagna, sembrerebbe alla periferia di quella stessa
città (v. pagg. 4 e segg. ord. impugn.).
La motivazione dell’ordinanza impugnata si presenta,
comunque, contraddittoria ed incompleta, e, non essendo
chiaramente ravvisabile da parte di questa Corte un vizio
di consistenza tale da travolgere sia tale provvedimento
che quello genetico della misura, il necessario approfondimento per colmare quella lacuna argomentativa - nonché
per verificare, in caso di positivo riconoscimento della incompetenza, l’eventuale sussistenza di ragioni di urgenza
che possano giustificare il mantenimento interinale della
misura - non può che essere rimesso al giudice del merito,
cui gli atti vanno rinviati, per nuovo esame, previo annullamento dell’ordinanza gravata.
Alla cancelleria vanno demandati gli adempimenti
comunicativi previsti dalla legge. (Omisiss)
giur
L e g i t t i m i tà
Corte di cassazione penale
sez. II, 5 febbraio 2014, n. 5656
(c.c. 28 gennaio 2014)
Pres. Fiandese – Est. Pellegrino – P.M. Gialanella (conf.) – Ric. P.M. in
proc. Zagarrio
Misure cautelari reali y Sequestro preventivo y
Condizioni di applicabilità y Gravi indizi di colpevolezza y Valutazione y Necessità y Esclusione y Riconducibilità del fatto ad una ipotesi astratta di reato
y Sufficienza y Fattispecie relativa al sequestro di
una patente di guida rilasciata sul presupposto di
un certificato medico falso.
. In
tema di sequestro preventivo, non è necessario
valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza
a carico della persona nei cui confronti è operato il
sequestro, essendo sufficiente che sussista il “fumus
commissi delicti”, vale a dire la astratta sussumibilità
in una determinata ipotesi di reato del fatto contestato.
(Fattispecie relativa al sequestro di una patente di guida rilasciata sul presupposto di un certificato medico
falso, nella quale la Corte ha ritenuto superflua ogni ulteriore valutazione in punto di indizi di responsabilità
dell’indagata). (c.p.p., art. 321) (1)
(1) In senso conforme si esprimono Cass. pen., sez. II, 17 marzo 2010,
n. 10618, in Riv. pen., 2011, 229; Cass. pen., sez. I, 3 maggio 2006, n.
15298, ivi 2007, 460 e Cass. pen., sez. VI, 5 agosto 1999, n. 2672, ivi
2000, 185.
Svolgimento del processo
1. Con provvedimento in data 20 maggio 2013, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di
Enna, su conforme richiesta del Procuratore della Repubblica presso il medesimo Tribunale, disponeva il sequestro preventivo della patente di guida categoria “B” n.
EN5116684N rilasciata dalla M.T.T.C. di Enna ed intestata
a Zagarrio Dalila.
La Zagarrio risulta indagata per i seguenti reati:
- artt. 81 cpv., 110, 640, comma 2, 497-bis, 477, 482 c.p.
(capo 60);
- artt. 1 l. 475/1925, 61 n. 2 c.p. (capo 61).
Riteneva il Giudice per le indagini preliminari che fossero ravvisabili gravi indizi di colpevolezza a carico della
Zagarrio con riguardo al reato di falso nelle certificazioni
mediche utilizzate a corredo delle pratiche per il conseguimento della patente di guida e che la disponibilità del
titolo abilitativo comportasse aggravamento delle conseguenze del reato medesimo.
A seguito di ricorso nell’interesse della Zagarrio, il
Tribunale di Enna, in funzione di giudice del riesame,
con l’ordinanza impugnata, in accoglimento del gravame,
disponeva l’immediata restituzione dei beni in sequestro
all’avente diritto, evidenziando come:
- l’unico potere che sul merito della causa il giudice del
riesame fosse abilitato ad esercitare, si riferisce al raffronto tra fattispecie astratta (legale) e fattispecie concreta
(reale), così da imporre il suo potere demolitorio nei soli
casi in cui la difformità sia rilevabile “ictu oculi” e tale da
impedire alla misura di perseguire il suo fine tipico;
- fossero inutilizzabili ex art. 63 c.p.p. le dichiarazioni
rese dalla Zagarrio in data 25 gennaio 2013;
- le dichiarazioni del dott. Gaudioso costituissero materiale probatorio a livello indiziario irrilevante ai fini della
contestazione di reato in capo alla Zagarrio;
- non fossero dirimenti, ai fini dell’integrazione del reato di cui al capo 61), i tabulati telefonici relativi all’utenza
in uso all’indagata essendo rimasti oscuri sia i confini
territoriali delle celle e l’entità delle aree di riferimento,
sia la posizione dell’apparecchio telefonico (e, presumibilmente, del suo utilizzatore) nella frazione di tempo corrispondente a quella in cui erano in corso di svolgimento
gli esami.
2. Avverso tale provvedimento, il Procuratore della
Repubblica presso il Tribunale di Enna proponeva ricorso
per cassazione lamentando violazione di legge penale oltre
che mancanza e manifesta illogicità della motivazione.
In particolare, lamenta il ricorrente come il Tribunale
di Enna non abbia motivato in ordine all’ipotesi accusatoria degli artt. 477- 482 c.p., ovvero di avere concorso
con il coindagato Muscarà Giuseppe alla formazione e
alla produzione di un falso certificato medico, a firma
dott. Gaudioso, ai fini del rilascio della patente di guida.
Peraltro, anche a voler ipotizzare che l’attività di contraffazione del certificato fosse stata posta materialmente
in essere da soggetti terzi rispetto all’indagata, tuttavia
appare ragionevole ritenere che la stessa sia stata quantomeno realizzata ad iniziativa o con la collaborazione del
soggetto direttamente interessato alla formazione di tali
certificati, che era uno degli adempimenti necessari per
il rilascio della patente. Inoltre, se il certificato medico
è falso, la decisione del Tribunale era comunque in contrasto sia con l’art. 119 c.d.s. che con l’art. 240 c.p., essendo la falsa patente in sequestro bene destinato alla
successiva confisca. Infine, in ordine al valore dei tabulati
telefonici, il Tribunale, andando in contraddizione con
le osservazioni svolte nella premessa del provvedimento,
aveva finito per compiere una valutazione in ordine alla
sussistenza degli indizi di colpevolezza ed al requisito
della gravità, usurpando di fatto i poteri del giudice del
dibattimento.
Motivi della decisione
3. Preliminarmente va evidenziato come il ricorso può
essere esaminato solo in relazione alla dedotta violazione
di legge, non essendo consentita, in materia di misure
cautelari reali, la deduzione del vizio di motivazione (cfr.,
nell’ambito del medesimo procedimento, le precedenti
pronunce di questa Corte: Cass., sez. II, n. 1437 del 9 gennaio 2014 - dep. 15 gennaio 2014, P.M. c. Bongiovanni; Id.,
n. 1438 del 9 gennaio 2014 - dep. 15 gennaio 2014, P.M. c.
Calì).
4. Come è noto, secondo la giurisprudenza di questa
Corte, ricorre violazione di legge laddove la motivazione
stessa sia del tutto assente o meramente apparente, non
avendo i pur minimi requisiti per rendere comprensibile
Arch. nuova proc. pen. 4/2014
377
giur
L e g i t t i m i tà
la vicenda contestata e l’iter logico seguito dal giudice del
provvedimento impugnato. In tale caso, difatti, atteso l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, viene a mancare un elemento essenziale dell’atto. Va anche
ricordato che, anche se in materia di sequestro preventivo
il codice di rito non richiede che sia acquisito un quadro
probatorio serio come per le misure cautelari personali,
non è però sufficiente prospettare un fatto costituente reato, limitandosi alla sua mera enunciazione e descrizione.
È invece necessario valutare le concrete risultanze istruttorie per ricostruire la vicenda anche al semplice livello
di “fumus” al fine di ritenere che la fattispecie concreta
vada ricondotta alla figura di reato configurata; è inoltre
necessario che appaia possibile uno sviluppo del procedimento in senso favorevole all’accusa nonché valutare gli
elementi di fatto e gli argomenti prospettati dalle parti. A
tale valutazione, poi, dovranno aggiungersi le valutazioni
in tema di periculum in mora che, necessariamente, devono essere riferite ad un concreto pericolo di prosecuzione
dell’attività delittuosa ovvero ad una concreta possibilità
di condanna e, quindi, di confisca.
5. Fermo quanto precede, ritiene il Collegio come il ricorso in parola - in punto violazione di legge - sia fondato.
Non appare superfluo ricordare che, secondo le Sezioni
Unite di questa Suprema Corte, in tema di sequestro, la
verifica delle condizioni di legittimità della misura cautelare da parte del Tribunale del riesame o della Corte di
Cassazione non può tradursi in anticipata decisione della
questione di merito concernente la responsabilità della
persona sottoposta alle indagini in ordine al reato oggetto
di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale, rimanendo preclusa ogni valutazione riguardo alla sussistenza
degli indizi di colpevolezza ed alla gravità degli stessi
(Cass., sez. un., n. 7 del 23 febbraio 2000 - dep. 4 maggio
2000, rv. 215840). Ne consegue che, in tema di sequestro,
non è necessario valutare la sussistenza dei gravi indizi
di colpevolezza, essendo sufficiente che sussista il “fumus
delicti commissi”, vale a dire la astratta sussumibilità in
una determinata fattispecie di reato del fatto contestato
come ipotesi d’accusa (cfr., Cass., sez. VI, n. 2672 del 9
luglio 1999 - dep. 5 agosto 1999, rv. 214185). Non è perciò
necessario che la motivazione riguardi l’attribuibilità del
reato alla persona nei cui confronti è operato il sequestro,
essendo evidente che tale sequestro può colpire anche
beni di soggetti estranei al reato, ove ricorrano le esigenze
connesse all’accertamento dei fatti.
6. Nel caso in esame il Tribunale ha rilevato che sulla
scorta delle dichiarazioni rese dal dott. Gaudioso era ipotizzabile la falsità del certificato medico, presupposto per il
rilascio della patente di guida. Le valutazioni ulteriori del
Tribunale in punto di indizi di responsabilità dell’indagata
in ordine al reato ascrittole sono superflue ed illegittima la
decisione di dissequestro dei beni. L’ordinanza impugnata
deve pertanto essere annullata con rinvio al Tribunale di
Enna per nuovo esame. (Omissis)
378
4/2014 Arch. nuova proc. pen.
Corte di cassazione penale
sez. V, 23 gennaio 2014, n. 3552
(ud. 22 novembre 2013)
Pres. Bevere – Est. Lapalorcia – Ric. C.M.N.
Misure cautelari personali y Condizioni di applicabilità y Divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa ex art. 282
ter c.p.p. y Condotta persecutoria correlata a particolari ambiti territoriali y Esclusione y Libertà di
circolazione e di svolgimento della vita sociale del
soggetto passivo y Rilevanza y Erronea indicazione
della persona offesa all’interno del provvedimento
assunto y Classificazione y Mero errore materiale.
. Il divieto di avvicinamento previsto dall’art. 282-ter
c.p.p., riferendosi anche alla persona offesa in quanto
tale, e non solo ai luoghi da questa frequentati, esprime
una precisa scelta normativa di privilegio della libertà
di circolazione del soggetto passivo ovvero di priorità
dell’esigenza di consentire alla persona offesa il completo svolgimento della propria vita sociale in condizioni di sicurezza laddove la condotta di persistenza
persecutoria non sia legata a particolari ambiti locali.
Con la conseguenza che il contenuto concreto della misura in questione deve modellarsi rispetto alla predetta
esigenza e che la tutela della libertà di circolazione e
di relazione della persona offesa non trova limitazioni
nella sola sfera del lavoro, degli affetti familiari e degli
ambiti ad essa assimilabili. L’erronea indicazione, nel
provvedimento genetico della misura, della persona
offesa alla quale l’indagato non deve avvicinarsi costituisce un errore, meramente materiale, rimasto privo
di effetti da non essere neppure eccepito in sede di
riesame, tanto era chiara a quest’ultimo l’identità del
soggetto alla cui tutela la misura cautelare era preordinata. (Mass. Redaz.) (c.p.p., art. 282 ter)
Svolgimento del processo
1. Il Tribunale del riesame di Salerno, con ordinanza
6 maggio 2013, confermava il provvedimento applicativo
della misura cautelare del divieto di avvicinamento alla
persona offesa nei confronti di C.M., con l’imputazione
provvisoria di atti persecutori in danno di S.V..
2. Ha proposto ricorso l’indagato tramite il difensore
avv. M. Gallo, formulando due motivi di doglianza.
3. Con il primo viene riproposta, richiamando il relativo indirizzo giurisprudenziale di questa corte (Cass.
26819/2011), la questione dell’indeterminatezza del contenuto della misura per mancata precisazione dei luoghi,
frequentati dalla persona offesa, oggetto del divieto, rilevando pure come il divieto fosse stato riferito non a S.V.
ma alla sorella F.
4. Il secondo motivo investe la ritenuta sussistenza dei
gravi indizi ravvisati nelle dichiarazioni della p.o., della
madre della stessa, nonché del fidanzato e della sorella,
negli sms inoltrati dall’indagato a quest’ultima e nei post
inseriti dal C. sul proprio profilo facebook, trascurando,
giur
L e g i t t i m i tà
secondo il ricorrente, che le prime davano atto soltanto di
pedinamenti, gli sms - tra l’altro trascritti liberamente dalla sorella della p.o.- non erano né molesti né minacciosi, i
post non indicavano mai il nome della persona offesa
che tra l’altro avrebbe dovuto collegarsi al profilo del
C. per averne conoscenza. Sotto il profilo degli effetti del
reato, si rilevava che non era stato precisata l’alterazione
determinata alla S. dalla condotta dell’indagato, se non la
circostanza che non usciva più da sola.
5. Si chiedeva quindi l’annullamento senza, o, in subordine con rinvio, dell’ordinanza impugnata.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è infondato e va disatteso.
2. Il primo motivo reitera la questione dell’indeterminatezza del contenuto della misura per mancata precisazione
di tali luoghi, supportata da un indirizzo giurisprudenziale
di questa corte per il quale la misura cautelare prevista
dall’art. 282 ter c.p.p., esigerebbe l’indicazione specifica e
dettagliata dei luoghi oggetto del divieto di avvicinamento
imposto all’indagato (Cass. 26819/2011).
3. Il collegio ritiene però di dare continuità ad altro,
successivo, orientamento giurisprudenziale di legittimità
secondo cui il divieto di avvicinamento previsto dall’art. 282
ter c.p.p., riferendosi anche alla persona offesa in quanto
tale, e non solo ai luoghi da questa frequentati, esprime una
precisa scelta normativa di privilegio della libertà di circolazione del soggetto passivo ovvero di priorità dell’esigenza
di consentire alla persona offesa il completo svolgimento
della propria vita sociale in condizioni di sicurezza laddove
la condotta di persistenza persecutoria non sia legata a particolari ambiti locali. Con la conseguenza che il contenuto
concreto della misura in questione deve modellarsi rispetto
alla predetta esigenza e che la tutela della libertà di circolazione e di relazione della persona offesa non trova limitazioni nella sola sfera del lavoro, degli affetti familiari e degli
ambiti ad essa assimilabili (Cass. 13568/2012, 19552/2013).
4. Tale orientamento merita di essere privilegiato rispetto al precedente, evocato nel ricorso, in quanto prende
acutamente atto della maggior tutela apprestata dall’art.
282 ter, significativamente introdotto con la normativa
che ha creato la figura di reato degli atti persecutori, alla
Divieto di avvicinamento
anti - stalking ex art. 282
ter c.p.p.: il conflitto
in Cassazione sui contenuti
della misura cautelare
di Carmelo Minnella
vittima del reato, spesso oggetto di molesti pedinamenti,
tutela non realizzabile compiutamente attraverso il divieto di avvicinamento del soggetto agente a determinati luoghi, ma soltanto attraverso quello di avvicinamento alla
persona stessa dell’offeso.
5. Per quanto poi sia esatto il rilievo del ricorrente
circa l’erronea indicazione, nel provvedimento genetico
della misura, in S.F., sorella della persona offesa S.V., della
persona alla quale C. non deve avvicinarsi, tuttavia tale errore, meramente materiale, è rimasto a tal punto privo di
effetti da non essere neppure eccepito in sede di riesame,
tanto era chiara al C. l’identità del soggetto alla cui tutela
la misura cautelare era preordinata.
6. Ai limiti dell’ammissibilità è il secondo motivo che
investe la sussistenza dei gravi indizi. Nel sottovalutare
le dichiarazioni della persona offesa, della madre della
stessa, nonché del fidanzato e della sorella che davano
atto dei pedinamenti nei confronti della prima, e gli sms
inoltrati a quest’ultima nonchè i post inseriti dal C. sul
proprio profilo facebook, il ricorrente trascura non solo la
valenza gravemente indiziaria di tali elementi, ma anche
gli ulteriori dati indiziari emergenti dal provvedimento
impugnato, e cioè le offese e minacce dirette alla persona
offesa nei luoghi dalla stessa frequentati, ricordate dalla
sorella e dal fidanzato, e i messaggi inviati a S.V. tramite
facebook con i quali C. ne offendeva la reputazione sessuale e mostrava il proprio astio minacciando di farle del
male “non ti preoccupare che il conto sarà fatto in toto”,
“beh adesso paghi gli interessi”).
7. Quanto al profilo degli effetti del reato, mentre la
circostanza che la persona offesa abbia smesso di uscire
da sola configura già un’alterazione rilevante delle abitudini di vita determinata dalla condotta dell’indagato, si
evidenzia che l’ordinanza richiama comunque sul punto il
provvedimento genetico della misura il quale valorizzava
anche ulteriori aspetti, senza contare che la questione
non era stata specificamente sollevata con la richiesta
di riesame e con quelle formulate ad esito della relativa
udienza.
8. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Si ritiene di
disporre l’oscuramento dei dati identificativi. (Omissis)
SOMMARIO
1. La misura cautelare del divieto di avvicinamento e la sua
componente vittimologica. 2. L’irrilevanza dell’errore del
nome della persona offesa. 3. I contrastanti orientamenti
di legittimità sul contenuto della misura. 4. L’esatta portata
dell’orientamento prevalente e la sua (impropria) estensione.
5. Critiche all’orientamento prevalente e prospettive di superamento. 6. Nuovo orizzonte interpretativo della Suprema
Corte.
1. La misura cautelare del divieto di avvicinamento e la
sua componente vittimologica
La pronuncia in esame torna ad occuparsi della misura
cautelare del divieto di avvicinamento ex art. 282-ter c.p.p.,
introdotta dal D.L. 23 febbraio 2009 n. 11 (convertito in L.
Arch. nuova proc. pen. 4/2014
379
giur
L e g i t t i m i tà
23 aprile 2009 n. 38), ritagliata dal legislatore proprio in
relazione al delitto di atti persecutori (anche se non è da
escludere che la stessa possa avere un’applicazione generalizzata e viene applicata dalla giurisprudenza anche per
l’affine figura delittuosa dei maltrattamenti in famiglia),
(1) costituisce un argine alla reiterazione delle condotte
moleste e minacciose e/o un freno al rischio di attentati
alla genuinità della prova, per lo meno “in prima battuta”,
(2) salva l’applicazione di una misura più afflittiva qualora si dovesse aggravare il quadro cautelare o l’indagato
di stalking prosegua nel compimento delle sue incursioni
persecutorie. (3)
Viceversa, laddove vi sia un giudizio di attenuazione
delle esigenze cautelari (in origine talmente gravi da giustificare un’iniziale applicazione della custodia cautelare
o degli arresti domiciliari), ma non di completa elisione,
la misura del divieto di avvicinamento può rappresentare
l’ultimo passaggio cautelare prima della revoca di ogni
forma di restrizione della libertà personale (4).
Siamo all’interno di quel «microsistema cautelare
orientato alla tutela della vittima» (5) (o misure cautelari
“a tutela dell’offeso” (6)) che presenta peculiari caratteristiche, sia con riferimento ai contenuti delle misure – si
pensi alle previsioni di carattere limitativo-proibitivo,
con riguardo al divieto di contatti sia con la persona della
vittima, sia con il contesto nella quale essa vive (luoghi
e persone, quali i familiari di questa) – che agli effetti
cautelari, cioè conseguenze automatiche determinate
dall’applicazione della misura che possono attivare provvedimenti da parte di altre autorità (7).
La finalità della misura prevista dall’art. 282-ter c.p.p.
è stata sottolineata dalla giurisprudenza di legittimità:
«scopo della previsione è evidentemente quello di rispondere a specifiche ragioni di cautela special preventiva,
riferite non solo alla personalità dell’indagato ed alla proclività dello stesso alla commissione di reati, ma anche al
particolare rilievo che in questa prospettiva assumono la
posizione della persona offesa ed i rapporti fra la stessa
ed il soggetto agente; il che ricollega il campo applicativo
della norma a reati in cui è particolarmente significativa
la componente vittimologica, qual è senz’altro il delitto di
cui all’art. 612-bis c.p.» (8).
Tale peculiarità del divieto di avvicinamento alla persona offesa e ai luoghi da questa frequentati si riflette sul
contenuto della misura cautelare prevista dall’art. 282-ter
c.p.p. (come pure quella dell’allontanamento dalla casa
familiare di cui all’art. 282-bis c.p.p.) caratterizzata «per
essere normativamente “temperata” sulla situazione che
si vuole tutelare in via cautelare» (9). Infatti, mentre il
giudice penale è abituato a maneggiare misure cautelari
“interamente predeterminate”, che generalmente non
necessitano di integrazioni prescrittive e quando vi sono,
sono di minima entità, invece, sia l’allontanamento dalla
casa familiare, che il divieto di avvicinamento – misure
entrambe ispirate all’esperienza comparata dell’order of
380
4/2014 Arch. nuova proc. pen.
protection della legislazione di common law – si connotano perché affidano al giudice della cautela il compito,
oltre che di verificare i presupposti applicativi ordinari,
di riempire la misura di quelle prescrizioni essenziali per
raggiungere l’obiettivo cautelare ovvero per limitare le
conseguenze della misura stessa.
Tuttavia, proprio tale flessibilità e la scarna descrizione normativa dei contenuti del divieto di avvicinamento,
ampliando gli spazi di discrezionalità normalmente riconosciuti al giudice (alquanto esigui in materia di provvedimenti de libertate, caratterizzata da un elevato tasso
di legalità, per la massima salvaguardia della libertà personale dell’imputato), viene considerata «al limite della
compatibilità con l’art. 13 Cost., che ammette restrizioni
per mano dell’autorità giudiziaria “nei soli […] modi previsti dalla legge”» (10).
L’efficacia di queste misure, funzionali ad evitare il
pericolo della reiterazione delle condotte illecite, è quindi
subordinata a come il giudice le riempie di contenuti attraverso le prescrizioni che le norme gli consentono. Ne
consegue che per le misure in questione appare necessaria
la completa comprensione delle dinamiche che sono alla
base dell’illecito, nel senso che il giudice deve modellare
la misura in relazione alla situazione di fatto. Ciò comporta che «il pubblico ministero nella sua richiesta (e ancor
prima la polizia giudiziaria) dovrà ben rappresentare al
giudice, oltre agli elementi essenziali per l’applicazione
della misura, anche aspetti apparentemente di contorno,
che invece possono assumere una importanza fondamentale ai fini dei provvedimenti di allontanamento o di divieto di avvicinamento, che possono risultare utili per dare il
migliore contenuto al provvedimento cautelare» (11).
2. L’irrilevanza dell’errore del nome della persona offesa
L’erronea indicazione, nel provvedimento genetico della
misura, della persona offesa alla quale l’indagato non deve
avvicinarsi costituisce un errore, meramente materiale,
rimasto privo di effetti da non essere neppure eccepito in
sede di riesame, tanto era chiara a quest’ultimo l’identità
del soggetto alla cui tutela la misura cautelare era preordinata.
Il sottoposto al divieto di avvicinamento lamentava la
questione dell’indeterminatezza anche con riferimento
alla circostanza che il divieto fosse stato riferito non alla
persona offesa ma alla di lei sorella. Ma la Suprema Corte
risponde che «per quanto poi sia esatto il rilievo del ricorrente circa l’erronea indicazione, nel provvedimento genetico della misura, in S.F., sorella della persona offesa S.V.,
della persona alla quale C. non deve avvicinarsi, tuttavia
tale errore, meramente materiale, è rimasto a tal punto
privo di effetti da non essere neppure eccepito in sede di
riesame, tanto era chiara al C. l’identità del soggetto alla
cui tutela la misura cautelare era preordinata».
Sul punto, solo ove l’errore riguardi l’indagato (e non
la persona offesa) l’ordinanza cautelare è nulla, sebbene
giur
L e g i t t i m i tà
si è precisato che «in materia di misure cautelari, costituisce mero errore materiale, e non violazione dell’art. 292
comma 2 lett. a) c.p.p., che richiede a pena di nullità che
l’ordinanza cautelare contenga l’indicazione delle generalità dell’indagato, la imprecisione del solo “nome”, qualora
risultino esatti gli altri dati identificativi (cognome, luogo
e data di nascita) e non vi siano dubbi sulla corretta identificazione dell’indagato» (12).
Inoltre, l’indicazione delle generalità complete dell’indagato nell’ordinanza cautelare è indispensabile - essendone sanzionata da nullità l’omissione - solo nel caso
in cui si tratti di ordinanza adottata autonomamente, ex
art. 291 c.p.p., e non anche nel caso in cui essa sia emessa dopo la convalida dell’arresto in flagranza dell’indagato
ad opera della P.G., in quanto, in tal caso, l’identificazione
è stata già compiuta, in maniera esauriente e completa,
senza alcuna possibilità di errore sulla sua identità (13).
3. I contrastanti orientamenti di legittimità sul contenuto della misura
La sentenza in rassegna si inserisce all’interno del
conflitto tra le sezioni semplici della Suprema Corte,
sulla necessità o meno di indicare i luoghi abitualmente
frequentati dalla vittima di atti persecutori.
Secondo una prima posizione giurisprudenziale, tracciata dalla VI sezione della Suprema Corte, l’applicazione
della misura di cui all’art. 282-ter c.p.p. esigerebbe l’indicazione specifica e dettagliata dei luoghi oggetto del
divieto di avvicinamento imposto all’indagato.
Nell’ambito dei luoghi abitualmente frequentati la norma pretende che vengano individuati “luoghi determinati”,
perché solo in questo modo il provvedimento assume una
conformazione completa, che ne consente non solo l’esecuzione, ma anche il controllo che tali prescrizioni siano
osservate. D’altra parte, la completezza e la specificità
del provvedimento costituisce una garanzia per un giusto
contemperamento tra le esigenze di sicurezza, incentrate
sulla tutela della vittima, e il minor sacrificio della libertà
di movimento della persona sottoposta ad indagini.
In altri termini, deve ritenersi che con il provvedimento ex art. 282-ter c.p.p., il giudice debba necessariamente
indicare in maniera specifica e dettagliata i luoghi rispetto
ai quali all’indagato è fatto divieto di avvicinamento, non
potendo essere concepibile una misura cautelare, come
quella oggetto di esame, che si limiti a fare riferimento
genericamente “a tutti luoghi frequentati” dalla vittima.
Così concepito il provvedimento, oltre a non rispettare
il contenuto legale, appare strutturato in maniera del tutto generica, imponendo una condotta di non facere indeterminata rispetto ai luoghi, la cui individuazione finisce
per essere di fatto rimessa alla persona offesa.
A questo orientamento se ne contrappone un altro, più
recente e ormai prevalente nella giurisprudenza della V
sezione di Cassazione, secondo il quale il provvedimento
con il quale il giudice dispone, ex art. 282-ter c.p.p., il divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati
dalla persona offesa o il mantenimento di una determinata distanza non deve necessariamente indicare i luoghi
oggetto del divieto, ma può riguardare tutti i luoghi dalla
stessa frequentati (14).
Secondo tale posizione giurisprudenziale, la misura
cautelare in esame è stata oggetto nel tempo dei due accennati interventi normativi: dapprima la legge 4 aprile
2001, n. 154, art. 1, ha introdotto l’art. 282-bis c.p.p. che
prevede, al secondo comma, il divieto di avvicinamento
quale misura accessoria all’allontanamento dalla casa
familiare. Successivamente l’interpolazione del 2009 che,
prendendo atto della insufficienza di una tutela “statica”
dell’incolumità della vittima (laddove le circostanze rendano concreto il pericolo di un’aggressione della stessa
nel corso dello svolgimento della sua vita di relazione e
pertanto inadeguata una mera interdizione all’indagato
del luogo di abitazione della persona offesa), ha previsto
il divieto di avvicinamento quale misura principale ed
autonoma con il palese scopo di rendere detta tutela più
efficace in determinate situazioni; ed è particolarmente
significativo, a questo riguardo, che la disposizione sia stata introdotta contestualmente alla previsione del delitto
di atti persecutori.
Per la Suprema Corte, le modalità commissive del reato
di cui all’art. 612-bis c.p. «comprendono infatti quali manifestazioni tipiche il costante pedinamento della vittima,
da parte del soggetto agente, anche in luoghi nei quali la
prima si trovi occasionalmente, e l’espressione di atteggiamenti minacciosi o intimidatori anche in assenza di contatto fisico diretto con la persona offesa e purtuttavia dalla
stessa percepibili. Alle necessità indotte da quest’ultima
tipologia comportamentale soccorre la sostanziale estensione della nozione di “avvicinamento” al superamento di
una distanza minima della vittima, stabilita secondo le
esigenze di tutela suggerite dal caso concreto. Ma, in termini più generali, il riferimento oggettuale del divieto di
avvicinamento non più solo ai luoghi frequentati dalla persona offesa, ma altresì alla persona offesa in quanto tale,
esprime una precisa scelta normativa di privilegio, anche
nelle situazioni in esame, della libertà di circolazione del
soggetto passivo» (15).
La norma, in altre parole, esprime una scelta di priorità
dell’esigenza di consentire alla persona offesa il completo
svolgimento della propria vita sociale in condizioni di sicurezza da aggressioni alla propria incolumità anche laddove
la condotta dell’autore del reato assuma connotazioni di
persistenza persecutoria tale da non essere legata a particolari ambiti locali; con la conseguenza che è rispetto a
tale esigenza che deve modellarsi il contenuto concreto di
una misura la quale ha comunque natura inevitabilmente
coercitiva rispetto a libertà anche fondamentali dell’indagato.
Anche per la pronuncia in esame, «tale orientamento
merita di essere privilegiato rispetto al precedente, evocato
nel ricorso, in quanto prende acutamente atto della magArch. nuova proc. pen. 4/2014
381
giur
L e g i t t i m i tà
gior tutela apprestata dall’art. 282-ter, significativamente
introdotto con la normativa che ha creato la figura di reato
degli atti persecutori, alla vittima del reato, spesso oggetto
di molesti pedinamenti, tutela non realizzabile compiutamente attraverso il divieto di avvicinamento del soggetto
agente a determinati luoghi, ma soltanto attraverso quello
di avvicinamento alla persona stessa dell’offeso».
4. L’esatta portata dell’orientamento prevalente e la
sua (impropria) estensione
La sentenza in commento, inserendosi all’interno di
quest’ultimo orientamento, consente di svolgere alcune
importanti puntualizzazioni in ordine all’esatta portata
dell’interpretazione dell’art. 282-terc.p.p. da parte della
Suprema Corte.
Correttamente i giudici di legittimità ritengono – come
sostenuto dai precedenti arresti, a partire da quello della
sez. V, n. 13568/12 – che «la misura cautelare in esame,
per effetto dell’integrazione effettuata con l’introduzione
dell’art. 282-ter c.p.p., ha assunto una dimensione articolata in più fattispecie applicative, graduate in base alle
esigenze di cautela del caso concreto». Infatti la norma
consente di graduare, a seconda del quadro cautelare e
del grado di invasività delle condotte persecutorie e delle
proiezioni spaziali in cui le stesse si consumano, il contenuto della misura cautelare prevedendo il solo divieto di
avvicinamento ai luoghi di abituale frequentazione della
vittima (o ad una certa distanza di essi) (16) o di mantenere una certa distanza dalla persona offesa ovunque la
stessa si trovi (17), ovvero statuire sia un divieto di avvicinamento ‘personale’ che ai luoghi in cui si esplica la vita
della vittima di stalking (18).
Sul punto la Suprema Corte è chiarissima nel ritenere
che l’indicazione dei luoghi determinati frequentati dalla
persona offesa rimane invero significativa nel caso in cui
le modalità della condotta criminosa non manifestino un
campo d’azione che esuli dai luoghi nei quali la vittima
trascorra una parte apprezzabile del proprio tempo o costituiscano punti di riferimento della propria quotidianità
di vita, quali quelli indicati dall’art. 282-bis c.p.p., nel luogo di lavoro o di domicilio della famiglia di provenienza.
Quando viceversa, «ed è situazione come si è detto ricorrente per il reato di cui all’art. 612-bis c.p., la condotta
oggetto della temuta reiterazione abbia i connotati della
persistente ed invasiva ricerca di contatto con la vittima
in qualsiasi luogo in cui la stessa si trovi, è prevista la
possibilità di individuare la stessa persona offesa, e non i
luoghi da essa frequentati, come riferimento centrale del
divieto di avvicinamento. Ed in tal caso diviene irrilevante
l’individuazione di luoghi di abituale frequentazione della
vittima; dimensione essenziale della misura è invero a
questo punto il divieto di avvicinamento a quest’ultima
nel corso della sua vita quotidiana ovunque essa si svolga.
Nella situazione descritta, in generale, la predeterminazione dei luoghi di cui sopra risulterebbe chiaramente
dissonante con le finalità della misura. Essa verrebbe di
382
4/2014 Arch. nuova proc. pen.
fatto a porsi come un’inammissibile limitazione del libero
svolgimento della vita sociale della persona offesa, che viceversa costituisce precipuo oggetto di tutela della norma.
La vittima si vedrebbe invero costretta a contenere la propria libertà di movimento nell’ambito dei luoghi indicati
ovvero ad essere esposta, esorbitando dagli stessi, a quella
condizione di pericolo per la propria incolumità che si presuppone essere stato riconosciuta sussistente anche al di
fuori del perimetro della ricorrente frequentazione della
persona offesa» (19).
Analogo discorso deve farsi per quanto riguarda l’individuazione dei soggetti legati alla persona offesa da rapporti di parentela, di lavoro o di natura affettiva, ai sensi
dell’art. 282-ter, comma 2, c.p.p.; un’elencazione completa
ed esauriente non sarebbe possibile e quindi la prescrizione è necessariamente generica, mirando ad evitare
che attraverso attività molestatrice di persone legate alla
vittima, il molestatore possa indirettamente colpire quest’ultima. È evidente, pertanto, che la norma tende ad evitare determinati comportamenti nei confronti di persone
che l’indagato sa essere legate da particolari rapporti alla
persona offesa (20).
Secondo tale orientamento di legittimità, è “solo” nel
caso in cui il divieto di avvicinamento abbia ad oggetto
la persona offesa che non occorre individuare quali sono
i luoghi inibiti all’indagato di atti persecutori. Una volta
riconosciuta la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura del divieto di avvicinarsi “alla persona
offesa” non è necessaria una specifica predeterminazione
dei luoghi frequentati dalla vittima ed interdetti all’indagato, essendo sufficiente il richiamo ai luoghi “abitualmente” frequentati (21).
Quando, invece, l’ordinanza ex art. 282-ter c.p.p. si
limiti a vietare di avvicinarsi a tutti i luoghi frequentati
dalla persona offesa il divieto di avvicinamento potrà
avere solo una caratterizzazione “reale” e non “personale”,
con la conseguenza che dovranno essere specificamente
individuati i luoghi che siano abitualmente frequentati
dalla persona offesa (con l’esclusione di quelli nei quali
la presenza dell’offeso dovesse essere sporadica, occasionale, casuale e che di conseguenza non sarebbero in alcun
modo predeterminabili nel provvedimento restrittivo)
(22), pena la violazione del “contenuto legale” dell’art.
282-ter c.p.p..
In quest’ultimo senso, una pronuncia della V sezione
si è correttamente pronunciata ritenendo che pur essendo necessaria la specificazione dei luoghi di abituale
frequentazione della vittima di stalking, nel caso deciso
era presente il carattere della determinatezza, invece,
nella misura che prescrive all’obbligato di non avvicinarsi
alla “dimora” della persona offesa e al luogo in cui la stessa
“presta attività lavorativa” nonché al “luogo di dimora delle
sorelle”, «trattandosi di luoghi chiaramente individuati,
ben noti all’obbligato, sicché non risulta compromessa la
giur
L e g i t t i m i tà
chiarezza dell’obbligo, né viene imposto un obbligo esorbitante dalle finalità della cautela» (23).
Invece, in qualche pronuncia sembra estendere l’orientamento prevalente sulla non necessaria indicazione dei
luoghi di abituale frequentazione della persona offesa
anche qualora il divieto di avvicinamento non abbia ad
oggetto quest’ultima. In un caso, infatti, in cui la misura
cautelare degli arresti domiciliari era stata sostituita dalla diversa misura del divieto di avvicinarsi a tutti i luoghi
frequentati dalla persona offesa (la di lui moglie) e dalle
figlie della coppia, con particolare riguardo alle zone limitrofe la scuola frequentata dalle minori, che il ricorrente
era autorizzato a vedere solo secondo modalità già in atto,
documentate da relazioni dei competenti servizi sociali,
(24) la Suprema Corte richiama il prevalente orientamento di legittimità. Ma si tratta di un richiamo improprio in
quanto nel caso di specie mancava il divieto di avvicinamento alla vittima di atti persecutori.
Anche a voler accogliere l’orientamento della V sezione
della Cassazione, non basta, dunque, che sia contestato
il delitto di stalking per ritenere non necessario indicare
i luoghi del perimetro del dispiegarsi della quotidianità
della persona offesa. Occorre che la misura cautelare ex
art 282-ter c.p.p. abbia ad oggetto il divieto di avvicinamento della vittima delle condotte persecutorie.
5. Critiche all’orientamento prevalente e prospettive di
superamento
Una volta compiuta questa necessaria specificazione
sulla diversa disciplina del divieto di avvicinamento ai
luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, a
seconda che lo stesso sia posto (o meno) in aggiunta al
divieto di avvicinamento ‘personale’, la dottrina ha comunque criticato l’orientamento di legittimità più recente
– che reputa legittimi i provvedimenti che abbiano , tra i
contenuti prescrittivi, un divieto di accesso “a tutti i luoghi frequentati dalla persona offesa”, nelle ipotesi in cui il
giudice abbia deciso di imporre anche un divieto di avvicinamento dell’offeso – in quanto non solo aggrava il deficit
di legalità dell’istituto cautelare in questione, ma anche
rischia di «favorire nelle prassi il disimpegno dei giudici di
merito rispetto a laboriose sagomature del vincolo cautelare sulla concreta situazione pericolosa» (25).
L’indeterminatezza dei luoghi frequentati dalla persona
offesa connoterebbe, inoltre, il provvedimento cautelare
di eccessiva gravosità e da sostanziale ineseguibilità, al
punto da quasi addirittura rasentarne l’abnormità. Il controllo dell’osservanza delle prescrizioni sarebbe più sfuggente e le eventuali conseguenze sanzionatorie ex art. 276
c.p.p. rischiano di essere collegate a «violazione del tutto
incerte» (26).
In verità, su quest’ultimo aspetto parte della dottrina
e la Suprema Corte ricordano, con riferimento alle violazioni inconsapevoli delle prescrizioni cautelari che l’aggravamento della misura presuppone la rimproverabilità
delle trasgressioni: «non bisogna dimenticare, infatti, che
ai fini della valutazione del rispetto della misura si deve
tener conto anche dell’elemento soggettivo» (27).
Allora, come è stato ben affermato, «il punto più delicato è che la vaghezza del provvedimento non può non
incidere sull’onerosità della sua osservanza da parte del
destinatario, il quale rischia di trovarsi obbligato ad astenersi dal frequentare una lunga serie di luoghi, nei quali
può ragionevolmente ritenere possibile la presenza della
persona ‘protetta’» (28).
L’orientamento prevalente della Suprema Corte, confermato dalla sentenza in commento, non ritiene invece
fondate le preoccupazioni espresse nell’opposto orientamento giurisprudenziale e della dottrina in ordine alla
soggezione dell’indagato a limitazioni della propria libertà
personale di carattere indefinito, estranee alle proprie
intenzioni persecutorie e di fatto dipendenti dalla volontà
della persona offesa. Secondo i giudici di legittimità, «le
prescrizioni, anche nel generico riferimento al divieto di
avvicinarsi alla persona offesa ed ai luoghi in cui la stessa in concreto si trovi, mantengono invero un contenuto
coercitivo sufficientemente definito nell’essenziale imposizione di evitare contatti ravvicinati con la vittima, la
presenza della quale in un certo luogo è sufficiente ad indicare lo stesso come precluso all’accesso dell’indagato».
Invero, la Suprema Corte sembra confondere la problematica della necessaria predeterminazione dei luoghi
abitualmente frequentati dalla persona offesa ed inibiti
all’indagato con quella, alquanto diversa, degli incontri
occasionali tra l’indagato di atti persecutori e la persona
offesa.
Infatti, di maggior garanzia per gli stessi diritti di colui
che viene gravato dal divieto, risulta la soluzione che impone allo stalker di non avvicinarsi a tutti i luoghi frequentati
dalla vittima, e comunque di allontanarsi da detti luoghi in
ogni occasione di incontro. In altre parole, non vi è alcuna
compressione ingiustificata della libertà dell’indagato, né
vuota indeterminatezza delle modalità applicative della
misura: fermo restando che gli è proibito transitare in una
via determinata ed in prossimità dei luoghi abitualmente
frequentati dalla parte offesa, egli può recarsi dove vuole,
salvo doversene allontanare qualora incontri - anche imprevedibilmente - la persona da tutelare.
Sul punto, confermate le superiori riserve critiche in
ordine all’eccessiva onerosità del divieto ex art. 282-ter
c.p.p. nel caso in cui non vengano indicati specificamente i
luoghi interdetti a prescindere dall’attuale presenza della
persona offesa, è preferibile ritenere che restano esclusi
dall’obbligo imposto con la misura gli eventuali, occasionali e non prevedibili incontri (ad esempio camminando per
strada), purché in luoghi diversi da quelli che l’indagato
sa essere abitualmente frequentati per motivi di lavoro, di
vita o affettivi dalla persona offesa che non si traducano in
alcun tipo di contatto molesto (29).
Arch. nuova proc. pen. 4/2014
383
giur
L e g i t t i m i tà
6. Nuovo orizzonte interpretativo della Suprema Corte
L’orientamento seguito dalla Suprema Corte dalla
sentenza in rassegna sulla non necessaria indicazione dei
luoghi inibiti all’indagato nel caso in cui il provvedimento
cautelare ex art. 282-ter c.p.p. preveda il divieto di avvicinamento alla persona offesa del delitto di atti persecutori,
anche se tende a cristallizzarsi in seno al giudice di legittimità, va criticato per l’eccessiva intederminatezza del
contenuto prescrittivo della norma (30).
Per riportare la norma nell’alveo del principio di legalità processuale che sovraintende alle limitazione della
libertà personale, spetta all’interprete, ma soprattutto ai
giudici, perfezionare la norma sul piano applicativo con
l’aggiunta di congrue quantificazioni utili a conferire al
precetto la necessaria determinatezza (31).
Sembra, dunque, preferibile sposare il primo e meno
recente orientamento secondo il quale l’applicazione
della misura di cui all’art. 282-ter c.p.p. esigerebbe in ogni
caso, anche quando sia accompagnata dal divieto di avvicinamento alla presunta vittima di stalking, l’indicazione
specifica e dettagliata dei luoghi oggetto del divieto di
avvicinamento imposto all’indagato.
La completezza e la specificità del provvedimento
costituiscono, infatti, una garanzia per un giusto contemperamento tra le esigenze di sicurezza, incentrate
sulla tutela della vittima, e il minor sacrificio della libertà
personale e di movimento della persona sottoposta ad
indagini (32).
In tal senso, la posizione giurisprudenziale, relativa
alla non necessaria indicazione dei luoghi frequentati
dalla persona offesa qualora tale misura si aggiunga al
divieto di avvicinamento ‘personale’, è stata ritenuta
recentemente in contrasto con il divieto di cumulo di
misure cautelari sancito dalla nota sentenza La Stella
delle Sezioni Unite (33). In particolare, con la previsione
dell’art. 282-ter c.p.p. il legislatore ha previsto una triplice
modalità della fattispecie cautelare del divieto di avvicinamento che il giudice potrà considerare al fine di adeguare la tutela alle esigenze ravvisate nel caso di specie:
quella del divieto di avvicinamento ai luoghi determinati
abitualmente frequentati dalla persona offesa, quella di
mantenere una determinata distanza da tali luoghi e, infine, quella di mantenere una determinata distanza dalla
persona offesa. Mentre le prime due tipologie hanno come
riferimento “determinati luoghi” fissando rispetto ad essi
l’ambito nel quale l’inibizione è efficace, la terza, invece,
si incentra sulla “determinata distanza” da tenere rispetto
alla persona offesa. Il giudice ha quindi la possibilità di
adeguare l’intervento cautelare previsto dall’art. 282-ter
c.p.p. alle esigenze di specie attraverso le tre diverse flessioni previste, ma la scelta del divieto di avvicinamento ai
luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa deve
rispettare la connotazione legale che lo vuole riferito a
“determinati” luoghi, che è compito del giudice indicare a
pena di una censurabile indeterminatezza (34).
384
4/2014 Arch. nuova proc. pen.
Note
(1) BELLANTONI, Divieto di avvicinamento alla persona offesa
ex art. 282 ter c.p.p. e determinazione di luoghi e distanze, in Dir. pen.
proc., 2013, 1288.
(2) In molte pronunce cautelari, alla luce del quadro indiziario e
cautelare, il giudice ritiene “allo stato” la misura del divieto di avvicinamento ex art. 282-ter c.p.p. idonea a fronteggiare il pericolo di reiterazione del reato di atti persecutori: cfr., G.I.P. Trib. Catania, 2 ottobre 2009,
in Fam. min., 2010, 1, 59; G.I.P. Trib. Napoli, 30 giugno 2009, in Resp. civ.
prev., 2009, 11, p. 2319, in cui l’indagato, non accettando la decisione
della moglie di procedere a separazione legale, la cacciava di casa e, ciò
nonostante, la perseguitava, minacciava ed ingiuriava di continuo.
