Economia lunedì 28 aprile 2014 5 IL TEMA DELLA SETTIMANA La Banca anche per i giovani Banca e giovani. Un binomio che può forse sembrare poco “azzeccato”. Ma che invece può nascondere un grande affiatamento: come nel caso di BancaStato, Istituto che riserva molte attenzioni a tale fascia di età. Come si spiega questa particolare sensibilità, e come si struttura? Ci risponde Marco Meschiari, responsabile a BancaStato della clientela retail e aziendale della regione di Locarno. “Durante il percorso verso l’età adulta i giovani imparano a gestire diversi aspetti, tra cui anche quelli prettamente finanziari, relativi ai primi salari e ai primi risparmi. Riteniamo sia impor- tante che sviluppino un’equilibrata gestione delle proprie finanze, e in tal senso offriamo prodotti appositamente costruiti intorno alle loro esigenze e che propongono condizioni preferenziali e interessanti vantaggi”. Vi è il conto chiamato “PREMIA giovane”, il cui tasso di interesse può arrivare sino all’1,625%. Ma vi sono anche i conti “PRIMA giovane” e “X Conto Mio”: ideali per le operazioni bancarie più frequenti, offrono fino all’1,75% di interesse annuo. “Simili tassi si situano a un livello particolarmente alto se confrontati all’attuale situazione di mercato e ben dimostrano la grande attenzione Marco Meschiari Responsabile clientela retail e aziendale BancaStato Regione Locarno che rivolgiamo ai clienti più giovani. Attenzione che ad ogni modo esula dai prodotti bancari: sosteniamo moltissime attività legate a ragazzi e ragazze ticinesi, poiché anche questo significa essere loro vicini. A loro disposizione vi è pure un’applicazione per smartphone e tablet, “xcontomio”, che offre ricchi premi settimanali”. L’ANALISI Traguardo raggiunto in Spagna di Michael Spence L’economia spagnola comincia ad attirare l’attenzione degli investitori, e non solo perché nel clima attuale i prezzi dei titoli sono molto bassi (il che probabilmente implica buoni affari per gli interessati al valore delle azioni di lungo periodo). Sebbene vi siano ancora enormi problemi da superare, si ha la netta sensazione che, più o meno dall’inizio di quest’anno, l’economia abbia svoltato. Per gli scettici, i teneri germogli della ripresa non fioriranno senza l’accesso al rubinetto del credito, che è ancora ostruito dal danno patrimoniale di molte banche. Ma, anche se la strada di rientro verso la piena occupazione e la crescita sostenibile non sarà costruita in Michael Spence, premio Nobel per l’economia, è professore alla Stern School of Business della New York University una notte, i progressi nella sua direzione possono essere più veloci di quanto la maggior parte degli osservatori si aspettano. È facile perdersi nei dettagli dei modelli di recupero, quindi è utile avere un quadro solido per la valutazione del potenziale di crescita. Infatti, l’economia spagnola è un caso classico di una traiettoria di crescita difettosa seguita da un prevedibile recupero, politicamente assistito, guidato (con qualche ritardo) prevalentemente dal settore commerciale. Prima della crisi, l’economia spagnola si basava su una domanda creata dalla bolla immobiliare usata come leva finanziaria, un modello non dissimile per certi aspetti da quello degli Stati Uniti. Così, sia la crescita che l’occupazione sono avvenute a scapito del lato commerciale dell’economia. Nel decennio che ha seguito il 2000, dopo l’introduzione dell’euro, il costo unitario del lavoro è aumentato costantemente rispetto alla Germania, non solo in Spa- gna ma anche in tutta l’Europa meridionale, e in Francia. La crisi ha colpito la domanda interna, e il settore commerciale è diventato inadeguato, perché il rapido aumento dei costi relativi unitari del lavoro, insieme a una sopravvalutazione dell’euro, ne avevano compromesso la competitività. Inoltre, i danni apportati dalla crisi ai bilanci bancari hanno limitato la domanda mediante una severa limitazione del