(3) Per Cass. pen., sez. V, 5 luglio 2011 n. 34520, in Ced Cass. 2011,
rv. 250927, «La reiterazione di condotte persecutorie nei confronti della
persona offesa legittima, in virtù dell’art. 299, comma 4, c.p.p., la sostituzione della misura applicata con altra più grave, con riferimento all’aggravarsi delle esigenze cautelari, trattandosi di fatti sintomatici di un più
elevato grado di pericolosità». Allo stesso modo, sez. V, 11 febbraio 2011
n. 15230, in Diritto e Giustizia 2011, in relazione alla contestazione provvisoria del reato di atti persecutori, ha ritenuto legittima la sostituzione
della misura del divieto di avvicinamento di cui all’art. 282-ter c.p.p con
quella più grave degli arresti domiciliari allorché l’indagato continui a tenere comportamenti minacciosi e molesti in danno della persona offesa,
tali da costituire ulteriori reiterazioni del reato in contestazione.
(4) Cass. pen., sez. V, 16 gennaio 2013, n. 36887, in Cass. pen., 2014,
n. 6.
(5) EPIDENDIO, (incontro di studio, organizzato dal C.S.M., il 19-21
ottobre 2009, sul tema La violenza sulle donne: inquadramento giuridico, indagini e giudizio), Gli strumenti di intervento cautelare in sede
civile e penale, in http://appinter.csm.it/incontri/relaz/18244.pdf.
(6) BRONZO, Profili critici delle misure cautelari “a tutela dell’offeso”, in Cass. pen., 2012, 3469.
(7) Per MAFFEO, Il nuovo delitto di atti persecutori (stalking): un
primo commento al D.L. n. 11 del 2009 (conv. con modif. dalla L. n. 38
del 2009), in Cass. pen., 2009, 2729, «quello disegnato dal legislatore è,
quindi, uno spettro di tutela molto ampio che rende più intenso il nucleo
di prevenzione della misura e che, guardando alle caratteristiche proprie dei fatti di stalking, sembra una scelta legislativa particolarmente
felice».
(8) Cass. pen., sez. V, 27 febbraio 2013, n. 14297, in questa Rivista,
2013, 2717; Cass. pen., sez. V, 16 gennaio 2012 n. 13568, in Cass. pen.,
2012, 3466, con nota di BRONZO, Profili critici delle misure cautelari “a
tutela dell’offeso”, cit.
(9) Cass. pen., sez. VI, 7 aprile 2011 n. 26819, in Ced. Cass. pen.
2011, rv. 250728.
(10) BRONZO, Profili critici delle misure cautelari “a tutela dell’offeso”, cit., p. 3473. MORELLI, Commento sub art. 9 D.L. 23 febbraio 2009
n. 11 (stalking), in Leg. pen., 2009, 499 s., avanza una critica alla formulazione dell’art. 282-ter c.p.p. sul piano della determinatezza e del rispetto del principio di legalità in materia cautelare, sottolineando che, «rispetto alla sostanziale precisione descrittiva delle altre misure cautelari,
qui la norma chiede al giudice di costruire la cautela di volta in volta,
offrendogli ben pochi appigli», per cui «il ruolo del giudice appare esorbitante e stona con i principi in materia di limitazioni temporanee della
libertà»; l’A., nel valorizzare il principio di legalità, ritiene che le esigenze ad esso connesse implichino «inderogabili pretese di determinatezza
nella creazione di ogni strumento cautelare», non essendo il legislatore
«autorizzato a licenziare fattispecie cautelari vaghe o indeterminate, la
cui precisa definizione sia lasciata alla dialettica tra pubblico ministero
e giudice». Ritiene, invece, che il divieto di avvicinamento è comunque
regolato dalla legge nei presupposti e nelle condizioni di applicabilità, in
conformità ai suesposti principi di legalità e di tassatività, COLLINI, Il
divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa tra
principio di legalità e discrezionalità giudiziale, in http://www.penalecontemporaneo.it (24 gennaio 2012), 3.
(11) Ancora Cass. pen., sez. VI, 7 aprile 2011, n. 26819, cit.
giur
L e g i t t i m i tà
(12) Cass. pen., sez. VI, 9 marzo 2006, n. 21939, in CED Cass. pen.,
2006, rv 234616.
(13) Cass. pen., sez. IV, 18 ottobre 2012, n. 3303, in CED Cass. pen.,
2012, rv 254960.
(14) PITTARO, Il delitto di atti persecutori (il c.d. stalking), in Fam
dir., 2014, 164.
(15) Cass. pen., sez. V, 16 gennaio 2012 n. 13568, cit.; Id., sez. V, 27
febbraio 2013, n. 14297, cit.; Id., sez. V, 26 marzo 2013, n. 19552, in Dir.
pen. proc., 2013, 1283.
(16) MARANDOLA, I profili processuali delle nuove norme in materia di sicurezza pubblica, di contrasto alla violenza sessuale e stalking,
in Dir. pen. proc., 2009, 967, ricorda che poiché l’art. 282-ter c.p.p. parla
di determinata distanza dai luoghi indicati nei commi 1 e 2, il giudice ha
l’obbligo di indicarla nel provvedimento.
(17) Non avendo predeterminato il legislatore la distanza che
l’indagato deve tenere dalle persone e dei luoghi da questi frequentati
indicati nell’ordinanza ex art. 282-ter c.p.p., LORUSSO, Sicurezza pubblica e diritto emergenziale: fascino ed insidie dei rimedi processuali, in
Dir. pen. proc., 2010, 3, p. 271, ha segnalato i rischi di provocare disparità
di trattamento, insiti nella concreta applicazione della misura, atteso
che al giudice è attribuito l’ampio potere discrezionale di determinare
caso per caso, la giusta distanza di sicurezza dell’autore delle condotte
persecutorie dalla persona offesa, ovvero dai luoghi da quest’ultima
abitualmente frequentati. Per GEMELLI, Stalking: la vicenda processuale del cacciatore e la sua preda, in Giust. pen., 2010, III, 498, «non è
causale, infatti, che le prime applicazioni giurisprudenziali presentano
un panorama assai variegato, nel quale la zona vietata non è uniformata
su tutto il territorio nazionale»
(18) Il diverso grado di afflittività di siffatte tipologie cautelari
presentano un grado di afflittività assai variabile che «impone all’autorità giudiziaria un attento dosaggio della restrizione che, da un lato
‘compensi’ il modesto tasso di legalità e, dall’altro, assicuri il rispetto
del fondamentale principio di adeguatezza – minimo sacrificio alla
libertà necessario al soddisfacimento del bisogno preventivo – anche
alla concreta conformazione del vincolo»: così, BRONZO, Osservazioni
a Cass. pen., sez. V, 27 febbraio 2013, n. 14297, cit., in Cass. pen., 2013,
2722-2723, il quale aggiunge che viene in gioco il rispetto del ‘principio
di proporzione’, utilizzato dalla giurisprudenza della Corte europea dei
diritti dell’uomo per valutare la legittimità convenzionale delle misure
privative della libertà personale.
(19) Cass. pen., sez. V, 16 gennaio 2012 n. 13568, cit., ripresa pedissequamente da Cass. pen., sez. V, 26 marzo 2013, n. 19552, cit.
(20) Cass. pen., sez. V, 27 febbraio 2013, n. 14297, cit.
(21) Cass. pen., sez. V, 26 marzo 2013, n. 19552, cit.; Sez. V, 27 febbraio 2013, n. 14297, cit.
(22) BRONZO, Profili critici delle misure cautelari “a tutela dell’offeso”, cit, 3476; per BELLANTONI, Divieto di avvicinamento alla persona
offesa ex art. 282 ter c.p.p. e determinazione di luoghi e distanze, cit., «la
norma, dunque, facendo riferimento a luoghi “determinati”, richiede di
certo l’esatta indicazione di essi, mediante l’utilizzo di precisi dati validi
a specificamente e inequivocabilmente indicati in concreto. Inoltre, ponendosi l’accento sull’avverbio “abitualmente”, frequentati dalla persona
offesa, riferito al dover essere dei luoghi stessi, si deduce come la disposizione intende riferirsi ai luoghi soliti, consueti e legati all’abitudine
della persona offesa. Laddove, poi, e per di più, l’aggettivo “frequentati”
da ultimo, è obbligatoriamente da intendersi come riferito a luoghi che
siano visitati assiduamente dalla persona offesa».
(23) Cass. pen., sez. V, 4 aprile 2013, n. 27798, in Diritto e Giustizia
(5 aprile 2013).
(24) Cass. pen., sez. V, 16 gennaio 2013, n. 36887, cit.; il provvedimento prescriveva altresì all’indagato di non comunicare con la denunciante o con i familiari conviventi della donna, neppure mediante squilli
telefonici o clacson.
(25) BRONZO, Profili critici delle misure cautelari “a tutela dell’offeso”, cit., 3473. Ed, invece, l’attento esercizio della discrezionalità giudiziale (legato alla sommaria tipizzazione normativa) si impone anche
perché, essendo l’apparato ‘probatorio’ sul quale poggia la misura cautelare è spesso costituito unicamente dall’offeso, quest’ultimo potrebbe
trasferire nella dinamica cautelare sentimenti di astio o di risentimento,
ove, ad esempio, il procedimento penale e l’intervento cautelare si interseca con il ricorso di separazione personale tra i coniugi. E ad aggravare
siffatto quadro si consideri che, , come sottolineato da Cass. pen., sez.
III, 20 novembre 2013, n. 6384, in Fam. Dir., 2014, n. 6, «il contesto conflittuale originato dalla crisi della relazione di coppia tra i due coniugi
non è assolutamente idoneo ad escludere o ridurre la sussistenza dei
gravi indizi di colpevolezza del reato di atti persecutori, ma anzi appare
assai rilevante, tant’è che l’art. 612-bis, comma 2, c.p., prevede addirittura come aggravante l’esistenza di rapporti di coniugio o di pregressi
rapporti affettivi tra le parti». Nel caso di spese, i giudici di legittimità
hanno ritenuto illogico negare la misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla ex moglie laddove si riconosce un
comportamento molesto del marito legalmente separato in un clima di
grande conflittualità familiare.
(26) MORELLI, Commento sub art. 9, cit., 506.
(27) Cass. pen., sez. V, 27 febbraio 2013, n. 14297, cit., 2720.
(28) BRONZO, Osservazioni a sez. V, 27 febbraio 2013, n. 14297,
cit., 2723.
(29) In questi termini, Cass. pen., sez. V, 27 febbraio 2013, n. 14297, cit.
(30) CIAVOLA, Profili di diritto processuale e penitenziario in tema
di coppie di fatto, in http://www.penalecontemporaneo.it, 27 s.
(31) NEGRI, Le misure cautelari a tutela della vittima: dietro il
paradigma flessibile, il rischio di un’incontrollata prevenzione, in Giur.
it., 2012, 470.
(32) BELLANTONI, Divieto di avvicinamento alla persona offesa ex
art. 282 ter c.p.p. e determinazione di luoghi e distanze, cit., 1291.
(33) Cass. pen., sez. un., 30 maggio 2006 n. 29907, in Cass. pen.,
2006, 3973, per la quale «il codice di procedura penale, sulla scorta
del modello fornito dalla formula costituzionale, all’interno dei pilastri
fondamentali del sistema delle cautele incidenti sulla libertà personale,
sancisce nell’art. 272 c.p.p. che “le libertà della persona possono essere
limitate con misure cautelari soltanto a norma delle disposizioni del
presente titolo”. Quella espressa dalla norma processuale non è la mera
sottolineatura della necessità di previsione legale, che già scaturisce dalla doppia riserva, di legge e di giurisdizione, dettata dall’art. 13, comma 2,
Cost. per ogni forma di compressione della libertà personale riflettendosi
in essa piuttosto il proposito di ridurre ad un “numero chiuso” le figure
di misure limitative della libertà utilizzabili in funzione cautelare nel
corso del procedimento penale, non potendo quindi essere applicate
misure e prescrizioni diverse da quelle espressamente considerate. È
grazie soprattutto all’impiego dell’avverbio «soltanto» che il significato
garantistico del principio di legalità si apprezza sotto il profilo della tassatività e tipicità, in quanto diretto a vincolare rigorosamente alla previsione legislativa (cioè ai soli “casi e modi” previsti dalla legge) l’esercizio
della discrezionalità del giudice a cui è inibito creare ex novo, attraverso
l’osmosi e il cumulo di più prescrizioni o misure, ulteriori “tipi”, estranei
alla pur vasta gamma degli specifici modelli, coercitivi ed interdittivi,
normativamente predisposti».
(34) Cass. pen., sez. V, 28 marzo 2014, n. 14766, in Guida dir., 2014,
18, 68.
Arch. nuova proc. pen. 4/2014
385
Merito
Tribunale penale di Macerata
sez. Gip/Gup, 28 marzo 2014
Est. Potetti – Imp. X
Misure cautelari personali y Custodia cautelare in carcere y Durata y Interruzione dei termini y
Condizioni y Passaggio in giudicato della sentenza
di condanna y Esclusione.
Misure cautelari personali y Custodia cautelare
in carcere y Durata y Interruzione dei termini y Passaggio in giudicato della sentenza di condanna y
Periodo intercorrente fra il passaggio in giudicato
della sentenza e l’avvio della fase di esecuzione
della pena y Questioni relative alla misura cautelare custodiale y Competenza y Individuazione.
. La misura cautelare custodiale non viene interrotta
in via automatica dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna, ma si protrae fino a confluire ed a
trasformarsi, anche retroattivamente, in detenzione a
titolo di pena, non oltre l’apertura della fase esecutiva.
(c.p.p., art. 300) (1)
. Nel periodo intercorrente fra il passaggio in giudicato
della sentenza e il concreto avvio della fase di esecuzione della pena (ma non oltre) la competenza per la
risoluzione delle questioni relative alla misura cautelare custodiale spetta al giudice dell’esecuzione, in quanto unico giudice procedente in quella fase medesima,
nonché giudice istituzionalmente designato a decidere
su ogni questione comunque connessa all’esecuzione
della sentenza. (c.p.p., art. 300) (2)
(1) La sentenza in epigrafe segue l’orientamento espresso da Cass.
pen., sez. IV, 7 novembre 1997, n. 2761, in questa Rivista 1998, 458,
secondo cui l’efficacia delle misure cautelari viene meno, secondo
l’art. 300, comma 3, c.p.p., soltanto se la pena irrogata è dichiarata
estinta ovvero condizionalmente sospesa e non quando, a seguito di
sentenza di condanna, deve essere ancora eseguita. Nel senso invece
di ritenere che il passaggio in giudicato della sentenza sia previsto
fra le cause di estinzione delle misure cautelari di cui agli artt. 300
e 303 c.p.p., v. Cass. pen., sez. VI, 8 maggio 2008, n. 18733, ivi 2008,
833.
(2) Analogo principio si rinviene, pur con riferimento alle misure
cautelari non custodiali, in Cass. pen., sez. un., 11 maggio 2011, n.
18353, in questa Rivista 2011, 407.
Svolgimento del processo e motivi della decisione
Il Giudice
pronunciando sulla richiesta di autorizzazione ad
allontanarsi dalla propria abitazione, a firma degli avv.
(omissis), depositata in data (omissis) nell’interesse di X,
attualmente agli arresti domiciliari in proc. n. (omissis),
osserva quanto segue.
1) Ultrattività della misura cautelare rispetto al giudicato.
L’art. 300, comma 3, c.p.p. prevede che quando in qualsiasi grado del processo è pronunciata sentenza di condanna, le misure perdono efficacia se la pena irrogata è
dichiarata estinta ovvero condizionalmente sospesa.
Stabilendo con chiarezza che, nella fase susseguente
ad una pronuncia di condanna, le misure cautelari in atto
perdono efficacia solo nelle ipotesi di declaratoria di estinzione della pena o di sua sospensione condizionale (cioè
in casi nei quali la stessa sentenza di condanna esclude
in radice ogni prospettiva di applicazione della pena), la
norma sopra ricordata rende invece chiaro che, negli altri casi, le misure cautelari sono destinate a conservare la
loro efficacia, secondo le regole loro proprie, nella fase che
precede l’esecuzione della sentenza di condanna.
Una siffatta interpretazione appare, da un lato, conforme alle nitide indicazioni che provengono dal codice
di rito e, dall’altro lato, è quella che meglio risponde alla
logica del sistema cautelare.
Infatti, è l’unica idonea ad evitare il paradosso della cessazione automatica ed immediata delle misure cautelari
nello stesso momento nel quale viene pronunciata una
sentenza di condanna (o ad essa parificata, come nel caso
di “patteggiamento) suscettibile di effettiva esecuzione (v.
Cass., Sez. VI, n. 17 giugno 2007; conf. Cass., n. 18733-08).
Del resto, pronunciandosi in una fattispecie in cui la
sospensione riguardava l’esecuzione della pena in attesa
del procedimento di sorveglianza sull’istanza di affidamento ai servizi sociali, la Cassazione ha già avuto modo
di affermare l’orientamento qui espresso, affermando che
l’efficacia delle misure cautelari viene meno, secondo
l’art. 300, comma 3, c.p.p., “soltanto” se la pena irrogata è
dichiarata estinta ovvero condizionalmente sospesa e non
quando, a seguito di sentenza di condanna, deve essere
ancora eseguita (v. Cass., IV, n. 2761-97).
Cass., n. 33132-12 ha poi chiarito che la norma di cui
all’art. 300 cod. proc. pen., stabilendo, al comma 3, che
le misure cautelari perdono immediatamente efficacia
quando la pena irrogata con la sentenza di condanna è dichiarata estinta o condizionalmente sospesa, ossia in casi
nei quali la stessa sentenza di condanna esclude ogni possibilità concreta di esecuzione della pena inflitta, rende
manifesto come, negli altri casi, le misure cautelari sono
destinate a conservare la loro efficacia nella fase che precede l’espiazione, per cui quando la sentenza di condanna
sia diversa da quelle espressamente indicate dall’art. 300
Arch. nuova proc. pen. 4/2014
387
giur
Merito
comma 3, cit., la misura cautelare custodiale rimane valida ed efficace perché funzionalmente predisposta alla
successiva instaurazione della fase esecutiva ad iniziativa
del pubblico ministero, ma solo sino a che tale iniziativa
non sia in concreto assunta; tale conclusione trova conferma nelle previsioni, da un lato dell’art. 656 cod. proc. pen.,
il quale ai commi 5 e 9, lett. b), fa dipendere, negandola, la
concedibilità della sospensione delle pene brevi dalla misura cautelare in corso, e, al comma 10, prevede che fino
alla decisione del giudice di sorveglianza, il condannato
permanga nello stato detentivo domiciliare nel quale si
trova, dall’altro dell’art. 657 c.p.p., comma 1, che stabilisce
come il periodo di custodia cautelare ancora in corso sia
inserito nel computo della pena detentiva da eseguire.
Esse dimostrano chiaramente che la predetta custodia
non è interrotta in via automatica dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna, ma si protrae fino a confluire ed a trasformarsi, anche retroattivamente, in detenzione espiativa, non oltre l’apertura della fase esecutiva.
2) La competenza a provvedere.
Premesso quanto sopra (e affermata, cioè, l’ultrattività della misura cautelare rispetto al passaggio in giudicato della sentenza), occorre decidere quale autorità
giudiziaria abbia competenza a decidere in ordine alle
questioni/istanze successive al medesimo passaggio in
giudicato.
Ad avviso di questo giudice, per la competenza vale, anche per le misure cautelari custodiali, quanto già affermato
dalle Sezioni Unite, n. 18353-11 (che si occupavano delle
misure cautelari non custodiali), nella parte (di valenza
generale) in cui esse presero atto che nella realtà pratica
388
4/2014 Arch. nuova proc. pen.
non si può escludere che insorgano comunque problemi in
ordine alla (sorte o modificazione della) misura cautelare,
nel periodo (che può rivelarsi non breve) intercorrente
fra il passaggio in giudicato della sentenza e il concreto
avvio della fase di esecuzione della pena.
Ma solo in questa fase la competenza per la loro
risoluzione spetta (come già ritenuto da Cass., n. 3109409) al giudice dell’esecuzione, in quanto unico giudice
“procedente” in quella fase medesima, nonché giudice
istituzionalmente designato a decidere su ogni questione
comunque connessa all’esecuzione della sentenza.
Infatti dette Sezioni Unite, applicando quanto sopra
alla fattispecie di causa, nella quale era sorto un conflitto
fra giudice dell’esecuzione e magistrato di sorveglianza
in ordine alla competenza a provvedere su una istanza di
revoca della misura dell’obbligo di soggiorno presentata
dopo il passaggio in giudicato della sentenza e prima
dell’inizio della sua esecuzione, risolsero il conflitto stesso
nel senso dell’attribuzione della competenza a provvedere
al giudice dell’esecuzione.
3) Conclusione.
Nel caso di specie, per quanto sopra si è detto, la misura cautelare custodiale (arresti domiciliari) vige effettivamente oltre il giudicato.
Tuttavia, l’Ufficio Eecuzioni Penali della Procura della
Repubblica in sede ha già (da tempo) comunicato l’inizio
dell’esecuzione penale.
Ne consegue (per quanto sopra si è detto) che deve
ritenersi cessata la competenza funzionale di questo giudice dell’esecuzione a provvedere sulla misura cautelare
de qua. (Omissis)
Massimario
I testi dei documenti qui riprodotti sono desunti dagli Archivi del Centro elettronico di documentazione della Corte di cassazione. I titoli sono stati elaborati dalla redazione
Appello penale
■ Cognizione del giudice di appello – Benefici – Pronuncia
di condanna in riforma dell’assoluzione di primo grado.
Nell’ipotesi in cui il giudice d’appello, su impugnazione del P.M.,
riformi la sentenza assolutoria di primo grado pronunciando
condanna dell’imputato, deve motivare, pur in assenza di specifiche deduzioni di parte, circa l’eventuale, mancata, concessione della sospensione condizionale della pena o di altri analoghi
benefici. F Cass. pen., sez. VI, 28 marzo 2013, n. 14758 (ud. 27
marzo 2013), V. (c.p., art. 163; c.p.p., art. 597). [RV254690]
■ Cognizione del giudice di appello – Circostanze – Impugnazione del p.m..
Non incorre nel vizio di ultrapetizione la pronuncia del giudice di
appello che, accogliendo l’impugnazione del pubblico ministero
in ordine al riconoscimento di una circostanza aggravante (nella specie, ex art. 609 ter c.p.), ponga officiosamente quest’ultima
in comparazione con le attenuanti generiche già riconosciute.
F Cass. pen., sez. IV, 26 febbraio 2013, n. 9159 (ud. 8 gennaio
2013), B. (c.p., art. 609 ter; c.p.p., art. 597). [RV254935]
■ Cognizione del giudice di appello – Reformatio in peius
– Appello del solo imputato ai fini della diminuzione della
pena.
In ipotesi di appello del solo imputato con richiesta di diminuzione della pena, il giudice non può riformare in senso negativo
il giudizio di comparazione tra circostanze attenuanti ed aggravanti, anche senza incidere sulla sanzione inflitta. F Cass. pen.,
sez. I, 18 febbraio 2013, n. 7904 (ud. 12 giugno 2012), Ippoliti.
(c.p.p., art. 597). [RV254914]
■ Cognizione del giudice di appello – Reformatio in peius
– Estensione del divieto alle statuizioni civili.
Il divieto di “reformatio in peius” concerne esclusivamente le
disposizioni di natura penale, ma non si estende alle statuizioni
civili della sentenza. F Cass. pen., sez. V, 20 febbraio 2013, n.
8339 (ud. 18 ottobre 2012), T. (c.p.p., art. 597). [RV255014]
■ Decreto di citazione – Difensore designato dopo la notificazione a quello risultante dagli atti – Nuova notifica.
La rituale esecuzione della notifica del decreto di citazione per
il giudizio di appello al difensore di fiducia non determina a
carico dell’ufficio procedente alcun obbligo di ulteriore notifica
al nuovo difensore successivamente nominato dall’imputato ancorchè l’altro difensore risulti essere stato revocato e, pertanto,
la relativa omissione non è causa di nullità. F Cass. pen., sez. IV,
28 marzo 2013, n. 14700 (ud. 10 gennaio 2013), Sigrisi. (c.p.p.,
art. 178; c.p.p., art. 601). [RV254747]
■ Decreto di citazione – Termine per il giudizio – Violazione del termine di venti giorni.
In tema di giudizio di appello, la violazione del termine a comparire, stabilito in venti giorni dall’art. 601, comma terzo, c.p.p.,
comporta una nullità di ordine generale a regime intermedio
che, se non sanata ai sensi dell’art. 184 c.p.p., impone al giudice
la rinnovazione dell’atto, ex art. 185, a seguito della quale non
è consentito integrare il termine originario insufficiente, occorrendo provvedere alla sua integrale rinnovazione, di modo che
sia sempre garantito un termine libero di venti giorni con carattere consecutivo, trattandosi di termine previsto per garantire
in modo adeguato l’intervento, l’assistenza e la rappresentanza
dell’imputato. F Cass. pen., sez. IV, 18 ottobre 2012, n. 40897 (ud.
28 settembre 2012), Migliorino (c.p.p., art. 178; c.p.p., art. 180;
c.p.p., art. 182; c.p.p., art. 601). [RV255005]
■ Dibattimento – Rinnovazione dell’istruzione – Diversa
valutazione di attendibilità di un teste ritenuto in primo
grado inattendibile.
Il giudice di appello per riformare in “peius” una sentenza assolutoria è obbligato - in base all’art. 6 CEDU, così come interpretato dalla sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo
del 5 luglio 2011, nel caso Dan c/Moldavia - alla rinnovazione
dell’istruzione dibattimentale solo quando intende operare
un diverso apprezzamento di attendibilità di una prova orale,
ritenuta in primo grado non attendibile. F Cass. pen., sez. VI, 12
aprile 2013, n. 16566 (ud. 26 febbraio 2013), Caboni ed altro. (l.
4 agosto 1955, n. 848, art. 6; c.p.p., art. 593; c.p.p., art. 603).
[RV254623]
■ Dibattimento – Rinnovazione dell’istruzione – Giudizio
abbreviato.
Il giudice di appello qualora intenda riformare la precedente
sentenza di assoluzione deve procedere alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale per l’audizione dei testimoni ritenuti
inattendibili, a nulla rilevando che il procedimento in primo
grado sia stato definito con il rito abbreviato. (Fattispecie nella
quale la S.C., richiamando la sentenza CEDU del 5 luglio 2011
nel caso Dan c/Moldavia, ha annullato con rinvio la sentenza di
appello per assumere le dichiarazioni dei soggetti che avevano
appreso la notizia degli abusi sessuali subiti dal minore e per
esaminare la stessa vittima non escussa in incidente probatorio,
in quanto la registrazione dei colloqui non assicurava le esigenze del contraddittorio). F Cass. pen., sez. III, 6 febbraio 2013, n.
5854 (ud. 29 novembre 2012), R.. (c.p.p., art. 192; c.p.p., art.
438; c.p.p., art. 593; c.p.p., art. 603). [RV254850]
■ Dibattimento – Rinnovazione dell’istruzione – Obbligatorietà in caso di reformatio in peius in appello di sentenza di assoluzione.
È manifestamente infondata l’eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 603 c.p.p. per contrasto con l’art. 117 della Costituzione e con l’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti
dell’Uomo (così come interpretato dalla sentenza della Corte
europea dei diritti dell’Uomo del 5 luglio 2011, nel caso Dan c/
Moldavia), nella parte in cui non prevede la preventiva necessaria obbligatorietà della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per una nuova audizione dei testimoni già escussi in
primo grado, nel caso in cui la Corte di Appello intenda riformare “in peius” una sentenza di assoluzione dell’imputato. (In
motivazione, la Corte ha rilevato che l’art. 603 c.p.p., nella interpretazione datane dalla giurisprudenza, è perfettamente coincidente e sovrapponibile con il principio di diritto enunciato dalla
Corte Edu, consentendo un’ampia possibilità di rinnovazione
del dibattimento, su richiesta di parte o di ufficio, anche per procedere alla riassunzione di prove già assunte in primo grado). F
Cass. pen., sez. II, 27 novembre 2012, n. 46065 (ud. 8 novembre
2012), Consagra. (c.p.p., art. 603; l. 4 agosto 1955, n. 848, art.
6). [RV254726]
Arch. nuova proc. pen. 4/2014
389
mas
Ma s s i m a r i o
■ Dibattimento – Rinnovazione dell’istruzione – Prova
nuova disposta dal giudice.
La rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel giudizio di
appello implica, a norma dell’art. 495, comma primo, c.p.p.,
che, a fronte dell’ammissione di prove a carico, l’imputato ha
diritto all’ammissione delle prove a discarico sui fatti costituenti oggetto delle prime, nel rispetto dei parametri previsti dagli
artt. 190 e 190 bis c.p.p., con esclusione, quindi, delle sole prove
vietate dalla legge o manifestamente superflue o irrilevanti. (In
applicazione del principio, la Corte ha annullato con rinvio la
sentenza impugnata che aveva respinto la richiesta di ammissione di prove a discarico ritenendo le stesse ‘non necessariè).
F Cass. pen., sez. VI, 21 febbraio 2013, n. 8700 (ud. 21 gennaio
2013), Leonardo e altri. (c.p.p., art. 190; c.p.p., art. 190 bis;
c.p.p., art. 495; c.p.p., art. 603). [RV254585]
■ Dibattimento – Rinnovazione dell’istruzione – Prova
sopravvenuta o scoperta.
In tema di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, per prova “sopravvenuta o scoperta” dopo la sentenza di primo grado si
intende la prova con carattere di novità, rinvenibile laddove essa
sopraggiunga autonomamente, senza alcuno svolgimento di attività, o quando venga reperita dopo l’espletamento di un’opera
di ricerca, la quale dia i suoi risultati in un momento posteriore
alla decisione. (Fattispecie nella quale è stata ritenuta illegittima la mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale
per l’assunzione in appello della deposizione di un testimone
rintracciato ed identificato dopo la conclusione del giudizio di
primo grado). F Cass. pen., sez. III, 12 marzo 2013, n. 11530 (ud.
29 gennaio 2013), A.E. (c.p.p., art. 495; c.p.p., art. 603; c.p.p.,
art. 606). [RV254991]
■ Dibattimento – Rinnovazione dell’istruzione – Sentenza
di proscioglimento.
Il giudice d’appello per procedere alla “reformatio in peius”
della sentenza assolutoria di primo grado non è tenuto a procedere alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale. (La Corte
ha precisato che, nel caso specie, il giudice d’appello non ha
compiuto una rivisitazione in senso peggiorativo delle prove
già acquisite, ma ha fornito una lettura corretta e logica degli
elementi probatori palesemente travisati dal primo giudice).
F Cass. pen., sez. IV, 25 gennaio 2013, n. 4100 (ud. 6 dicembre
2012), Bifulco. (c.p.p., art. 603). [RV254950]
■ Provvedimenti appellabili e inappellabili – Appello contro sentenza di assoluzione nella vigenza della legge n. 46
del 2006 – Omessa pronuncia.
Il giudice di appello che, investito d’impugnazione del P.M. avverso sentenza di assoluzione, non ne abbia ancora pronunciato
l’inammissibilità ai sensi della legge n. 46 del 2006, legittimamente decide su di essa, anche se il gravame sia stato proposto nella
vigenza di tale legge, a seguito del sopravvenire della sentenza
n. 26 del 2007 della Corte cost., dichiarativa dell’illegittimità
costituzionale dell’art. 593 c.p.p., nella parte in cui esclude il
potere del P.M. di appellare le sentenze di proscioglimento, fatta
eccezione per le ipotesi previste dall’art. 603, comma secondo,
c.p.p., se la prova è decisiva, attesa l’efficacia “ex tunc” delle
pronunce di annullamento. F Cass. pen., sez. VI, 7 marzo 2013,
n. 10887 (ud. 11 ottobre 2012), Alfiero e altri. (c.p.p., art. 593;
c.p.p., art. 603; l. 20 febbraio 2006, n. 46). [RV254784]
Applicazione
delle parti
della
pena
su
richiesta
■ Pena – Applicazione di pena detentiva superiore ai due
anni – Applicazione delle pene accessorie e condanna alle
spese processuali.
In caso di patteggiamento di una pena detentiva superiore ai
due anni devono essere necessariamente applicate le pene accessorie obbligatorie per legge e l’imputato deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e a quelle di custodia
cautelare. F Cass. pen., sez. VI, 21 febbraio 2013, n. 8723 (c.c. 6
390
4/2014 Arch. nuova proc. pen.
febbraio 2013), P.G. in proc. Crudele. (c.p.p., art. 444; c.p.p.,
art. 445). [RV254689]
■ Pena – Determinazione – Mancato riconoscimento di
attenuante concordata.
In tema di patteggiamento, è inammissibile l’impugnazione della
sentenza che applica la pena nella misura finale esattamente
concordata dalle parti, anche se non sia concessa un’attenuante
pure prevista nell’accordo, ma non esplicitamente calcolata ai
fini della concreta quantificazione della sanzione. F Cass. pen.,
sez. VI, 7 febbraio 2013, n. 6157 (c.c. 14 gennaio 2013), Antonelli.
(c.p.p., art. 444; c.p.p., art. 591; d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309,
art. 73). [RV254898]
■ Pena – Effetti penali della condanna ai fini della recidiva – Estinzione.
In tema di patteggiamento, la declaratoria di estinzione del
reato conseguente al decorso dei termini e al verificarsi delle
condizioni previste dall’art. 445 c.p.p. comporta l’esclusione degli effetti penali anche ai fini della recidiva. F Cass. pen., sez. III,
13 febbraio 2013, n. 7067 (ud. 12 dicembre 2012), Micillo. (c.p.,
art. 106; c.p.p., art. 445). [RV254742]
■ Richiesta – Procura speciale rilasciata al difensore –
Declaratoria di contumacia.
Nel caso in cui l’imputato abbia rilasciato procura speciale al
difensore per procedere all’applicazione della pena su richiesta
delle parti, non può farsi luogo alla declaratoria di contumacia,
sicché la lettura in dibattimento del dispositivo e della motivazione contestuale equivale a notificazione della sentenza e da
essa decorre il termine di quindici giorni per proporre impugnazione, non rilevando che all’imputato siano stati comunque
effettuati avvisi dell’avvenuto deposito del provvedimento. F
Cass. pen., sez. IV, 28 gennaio 2013, n. 4226 (c.c. 8 gennaio 2013),
Evangelista. (c.p.p., art. 444; c.p.p., art. 446). [RV254670]
■ Sentenza – Annullamento in cassazione per erronea
qualificazione giuridica del fatto – Formula dell’annullamento.
L’annullamento, in sede di legittimità, della sentenza di patteggiamento che abbia recepito un accordo delle parti fondato
sull’erronea qualificazione giuridica del fatto va disposto senza
rinvio, con trasmissione degli atti al giudice di merito perché
proceda a nuovo giudizio, in quanto detto vizio produce la nullità irrimediabile del patto con conseguente necessità di riportare
la situazione processuale alla fase precedente la sua stipula. F
Cass. pen., sez. VI, 14 febbraio 2013, n. 7391 (c.c. 23 gennaio
2013), Padolecchia. (c.p.p., art. 444). [RV254877]
■ Sentenza – Congruità della pena – Omessa specificazione dell’aumento per la continuazione.
In tema di patteggiamento, ai fini della verifica della congruità
della sanzione, con riguardo all’aumento di pena per la continuazione, non vi è necessità di una esplicita motivazione in
ordine all’aumento della pena posta a base del calcolo, ma è
sufficiente la valutazione della pena finale, purché non illegale.
F Cass. pen., sez. VI, 14 febbraio 2013, n. 7401 (c.c. 31 gennaio
2013), P.G. in proc. Gjataj e altri. (c.p.p., art. 444). [RV254879]
■ Sentenza – Controllo sulla corretta qualificazione giuridica del fatto – Verifica sostanziale del giudice di merito.
In tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, il giudice ha il dovere di verificare la corretta qualificazione giuridica
del fatto contestato in termini non meramente formali, ma sostanziali e specifici, in ordine alla fattispecie concreta quale emerge dagli atti, essendo tale indagine necessaria per una corretta
valutazione della congruità della pena. (Fattispecie in cui la Corte
ha annullato una sentenza di patteggiamento che aveva recepito
l’accordo delle parti in ordine ad un fatto qualificato come tentato
furto, ritenendo che dagli atti fossero ravvisabili gli estremi per
una definizione dello stesso come tentativo di rapina impropria).
F Cass. pen., sez. VI, 7 febbraio 2013, n. 6156 (c.c. 14 gennaio
2013), P.G. in proc. Pavlik. (c.p.p., art. 444). [RV254897]
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Ma s s i m a r i o
■ Sentenza – Erronea qualificazione giuridica del fatto –
Deducibilità come motivo di ricorso per cassazione.
In tema di patteggiamento, la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo l’erronea qualificazione del fatto contenuto
in sentenza deve essere limitata ai casi di errore manifesto, ossia ai casi in cui sussiste l’eventualità che l’accordo sulla pena
si trasformi in un accordo sui reati, mentre deve essere esclusa
tutte le volte in cui la diversa qualificazione presenti margini
di opinabilità; inoltre, anche in questo caso, la verifica sull’osservanza della previsione contenuta nell’art. 444, comma secondo, c.p.p. deve essere compiuta esclusivamente sulla base dei
capi di imputazione, della succinta motivazione della sentenza
e dei motivi dedotti nel ricorso. (Fattispecie in cui la Corte, in
applicazione del principio, ha escluso sia la rilevanza di decisioni che, in sede cautelare, avevano ritenuto l’insussistenza dei
reati contestati sia l’ammissibilità di motivi la cui valutazione
implicava la necessità di una verifica dibattimentale). F Cass.
pen., sez. VI, 2 aprile 2013, n. 15009 (c.c. 27 novembre 2012),
Bisignani. (c.p.p., art. 129; c.p.p., art. 444). [RV254865]
■ Sentenza – Motivazione – Mancato riconoscimento di
una attenuante non richiesta.
In tema di patteggiamento, non può essere censurato in sede
di legittimità il difetto di motivazione della sentenza in ordine
ad una circostanza attenuante non richiesta e non applicata,
dovendo il giudice investito della richiesta di applicazione della
pena pronunciarsi, in base all’art. 444, comma secondo, c.p.p.,
solo sulla qualificazione giuridica del fatto e sulla applicazione
e comparazione delle circostanze prospettate dalle parti. (Fattispecie relativa al mancato riconoscimento dell’attenuante della
lieve entità dei fatti prevista dall’art. 73, comma quinto, d.p.r. 9
ottobre 1990, n. 309). F Cass. pen., sez. VI, 14 febbraio 2013, n.
7401 (c.c. 31 gennaio 2013), P.G. in proc. Gjataj e altri. (c.p.p.,
art. 444; d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73). [RV254878]
■ Sentenza – Omessa dichiarazione di falsità di un atto
– Legittimazione della corte di cassazione ad adottare i
provvedimenti di cui all’art. 537 c.p.p..
In ipotesi di sentenza di patteggiamento che abbia omesso illegittimamente di dichiarare la falsità di un documento la Corte
di Cassazione, investita del relativo ricorso, può adottare direttamente i provvedimenti previsti dall’art. 537 c.p.p., non occorrendo alcuna valutazione di merito per una declaratoria che la
legge pone come effetto inevitabile della sentenza di condanna,
a cui è equiparabile la sentenza di applicazione della pena su
accordo delle parti. F Cass. pen., sez. V, 23 novembre 2012, n.
45861 (c.c. 10 ottobre 2012), P.G. in proc. Liso (c.p.p., art. 444;
c.p.p., art. 537). [RV254989]
■ Sentenza – Ricorso per cassazione – Sindacato sulla
misura della pena.
In tema di sentenza di applicazione della pena, è inammissibile
il ricorso per cassazione che proponga motivi concernenti la
misura della pena, salvo non si versi in ipotesi di pena illegale.
F Cass. pen., sez. III, 6 marzo 2013, n. 10286 (c.c. 13 febbraio
2013), Matteliano (c.p.p., art. 444; c.p.p., art. 606). [RV254980]
Atti e provvedimenti del giudice penale
■ Correzione di errori materiali – Procedimento – Sospensione condizionale della pena.
La procedura di correzione dell’errore materiale non è utilizzabile per l’eliminazione del beneficio della sospensione condizionale della pena, erroneamente concesso. F Cass. pen., sez. I, 17
gennaio 2013, n. 2632 (c.c. 23 novembre 2012), La Perla S.a.s..
(c.p.p., art. 130; c.p., art. 163). [RV254616]
■ Declaratoria di determinate cause di non punibilità –
Udienza preliminare – Sussistenza di causa estintiva del
reato.
Il G.u.p., se rileva nel corso dell’udienza preliminare una causa
estintiva del reato, ha l’obbligo di dichiararla, senza poter effettuare alcun approfondimento del “thema decidendum” né poter
modificare la qualificazione giuridica del fatto. (Nella specie,
la Corte ha ritenuto corretta la declaratoria di prescrizione per
il delitto di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio,
pur in presenza di una richiesta dell’imputato di riqualificare
il fatto come corruzione per atto di ufficio). F Cass. pen., sez.
VI, 10 aprile 2013, n. 16386 (c.c. 29 gennaio 2013), Tarantino.
(c.p.p., art. 129; c.p.p., art. 425; c.p., art. 318; c.p., art. 319).
[RV254705]
■ Motivazione – Contrasto tra dispositivo e motivazione
– Individuazione della volontà decisoria.
In caso di contrasto tra dispositivo e motivazione della sentenza, la regola della prevalenza del dispositivo quale immediata
espressione della volontà decisoria del giudice non è assoluta
ma va contemperata, tenendo conto del caso specifico, con la
valutazione dell’eventuale pregnanza degli elementi, tratti dalla
motivazione, significativi di detta volontà. F Cass. pen., sez. V, 20
febbraio 2013, n. 8363 (ud. 17 gennaio 2013), Rimbano. (c.p.p.,
art. 125; c.p.p., art. 546). [RV254820]
■ Motivazione – Motivazione in appello che ometta di
considerare la motivazione della sentenza di primo grado
– Illegittimità.
È illegittima la motivazione del giudice di appello che si fondi
sulla pedissequa riproduzione - realizzata mediante l’applicazione informatica del ‘copia-incollà - di intere pagine dell’ordinanza custodiale e che trascuri pressoché interamente le motivazioni della sentenza di primo grado, risolvendosi in abnorme
“contemplatio” dell’attività di indagine preliminare e tradendo
la sua precipua fisionomia di “revisio prioris istantiae”, pur se
nel circoscritto ambito del “devolutum”; d’altro canto, detto
inusuale sistema motivazionale non è nemmeno riconducibile al
paradigma della motivazione “per relationem”, considerato che
in nessun caso la motivazione del provvedimento genetico della
custodia cautelare può ritenersi congrua rispetto alle esigenze
di giustificazione di una sentenza di appello. F Cass. pen., sez. V,
20 febbraio 2013, n. 8343 (ud. 24 ottobre 2012), E. e altri. (c.p.p.,
art. 125). [RV254651]
■ Provvedimenti in camera di consiglio – Legittimo impedimento del difensore – Rilevanza ai fini dell’eventuale
rinvio dell’udienza.
Il legittimo impedimento del difensore, quale causa di rinvio
dell’udienza, non rileva nei procedimenti in camera di consiglio,
per i quali è previsto che i difensori, il pubblico ministero e le
altre parti interessate, siano sentiti solo se compaiono, sicché,
ai fini della corretta instaurazione del contraddittorio, é sufficiente che vi sia stata la notificazione dell’avviso di fissazione
dell’udienza. (Nella specie la Corte ha ritenuto che la richiesta
di differimento dell’udienza fissata dinanzi al tribunale di sorveglianza per adesione del difensore all’astensione collettiva
non imponga il rinvio ad altra udienza). F Cass. pen., sez. I, 5
febbraio 2013, n. 5722 (c.c. 20 dicembre 2012), Morano. (c.p.p.,
art. 127; c.p.p., art. 420 ter; c.p.p., art. 484; c.p.p., art. 666).
[RV254807]
Atti processuali penali
■ Lingua italiana – Conversazioni telefoniche in dialetto
– Obbligo di traduzione.
In ipotesi di conversazioni in dialetto, quando si procede alla loro
trascrizione non sussiste obbligo di provvedere alla traduzione,
in quanto la valutazione della necessità di tale adempimento
spetta al giudice di merito, atteso che il grado di intellegibilità
del dialetto si traduce in un accertamento di fatto. F Cass. pen.,
sez. I, 31 gennaio 2013, n. 4888 (c.c. 26 ottobre 2012), Antona.
(c.p.p., art. 143; c.p.p., art. 147). [RV254566]
Arch. nuova proc. pen. 4/2014
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Azione penale
■ Notizia di reato – Iscrizione nel registro – Nuovo reato
a carico del medesimo indagato.
Ai fini del computo della durata massima delle indagini preliminari, l’iscrizione per un nuovo reato a carico del medesimo indagato, individua il “dies a quo” da cui decorre il termine, ferma
restando l’utilizzabilità degli elementi emersi prima della nuova
iscrizione nel corso di accertamenti relativi ad altri fatti, attesa
l’assenza di preclusioni derivanti dall’art. 407 c.p.p.. F Cass. pen.,
sez. II, 4 gennaio 2013, n. 150 (ud. 18 ottobre 2012), Andreicik e
altri. (c.p.p., art. 405; c.p.p., art. 407). [RV254676]
Casellario giudiziale
■ Iscrizioni riportanti le imputazioni – Correzione – Richiesta.
È illegittima la declaratoria di inammissibilità, ai sensi del
comma secondo dell’art. 666 c.p.p., della richiesta di correzione
del certificato del casellario giudiziale nel quale siano, in contrasto con le disposizioni dell’art. 4 lett. d), del d.p.r. 313 del 2002,
riportate le imputazioni ascritte al condannato. F Cass. pen.,
sez. I, 17 gennaio 2013, n. 2673 (c.c. 13 dicembre 2012), Budetta.
(c.p.p., art. 666; d.p.r. 14 novembre 2002, n. 313, art. 4; d.p.r.
14 novembre 2002, n. 313, art. 40). [RV254629]
Cassazione penale
■ Giudizio di rinvio – Poteri del giudice di rinvio – Valutazione delle risultanze processuali.
La Corte di cassazione risolve una questione di diritto anche
quando giudica sull’adempimento del dovere di motivazione,
sicché il giudice di rinvio, pur conservando la libertà di decisione mediante un’autonoma valutazione delle risultanze probatorie relative al punto annullato, è tenuto a giustificare il proprio
convincimento secondo lo schema implicitamente o esplicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, restando in tal
modo vincolato a una determinata valutazione delle risultanze
processuali. F Cass. pen., sez. V, 15 febbraio 2013, n. 7567 (c.c.
24 settembre 2012), Scavetto. (c.p.p., art. 623; c.p.p., art. 627).
[RV254830]
■ Motivi di ricorso – Illogicità della motivazione – Impiego di non corretti criteri inferenziali.
È affetta dal vizio di illogicità e di carenza della motivazione la
decisione del giudice di merito che, in luogo di fondare la sua
decisione su massime di esperienza - che sono caratterizzate
da generalizzazioni tratte con procedimento induttivo dalla
esperienza comune, conformemente agli orientamenti diffusi
nella cultura e nel contesto spazio-temporale in cui matura la
decisione - utilizzi semplici congetture, cioè ipotesi fondate su
mere possibilità, non verificate in base all’ “id quod plerumque
accidit” ed insuscettibili, quindi, di verifica empirica. F Cass.
pen., sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 6582 (c.c. 13 novembre 2012),
Cerrito. (c.p.p., art. 192; c.p.p., art. 606). [RV254572]
■ Motivi di ricorso – Illogicità della motivazione – Sindacato sulla motivazione.
Il principio dell’oltre ragionevole dubbio”, introdotto nell’art.
533 c.p.p. dalla legge n. 46 del 2006, non ha mutato la natura
del sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione della
sentenza e non può, quindi, essere utilizzato per valorizzare
e rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del
medesimo fatto, eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che tale duplicità sia stata oggetto
di attenta disamina da parte del giudice dell’appello. F Cass.
pen., sez. V, 6 marzo 2013, n. 10411 (ud. 28 gennaio 2013), Viola.
(c.p.p., art. 533; c.p.p., art. 606). [RV254579]
■ Motivi di ricorso – Mancanza della motivazione – Elementi probatori.
In tema di ricorso in cassazione ai sensi dell’art. 606, comma
primo lett. e), la denunzia di minime incongruenze argomentative o l’omessa esposizione di elementi di valutazione, che il
392
4/2014 Arch. nuova proc. pen.
ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione, ma
che non siano inequivocabilmente munite di un chiaro carattere di decisività, non possono dar luogo all’annullamento della
sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati
dal contesto, ma è solo l’esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di
verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi
oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione. F Cass. pen., sez.
II, 27 febbraio 2013, n. 9242 (ud. 8 febbraio 2013), Reggio (c.p.p.,
art. 606). [RV254988]
■ Motivi di ricorso – Mancanza della motivazione – Pedissequa riproduzione del contenuto di altro provvedimento.
E nullo per difetto di motivazione il provvedimento del giudice
che riproduca alla lettera ampi stralci della parte motiva di altra
pronuncia, a meno che detta tecnica di redazione manifesti una
autonoma rielaborazione da parte del decidente e dia adeguata
risposta alle doglianze proposte dal ricorrente. (Fattispecie in
cui è stata riconosciuta la nullità dell’ordinanza del giudice del
riesame che aveva confermato la decisione del gip limitandosi a
riprodurre, attraverso la tecnica informatica del copia - incolla,
circa venti pagine della motivazione impugnata). F Cass. pen.,
sez. IV, 12 febbraio 2013, n. 7031 (c.c. 5 febbraio 2013), Conti.
(c.p.p., art. 125; c.p.p., art. 546). [RV254937]
■ Motivi di ricorso – Mancata assunzione di prova decisiva – Applicabilità anche nel caso di assunzione di una
prova sollecitata al giudice ex art. 507 c.p.p.
La mancata assunzione di una prova decisiva - quale motivo di
impugnazione per cassazione - può essere dedotta solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l’ammissione
a norma dell’art. 495, secondo comma, c.p.p., sicché il motivo
non potrà essere validamente invocato nel caso in cui il mezzo
di prova sia stato sollecitato dalla parte attraverso l’invito al
giudice di merito ad avvalersi dei poteri discrezionali di integrazione probatoria di cui all’art. 507 c.p.p. e da questi sia stato
ritenuto non necessario ai fini della decisione. F Cass. pen., sez.
II, 1 marzo 2013, n. 9763 (ud. 6 febbraio 2013), P.G. in proc. Muraca e altri. (c.p.p., art. 495; c.p.p., art. 507; c.p.p., art. 606).
[RV254974]
■ Poteri della Cassazione – Prescrizione maturata prima
della pronunzia della sentenza impugnata – Rilevabilità
d’ufficio.
Il giudice di legittimità può rilevare d’ufficio la prescrizione del
reato maturata prima della pronunzia della sentenza impugnata
e non rilevata dal giudice d’appello, pur se non dedotta con il
ricorso e nonostante i motivi dello stesso vengano ritenuti inammissibili. F Cass. pen., sez. V, 7 novembre 2012, n. 42950 (ud. 17
settembre 2012), Xhini. (c.p.p., art. 129; c.p.p., art. 606; c.p.,
art. 157). [RV254633]
■ Procedimento – Acquisizione di sentenze irrevocabili –
Possibilità.
Nel giudizio di legittimità è consentita l’acquisizione di una sentenza irrevocabile, quando l’interessato non sia stato in grado di
produrla nei precedenti gradi di giudizio, ma la stessa non può
essere oggetto della valutazione prevista dall’art. 238 bis, c.p.p.,
imponendo l’annullamento con rinvio della pronuncia impugnata, al fine di rivalutare nel merito la situazione probatoria emersa nel giudizio non ancora definito a seguito della pendenza del
ricorso per cassazione, ferme restando le preclusioni processuali già formate. F Cass. pen., sez. VI, 23 gennaio 2013, n. 3702
(ud. 4 dicembre 2012), Capasso e altri. (c.p.p., art. 187; c.p.p.,
art. 192; c.p.p., art. 238 bis; c.p.p., art. 606). [RV254766]
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■ Sentenza – Annullamento con rinvio – Estinzione del
reato.
Deve essere annullata con rinvio la sentenza che, avendo radicalmente omesso di motivare, a fronte della presenza di causa
estintiva del reato, sulla sussistenza delle condizioni per il proscioglimento nel merito, ed impugnata sul punto, impedisca per
ciò stesso alla Corte di cassazione di procedere a constatare la
sussistenza dei medesimi presupposti. F Cass. pen., sez. V, 21
marzo 2013, n. 13316 (ud. 14 febbraio 2013), Pesce e altri (c.p.p.,
art. 129; c.p.p., art. 623). [RV254984]
Circolazione stradale
■ Guida in stato di ebbrezza – Accertamento – Modalità –
Alcoltest – Scontrini con esito dell’accertamento etilometrico – Utilizzabilità – In dibattimento – Nullità – Esclusione.
In tema di guida in stato di ebbrezza, la produzione in dibattimento della sola copia fotostatica degli scontrini ove sono stati
registrati gli esiti dell’accertamento etilometrico non integra alcuna nullità e costituisce piena prova del fatto ascritto all’imputato. F Cass. pen., sez. IV, 1 febbraio 2013, n. 5470 (ud. 22 maggio
2012), Russo (nuovo c.s., art. 186; c.p.p., art. 189; att. c.p.p.,
art. 114). [RV254847]
■ Guida in stato di ebbrezza – Patteggiamento – Determinazione della pena secondo la legge vigente al momento
del fatto.
La legge n. 120 del 2010, che introduce la sanzione sostitutiva
del lavoro di pubblica utilità, può trovare applicazione - quale
disposizione di favore, ex art. 2, comma quarto, c.p. - anche
in relazione ai fatti commessi sotto il vigore della previgente
disciplina; tuttavia, una volta individuata la disposizione più
favorevole, il giudice deve applicarla nella sua integralità non
potendo combinare un frammento della legge previgente ed un
frammento di quella vigente, giacché in tal modo si verrebbe
ad applicare una terza legge di carattere intertemporale non
prevista dal legislatore, violando il principio di legalità. Deve,
pertanto, essere annullata senza rinvio la sentenza pronunciata, ex art. 444 c.p.p., in ordine al reato di guida in stato di
ebbrezza (art. 186, comma secondo, lett. c), c.d.s.), con la quale
la pena applicata all’imputato sia determinata secondo la più
favorevole in vigore al momento del fatto e sia sostituita con
la sanzione del lavoro di pubblica utilità, introdotta dalla successiva legge n. 120 del 2010, che per il reato di cui all’art. 186,
comma secondo, lett. c), c.d.s. prevede una pena più severa (da
sei mesi ad un anno), in quanto detta pena è stata illegalmente
sostituita, giacché qualora si ritenga il “novum” normativo di cui
alla legge n. 120 del 2010 più favorevole in concreto esso deve
essere applicato nella sua integralità, ivi compreso il nuovo e
più severo trattamento sanzionatorio per il succitato reato. F
Cass. pen., sez. IV, 31 ottobre 2012, n. 42496 (c.c. 19 settembre
2012), P.G. in proc. Mercuri (c.p.p., art. 444; nuovo c.s., art.
186). [RV254613]
■ Guida in stato di ebbrezza – Patteggiamento – Omessa confisca del veicolo. – Annullamento senza rinvio con
contestuale applicazione della confisca.
In tema di guida in stato di ebbrezza, deve essere annullata senza rinvio la sentenza con cui il giudice di merito applichi la pena
su richiesta delle parti, omettendo di disporre la confisca del
veicolo; detta sanzione amministrativa accessoria, può essere,
infatti, ex art. 620, comma primo, lett. l), c.p.p., direttamente
disposta dal giudice di legittimità, trattandosi di provvedimento
consequenziale compatibile con la cognizione di mera legittimità, avuto riguardo all’appartenenza del veicolo all’imputato,
accertata in sede di merito, e alla superfluità di un nuovo giudizio. F Cass. pen., sez. IV, 12 dicembre 2012, n. 48000 (c.c. 30
novembre 2012), Chanoux ed altro (nuovo c.s., art. 186; c.p.p.,
art. 620). [RV254962]
■ Guida in stato di ebbrezza – Sospensione condizionale
della pena – Diniego della sospensione condizionale della
pena e della non menzione della condanna.
È apparente la motivazione con la quale il giudice per giustificare il diniego dei benefici della sospensione condizionale della
pena e della non menzione della condanna, consideri esaustivo
il riferimento alla gravità del reato - nella specie, peraltro, di
natura contravvenzionale (guida in stato di ebbrezza) - e ometta
di indicare i concreti elementi di valutazione fondanti il negativo giudizio prognostico ostativo ai benefici richiesti, nonostante l’incensuratezza dell’imputato, costituente un elemento
di indubbia valenza positiva, che esige, nell’ambito della fattispecie sottoposta al vaglio giudiziale nei suoi profili soggettivi
e oggettivi, l’individuazione di uno o più elementi di segno contrario idonei a neutralizzarla. F Cass. pen., sez. IV, 18 gennaio
2013, n. 2773 (ud. 27 novembre 2012), Colò (nuovo c.s., art. 186;
c.p.p., art. 125; c.p.p., art. 133; c.p.p., art. 163). [RV254969]
Circostanze del reato
■ Concorso di aggravanti e attenuanti (giudizio di comparazione) – Recidiva – Contestazione generica.
La generica contestazione della recidiva a persona imputata di
omicidio consumato osta all’applicazione dell’aumento obbligatorio previsto dall’art. 99 c.p., non essendo precisato a quale tipo
di recidiva esso vada correlato, e non inibisce, nel concorso di
circostanze attenuanti, il giudizio di prevalenza di queste ultime,
escluso, ai sensi dell’art. 69 comma quarto c.p., solo nei casi di
recidiva reiterata di cui all’art. 99, comma quarto, c.p. F Cass.
pen., sez. I, 12 aprile 2013, n. 16606 (ud. 9 novembre 2012), P.G.
in proc. Scalzo. (c.p., art. 63; c.p., art. 70; c.p., art. 99; c.p.p.,
art. 407). [RV254569]
Competenza penale
■ Competenza per territorio – Reato a consumazione
prolungata – Concorso di più soggetti residenti in luoghi
diversi.
La competenza territoriale a conoscere di un reato a consumazione prolungata in cui concorrano più soggetti, tutti residenti
in luoghi diversi, non può essere determinata secondo la regola
prioritaria di cui all’art. 8 comma primo cod.proc.pen., né secondo quella suppletiva di cui al successivo art. 9 comma primo,
ma va stabilita facendo ricorso al criterio residuale del luogo di
prima iscrizione della “notitia criminis”. (Fattispecie in tema di
tentativo di estorsione estrinsecantesi in reiterate richieste di
somme di danaro). F Cass. pen., sez. II, 14 marzo 2013, n. 11922
(c.c. 12 dicembre 2012), Lavitola. (c.p., art. 56; c.p., art. 629;
c.p.p., art. 8; c.p.p., art. 9). [RV254799]
■ Conflitti – Erronea dichiarazione di nullità del decreto
che dispone il giudizio e restituzione degli atti al p.m. –
Nuova richiesta di rinvio a giudizio da parte del p.m. al
gup.
Qualora il giudice del dibattimento, avendo dichiarato la nullità
del decreto che dispone il giudizio, restituisca gli atti al Pubblico
ministero e questi formuli al Gup una nuova richiesta di rinvio
a giudizio, non si determina una “stasi processuale” riconducibile alla ipotesi di cui all’art. 28 c.p.p., dovendo il giudice della
udienza preliminare, indipendentemente dalla correttezza della
ordinanza del giudice del dibattimento, sulla quale non ha alcun
potere di sindacare, procedere a seguito della nuova richiesta
del P.M.. F Cass. pen., sez. I, 17 gennaio 2013, n. 2664 (c.c. 11
dicembre 2012), Confl. comp. in proc. Sannino. (c.p.p., art. 28;
c.p.p., art. 416; c.p.p., art. 429). [RV254674]
■ Connessione di procedimenti – Continuazione – Spostamento della competenza.
La connessione fondata sull’astratta configurabilità del vincolo
della continuazione è idonea a determinare lo spostamento
della competenza soltanto quando l’identità del disegno criminoso sia comune a tutti i compartecipi, giacché l’interesse di un
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imputato alla trattazione unitaria di fatti in continuazione non
può pregiudicare quello del coimputato a non essere sottratto
al giudice naturale. F Cass. pen., sez. I, 21 febbraio 2013, n. 8526
(c.c. 9 gennaio 2013), Confl. comp. in proc. Baruffo e altri. (c.p.,
art. 81; c.p.p., art. 12). [RV254924]
Cosa giudicata penale
■ Effetti – Inammissibilità di un secondo giudizio – Accertamento in sede di legittimità.
Non è deducibile dinanzi alla Corte di cassazione la violazione
del divieto del “ne bis in idem”, in quanto è precluso, in sede di
legittimità, l’accertamento del fatto, necessario per verificare la
preclusione derivante dalla coesistenza di procedimenti iniziati
per lo stesso fatto e nei confronti della stessa persona, e non
potendo la parte produrre documenti concernenti elementi
fattuali, la cui valutazione è rimessa esclusivamente al giudice
di merito. F Cass. pen., sez. V, 31 gennaio 2013, n. 5099 (ud. 11
dicembre 2012), Bisconti. (c.p.p., art. 649). [RV254654]
■ Effetti – Inammissibilità di un secondo giudizio – Assoluzione dal delitto di peculato avente ad oggetto notizie di ufficio.
Non sussiste violazione del divieto di un secondo giudizio
quando all’imputato, assolto da un addebito di peculato concernente notizie di ufficio, si contesti il reato di utilizzazione
illegittima delle medesime notizie di ufficio, trattandosi di illeciti aventi ad oggetto condotte solo in parte sovrapponibili,
perché relative, nella prima fattispecie, all’appropriazione e,
nella seconda, all’impiego dei medesimi dati. F Cass. pen., sez.
VI, 28 febbraio 2013, n. 9726 (ud. 21 febbraio 2013), Carta e altro.
(c.p.p., art. 649; c.p., art. 314; c.p., art. 326). [RV254592]
■ Effetti – Inammissibilità di un secondo giudizio – Pendenza nella stessa sede di un processo per gli stessi fatti
nei confronti dello stesso imputato.
Se vi è pendenza presso la medesima sede giudiziaria di un processo per gli stessi fatti e nei confronti degli stessi imputati, il giudice del dibattimento relativo al processo instaurato da ultimo,
investito della litispendenza, deve statuire sul punto e non può,
invece, sospendere il processo, che va definito con sentenza di
improcedibilità. F Cass. pen., sez. V, 28 settembre 2012, n. 37670
(c.c. 5 luglio 2012), Pmt in proc. Ferrini e altro. (c.p.p., art. 28;
c.p.p., art. 129; c.p.p., art. 529; c.p.p., art. 649). [RV254562]
■ Effetti – Inammissibilità di un secondo giudizio – Violazione dedotta per la prima volta in sede di legittimità.
È deducibile nel giudizio di cassazione la preclusione derivante
dal giudicato formatosi sul medesimo fatto, atteso che la violazione del divieto del “bis in idem” si risolve in un “error in procedendo”, a meno che la decisione della relativa questione non
comporti la necessità di accertamenti di fatto, nel qual caso la
stessa deve essere proposta al giudice dell’esecuzione. F Cass.
pen., sez. V, 9 gennaio 2013, n. 1131 (ud. 29 novembre 2012),
Siano. (c.p.p., art. 606; c.p.p., art. 649). [RV254837]
Difesa e difensori
■ Incompatibilità – Imputati che abbiano reso dichiarazioni sulla responsabilità di altro imputato – Divieto di
assunzione della difesa da parte di uno stesso difensore
L’inosservanza del disposto di cui all’art. 106, comma quarto
bis, c.p.p., secondo cui non può essere assunta da uno stesso difensore la difesa di più imputati che abbiano reso dichiarazioni concernenti la responsabilità di altro imputato nel
medesimo procedimento ovvero in procedimento connesso o
probatoriamente collegato, non costituisce causa di nullità o di
inutilizzabilità di dette dichiarazioni, comportando essa - oltre
la eventuale responsabilità disciplinare del difensore - soltanto
la necessità, da parte del giudice, di una verifica particolarmente incisiva relativamente alla loro attendibilità. F Cass. pen., sez.
VI, 7 marzo 2013, n. 10887 (ud. 11 ottobre 2012), Alfiero e altri.
(c.p.p., art. 106). [RV254783]
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4/2014 Arch. nuova proc. pen.
Edilizia e urbanistica
■ Licenza e concessione edilizia – Ordine di demolizione –
Delibera di acquisizione al patrimonio comunale.
Il giudice dell’esecuzione ha il potere di verificare che l’incompatibilità dell’ordine di demolizione con la delibera di acquisizione gratuita dell’opera abusiva al patrimonio comunale sia
attuale e non meramente eventuale, non essendo consentito
paralizzare indefinitamente il ripristino dell’assetto urbanistico
violato. (Fattispecie relativa a rigetto della richiesta di revoca
dell’ordine di demolizione, nella quale è stata qualificata come
mero atto di indirizzo la delibera di acquisizione al patrimonio
comunale priva dell’impegno di spesa e di una adeguata istruttoria). F Cass. pen., sez. III, 22 marzo 2013, n. 13746 (c.c. 29 gennaio 2013), Falco e altro. (c.p.p., art. 665; c.p.p., art. 675; d.p.r.
6 giugno 2001, n. 380, art. 31). [RV254752]
Esecuzione in materia penale
■ Abolizione del reato – Revoca della sentenza – Indagine del giudice dell’esecuzione in ordine alla sussistenza
delle condizioni.
In tema di revoca della sentenza per “abolitio criminis”, deve
escludersi l’operatività dell’istituto qualora esso richieda al giudice della esecuzione non un riscontro meramente ricognitivo
della perdita di efficacia della norma incriminatrice, ma una
indagine valutativa in ordine alla sussistenza delle condizioni
cui è subordinata la produzione dell’effetto abrogativo. ( Fattispecie in cui la Suprema Corte ha ritenuto che dalla dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale dell’art. 68 T.U.L.P.S.
sulla necessità della licenza del questore non sia dato desumere,
attraverso un percorso meramente ricognitivo, l’intervenuta
abrogazione della diversa fattispecie di reato proprio prevista
dall’art. 31 legge n. 110 del 1975, in materia di vigilanza sulle
attività di tiro a segno). F Cass. pen., sez. I, 17 gennaio 2013, n.
2638 (c.c. 11 dicembre 2012), Savoca. (c.p.p., art. 673; r.d. 18
giugno 1931, n. 773, art. 68; l. 18 aprile 1975, n. 110, art. 31).
[RV254561]
■ Competenza – Competenza funzionale – Giudice della
revisione.
Deve escludersi l’attribuzione della funzione di giudice dell’esecuzione all’organo giurisdizionale competente per la revisione
atteso che il procedimento di revisione, a differenza delle impugnazioni ordinarie, non concorre alla formazione del giudicato
penale, ma lo presuppone, in quanto finalizzato alla revoca, totale o parziale, della sentenza di condanna divenuta irrevocabile.
F Cass. pen., sez. I, 22 aprile 2013, n. 18360 (c.c. 25 marzo 2013),
Confl. comp. in proc. di Leo. (c.p.p., art. 629; c.p.p., art. 648;
c.p.p., art. 665; c.p.p., art. 666). [RV254801]
■ Competenza – Sentenza riformata in appello solo in
relazione all’ordine di demolizione – Individuazione.
Nella ipotesi in cui la corte di appello abbia confermato la condanna in primo grado dell’imputato in ordine alla violazione
urbanistica ed abbia modificato l’ordine di consegna con quello
di demolizione del manufatto, la competenza del giudice dell’esecuzione va individuata nel giudice di primo grado. F Cass.
pen., sez. I, 31 gennaio 2013, n. 4914 (c.c. 19 dicembre 2012), Pg
in proc. Silvestri. (c.p.p., art. 665; d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380,
art. 31). [RV254630]
■ Computo della pena – Concorso formale e reato continuato – Continuazione tra reati giudicati con rito ordinario e reati giudicato con rito abbreviato.
Riconosciuta, in fase esecutiva, la continuazione tra più reati,
alcuni dei quali oggetto di condanna all’esito di giudizio abbreviato, e altri di condanna all’esito di giudizio ordinario, la
riduzione ex art. 442 c.p.p. va applicata, ove reati più gravi risultino quelli giudicati col rito ordinario, sull’aumento di pena per
i reati satellite giudicati con il rito abbreviato. F Cass. pen., sez.
III, 25 febbraio 2013, n. 9038 (c.c. 20 novembre 2012), Micheletti.
(c.p., art. 81; c.p.p., art. 442; c.p.p., art. 671). [RV254977]
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■ Disciplina del concorso formale e del reato continuato
– Ambito di applicazione – Accertamento della continuazione.
In tema di applicazione della continuazione in sede esecutiva
il giudice, ponendo a raffronto le sentenze deve verificare la
ricorrenza di almeno alcuni degli indici rivelatori dell’identità
del disegno criminoso - tra cui la distanza cronologica tra i fatti,
le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, la tipologia dei reati, il bene protetto, l’omogeneità delle violazioni, la causale, le condizioni di tempo e di
luogo - onde accertare se sussista o meno la preordinazione di
fondo che cementa le singole violazioni. F Cass. pen., sez. I, 21
febbraio 2013, n. 8513 (c.c. 9 gennaio 2013), Cardinale. (c.p.p.,
art. 671; c.p., art. 81). [RV254809]
■ Pene concorrenti – Sopravvenienza di provvedimento di
cumulo – Domanda di applicazione della continuazione.
In materia di applicazione in sede esecutiva della disciplina del
reato continuato è ammissibile, in quanto non meramente ripropositiva, la domanda relativa a fatti, successivamente ricompresi insieme ad altri in un provvedimento di esecuzione di pene
concorrenti ex art. 663 c.p.p., che abbiano già formato oggetto
di una precedente istanza, respinta, di applicazione della continuazione, costituendo la sopravvenienza di un provvedimento
di cumulo, ancorché comprensiva di reati per i quali l’esistenza
del vincolo sia stata esclusa, un nuovo elemento che impone la
valutazione del nesso ideativo e volitivo tra tutti i fatti in esso
confluiti. F Cass. pen., sez. I, 14 febbraio 2013, n. 7333 (c.c. 9
novembre 2012), Di Cuonzo. (c.p.p., art. 663; c.p.p., art. 666;
c.p.p., art. 671). [RV254805]
■ Procedimento di esecuzione – Annullamento senza
rinvio di uno o più capi della sentenza di condanna – Sospensione condizionale della pena.
In caso di annullamento senza rinvio di uno o più capi di condanna, spetta al giudice dell’esecuzione provvedere sulla istanza di sospensione condizionale, avanzata ma non valutata nel
giudizio di cognizione in quanto la pena complessivamente
irrogata risultava superiore al limite di legge per la concedibilità
del beneficio. F Cass. pen., sez. I, 12 aprile 2013, n. 16679 (c.c. 1
marzo 2013), Corlando. (c.p., art. 163; c.p., art. 164; c.p.p., art.
671; c.p.p., art. 673). [RV254570]
■ Procedimento di esecuzione – Confisca – Immediata
ricorribilità.
In materia di confisca, avverso il provvedimento del giudice
dell’esecuzione, sia che questi abbia deciso “de plano” ai sensi
dell’art. 667, comma quarto, c.p.p. sia che abbia provveduto
irritualmente ex art. 666 stesso codice, è data solo la facoltà di
proporre opposizione e non ricorso immediato per cassazione.
F Cass. pen., sez. I, 25 gennaio 2013, n. 4083 (c.c. 11 gennaio
2013), Tabbì. (c.p.p., art. 666; c.p.p., art. 667). [RV254811]
■ Procedimento di esecuzione – Confisca – Ricorribilità
per cassazione.
In sede esecutiva, il principio di conversione dell’impugnazione
è applicabile anche in caso di opposizione sulla base del principio generale di conservazione degli atti giuridici e del “favor
impugnationis” (Nella specie la Corte ha qualificato come opposizione ex art. 667, comma quarto, c.p.p., disponendone la trasmissione alla corte d’appello, il ricorso per cassazione proposto avverso il provvedimento conseguente all’istanza di revoca
della confisca emesso non “de plano”, bensì a seguito di irrituale
fissazione della comparizione delle parti). F Cass. pen., sez. I, 25
gennaio 2013, n. 4083 (c.c. 11 gennaio 2013), Tabbì. (c.p.p., art.
666; c.p.p., art. 667). [RV254812]
■ Procedimento di esecuzione – Domanda di affidamento
in prova al servizio sociale – Proposizione durante l’attuazione di diverso beneficio per altro titolo.
È inammissibile la domanda di affidamento in prova al servizio
sociale proposta dal condannato con riguardo a titolo di priva-
zione della libertà sopravvenuto durante l’attuazione del diverso
beneficio della detenzione domiciliare cui lo stesso condannato
sia stato ammesso con precedente decisione del Tribunale di
sorveglianza, dovendo applicarsi l’art. 51 bis ord. pen. e non potendo ritenersi giustificata la riproposizione della richiesta, già
respinta, della misura più ampia. F Cass. pen., sez. I, 18 febbraio
2013, n. 7945 (c.c. 11 febbraio 2013), Valente. (l. 26 luglio 1975,
n. 354, art. 51 bis; c.p.p., art. 666). [RV254815]
■ Procedimento di esecuzione – Inammissibilità per manifesta infondatezza – Declaratoria de plano.
Il decreto di inammissibilità per manifesta infondatezza può essere emesso “de plano”, ai sensi dell’art. 666, comma secondo,
c.p.p., soltanto quando essa sia riscontrabile per difetto delle
condizioni di legge e, cioè, per vizio di legittimità e non per ragioni di merito. F Cass. pen., sez. I, 11 febbraio 2013, n. 6558 (c.c.
10 gennaio 2013), Piccinno. (c.p.p., art. 666). [RV254887]
■ Procedimento di esecuzione – Incidente di esecuzione –
Diritto all’udienza pubblica.
In materia di incidente di esecuzione, (nella specie, fissato
con procedura camerale sull’istanza di revoca della confisca)
non sussiste violazione del principio di necessaria pubblicità
dell’udienza stabilito dalla Corte costituzionale (sent. n. 93 del
2010 e n. 80 del 2011) e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo
(sent. 13 novembre 2007, Bocellari e Rizza c/ Italia), atteso che
esso, dettato in relazione alle misure di prevenzione personali
e patrimoniali, non è applicabile direttamente né può essere
esteso in via analogica ad altre procedure camerali, soggette
per legge a diverse forme procedurali. F Cass. pen., sez. I, 21
marzo 2013, n. 13377 (c.c. 28 settembre 2012), Di Muro (c.p.p.,
art. 127; c.p.p., art. 178). [RV254945]
■ Procedimento di esecuzione – Misure di prevenzione –
Udienza.
In materia di procedimento incidentale per l’applicazione di
misure di prevenzione, anche qualora l’udienza si svolga con
“presenza del pubblico” anziché con rito camerale, non trovano
applicazione i principi che attengono al pubblico dibattimento e
le previsioni di nullità, dettate dal legislatore, per lo svolgimento
del medesimo. F Cass. pen., sez. I, 21 marzo 2013, n. 13377 (c.c.
28 settembre 2012), Di Muro (c.p.p., art. 127; c.p.p., art. 666).
[RV254946]
■ Procedimento di esecuzione – Omessa fissazione dell’udienza camerale – Nullità assoluta.
Il provvedimento che il giudice dell’esecuzione assume “de plano”, senza fissazione dell’udienza in camera di consiglio, fuori
dei casi espressamente stabiliti dalla legge é affetto da nullità
d’ordine generale e di carattere assoluto, rilevabile d’ufficio in
ogni stato e grado del procedimento. (Fattispecie relativa ad
omessa fissazione di udienza camerale a seguito della richiesta di eliminazione dell’iscrizione nel casellario giudiziale di
sentenza di patteggiamento, in violazione dell’art. 40 del d.p.r.
n. 313 del 2002). F Cass. pen., sez. III, 11 marzo 2013, n. 11421
(c.c. 29 gennaio 2013), Prediletto. (c.p.p., art. 178; c.p.p., art.
179; c.p.p., art. 666; d.p.r. 14 novembre 2002, n. 313, art. 40).
[RV254939]
■ Procedimento di esecuzione – Ordine di esecuzione –
P.m. incompetente.
In tema di esecuzione, l’incompetenza del pubblico ministero
che ha emesso il relativo ordine non determina la nullità dello
stesso, trattandosi di provvedimento non giurisdizionale e non
autonomamente impugnabile, avverso il quale è proponibile
soltanto l’incidente di esecuzione. (Fattispecie in tema di esecuzione di ordine di demolizione di manufatto abusivo emesso
da magistrato della Procura presso il giudice che aveva emesso
la sentenza posta in esecuzione e non già l’ultima sentenza di
condanna). F Cass. pen., sez. III, 4 marzo 2013, n. 10126 (c.c.
29 gennaio 2013), Di Cristo. (c.p.p., art. 655; c.p.p., art. 656;
c.p.p., art. 666). [RV254978]
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■ Procedimento di esecuzione – Procedimento di sorveglianza – Partecipazione del condannato.
Nell’ambito del procedimento di sorveglianza, non essendo necessaria la partecipazione al giudizio del condannato, non rileva
il suo legittimo impedimento a comparire, a meno che egli abbia preventivamente richiesto di essere sentito personalmente.
F Cass. pen., sez. I, 21 gennaio 2013, n. 2865 (c.c. 13 dicembre
2012), Mennai. (c.p.p., art. 127; c.p.p., art. 666; c.p.p., art.
678). [RV254701]
■ Procedimento di esecuzione – Questioni sul titolo esecutivo – Sentenza di condanna irrevocabile.
Il giudice dell’esecuzione, a fronte di un appello tardivo avverso
una sentenza con attestazione di irrevocabilità, non ha il dovere
di sospendere automaticamente l’esecuzione della pena in attesa che il giudice dell’impugnazione si pronunci sull’ammissibilità dell’appello, spettando a quest’ultimo un autonomo potere di
sospensione. F Cass. pen., sez. I, 31 gennaio 2013, n. 4891 (c.c.
28 novembre 2012), Diaconescu. (c.p.p., art. 591; c.p.p., art.
670). [RV254700]
Evasione
■ Momento consumativo del reato – Allontanamento dal
luogo di detenzione domiciliare senza attendere la notifica dell’indulto – Configurabilità del reato.
Integra il reato di evasione l’allontanamento del detenuto
dall’abitazione ove si trova ristretto in detenzione domiciliare,
senza attendere la formale comunicazione del provvedimento di
rimessione in libertà a seguito dell’entrata in vigore della legge
con la quale è stato concesso l’indulto. F Cass. pen., sez. VI, 22
febbraio 2013, n. 8812 (ud. 14 novembre 2012), Crescenzo. (c.p.,
art. 385; c.p.p., art. 672). [RV254685]
Falsa testimonianza
■ Privato denunziante – Legittimazione a proporre ricorso per cassazione – Esclusione.
Nel delitto di falsa testimonianza, essendo persona offesa solo
lo Stato, il privato, pur se costituito parte civile, non è legittimato a proporre ricorso per cassazione contro la sentenza di
non luogo a procedere. F Cass. pen., sez. VI, 25 febbraio 2013,
n. 9085 (c.c. 22 novembre 2012), P.C. in proc De Sabato. (c.p.p.,
art. 428; c.p.p., art. 606; c.p., art. 372). [RV254581]
Giudice penale
■ Ricusazione – Casi – Giudice chiamato a giudicare lo
stesso imputato per fatto diverso.
Non dà luogo ad una ipotesi di ricusazione, ai sensi dell’art.
37 c.p.p. come risultante a seguito della parziale dichiarazione
di illegittimità di cui alla sentenza n. 283 del 2000 della Corte
costituzionale, la circostanza che il magistrato abbia già preso
parte a un giudizio a carico dell’ imputato per fatti diversi sebbene caratterizzati dalla pretesa identità delle fonti probatorie
valutate e da valutare, atteso che una stessa fonte probatoria,
considerata importante ed attendibile in un processo, potrebbe
non esserlo altrettanto in un altro. (Fattispecie nella quale è stata dichiarata inammissibile l’istanza di ricusazione proposta nei
confronti di un componente del collegio penale che aveva già
giudicato l’imputato per i reati di associazione per delinquere e
violazioni tributarie commesse in qualità di legale rappresentante di altre società). F Cass. pen., sez. III, 12 marzo 2013, n. 11546
(c.c. 19 febbraio 2013), Frezza. (c.p.p., art. 37). [RV254760]
Giudizio abbreviato
■ Procedimento – Integrazione istruttoria disposta d’ufficio – Facoltà del p.m. di contestazione della recidiva.
In tema di giudizio abbreviato, nella ipotesi di integrazione
probatoria officiosa, la facoltà del pubblico ministero di effettuare nuova contestazione della recidiva è limitata alle nuove
acquisizioni e non può, pertanto, basarsi su dati preesistenti
alla integrazione promossa dal giudice. F Cass. pen., sez. I, 27
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febbraio 2013, n. 9400 (ud. 12 febbraio 2013), Albanese. (c.p.,
art. 99; c.p.p., art. 438; c.p.p., art. 441; c.p.p., art. 441 bis).
[RV254955]
■ Richiesta – Reiezione – Impugnazione.
La richiesta di applicazione della diminuente prevista per il rito
abbreviato non ammesso nel giudizio di primo grado è motivo
di impugnazione non esclusivamente personale e, quindi, se accolto, è estensibile agli altri imputati, impugnanti o meno, che lo
abbiano proposto. (In applicazione di tale principio la Corte ha
annullato senza rinvio la sentenza di merito che aveva concesso
la diminuente a tutti i coimputati proponenti appello avverso la
reiezione della istanza da parte del tribunale, omettendo di esaminare l’identica posizione dei coimputati non impugnanti). F
Cass. pen., sez. II, 24 gennaio 2013, n. 3750 (ud. 8 gennaio 2013),
Ferrante e altri (c.p.p., art. 442; c.p.p., art. 587). [RV254549]
Giudizio immediato
■ Procedimento – Decreto che dispone il giudizio – Requisiti.
Ai fini della rituale contestazione del delitto di “stalking” - che ha
natura di reato abituale - non si richiede che il capo di imputazione rechi la precisa indicazione del luogo e della data di ogni
singolo episodio nel quale si sia concretato il compimento di atti
persecutori, essendo sufficiente a consentire un’adeguata difesa
la descrizione in sequenza dei comportamenti tenuti, la loro collocazione temporale di massima e gli effetti derivatine alla persona offesa. F Cass. pen., sez. V, 15 febbraio 2013, n. 7544 (ud. 25
ottobre 2012), C. (c.p., art. 612 bis; c.p.p., art. 453). [RV255016]
■ Richiesta di giudizio abbreviato – Termini di fase della
custodia cautelare – Durata.
I termini di durata massima della custodia cautelare, nel caso
di giudizio abbreviato ammesso dopo il decreto che dispone il
giudizio, si commisurano a quelli propri della fase del giudizio
dibattimentale per il periodo antecedente all’ordinanza ammissiva del rito alternativo, e a quelli previsti per quest’ultimo in relazione al periodo successivo, con la precisazione che gli stessi,
complessivamente considerati, non possono estendersi per un
tempo maggiore rispetto a quello che legge assegna alla fase del
giudizio ex art. 303, comma primo, lett. b), c.p.p.. F Cass. pen.,
sez. VI, 25 febbraio 2013, n. 9088 (c.c. 22 novembre 2012), Sall
Mame. (c.p.p., art. 303; c.p.p., art. 458). [RV254582]
Giudizio penale di primo grado
■ Dibattimento – Atti introduttivi – Impedimento a comparire.
Il giudice di merito può ritenere l’insussistenza dell’impedimento a comparire dell’imputato, dedotto mediante l’allegazione di
certificato medico, anche indipendentemente da una verifica
fiscale e facendo ricorso a nozioni di comune esperienza che
rimandino all’impossibilità del soggetto portatore della patologia di essere presente in giudizio se non a prezzo di un grave e
non evitabile rischio per la propria salute. (Fattispecie in cui
il certificato medico si limitava ad indicare uno stato di salute
che rendeva “sconsigliabile” un lungo viaggio, ma non tale da
far “temere uno sviluppo drammatico o minaccioso dal punto di
vista vitale”). F Cass. pen., sez. VI, 29 gennaio 2013, n. 4284 (ud.
10 gennaio 2013), G.. (c.p.p., art. 420 ter). [RV254896]
■ Dibattimento – Atti introduttivi – Impedimento a comparire.
Nessun provvedimento di sospensione o di rinvio del dibattimento deve essere adottato dal giudice quando l’imputato
risulta assistito da due difensori e uno solo di essi ha addotto
un impedimento legittimo alla comparizione all’udienza. (Nella
specie la S.C. ha ritenuto, in adesione al principio, corretta la sostituzione con difensore di ufficio del legale non presentatosi in
udienza ancorché non adducendo alcun legittimo impedimento). F Cass. pen., sez. II, 4 marzo 2013, n. 10064 (ud. 19 dicembre
2012), Berlich. (c.p.p., art. 420 ter). [RV254875]
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Ma s s i m a r i o
■ Dibattimento – Atti preliminari al dibattimento – Esami
a richiesta di parte.
Il termine stabilito per il deposito delle liste testimoniali è computato in giorni interi e liberi e dunque allo stesso non si applica
la proroga automatica del termine che scade in un giorno festivo
stabilito dal comma terzo dell’art. 172 c.p.p... F Cass. pen., sez.
V, 9 gennaio 2013, n. 1139 (ud. 30 novembre 2012), Scommegna.
(c.p.p., art. 172; c.p.p., art. 468). [RV254838]
■ Dibattimento – Esame dei testimoni – Minorenne.
L’esame testimoniale del minore, vittima di abusi sessuali, non richiede obbligatoriamente l’assistenza di un esperto di psicologia
infantile, non essendo quest’ultima imposta dalla legge. (In motivazione, la S.C. ha ricordato che le Carte intenzionali di Noto e
Lanzarote raccomandano, più che la presenza dell’esperto, la videoregistrazione dell’esame). F Cass. pen., sez. IV, 12 aprile 2013,
n. 16981 (ud. 12 marzo 2013), F.. (c.p.p., art. 498). [RV254943]
■ Dibattimento – Fascicolo – Atto di querela.
Legittimamente il giudice, ai fini del proprio convincimento,
utilizza la querela che, su concordi volontà delle parti, sia stata
acquisita al fascicolo per il dibattimento. F Cass. pen., sez. V, 18
luglio 2012, n. 29034 (ud. 8 maggio 2012), D’Urzo. (c.p.p., art.
431; c.p.p., art. 493; c.p.p., art. 511). [RV254611]
■ Dibattimento – Nuove contestazioni – Modifica concernente la data del commesso reato.
La modifica in udienza del capo di imputazione, consistente
nella diversa indicazione della data del commesso reato, non
sempre comporta una alterazione avente incidenza sulla
identità sostanziale e sulla identificazione dell’addebito, atteso che, a seconda dei casi, l’esatta collocazione temporale di
un fatto delittuoso può assumere o meno rilevanza decisiva,
condizionando le possibilità di difesa dell’imputato. Pertanto,
detta rilevanza deve essere accertata alla luce delle finalità della
norme di cui agli artt. 516-522 c.p.p., preordinate ad assicurare
il contraddittorio ed il pieno esercizio del diritto di difesa; con
la conseguenza che la modifica, avvenuta in udienza, della data
del reato - nella specie commesso il giorno precedente a quello
indicato in imputazione - non comportando alcuna significativa
modifica della contestazione, immutata nei suoi tratti essenziali,
non è idonea in nessun modo a pregiudicare le facoltà difensive. F Cass. pen., sez. V, 4 marzo 2013, n. 10196 (ud. 31 gennaio
2013), Mannino. (c.p.p., art. 516; c.p.p., art. 520; c.p.p., art.
521; c.p.p., art. 522). [RV254658]
■ Dibattimento – Pubblico ministero – Indicazione dei
fatti che intende provare.
L’esposizione introduttiva del P.M. che riporta il contenuto di atti
assunti nelle indagini preliminari, o comunque inutilizzabili, non
determina alcuna ipotesi di nullità, in quanto trattasi di attività
di parte che non vincola in alcun modo il giudice, né pregiudica
i diritti della difesa. F Cass. pen., sez. VI, 7 marzo 2013, n. 10887
(ud. 11 ottobre 2012), Alfiero e altri. (d.l. 8 giugno 1992, n. 306,
art. 12 sexies; l. 7 agosto 1992, n. 356; c.p.p., art. 649; c.p., art.
416 bis). [RV254787]
Giudizio per decreto
■ Decreto di condanna – Decreto emesso nonostante
l’opposizione del querelante – Ricorso per cassazione per
violazione di legge.
La persona offesa è legittimata a ricorrere per cassazione per
violazione di legge contro il decreto penale emesso nonostante
la sua rituale opposizione manifestata nell’atto di querela a tale
forma di definizione del procedimento. F Cass. pen., sez. II, 23
gennaio 2013, n. 3415 (c.c. 18 dicembre 2012), P.O. in proc. De
Luca. (c.p.p., art. 459; c.p.p., art. 606). [RV254773]
■ Richiesta – Opposizione del denunciante – Possibilità.
La scelta del rito processuale da seguire compete esclusivamente al pubblico ministero in qualità di titolare dell’azione
penale, non essendo prevista alcuna facoltà per il denunciante
di opporsi alla formulazione della richiesta di emissione di decreto penale di condanna. F Cass. pen., sez. III, 21 marzo 2013,
n. 13028 (c.c. 13 febbraio 2013), P.O. in proc. Traina (c.p.p., art.
459). [RV255028]
Impugnazioni penali in genere
■ Ammissibilità o inammissibilità – Inammissibilità – Inserimento di frasi di censura della sentenza impugnata
assertive ed apodittiche.
In tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili i motivi
che si limitano a riprodurre le censure dedotte in appello, anche
se con l’aggiunta di frasi incidentali di censura alla sentenza impugnata meramente assertive ed apodittiche, laddove difettino
di una critica argomentata avverso il provvedimento ‘attaccatò
e l’indicazione delle ragioni della loro decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice di merito. F Cass. pen., sez. VI,
21 febbraio 2013, n. 8700 (ud. 21 gennaio 2013), Leonardo e altri.
(c.p.p., art. 581; c.p.p., art. 591; c.p.p., art. 606). [RV254584]
■ Ammissibilità o inammissibilità – Parte civile – Procura
speciale.
È inammissibile l’appello del difensore della parte civile munito
di procura speciale a norma dell’art. 100 c.p.p. priva di una univoca specificazione in ordine al conferimento del potere di impugnazione, posto che la procura alle liti, essendo funzionale a
conferire lo “ius postulandi”, non è assimilabile a quelle previste
dagli artt. 76 e 122 c.p.p., le quali attribuiscono al procuratore la
capacità di essere soggetto del rapporto processuale. (Fattispecie in cui la procura conteneva la nomina del difensore al quale
veniva conferito il potere di rappresentare la parte “in ogni grado del giudizio in relazione alla sopra estesa dichiarazione di
costituzione di parte civile”). F Cass. pen., sez. VI, 2 aprile 2013,
n. 14980 (ud. 27 novembre 2012), p.c. in proc. Santacatterina.
(c.p.p., art. 76; c.p.p., art. 100; c.p.p., art. 122). [RV254861]
■ Ammissibilità o inammissibilità – Sentenza dichiarativa
della prescrizione – Appello della parte civile agli effetti
della responsabilità civile.
In materia di impugnazioni, la parte civile, anche dopo la l. n.
46 del 2006, conserva il potere di impugnare le sentenze di proscioglimento ed il giudice dell’impugnazione ha, nei limiti del
devoluto ed agli effetti della devoluzione, i poteri che avrebbe
dovuto esercitare il giudice che ha prosciolto, sicché qualora il
giudice di appello ritenga che il giudice di primo grado abbia
errato nel dichiarare la prescrizione, deve statuire, ai soli fini
civili, prima nel merito e, poi, sulle domande civili, quand’anche
dovesse nuovamente dichiarare l’estinzione del reato per prescrizione nel frattempo sopravvenuta. F Cass. pen., sez. II, 13
febbraio 2013, n. 7041 (ud. 28 novembre 2012), Caleca e altri
(c.p.p., art. 538; c.p.p., art. 576; c.p.p., art. 622). [RV254999]
■ Effetto estensivo – Appello – Mancato accoglimento –
Diritto autonomo dell’imputato non impugnante a proporre ricorso per cassazione – Ammissibilità – Esclusione.
È inammissibile il ricorso per cassazione dell’imputato non appellante che si sia avvalso nel giudizio di appello dell’effetto estensivo dell’impugnazione presentata dai coimputati, qualora questa
non sia stata accolta. F Cass. pen., sez. III, 5 marzo 2013, n. 10223
(ud. 24 gennaio 2013), Mikulic. (c.p.p., art. 587). [RV254639]
■ Effetto estensivo – Imputato rinunziante al gravame ex
art. 599 c.p.p. – Gravame accolto per altri coimputati.
Non sussiste l’effetto estensivo dell’impugnazione in favore di
colui che abbia richiesto l’applicazione della pena concordata in
appello, avendo egli in tal modo rinunziato al motivo di gravame
inizialmente comune con altri coimputati al fine di ottenere, ai
sensi dell’art. 599 comma quarto c.p.p., una nuova e più favorevole
determinazione della pena. (Nella specie la Corte ha escluso l’effetto estensivo con riferimento all’annullamento con rinvio della
sentenza, per la mancata celebrazione dell’udienza preliminare). F
Cass. pen., sez. I, 22 aprile 2013, n. 18351 (c.c. 25 marzo 2013), P.G.
in proc. Mosca. (c.p.p., art. 587; c.p.p., art. 599). [RV254800]
Arch. nuova proc. pen. 4/2014
397
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Ma s s i m a r i o
■ Effetto estensivo – Operatività nei confronti del coimputato la cui impugnazione sia stata esaminata nel merito
– Esclusione.
L’effetto estensivo dell’impugnazione non opera a favore degli
altri imputati quando la questione posta a fondamento dell’impugnazione sia stata già esaminata nel merito con una decisione
diversa ed incompatibile con quella di cui si chiede l’estensione.
F Cass. pen., sez. VI, 23 gennaio 2013, n. 3702 (ud. 4 dicembre
2012), Capasso e altri. (c.p.p., art. 587; c.p.p., art. 599; c.p.p.,
art. 602; c.p.p., art. 649). [RV254765]
■ Effetto estensivo – Prescrizione dichiarata nei confronti dell’imputato appellante – Operatività della stessa
anche nei confronti di coimputato non appellante – Sussistenza – Passaggio in giudicato della sentenza nei suoi
confronti – Irrilevanza.
La prescrizione del reato rilevata a seguito dell’appello di un
imputato deve essere dichiarata in forza dell’effetto estensivo
dell’impugnazione nei confronti di altro imputato non appellante anche qualora la causa estintiva sia maturata successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di primo grado nei
confronti di quest’ultimo. F Cass. pen., sez. III, 5 marzo 2013, n.
10223 (ud. 24 gennaio 2013), Mikulic. (c.p., art. 157; c.p.p., art.
587). [RV254640]
■ Impugnazione della parte civile – Sentenza di condanna
che modifica l’imputazione – Interesse all’impugnazione –
Sussistenza – Condizioni.
Sussiste l’interesse della parte civile ad impugnare ai fini civili la
sentenza di condanna che dia al fatto una diversa qualificazione
giuridica allorché da quest’ultima possa derivare una differente
quantificazione del danno da risarcire, cui si pervenga tenendo conto anche della gravità del reato e dell’entità del patema
d’animo sofferto dalla vittima. (Nella specie la S.C. ha affermato
il principio in relazione all’impugnazione della parte civile avverso una sentenza di condanna di un automobilista - la cui condotta era stata valutata come dolosa dal Gup e come colposa
dalla Corte d’Assise d’Appello - il quale, riconosciuto capace di
intendere e di volere pur versando in condizione di astinenza
da assunzione di stupefacenti, aveva causato la morte di quattro pedoni investendoli sul marciapiede). F Cass. pen., sez. IV, 9
ottobre 2012, n. 39898 (ud. 3 luglio 2012), P.C. in proc. Giacalone
(c.p.p., art. 521; c.p.p., art. 568; c.p.p., art. 576). [RV254672]
■ Interesse ad impugnare – Interesse tendente ad evitare
conseguenze extrapenali pregiudizievoli o ad assicurarsi
effetti extrapenali più favorevoli – Sufficienza.
In tema di impugnazioni l’interesse del ricorrente è ravvisabile
non solo quando questi miri a conseguire effetti penali più vantaggiosi ma anche quando tenda ad evitare conseguenze extrapenali pregiudizievoli o ad assicurarsi effetti penali più favorevoli
che l’ordinamento faccia dipendere dalla pronuncia domandata.
(Fattispecie in cui la Suprema Corte ha riconosciuto l’interesse
alla impugnazione dinanzi al Tribunale del riesame dell’imputato
che, a seguito della imposizione di misura cautelare, era stato
sottoposto a procedimento disciplinare, nonostante nelle more il
G.i.p. avessse revocato il provvedimento restrittivo). F Cass. pen.,
sez. V, 28 settembre 2012, n. 37677 (c.c. 10 luglio 2012), Cornicello
(c.p.p., art. 568; c.p.p., art. 581; c.p.p., art. 591). [RV254557]
■ Interesse ad impugnare – Sentenza assolutoria – Ricorso del p.m..
Sussiste l’interesse del P.M. ad impugnare la sentenza di assoluzione - nella specie pronunciata perché il fatto non sussiste
- qualora ritenga sussistenti i presupposti per la declaratoria di
estinzione del reato per prescrizione fondata sulla mancanza
di prova dell’innocenza dell’imputato. F Cass. pen., sez. IV, 18
ottobre 2012, n. 40896 (ud. 28 settembre 2012), P.G. in proc. Del
Pozzo (c.p.p., art. 129; c.p.p., art. 568). [RV255004]
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4/2014 Arch. nuova proc. pen.
■ Interesse ad impugnare – Sentenza dichiarativa di prescrizione – Ricorso del pubblico ministero teso a contestare il calcolo del tempo per la prescrizione.
È inammissibile, per sopravvenuta carenza di interesse, il ricorso per cassazione del pubblico ministero avverso la sentenza
dichiarativa dell’estinzione del reato per prescrizione, ove con
esso si denunci l’erroneità del calcolo del tempo necessario
al prodursi di tale vicenda, quando il termine di legge, come
indicato nell’atto di impugnazione, è comunque spirato in data
precedente a quella della decisione della Corte di cassazione.
F Cass. pen., sez. VI, 7 febbraio 2013, n. 6151 (ud. 22 gennaio
2013), P.M. in proc. Cardellicchio. (c.p.p., art. 568). [RV254858]
■ Interessi civili – Declaratoria di estinzione del reato da
parte del giudice di appello – Assenza di motivazione in
ordine alla valutazione della responsabilità dell’imputato
ai fini civilistici.
La previsione di cui all’art. 578 c.p.p. - per la quale il giudice
di appello o quello di legittimità, che dichiarino l’estinzione per
amnistia o prescrizione del reato per cui sia intervenuta in primo grado condanna, sono tenuti a decidere sull’impugnazione
agli effetti delle disposizioni dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili - comporta che i motivi di impugnazione
dell’imputato devono essere esaminati compiutamente, non
potendosi dare conferma alla condanna (anche solo generica)
al risarcimento del danno in ragione della mancanza di prova
dell’innocenza dell’imputato, secondo quanto previsto dall’art.
129, comma secondo, c.p.p.; qualora, pertanto, tale motivazione
manchi, l’annullamento della sentenza di appello, limitatamente
alla conferma delle statuizioni civili, deve essere disposto con
rinvio al giudice penale. F Cass. pen., sez. V, 5 febbraio 2013, n.
5764 (ud. 7 dicembre 2012), Sarti. (c.p.p., art. 129; c.p.p., art.
578; c.p.p., art. 622). [RV254965]
■ Provvedimenti impugnabili o inoppugnabili – Provvedimenti abnormi – Accertamenti sull’identità dell’imputato.
È illegittimo ma non abnorme il provvedimento con cui il giudice del dibattimento disponga la restituzione degli atti al P.M.
per accertamenti sull’identità dell’imputato. (In motivazione la
Corte ha sottolineato che la regressione del procedimento non
è caratterizzante di abnormità posto che se l’atto del giudice è
espressione di un potere riconosciutogli, si è in presenza di un
regresso “consentito” anche se i presupposti che ne legittimano
l’emanazione siano stati per errore ritenuti sussistenti). F Cass.
pen., sez. III, 4 marzo 2013, n. 10128 (c.c. 29 gennaio 2013), Pmt
in proc. Willi (c.p.p., art. 66; c.p.p., art. 568). [RV254979]
■ Provvedimenti impugnabili o inoppugnabili – Provvedimenti abnormi – Istanza del p.m. di liquidazione dei
compensi dovuti al c.t..
È abnorme il provvedimento con cui il Tribunale, investito dal
P.M. dell’istanza di liquidazione dei compensi dovuti al consulente tecnico, disponga la restituzione degli atti allo stesso Pubblico Ministero, considerato che la competenza a provvedere
alla liquidazione delle spese in questione è del magistrato che
procede e che, quindi, ha la disponibilità del fascicolo. F Cass.
pen., sez. IV, 18 gennaio 2013, n. 2820 (c.c. 30 novembre 2012),
Pmt in proc. Drigo. (c.p.p., art. 568; d.p.r. 30 maggio 2002, n.
115, art. 168). [RV254963]
■ Provvedimenti impugnabili o inoppugnabili – Provvedimenti abnormi – Omesso interrogatorio dell’indagato.
Non è abnorme l’ordinanza con cui il G.U.P. dichiari la nullità
della richiesta di rinvio a giudizio per omesso interrogatorio
dell’indagato che ne abbia fatto richiesta. (Fattispecie in cui
la nullità era stata dichiarata sul presupposto dell’illegittimo
rigetto dell’istanza di rinvio dell’interrogatorio formulata dalla
difesa dell’indagato). F Cass. pen., sez. VI, 28 febbraio 2013, n.
9730 (c.c. 29 gennaio 2013), P.M. in proc. Laporta. (c.p.p., art.
416). [RV254587]
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Ma s s i m a r i o
■ Provvedimenti impugnabili o inoppugnabili – Provvedimenti abnormi – Richiesta di riparazione per ingiusta
detenzione.
Integra gli estremi dell’atto abnorme, il provvedimento con cui
il giudice di appello, investito della richiesta di riparazione per
ingiusta detenzione, sospenda il procedimento “sine die”, in
attesa della definizione di altro procedimento in corso in fase
dibattimentale, al fine dell’eventuale applicazione dell’istituto
della “fungibilità”. F Cass. pen., sez. IV, 12 febbraio 2013, n. 7001
(c.c. 20 novembre 2012), Riitano. (c.p.p., art. 314; c.p.p., art.
315; c.p.p., art. 568; c.p.p., art. 657). [RV254961]
- ha introdotto un meccanismo preordinato ad evitare la stasi
prolungata ed ingiustificata del procedimento, non distinguendo, tuttavia, tra i casi di incapacità temporanea e di accertata incapacità permanente e immodificabile. In quest’ultimo caso, in
virtù di un’interpretazione dell’art. 72 c.p.p. conforme al canone
di ragionevolezza, il giudice, fermo il controllo sulla situazione
dell’imputato a scadenza semestrale, può valutare la necessità
di disporre la perizia quando ne ravvisi l’esigenza ovvero di rinviarla ad un momento successivo. F Cass. pen., sez. IV, 31 gennaio 2013, n. 4973 (c.c. 14 dicembre 2012), Barolo (c.p.p., art. 70;
c.p.p., art. 71; c.p.p., art. 72; c.p.p., art. 220). [RV255013]
■ Rinuncia – Formalità – Rinuncia presentata via fax alla
cancelleria del giudice.
È ammissibile la rinuncia all’impugnazione contenuta in un atto
a firma del ricorrente trasmessa via fax alla cancelleria del giudice “ad quem”, non essendo il rispetto delle forme di cui all’art.
589 c.p.p. previsto a pena di inammissibilità. F Cass. pen., sez. I,
31 gennaio 2013, n. 4884 (c.c. 26 ottobre 2012), Moltoni. (c.p.p.,
art. 582; c.p.p., art. 589). [RV254602]
Indagini preliminari
■ Rinuncia – Rinuncia a determinati motivi fra quelli in
cui si articolava l’atto di appello – Procura speciale.
Non opera il principio della necessità della procura speciale ai
fini della validità della rinuncia del difensore alla impugnazione,
nel caso in cui quest’ultima non investa l’atto di appello ma sia
limitata ad alcuni dei motivi su cui l’impugnazione si articoli. F
Cass. pen., sez. V, 24 gennaio 2013, n. 3820 (ud. 10 gennaio 2013),
Ignomeriello e altri. (c.p.p., art. 589). [RV254567]
Imputato
■ Dichiarazioni – Indizianti – Obbligo di informazione.
Ai fini della sussistenza dell’obbligo di informazione di cui all’art.
63 c.p.p. - nel caso di dichiarazioni rese da soggetto che avrebbe
dovuto essere sentito sin dall’inizio come persona indagata rileva solo la concreta situazione conoscibile ed apprezzabile al
momento in cui le dichiarazioni siano rese, essendo, pertanto,
irrilevante l’applicazione di eventuali scriminanti per le quali sia
necessaria un’evidenza e, comunque, un grado di certezza raggiungibile solo a seguito di apposite indagini. F Cass. pen., sez.
V, 8 gennaio 2013, n. 747 (ud. 28 settembre 2012), P.G. in proc. T.
e altri. (c.p., art. 46; c.p., art. 54; c.p.p., art. 63). [RV254599]
■ Dichiarazioni – Rinnovazione dell’esame di persona
indagata a norma dell’art. 26 della legge n. 63 del 2001 –
Dichiarazioni precedentemente rese al p.m. radicalmente
ritrattate in sede di rinnovazione.
Sono utilizzabili le dichiarazioni rese nella fase delle indagini
preliminari dai soggetti indicati negli artt. 64 e 197 bis disp.
att. c.p.p. se, nel corso della rinnovazione dell’interrogatorio a
norma dell’art. 26, comma secondo, legge 1 marzo 2001, n. 63, il
dichiarante ritratti nella sua interezza quanto sino ad allora riferito. F Cass. pen., sez. II, 4 gennaio 2013, n. 150 (ud. 18 ottobre
2012), Andreicik e altri. (c.p.p., art. 64; c.p.p., art. 197 bis; l. 1
marzo 2001, n. 63, art. 26). [RV254677]
■ Identità personale – Attribuzione di generalità errore
– Rettifica.
In caso di attribuzione all’imputato di generalità erronee, per
incertezza nella sua individuazione anagrafica, è possibile procedere alla rettifica mediante la procedura di correzione dell’errore materiale. F Cass. pen., sez. II, 23 gennaio 2013, n. 3396 (c.c.
16 novembre 2012), Dagrada. (c.p.p., art. 66; c.p.p., art. 130).
[RV254772]
■ Infermità di mente – Accertamento – Sospensione del
processo per incapacità dell’imputato.
In tema di sospensione del procedimento per incapacità dell’imputato a parteciparvi, la disposizione di cui all’art. 72 c.p.p. - nel
prevedere l’onere del giudice di procedere al controllo sullo
stato di mente dell’imputato a scadenza periodica semestrale, o
anche più breve, se necessario, mediante accertamenti peritali
■ Arresto in flagranza e fermo – Stato di flagranza – Informazione da parte di terzi.
Non sussiste la condizione di cosiddetta “quasi flagranza” qualora l’inseguimento dell’indagato da parte della P.G. sia stato
iniziato per effetto e solo dopo l’acquisizione di informazioni da
parte di terzi. F Cass. pen., sez. IV, 5 aprile 2013, n. 15912 (c.c.
7 febbraio 2013), P.M. in proc. Cecconi e altri. (c.p.p., art. 380;
c.p.p., art. 381; c.p.p., art. 382). [RV254966]
■ Attività ad iniziativa della polizia giudiziaria – Documentazione dell’attività – Mancata verbalizzazione di dichiarazioni.
La mancata verbalizzazione da parte delle polizia giudiziaria di
dichiarazioni da essa ricevute, in contrasto con quanto prescritto dall’art. 357 c.p.p., non le rende nulle o inutilizzabili in quanto
nessuna sanzione in tal senso è prevista da detta norma, sicché
salvi i limiti di cui all’art. 350, commi 6 e 7, c.p.p., l’agente o
l’ufficiale di polizia giudiziaria può fare relazione del loro contenuto all’autorità giudiziaria e rendere testimonianza “de relato”.
F Cass. pen., sez. II, 4 gennaio 2013, n. 150 (ud. 18 ottobre 2012),
Andreicik e altri. (c.p.p., art. 350; c.p.p., art. 357). [RV254678]
■ Attività ad iniziativa della polizia giudiziaria – Prostituzione minorile – Costatazione diretta da parte della
polizia giudiziaria.
Non costituisce “attività di contrasto” soggetta ad autorizzazione
dell’autorità giudiziaria, ai sensi dell’art. 14 della legge 3 agosto
1998, n. 269, l’accertamento compiuto dalla polizia giudiziaria
e puntualmente riferito in dibattimento, consistente nella costatazione diretta della commissione del reato di prostituzione
minorile. (Fattispecie nella quale è stata ritenuta utilizzabile la
deposizione di un ispettore di polizia che, qualificatosi come
cliente, si era recato in un’abitazione in cui era presente una minore che, immediatamente, iniziava a sbottonarsi i pantaloni).
F Cass. pen., sez. III, 12 marzo 2013, n. 11529 (ud. 29 gennaio
2013), B. (c.p.p., art. 191; c.p., art. 600 bis; l. 3 agosto 1998, n.
269, art. 14). [RV255023]
■ Attività del P.M. – Accertamenti tecnici non ripetibili –
Consulenza balistica.
La consulenza balistica (nella specie, di comparazione tra le
striature presenti sul proiettile rinvenuto sul luogo del delitto
e quelle prodotte sul proiettile “test” esploso con la pistola posseduta dall’indagato all’epoca dei fatti) non ha natura di accertamento irripetibile, laddove la permanente disponibilità della
rivoltella sequestrata consenta in ogni fase del procedimento
la ripetizione dell’accertamento. F Cass. pen., sez. I, 8 febbraio
2013, n. 6344 (c.c. 22 gennaio 2013), Fontanesi. (c.p.p., art. 359;
c.p.p., art. 360). [RV254884]
■ Attività del P.M. – Accertamenti tecnici non ripetibili –
Individuazione di impronta digitale mediante un sistema
di ‘esaltazione’ della stessa.
L’attività di individuazione delle impronte digitali mediante un
sistema che, attraverso l’uso di un prodotto chimico, evidenzia
e fissa le stesse non è assoggettato alla disciplina prevista per gli
accertamenti non ripetibili. F Cass. pen., sez. VI, 6 marzo 2013,
n. 10350 (ud. 6 febbraio 2013), Granella. (c.p.p., art. 354; c.p.p.,
art. 359; c.p.p., art. 360). [RV254589]
Arch. nuova proc. pen. 4/2014
399
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Ma s s i m a r i o
■ Attività del P.M. – Mancato svolgimento da parte del
p.m. di attività di indagine a favore dell’indagato – Sanzioni processuali.
Il dovere del P.M. di svolgere attività di indagine a favore dell’indagato non è presidiato da alcuna sanzione processuale,
sicché la sua violazione non può essere dedotta con ricorso
per cassazione proposto per mancata assunzione di una prova
decisiva. (Nella specie, la Corte ha evidenziato che la difesa può
comunque svolgere attività di indagine in via autonoma rispetto
al P.M. nonché formulare proprie richieste istruttorie nel giudizio ordinario o abbreviato). F Cass. pen., sez. II, 4 marzo 2013, n.
10061 (ud. 20 novembre 2012), Porcelli. (c.p.p., art. 358; c.p.p.,
art. 606). [RV254872]
■ Chiusura – Archiviazione – Notifica alla persona offesa.
Il termine entro il quale la persona offesa dal reato può ricorrere per cassazione contro il decreto di archiviazione adottato
in violazione del contraddittorio decorre dalla data di effettiva
conoscenza della notizia della sua esistenza. F Cass. pen., sez.
VI, 20 febbraio 2013, n. 8408 (c.c. 6 febbraio 2013), P.O. in proc.
Gironacci. (c.p.p., art. 408; c.p.p., art. 409; c.p.p., art. 585;
c.p.p., art. 606). [RV254767]
■ Chiusura – Archiviazione – Omesso avviso.
L’omesso avviso della richiesta di archiviazione alla persona offesa che ne abbia fatto richiesta determina la violazione del contraddittorio e la conseguente nullità, ex art. 127, comma quinto,
c.p.p. del decreto di archiviazione, impugnabile con ricorso per
cassazione, esperibile nel termine di impugnazione ordinario
di quindici giorni, che decorre dal momento in cui la persona
offesa abbia avuto notizia del provvedimento. (Nella specie la
S.C. ha ritenuto che il predetto termine decorresse dal momento
in cui la persona offesa aveva acquisito copia degli atti del procedimento). F Cass. pen., sez. III, 12 marzo 2013, n. 11543 (c.c.
27 novembre 2012), P.O. in proc. Ferrari. (c.p.p., art. 127; c.p.p.,
art. 408; c.p.p., art. 409; c.p.p., art. 585). [RV254743]
■ Chiusura – Archiviazione – Opposizione della persona
offesa.
È inammissibile l’opposizione della persona offesa che sollecita
investigazioni suppletive superflue ed inidonee a determinare
modificazioni sostanziali del quadro probatorio. (Fattispecie in
cui la Corte ha rilevato che gli approfondimenti di indagine richiesti non potevano considerarsi dirimenti, sull’assunto “che
manca - e non appare raggiungibile - la prova” del fatto asserito
dalla persona offesa). F Cass. pen., sez. VI, 11 febbraio 2013, n.
6579 (c.c. 13 novembre 2012), P.O. in proc. Febbo. (c.p.p., art.
410). [RV254869]
■ Chiusura – Termini – Inutillizabilità degli atti per scadenza del termine.
Il termine di durata delle indagini è di sei mesi anche in relazione al reato di associazione per delinquere, salvo che nei casi in
cui questa sia diretta alla commissione dei reati previsti dall’art.
380, comma secondo, lett. a), b), c), d), f), g) ed i) c.p.p., e sia
quindi obbligatorio l’arresto in flagranza. (In applicazione del
principio, la Corte ha rilevato l’inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti oltre il sesto mese dall’iscrizione nel registro delle
notizie di reato relativamente ad un’associazione per delinquere
dedita all’organizzazione di furti in istituti di credito). F Cass.
pen., sez. VI, 25 febbraio 2013, n. 9097 (c.c. 17 gennaio 2013),
Lestingi. (c.p.p., art. 380; c.p.p., art. 405; c.p.p., art. 407).
[RV254583]
■ Chiusura – Termini – Proroga.
La richiesta di proroga del termine per la conclusione delle
indagini preliminari, da notificare all’indagato per consentirgli
di controdedurre, deve contenere, ai sensi dell’art. 406 c.p.p.,
l’indicazione della notizia di reato - senza che siano necessarie
indicazioni temporali e spaziali del fatto né delle norme che si
intendono violate in concreto - e l’esposizione dei motivi che
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4/2014 Arch. nuova proc. pen.
giustificano la proroga, i quali costituiscono l’oggetto del contraddittorio. F Cass. pen., sez. V, 5 febbraio 2013, n. 5782 (c.c. 4
dicembre 2012), Scorrano (c.p.p., art. 406). [RV255007]
■ Udienza preliminare – Atti di indagine espletati in procedimento diverso e prima della richiesta di rinvio a giudizio – Acquisizione.
Rientrano tra gli atti di indagine suppletiva, e sono dunque
acquisibili nell’udienza preliminare, anche gli atti relativi ad
indagini espletate in un procedimento diverso ed in data precedente a quella della richiesta di rinvio a giudizio. (Nella specie
si trattava del verbale di interrogatorio di un collaboratore di
giustizia). F Cass. pen., sez. V, 20 febbraio 2013, n. 8353 (ud. 16
gennaio 2013), Fiarè e altri. (c.p.p., art. 419). [RV254714]
■ Udienza preliminare – Richiesta di rinvio a giudizio –
Rituale presentazione presso la cancelleria del giudice.
In materia di richiesta di rinvio a giudizio, qualora questa sia
stata ritualmente presentata dal pubblico ministero presso la
cancelleria del giudice, non costituisce causa di nullità l’omesso
precedente deposito della stessa nella segreteria del pubblico
ministero. F Cass. pen., sez. V, 5 ottobre 2012, n. 39407 (ud. 18
luglio 2012), Baracca. (c.p.p., art. 128; c.p.p., art. 178; c.p.p.,
art. 416). [RV254600]
Istituti di prevenzione e pena (ordinamento penitenziario)
■ Affidamento in prova al servizio sociale – Sopravvenienza di misura cautelare domiciliare – Conseguenze.
Il sopraggiungere della misura cautelare degli arresti domiciliari
nei confronti di soggetto sottoposto alla misura alternativa dell’affidamento in prova ai servizi sociali ha come effetto quello
di sospendere il corso di quest’ultima fino alla cessazione della
misura cautelare con essa incompatibile. F Cass. pen., sez. VI, 5
aprile 2013, n. 15925 (ud. 28 marzo 2013), Polverino. (c.p.p., art.
298; l. 26 luglio 1975, n. 354, art. 47 ter). [RV254732]
Misure cautelari personali
■ Arresti domiciliari – Indisponibilità di un domicilio idoneo – Applicazione della custodia in carcere.
In tema di scelta della misura idonea a soddisfare le ritenute esigenze cautelari, è legittima l’applicazione della misura cautelare
della custodia in carcere nel caso in cui il giudice ritenga che la
pericolosità del soggetto da sottoporre a cautela possa essere
neutralizzata attraverso l’applicazione degli arresti domiciliari,
ma il predetto soggetto non disponga di un domicilio all’uopo
idoneo. F Cass. pen., sez. II, 23 gennaio 2013, n. 3429 (c.c. 20
dicembre 2012), Di Mattia. (c.p.p., art. 275; c.p.p., art. 284;
c.p.p., art. 285). [RV254777]
■ Condizioni di applicabilità – Esigenze cautelari – Modalità del fatto.
Ai fini dell’individuazione dell’esigenza cautelare di cui all’art.
274, lettera c), c.p.p., il giudice può porre a base della valutazione della personalità dell’indagato le stesse modalità del fatto
commesso da cui ha dedotto anche la gravità del medesimo. F
Cass. pen., sez. I, 21 febbraio 2013, n. 8534 (c.c. 9 gennaio 2013),
Liuzzi. (c.p.p., art. 274). [RV254928]
■ Condizioni di applicabilità – Gravi indizi di colpevolezza – Giudizio di esclusione.
Il requisito della gravità degli indizi di colpevolezza non può essere ritenuto insussistente sulla base di una valutazione separata
dei vari dati probatori, dovendosi invece verificare se gli stessi,
coordinati ed apprezzati globalmente secondo logica comune,
assumano la valenza richiesta dall’art. 273 c.p.p., atteso che essi,
in considerazione della loro natura, sono idonei a dimostrare il
fatto se coordinati organicamente. F Cass. pen., sez. II, 27 febbraio 2013, n. 9269 (c.c. 5 dicembre 2012), Della Costa. (c.p.p.,
art. 273). [RV254871]
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Ma s s i m a r i o
■ Estinzione – Effetto della pronuncia di determinate
sentenze – Annullamento con rinvio della sentenza di
condanna.
L’annullamento con rinvio di una sentenza di condanna, relativo
alla sola applicabilità della misura di sicurezza dell’espulsione
dello straniero, non determina l’automatica caducazione della
misura cautelare non custodiale, che conserva la sua funzionalità in riferimento alla misura di sicurezza ancora “sub iudice”.
F Cass. pen., sez. I, 1 febbraio 2013, n. 5214 (c.c. 15 gennaio
2013), Zefi. (c.p.p., art. 300; c.p.p., art. 656; c.p.p., art. 657).
[RV254577]
■ Estinzione – Omesso interrogatorio – Nuova emissione
di misura cautelare a seguito di quella precedente.
Nell’ipotesi di emissione di una nuova misura custodiale in seguito alla dichiarazione di inefficacia, ai sensi dell’art. 309, commi 5 e 10, c.p.p., di quella precedente, il giudice per le indagini
preliminari non ha l’obbligo di interrogare l’indagato prima di
ripristinare nei suoi confronti il regime carcerario. F Cass. pen.,
sez. II, 27 febbraio 2013, n. 9258 (c.c. 23 novembre 2012), Sarpa.
(c.p.p., art. 294; c.p.p., art. 302; c.p.p., art. 309). [RV254870]
■ Estinzione – Provvedimenti in caso di scarcerazione
per decorrenza dei termini – Ripristino della custodia per
sopravvenuta condanna.
In tema di custodia cautelare in carcere, il ripristino nei confronti dell’imputato, a seguito di sopravvenuta condanna, deve
fondarsi sull’entità della pena detentiva inflitta oltre che sulla
natura e sulla gravità del reato in funzione del giudizio di probabilità che il condannato possa sottrarsi all’esecuzione della
sentenza, ove questa divenga irrevocabile. (Fattispecie in cui
l’imputato era stato condannato in appello alla pena di sette
anni di reclusione per partecipazione ad un’associazione di tipo
mafioso che in passato aveva favorito la latitanza degli associati). F Cass. pen., sez. II, 27 febbraio 2013, n. 9277 (c.c. 22 gennaio
2013), Tallura. (c.p.p., art. 275; c.p., art. 416 bis). [RV254876]
■ Estinzione – Revoca e sostituzione – Richiesta – Condizioni di salute del detenuto incompatibili con lo stato
di detenzione – Rigetto della richiesta sulla base della
documentazione sanitaria acquisita – Obbligo del giudice
di disporre perizia – Sussistenza.
In tema di misure coercitive, nel caso in cui il giudice ritenga
di non accogliere immediatamente, sulla base della documentazione sanitaria acquisita, la richiesta di revoca o di sostituzione
della custodia cautelare in carcere, fondata sulla prospettazione
della particolare gravità delle condizioni di salute dell’indagato
incompatibili con lo stato di detenzione, è tenuto a nominare un
perito per svolgere gli accertamenti del caso. (Fattispecie nella
quale la S.C. ha censurato la decisione del tribunale del riesame
secondo cui le condizioni di salute del detenuto, per l’assenza di
un apprezzabile “fumus”, non richiedevano l’automatico espletamento di una perizia). F Cass. pen., sez. IV, 11 aprile 2013, n.
16524 (c.c. 15 febbraio 2013), Mafrica (c.p.p., art. 275; c.p.p.,
art. 299). [RV254846]
■ Estinzione – Termine di durata massima della custodia
cautelare – Disconoscimento di una circostanza attenuante.
Nel caso in cui il giudice di legittimità abbia disposto l’annullamento con rinvio limitatamente all’esclusione di una circostanza aggravante (nella specie, sub art. 7 d.l. n. 152 del 1991,
conv. in l. 203 del 1991) in grado d’appello, deve ritenersi che si
sia formato il giudicato sull’affermazione di responsabilità dell’imputato a prescindere dalle statuizioni del giudice in ordine
al bilanciamento tra le circostanze, sicché i termini di custodia
cautelare cui deve farsi riferimento sono, ai sensi dell’art. 303,
comma primo, lett. d), seconda parte, c.p.p., quelli stabiliti per la
durata massima delle misure cautelari dal quarto comma dello
stesso articolo. F Cass. pen., sez. IV, 7 marzo 2013, n. 10674 (c.c.
19 febbraio 2013), P.G. in proc. Macrì. (c.p.p., art. 303; c.p.p.,
art. 624; d.l. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7). [RV254940]
■ Estinzione – Termine di durata massima della custodia
cautelare – Sospensione.
Compete al giudice di appello il potere di adottare il provvedimento di sospensione dei termini di custodia cautelare per la
durata del tempo di redazione della sentenza di primo grado.
F Cass. pen., sez. V, 28 settembre 2012, n. 37656 (c.c. 7 giugno
2012), Scozzari (c.p.p., art. 304). [RV254556]
■ Impugnazioni – Appello – Appello del p.m..
L’appello del P.M., ex art. 310 c.p.p., avverso ordinanza cautelare, i cui motivi siano riferiti al solo punto dell’adeguatezza della
misura emessa, non attribuisce al tribunale del riesame la cognizione anche sui punti della gravità indiziaria e delle esigenze
cautelari, a meno che non siano emersi elementi nuovi o diversi, non valutati precedentemente dal giudice che ha emesso il
provvedimento. F Cass. pen., sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 6592
(c.c. 25 gennaio 2013), Lacu e altro. (c.p.p., art. 299; c.p.p., art.
310). [RV254578]
■ Impugnazioni – Appello – Impugnazione del p.m..
Il giudice dell’appello cautelare personale non può provvedere,
in caso di impugnazione del P.M., stante il principio devolutivo,
in merito a misure cautelari diverse, anche se meno gravi, rispetto a quella originariamente richiesta dal P.M., ove, anche in
sede di appello, non sia stata fatta richiesta di applicazione di
una misura meno grave. F Cass. pen., sez. III, 23 gennaio 2013, n.
3443 (c.c. 18 settembre 2012), P.M. in proc. E.. (c.p.p., art. 309;
c.p.p., art. 310). [RV254680]
■ Impugnazioni – Riesame – Decisione.
In materia di procedimento di riesame, il termine di dieci giorni
entro il quale deve intervenire la decisione inizia a decorrere
dalla trasmissione degli atti, anche se effettuata dopo il quinto
giorno dalla richiesta a causa del maturare di quest’ultimo in
data festiva. F Cass. pen., sez. VI, 29 gennaio 2013, n. 4301 (c.c.
11 gennaio 2013), Musumeci. (c.p.p., art. 172; c.p.p., art. 309).
[RV254895]
■ Impugnazioni – Riesame – Procedimento.
In materia di riesame delle misure cautelari, per atti “sopravvenuti” si intendono quelli non conosciuti al momento dell’istanza
ex. art. 291 primo comma c.p.p., e venuti a conoscenza del P.M.
dopo la scadenza del termine di cinque giorni previsto dall’art.
309 comma quinto c.p.p. (Nella specie la Corte ha escluso che
potesse riconoscersi il carattere della sopravvenienza ad una
videoregistrazione comunque antecedente l’applicazione della
misura e riversata in un brogliaccio posto a disposizione della
difesa nei termini di legge). F Cass. pen., sez. I, 5 febbraio 2013,
n. 5714 (c.c. 18 dicembre 2012), Garufi. (c.p.p., art. 291; c.p.p.,
art. 309). [RV254883]
■ Impugnazioni – Riesame – Procedimento.
In tema di misure cautelari, se i decreti autorizzativi delle intercettazioni telefoniche non siano allegati alla richiesta del P.M.,
la successiva omessa trasmissione degli stessi al Tribunale del
riesame a seguito di impugnazione del provvedimento coercitivo
non determina l’inutilizzabilità, né la nullità assoluta ed insanabile delle intercettazioni, salvo che la difesa dell’indagato abbia
presentato specifica e tempestiva richiesta di acquisizione, e la
stessa o il giudice non siano stati in condizione di effettuare un
efficace controllo di legittimità. F Cass. pen., sez. VI, 15 febbraio
2013, n. 7521 (c.c. 24 gennaio 2013), Cerbasio. (c.p.p., art. 180;
c.p.p., art. 183; c.p.p., art. 271; c.p.p., art. 291). [RV254586]
■ Impugnazioni – Riesame – Richiesta.
In tema di riesame, i termini per la relativa richiesta decorrono
dall’attestazione del difensore in calce al verbale dell’interrogatorio dell’imputato, effettuato ai sensi dell’art. 294 c.p.p., di
avere ricevuto l’avviso del deposito dell’ordinanza cautelare e di
avere preso cognizione del contenuto della stessa. F Cass. pen.,
sez. VI, 18 aprile 2013, n. 17958 (c.c. 16 aprile 2013), Camuri.
(c.p.p., art. 293; c.p.p., art. 294; c.p.p., art. 309). [RV254734]
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401
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Ma s s i m a r i o
■ Impugnazioni – Riesame – Sopravvenuta inutilizzabilità.
La sostituzione di una misura cautelare personale con altra di
natura interdittiva comporta la sopravvenuta inammissibilità
del riesame in precedenza richiesto, salvo che sussista lo specifico interesse dell’imputato a coltivare l’impugnazione ai fini di
una futura utilizzazione della pronunzia favorevole per il riconoscimento della riparazione per ingiusta detenzione. F Cass. pen.,
sez. VI, 29 gennaio 2013, n. 4305 (c.c. 17 gennaio 2013), Gallo.
(c.p.p., art. 287; c.p.p., art. 309; c.p.p., art. 310; c.p.p., art.
314). [RV254576]
■ Procedimento applicativo – Interrogatorio – Sospensione dell’interrogatorio per avvisare il difensore nominato.
Qualora il giudice che procede all’interrogatorio previsto dall’art. 294 c.p.p. non abbia avuto conoscenza della nomina del
difensore di fiducia effettuata dall’indagato con dichiarazione
resa all’ufficio matricola, nel raccogliere a verbale la nomina
suddetta non è tenuto a sospendere l’interrogatorio per avvisare
il difensore nominato, atteso che tale obbligo sussiste soltanto ove la designazione intervenga in tempo utile e non anche
ove essa sia contestuale al compimento dell’atto. (Fattispecie
relativa ad avviso di fissazione di interrogatorio antecedente di
cinque minuti la dichiarazione di nomina). F Cass. pen., sez. III,
28 febbraio 2013, n. 9585 (c.c. 17 gennaio 2013), Gjini. (c.p.p.,
art. 96; c.p.p., art. 123; c.p.p., art. 294). [RV254750]
■ Procedimento applicativo – Ordinanza del giudice –
Requisiti.
L’indicazione delle generalità complete dell’indagato nell’ordinanza cautelare è indispensabile - essendone sanzionata da
nullità l’omissione - solo nel caso in cui si tratti di ordinanza
adottata autonomamente, ex art. 291 c.p.p., e non anche nel
caso in cui essa sia emessa dopo la convalida dell’arresto in flagranza dell’indagato ad opera della P.G., in quanto, in tal caso,
l’identificazione è stata già compiuta, in maniera esauriente e
completa, senza alcuna possibilità di errore sulla sua identità.
F Cass. pen., sez. IV, 22 gennaio 2013, n. 3303 (c.c. 18 ottobre
2012), Manolache. (c.p.p., art. 291; c.p.p., art. 292; c.p.p., art.
391). [RV254960]
■ Procedimento applicativo – Ordinanza del giudice –
Requisiti.
In tema di misure coercitive, il tempo trascorso dalla commissione del reato non esclude automaticamente l’attualità e la
concretezza delle condizioni di cui all’art. 274 comma primo,
lett. c) c.p.p. (Nella fattispecie la Corte ha ritenuto congrua la
motivazione della misura custodiale in quanto fondata sull’accertamento di plurimi episodi di spaccio di droga). F Cass. pen.,
sez. IV, 11 febbraio 2013, n. 6797 (c.c. 24 gennaio 2013), Canessa
e altro. (c.p.p., art. 274). [RV254936]
■ Procedimento applicativo – Potere del g.i.p. di dare una
diversa qualificazione giuridica al fatto – Sussistenza.
In tema di misure cautelari personali, il giudice, pur essendo
vincolato alla richiesta del pubblico ministero in ordine agli
elementi di fatto che integrano la contestazione, può legittimamente modificare la definizione giuridica dell’addebito. (Fattispecie in cui il G.I.P., con valutazione confermata dal Tribunale
del riesame, aveva riqualificato in termini di maltrattamenti in
famiglia il fatto contestato dal pubblico ministero “sub specie”
di tentata estorsione). F Cass. pen., sez. VI, 19 marzo 2013, n.
12828 (c.c. 14 febbraio 2013), P.. (c.p.p., art. 291). [RV254902]
■ Riparazione per l’ingiusta detenzione – Richiesta – Ricovero in casa di cura.
È ammissibile la richiesta di riparazione per la ingiusta detenzione
in relazione alla restrizione della libertà indebitamente sofferta per
l’applicazione della misura di sicurezza del ricovero in una casa di
cura. F Cass. pen., sez. IV, 8 marzo 2013, n. 11086 (c.c. 6 febbraio
2013), Di Riso. (c.p.p., art. 314; c.p., art. 222). [RV254938]
402
4/2014 Arch. nuova proc. pen.
Misure cautelari reali
■ Impugnazioni – Ricorso per cassazione – Motivi.
È ammissibile il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, pur consentito solo per
violazione di legge, quando la motivazione del provvedimento
impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perché
sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la
vicenda contestata e l’”iter” logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato
il provvedimento impugnato che, in ordine a contestazioni per i
reati previsti dagli artt. 416, 323, 476, 483 e 353 c.p. con riguardo
all’affidamento di incarichi di progettazione e direzione di lavori
pubblici, non aveva specificato le violazioni riscontrate, ma aveva fatto ricorso ad espressioni ambigue, le quali, anche alla luce
di quanto prospettato dalla difesa in sede di riesame, non erano
idonee ad escludere che si fosse trattato di mere irregolarità
amministrative). F Cass. pen., sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 6589
(c.c. 10 gennaio 2013), Gabriele. (c.p.p., art. 325; c.p., art. 323;
c.p., art. 353; c.p., art. 476). [RV254893]
■ Impugnazioni – Ricorso per cassazione – Ordinanza del
tribunale del riesame di revoca del sequestro conservativo.
La parte civile è legittimata a proporre ricorso per cassazione
avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame che ha revocato
il sequestro conservativo, derivando dal combinato disposto
degli artt. 325, comma secondo e 318 c.p.p. la legittimazione a
proporre richiesta di riesame o ricorso diretto in cassazione di
chiunque vi abbia interesse. F Cass. pen., sez. V, 28 settembre
2012, n. 37655 (c.c. 17 aprile 2012), Cedis Spa ed altro. (c.p.p.,
art. 318; c.p.p., art. 324; c.p.p., art. 325). [RV254609]
■ Impugnazioni – Ricorso per cassazione – Ordinanza del
tribunale del riesame di revoca del sequestro conservativo.
Sussiste la legittimazione della parte civile ad impugnare, con
ricorso per cassazione, l’ordinanza del Tribunale del riesame
di revoca del sequestro conservativo, in quanto dal combinato
disposto degli art. 325, comma secondo, e 318 c.p.p., che attribuisce la legittimazione a proporre richiesta di riesame avverso
il provvedimento di sequestro conservativo a chiunque vi abbia
interesse si desume che anche la parte civile può presentare
direttamente ricorso per cassazione e, conseguentemente, che
può pure proporre ricorso ex art. 325, comma primo, c.p.p.. F
Cass. pen., sez. V, 30 gennaio 2013, n. 4622 (c.c. 7 novembre
2012), p.c. in proc. Dazzi. (c.p.p., art. 316; c.p.p., art. 318;
c.p.p., art. 324; c.p.p., art. 325). [RV254645]
■ Impugnazioni – Ricorso per cassazione – Revoca del
sequestro conservativo.
La parte civile è legittimata a ricorrere avverso l’ordinanza
con cui il Tribunale per il riesame ha provveduto alla revoca
del sequestro conservativo disposto nel suo interesse. F Cass.
pen., sez. V, 15 ottobre 2012, n. 40404 (c.c. 17 aprile 2012), P.C.
in proc. Bosio (c.p.p., art. 316; c.p.p., art. 324; c.p.p., art. 325).
[RV254552]
■ Impugnazioni – Riesame – Decisione
È illegittimo il provvedimento di sequestro preventivo che prospetti ipotesi alternative sulla proprietà dei beni sottoposti a
vincolo perché ciò comporta anche la impossibilità di individuare il soggetto nei cui confronti l’atto viene eseguito, e, quindi,
il titolare del diritto alla restituzione, cui spetta la facoltà di
proporre riesame. (Fattispecie relativa a sequestro di somme di
denaro giacenti sul conto corrente intestato a Comune ma provento di attività criminosa, ex artt. 640, 323 e 353 c.p., perpetrata
dal sindaco e dal direttore dell’ufficio tecnico). F Cass. pen., sez.
VI, 11 febbraio 2013, n. 6589 (c.c. 10 gennaio 2013), Gabriele.
(c.p.p., art. 321). [RV254894]
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■ Impugnazioni – Sequestro probatorio – Indicazioni
carenti.
In tema di sequestro probatorio, l’eventuale incompletezza del
provvedimento impugnato (nella specie, per la non compiuta
indicazione delle esigenze probatorie) può essere sanata dal
Tribunale del riesame, che ha l’obbligo di verificare l’effettiva
sussistenza dei requisiti per la sua emissione e, in caso positivo,
di procedere all’integrazione della motivazione carente. F Cass.
pen., sez. VI, 6 febbraio 2013, n. 5906 (c.c. 22 gennaio 2013), P.M.
in proc. Costanzo Zammataro. (c.p.p., art. 324). [RV254900]
■ Sequestro conservativo – Patteggiamento – Ordinanza
di conversione del sequestro probatorio in conservativo.
L’ordinanza con cui, all’esito del giudizio (nella specie di applicazione della pena), il sequestro probatorio è convertito in sequestro conservativo, è ricorribile per cassazione. F Cass. pen.,
sez. III, 22 gennaio 2013, n. 3265 (c.c. 29 novembre 2012), Boukhsibi. (c.p.p., art. 262; c.p.p., art. 586). [RV254683]
■ Sequestro conservativo – Revoca – Condizioni.
Il sequestro conservativo, prima della definitività della sentenza
di proscioglimento o di non luogo a procedere, è suscettibile di
revoca soltanto nel caso in cui venga offerta idonea cauzione
e non anche per il venire meno dei presupposti che ne hanno
legittimato l’adozione. F Cass. pen., sez. V, 15 ottobre 2012, n.
40407 (c.c. 17 aprile 2012), R.C. in proc. De Berardinis e altro.
(c.p.p., art. 316; c.p.p., art. 317). [RV254631]
■ Sequestro preventivo – Confisca – Necessità.
La confisca prevista dall’art. 12 sexies del d.l. 8 giugno 1992, n.
306 (conv. in legge 7 agosto 1992, n. 356) non deve essere necessariamente preceduta dal sequestro preventivo, trattandosi di
una ipotesi di confisca obbligatoria. F Cass. pen., sez. III, 13 febbraio 2013, n. 7079 (c.c. 23 gennaio 2013), Buzi. (c.p.p., art. 321;
d.l. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 sexies). [RV254751]
■ Sequestro preventivo – Oggetto – Confisca per equivalente.
In tema di sequestro preventivo ai fini della confisca per equivalente, rientra tra i compiti del giudice del riesame l’onere di
effettuare, sulla base dei dati disponibili, la valutazione relativa
alla equivalenza tra il valore dei beni in sequestro e l’entità del
profitto del reato. F Cass. pen., sez. III, 22 gennaio 2013, n. 3260
(c.c. 4 aprile 2012), P.M. in proc. Currò. (c.p., art. 322 ter; c.p.p.,
art. 321; c.p.p., art. 324). [RV254679]
■ Sequestro preventivo – Oggetto – Confisca per equivalente.
In tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per
equivalente, il giudice che emette il provvedimento ablativo è
tenuto soltanto ad indicare l’importo complessivo da sequestrare, mentre l’individuazione specifica dei beni da apprendere e la
verifica della corrispondenza del loro valore al “quantum” indicato nel sequestro è riservata alla fase esecutiva demandata al
pubblico ministero. (Fattispecie nella quale la S.C. ha annullato
il provvedimento del tribunale del riesame, che aveva respinto
l’appello del P.M. perché il decreto di sequestro non conteneva
l’indicazione dei beni da assoggettare a vincolo al fine di verificarne la corrispondenza all’entità del profitto del reato). F Cass.
pen., sez. III, 7 marzo 2013, n. 10567 (c.c. 12 luglio 2012), Falchero. (d.l.vo 10 marzo 2000, n. 74; c.p.p., art. 321; c.p., art.
322 ter; l. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1). [RV254918]
■ Sequestro preventivo – Oggetto – Confisca per equivalente.
In tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per
equivalente del profitto del reato (nella specie, di omesso versamento di ritenute certificate), il soggetto destinatario del provvedimento ablativo, nel caso di sproporzione tra il valore economico dei beni da confiscare indicato nel decreto di sequestro
e l’ammontare delle cose sottoposte a vincolo, può contestare
tale eccedenza al fine di ottenere una riduzione della garanzia,
presentando apposita richiesta al P.M., al gip, ovvero appello
al tribunale del riesame. F Cass. pen., sez. III, 7 marzo 2013, n.
10567 (c.c. 12 luglio 2012), Falchero. (c.p., art. 322 ter; c.p.p.,
art. 321; d.l.vo 10 marzo 2000, n. 74; l. 24 dicembre 2007, n.
244, art. 1). [RV254919]
■ Sequestro preventivo – Oggetto – Sequestro funzionale
alla confisca per equivalente.
Ai fini del sequestro preventivo funzionale alla confisca per
equivalente “ex” art. 322 ter, c.p., il profitto confiscabile al corruttore va identificato nel solo incremento di valore che il bene
abbia ricevuto per effetto dell’attività corruttiva. Ne consegue
che il giudice deve prima stabilire il valore dell’incremento del
bene e, successivamente, disporre il vincolo cautelare nei limiti
del valore corrispondente all’incremento stesso. F Cass. pen.,
sez. VI, 22 gennaio 2013, n. 3253 (c.c. 5 luglio 2012), P.M. in proc.
Zaffagnini e altri. (c.p.p., art. 321; c.p., art. 319; c.p., art. 332
ter). [RV254684]
■ Sequestro preventivo – Perdita di efficacia – Sentenza
di condanna non irrevocabile.
In tema di misure cautelari reali, quando sia intervenuta una
sentenza non irrevocabile di condanna deve escludersi l’esecutività immediata dei provvedimenti restitutori dei beni sottoposti a sequestro preventivo anche nell’ipotesi in cui non ne sia
stata disposta la confisca, potendo quest’ultima intervenire nel
successivo grado di giudizio di merito e, ricorrendo l’ipotesi di
confisca obbligatoria, anche in sede esecutiva. (Fattispecie relativa ad una sentenza di condanna intervenuta in primo grado
per i reati di spaccio di droga, in cui non era stata disposta la
confisca obbligatoria di beni, sequestrati ex art. 12 sexies d.l.
n. 306 del 1992, conv. in l. 356 del 1992). F Cass. pen., sez. I, 21
febbraio 2013, n. 8533 (c.c. 9 gennaio 2013), Zhugri. (c.p.p., art.
321; c.p.p., art. 323; d.l. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 sexies).
[RV254927]
■ Sequestro preventivo – Principi di proporzionalità e
adeguatezza – Applicazione.
I principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità, dettati
dall’art. 275 c.p.p. per le misure cautelari personali, sono applicabili anche alle misure cautelari reali, dovendo il giudice
motivare adeguatamente sulla impossibilità di conseguire il
medesimo risultato attraverso altri e meno invasivi strumenti
cautelari. (Fattispecie di sequestro preventivo di bene immobile
comportante la privazione in capo al possessore della disponibilità dello stesso pur a fronte della sola ritenuta esigenza di
evitarne la circolazione). F Cass. pen., sez. V, 20 febbraio 2013,
n. 8382 (c.c. 16 gennaio 2013), Caruso. (c.p.p., art. 275; c.p.p.,
art. 321). [RV254712]
■ Sequestro preventivo – Provvedimento del p.m. di rigetto – Annullamento della corte di cassazione.
In caso di annullamento senza rinvio del provvedimento con cui
il P.M. rigetti la richiesta di revoca del sequestro preventivo, la
Corte di cassazione trasmette gli atti direttamente al giudice per
le indagini preliminari e non già allo stesso P.M.. F Cass. pen.,
sez. III, 23 gennaio 2013, n. 3449 (c.c. 20 novembre 2012), Torroni. (c.p.p., art. 321; c.p.p., art. 620). [RV254711]
■ Sequestro preventivo – Richiesta di revoca – Provvedimento del p.m. di rigetto.
È abnorme, e pertanto ricorribile per cassazione, il provvedimento con cui il P.M., in luogo di trasmettere al Gip, con le
proprie valutazioni negative, la richiesta di revoca di sequestro
preventivo, proceda a rigettarla direttamente. F Cass. pen., sez.
III, 23 gennaio 2013, n. 3449 (c.c. 20 novembre 2012), Torroni.
(c.p.p., art. 321). [RV254710]
Misure di prevenzione
■ Appartenenti ad associazioni mafiose – Sorveglianza
speciale – Assoluzione in appello dal delitto associativo.
In tema di misure di prevenzione nei confronti di indiziati di appartenenza ad associazioni mafiose, è illegittimo, per essere la
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motivazione meramente apparente, il decreto con cui il giudice
di appello confermi la misura della sorveglianza speciale nei
confronti del preposto, sulla scia di una sentenza di condanna
di primo grado per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p., senza tenere in conto alcuno la sentenza di assoluzione intervenuta in
appello. F Cass. pen., sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 6588 (c.c. 10
gennaio 2013), Facchineri. (c.p., art. 416 bis; c.p.p., art. 125; l.
27 dicembre 1956, n. 1423, art. 4; l. 31 maggio 1965, n. 575,
art. 2 ter). [RV254574]
■ Procedimento – Richiesta dell’interessato di presenziare all’udienza – Istanza del difensore.
Nel procedimento di sorveglianza, la richiesta dell’interessato
di presenziare all’udienza è atto formale che deve provenire direttamente da questi e non può ritenersi implicita nella istanza
del difensore con la quale si chiede di autorizzare il condannato,
ai sensi dell’art. 22 disp. att. c.p.p., ad allontanarsi dal domicilio.
F Cass. pen., sez. I, 31 gennaio 2013, n. 4896 (c.c. 30 novembre
2012), Modou. (c.p.p., art. 666; c.p.p., art. 678). [RV254603]
■ Revoca e modifica – Opposizione a confisca – Terzi interessati.
In tema di procedimento di prevenzione, è inammissibile il ricorso per cassazione presentato personalmente dal terzo interessato avverso il decreto che dispone la misura patrimoniale della
confisca, avendo costui, in quanto portatore di interessi civilistici, un onere di patrocinio, che é soddisfatto solo attraverso il
conferimento di procura alle liti al difensore. F Cass. pen., sez.
VI, 15 febbraio 2013, n. 7510 (c.c. 23 ottobre 2012), Esposito e
altro. (c.p.p., art. 100; c.p.c., art. 83). [RV254580]
Misure di sicurezza
■ Patrimoniali – Confisca – Beni acquisiti in epoca precedente all’entrata in vigore della legge.
L’ipotesi di confisca prevista dall’art. 12 sexies d.l. 8 giugno 1992,
n. 306, convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356, può essere
disposta anche in relazione a cespiti acquisiti in epoca anteriore
all’entrata in vigore delle disposizioni che l’hanno istituita, in
quanto il principio di irretroattività opera solo con riguardo alle
confische aventi sicura natura sanzionatoria e non anche in relazione alle misure di sicurezza, tra cui va ricompresa la confisca
in questione. F Cass. pen., sez. VI, 7 marzo 2013, n. 10887 (ud. 11
ottobre 2012), Alfiero e altri. (d.l. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12
sexies; c.p.p., art. 493). [RV254786]
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Notificazioni in materia penale
■ A persona diversa dall’imputato – Difensore – Abbandono della difesa da parte dei difensori di fiducia.
È legittima la notificazione all’imputato dell’estratto contumaciale della sentenza, eseguita presso il difensore nominato
d’ufficio in sostituzione di quelli di fiducia che il giudice aveva
motivatamente ritenuto aver abbandonato la difesa per mancato svolgimento di qualsiasi attività defensionale. F Cass. pen.,
sez. I, 31 gennaio 2013, n. 4928 (c.c. 19 dicembre 2012), Falanga.
(c.p.p., art. 97; c.p.p., art. 161). [RV254606]
■ A persona diversa dall’imputato – Imputato interdetto
o infermo di mente – Notificazione presso il tutore.
La previsione che le notificazioni all’imputato interdetto o infermo di mente si eseguano presso il tutore non si applica nella
ipotesi di imputato al quale sia stata inflitta la pena accessoria
della interdizione legale. F Cass. pen., sez. V, 28 settembre 2012,
n. 37673 (c.c. 5 luglio 2012), Flachi. (c.p.p., art. 166; c.p., art.
32). [RV254696]
■ All’imputato non detenuto – Decreto di citazione a giudizio – Lettura in udienza al difensore dell’imputato.
È affetta da nullità assoluta ed insanabile la notifica del decreto
di citazione a giudizio dell’imputato avvenuta in udienza mediante lettura dell’atto al sostituto processuale del difensore, non
potendo trovare applicazione il principio di equipollenza della
lettura alle notificazioni previsto dall’art. 148, comma quinto,
c.p.p., che riguarda unicamente “i provvedimenti” e “gli avvisi
dati dal giudice verbalmente” e non anche gli atti processuali
che devono essere necessariamente consegnati al destinatario.
F Cass. pen., sez. III, 4 aprile 2013, n. 15624 (ud. 6 febbraio 2013),
Fornelli (c.p.p., art. 148; c.p.p., art. 157; c.p.p., art. 161; c.p.p.,
art. 178). [RV255027]
■ All’imputato non detenuto – Domicilio dichiarato o
eletto – Elezione di domicilio contenuta nell’istanza di
ammissione al patrocinio dello stato.
L’elezione di domicilio effettuata con l’istanza di ammissione al
patrocinio a spese dello Stato opera anche nel procedimento
principale in relazione al quale il beneficio è richiesto. F Cass.
pen., sez. III, 27 marzo 2013, n. 14416 (ud. 19 febbraio 2013), El
Hairi (c.p.p., art. 161; d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, art. 78;
d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, art. 79). [RV255029]
■ Patrimoniali – Confisca – Denaro sequestrato alle prostitute.
In tema di sfruttamento della prostituzione solo la porzione di
denaro consegnata allo sfruttatore o al favoreggiatore è confiscabile obbligatoriamente quale prezzo del reato con la sentenza
di condanna o di patteggiamento, mentre devono essere restituite le somme percepite dalle prostitute che sono qualificabili
come provento del reato. F Cass. pen., sez. III, 25 febbraio 2013,
n. 9032 (c.c. 3 ottobre 2012), Dong. (c.p., art. 240; l. 20 febbraio
1958, n. 75, art. 3; c.p.p., art. 444). [RV254738]
■ All’imputato non detenuto – Domicilio dichiarato o
eletto – Mutamento.
In tema di notificazioni, la dichiarazione di domicilio prevale
su una precedente elezione di domicilio, a meno che l’imputato
non manifesti, in modo espresso od implicito, la volontà di mantenere quale luogo dove ricevere le notificazioni a lui dirette il
domicilio eletto. F Cass. pen., sez. V, 11 marzo 2013, n. 11261
(ud. 13 febbraio 2013), Costa (c.p.p., art. 161; c.p.p., art. 162;
c.p.p., art. 164). [RV254555]
■ Patrimoniali – Confisca per equivalente – Revoca e restituzione dei beni in sede esecutiva.
La confisca per equivalente disposta con sentenza divenuta
definitiva non può essere revocata in sede esecutiva, né il sopravvenuto fallimento della società a cui i beni erano stati confiscati, può essere considerato “caso eccezionale” o “fatto nuovo”
rivalutabile dal giudice dell’esecuzione ed idoneo alla rimozione
del provvedimento ablativo. (Fattispecie in cui la Suprema Corte, in applicazione del suddetto principio di diritto, ha ritenuto
la nullità del provvedimento con cui il giudice dell’esecuzione
aveva disposto la restituzione parziale dei beni in favore della
curatela della società fallita). F Cass. pen., sez. I, 30 gennaio
2013, n. 4702 (c.c. 22 ottobre 2012), P.M. in proc. Colonna e altri.
(c.p., art. 322 ter; c.p., art. 640 quater; c.p.p., art. 666; c.p.p.,
art. 676). [RV254565]
■ All’imputato non detenuto – Domicilio dichiarato o
eletto – Mutamento.
È valida l’elezione di domicilio contenuta nel corpo dell’atto di
impugnazione sottoscritto e presentato personalmente dall’interessato al pubblico ufficiale preposto a riceverlo, il quale vi
apponga e sottoscriva, a sua volta, l’attestazione di avvenuta
presentazione, necessariamente riferibile all’atto nella sua interezza, con la conseguenza che è viziata da nullità assoluta la
notificazione di tutti gli atti successivi presso altro domicilio.
(Fattispecie relativa ad elezione di domicilio contenuta nella
procura speciale al difensore incaricato per la presentazione
dell’appello, apposta in calce all’atto di impugnazione e richiamata nell’intestazione di questo). F Cass. pen., sez. VI, 19 marzo
2013, n. 12821 (ud. 11 marzo 2013), Adami e altri. (c.p.p., art.
162). [RV254908]
4/2014 Arch. nuova proc. pen.
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■ All’imputato non detenuto – Domicilio dichiarato o
eletto – Successiva modifica della dimora.
È valida la notificazione all’imputato effettuata presso il domicilio eletto a mani di persona capace e convivente (nella specie, il cugino) a nulla rilevando, in assenza di comunicazione
della variazione di domicilio, il mutamento di dimora frattanto
intervenuto, dovendo il rapporto di convivenza con i familiari
intendersi come basato, più che sulla continuità della coabitazione, sulla persistenza dei vincoli che legano tra loro i membri
di una stessa famiglia, che non cessano a causa del temporaneo
allontanamento di uno di essi. F Cass. pen., sez. II, 1 marzo 2013,
n. 9776 (c.c. 22 novembre 2012), El Badaoui. (c.p.p., art. 157;
c.p.p., art. 161; c.p.p., art. 162). [RV254824]
■ All’imputato non detenuto – Domicilio dichiarato o
eletto – Trasferimento del domiciliatario.
In tema di notificazioni, poiché l’elezione di domicilio pone, a
carico di chi la effettui, l’onere di verificare che il soggetto indicato come domiciliatario sia effettivamente reperibile nel luogo
indicato e di comunicare non solo ogni variazione del domicilio
ma anche la sua invalidità sopravvenuta, deve ritenersi regolarmente effettuata la notificazione mediante consegna a persona
dichiaratasi convivente dell’imputato nel domicilio eletto anche
se l’imputato, “ab origine”, risiedeva altrove, senza che di ciò
avesse dato comunicazione all’Ufficio. F Cass. pen., sez. II, 1
marzo 2013, n. 9776 (c.c. 22 novembre 2012), El Badaoui. (c.p.p.,
art. 161). [RV254825]
■ All’imputato non detenuto – Notifica mediante consegna al difensore di fiducia – Ambito di applicabilità.
Per “prima notificazione” a seguito della quale può procedersi
a notificare mediante consegna al difensore di fiducia ai sensi
dell’art. 157, comma ottavo bis, c.p.p., deve intendersi solo quella relativa al primo atto del procedimento, e non anche quella
relativa al primo atto di ogni grado di giudizio. (In applicazione
del principio la Corte ha ritenuto legittimamente eseguita, con
le modalità suddette, la notifica del decreto di citazione per il
giudizio di appello). F Cass. pen., sez. V, 21 marzo 2013, n. 13310
(ud. 14 febbraio 2013), L. (c.p.p., art. 157). [RV254982]
■ All’imputato non detenuto – Persona presente nell’abitazione – Convivenza temporanea.
In materia di notificazione all’imputato non detenuto, ai fini
dell’applicazione dell’art. 157 c.p.p., per familiari conviventi devono intendersi non soltanto le persone che vivono stabilmente
con il destinatario dell’atto e che anagraficamente facciano
parte della sua famiglia, ma anche quelle che, per altri motivi, si
trovino al momento della notificazione nella casa di abitazione
del medesimo, purché le stesse, per la qualifica declinata all’ufficiale giudiziario, rappresentino a quest’ultimo una situazione di
convivenza, sia pure di carattere meramente temporaneo, che
legittima nell’agente notificatore il ragionevole affidamento che
l’atto perverrà all’interessato. F Cass. pen., sez. IV, 27 febbraio
2013, n. 9499 (ud. 5 febbraio 2013), Petronelli. (c.p.p., art. 157).
[RV254758]
■ Forme particolari – Notificazione al difensore trasmessa via fax – Mancata attestazione in calce all’atto trasmesso della conformità all’originale.
In tema di notificazioni al difensore, la violazione dell’art. 148,
comma secondo bis, c.p.p. - che prevede, nel caso di utilizzo di
mezzi tecnici idonei (nella specie, il fax), l’attestazione, in calce
all’atto inviato, dell’avvenuta trasmissione del testo originale non determina alcuna nullità, ma costituisce mera irregolarità. F
Cass. pen., sez. II, 11 marzo 2013, n. 11277 (ud. 6 dicembre 2012),
Simionato e altro. (c.p.p., art. 148; c.p.p., art. 606). [RV254874]
Nullità nel processo penale
■ Nullità assoluta – Nullità a regime intermedio – Fattispecie.
Qualora il decreto che dispone il giudizio destinato all’imputato venga per errore notificato presso lo studio del difensore
di fiducia invece che al domicilio validamente, eletto sussiste
una nullità non assoluta, ma a regime intermedio, come tale
deducibile a pena di decadenza nei termini previsti dall’art.
491 c.p.p., in quanto l’atto deve ritenersi comunque giunto a
conoscenza dell’interessato. (Fattispecie in cui il difensore di
ufficio, nominato a norma dell’art. 97, comma quarto, c.p.p. in
sostituzione di quello che aveva ricevuto l’atto a mezzo fax, non
aveva formulato osservazioni sulla regolarità delle notificazioni
o sulla dichiarazione di contumacia dell’imputato). F Cass. pen.,
sez. II, 11 marzo 2013, n. 11277 (ud. 6 dicembre 2012), Simionato
e altro. (c.p.p., art. 97; c.p.p., art. 148; c.p.p., art. 179; c.p.p.,
art. 491). [RV254873]
■ Nullità relativa – Deducibilità – Omesso avviso all’indagato della facoltà di farsi assistere da un difensore.
La nullità derivante dall’omesso avviso all’indagato, da parte
della polizia giudiziaria, della facoltà di farsi assistere dal difensore, ha natura intermedia e deve ritenersi sanata se non dedotta prima, ovvero immediatamente dopo il compimento dell’atto;
peraltro, detto termine non è posto in relazione alla necessaria
effettuazione di un successivo atto cui intervenga la parte o il
difensore, ben potendo la relativa eccezione essere proposta al
di fuori di specifici atti, mediante lo strumento delle ‘memorie
e richieste’ che, ex art. 121 c.p.p., possono essere inoltrate in
ogni stato e grado del procedimento. (Nella specie trattasi di
nullità derivante da omesso avviso all’indagato della facoltà di
farsi assistere dal difensore in sede di alcooltest). F Cass. pen.,
sez. IV, 15 novembre 2012, n. 44840 (ud. 11 ottobre 2012), P.G.
in proc. Tedeschi. (c.p.p., art. 178; c.p.p., art. 180; c.p.p., art.
182; c.p.p., art. 354). [RV254959]
■ Nullità relativa – Sentenza d’appello – Mancata sottoscrizione da parte del presidente del collegio.
La mancata sottoscrizione della sentenza d’appello da parte
del presidente del collegio non giustificata espressamente da
un suo impedimento legittimo e sottoscritta dal solo estensore
configura una nullità relativa che non incide né sul giudizio né
sulla decisione consacrata nel dispositivo, e che, ove dedotta
dalla parte nel ricorso per cassazione, comporta l’annullamento
della sentenza-documento e la restituzione degli atti al giudice
di appello, nella fase successiva alla deliberazione, affinché si
provveda ad una nuova redazione della sentenza-documento
che, sottoscritta dal presidente e dall’estensore, deve essere
nuovamente depositata, con l’effetto che i termini di impugnazione decorreranno, ai sensi dell’art. 585 c.p.p., dalla notificazione e comunicazione dell’avviso di deposito della stessa
sentenza. (Nella specie la S.C. ha escluso che la mancata sottoscrizione da parte del presidente del collegio comporti una
mera irregolarità rimediabile con il procedimento di correzione
dell’errore materiale oppure una nullità riguardante l’intero
giudizio con conseguente necessità di rinnovazione dello stesso
o, infine, l’inesistenza della sentenza). F Cass. pen., sez. un., 29
marzo 2013, n. 14978 (ud. 20 dicembre 2012), R.D.. (c.p.p., art.
181; c.p.p., art. 546; c.p.p., art. 585). [RV254671]
Parte civile
■ Costituzione – Associazione per delinquere – Comune.
In materia di reati associativi, il Comune nel cui territorio l’associazione a delinquere si è insediata ed ha operato ha titolo alla
costituzione di parte civile in relazione al danno che la presenza
dell’associazione stessa ha arrecato all’immagine della città, allo
sviluppo turistico ed alle attività produttive ad esso collegate. F
Cass. pen., sez. II, 4 gennaio 2013, n. 150 (ud. 18 ottobre 2012),
Andreicik e altri. (c.p.p., art. 74; c.p., art. 416 bis). [RV254675]
Pena
■ Estinzione (Cause di) – Indulto – Concorso di reati
alcuni dei quali insuscettibili di condono.
In tema di indulto, la regola stabilita nell’art. 174, comma secondo, c.p.- secondo la quale, nel concorso di reati, l’indulto si
applica una volta sola, dopo cumulate le pene, secondo le norArch. nuova proc. pen. 4/2014
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me concernenti il concorso di reati - opera solo alla condizione
che tutte le pene siano condonabili, per cui, ove tale situazione
non ricorra, bisogna separare le pene condonabili da quelle non
condonabili e, quindi, unificare queste ultime con la parte delle
prime che sia eventualmente residuata dopo l’applicazione del
beneficio indulgenziale e, infine, se del caso, operare la riduzione prevista dall’art. 78 c.p.. F Cass. pen., sez. I, 21 febbraio 2013,
n. 8552 (c.c. 23 gennaio 2013), P.G. in proc. Piccolo. (c.p., art.
78; c.p., art. 174; c.p.p., art. 663). [RV254929]
■ Estinzione (Cause di) – Indulto – Istanza che ripropone
altra precedente già rigettata.
In tema di richiesta di applicazione dell’indulto è ammissibile
l’istanza presentata al giudice della esecuzione che, pur prospettando questioni identiche a quelle oggetto di istanza già
rigettata, le fondi su elementi diversi da quelli già considerati e
dei quali non si è tenuto conto ai fini della precedente decisione. F Cass. pen., sez. I, 8 febbraio 2013, n. 6323 (c.c. 11 gennaio
2013), Bandiera. (c.p.p., art. 666; l. 31 luglio 2006, n. 241, art.
1). [RV254953]
■ Pene accessorie – Interdizione dai pubblici uffici –
Ricorso per cassazione per omessa applicazione di pena
accessoria predeterminata per legge.
La pena accessoria predeterminata per legge può essere applicata a seguito di ricorso per cassazione avverso la sentenza
di condanna o di patteggiamento che abbia omesso di disporne
l’applicazione. F Cass. pen., sez. I, 18 febbraio 2013, n. 7909 (ud.
22 gennaio 2013), P.G. in proc. Imberbe. (c.p., art. 29; c.p.p., art.
606). [RV254916]
■ Sospensione condizionale – Subordinazione alla demolizione delle opere edilizie abusive – Mancata apposizione
di un termine.
Il termine per adempiere all’obbligo di demolizione del manufatto abusivo, cui sia stato subordinato il beneficio della sospensione condizionale della pena, nel caso in cui il giudice abbia
omesso di provvedere alla sua indicazione, è quello di giorni
novanta dal passaggio in giudicato della sentenza, desumibile
dai parametri della disciplina urbanistica prevista dall’art. 31 del
d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380. F Cass. pen., sez. III, 7 marzo 2013, n.
10581 (c.c. 6 febbraio 2013), Lombardo. (d.p.r. 6 giugno 2001,
n. 380, art. 44; c.p., art. 163; c.p., art. 165; c.p.p., art. 674).
[RV254757]
Prova penale
■ Disposizioni generali – Fallimento della prova d’alibi –
Valutazione.
Il fallimento della prova d’alibi costituisce un indizio di reità che
confluisce, unitamente a tutti gli altri, nella valutazione globale
e senza che occorra un più intenso livello di persuasività, essendo sufficiente che converga con gli altri a costituire un quadro di gravità indiziaria seria ed univoca. F Cass. pen., sez. I, 4
dicembre 2012, n. 46797 (ud. 6 novembre 2012), Pandaj. (c.p.p.,
art. 192). [RV254558]
406
e sostanziali asimmetrie in ordine alla valutazione della prova
che caratterizzano i due diversi ordinamenti processuali. F
Cass. pen., sez. V, 25 marzo 2013, n. 14042 (ud. 4 marzo 2013),
Simona ed altri (c.p.p., art. 238 bis). [RV254981]
■ Documenti e scritture – Verbali di prove di altri procedimenti – Prove assunte nell’incidente probatorio con la
partecipazione del difensore.
È legittima l’acquisizione e l’utilizzazione dei verbali dell’incidente probatorio formati in altro procedimento a carico dello
stesso imputato con la partecipazione del suo difensore. F Cass.
pen., sez. V, 21 marzo 2013, n. 13277 (ud. 17 gennaio 2013), Sanna.
(c.p.p., art. 238; c.p.p., art. 392; c.p.p., art. 403). [RV254840]
■ Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni – Accesso ai file audio – Presupposti.
In tema di misure cautelari, è presupposto necessario per
l’esercizio del diritto di accesso ai file audio contenenti le registrazioni delle intercettazioni telefoniche l’utilizzo effettivo
delle conversazioni captate nel provvedimento limitativo della
libertà professionale. (Fattispecie nella quale la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso con cui è stata dedotta la nullità
dell’interrogatorio di garanzia per mancata consegna dei file
contenenti il traffico intercettato non essendo stato dimostrato
il loro utilizzo ai fini cautelari). F Cass. pen., sez. III, 31 gennaio
2013, n. 4865 (c.c. 13 dicembre 2012), Tarantino e altri. (c.p.p.,
art. 116; c.p.p., art. 178; c.p.p., art. 266; c.p.p., art. 268).
[RV254744]
■ Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni – Comunicazioni tra presenti – Luogo di privata dimora – Abitacolo di un autoveicolo – Esclusione.
In tema di intercettazioni ambientali, l’abitacolo di un autoveicolo non può essere considerato luogo di privata dimora, sì
che, in tal caso, non può trovare applicazione il disposto di cui
all’art. 266, comma secondo, c.p.p.. F Cass. pen., sez. V, 20 febbraio 2013, n. 8365 (ud. 18 gennaio 2013), Girasole e altri (c.p.p.,
art. 266; c.p.p., art. 267; c.p.p., art. 271). [RV254657]
■ Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni –
Mancato inserimento nel fascicolo del dibattimento dei
decreti autorizzativi – Inutilizzabilità delle intercettazioni.
In materia di intercettazioni telefoniche, i relativi decreti autorizzativi non rientrano tra gli atti che devono essere inseriti nel
fascicolo per il dibattimento, sicché il loro mancato inserimento
nello stesso non determina alcuna inutilizzabilità o nullità degli
esiti delle intercettazioni. F Cass. pen., sez. V, 23 novembre 2012,
n. 45853 (ud. 10 ottobre 2012), Mancini. (c.p.p., art. 191; c.p.p.,
art. 267; c.p.p., art. 271; c.p.p., art. 431). [RV254834]
■ Disposizioni generali – Revoca di prove ammesso – Nel
giudizio di appello.
È legittima la revoca da parte del giudice dell’appello di una
prova precedentemente ammessa e motivata in relazione alla
ritenuta sopravvenuta superfluità della medesima in ragione
dell’esito dell’assunzione delle altre prove per le quali era stata
disposta la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale. F Cass.
pen., sez. V, 21 marzo 2013, n. 13277 (ud. 17 gennaio 2013), Sanna. (c.p.p., art. 495; c.p.p., art. 603). [RV254839]
■ Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni – Prova del contenuto delle intercettazioni – Trascrizione.
In tema di intercettazioni telefoniche, il contenuto delle conversazioni intercettate può essere provato anche mediante deposizione testimoniale, non essendo necessaria la trascrizione
delle registrazioni nelle forme della perizia, atteso che la prova
è costituita dalla bobina o dalla cassetta, che l’art. 271, comma
primo, c.p.p. non richiama la previsione dell’art. 268, comma
settimo, c.p.p. tra le disposizioni la cui inosservanza determina
l’inutilizzabilità e che la mancata trascrizione non è espressamente prevista né come causa di nullità, né è riconducibile alle
ipotesi di nullità di ordine generale tipizzate dall’art. 178 c.p.p..
F Cass. pen., sez. II, 22 marzo 2013, n. 13463 (ud. 26 febbraio
2013), P.G. in proc. Lagano e altri. (c.p.p., art. 178; c.p.p., art.
268; c.p.p., art. 271). [RV254910]
■ Documenti e scritture – Sentenze civili irrevocabili –
Acquisibilità.
L’acquisibilità delle sentenze divenute irrevocabili ai fini della
prova dei fatti in esse accertati riguarda esclusivamente le
sentenze pronunziate in altro procedimento penale e non anche
quelle pronunziate in un procedimento civile, attese le evidenti
■ Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni – Riconducibilità ad essa della registrazione fonografica di
colloquio ad opera di un partecipe – Esclusione.
Non è riconducibile alla nozione di intercettazione la registrazione fonografica di un colloquio svoltosi tra presenti o mediante
strumenti di trasmissione, operata, sebbene clandestinamente,
4/2014 Arch. nuova proc. pen.
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da un soggetto che ne sia partecipe o, comunque, sia ammesso
ad assistervi, costituendo, invece, una forma di memorizzazione fonica di un fatto storico, della quale l’autore può disporre
legittimamente, anche a fini di prova. (La Corte ha specificato
che tale principio non viene meno per la circostanza che l’autore della registrazione abbia previamente denunciato fatti di
cui sia vittima, né può ritenersi che per ciò solo le successive
registrazioni realizzate dal denunciante con il proprio cellulare
fossero state concordate con la polizia giudiziaria). F Cass. pen.,
sez. I, 8 febbraio 2013, n. 6339 (c.c. 22 gennaio 2013), Pagliaro.
(c.p.p., art. 234; c.p.p., art. 266; c.p.p., art. 267; c.p.p., art.
268). [RV254814]
■ Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni – Utilizzazione – Comunicazioni di un parlamentare.
In tema di intercettazioni telefoniche, in assenza di autorizzazione della Camera di appartenenza, non può escludersi l’utilizzabilità nei confronti del terzo delle conversazioni captate
sull’utenza nella sua disponibilità cui abbia preso parte casualmente un parlamentare, anche dopo che quest’ultimo sia stato
identificato come interlocutore del soggetto intercettato, salvo
che si accerti che le stesse erano finalizzate ad intercettare indirettamente il parlamentare. F Cass. pen., sez. II, 22 febbraio
2013, n. 8739 (c.c. 16 novembre 2012), P.M. in proc. La Monica
(c.p.p., art. 121; c.p.p., art. 266; l. 20 giugno 2003, n. 140, art.
4; l. 20 giugno 2003, n. 140, art. 6). [RV254548]
■ Perizia – Saggi grafici – Raccolta.
Il rilascio di saggio grafico non può essere equiparato alle dichiarazioni autoindizianti la cui inutilizzabilità in caso di violazione
delle prescrizioni è prevista dall’art. 63 c.p.p. e, pertanto, non è
affetto da nullità il provvedimento con cui il giudice disponga
la raccolta di essi, al fine di sottoporli al perito quali scritture
di comparazione senza averne dato avviso alle parti ed in mancanza dell’intervento dei difensori. F Cass. pen., sez. II, 11 aprile
2013, n. 16400 (ud. 7 marzo 2013), Guadagni. (c.p.p., art. 63;
c.p.p., art. 224; c.p.p., art. 225; c.p.p., art. 228). [RV254886]
■ Sequestri – Decreto – Richiesta di riesame.
In tema di sequestro preventivo, i documenti favorevoli all’indagato che debbono essere trasmessi dall’autorità procedente
al Gip ed al Tribunale del riesame per la decisione, concernono elementi fattuali di natura oggettiva - idonei a contrastare
concretamente, vanificando o attenuando, gli elementi posti a
fondamento della misura cautelare - tra i quali non rientra la
consulenza tecnica di parte, la quale può, comunque, ex art. 324
e 309, comma nono, c.p.p., essere prodotta direttamente dalla
parte dinanzi al Tribunale. F Cass. pen., sez. V, 5 febbraio 2013,
n. 5795 (c.c. 5 dicembre 2012), Grosso. (c.p.p., art. 309; c.p.p.,
art. 321; c.p.p., art. 324). [RV254646]
■ Sequestri – Sequestro di cose soggette a confisca obbligatoria – Richiesta di restituzione da parte del terzo
– Onere probatorio – Necessità – Fattispecie in tema di
sequestro di veicolo utilizzato per il trasporto illecito di
rifiuti.
In tema di sequestro di cose pertinenti al reato che ne renda
obbligatoria la successiva confisca (nella specie, veicolo adoperato per il trasporto di rifiuti pericolosi senza autorizzazione), il terzo che invochi la restituzione delle cose sequestrate
qualificandosi come proprietario o titolare di altro diritto reale
è tenuto a provare i fatti costitutivi della sua pretesa e, in particolare, oltre alla titolarità del diritto vantato, anche l’estraneità
al reato e la buona fede, intesa come assenza di condizioni in
grado di configurare a suo carico un qualsivoglia addebito di
negligenza da cui sia derivata la possibilità dell’uso illecito del
bene. F Cass. pen., sez. III, 28 febbraio 2013, n. 9579 (c.c. 17
gennaio 2013), Longo (c.p., art. 240; c.p.p., art. 253; c.p.p., art.
262; c.p.p., art. 263). [RV254749]
■ Testimoni – Incompatibilità – Consulente tecnico del
p.m..
Il consulente tecnico nominato dal P.M., in sede di indagini preliminari, e da questi non inserito nella propria lista testimoniale,
può essere indicato, in assenza di specifiche disposizioni che
limitino il potere dispositivo delle parti in materia di prova, nella
lista testimoniale dell’imputato e, pertanto, da questi chiamato a
deporre, considerato che egli non è compreso tra i soggetti che,
ex art. 197 c.p.p., non possono essere assunti come testimoni
né riveste la qualità di ausiliario in senso tecnico, riservata al
personale appartenente alla segreteria o cancelleria dell’ufficio.
F Cass. pen., sez. IV, 22 gennaio 2013, n. 3277 (ud. 16 ottobre
2012), Manna e altri (c.p.p., art. 197). [RV255009]
Rapporti giurisdizionali con
straniere in materia penale
autorità
■ Estradizione – Procedimento – Decisione.
In tema di estradizione per l’estero, il divieto di pronuncia
favorevole contemplato dall’art. 705, comma secondo, lett. c),
c.p.p., opera esclusivamente nelle ipotesi in cui sia riscontrabile
una situazione allarmante riferibile ad una scelta normativa o
di fatto dello Stato richiedente, a prescindere da contingenze
estranee ad orientamenti istituzionali e rispetto alle quali sia
comunque possibile attivare una tutela legale. (Fattispecie relativa ad una richiesta di estradizione avanzata dalla Repubblica
Araba d’Egitto per una persona appartenente alla minoranza
religiosa copta, in cui la S.C. ha annullato con rinvio la sentenza
impugnata ritenendo opportuno un approfondimento istruttorio circa la specifica rilevanza delle vicende inerenti all’attuale
contesto politico-istituzionale). F Cass. pen., sez. VI, 7 marzo
2013, n. 10905 (c.c. 6 marzo 2013), Bishara Meged. (c.p.p., art.
698; c.p.p., art. 705). [RV254768]
■ Estradizione – Procedimento – Modalità di inoltro della
domanda.
In tema di estradizione per l’estero deve escludersi che le modalità di inoltro della domanda impongano il ricorso a particolari formalità, essendo sufficiente la riconducibilità certa della
domanda stessa allo Stato estero richiedente. (Nella specie, la
Corte ha ritenuto idonea la richiesta composta da alcune pagine dattiloscritte trasmesse via fax, corredata da documenti
contenuti in un plico con sigillo ufficiale del Dipartimento dello
Stato estero). F Cass. pen., sez. VI, 5 aprile 2013, n. 15927 (c.c. 28
marzo 2013), D’Angelantonio. (c.p.p., art. 700). [RV254817]
■ Estradizione – Requisito della doppia incriminabilità –
Corrispondenza fra lo schema della norma incriminatrice
straniera ed una analoga norma italiana.
Ai fini della concedibilità dell’estradizione per l’estero, per soddisfare il requisito della doppia incriminabilità, di cui all’art. 13,
secondo comma, c.p., non è necessario che lo schema astratto
della norma incriminatrice dell’ordinamento straniero trovi il
suo esatto corrispondente in una norma del nostro ordinamento, ma è sufficiente che lo stesso fatto sia previsto come reato da
entrambi gli ordinamenti, a nulla rilevando l’eventuale diversità
del titolo e la difformità del trattamento sanzionatorio. (Nella
specie la Corte di merito aveva ritenuto irrilevante la circostanza che talune condotte oggetto dei reati ipotizzati dallo Stato
estero non integrassero uno specifico reato per l’ordinamento
italiano ma solo segmenti della truffa perpetrata ai danni della
J.P. Morgan Bank). F Cass. pen., sez. VI, 5 aprile 2013, n. 15927
(c.c. 28 marzo 2013), D’Angelantonio. (c.p.p., art. 697; c.p.p.,
art. 698; c.p., art. 13). [RV254818]
■ Mandato di arresto europeo – Consegna per l’estero
– Giudice che procede all’udienza di convalida dell’arresto.
In tema di mandato di arresto europeo, il giudice che procede
alla convalida dell’arresto ai sensi dell’art. 13 legge n. 69 del 2005
non è incompatibile allo svolgimento dell’udienza camerale con
cui la Corte di appello decide sulla richiesta di consegna. F Cass.
Arch. nuova proc. pen. 4/2014
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pen., sez. VI, 27 marzo 2013, n. 14462 (c.c. 26 marzo 2013), Vilardo. (c.p.p., art. 34; l. 22 aprile 2005, n. 69, art. 13; l. 22 aprile
2005, n. 69, art. 17). [RV254770]
■ Rogatorie – All’estero – Utilizzabilità degli atti assunti.
Sono utilizzabili dal giudice italiano le informative redatte dalla
polizia estera e da questa consegnate direttamente ad autorità
di polizia italiane, al di fuori di procedure formali di rogatoria,
attese l’assenza di divieti di legge e la conformità di tale prassi
alla consuetudine internazionale. (Fattispecie relativa ad informative consegnate presso la sede di Eurojust all’Aja ed utilizzate in giudizio abbreviato). F Cass. pen., sez. VI, 8 febbraio 2013,
n. 6346 (ud. 9 novembre 2012), Domizi e altri. (c.p.p., art. 696;
c.p.p., art. 727; c.p.p., art. 729). [RV254889]
Sentenza penale
■ Assoluzione – Falsità in documenti – Legittimazione ad
impugnare la sentenza in punto relativo alla dichiarazione di falsità.
L’imputato prosciolto può impugnare le statuizioni in punto
di falsità dei documenti che incidano sui suoi interessi, posto
che la regola di legittimazione ad impugnare prevista dall’art.
537 comma terzo c.p.p. si pone come norma speciale rispetto
a quella contenuta nell’art. 593 comma secondo c.p.p.. (Fattispecie in cui è stato riconosciuto l’interesse dell’imputata, prosciolta in primo grado, ad impugnare il capo della sentenza che
ordinava la cancellazione della trascrizione del proprio atto di
matrimonio, sebbene tale capo non coincidesse con quello della
imputazione a lei contestata). F Cass. pen., sez. V, 7 gennaio
2013, n. 240 (ud. 30 novembre 2012), C.. (c.p.p., art. 537; c.p.p.,
art. 568; c.p.p., art. 593). [RV254601]
■ Assoluzione – Riforma in grado di appello – Presupposti.
Nel giudizio di appello, per la riforma di una sentenza assolutoria non basta, in mancanza di elementi sopravvenuti, una mera
e diversa valutazione del materiale probatorio già acquisito in
primo grado ed ivi ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, che sia caratterizzata da pari o addirittura
minore plausibilità rispetto a quella operata dal primo giudice,
occorrendo, invece, una forza persuasiva superiore, tale da far
venir meno ogni ragionevole dubbio. (Nella specie, la Corte ha
confermato la sentenza di condanna del giudice di appello che,
riformando una sentenza di assoluzione di primo grado per il
delitto di truffa per l’incertezza sulla sussistenza del dolo, aveva
valorizzato circostanze di fatto già esistenti, ma pretermesse
dal primo giudice, idonee a dimostrare con certezza il carattere
doloso della condotta). F Cass. pen., sez. II, 14 marzo 2013, n.
11883 (ud. 8 novembre 2012), Berlingeri. (c.p.p., art. 533; c.p.p.,
art. 605; c.p.p., art. 606). [RV254725]
■ Interessi civili – Danni – Spese relative all’azione civile.
Il potere della corte di cassazione di sospendere, ai sensi dell’art. 612 c.p.p., l’esecuzione della condanna civile non riguarda
la parte inerente il ristoro delle spese processuali sostenute
dalla parte civile. F Cass. pen., sez. I, 31 gennaio 2013, n. 4908
(c.c. 19 dicembre 2012), Escolino. (c.p.p., art. 541; c.p.p., art.
612). [RV254702]
■ Interessi civili – Danni – Spese relative all’azione civile.
La condanna di più imputati al pagamento delle spese in favore
della parte civile deve ritenersi regolata dall’art. 97 c.p.c. per
cui ciascuno dei soccombenti è condannato in proporzione al
rispettivo interesse nella causa, applicandosi, invece, la solidarietà nel solo caso di interesse comune. F Cass. pen., sez. VI, 24
aprile 2013, n. 18615 (ud. 16 aprile 2013), Poloni. (c.p.p., art. 74;
c.p.p., art. 592; c.p.c., art. 97). [RV254844]
408
4/2014 Arch. nuova proc. pen.
■ Motivazione – Riforma integrale della sentenza di primo grado – Doveri motivazionali del giudice d’appello.
Il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio,
alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima
sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza
o incoerenza e non può, invece, limitarsi ad imporre la propria
valutazione del compendio probatorio perché preferibile a quella coltivata nel provvedimento impugnato. F Cass. pen., sez. V,
20 febbraio 2013, n. 8361 (ud. 17 gennaio 2013), P.C. in proc.
Rastegar. (c.p.p., art. 605; c.p.p., art. 606). [RV254638]
■ Motivazione – Sentenza di appello che riforma la decisione del giudice di primo grado – Contenuto.
In tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che
riformi la decisione di condanna del giudice di primo grado,
nella specie pervenendo a una sentenza di assoluzione, non può
limitarsi ad inserire nella struttura argomentativa della decisione impugnata, genericamente richiamata, delle notazioni critiche di dissenso, essendo, invece, necessario che egli riesamini,
sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal primo
giudice, considerando quello eventualmente sfuggito alla sua
valutazione e quello ulteriormente acquisito per dare, riguardo
alle parti della prima sentenza non condivise, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni. F Cass. pen., sez. IV, 19 settembre 2012, n. 35922 (ud. 11
luglio 2012), p.c. in proc. Ingrassia. (c.p.p., art. 530; c.p.p., art.
605; c.p.p., art. 606). [RV254617]
■ Relazione tra sentenza e l’accusa contestata – Giudizio
di appello – Attribuzione al fatto contestato di una diversa qualificazione giuridica in sentenza.
Il giudice di appello può procedere alla riqualificazione giuridica
del fatto nel rispetto del principio del giusto processo previsto
dall’art. 6 CEDU, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, anche senza disporre una rinnovazione totale o
parziale dell’istruttoria dibattimentale, sempre che sia sufficientemente prevedibile la ridefinizione dell’accusa inizialmente formulata, che il condannato sia in condizione di far valere le proprie ragioni in merito alla nuova definizione giuridica del fatto e
che questa non comporti una modifica “in peius” del trattamento
sanzionatorio e del computo della prescrizione. (In applicazione
di questo principio, la Corte ha ritenuto rispettato l’art. 6 della
CEDU in relazione ad una sentenza di appello che, in riforma di
quella di primo grado di condanna per lesioni personali, aveva
riqualificato il fatto come tentato omicidio. F Cass. pen., sez. VI,
13 febbraio 2013, n. 7195 (ud. 8 febbraio 2013), Sema. (c.p.p.,
art. 597; l. 4 agosto 1955, n. 848, art. 6). [RV254720]
■ Relazione tra sentenza e l’accusa contestata – Principio
di correlazione tra accusa e sentenza – Contenuto determinato alla luce dell’art. 6 conv. europea come interpretato dalla corte edu.
In tema di correlazione tra accusa e sentenza, il rispetto della
regola del contraddittorio - che deve essere assicurato all’imputato, anche in ordine alla diversa definizione giuridica del fatto,
conformemente all’art. 111, comma secondo, Cost., integrato
dall’art. 6 Convenzione europea, come interpretato dalla Corte
EDU - impone esclusivamente che detta diversa qualificazione
giuridica non avvenga ‘a sorpresà e cioè nei confronti dell’imputato che, per la prima volta e, quindi, senza mai avere la possibilità di interloquire sul punto, si trovi di fronte ad un fatto
storico radicalmente trasformato in sentenza nei suoi elementi
essenziali rispetto all’originaria imputazione, di cui rappresenti
uno sviluppo inaspettato. Ne consegue che non sussiste la violazione dell’art. 521 c.p.p. qualora la diversa qualificazione giuridica del fatto appaia come uno dei possibili epiloghi decisori del
giudizio, secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente
prevedibile e l’imputato ed il suo difensore abbiano avuto nella
fase di merito la possibilità di interloquire in ordine al contenuto
mas
Ma s s i m a r i o
dell’imputazione, anche attraverso l’ordinario rimedio dell’impugnazione (nella specie proposta avverso la sentenza di primo
grado contenente la diversa qualificazione giuridica del fatto).
F Cass. pen., sez. V, 19 febbraio 2013, n. 7984 (ud. 24 settembre
2012), Jovanovic e altro. (c.p.p., art. 521). [RV254649]
■ Relazione tra sentenza e l’accusa contestata – Violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza
– Mutamento degli elementi essenziali del fatto tale da
pregiudicare i diritti della difesa.
Sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e
sentenza se il fatto contestato sia mutato nei suoi elementi essenziali, così da provocare una situazione di incertezza e di cambiamento sostanziale della fisionomia dell’ipotesi accusatoria
capace di impedire o menomare il diritto di difesa dell’imputato.
(Fattispecie in cui la Corte ha escluso che la condanna per il
fatto di offerta in vendita di sostanza stupefacente, a fronte di
contestazione di cessione della stessa, anche se con riferimento
ad una data diversa da quella indicata nell’imputazione, integrasse la violazione suddetta). F Cass. pen., sez. VI, 8 febbraio
2013, n. 6346 (ud. 9 novembre 2012), Domizi e altri. (c.p.p., art.
521; d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73). [RV254888]
Società
■ Reati societari – Misure cautelari interdittive – Provvedimento di applicazione.
In tema di responsabilità da reato degli enti, è nullo il provvedimento applicativo di misura cautelare che non esponga i motivi
per i quali si ritengono non rilevanti gli elementi forniti dalla
difesa, in quanto l’art. 45 del d.l.vo 8 giugno 2001 n. 231 richiama
espressamente l’art. 292 c.p.p., nel contesto di un modello procedimentale a contradditorio anticipato. (Fattispecie relativa
ad ordinanza motivata “per relationem” con riferimento ad un
provvedimento cautelare personale, priva di qualunque osservazione sulle contestazioni mosse dalla difesa contro di questo
mediante richiesta di riesame e riproposte all’udienza fissata ex
art. 47 d.l.vo n. 231 del 2001). F Cass. pen., sez. VI, 7 marzo 2013,
n. 10903 (c.c. 5 marzo 2013), Orsi. (d.l.vo 8 giugno 2001, n. 231,
art. 45; d.l.vo 8 giugno 2001, n. 231, art. 47; c.p.p., art. 292).
[RV254719]
■ Reati societari – Responsabilità – Procedimento di applicazione delle misure interdittive.
In tema di responsabilità da reato degli enti, è viziata per difetto
di motivazione l’ordinanza che, nel disporre nei confronti della
persona giuridica una misura interdittiva, in merito alla sussistenza dei gravi indizi del reato presupposto si limiti a rinviare
“per relationem” alla motivazione del provvedimento applicativo delle misure cautelari personali agli autori del medesimo,
senza dare conto delle ragioni per cui abbia disatteso le contestazioni sollevate in proposito dalla difesa nel corso dell’udienza prevista dall’art. 47 d.l.vo n. 231 del 2001. F Cass. pen., sez. VI,
7 marzo 2013, n. 10904 (c.c. 5 marzo 2013), Rosi Leopoldo S.p.a..
(d.l.vo 8 giugno 2001, n. 231, art. 45; d.l.vo 8 giugno 2001, n.
231, art. 47; c.p.p., art. 292). [RV254642]
Stupefacenti
■ Associazione per delinquere per spaccio di stupefacenti – Obbligatorietà dell’aumento per la recidiva – Esclusione.
In ipotesi di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti costituita al fine di commettere fatti di lieve entità, non
opera l’obbligatorietà della recidiva prevista dall’art. 99, comma
quinto, c.p., non rientrando il reato in esame nelle ipotesi previste dall’art. 407, comma secondo, lett. a, c.p.p.. F Cass. pen., sez.
V, 24 gennaio 2013, n. 3820 (ud. 10 gennaio 2013), Ignomeriello e
altri. (d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 74; c.p., art. 99; c.p.p.,
art. 407). [RV254568]
Termini processuali in materia penale
■ Restituzione in termini – Dedotta nullità della sentenza
per mancata traduzione nella lingua dell’imputato alloglotta – Richiesta di restituzione nel termine per proporre appello.
È inammissibile l’istanza di restituzione nel termine per proporre appello avverso una sentenza sul presupposto della nullità
della stessa per mancata traduzione nella lingua dell’imputato
alloglotta, in quanto trattasi di motivo estraneo al modello procedimentale previsto dall’art. 175 c.p.p.. F Cass. pen., sez. VI, 8
aprile 2013, n. 16164 (c.c. 19 febbraio 2013), S. e altri. (c.p.p.,
art. 143; c.p.p., art. 175). [RV254903]
■ Restituzione in termini – Impugnazione della sentenza
contumaciale – Notifica dell’estratto al difensore di fiducia domiciliatario.
In tema di restituzione nel termine per impugnare, la notifica
dell’estratto contumaciale della sentenza al difensore di fiducia
presso cui l’imputato ha eletto domicilio deve ritenersi regolare
anche quando il legale abbia nel frattempo rinunziato al mandato, ma non per questo è sufficiente a fondare una valida presunzione di conoscenza del provvedimento da parte dello stesso
imputato, atteso che tale presunzione presuppone la permanenza del legame professionale. F Cass. pen., sez. V, 10 aprile 2013,
n. 16330 (c.c. 20 marzo 2013), Katler. (c.p.p., art. 107; c.p.p.,
art. 161; c.p.p., art. 175). [RV254842]
■ Restituzione in termini – Impugnazioni – Presupposti
generali.
Non è consentita la restituzione in termini per l’espletamento di
attività processuali che la parte aveva ampiamente la possibilità
di compiere nel corso del giudizio e che non ha espletato per
sua negligenza. (Nella specie la S.C. ha ritenuto legittimamente
negata la restituzione in termini, richiesta alla Corte d’Appello
dopo il rigetto dell’istanza di riparazione per ingiusta detenzione, invocata allo scopo di depositare documentazione non
prodotta nel corso del giudizio nonostante che per quattro volte
l’udienza fosse stata rinviata per dare al difensore la possibilità,
da quest’ultimo non utilizzata, di effettuare la produzione in
questione). F Cass. pen., sez. IV, 12 febbraio 2013, n. 7002 (c.c.
20 novembre 2012), Capaldo. (c.p.p., art. 175). [RV254662]
■ Restituzione in termini – Sentenza contumaciale – Notifica dell’atto di carcerazione durante il periodo feriale
di sospensione dei termini processuali.
Qualora la conoscenza della sentenza di condanna si realizzi
mediante la notifica dell’atto di carcerazione e questa avvenga
durante il periodo feriale di sospensione dei termini processuali, i trenta giorni previsti per la presentazione della richiesta di
restituzione nel termine per proporre impugnazione avverso la
sentenza contumaciale decorrono dalla fine del periodo feriale
di sospensione. F Cass. pen., sez. I, 27 febbraio 2013, n. 9444
(c.c. 14 febbraio 2013), Barbu. (c.p.p., art. 548; c.p.p., art. 585).
[RV254816]
■ Restituzione in termini – Sentenza contumaciale – Oneri dell’imputato e dell’a.g..
Il diritto alla restituzione nel termine per impugnare una
sentenza contumaciale opera solo quando risulti dagli atti la
mancata conoscenza del procedimento da parte dell’imputato,
non essendo sufficiente la dichiarazione di quest’ultimo di non
aver ricevuto notifica del provvedimento, atteso che all’onere
dell’Autorità Giudiziaria di compiere ogni necessaria verifica, ai
sensi dell’art. 175 comma secondo c.p.p., corrisponde l’onere
dell’interessato di allegare circostanze rilevanti, suscettibili di
verifica da parte dell’Autorità Giudiziaria stessa. F Cass. pen.,
sez. II, 1 marzo 2013, n. 9776 (c.c. 22 novembre 2012), El Badaoui. (c.p.p., art. 175). [RV254826]
Arch. nuova proc. pen. 4/2014
409
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Ma s s i m a r i o
■ Sospensione nel periodo feriale – Rito direttissimo –
Impugnazione.
L’istituto della sospensione nel periodo feriale, fuori dei casi
previsti dall’art. 2 legge 7 ottobre 1969, n. 742, si applica anche
al termine per proporre impugnazione avverso le sentenze
deliberate all’esito di giudizio direttissimo conseguente alla
convalida di arresto in flagranza. F Cass. pen., sez. VI, 6 marzo
2013, n. 10347 (ud. 6 febbraio 2013), Hamed. (c.p.p., art. 449;
c.p.p., art. 582; c.p.p., art. 588; l. 7 ottobre 1969, n. 742, art.
2). [RV254588]
Tribunale per i minorenni
■ Procedimento – Misure cautelari – Custodia cautelare.
In tema di custodia cautelare nei confronti di minorenne, sebbene l’art. 23 d.p.r. n. 448 del 1988 non preveda tra i casi in cui può
essere applicata la custodia cautelare, l’ipotesi di cui all’art. 380,
comma secondo, lett. e) bis (delitti di furto in abitazione e con
strappo, ex art. 624 bis c.p.), tuttavia, il predetto art. 23 richiama
l’art. 380, comma secondo, lett. e) che prevede l’ipotesi del reato
di furto aggravato ex art. 625, comma primo, n 2, prima parte,
c.p. che corrisponde esattamente all’ipotesi di cui all’art. 624 bis,
comma terzo, c.p. (furto in abitazione o con strappo aggravato
da una o più delle circostanze di cui all’art. 625, comma primo,
c.p.). Ne consegue che nell’ipotesi di furto aggravato in abitazione sono applicabili nei confronti di imputati minorenni l’arresto in flagranza e la custodia cautelare. F Cass. pen., sez. IV, 14
dicembre 2012, n. 48436 (c.c. 17 ottobre 2012), V. e altro (c.p.p.,
art. 380; d.p.r. 22 settembre 1988, n. 448, art. 23). [RV255010]
■ Procedimento – Sospensione del processo e messa alla
prova – Decisione adottata de plano.
In tema di procedimento nei confronti di minorenni, è affetta da
nullità generale a regime intermedio la declaratoria di estinzione del reato per esito positivo della prova adottata in assenza di
apposita udienza. F Cass. pen., sez. III, 13 febbraio 2013, n. 7066
(ud. 12 dicembre 2012), P.M. in proc. B.. (d.p.r. 22 settembre
1988, n. 448, art. 29; c.p.p., art. 178). [RV254682]
Tributi e finanze (in materia penale)
■ Reati finanziari in genere – Accertamento – Presunzioni
legali in materia tributaria.
Le presunzioni tributarie non costituiscono di per sé fonte di
prova della commissione di un reato, ma, assumendo esclusiva-
410
4/2014 Arch. nuova proc. pen.
mente il valore di dati di fatto liberamente valutabili dal giudice,
possono essere posti a fondamento di una misura cautelare reale (nella specie, sequestro preventivo finalizzato alla confisca
per equivalente). F Cass. pen., sez. III, 13 febbraio 2013, n. 7078
(c.c. 23 gennaio 2013), Piccolo. (c.p.p., art. 192; c.p.p., art. 321;
c.p., art. 322 ter). [RV254853]
■ Reati finanziari in genere – Confisca per equivalente –
Profitto del reato.
In tema di reati tributari, il profitto del reato oggetto del sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente è costituito dal risparmio economico derivante dalla sottrazione degli
importi evasi alla loro destinazione fiscale, che rimane inalterato anche nella ipotesi di sospensione della esecutività della cartella esattoriale da parte della commissione tributaria. F Cass.
pen., sez. III, 28 febbraio 2013, n. 9578 (c.c. 17 gennaio 2013),
Tanghetti. (d.l.vo 10 marzo 2000, n. 74; c.p.p., art. 321; c.p.,
art. 322 ter; l. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1). [RV254748]
■ Reati finanziari in genere – Presunzioni legali in materia tributaria – Natura giuridica.
Le presunzioni legali previste dalle norme tributarie, pur potendo avere valore indiziario, non possono costituire di per sé
fonte di prova della commissione del reato, assumendo esclusivamente il valore di dati di fatto, che devono essere valutati
liberamente dal giudice penale unitamente ad elementi di riscontro che diano certezza dell’esistenza della condotta criminosa. (Fattispecie nella quale la S.C. ha ritenuto inutilizzabile
la presunzione contenuta nell’art. 32 d.p.r. 29 settembre 1973,
n. 600, che configura come ricavi sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari). F Cass. pen., sez. III, 13
febbraio 2013, n. 7078 (c.c. 23 gennaio 2013), Piccolo. (d.p.r. 29
settembre 1973, n. 600, art. 32; d.l.vo 10 marzo 2000, n. 74;
c.p.p., art. 192). [RV254852]
Usura
■ Momento consumativo del reato – Concorso nel delitto
– Intervento dell’esattore.
Risponde del delitto di concorso in usura il soggetto che, per
conto altrui, procede alla riscossione dei pagamenti fatti dalla
persona offesa nell’ambito di un rapporto usurario. F Cass. pen.,
sez. II, 14 febbraio 2013, n. 7208 (ud. 6 dicembre 2012), Novelli.
(c.p.p., art. 378; c.p., art. 644). [RV254947]
Legislazione
e documentazione
I
D.L. 20 marzo 2014, n. 36. Disposizioni urgenti in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione,
cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di
cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990,
n. 309, nonchè di impiego di medicinali (Gazzetta Ufficiale Serie gen. - n. 67 del 21 marzo 2014), convertito, con modificazioni,
nella L. 16 maggio 2014, n. 79 (Gazzetta Ufficiale Serie gen. - n.
115 del 20 maggio 2014).
Capo I
Disposizioni in materia di stupefacenti
e sostanze psicotrope,
prevenzione, cura e riabilitazione
dei relativi stati di tossico dipendenza
1. (Modificazioni al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309). 1. All’articolo 2 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli
stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del
Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, alla lettera e), il numero 2) è sostituito dal
seguente: «2) il completamento e l’aggiornamento delle tabelle
di cui all’articolo 13, sentiti il Consiglio superiore di sanità e
l’Istituto superiore di sanità;».
2. All’articolo 13 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione,
cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui
al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309,
sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il comma 1 è sostituito dal seguente:
«1. Le sostanze stupefacenti o psicotrope sottoposte alla
vigilanza ed al controllo del Ministero della salute e i medicinali a base di tali sostanze, ivi incluse le sostanze attive ad uso
farmaceutico, sono raggruppate, in conformità ai criteri di cui
all’articolo 14, in cinque tabelle, allegate al presente testo unico.
Il Ministero della salute stabilisce con proprio decreto il completamento e l’aggiornamento delle tabelle con le modalità di cui
all’articolo 2, comma 1, lettera e), numero 2).»;
b) il comma 3 è abrogato;
c) il comma 5 è sostituito dal seguente:
«5. Il Ministero della salute, sentiti il Consiglio superiore
di sanità e l’Istituto superiore di sanità, ed in accordo con le
convenzioni internazionali in materia di sostanze stupefacenti
o psicotrope, dispone con apposito decreto l’esclusione da una
o più misure di controllo di quei medicinali e dispositivi diagnostici che per la loro composizione qualitativa e quantitativa non
possono trovare un uso diverso da quello cui sono destinati.».
3. L’articolo 14 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura
e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al
decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, è
sostituito dal seguente:
«Art. 14 (Criteri per la formazione delle tabelle). - 1. La inclusione delle sostanze stupefacenti o psicotrope nelle tabelle di
cui all’articolo 13 è effettuata in base ai seguenti criteri:
a) nella tabella I devono essere indicati:
1) l’oppio e i materiali da cui possono essere ottenute le sostanze oppiacee naturali, estraibili dal papavero sonnifero; gli
alcaloidi ad azione narcotico-analgesica da esso estraibili; le sostanze ottenute per trasformazione chimica di quelle prima indicate; le sostanze ottenibili per sintesi che siano riconducibili,
per struttura chimica o per effetti, a quelle oppiacee precedentemente indicate; eventuali intermedi per la loro sintesi;
2) le foglie di coca e gli alcaloidi ad azione eccitante sul sistema nervoso centrale da queste estraibili; le sostanze ad azione
analoga ottenute per trasformazione chimica degli alcaloidi sopra indicati oppure per sintesi;
3) le sostanze di tipo amfetaminico ad azione eccitante sul
sistema nervoso centrale;
4) ogni altra sostanza che produca effetti sul sistema nervoso
centrale ed abbia capacità di determinare dipendenza fisica o
psichica dello stesso ordine o di ordine superiore a quelle precedentemente indicate;
5) gli indolici, siano essi derivati triptaminici che lisergici, e i
derivati feniletilamminici, che abbiano effetti allucinogeni o che
possano provocare distorsioni sensoriali;
6) le sostanze ottenute per sintesi o semisintesi che siano
riconducibili per struttura chimica o per effetto farmaco-tossicologico al tetraidrocannabinolo;
7) ogni altra pianta o sostanza naturale o sintetica che possa
provocare allucinazioni o gravi distorsioni sensoriali e tutte le
sostanze ottenute per estrazione o per sintesi chimica che provocano la stessa tipologia di effetti a carico del sistema nervoso
centrale;
8) le preparazioni contenenti le sostanze di cui alla presente
lettera, in conformità alle modalità indicate nella tabella dei
medicinali di cui alla lettera e);
b) nella tabella II devono essere indicati:
1) la cannabis e i prodotti da essa ottenuti;
2) le preparazioni contenenti le sostanze di cui alla presente
lettera, in conformità alle modalità indicate nella tabella dei
medicinali di cui alla lettera e);
c) nella tabella III devono essere indicati:
1) i barbiturici che hanno notevole capacità di indurre dipendenza fisica o psichica o entrambe, nonchè altre sostanze ad effetto ipnotico-sedativo ad essi assimilabili. Sono pertanto esclusi
i barbiturici a lunga durata e di accertato effetto antiepilettico e
i barbiturici a breve durata di impiego quali anestetici generali,
sempre che tutte le dette sostanze non comportino i pericoli di
dipendenza innanzi indicati;
2) le preparazioni contenenti le sostanze di cui alla presente
lettera, in conformità alle modalità indicate nella tabella dei
medicinali di cui alla lettera e);
Arch. nuova proc. pen. 4/2014
411
leg
L e g i s la z i o n e e d o c u m e n t a z i o n e
d) nella tabella IV devono essere indicate:
1) le sostanze per le quali sono stati accertati concreti pericoli di induzione di dipendenza fisica o psichica di intensità
e gravità minori di quelli prodotti dalle sostanze elencate nelle
tabelle I e III;
2) le preparazioni contenenti le sostanze di cui alla presente
lettera, in conformità alle modalità indicate nella tabella dei
medicinali di cui alla lettera e);
e) nella tabella denominata “tabella dei medicinali” e suddivisa in cinque sezioni, sono indicati i medicinali a base di sostanze
attive stupefacenti o psicotrope, ivi incluse le sostanze attive ad
uso farmaceutico, di corrente impiego terapeutico ad uso umano
o veterinario. Nella sezione A della tabella dei medicinali sono
indicati:
1) i medicinali contenenti le sostanze analgesiche oppiacee
naturali, di semisintesi e di sintesi;
2) i medicinali di cui all’allegato III bis al presente testo
unico;
3) i medicinali contenenti sostanze di corrente impiego
terapeutico per le quali sono stati accertati concreti pericoli di
induzione di grave dipendenza fisica o psichica;
4) i medicinali contenenti barbiturici che hanno notevole
capacità di indurre dipendenza fisica o psichica o entrambe,
nonchè altre sostanze ad effetto ipnotico-sedativo ad essi assimilabili;
f) nella sezione B della tabella dei medicinali sono indicati:
1) i medicinali che contengono sostanze di corrente impiego
terapeutico per le quali sono stati accertati concreti pericoli di
induzione di dipendenza fisica o psichica di intensità e gravità
minori di quelli prodotti dai medicinali elencati nella sezione A;
2) i medicinali contenenti barbiturici ad azione antiepilettica
e quelli contenenti barbiturici con breve durata d’azione;
3) i medicinali contenenti le benzodiazepine, i derivati pirazolopirimidinici ed i loro analoghi ad azione ansiolitica o psicostimolante che possono dar luogo al pericolo di abuso e generare
farmacodipendenza;
g) nella sezione C della tabella dei medicinali sono indicati:
1) i medicinali contenenti le sostanze elencate nella tabella
dei medicinali, sezione B, da sole o in associazione con altre sostanze attive ad uso farmaceutico, per i quali sono stati accertati
concreti pericoli di induzione di dipendenza fisica o psichica;
h) nella sezione D della tabella dei medicinali sono indicati:
1) i medicinali contenenti le sostanze elencate nella tabella
dei medicinali, sezioni A o B, da sole o in associazione con altre
sostanze attive ad uso farmaceutico quando per la loro composizione qualitativa e quantitativa e per le modalità del loro uso,
presentano rischi di abuso o farmacodipendenza di grado inferiore a quello dei medicinali compresi nella tabella dei medicinali,
sezioni A e C, e pertanto non sono assoggettate alla disciplina
delle sostanze che entrano a far parte della loro composizione;
2) i medicinali ad uso parenterale a base di benzodiazepine;
3) i medicinali per uso diverso da quello iniettabile, i quali,
in associazione con altre sostanze attive ad uso farmaceutico non
stupefacenti contengono alcaloidi totali dell’oppio con equivalente ponderale in morfina non superiore allo 0,05 per cento in
peso espresso come base anidra; i suddetti medicinali devono essere tali da impedire praticamente il recupero dello stupefacente
con facili ed estemporanei procedimenti estrattivi;
3 bis) in considerazione delle prioritarie esigenze terapeutiche nei confronti del dolore severo, composti medicinali utilizzati
in terapia del dolore elencati nell’allegato III bis, limitatamente
alle forme farmaceutiche diverse da quella parenterale;
i) nella sezione E della tabella dei medicinali sono indicati:
412
4/2014 Arch. nuova proc. pen.
1) i medicinali contenenti le sostanze elencate nella tabella
dei medicinali, sezioni A o B, da sole o in associazione con altre
sostanze attive ad uso farmaceutico, quando per la loro composizione qualitativa e quantitativa o per le modalità del loro uso,
possono dar luogo a pericolo di abuso o generare farmacodipendenza di grado inferiore a quello dei medicinali elencati nella
tabella dei medicinali, sezioni A, B, C o D.
2. Nelle tabelle di cui al comma 1 sono compresi, ai fini della
applicazione del presente testo unico, tutti gli isomeri, gli esteri, gli eteri, ed i sali anche relativi agli isomeri, esteri ed eteri,
nonchè gli stereoisomeri nei casi in cui possono essere prodotti,
relativi alle sostanze incluse nelle tabelle I, II, III e IV, e ai medicinali inclusi nella tabella dei medicinali, salvo sia fatta espressa
eccezione.
3. Le sostanze incluse nelle tabelle sono indicate con la denominazione comune internazionale, il nome chimico, la denominazione comune italiana o l’acronimo, se esiste. È, tuttavia, ritenuto
sufficiente, ai fini della applicazione del presente testo unico, che
nelle tabelle la sostanza sia indicata con almeno una delle denominazioni sopra indicate, purchè idonea ad identificarla.
4. Le sostanze e le piante di cui al comma 1, lettere a) e b),
sono soggette alla disciplina del presente testo unico anche ove
si presentino sotto ogni forma di prodotto, miscuglio o miscela.
5. La tabella dei medicinali indica la classificazione ai fini
della fornitura. Sono comunque fatte salve le condizioni stabilite
dall’Agenzia italiana del farmaco all’atto del rilascio dell’autorizzazione all’immissione in commercio, nonchè le limitazioni e
i divieti stabiliti dal Ministero della salute per esigenze di salute
pubblica.
3 bis. Al comma 2 dell’articolo 19 del testo unico delle leggi
in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope,
prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9
ottobre 1990, n. 309, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Le
autorizzazioni non possono essere rilasciate ai soggetti di cui al
presente comma, persone fisiche o legali rappresentanti di enti,
che abbiano avuto condanne o sanzioni ai sensi degli articoli
73, 74 e 75; in tali casi sono immediatamente revocate anche le
autorizzazioni già rilasciate».
4. All’articolo 26 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura
e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al
decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, il
comma 1 è sostituito dal seguente:
«1. Salvo quanto stabilito nel comma 2, è vietata nel territorio
dello Stato la coltivazione delle piante comprese nelle tabelle I e
II di cui all’articolo 14, ad eccezione della canapa coltivata esclusivamente per la produzione di fibre o per altri usi industriali,
diversi da quelli di cui all’articolo 27, consentiti dalla normativa
dell’Unione europea.».
5. Soppresso dalla legge di conversione.
6. All’articolo 34 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura
e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al
decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, il
comma 1 è sostituito dal seguente:
«1. Presso ciascun ente o impresa, autorizzati alla fabbricazione di sostanze stupefacenti o psicotrope, comprese nelle tabelle
I, II e nella tabella dei medicinali, sezione A, di cui all’articolo
14, devono essere dislocati uno o più militari della Guardia di
finanza per il controllo dell’entrata e dell’uscita delle sostanze
stupefacenti o psicotrope, nonchè per la sorveglianza a carattere
continuativo durante i cicli di lavorazione.».
L e g i s la z i o n e e d o c u m e n t a z i o n e
7. All’articolo 35 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione,
cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di
cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n.
309, al comma 1, le parole: «nelle tabelle I, II, III, IV e VI di cui
all’articolo 14» sono sostituite dalle seguenti: «nelle tabelle di
cui all’articolo 14, con esclusione di quelle incluse nelle sezioni
C, D ed E della tabella dei medicinali».
8. All’articolo 36 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione,
cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui
al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309,
sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, le parole: «I, II, III, IV e V» sono soppresse;
b) al comma 3, le parole: «delle preparazioni ottenute» sono
sostituite dalle seguenti: «dei prodotti ottenuti».
9. All’articolo 38 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione,
cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui
al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309,
sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il comma 1 è sostituito dal seguente:
«1. La vendita o cessione, a qualsiasi titolo, anche gratuito,
delle sostanze e dei medicinali compresi nelle tabelle di cui
all’articolo 14, esclusi i medicinali di cui alla tabella dei medicinali, sezioni D ed E, è fatta alle persone autorizzate ai sensi del
presente testo unico in base a richiesta scritta con buono acquisto conforme al modello predisposto dal Ministero della salute. I
titolari o i direttori di farmacie aperte al pubblico o ospedaliere
possono utilizzare i buoni acquisto anche per richiedere, a titolo gratuito, i medicinali compresi nella tabella dei medicinali,
esclusi i medicinali e le sostanze attive ad uso farmaceutico di
cui alla tabella dei medicinali, sezioni D ed E, ad altre farmacie
aperte al pubblico o ospedaliere, qualora si configuri il carattere
di urgenza terapeutica.»;
b) dopo il comma 1 è inserito il seguente:
«1 bis. Il Ministero della salute stabilisce con proprio decreto
il modello dei buoni acquisto.».
9 bis. L’articolo 39 del testo unico delle leggi in materia di
disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione,
cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui
al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309,
è abrogato.
10. Il comma 1 dell’articolo 40 del testo unico delle leggi in
materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope,
prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9
ottobre 1990, n. 309, è sostituito dal seguente:
«1. Il Ministero della salute, nel rispetto delle normative
comunitarie, al momento dell’autorizzazione all’immissione in
commercio, determina, in rapporto alla loro composizione, indicazione terapeutica e posologia, le confezioni dei medicinali
contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope che possono essere messe in commercio ed individua, in applicazione dei criteri
di cui all’articolo 14, la sezione della tabella dei medicinali in cui
collocare il medicinale stesso.».
11. All’articolo 41 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione,
cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui
al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309,
sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, lettera d), le parole: «nelle tabelle I e II
previste dall’articolo 14» sono sostituite dalle seguenti: «nelle
leg
tabelle I, II, III e nella tabella dei medicinali, sezione A, di cui
all’articolo 14»;
b) al comma 1 bis, la parola: «farmaci» è sostituita dalla
seguente: «medicinali», e le parole: «di pazienti affetti da dolore
severo in corso di patologia neoplastica o degenerativa» sono sostituite dalle seguenti: «di malati che hanno accesso alle cure
palliative e alla terapia del dolore secondo le vigenti disposizioni».
12. All’articolo 42 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione,
cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui
al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309,
sono apportate le seguenti modificazioni:
a) la rubrica è sostituita dalla seguente: «Acquisto di medicinali a base di sostanze stupefacenti e di sostanze psicotrope da
parte di medici chirurghi»;
b) il comma 1 è sostituito dal seguente:
«1. I medici chirurghi ed i medici veterinari, i direttori sanitari o responsabili di ospedali, case di cura in genere, prive
dell’unità operativa di farmacia, e titolari di gabinetto per l’esercizio delle professioni sanitarie qualora, per le normali esigenze
terapeutiche, si determini la necessità di approvvigionarsi di
medicinali a base di sostanze stupefacenti o psicotrope compresi
nella tabella dei medicinali, sezioni A, B e C, di cui all’articolo
14, devono farne richiesta scritta in triplice copia alla farmacia o
al grossista di medicinali. La prima delle predette copie rimane
per documentazione al richiedente; le altre due devono essere
rimesse alla farmacia o alla ditta all’ingrosso; queste ultime ne
trattengono una per il proprio discarico e trasmettono l’altra
all’azienda sanitaria locale a cui fanno riferimento.»;
c) al comma 2, le parole: «delle predette preparazioni» sono
sostituite dalle seguenti: «dei predetti medicinali» e le parole:
«lire duecentomila a lire un milione» sono sostituite dalle seguenti: «euro 100 ad euro 500»;
d) al comma 3, le parole: «delle preparazioni acquistate»
sono sostituite dalle seguenti: «dei medicinali acquistati» e le
parole: «delle preparazioni stesse» sono sostituite dalle seguenti: «dei medicinali stessi».
13. L’articolo 43 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura
e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al
decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, è
sostituito dal seguente:
«Art. 43 (Obblighi dei medici chirurghi e dei medici veterinari). - 1. I medici chirurghi e i medici veterinari prescrivono i
medicinali compresi nella tabella dei medicinali, sezione A, di
cui all’articolo 14, su apposito ricettario approvato con decreto
del Ministero della salute.
2. La prescrizione dei medicinali indicati nella tabella dei
medicinali, sezione A, di cui all’articolo 14 può comprendere un
solo medicinale per una cura di durata non superiore a trenta
giorni, ad eccezione della prescrizione dei medicinali di cui
all’allegato III bis per i quali la ricetta può comprendere fino a
due medicinali diversi tra loro o uno stesso medicinale con due
dosaggi differenti per una cura di durata non superiore a trenta
giorni.
3. Nella ricetta devono essere indicati:
a) cognome e nome dell’assistito ovvero del proprietario
dell’animale ammalato;
b) la dose prescritta, la posologia ed il modo di somministrazione;
c) l’indirizzo e il numero telefonico professionali del medico
chirurgo o del medico veterinario da cui la ricetta è rilasciata;
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d) la data e la firma del medico chirurgo o del medico veterinario da cui la ricetta è rilasciata;
e) il timbro personale del medico chirurgo o del medico veterinario da cui la ricetta è rilasciata.
4. Le ricette di cui al comma 1 sono compilate in duplice
copia a ricalco per i medicinali non forniti dal Servizio sanitario
nazionale, ed in triplice copia a ricalco per i medicinali forniti
dal Servizio sanitario nazionale. Una copia della ricetta è comunque conservata dall’assistito o dal proprietario dell’animale ammalato. Il Ministero della salute stabilisce con proprio decreto la
forma ed il contenuto del ricettario di cui al comma 1.
4 bis. Per la prescrizione, nell’ambito del Servizio sanitario
nazionale, di medicinali previsti dall’allegato III bis per il trattamento di pazienti affetti da dolore severo, in luogo del ricettario di cui al comma 1, contenente le ricette a ricalco di cui al
comma 4, può essere utilizzato il ricettario del Servizio sanitario
nazionale, disciplinato dal decreto del Ministro dell’economia e
delle finanze 17 marzo 2008, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 86 dell’11 aprile 2008. Il Ministro
della salute, sentiti il Consiglio superiore di sanità e l’Istituto
superiore di sanità, può, con proprio decreto, aggiornare l’elenco
dei medicinali di cui all’allegato III bis.
5. La prescrizione dei medicinali compresi nella tabella dei
medicinali, sezione A, di cui all’articolo 14, qualora utilizzati per
il trattamento degli stati di tossicodipendenza da oppiacei o di
alcooldipendenza, è effettuata utilizzando il ricettario di cui al
comma 1 nel rispetto del piano terapeutico predisposto da una
struttura sanitaria pubblica o da una struttura privata autorizzata ai sensi dell’articolo 116 e specificamente per l’attività di
diagnosi di cui al comma 2, lettera d), del medesimoarticolo . La
persona alla quale sono consegnati in affidamento i medicinali
di cui al presente comma è tenuta ad esibire a richiesta la prescrizione medica o il piano terapeutico in suo possesso.
5 bis. La prescrizione di medicinali compresi nella tabella
dei medicinali, sezione A, per il trattamento degli stati di tossicodipendenza da oppiacei deve essere effettuata all’interno del
piano terapeutico individualizzato, secondo modalità stabilite
con decreto del Ministero della salute.
6. I medici chirurghi e i medici veterinari sono autorizzati
ad approvvigionarsi attraverso autoricettazione, a trasportare
e a detenere i medicinali compresi nell’allegato III bis per uso
professionale urgente, utilizzando il ricettario di cui al comma
1.Una copia della ricetta è conservata dal medico chirurgo o
dal medico veterinario che tiene un registro delle prestazioni
effettuate, annotandovi le movimentazioni, in entrata ed uscita,
dei medicinali di cui si è approvvigionato e che successivamente
ha somministrato. Il registro delle prestazioni non è di modello
ufficiale e deve essere conservato per due anni a far data dall’ultima registrazione effettuata; le copie delle autoricettazioni sono
conservate, come giustificativo dell’entrata, per lo stesso periodo
del registro.
7. Il personale che opera nei distretti sanitari di base o nei
servizi territoriali o negli ospedali pubblici o accreditati delle
aziende sanitarie locali è autorizzato a consegnare al domicilio
di malati che hanno accesso alle cure palliative e alla terapia del
dolore secondo le vigenti disposizioni, ad esclusione del trattamento domiciliare degli stati di tossicodipendenza da oppiacei,
le quantità terapeutiche dei medicinali compresi nell’allegato III
bis accompagnate dalla certificazione medica che ne prescrive la
posologia e l’utilizzazione nell’assistenza domiciliare.
8. Gli infermieri professionali che effettuano servizi di assistenza domiciliare nell’ambito dei distretti sanitari di base o
nei servizi territoriali delle aziende sanitarie locali e i familiari
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dei pazienti, opportunamente identificati dal medico o dal farmacista che ivi effettuano servizio, sono autorizzati a trasportare
le quantità terapeutiche dei medicinali compresi nell’allegato III
bis accompagnate dalla certificazione medica che ne prescrive
la posologia e l’utilizzazione a domicilio di malati che hanno
accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore secondo le
vigenti disposizioni, ad esclusione del trattamento domiciliare
degli stati di tossicodipendenza da oppiacei.
9. La prescrizione dei medicinali compresi nella tabella dei
medicinali, sezioni B, C e D, di cui all’articolo 14 è effettuata con
ricetta da rinnovarsi volta per volta e da trattenersi da parte del
farmacista.
10. La prescrizione dei medicinali compresi nella tabella
dei medicinali, sezione E, di cui all’articolo 14 è effettuata con
ricetta medica.
10 bis. I medici chirurghi, su richiesta dei pazienti in corso di
trattamento terapeutico con medicinali stupefacenti o psicotropi che si recano all’estero, provvedono alla redazione della certificazione di possesso dei medicinali stupefacenti o psicotropi
compresi nella tabella dei medicinali, da presentare all’autorità
doganale all’uscita dal territorio nazionale, individuati con decreto del Ministero della salute, che definisce anche il modello
della certificazione».
14. L’articolo 45 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura
e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al
decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, è
sostituito dal seguente:
«Art. 45 (Dispensazione dei medicinali). - 1. La dispensazione dei medicinali compresi nella tabella dei medicinali, sezione
A, di cui all’articolo 14 è effettuata dal farmacista che annota
sulla ricetta il nome, il cognome e gli estremi di un documento di
riconoscimento dell’acquirente.
2. Il farmacista dispensa i medicinali di cui al comma 1 dietro presentazione di prescrizione medica compilata sulle ricette
previste dai commi 1 e 4 bis dell’articolo 43 nella quantità e nella
forma farmaceutica prescritta.
3. Il farmacista ha l’obbligo di accertare che la ricetta sia
stata redatta secondo le disposizioni stabilite nell’articolo 43,
di annotarvi la data di spedizione e di apporvi il timbro della
farmacia e di conservarla tenendone conto ai fini del discarico
dei medicinali sul registro di entrata e uscita di cui al comma 1
dell’articolo 60.
3 bis. Il farmacista spedisce comunque le ricette che prescrivano un quantitativo che, in relazione alla posologia indicata,
superi teoricamente il limite massimo di terapia di trenta giorni,
ove l’eccedenza sia dovuta al numero di unità posologiche contenute nelle confezioni in commercio. In caso di ricette che prescrivano una cura di durata superiore a trenta giorni, il farmacista consegna un numero di confezioni sufficiente a coprire trenta
giorni di terapia, in relazione alla posologia indicata, dandone
comunicazione al medico prescrittore.
4. La dispensazione dei medicinali di cui alla tabella dei
medicinali, sezioni B e C, è effettuata dal farmacista dietro
presentazione di ricetta medica da rinnovarsi volta per volta. Il
farmacista appone sulla ricetta la data di spedizione e il timbro
della farmacia e la conserva tenendone conto ai fini del discarico
dei medicinali sul registro di entrata e di uscita di cui all’articolo
60, comma 1.
5. Il farmacista conserva per due anni, a partire dal giorno
dell’ultima registrazione nel registro di cui all’articolo 60, comma
1, le ricette che prescrivono medicinali compresi nella tabella dei
medicinali, sezioni A, B e C. Nel caso di fornitura di medicinali
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a carico del Servizio sanitario nazionale, il farmacista è tenuto
a conservare una copia della ricetta originale o fotocopia della
ricetta originale, recante la data di spedizione.
6. La dispensazione dei medicinali di cui alla tabella dei
medicinali, sezione D, è effettuata dal farmacista dietro presentazione di ricetta medica da rinnovarsi volta per volta.
6 bis. All’atto della dispensazione dei medicinali inseriti nellasezione D della tabella dei medicinali, successivamente alla data
del 15 giugno 2009, limitatamente alle ricette diverse da quella di
cui al decreto del Ministro della salute 10 marzo 2006, pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale n. 76 del 31 marzo 2006, o da quella del
Servizio sanitario nazionale, disciplinata dal decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 17 marzo 2008, pubblicato nel
supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 86 dell’11 aprile
2008, il farmacista deve annotare sulla ricetta il nome, il cognome
e gli estremi di un documento di riconoscimento dell’acquirente.
Il farmacista conserva per due anni, a partire dal giorno dell’ultima registrazione, copia o fotocopia della ricetta ai fini della dimostrazione della liceità del possesso dei farmaci consegnati dallo
stesso farmacista al paziente o alla persona che li ritira.
7. La dispensazione dei medicinali di cui alla tabella dei
medicinali, sezione E, è effettuata dal farmacista dietro presentazione di ricetta medica.
8. Decorsi trenta giorni dalla data del rilascio, la prescrizione
medica non può essere più spedita.
9. Salvo che il fatto costituisca reato, il contravventore alle
disposizioni del presente articolo è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da euro 100
ad euro 600.
10. Il Ministro della salute provvede a stabilire, con proprio
decreto, tenuto conto di quanto previsto dal decreto ministeriale
15 luglio 2004 in materia di tracciabilità di medicinali, la forma
ed il contenuto dei moduli idonei al controllo del movimento dei
medicinali a base di sostanze stupefacenti o psicotrope tra le
farmacie interne degli ospedali e singoli reparti.
10 bis. Su richiesta del cliente e in caso di ricette che prescrivono più confezioni, il farmacista, previa specifica annotazione sulla ricetta, può spedirla in via definitiva consegnando
un numero di confezioni inferiore a quello prescritto, dandone
comunicazione al medico prescrittore, ovvero può consegnare,
in modo frazionato, le confezioni, purchè entro il termine di validità della ricetta e previa annotazione del numero di confezioni
volta per volta consegnato.».
15. All’articolo 46 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione,
cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui
al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309,
sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, le parole: «delle preparazioni indicate nelle
tabelle I, II, III, IV e V previste» sono sostituite dalle seguenti:
«dei medicinali compresi nella tabella dei medicinali, sezioni A,
B, C e D, prevista»;
b) al comma 4, le parole: «delle preparazioni» sono sostituite
dalle seguenti: «dei medicinali».
16. All’articolo 47 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione,
cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui
al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309,
sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, le parole: «delle preparazioni indicate nelle
tabelle I, II, III, IV e V previste» sono sostituite dalle seguenti:
«dei medicinali compresi nella tabella dei medicinali, sezioni A,
B, C e D, prevista»;
leg
b) al comma 4, le parole: «delle preparazioni» sono sostituite
dalle seguenti: «dei medicinali».
16 bis. Al comma 9 dell’articolo 50 del testo unico delle leggi
in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope,
prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9
ottobre 1990, n. 309, le parole: “I, II, III, IV e V” sono sostituite
dalle seguenti: “I, II, III e IV”.
17. All’articolo 54 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione,
cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui
al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309,
sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, le parole: «tabelle I, II, III, IV e V di cui all’articolo 14» sono sostituite dalle seguenti: «tabelle di cui all’articolo 14, con esclusione dei medicinali di cui alle sezioni C, D ed
E della tabella dei medicinali,»;
b) al comma 2, le parole: «I, II, e III previste dall’articolo 14»
sono sostituite dalle seguenti: «di cui all’articolo 14, con esclusione dei medicinali di cui alle sezioni B, C, D ed E della tabella
dei medicinali,».
18. L’articolo 60 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura
e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al
decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, è
sostituito dal seguente:
«Art. 60 (Registro di entrata e uscita). - 1. Ogni acquisto o
cessione, anche a titolo gratuito, di sostanze e di medicinali di
cui alle tabelle previste dall’articolo 14, è iscritto in un registro
speciale nel quale, senza alcuna lacuna, abrasione o aggiunta,
in ordine cronologico, secondo una progressione numerica unica
per ogni sostanza o medicinale, è tenuto in evidenza il movimento di entrata e di uscita delle stesse sostanze o medicinali. Tale
registro è numerato e firmato in ogni pagina dal responsabile
dell’azienda unità sanitaria locale o da un suo delegato che riporta nella prima pagina gli estremi della autorizzazione ministeriale e dichiara nell’ultima il numero delle pagine di cui il
registro è costituito. Il registro è conservato da parte degli enti
e delle imprese autorizzati alla fabbricazione, per la durata di
dieci anni dal giorno dell’ultima registrazione. Detto termine
è ridotto a cinque anni per le officine autorizzate all’impiego e
per le imprese autorizzate al commercio all’ingrosso. Lo stesso
termine è ridotto a due anni per le farmacie aperte al pubblico
e per le farmacie ospedaliere. I direttori sanitari e i titolari di
gabinetto di cui all’articolo 42, comma 1, conservano il registro di
cui al presente comma per due anni dal giorno dell’ultima registrazione.
2. I responsabili delle farmacie aperte al pubblico e delle farmacie ospedaliere nonchè delle aziende autorizzate al commercio all’ingrosso riportano sul registro il movimento dei medicinali
di cui alla tabella dei medicinali, sezioni A, B e C, secondo le
modalità indicate al comma 1 e nel termine di quarantotto ore
dalla dispensazione.
3. Le unità operative delle strutture sanitarie pubbliche e
private, nonchè le unità operative dei servizi territoriali delle
aziende sanitarie locali sono dotate di registro di carico e scarico
dei medicinali di cui alla tabella dei medicinali, sezioni A, B e C,
prevista dall’articolo 14.
4. I registri di cui ai commi 1 e 3 sono conformi ai modelli
predisposti dal Ministero della salute e possono essere composti
da un numero di pagine adeguato alla quantità di stupefacenti
normalmente detenuti e movimentati.
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5. In alternativa ai registri di cui ai commi 1 e 3, il Ministero
della salute stabilisce con proprio decreto le modalità di registrazione su supporto informatico della movimentazione delle
sostanze e dei medicinali di cui alle tabelle previste dall’articolo
14.
6. Il registro di cui al comma 3 è vidimato dal direttore sanitario, o da un suo delegato, che provvede alla sua distribuzione.
Il registro è conservato, in ciascuna unità operativa, dal responsabile dell’assistenza infermieristica per due anni dalla data
dell’ultima registrazione.
7. Il dirigente medico preposto all’unità operativa è responsabile della effettiva corrispondenza tra la giacenza contabile
e quella reale dei medicinali di cui alla tabella dei medicinali,
sezioni A, B e C, prevista dall’articolo 14.
8. Il direttore responsabile del servizio farmaceutico compie
periodiche ispezioni per accertare la corretta tenuta dei registri
di reparto di cui al comma 3 e redige apposito verbale da trasmettere alla direzione sanitaria.».
19. All’articolo 61 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione,
cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui
al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309,
il comma 1 è sostituito dal seguente:
«1. Nel registro di cui all’articolo 60, comma 1, tenuto da enti
e imprese autorizzati alla fabbricazione di sostanze stupefacenti
o psicotrope nonchè dei medicinali, compresi nelle tabelle di cui
all’articolo 14, è annotata ciascuna operazione di entrata e di
uscita o di passaggio in lavorazione.».
20. All’articolo 62 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione,
cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui
al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309,
il comma 1 è sostituito dal seguente:
«1. Il registro di cui all’articolo 60, comma 1, tenuto dagli
enti e imprese autorizzati all’impiego ed al commercio di sostanze stupefacenti o psicotrope nonchè dei medicinali di cui alle
tabelle previste dall’articolo 14 ed il registro delle farmacie per
quanto concerne i medicinali di cui alla tabella dei medicinali,
sezioni A, B e C, dell’articolo 14, sono chiusi al 31 dicembre di
ogni anno. La chiusura si compie mediante scritturazione riassuntiva di tutti i dati comprovanti i totali delle qualità e quantità
dei prodotti avuti in carico e delle quantità e qualità dei prodotti
impiegati o commercializzati durante l’anno, con l’indicazione di
ogni eventuale differenza o residuo.».
21. All’articolo 63 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione,
cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui
al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309,
il comma 1 è sostituito dal seguente:
«1. Gli enti o le imprese autorizzati alla fabbricazione di sostanze stupefacenti o psicotrope nonchè dei medicinali compresi
nelle tabelle di cui all’articolo 14 tengono anche un registro di
lavorazione, numerato e firmato in ogni pagina da un funzionario del Ministero della salute all’uopo delegato, nel quale sono
iscritte le quantità di materie prime poste in lavorazione, con
indicazione della loro esatta denominazione e della data di entrata nel reparto di lavorazione, nonchè i prodotti ottenuti da
ciascuna lavorazione. Tale registro è conservato per dieci anni a
far data dall’ultima registrazione.».
22. Il comma 1 dell’articolo 65 del testo unico delle leggi in
materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope,
prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodi-
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pendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9
ottobre 1990, n. 309, è sostituito dal seguente:
«1. Gli enti e le imprese autorizzati alla produzione, alla fabbricazione e all’impiego di sostanze stupefacenti o psicotrope
nonchè dei medicinali, compresi nelle tabelle di cui all’articolo
14, trasmettono al Ministero della salute, alla Direzione centrale
per i servizi antidroga e alla competente unità sanitaria locale
annualmente, non oltre il 31 gennaio di ciascun anno, i dati riassuntivi dell’anno precedente e precisamente:
a) i risultati di chiusura del registro di carico e scarico;
b) la quantità e qualità delle sostanze utilizzate per la produzione di medicinali preparati nel corso dell’anno;
c) la quantità e la qualità dei medicinali venduti nel corso
dell’anno;
d) la quantità e la qualità delle giacenze esistenti al 31 dicembre.».
23. All’articolo 66 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione,
cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui
al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309,
il comma 1 è sostituito dal seguente:
«1. Gli enti e le imprese autorizzati ai sensi dell’articolo 17
che abbiano effettuato importazioni o esportazioni di sostanze
stupefacenti o psicotrope nonchè di medicinali compresi nelle
tabelle di cui all’articolo 14, trasmettono al Ministero della salute, entro quindici giorni dalla fine di ogni trimestre, i dati relativi
ai permessi di importazione o di esportazione utilizzati nel corso
del trimestre precedente. Gli enti e le imprese autorizzati alla
fabbricazione trasmettono, altresì, un rapporto sulla natura e
quantità delle materie prime ricevute e di quelle utilizzate per
la lavorazione degli stupefacenti o sostanze psicotrope nonchè
dei medicinali ricavati, e di quelli venduti nel corso del trimestre precedente. In tale rapporto, per l’oppio grezzo, nonchè per
le foglie e pasta di coca è indicato il titolo in sostanze attive ad
azione stupefacente.».
24. Gli articoli 69 e 71 del testo unico delle leggi in materia di
disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione,
cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui
al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309,
sono abrogati.
24 bis. La rubrica del titolo VII del testo unico delle leggi in
materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope,
prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9
ottobre 1990, n. 309, è sostituita dalla seguente: “Prescrizioni
particolari relative ai precursori di droghe”.
24 ter. All’articolo 73 del testo unico delle leggi in materia di
disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione,
cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di
cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990,
n. 309, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti
modificazioni:
a) il comma 5 è sostituito dal seguente:
«5. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque
commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i
mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le
pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da
euro 1.032 a euro 10.329.»;
b) il comma 5 bis è sostituito dal seguente:
«5 bis. Nell’ipotesi di cui al comma 5, limitatamente ai reati
di cui al presente articolo commessi da persona tossicodipendente o da assuntore di sostanze stupefacenti o psicotrope, il
L e g i s la z i o n e e d o c u m e n t a z i o n e
giudice, con la sentenza di condanna o di applicazione della
pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice
di procedura penale, su richiesta dell’imputato e sentito il pubblico ministero, qualora non debba concedersi il beneficio della
sospensione condizionale della pena, può applicare, anzichè le
pene detentive e pecuniarie, quella del lavoro di pubblica utilità
di cui all’articolo 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n.
274, secondo le modalità ivi previste. Con la sentenza il giudice
incarica l’ufficio locale di esecuzione penale esterna di verificare l’effettivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità. L’ufficio
riferisce periodicamente al giudice. In deroga a quanto disposto
dal citato articolo 54 del decreto legislativo n. 274 del 2000, il
lavoro di pubblica utilità ha una durata corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata. Esso può essere disposto
anche nelle strutture private autorizzate ai sensi dell’articolo
116, previo consenso delle stesse. In caso di violazione degli obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità,
in deroga a quanto previsto dal citato articolo 54 del decreto
legislativo n. 274 del 2000, su richiesta del pubblico ministero o
d’ufficio, il giudice che procede, o quello dell’esecuzione, con le
formalità di cui all’articolo 666 del codice di procedura penale,
tenuto conto dell’entità dei motivi e delle circostanze della
violazione, dispone la revoca della pena con conseguente ripristino di quella sostituita. Avverso tale provvedimento di revoca è
ammesso ricorso per cassazione, che non ha effetto sospensivo.
Il lavoro di pubblica utilità può sostituire la pena per non più
di due volte.».
24 quater. All’articolo 75 del testo unico delle leggi in materia
di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza,
di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990,
n. 309, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti
modificazioni:
a) al comma 1, l’alinea è sostituito dal seguente:
«Chiunque, per farne uso personale, illecitamente importa,
esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque detiene
sostanze stupefacenti o psicotrope è sottoposto, per un periodo
da due mesi a un anno, se si tratta di sostanze stupefacenti o
psicotrope comprese nelle tabelle I e III previste dall’articolo
14, e per un periodo da uno a tre mesi, se si tratta di sostanze
stupefacenti o psicotrope comprese nelle tabelle II e IV previste
dallo stesso articolo, a una o più delle seguenti sanzioni amministrative:»;
b) dopo il comma 1 è inserito il seguente:
«1 bis. Ai fini dell’accertamento della destinazione ad uso
esclusivamente personale della sostanza stupefacente o psicotropa o del medicinale di cui al comma 1, si tiene conto delle
seguenti circostanze:
a) che la quantità di sostanza stupefacente o psicotropa non
sia superiore ai limiti massimi indicati con decreto del Ministro
della salute, di concerto con il Ministro della giustizia, sentita la
Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per le politiche antidroga, nonchè della modalità di presentazione delle
sostanze stupefacenti o psicotrope, avuto riguardo al peso lordo
complessivo o al confezionamento frazionato ovvero ad altre circostanze dell’azione, da cui risulti che le sostanze sono destinate
ad un uso esclusivamente personale;
b) che i medicinali contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope elencate nella tabella dei medicinali, sezioni A, B, C e D,
non eccedano il quantitativo prescritto».
25. All’articolo 114 del testo unico delle leggi in materia di
disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione,
cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui
leg
al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309,
il comma 2 è sostituito dal seguente: «2. Il perseguimento degli
obiettivi previsti dal comma 1 può essere affidato dai comuni e
dalle comunità montane o dalle loro associazioni alle competenti
aziende unità sanitarie locali o alle strutture private autorizzate
ai sensi dell’articolo 116.».
26. All’articolo 115 del testo unico delle leggi in materia di
disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione,
cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui
al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309,
al comma 1 la parola: «ausiliari» è soppressa.
27. All’articolo 120 del testo unico delle leggi in materia di
disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione,
cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui
al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309,
sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il comma 1 è sostituito dal seguente:
«1. Chiunque fa uso di sostanze stupefacenti e di sostanze
psicotrope può chiedere al servizio pubblico per le dipendenze
o ad una struttura privata autorizzata ai sensi dell’articolo 116
e specificamente per l’attività di diagnosi, di cui al comma 2,
lettera d), del medesimo articolo di essere sottoposto ad accertamenti diagnostici e di eseguire un programma terapeutico e
socio-riabilitativo.»;
b) al comma 3, le parole: «dell’unità» sono sostituite dalle
seguenti: «delle aziende unità» e dopo le parole: «unità sanitarie locali,» sono inserite le seguenti: «e con le strutture private
autorizzate ai sensi dell’articolo 116»;
c) il comma 4 è sostituito dal seguente:
«4. Gli esercenti la professione medica che assistono persone
dedite all’uso di sostanze stupefacenti e di sostanze psicotrope
possono, in ogni tempo, avvalersi dell’ausilio del servizio pubblico per le dipendenze e delle strutture private autorizzate ai
sensi dell’articolo 116.»;
d) il comma 7 è sostituito dal seguente:
«7. Gli operatori del servizio pubblico per le dipendenze e
delle strutture private autorizzate ai sensi dell’articolo 116 non
possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto
per ragione della propria professione, nè davanti all’autorità
giudiziaria nè davanti ad altra autorità. Agli stessi si applicano le
disposizioni dell’articolo 200 del codice di procedura penale e si
estendono le garanzie previste per il difensore dalle disposizioni
dell’articolo 103 del codice di procedura penale in quanto applicabili.».
28. All’articolo 122 del testo unico delle leggi in materia di
disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione,
cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui
al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309,
sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il comma 1 è sostituito dal seguente:
«1. Il servizio pubblico per le dipendenze e le strutture
private autorizzate ai sensi dell’articolo 116, compiuti i necessari accertamenti e sentito l’interessato, che può farsi assistere
da un medico di fiducia autorizzato a presenziare anche agli
accertamenti necessari, definiscono un programma terapeutico
e socio-riabilitativo personalizzato che può prevedere, ove le
condizioni psicofisiche del tossicodipendente lo consentano, in
collaborazione con i centri di cui all’articolo 114 e avvalendosi
delle cooperative di solidarietà sociale e delle associazioni di
cui all’articolo 115, iniziative volte ad un pieno inserimento
sociale attraverso l’orientamento e la formazione professionale,
attività di pubblica utilità o di solidarietà sociale. Nell’ambito
dei programmi terapeutici che lo prevedono, possono adottare
Arch. nuova proc. pen. 4/2014
417
leg
L e g i s la z i o n e e d o c u m e n t a z i o n e
metodologie di disassuefazione, nonchè trattamenti psico-sociali
e farmacologici adeguati. Il servizio pubblico per le dipendenze
verifica l’efficacia del trattamento e la risposta del paziente al
programma.»;
b) al comma 2, le parole: «deve essere» sono sostituite dalla
seguente: «viene» e dopo la parola: «studio» è inserita la seguente: «e»;
c) al comma 3, le parole: «riabilitative iscritte in un albo
regionale o provinciale» sono sostituite dalle seguenti: «private
autorizzate ai sensi dell’articolo 116»;
d) il comma 4 è sostituito dal seguente:
«4. Quando l’interessato ritenga di attuare il programma
presso strutture private autorizzate ai sensi dell’articolo 116 e
specificamente per l’attività di diagnosi, di cui al comma 2, lettera d), del medesimo articolo, la scelta può cadere su qualsiasi
struttura situata nel territorio nazionale che si dichiari di essere
in condizioni di accoglierlo.».
28 bis. Al comma 1 dell’articolo 123 del testo unico delle leggi
in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope,
prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9
ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, le parole: «alle
tabelle I e II, sezioni A, B e C,” sono sostituite dalle seguenti:
“alla tabella I e alla tabella dei medicinali».
29. All’articolo 127 del testo unico delle leggi in materia di
disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione,
cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui
al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309,
il comma 8 è sostituito dal seguente:
«8. I progetti di cui alle lettere a) e c) del comma 7 non possono prevedere la somministrazione delle sostanze stupefacenti
o psicotrope incluse nelle tabelle I e II di cui all’articolo 14 e
delle sostanze non inserite nella Farmacopea ufficiale, fatto
salvo l’uso dei medicinali oppioidi prescrivibili.».
30. Al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli
stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del
Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, sono inserite
le tabelle, previste dagli articoli 13, comma 1, e 14 del citato testo
unico, come modificati dai commi 2 e 3 del presente articolo,
nonchè l’allegato III bis, riportati nell’allegato A al presente decreto.
2. (Efficacia degli atti amministrativi adottati ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre
1990, n. 309). 1. A decorrere dalla data di entrata in vigore del
presente decreto riprendono a produrre effetti gli atti amministrativi adottati sino alla data di pubblicazione della sentenza
della Corte Costituzionale n. 32 del 12 febbraio 2014, ai sensi
del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del
Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive
modificazioni.
1 bis. Nei decreti applicativi del testo unico di cui al decreto
del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, adottati
dalla data di entrata in vigore della legge 21 febbraio 2006, n.
49, fino alla data di pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 12 febbraio 2014, ogni richiamo alla tabella
II è da intendersi riferito alla tabella dei medicinali, di cui all’allegato A al presente decreto.
418
4/2014 Arch. nuova proc. pen.
Capo II
Impiego dei medicinali
3. (Disposizioni in materia di impiego di medicinali).
2. Dopo il comma 4 dell’articolo 1 del decreto legge 21 ottobre
1996, n. 536, convertito dalla legge 23 dicembre 1996, n. 648, è
inserito il seguente:
«4 bis. Anche se sussista altra alternativa terapeutica nell’ambito dei medicinali autorizzati, previa valutazione dell’Agenzia italiana del farmaco (AIFA), sono inseriti nell’elenco di cui
al comma 4, con conseguente erogazione a carico del Servizio
sanitario nazionale, i medicinali che possono essere utilizzati
per un’indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata,
purchè tale indicazione sia nota e conforme a ricerche condotte
nell’ambito della comunità medico-scientifica nazionale e internazionale, secondo parametri di economicità e appropriatezza.
In tal caso l’AIFA attiva idonei strumenti di monitoraggio a tutela
della sicurezza dei pazienti e assume tempestivamente le necessarie determinazioni.».
4. (Entrata in vigore). 1. Il presente decreto entra in vigore
il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica Italiana e sarà presentato alle Camere per la
conversione in legge.
(Si omettono le tabelle)
II
D.L. 31 marzo 2014, n. 52. Disposizioni urgenti in materia di
superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari (Gazzetta
Ufficiale Serie gen. - n. 76 del 1 aprile 2014), convertito, con
modificazioni, nella L. 30 maggio 2014, n. 81 (Gazzetta Ufficiale
Serie gen. - n. 125 del 31 maggio 2014).
1. (Modifiche all’articolo 3 ter del decreto legge 22 dicembre 2011, n. 211, convertito, con modificazioni, dalla legge
17 febbraio 2012, n. 9). 1. Al comma 4 dell’articolo 3 ter del decreto legge 22 dicembre 2011, n. 211, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 febbraio 2012, n. 9, sono apportate le seguenti
modificazioni:
a) al primo periodo, le parole: «1° aprile 2014» sono sostituite dalle seguenti: «31 marzo 2015»;
b) dopo il primo periodo sono aggiunti i seguenti:
«Il giudice dispone nei confronti dell’infermo di mente e del
seminfermo di mente l’applicazione di una misura di sicurezza,
anche in via provvisoria, diversa dal ricovero in un ospedale
psichiatrico giudiziario o in una casa di cura e custodia, salvo
quando sono acquisiti elementi dai quali risulta che ogni misura
diversa non è idonea ad assicurare cure adeguate e a fare fronte
alla sua pericolosità sociale, il cui accertamento è effettuato
sulla base delle qualità soggettive della persona e senza tenere
conto delle condizioni di cui all’articolo 133, secondo comma,
numero 4, del codice penale. Allo stesso modo provvede il magistrato di sorveglianza quando interviene ai sensi dell’articolo 679
del codice di procedura penale. Non costituisce elemento idoneo
a supportare il giudizio di pericolosità sociale la sola mancanza
di programmi terapeutici individuali».
1 bis. All’articolo 3 ter del decreto legge 22 dicembre 2011, n.
211, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 febbraio 2012,
n. 9, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 6, dopo il terzo periodo sono inseriti i seguenti:
«A tal fine le regioni, senza nuovi o maggiori oneri a carico
della finanza pubblica, nell’ambito delle risorse destinate alla
formazione, organizzano corsi di formazione per gli operatori
L e g i s la z i o n e e d o c u m e n t a z i o n e
del settore finalizzati alla progettazione e alla organizzazione di
percorsi terapeutico-riabilitativi e alle esigenze di mediazione
culturale. Entro il 15 giugno 2014, le regioni possono modificare
i programmi presentati in precedenza al fine di provvedere alla
riqualificazione dei dipartimenti di salute mentale, di contenere
il numero complessivo di posti letto da realizzare nelle strutture
sanitarie di cui al comma 2 e di destinare le risorse alla realizzazione o riqualificazione delle sole strutture pubbliche»;
b) dopo il comma 8 è inserito il seguente:
«8.1. Fino al superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, l’attuazione delle disposizioni di cui al presente Articolo
costituisce adempimento ai fini della verifica del Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei livelli essenziali di
assistenza.».
1 ter. I percorsi terapeutico-riabilitativi individuali di dimissione di ciascuna delle persone ricoverate negli ospedali psichiatrici giudiziari alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, di cui ai commi 5 e 6 dell’articolo
3 ter del decreto legge 22 dicembre 2011, n. 211, convertito, con
modificazioni, dalla legge 17 febbraio 2012, n. 9, e successive modificazioni, devono essere obbligatoriamente predisposti e inviati
al Ministero della salute e alla competente autorità giudiziaria
entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore della
legge di conversione del presente decreto. I programmi sono
predisposti dalle regioni e dalle province autonome di Trento e
di Bolzano attraverso i competenti dipartimenti e servizi di salute mentale delle proprie aziende sanitarie, in accordo e con il
concorso delle direzioni degli ospedali psichiatrici giudiziari. Per
i pazienti per i quali è stata accertata la persistente pericolosità
sociale, il programma documenta in modo puntuale le ragioni
che sostengono l’eccezionalità e la transitorietà del prosieguo
del ricovero.
1 quater. Le misure di sicurezza detentive provvisorie o definitive, compreso il ricovero nelle residenze per l’esecuzione delle
misure di sicurezza, non possono durare oltre il tempo stabilito
per la pena detentiva prevista per il reato commesso, avuto riguardo alla previsione edittale massima. Per la determinazione
della pena a tali effetti si applica l’articolo 278 del codice di procedura penale. Per i delitti puniti con la pena dell’ergastolo non
si applica la disposizione di cui al primo periodo.
2. Al fine di monitorare il rispetto del termine di cui all’articolo 3 ter, comma 4, del decreto legge 22 dicembre 2011, n. 211,
convertito, con modificazioni, dalla legge 17 febbraio 2012, n. 9,
come modificato dal comma 1 del presente decreto, le regioni
comunicano al Ministero della salute, al Ministero della giustizia
e al comitato paritetico interistituzionale di cui all’articolo 5,
comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri
1° aprile 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 126 del 30
leg
maggio 2008, entro l’ultimo giorno del semestre successivo alla
data di entrata in vigore del presente decreto, lo stato di realizzazione e riconversione delle strutture di cui all’articolo 3 ter,
comma 6, del decreto legge 22 dicembre 2011, n. 211, convertito,
con modificazioni, dalla legge 17 febbraio 2012, n. 9, nonchè tutte
le iniziative assunte per garantire il completamento del processo di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari. Quando
dalla comunicazione della regione risulta che lo stato di realizzazione e riconversione delle strutture e delle iniziative assunte
per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari è tale da
non garantirne il completamento entro il successivo semestre il
Governo provvede in via sostitutiva a norma dell’articolo 3 ter,
comma 9, del decreto legge 22 dicembre 2011, n. 211, convertito,
con modificazioni, dalla legge 17 febbraio 2012, n. 9.
2 bis. Entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della
legge di conversione del presente decreto è attivato presso il
Ministero della salute un organismo di coordinamento per il
superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari composto da
rappresentanti del Ministero della salute, del Ministero della
giustizia, delle regioni e delle province autonome di Trento e di
Bolzano, al fine di esercitare funzioni di monitoraggio e di coordinamento delle iniziative assunte per garantire il completamento
del processo di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari. A tal fine l’organismo di coordinamento si raccorda con il
comitato paritetico interistituzionale di cui all’articolo 5, comma
2, del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri
1º aprile 2008. La partecipazione alle sedute dell’organismo di
coordinamento non dà luogo alla corresponsione di compensi,
gettoni, emolumenti, indennità o rimborsi spese comunque denominati. Ogni tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge
di conversione del presente decreto, il Ministro della salute e il
Ministro della giustizia trasmettono alle Camere una relazione
sullo stato di attuazione delle suddette iniziative.
3. Agli oneri derivanti dalla proroga prevista dal comma 1,
pari a 4,38 milioni di euro per il 2014 ed a 1,46 milioni di euro per
il 2015, si provvede mediante corrispondente riduzione, per i medesimi anni, dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 3 ter,
comma 7, del decreto legge 22 dicembre 2011, n. 211, convertito,
con modificazioni, dalla legge 17 febbraio 2012, n. 9. Le relative
risorse sono iscritte al pertinente programma dello stato di previsione del Ministero della giustizia per gli anni 2014 e 2015. Il
Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con proprio decreto, le occorrenti variazioni di bilancio.
2. (Entrata in vigore). 1. Il presente decreto entra in vigore
il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica italiana e sarà presentato alle Camere per la
conversione in legge.
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leg
L e g i s la z i o n e e d o c u m e n t a z i o n e
III
L. 17 aprile 2014, n. 62. Modifica dell’articolo 416 ter del codice penale, in materia di scambio elettorale politico-mafioso
(Gazzetta Ufficiale Serie gen. - n. 90 del 17 aprile 2014).
1.  1. L’articolo 416 ter del codice penale è sostituito dal seguente:
«Art. 416 ter. - (Scambio elettorale politico-mafioso). - Chiunque accetta la promessa di procurare voti mediante le modalità
di cui al terzo comma dell’articolo 416 bis in cambio dell’erogazione o della promessa di erogazione di denaro o di altra utilità è
punito con la reclusione da quattro a dieci anni.
La stessa pena si applica a chi promette di procurare voti con
le modalità di cui al primo comma».
2.  1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a
quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
IV
L. 28 aprile 2014, n. 67. Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio.
Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con
messa alla prova e nei confronti degli irreperibili (Gazzetta
Ufficiale Serie gen. - n. 100 del 2 maggio 2014).
Capo I
Deleghe al Governo
1. (Delega al Governo in materia di pene detentive non
carcerarie). 1. Il Governo è delegato ad adottare uno o più decreti legislativi per la riforma del sistema delle pene, con le modalità e nei termini previsti dai commi 2 e 3 e nel rispetto dei
seguenti principi e criteri direttivi:
a) prevedere che le pene principali siano l’ergastolo, la reclusione, la reclusione domiciliare e l’arresto domiciliare, la multa e
l’ammenda; prevedere che la reclusione e l’arresto domiciliari si
espiano presso l’abitazione del condannato o altro luogo pubblico
o privato di cura, assistenza e accoglienza, di seguito denominato
«domicilio», con durata continuativa o per singoli giorni della
settimana o per fasce orarie;
b) per i reati per i quali è prevista la pena dell’arresto o
della reclusione non superiore nel massimo a tre anni, secondo
quanto disposto dall’articolo 278 del codice di procedura penale,
prevedere che la pena sia quella della reclusione domiciliare o
dell’arresto domiciliare;
c) per i delitti per i quali è prevista la pena della reclusione
tra i tre e i cinque anni, secondo quanto disposto dall’articolo 278
del codice di procedura penale, prevedere che il giudice, tenuto
conto dei criteri indicati dall’articolo 133 del codice penale, possa applicare la reclusione domiciliare;
d) prevedere che, nei casi indicati nelle lettere b) e c), il giudice possa prescrivere l’utilizzo delle particolari modalità di controllo di cui all’articolo 275 bis del codice di procedura penale;
e) prevedere che le disposizioni di cui alle lettere b) e c) non
si applichino nei casi previsti dagli articoli 102, 103, 105 e 108
del codice penale;
f) prevedere che il giudice sostituisca le pene previste nelle
lettere b) e c) con le pene della reclusione o dell’arresto in
carcere, qualora non risulti disponibile un domicilio idoneo ad
assicurare la custodia del condannato ovvero quando il comportamento del condannato, per la violazione delle prescrizioni dettate o per la commissione di ulteriore reato, risulti incompatibile
con la prosecuzione delle stesse, anche sulla base delle esigenze
di tutela della persona offesa dal reato;
420
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g) prevedere che, per la determinazione della pena agli effetti dell’applicazione della reclusione e dell’arresto domiciliare, si
applichino, in ogni caso, i criteri di cui all’articolo 278 del codice
di procedura penale;
h) prevedere l’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 385 del codice penale nei casi di allontanamento non autorizzato del condannato dal luogo in cui sono in corso di esecuzione
le pene previste dalle lettere b) e c);
i) prevedere, altresì, che per i reati di cui alle lettere b) e c)
il giudice, sentiti l’imputato e il pubblico ministero, possa applicare anche la sanzione del lavoro di pubblica utilità, con le
modalità di cui alla lettera l);
l) prevedere che il lavoro di pubblica utilità non possa essere
inferiore a dieci giorni e consista nella prestazione di attività non
retribuita in favore della collettività da svolgere presso lo Stato,
le regioni, le province, i comuni o presso enti o organizzazioni di
assistenza sociale e di volontariato; prevedere che la prestazione
debba essere svolta con modalità e tempi che non pregiudichino
le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute del condannato; prevedere che la durata giornaliera della prestazione non
possa comunque superare le otto ore;
m) escludere la punibilità di condotte sanzionate con la sola
pena pecuniaria o con pene detentive non superiori nel massimo
a cinque anni, quando risulti la particolare tenuità dell’offesa
e la non abitualità del comportamento, senza pregiudizio per
l’esercizio dell’azione civile per il risarcimento del danno e adeguando la relativa normativa processuale penale;
n) provvedere al coordinamento delle nuove norme in materia di pene detentive non carcerarie sia con quelle di cui alla
legge 24 novembre 1981, n. 689, sia con quelle di cui alla legge
26 novembre 2010, n. 199, sia con la disciplina dettata dal testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14
novembre 2002, n. 313, sia con quelle di cui alla legge 26 luglio
1975, n. 354, tenendo conto della necessità di razionalizzare e di
graduare il sistema delle pene, delle sanzioni sostitutive e delle
misure alternative applicabili in concreto dal giudice di primo
grado.
2. I decreti legislativi previsti dal comma 1 sono adottati entro il termine di otto mesi dalla data di entrata in vigore della
presente legge su proposta del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. Gli schemi
dei decreti legislativi, a seguito di deliberazione preliminare del
Consiglio dei ministri, sono trasmessi alle Camere, corredati
di relazione tecnica, per l’espressione dei pareri da parte delle
Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili
finanziari, che sono resi entro il termine di trenta giorni dalla
data di trasmissione, decorso il quale i decreti possono essere
emanati anche in mancanza dei predetti pareri. Qualora tale
termine venga a scadere nei trenta giorni antecedenti allo spirare del termine previsto dal primo periodo o successivamente,
la scadenza di quest’ultimo è prorogata di sessanta giorni. Nella
redazione dei decreti legislativi di cui al presente comma il Governo tiene conto delle eventuali modificazioni della normativa
vigente comunque intervenute fino al momento dell’esercizio
della delega. I predetti decreti legislativi contengono, altresì, le
disposizioni necessarie al coordinamento con le altre norme legislative vigenti nella stessa materia.
3. Entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore dell’ultimo dei decreti legislativi di cui al presente articolo possono essere emanati uno o più decreti legislativi correttivi e integrativi,
con il rispetto del procedimento di cui al comma 2 nonchè dei
principi e criteri direttivi di cui al comma 1.
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4. Dall’attuazione della delega di cui al presente articolo non
devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza
pubblica.
5. Le amministrazioni pubbliche interessate provvedono ai
compiti derivanti dall’attuazione della delega con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
2. (Delega al Governo per la riforma della disciplina sanzionatoria). 1. Il Governo è delegato ad adottare, entro i termini e con le procedure di cui ai commi 4 e 5, uno o più decreti legislativi per la riforma della disciplina sanzionatoria dei reati e per
la contestuale introduzione di sanzioni amministrative e civili,
in ordine alle fattispecie e secondo i principi e criteri direttivi
specificati nei commi 2 e 3.
2. La riforma della disciplina sanzionatoria nelle fattispecie
di cui al presente comma è ispirata ai seguenti principi e criteri
direttivi:
a)trasformare in illeciti amministrativi tutti i reati per i quali
è prevista la sola pena della multa o dell’ammenda, ad eccezione
delle seguenti materie:
1)edilizia e urbanistica;
2)ambiente, territorio e paesaggio;
3)alimenti e bevande;
4)salute e sicurezza nei luoghi di lavoro;
5)sicurezza pubblica;
6)giochi d’azzardo e scommesse;
7)armi ed esplosivi;
8)elezioni e finanziamento ai partiti;
9)proprietà intellettuale e industriale;
b) trasformare in illeciti amministrativi i seguenti reati previsti dal codice penale:
1) i delitti previsti dagli articoli 527, primo comma, e 528,
limitatamente alle ipotesi di cui al primo e al secondo comma;
2) le contravvenzioni previste dagli articoli 652, 659, 661, 668
e 726;
c) trasformare in illecito amministrativo il reato di cui all’articolo 2, comma 1 bis, del decreto legge 12 settembre 1983, n. 463,
convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n.
638, purchè l’omesso versamento non ecceda il limite complessivo di 10.000 euro annui e preservando comunque il principio
per cui il datore di lavoro non risponde a titolo di illecito amministrativo, se provvede al versamento entro il termine di tre mesi
dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento
della violazione;
d) trasformare in illeciti amministrativi le contravvenzioni
punite con la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda, previste dalle seguenti disposizioni di legge:
1) articolo 11, primo comma, della legge 8 gennaio 1931, n.
234;
2) articolo 171 quater della legge 22 aprile 1941, n. 633;
3) articolo 3 del decreto legislativo luogotenenziale 10 agosto 1945, n. 506;
4) articolo 15, secondo comma, della legge 28 novembre
1965, n. 1329;
5) articolo 16, quarto comma, del decreto legge 26 ottobre
1970, n. 745, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 1970, n. 1034;
6) articolo 28, comma 2, del testo unico in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura
e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al
decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309;
e) prevedere, per i reati trasformati in illeciti amministrativi,
sanzioni adeguate e proporzionate alla gravità della violazione,
leg
alla reiterazione dell’illecito, all’opera svolta dall’agente per
l’eliminazione o attenuazione delle sue conseguenze, nonchè
alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche;
prevedere come sanzione principale il pagamento di una somma
compresa tra un minimo di euro 5.000 ed un massimo di euro
50.000; prevedere, nelle ipotesi di cui alle lettere b) e d), l’applicazione di eventuali sanzioni amministrative accessorie consistenti nella sospensione di facoltà e diritti derivanti da provvedimenti dell’amministrazione;
f) indicare, per i reati trasformati in illeciti amministrativi,
quale sia l’autorità competente ad irrogare le sanzioni di cui alla
lettera e), nel rispetto dei criteri di riparto indicati nell’articolo
17 della legge 24 novembre 1981, n. 689;
g) prevedere, per i casi in cui venga irrogata la sola sanzione
pecuniaria, la possibilità di estinguere il procedimento mediante
il pagamento, anche rateizzato, di un importo pari alla metà
della stessa.
3. La riforma della disciplina sanzionatoria nelle fattispecie
di cui al presente comma è ispirata ai seguenti principi e criteri
direttivi:
a) abrogare i reati previsti dalle seguenti disposizioni del
codice penale:
1) delitti di cui al libro secondo, titolo VII, capo III, limitatamente alle condotte relative a scritture private, ad esclusione
delle fattispecie previste all’articolo 491;
2) articolo 594;
3) articolo 627;
4) articoli 631, 632 e 633, primo comma, escluse le ipotesi di
cui all’articolo 639 bis;
5) articolo 635, primo comma;
6) articolo 647;
b) abrogare, trasformandolo in illecito amministrativo, il reato previsto dall’articolo 10 bis del testo unico delle disposizioni
concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998,
n. 286, conservando rilievo penale alle condotte di violazione dei
provvedimenti amministrativi adottati in materia;
c) fermo il diritto al risarcimento del danno, istituire adeguate sanzioni pecuniarie civili in relazione ai reati di cui alla
lettera a);
d) prevedere una sanzione pecuniaria civile che, fermo restando il suo carattere aggiuntivo rispetto al diritto al risarcimento del danno dell’offeso, indichi tassativamente:
1) le condotte alle quali si applica;
2) l’importo minimo e massimo della sanzione;
3) l’autorità competente ad irrogarla;
e) prevedere che le sanzioni pecuniarie civili relative alle
condotte di cui alla lettera a) siano proporzionate alla gravità
della violazione, alla reiterazione dell’illecito, all’arricchimento
del soggetto responsabile, all’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle sue conseguenze, nonchè alla
personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche.
4. I decreti legislativi previsti dal comma 1 sono adottati
entro il termine di diciotto mesi dalla data di entrata in vigore
della presente legge su proposta del Ministro della giustizia, di
concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. Gli schemi
dei decreti legislativi sono trasmessi alle Camere, corredati di
relazione tecnica, ai fini dell’espressione dei pareri da parte delle
Commissioni competenti per materia e per i profili finanziari,
che sono resi entro il termine di trenta giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale i decreti sono emanati anche in mancanza dei predetti pareri. Qualora tale termine venga a scadere
nei trenta giorni antecedenti allo spirare del termine previsto dal
Arch. nuova proc. pen. 4/2014
421
leg
L e g i s la z i o n e e d o c u m e n t a z i o n e
primo periodo o successivamente, la scadenza di quest’ultimo è
prorogata di sessanta giorni. Nella predisposizione dei decreti
legislativi il Governo tiene conto delle eventuali modificazioni
della normativa vigente comunque intervenute fino al momento
dell’esercizio della delega. I decreti legislativi di cui al comma 1
contengono, altresì, le disposizioni necessarie al coordinamento
con le altre norme legislative vigenti nella stessa materia.
5. Entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore dell’ultimo dei decreti legislativi di cui al presente articolo, possono
essere emanati uno o più decreti correttivi ed integrativi, nel
rispetto della procedura di cui al comma 4 nonchè dei principi e
criteri direttivi di cui al presente articolo.
Capo II
Sospensione del procedimento
con messa alla prova
3. (Modifiche al codice penale in materia di sospensione
del procedimento con messa alla prova). 1. Dopo l’articolo
168 del codice penale sono inseriti i seguenti:
«Art. 168 bis (Sospensione del procedimento con messa alla
prova dell’imputato). - Nei procedimenti per reati puniti con la
sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva
non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o
alternativa alla pena pecuniaria, nonchè per i delitti indicati
dal comma 2 dell’articolo 550 del codice di procedura penale,
l’imputato può chiedere la sospensione del processo con messa
alla prova.
La messa alla prova comporta la prestazione di condotte volte
all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonchè, ove possibile, il risarcimento del danno dallo
stesso cagionato. Comporta altresì l’affidamento dell’imputato al
servizio sociale, per lo svolgimento di un programma che può implicare, tra l’altro, attività di volontariato di rilievo sociale, ovvero l’osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio
sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla libertà di
movimento, al divieto di frequentare determinati locali.
La concessione della messa alla prova è inoltre subordinata
alla prestazione di lavoro di pubblica utilità. Il lavoro di pubblica
utilità consiste in una prestazione non retribuita, affidata tenendo conto anche delle specifiche professionalità ed attitudini lavorative dell’imputato, di durata non inferiore a dieci giorni, anche
non continuativi, in favore della collettività, da svolgere presso
lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le aziende sanitarie o
presso enti o organizzazioni, anche internazionali, che operano
in Italia, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato. La prestazione è svolta con modalità che non pregiudichino le esigenze
di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell’imputato e la sua
durata giornaliera non può superare le otto ore.
La sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato non può essere concessa più di una volta.
La sospensione del procedimento con messa alla prova non si
applica nei casi previsti dagli articoli 102, 103, 104, 105 e 108.
Art. 168 ter (Effetti della sospensione del procedimento con
messa alla prova). - Durante il periodo di sospensione del procedimento con messa alla prova il corso della prescrizione del
reato è sospeso.
Non si applicano le disposizioni del primo comma dell’articolo 161.
L’esito positivo della prova estingue il reato per cui si procede. L’estinzione del reato non pregiudica l’applicazione delle
sanzioni amministrative accessorie, ove previste dalla legge.
422
4/2014 Arch. nuova proc. pen.
Art. 168 quater (Revoca della sospensione del procedimento
con messa alla prova). - La sospensione del procedimento con
messa alla prova è revocata:
1) in caso di grave o reiterata trasgressione al programma
di trattamento o alle prescrizioni imposte, ovvero di rifiuto alla
prestazione del lavoro di pubblica utilità;
2) in caso di commissione, durante il periodo di prova, di un
nuovo delitto non colposo ovvero di un reato della stessa indole
rispetto a quello per cui si procede».
4. (Modifiche al codice di procedura penale in materia
di sospensione del procedimento con messa alla prova).
1. Al codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni:
a) nel libro sesto, dopo il titolo V è aggiunto il seguente:
«Titolo V bis
Sospensione del procedimento con messa alla prova
Art. 464 bis (Sospensione del procedimento con messa alla
prova). - 1. Nei casi previsti dall’articolo 168 bis del codice
penale l’imputato può formulare richiesta di sospensione del
procedimento con messa alla prova.
2. La richiesta può essere proposta, oralmente o per iscritto, fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli articoli 421 e 422 o fino alla dichiarazione di apertura del
dibattimento di primo grado nel giudizio direttissimo e nel procedimento di citazione diretta a giudizio. Se è stato notificato il
decreto di giudizio immediato, la richiesta è formulata entro il
termine e con le forme stabiliti dall’articolo 458, comma 1. Nel
procedimento per decreto, la richiesta è presentata con l’atto di
opposizione.
3. La volontà dell’imputato è espressa personalmente o per
mezzo di procuratore speciale e la sottoscrizione è autenticata
nelle forme previste dall’articolo 583, comma 3.
4. All’istanza è allegato un programma di trattamento, elaborato d’intesa con l’ufficio di esecuzione penale esterna, ovvero,
nel caso in cui non sia stata possibile l’elaborazione, la richiesta
di elaborazione del predetto programma. Il programma in ogni
caso prevede:
a) le modalità di coinvolgimento dell’imputato, nonchè del
suo nucleo familiare e del suo ambiente di vita nel processo di
reinserimento sociale, ove ciò risulti necessario e possibile;
b) le prescrizioni comportamentali e gli altri impegni specifici che l’imputato assume anche al fine di elidere o di attenuare le
conseguenze del reato, considerando a tal fine il risarcimento del
danno, le condotte riparatorie e le restituzioni, nonchè le prescrizioni attinenti al lavoro di pubblica utilità ovvero all’attività
di volontariato di rilievo sociale;
c) le condotte volte a promuovere, ove possibile, la mediazione con la persona offesa.
5. Al fine di decidere sulla concessione, nonchè ai fini della
determinazione degli obblighi e delle prescrizioni cui eventualmente subordinarla, il giudice può acquisire, tramite la polizia
giudiziaria, i servizi sociali o altri enti pubblici, tutte le ulteriori
informazioni ritenute necessarie in relazione alle condizioni di
vita personale, familiare, sociale ed economica dell’imputato.
Tali informazioni devono essere portate tempestivamente a conoscenza del pubblico ministero e del difensore dell’imputato.
Art. 464 ter (Richiesta di sospensione del procedimento con
messa alla prova nel corso delle indagini preliminari). - 1. Nel
corso delle indagini preliminari, il giudice, se è presentata una
richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova,
trasmette gli atti al pubblico ministero affinchè esprima il consenso o il dissenso nel termine di cinque giorni.
L e g i s la z i o n e e d o c u m e n t a z i o n e
2. Se il pubblico ministero presta il consenso, il giudice provvede ai sensi dell’articolo 464 quater.
3. Il consenso del pubblico ministero deve risultare da atto
scritto e sinteticamente motivato, unitamente alla formulazione
dell’imputazione.
4. Il pubblico ministero, in caso di dissenso, deve enunciarne
le ragioni. In caso di rigetto, l’imputato può rinnovare la richiesta
prima dell’apertura del dibattimento di primo grado e il giudice,
se ritiene la richiesta fondata, provvede ai sensi dell’articolo 464
quater.
Art. 464 quater (Provvedimento del giudice ed effetti della
pronuncia). - 1. Il giudice, se non deve pronunciare sentenza di
proscioglimento a norma dell’articolo 129, decide con ordinanza
nel corso della stessa udienza, sentite le parti nonchè la persona
offesa, oppure in apposita udienza in camera di consiglio, della
cui fissazione è dato contestuale avviso alle parti e alla persona
offesa. Si applica l’articolo 127.
2. Il giudice, se ritiene opportuno verificare la volontarietà
della richiesta, dispone la comparizione dell’imputato.
3. La sospensione del procedimento con messa alla prova è
disposta quando il giudice, in base ai parametri di cui all’articolo
133 del codice penale, reputa idoneo il programma di trattamento presentato e ritiene che l’imputato si asterrà dal commettere
ulteriori reati. A tal fine, il giudice valuta anche che il domicilio
indicato nel programma dell’imputato sia tale da assicurare le
esigenze di tutela della persona offesa dal reato.
4. Il giudice, anche sulla base delle informazioni acquisite ai
sensi del comma 5 dell’articolo 464 bis, e ai fini di cui al comma 3
del presente articolo può integrare o modificare il programma di
trattamento, con il consenso dell’imputato.
5. Il procedimento non può essere sospeso per un periodo:
a) superiore a due anni quando si procede per reati per i
quali è prevista una pena detentiva, sola, congiunta o alternativa
alla pena pecuniaria;
b) superiore a un anno quando si procede per reati per i quali
è prevista la sola pena pecuniaria.
6. I termini di cui al comma 5 decorrono dalla sottoscrizione
del verbale di messa alla prova dell’imputato.
7. Contro l’ordinanza che decide sull’istanza di messa alla
prova possono ricorrere per cassazione l’imputato e il pubblico
ministero, anche su istanza della persona offesa. La persona offesa può impugnare autonomamente per omesso avviso dell’udienza o perchè, pur essendo comparsa, non è stata sentita ai sensi
del comma 1. L’impugnazione non sospende il procedimento.
8. Nel caso di sospensione del procedimento con messa alla
prova non si applica l’articolo 75, comma 3. 9. In caso di reiezione dell’istanza, questa può essere riproposta nel giudizio, prima
della dichiarazione di apertura del dibattimento.
Art. 464 quinquies (Esecuzione dell’ordinanza di sospensione
del procedimento con messa alla prova). - 1. Nell’ordinanza che
dispone la sospensione del procedimento con messa alla prova,
il giudice stabilisce il termine entro il quale le prescrizioni e gli
obblighi relativi alle condotte riparatorie o risarcitorie imposti
devono essere adempiuti; tale termine può essere prorogato, su
istanza dell’imputato, non più di una volta e solo per gravi motivi.
Il giudice può altresì, con il consenso della persona offesa, autorizzare il pagamento rateale delle somme eventualmente dovute
atitolo di risarcimento del danno.
2. L’ordinanza è immediatamente trasmessa all’ufficio di esecuzione penale esterna che deve prendere in carico l’imputato.
3. Durante la sospensione del procedimento con messa alla
prova, il giudice, sentiti l’imputato e il pubblico ministero, può
modificare con ordinanza le prescrizioni originarie, ferma re-
leg
stando la congruità delle nuove prescrizioni rispetto alle finalità
della messa alla prova.
Art. 464 sexies (Acquisizione di prove durante la sospensione
del procedimento con messa alla prova). - 1. Durante la sospensione del procedimento con messa alla prova il giudice, con le
modalità stabilite per il dibattimento, acquisisce, a richiesta di
parte, le prove non rinviabili e quelle che possono condurre al
proscioglimento dell’imputato.
Art. 464 septies (Esito della messa alla prova). - 1. Decorso il
periodo di sospensione del procedimento con messa alla prova,
il giudice dichiara con sentenza estinto il reato se, tenuto conto
del comportamento dell’imputato e del rispetto delle prescrizioni
stabilite, ritiene che la prova abbia avuto esito positivo. A tale
fine acquisisce la relazione conclusiva dell’ufficio di esecuzione
penale esterna che ha preso in carico l’imputato e fissa l’udienza
per la valutazione dandone avviso alle parti e alla persona offesa.
2. In caso di esito negativo della prova, il giudice dispone con
ordinanza che il processo riprenda il suo corso.
Art. 464 octies (Revoca dell’ordinanza). - 1. La revoca dell’ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova è
disposta anche d’ufficio dal giudice con ordinanza.
2. Al fine di cui al comma 1 del presente articolo il giudice
fissa l’udienza ai sensi dell’articolo 127 per la valutazione dei
presupposti della revoca, dandone avviso alle parti e alla persona
offesa almeno dieci giorni prima.
3. L’ordinanza di revoca è ricorribile per cassazione per violazione di legge.
4. Quando l’ordinanza di revoca è divenuta definitiva, il procedimento riprende il suo corso dal momento in cui era rimasto
sospeso e cessa l’esecuzione delle prescrizioni e degli obblighi
imposti.
Art. 464 novies (Divieto di riproposizione della richiesta di
messa alla prova). - 1. Nei casi di cui all’articolo 464 septies,
comma 2, ovvero di revoca dell’ordinanza di sospensione del
procedimento con messa alla prova, l’istanza non può essere riproposta.»;
b)dopo l’articolo 657 è inserito il seguente:
«Art. 657 bis (Computo del periodo di messa alla prova dell’imputato in caso di revoca). - 1. In caso di revoca o di esito
negativo della messa alla prova, il pubblico ministero, nel determinare la pena da eseguire, detrae un periodo corrispondente
a quello della prova eseguita. Ai fini della detrazione, tre giorni
di prova sono equiparati a un giorno di reclusione o di arresto,
ovvero a 250 euro di multa o di ammenda.».
5. (Introduzione del capo X bis del titolo I delle norme di
attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di
procedura penale). 1. Dopo il capo X del titolo I delle norme
di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271,
è inserito il seguente:
«Capo X bis
Disposizioni in materia di messa alla prova
Art. 141 bis (Avviso del pubblico ministero per la richiesta
di ammissione alla messa alla prova). - 1. Il pubblico ministero,
anche prima di esercitare l’azione penale, può avvisare l’interessato, ove ne ricorrano i presupposti, che ha la facoltà di chiedere
di essere ammesso alla prova, ai sensi dell’articolo 168 bis del
codice penale, e che l’esito positivo della prova estingue il reato.
Art. 141 ter (Attività dei servizi sociali nei confronti degli
adulti ammessi alla prova). - 1. Le funzioni dei servizi sociali
per la messa alla prova, disposta ai sensi dell’articolo 168 bis del
codice penale, sono svolte dagli uffici locali di esecuzione penale
Arch. nuova proc. pen. 4/2014
423
leg
L e g i s la z i o n e e d o c u m e n t a z i o n e
esterna, nei modi e con i compiti previsti dall’articolo 72 della
legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni.
2. Ai fini del comma 1, l’imputato rivolge richiesta all’ufficio
locale di esecuzione penale esterna competente affinchè predisponga un programma di trattamento. L’imputato deposita gli
atti rilevanti del procedimento penale nonchè le osservazioni e
le proposte che ritenga di fare.
3. L’ufficio di cui al comma 2, all’esito di un’apposita indagine
socio-familiare, redige il programma di trattamento, acquisendo
su tale programma il consenso dell’imputato e l’adesione dell’ente o del soggetto presso il quale l’imputato è chiamato a svolgere
le proprie prestazioni. L’ufficio trasmette quindi al giudice il programma accompagnandolo con l’indagine socio-familiare e con le
considerazioni che lo sostengono. Nell’indagine e nelle considerazioni, l’ufficio riferisce specificamente sulle possibilità economiche dell’imputato, sulla capacità e sulla possibilità di svolgere
attività riparatorie nonchè sulla possibilità di svolgimento di
attività di mediazione, anche avvalendosi a tal fine di centri o
strutture pubbliche o private presenti sul territorio.
4. Quando è disposta la sospensione del procedimento con
messa alla prova dell’imputato, l’ufficio di cui al comma 2 informa
il giudice, con la cadenza stabilita nel provvedimento di ammissione e comunque non superiore a tre mesi, dell’attività svolta e
del comportamento dell’imputato, proponendo, ove necessario,
modifiche al programma di trattamento, eventuali abbreviazioni
di esso ovvero, in caso di grave o reiterata trasgressione, la revoca del provvedimento di sospensione.
5. Alla scadenza del periodo di prova, l’ufficio di cui al comma
2 trasmette al giudice una relazione dettagliata sul decorso e
sull’esito della prova medesima.
6. Le relazioni periodiche e quella finale dell’ufficio di cui
al comma 2 del presente articolo sono depositate in cancelleria
non meno di dieci giorni prima dell’udienza di cui all’articolo 464
septies del codice, con facoltà per le parti di prenderne visione
ed estrarne copia.».
6. (Modifica al testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato
e dei relativi carichi pendenti, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n. 313, in materia di messa alla prova). 1. All’articolo 3 (L), comma 1, del
testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti, di cui
al decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n.
313, dopo la lettera i) è inserita la seguente:
«i bis) l’ordinanza che ai sensi dell’articolo 464 quater del
codice di procedura penale dispone la sospensione del procedimento con messa alla prova.».
7. (Disposizioni in materia di pianta organica degli uffici
locali di esecuzione penale esterna del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia). 1. Qualora, in relazione alle esigenze di attuazione del
presente capo, si renda necessario procedere all’adeguamento
numerico e professionale della pianta organica degli uffici di esecuzione penale esterna del Dipartimento dell’amministrazione
penitenziaria del Ministero della giustizia, il Ministro della giustizia riferisce tempestivamente alle competenti Commissioni
parlamentari in merito alle modalità con cui si provvederà al predetto adeguamento, previo stanziamento delle occorrenti risorse
finanziarie da effettuare con apposito provvedimento legislativo.
424
4/2014 Arch. nuova proc. pen.
2. Entro il 31 maggio di ciascun anno, il Ministro della giustizia riferisce alle competenti Commissioni parlamentari in merito
all’attuazione delle disposizioni in materia di messa alla prova.
8. (Regolamento del Ministro della giustizia per disciplinare le convenzioni in materia di lavoro di pubblica utilità conseguente alla messa alla prova dell’imputato). 1. Ai
sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400,
il Ministro della giustizia, entro tre mesi dalla data di entrata in
vigore della presente legge, adotta un regolamento allo scopo di
disciplinare le convenzioni che il Ministero della giustizia o, su
delega di quest’ultimo, il presidente del tribunale, può stipulare
con gli enti o le organizzazioni di cui al terzo comma dell’articolo
168 bis del codice penale, introdotto dall’articolo 3, comma 1,
della presente legge. I testi delle convenzioni sono pubblicati nel
sito internet del Ministero della giustizia e raggruppati per distretto di corte di appello.
Capo III
Sospensione del procedimento nei confronti
degli irreperibili
9. (Modifiche al codice di procedura penale in materia di
udienza preliminare). 1. Al comma 1 dell’articolo 419 del codice di procedura penale, le parole: «non comparendo sarà giudicato in contumacia» sono sostituite dalle seguenti: «, qualora
non compaia, si applicheranno le disposizioni di cui agli articoli
420 bis, 420 ter, 420 quater e 420 quinquies».
2. L’articolo 420 bis del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:
«Art. 420 bis (Assenza dell’imputato). - 1. Se l’imputato, libero o detenuto, non è presente all’udienza e, anche se impedito,
ha espressamente rinunciato ad assistervi, il giudice procede in
sua assenza.
2. Salvo quanto previsto dall’articolo 420 ter, il giudice procede
altresì in assenza dell’imputato che nel corso del procedimento
abbia dichiarato o eletto domicilio ovvero sia stato arrestato,
fermato o sottoposto a misura cautelare ovvero abbia nominato
un difensore di fiducia, nonchè nel caso in cui l’imputato assente abbia ricevuto personalmente la notificazione dell’avviso
dell’udienza ovvero risulti comunque con certezza che lo stesso
è a conoscenza del procedimento o si è volontariamente sottratto
alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo.
3. Nei casi di cui ai commi 1 e 2, l’imputato è rappresentato
dal difensore. È altresì rappresentato dal difensore ed è considerato presente l’imputato che, dopo essere comparso, si allontana
dall’aula di udienza o che, presente ad una udienza, non compare
ad udienze successive.
4. L’ordinanza che dispone di procedere in assenza dell’imputato è revocata anche d’ufficio se, prima della decisione, l’imputato compare. Se l’imputato fornisce la prova che l’assenza è
stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo, il giudice rinvia l’udienza e l’imputato può
chiedere l’acquisizione di atti e documenti ai sensi dell’articolo
421, comma 3. Nel corso del giudizio di primo grado, l’imputato
ha diritto di formulare richiesta di prove ai sensi dell’articolo
493. Ferma restando in ogni caso la validità degli atti regolarmente compiuti in precedenza, l’imputato può altresì chiedere la
rinnovazione di prove già assunte. Nello stesso modo si procede
se l’imputato dimostra che versava nell’assoluta impossibilità
di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo
impedimento e che la prova dell’impedimento è pervenuta con
ritardo senza sua colpa.
L e g i s la z i o n e e d o c u m e n t a z i o n e
5. Il giudice revoca altresì l’ordinanza e procede a norma dell’articolo 420 quater se risulta che il procedimento, per l’assenza
dell’imputato, doveva essere sospeso ai sensi delle disposizioni
di tale articolo.».
3. L’articolo 420 quater del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:
«Art. 420 quater (Sospensione del processo per assenza
dell’imputato). - 1. Fuori dei casi previsti dagli articoli 420 bis
e 420 ter e fuori delle ipotesi di nullità della notificazione, se
l’imputato non è presente il giudice rinvia l’udienza e dispone
che l’avviso sia notificato all’imputato personalmente ad opera
della polizia giudiziaria.
2. Quando la notificazione ai sensi del comma 1 non risulta
possibile, e sempre che non debba essere pronunciata sentenza
a norma dell’articolo 129, il giudice dispone con ordinanza la
sospensione del processo nei confronti dell’imputato assente. Si
applica l’articolo 18, comma 1, lettera b). Non si applica l’articolo
75, comma 3.
3. Durante la sospensione del processo, il giudice, con le modalità stabilite per il dibattimento, acquisisce, a richiesta diparte
, le prove non rinviabili.».
4. L’articolo 420 quinquies del codice di procedura penale è
sostituito dal seguente:
«Art. 420 quinquies (Nuove ricerche dell’imputato e revoca
della sospensione del processo). - 1. Alla scadenza di un anno
dalla pronuncia dell’ordinanza di cui al comma 2 dell’articolo
420 quater, o anche prima quando ne ravvisi l’esigenza, il giudice
dispone nuove ricerche dell’imputato per la notifica dell’avviso.
Analogamente provvede a ogni successiva scadenza annuale,
qualora il procedimento non abbia ripreso il suo corso.
2. Il giudice revoca l’ordinanza di sospensione del processo:
a) se le ricerche di cui al comma 1 hanno avuto esito positivo;
b) se l’imputato ha nel frattempo nominato un difensore di
fiducia;
c) in ogni altro caso in cui vi sia la prova certa che l’imputato
è a conoscenza del procedimento avviato nei suoi confronti;
d) se deve essere pronunciata sentenza a norma dell’articolo
129.
3. Con l’ordinanza di revoca della sospensione del processo,
il giudice fissa la data per la nuova udienza, disponendo che
l’avviso sia notificato all’imputato e al suo difensore, alle altre
parti private e alla persona offesa, nonchè comunicato al pubblico ministero.
4. All’udienza di cui al comma 3 l’imputato può formulare richiesta ai sensi degli articoli 438 e 444.».
10. (Disposizioni in materia di dibattimento). 1. L’articolo
489 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:
«Art. 489 (Dichiarazioni dell’imputato contro il quale si è
proceduto in assenza nell’udienza preliminare). - 1. L’imputato
contro il quale si è proceduto in assenza nel corso dell’udienza
preliminare può chiedere di rendere le dichiarazioni previste
dall’articolo 494.
2. Se l’imputato fornisce la prova che l’assenza nel corso
dell’udienza preliminare è riconducibile alle situazioni previste
dall’articolo 420 bis, comma 4, è rimesso nel termine per formulare le richieste di cui agli articoli 438 e 444.».
2. All’articolo 490 del codice di procedura penale, le parole:
«o contumace», ovunque ricorrono, sono soppresse.
3. All’articolo 513, comma 1, del codice di procedura penale,
le parole: «contumace o» sono soppresse.
leg
4. All’articolo 520 del codice di procedura penale, le parole:
«contumace o», ovunque ricorrono, sono soppresse.
5. All’articolo 548, comma 3, del codice di procedura penale,
le parole: «notificato all’imputato contumace e» sono soppresse.
11. (Disposizioni in materia di impugnazioni e di restituzione nel termine). 1. Alla lettera d) del comma 2 dell’articolo
585 del codice di procedura penale, le parole: «la notificazione
o» e le parole: «per l’imputato contumace e» sono soppresse.
2. Il comma 4 dell’articolo 603 del codice di procedura penale
è abrogato.
3. All’articolo 604 del codice di procedura penale, dopo il
comma 5 è inserito il seguente:
«5 bis. Nei casi in cui si sia proceduto in assenza dell’imputato, se vi è la prova che si sarebbe dovuto provvedere ai sensi
dell’articolo 420 ter o dell’articolo 420 quater, il giudice di appello dichiara la nullità della sentenza e dispone il rinvio degli atti
al giudice di primo grado. Il giudice di appello annulla altresì la
sentenza e dispone la restituzione degli atti al giudice di primo
grado qualora l’imputato provi che l’assenza è stata dovuta ad
una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo di primo grado. Si applica l’articolo 489, comma 2.».
4. All’articolo 623, comma 1, del codice di procedura penale,
la lettera b) è sostituita dalla seguente:
«b) se è annullata una sentenza di condanna nei casi previsti
dall’articolo 604, commi 1, 4 e 5 bis, la Corte di cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al giudice di primo grado.».
5. Dopo l’articolo 625 bis del codice di procedura penale è
inserito il seguente:
«Art. 625 ter (Rescissione del giudicato). - 1. Il condannato
o il sottoposto a misura di sicurezza con sentenza passata in
giudicato, nei cui confronti si sia proceduto in assenza per tutta
la durata del processo, può chiedere la rescissione del giudicato
qualora provi che l’assenza è stata dovuta ad una incolpevole
mancata conoscenza della celebrazione del processo.
2. La richiesta è presentata, a pena di inammissibilità, personalmente dall’interessato o da un difensore munito di procura
speciale autenticata nelle forme dell’articolo 583, comma 3,
entro trenta giorni dal momento dell’avvenuta conoscenza del
procedimento.
3. Se accoglie la richiesta, la Corte di cassazione revoca la
sentenza e dispone la trasmissione degli atti al giudice di primo
grado. Si applica l’articolo 489, comma 2.».
6. Il comma 2 dell’articolo 175 del codice di procedura penale
è sostituito dal seguente:
«2. L’imputato condannato con decreto penale, che non ha
avuto tempestivamente effettiva conoscenza del provvedimento,
è restituito, a sua richiesta, nel termine per proporre opposizione, salvo che vi abbia volontariamente rinunciato.».
12. (Modifiche al codice penale in materia di prescrizione del reato). 1. Al primo comma dell’articolo 159 del codice
penale, dopo il numero 3) è aggiunto il seguente:
«3 bis) sospensione del procedimento penale ai sensi dell’articolo 420 quater del codice di procedura penale.».
2. Dopo il terzo comma dell’articolo 159 del codice penale, è
aggiunto il seguente:
«Nel caso di sospensione del procedimento ai sensi dell’articolo 420 quater del codice di procedura penale, la durata della
sospensione della prescrizione del reato non può superare i termini previsti dal secondo comma dell’articolo 161 del presente
codice».
Arch. nuova proc. pen. 4/2014
425
leg
L e g i s la z i o n e e d o c u m e n t a z i o n e
13. (Modalità e termini di comunicazione e gestione dei
dati relativi all’assenza dell’imputato). 1. Con decreto del
Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’interno,
da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore
della presente legge, sono stabiliti le modalità e i termini secondo i quali devono essere comunicati e gestiti i dati relativi all’ordinanza di sospensione del processo per assenza dell’imputato,
al decreto di citazione in giudizio del medesimo e alle successive
informazioni all’autorità giudiziaria.
14. (Modifica alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al
decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271). 1. Dopo l’articolo
143 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del
codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio
1989, n. 271, è inserito il seguente:
«Art. 143 bis (Adempimenti in caso di sospensione del processo per assenza dell’imputato). - 1. Quando il giudice dispone la
sospensione ai sensi dell’articolo 420 quater del codice, la relativa ordinanza e il decreto di fissazione dell’udienza preliminare
ovvero il decreto che dispone il giudizio o il decreto di citazione a
giudizio sono trasmessi alla locale sezione di polizia giudiziaria,
per l’inserimento nel Centro elaborazione dati, di cui all’articolo
8 della legge 1º aprile 1981, n. 121, e successive modificazioni.».
15. (Modifiche al testo unico delle disposizioni legislative
e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di
426
4/2014 Arch. nuova proc. pen.
anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da
reato e dei relativi carichi pendenti, di cui al decreto del
Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n. 313).
1. Al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti, di
cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002,
n. 313, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 3 (L), comma 1, dopo la lettera i bis), introdotta dall’art. 6 della presente legge, è inserita la seguente:
«i ter) i provvedimenti con cui il giudice dispone la sospensione del procedimento ai sensi dell’articolo 420 quater del codice
di procedura penale.»;
b) all’articolo 5 (L), comma 2, dopo la lettera l) è aggiunta
la seguente:
«l bis) ai provvedimenti con cui il giudice dispone la sospensione del procedimento ai sensi dell’articolo 420 quater del codice di procedura penale, quando il provvedimento è revocato.».
Capo IV
Disposizioni comuni
16. (Clausola di invarianza finanziaria). 1. Le amministrazioni interessate provvedono all’attuazione di ciascuno degli
articoli da 2 a 15 nell’ambito delle risorse umane, strumentali e
finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza
nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Indice cronologico della giurisprudenza
AVVERTENZA: La segnalazione m. sta ad indicare una pronuncia che viene riportata, nella pagina indicata, solo in massima.
Cass. pen., sez. V, 18 luglio 2012, n. 29034 (ud. 8
maggio 2012), D’Urzo, m., pag. 397
Cass. pen., sez. IV, 19 settembre 2012, n. 35922
(ud. 11 luglio 2012), p.c. in proc. Ingrassia, m.,
pag. 408
Cass. pen., sez. V, 28 settembre 2012, n. 37655
(c.c. 17 aprile 2012), Cedis Spa ed altro, m., pag.
402
Cass. pen., sez. V, 28 settembre 2012, n. 37656
(c.c. 7 giugno 2012), Scozzari, m., pag. 401
Cass. pen., sez. V, 28 settembre 2012, n. 37670
(c.c. 5 luglio 2012), Pmt in proc. Ferrini e altro,
m., pag. 394
Cass. pen., sez. V, 28 settembre 2012, n. 37673
(c.c. 5 luglio 2012), Flachi, m., pag. 404
Cass. pen., sez. V, 28 settembre 2012, n. 37677
(c.c. 10 luglio 2012), Cornicello, m., pag. 398
Cass. pen., sez. V, 5 ottobre 2012, n. 39407 (ud. 18
luglio 2012), Baracca, m., pag. 400
Cass. pen., sez. IV, 9 ottobre 2012, n. 39898 (ud.
3 luglio 2012), P.C. in proc. Giacalone, m., pag.
398
Cass. pen., sez. V, 15 ottobre 2012, n. 40404 (c.c.
17 aprile 2012), P.C. in proc. Bosio, m., pag. 402
Cass. pen., sez. V, 15 ottobre 2012, n. 40407 (c.c.
17 aprile 2012), R.C. in proc. De Berardinis e altro, m., pag. 403
Cass. pen., sez. IV, 18 ottobre 2012, n. 40896 (ud.
28 settembre 2012), P.G. in proc. Del Pozzo, m.,
pag. 398
Cass. pen., sez. IV, 18 ottobre 2012, n. 40897 (ud.
28 settembre 2012), Migliorino, m., pag. 389
Cass. pen., sez. IV, 31 ottobre 2012, n. 42496 (c.c.
19 settembre 2012), P.G. in proc. Mercuri, m.,
pag. 393
Cass. pen., sez. V, 7 novembre 2012, n. 42950 (ud.
17 settembre 2012), Xhini, m., pag. 392
Cass. pen., sez. IV, 15 novembre 2012, n. 44840
(ud. 11 ottobre 2012), P.G. in proc. Tedeschi, m.,
pag. 405
Cass. pen., sez. V, 23 novembre 2012, n. 45853 (ud.
10 ottobre 2012), Mancini, m., pag. 406
Cass. pen., sez. V, 23 novembre 2012, n. 45861
(c.c. 10 ottobre 2012), P.G. in proc. Liso, m., pag.
391
Cass. pen., sez. II, 27 novembre 2012, n. 46065
(ud. 8 novembre 2012), Consagra, m., pag. 389
Cass. pen., sez. I, 4 dicembre 2012, n. 46797 (ud. 6
novembre 2012), Pandaj, m., pag. 406
Cass. pen., sez. IV, 12 dicembre 2012, n. 48000
(c.c. 30 novembre 2012), Chanoux ed altro, m.,
pag. 393
Cass. pen., sez. IV, 14 dicembre 2012, n. 48436
(c.c. 17 ottobre 2012), V. e altro, m., pag. 410
Cass. pen., sez. II, 4 gennaio 2013, n. 150 (ud. 18
ottobre 2012), Andreicik e altri, m., pag. 392,
399, 405
Cass. pen., sez. V, 7 gennaio 2013, n. 240 (ud. 30
novembre 2012), C., m., pag. 408
Cass. pen., sez. V, 8 gennaio 2013, n. 747 (ud. 28 settembre 2012), P.G. in proc. T. e altri, m., pag. 399
Cass. pen., sez. V, 9 gennaio 2013, n. 1131 (ud. 29
novembre 2012), Siano, m., pag. 394
Cass. pen., sez. V, 9 gennaio 2013, n. 1139 (ud. 30
novembre 2012), Scommegna, m., pag. 397
Cass. pen., sez. I, 17 gennaio 2013, n. 2632 (c.c. 23
novembre 2012), La Perla S.a.s., m., pag. 391
Cass. pen., sez. I, 17 gennaio 2013, n. 2638 (c.c. 11
dicembre 2012), Savoca, m., pag. 394
Cass. pen., sez. I, 17 gennaio 2013, n. 2664 (c.c. 11
dicembre 2012), Confl. comp. in proc. Sannino,
m., pag. 393
Cass. pen., sez. I, 17 gennaio 2013, n. 2673 (c.c. 13
dicembre 2012), Budetta, m., pag. 392
Cass. pen., sez. IV, 18 gennaio 2013, n. 2773 (ud.
27 novembre 2012), Colò, m., pag. 393
Cass. pen., sez. IV, 18 gennaio 2013, n. 2820 (c.c.
30 novembre 2012), Pmt in proc. Drigo, m., pag.
398
Cass. pen., sez. I, 21 gennaio 2013, n. 2865 (c.c. 13
dicembre 2012), Mennai, m., pag. 396
Cass. pen., sez. VI, 22 gennaio 2013, n. 3253 (c.c.
5 luglio 2012), P.M. in proc. Zaffagnini e altri, m.,
pag. 403
Cass. pen., sez. III, 22 gennaio 2013, n. 3260 (c.c. 4
aprile 2012), P.M. in proc. Currò, m., pag. 403
Cass. pen., sez. III, 22 gennaio 2013, n. 3265 (c.c.
29 novembre 2012), Boukhsibi, m., pag. 403
Cass. pen., sez. IV, 22 gennaio 2013, n. 3277 (ud.
16 ottobre 2012), Manna e altri, m., pag. 407
Cass. pen., sez. IV, 22 gennaio 2013, n. 3303 (c.c.
18 ottobre 2012), Manolache, m., pag. 402
Cass. pen., sez. II, 23 gennaio 2013, n. 3396 (c.c.
16 novembre 2012), Dagrada, m., pag. 399
Cass. pen., sez. II, 23 gennaio 2013, n. 3415 (c.c.
18 dicembre 2012), P.O. in proc. De Luca, m.,
pag. 397
Cass. pen., sez. II, 23 gennaio 2013, n. 3429 (c.c.
20 dicembre 2012), Di Mattia, m., pag. 400
Cass. pen., sez. III, 23 gennaio 2013, n. 3443 (c.c.
18 settembre 2012), P.M. in proc. E., m., pag.
401
Cass. pen., sez. III, 23 gennaio 2013, n. 3449 (c.c.
20 novembre 2012), Torroni, m., pag. 403
Cass. pen., sez. VI, 23 gennaio 2013, n. 3702 (ud. 4
dicembre 2012), Capasso e altri, m., pagg. 392,
398
Cass. pen., sez. II, 24 gennaio 2013, n. 3750 (ud. 8
gennaio 2013), Ferrante e altri, m., pag. 396
Cass. pen., sez. V, 24 gennaio 2013, n. 3820 (ud.
10 gennaio 2013), Ignomeriello e altri, m., pagg.
399, 409
Cass. pen., sez. I, 25 gennaio 2013, n. 4083 (c.c. 11
gennaio 2013), Tabbì, m., pag. 395
Cass. pen., sez. IV, 25 gennaio 2013, n. 4100 (ud. 6
dicembre 2012), Bifulco, m., pag. 390
Cass. pen., sez. IV, 28 gennaio 2013, n. 4226 (c.c. 8
gennaio 2013), Evangelista, m., pag. 390
Cass. pen., sez. VI, 29 gennaio 2013, n. 4284 (ud.
10 gennaio 2013), G., m., pag. 396
Cass. pen., sez. VI, 29 gennaio 2013, n. 4301 (c.c.
11 gennaio 2013), Musumeci, m., pag. 401
Cass. pen., sez. VI, 29 gennaio 2013, n. 4305 (c.c.
17 gennaio 2013), Gallo, m., pag. 402
Cass. pen., sez. V, 30 gennaio 2013, n. 4622 (c.c.
7 novembre 2012), p.c. in proc. Dazzi, m., pag.
402
Cass. pen., sez. I, 30 gennaio 2013, n. 4702 (c.c.
22 ottobre 2012), P.M. in proc. Colonna e altri,
m., pag. 404
Cass. pen., sez. III, 31 gennaio 2013, n. 4865 (c.c.
13 dicembre 2012), Tarantino e altri, m., pag.
406
Cass. pen., sez. I, 31 gennaio 2013, n. 4884 (c.c. 26
ottobre 2012), Moltoni, m., pag. 399
Cass. pen., sez. I, 31 gennaio 2013, n. 4888 (c.c. 26
ottobre 2012), Antona, m., pag. 391
Cass. pen., sez. I, 31 gennaio 2013, n. 4891 (c.c. 28
novembre 2012), Diaconescu, m., pag. 396
Cass. pen., sez. I, 31 gennaio 2013, n. 4896 (c.c. 30
novembre 2012), Modou, m., pag. 404
Cass. pen., sez. I, 31 gennaio 2013, n. 4908 (c.c. 19
dicembre 2012), Escolino, m., pag. 408
Cass. pen., sez. I, 31 gennaio 2013, n. 4914 (c.c.
19 dicembre 2012), Pg in proc. Silvestri, m., pag.
394
Cass. pen., sez. I, 31 gennaio 2013, n. 4928 (c.c. 19
dicembre 2012), Falanga, m., pag. 404
Cass. pen., sez. IV, 31 gennaio 2013, n. 4973 (c.c.
14 dicembre 2012), Barolo, m., pag. 399
Cass. pen., sez. V, 31 gennaio 2013, n. 5099 (ud. 11
dicembre 2012), Bisconti, m., pag. 394
Cass. pen., sez. I, 1 febbraio 2013, n. 5214 (c.c. 15
gennaio 2013), Zefi, m., pag. 401
Cass. pen., sez. IV, 1 febbraio 2013, n. 5470 (ud. 22
maggio 2012), Russo, m., pag. 393
Cass. pen., sez. I, 5 febbraio 2013, n. 5714 (c.c. 18
dicembre 2012), Garufi, m., pag. 401
Cass. pen., sez. I, 5 febbraio 2013, n. 5722 (c.c. 20
dicembre 2012), Morano, m., pag. 391
Cass. pen., sez. V, 5 febbraio 2013, n. 5764 (ud. 7
dicembre 2012), Sarti, m., pag. 398
Cass. pen., sez. V, 5 febbraio 2013, n. 5782 (c.c. 4
dicembre 2012), Scorrano, m., pag. 400
Cass. pen., sez. V, 5 febbraio 2013, n. 5795 (c.c. 5
dicembre 2012), Grosso, m., pag. 407
Cass. pen., sez. III, 6 febbraio 2013, n. 5854 (ud. 29
novembre 2012), R., m., pag. 389
Cass. pen., sez. VI, 6 febbraio 2013, n. 5906 (c.c. 22
gennaio 2013), P.M. in proc. Costanzo Zammataro, m., pag. 403
Cass. pen., sez. VI, 7 febbraio 2013, n. 6151 (ud.
22 gennaio 2013), P.M. in proc. Cardellicchio, m.,
pag. 398
Cass. pen., sez. VI, 7 febbraio 2013, n. 6156 (c.c. 14
gennaio 2013), P.G. in proc. Pavlik, m., pag. 390
Cass. pen., sez. VI, 7 febbraio 2013, n. 6157 (c.c. 14
gennaio 2013), Antonelli, m., pag. 390
Cass. pen., sez. I, 8 febbraio 2013, n. 6323 (c.c. 11
gennaio 2013), Bandiera, m., pag. 406
Cass. pen., sez. I, 8 febbraio 2013, n. 6339 (c.c. 22
gennaio 2013), Pagliaro, m., pag. 406
Cass. pen., sez. I, 8 febbraio 2013, n. 6344 (c.c. 22
gennaio 2013), Fontanesi, m., pag. 399
Cass. pen., sez. VI, 8 febbraio 2013, n. 6346 (ud. 9
novembre 2012), Domizi e altri, m., pagg. 408, 409
II
indice cronologico
Cass. pen., sez. I, 11 febbraio 2013, n. 6558 (c.c. 10
gennaio 2013), Piccinno, m., pag. 395
Cass. pen., sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 6579 (c.c.
13 novembre 2012), P.O. in proc. Febbo, m., pag.
400
Cass. pen., sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 6582 (c.c.
13 novembre 2012), Cerrito, m., pag. 392
Cass. pen., sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 6588 (c.c.
10 gennaio 2013), Facchineri, m., pag. 403
Cass. pen., sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 6589 (c.c.
10 gennaio 2013), Gabriele, m., pag. 402
Cass. pen., sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 6592 (c.c.
25 gennaio 2013), Lacu e altro, m., pag. 401
Cass. pen., sez. IV, 11 febbraio 2013, n. 6797 (c.c.
24 gennaio 2013), Canessa e altro, m., pag. 402
Cass. pen., sez. IV, 12 febbraio 2013, n. 7001 (c.c.
20 novembre 2012), Riitano, m., pag. 399
Cass. pen., sez. IV, 12 febbraio 2013, n. 7002 (c.c.
20 novembre 2012), Capaldo, m., pag. 409
Cass. pen., sez. IV, 12 febbraio 2013, n. 7031 (c.c. 5
febbraio 2013), Conti, m., pag. 392
Cass. pen., sez. II, 13 febbraio 2013, n. 7041 (ud.
28 novembre 2012), Caleca e altri, m., pag. 397
Cass. pen., sez. III, 13 febbraio 2013, n. 7066 (ud.
12 dicembre 2012), P.M. in proc. B., m., pag.
410
Cass. pen., sez. III, 13 febbraio 2013, n. 7067 (ud.
12 dicembre 2012), Micillo, m., pag. 390
Cass. pen., sez. III, 13 febbraio 2013, n. 7078 (c.c.
23 gennaio 2013), Piccolo, m., pag. 410
Cass. pen., sez. III, 13 febbraio 2013, n. 7079 (c.c.
23 gennaio 2013), Buzi, m., pag. 403
Cass. pen., sez. VI, 13 febbraio 2013, n. 7195 (ud. 8
febbraio 2013), Sema, m., pag. 408
Cass. pen., sez. II, 14 febbraio 2013, n. 7208 (ud. 6
dicembre 2012), Novelli, m., pag. 410
Cass. pen., sez. I, 14 febbraio 2013, n. 7333 (c.c. 9
novembre 2012), Di Cuonzo, m., pag. 395
Cass. pen., sez. VI, 14 febbraio 2013, n. 7391 (c.c.
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31 gennaio 2013), P.G. in proc. Gjataj e altri, m.,
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Cass. pen., sez. VI, 15 febbraio 2013, n. 7510 (c.c.
23 ottobre 2012), Esposito e altro, m., pag. 404
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24 gennaio 2013), Cerbasio, m., pag. 401
Cass. pen., sez. V, 15 febbraio 2013, n. 7544 (ud. 25
ottobre 2012), C., m., pag. 396
Cass. pen., sez. V, 15 febbraio 2013, n. 7567 (c.c.
24 settembre 2012), Scavetto, m., pag. 392
Cass. pen., sez. I, 18 febbraio 2013, n. 7904 (ud. 12
giugno 2012), Ippoliti, m., pag. 389
Cass. pen., sez. I, 18 febbraio 2013, n. 7909 (ud.
22 gennaio 2013), P.G. in proc. Imberbe, m., pag.
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Cass. pen., sez. I, 18 febbraio 2013, n. 7945 (c.c. 11
febbraio 2013), Valente, m., pag. 395
Cass. pen., sez. V, 19 febbraio 2013, n. 7984 (ud. 24
settembre 2012), Jovanovic e altro, m., pag. 408
Cass. pen., sez. V, 20 febbraio 2013, n. 8339 (ud. 18
ottobre 2012), T., m., pag. 389
Cass. pen., sez. V, 20 febbraio 2013, n. 8343 (ud. 24
ottobre 2012), E. e altri, m., pag. 391
Cass. pen., sez. V, 20 febbraio 2013, n. 8353 (ud. 16
gennaio 2013), Fiarè e altri, m., pag. 400
Cass. pen., sez. V, 20 febbraio 2013, n. 8361 (ud.
17 gennaio 2013), P.C. in proc. Rastegar, m., pag.
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Cass. pen., sez. V, 20 febbraio 2013, n. 8363 (ud. 17
gennaio 2013), Rimbano, m., pag. 391
Cass. pen., sez. V, 20 febbraio 2013, n. 8365 (ud. 18
gennaio 2013), Girasole e altri, m., pag. 406
Cass. pen., sez. V, 20 febbraio 2013, n. 8382 (c.c.
16 gennaio 2013), Caruso, m., pag. 403
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Cass. pen., sez. I, 21 febbraio 2013, n. 8513 (c.c. 9
gennaio 2013), Cardinale, m., pag. 395
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Cass. pen., sez. I, 21 febbraio 2013, n. 8533 (c.c. 9
gennaio 2013), Zhugri, m., pag. 403
Cass. pen., sez. I, 21 febbraio 2013, n. 8534 (c.c. 9
gennaio 2013), Liuzzi, m., pag. 400
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21 gennaio 2013), Leonardo e altri, m., pagg.
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Cass. pen., sez. VI, 21 febbraio 2013, n. 8723 (c.c.
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16 novembre 2012), P.M. in proc. La Monica, m.,
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Cass. pen., sez. VI, 22 febbraio 2013, n. 8812 (ud.
14 novembre 2012), Crescenzo, m., pag. 396
Cass. pen., sez. III, 25 febbraio 2013, n. 9032 (c.c.
3 ottobre 2012), Dong, m., pag. 404
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20 novembre 2012), Micheletti, m., pag. 394
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22 novembre 2012), Sall Mame, m., pag. 396
Cass. pen., sez. VI, 25 febbraio 2013, n. 9097 (c.c.
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Cass. pen., sez. IV, 26 febbraio 2013, n. 9159 (ud. 8
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Cass. pen., sez. II, 27 febbraio 2013, n. 9242 (ud. 8
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Cass. pen., sez. II, 27 febbraio 2013, n. 9269 (c.c. 5
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Cass. pen., sez. I, 27 febbraio 2013, n. 9444 (c.c. 14
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Cass. pen., sez. II, 1 marzo 2013, n. 9776 (c.c. 22
novembre 2012), El Badaoui, m., pagg. 405, 409
Cass. pen., sez. II, 4 marzo 2013, n. 10061 (ud. 20
novembre 2012), Porcelli, m., pag. 400
Cass. pen., sez. II, 4 marzo 2013, n. 10064 (ud. 19
dicembre 2012), Berlich, m., pag. 396
Cass. pen., sez. III, 4 marzo 2013, n. 10126 (c.c. 29
gennaio 2013), Di Cristo, m., pag. 395
Cass. pen., sez. III, 4 marzo 2013, n. 10128 (c.c. 29
gennaio 2013), Pmt in proc. Willi, m., pag. 398
Cass. pen., sez. V, 4 marzo 2013, n. 10196 (ud. 31
gennaio 2013), Mannino, m., pag. 397
Cass. pen., sez. III, 5 marzo 2013, n. 10223 (ud. 24
gennaio 2013), Mikulic, m., pag. 397, 398
Cass. pen., sez. III, 6 marzo 2013, n. 10286 (c.c. 13
febbraio 2013), Matteliano, m., pag. 391
Cass. pen., sez. VI, 6 marzo 2013, n. 10347 (ud. 6
febbraio 2013), Hamed, m., pag. 410
Cass. pen., sez. VI, 6 marzo 2013, n. 10350 (ud. 6
febbraio 2013), Granella, m., pag. 399
Cass. pen., sez. V, 6 marzo 2013, n. 10411 (ud. 28
gennaio 2013), Viola, m., pag. 392
Cass. pen., sez. III, 7 marzo 2013, n. 10567 (c.c. 12
luglio 2012), Falchero, m., pag. 403
Cass. pen., sez. III, 7 marzo 2013, n. 10581 (c.c. 6
febbraio 2013), Lombardo, m., pag. 406
Cass. pen., sez. IV, 7 marzo 2013, n. 10674 (c.c. 19
febbraio 2013), P.G. in proc. Macrì, m., pag. 401
Cass. pen., sez. VI, 7 marzo 2013, n. 10887 (ud. 11
ottobre 2012), Alfiero e altri, m., pag. 390, 394,
397, 404
Cass. pen., sez. VI, 7 marzo 2013, n. 10903 (c.c. 5
marzo 2013), Orsi, m., pag. 409
Cass. pen., sez. VI, 7 marzo 2013, n. 10904 (c.c. 5
marzo 2013), Rosi Leopoldo S.p.a., m., pag. 409
Cass. pen., sez. VI, 7 marzo 2013, n. 10905 (c.c. 6
marzo 2013), Bishara Meged, m., pag. 407
Cass. pen., sez. IV, 8 marzo 2013, n. 11086 (c.c. 6
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Cass. pen., sez. V, 11 marzo 2013, n. 11261 (ud. 13
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Cass. pen., sez. II, 11 marzo 2013, n. 11277 (ud. 6
dicembre 2012), Simionato e altro, m., pag. 405
Cass. pen., sez. III, 11 marzo 2013, n. 11421 (c.c. 29
gennaio 2013), Prediletto, m., pag. 395
Cass. pen., sez. III, 12 marzo 2013, n. 11529 (ud. 29
gennaio 2013), B., m., pag. 399
Cass. pen., sez. III, 12 marzo 2013, n. 11530 (ud. 29
gennaio 2013), A.E., m., pag. 390
Cass. pen., sez. III, 12 marzo 2013, n. 11543 (c.c.
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Cass. pen., sez. III, 12 marzo 2013, n. 11546 (c.c. 19
febbraio 2013), Frezza, m., pag. 396
Cass. pen., sez. II, 14 marzo 2013, n. 11883 (ud. 8
novembre 2012), Berlingeri, m., pag. 408
Cass. pen., sez. II, 14 marzo 2013, n. 11922 (c.c. 12
dicembre 2012), Lavitola, m., pag. 393
Cass. pen., sez. VI, 19 marzo 2013, n. 12821 (ud. 11
marzo 2013), Adami e altri, m., pag. 404
Cass. pen., sez. VI, 19 marzo 2013, n. 12828 (c.c. 14
febbraio 2013), P., m., pag. 402
Cass. pen., sez. III, 21 marzo 2013, n. 13028 (c.c. 13
febbraio 2013), P.O. in proc. Traina, m., pag. 397
Cass. pen., sez. V, 21 marzo 2013, n. 13277 (ud. 17
gennaio 2013), Sanna, m., pag. 406
Cass. pen., sez. V, 21 marzo 2013, n. 13310 (ud. 14
febbraio 2013), L., m., pag. 405
Cass. pen., sez. V, 21 marzo 2013, n. 13316 (ud. 14
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indice cronologico
Cass. pen., sez. I, 21 marzo 2013, n. 13377 (c.c. 28
settembre 2012), Di Muro, m., pag. 395
Cass. pen., sez. II, 22 marzo 2013, n. 13463 (ud.
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Cass. pen., sez. III, 22 marzo 2013, n. 13746 (c.c. 29
gennaio 2013), Falco e altro, m., pag. 394
Cass. pen., sez. V, 25 marzo 2013, n. 14042 (ud. 4
marzo 2013), Simona ed altri, m., pag. 406
Cass. pen., sez. III, 27 marzo 2013, n. 14416 (ud. 19
febbraio 2013), El Hairi, m., pag. 404
Cass. pen., sez. VI, 27 marzo 2013, n. 14462 (c.c. 26
marzo 2013), Vilardo, m., pag. 407
Cass. pen., sez. IV, 28 marzo 2013, n. 14700 (ud. 10
gennaio 2013), Sigrisi, m., pag. 389
Cass. pen., sez. VI, 28 marzo 2013, n. 14758 (ud. 27
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Cass. pen., sez. un., 29 marzo 2013, n. 14978 (ud.
20 dicembre 2012), R.D., m., pag. 405
Cass. pen., sez. VI, 2 aprile 2013, n. 14980 (ud. 27
novembre 2012), p.c. in proc. Santacatterina, m.,
pag. 397
Cass. pen., sez. VI, 2 aprile 2013, n. 15009 (c.c. 27
novembre 2012), Bisignani, m., pag. 391
Cass. pen., sez. III, 4 aprile 2013, n. 15624 (ud. 6
febbraio 2013), Fornelli, m., pag. 404
Cass. pen., sez. IV, 5 aprile 2013, n. 15912 (c.c. 7
febbraio 2013), P.M. in proc. Cecconi e altri, m.,
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Cass. pen., sez. VI, 5 aprile 2013, n. 15925 (ud. 28
marzo 2013), Polverino, m., pag. 400
Cass. pen., sez. VI, 5 aprile 2013, n. 15927 (c.c. 28
marzo 2013), D’Angelantonio, m., pag. 407
Cass. pen., sez. VI, 8 aprile 2013, n. 16164 (c.c. 19
febbraio 2013), S. e altri, m., pag. 409
Cass. pen., sez. V, 10 aprile 2013, n. 16330 (c.c. 20
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Cass. pen., sez. VI, 10 aprile 2013, n. 16386 (c.c. 29
gennaio 2013), Tarantino, m., pag. 391
Cass. pen., sez. II, 11 aprile 2013, n. 16400 (ud. 7
marzo 2013), Guadagni, m., pag. 407
Cass. pen., sez. IV, 11 aprile 2013, n. 16524 (c.c. 15
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Cass. pen., sez. VI, 12 aprile 2013, n. 16566 (ud. 26
febbraio 2013), Caboni ed altro, m., pag. 389
Cass. pen., sez. I, 12 aprile 2013, n. 16606 (ud. 9
novembre 2012), P.G. in proc. Scalzo, m., pag.
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Cass. pen., sez. I, 12 aprile 2013, n. 16679 (c.c. 1
marzo 2013), Corlando, m., pag. 395
Cass. pen., sez. IV, 12 aprile 2013, n. 16981 (ud. 12
marzo 2013), F., m., pag. 397
Cass. pen., sez. VI, 18 aprile 2013, n. 17958 (c.c. 16
aprile 2013), Camuri, m., pag. 401
Cass. pen., sez. I, 22 aprile 2013, n. 18351 (c.c. 25
marzo 2013), P.G. in proc. Mosca, m., pag. 397
Cass. pen., sez. I, 22 aprile 2013, n. 18360 (c.c. 25
marzo 2013), Confl. comp. in proc. di Leo, m.,
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Cass. pen., sez. VI, 24 aprile 2013, n. 18615 (ud. 16
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Cass. pen., sez. V, 23 gennaio 2014, n. 3552 (ud. 22
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Cass. pen., sez. II, 5 febbraio 2014, n. 5656 (c.c. 28
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Cass. pen., sez. VI, 20 marzo 2014, n. 13096 (c.c. 5
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Cass. pen., sez. II, 21 marzo 2014, n. 13215 (ud. 20
febbraio 2014), Rodia, pag. 369
Cass. pen., sez. II, 21 marzo 2014, n. 13218 (ud. 20
febbraio 2014), Camarda ed altri, pag. 369
Cass. pen., sez. II, 21 marzo 2014, n. 13244 (ud. 7
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Cass. pen., sez. VI, 21 marzo 2014, n. 13447 (ud. 12
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Cass. pen., sez. V, 24 marzo 2014, n. 13835 (ud. 11
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Trib. pen. Macerata, sez. Gip/Gup, 28 marzo 2014,
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Cass. pen., sez. I, 28 marzo 2014, n. 14677 (ud. 20
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Cass. pen., sez. I, 28 marzo 2014, n. 14686 (c.c.
28 febbraio 2014), Confl. comp. Trib. Taranto in
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Cass. pen., sez. I, 31 marzo 2014, n. 14775 (ud. 12
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Cass. pen., sez. un., 15 maggio 2014, n. 20214 (ud.
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Corte cost., 21 maggio 2014, n. 135 (c.c. 12 febbraio
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III