credito alle famiglie e dei prestiti alle piccole e medie imprese. La Spagna non era in una posizione invidiabile. Il rapido deterioramento della posizione fiscale dopo la crisi ha reso impossibile qualsiasi risposta anticiclica consistente, mentre i vincoli normativi hanno limitato la flessibilità strutturale dell’economia. Il percorso di recupero, anche se lungo e difficile, è stato relativamente chiaro e specifico. In primo luogo, è stato necessario che i costi unitari del lavoro diminuissero verso livelli di produttività tali da ripristinare la competitività – un processo doloroso senza il meccanismo di cambio –. In realtà, vi è stata una sostanziale re-convergenza post-crisi verso i livelli tedeschi. In secondo luogo, c’è stato bisogno che sia il capitale che il lavoro rifluissero nel settore commerciale, dove i vincoli della domanda possono essere alleggeriti quando la produttività relativa converge. Come molti altri Paesi dell’Europa meridionale, invece, le rigidità del mercato del lavoro e di altro tipo hanno ridotto notevolmente la velocità dell’adeguamento economico strutturale e ne hanno aumentato i costi, con conseguente riduzione dei livelli di crescita e di occupazione, soprattutto per i giovani e per coloro in cerca di primo lavoro. Ma i politici e gli imprenditori spagnoli sembravano cogliere la natura degli squilibri economici antecrisi, e l’importanza del settore commerciale come motore di recupero. Riconoscendo che l’economia non avrebbe potuto beneficiare di un parziale ripristino della competitività senza cambiamenti strutturali, nella primavera del 2013, il governo ha approvato una significativa riforma del mercato del lavoro. Essa non era scontata, perché, analogamente a tutte le ope- Ritorna la speranza razioni citate, annullava alcune forme di protezione dei lavoratori. Ma la misura fondamentale per proteggere i lavoratori è costituita da un’occupazione in crescita. Con un certo ritardo, la riforma ora sembra portare dei frutti. Infatti, anche se gli investimenti nazionali sono limitati dalla disponibilità di credito, le grandi multinazionali europee e latinoamericane hanno iniziato a investire nell’economia spagnola, attratte in parte dalla sua posizione competitiva e dalla maggiore flessibilità strutturale, e, su un orizzonte temporale leggermente più lungo, da un recupero della domanda nazionale. Confluisce anche il capitale privato, non solo perché le valutazioni sono attraenti, ma anche perché il potenziale di crescita sembra ormai a portata di mano in Spagna. Anche se la Spagna e l’Italia sono altrettanto depresse in termini degli attuali tassi di crescita e occupazione, soprattutto per i giovani, spiccano due differenze significative. Una è che, a differenza della Spagna, l’Italia ha vissuto relativamente poco la convergenza dei costi unitari del lavoro con la produttività. Il che limita il potenziale della parte commerciale dell’economia come motore di crescita. La seconda differenza è che in Italia la riforma del mercato del lavoro e la liberalizzazione del mercato rimangono sulla lista delle cose da fare per il nuovo governo del primo ministro Matteo Renzi. Se l’Italia vuole trarre vantaggio dal potenziale di crescita del settore commerciale dell’economia, è fondamentale procedere in questo senso, come lo è stato per la Spagna. In entrambi i Paesi non vi è alcuna possibilità che la domanda interna da sola possa sostenere una crescita sostenuta nel breve e medio termine. Inoltre, entrambi i Paesi hanno bisogno di politiche orientate alla crescita per sostenere la riduzione della leva finanziaria. Come l’esperienza della Spagna ha dimostrato, anche se la flessibilità strutturale è difficile da raggiungere da un punto di vista politico, essa è essenziale per un andamento economico sostenuto. Una ragione consiste nel fatto che il rie- quilibrio è necessario quando un modello di crescita difettoso distorce la struttura dell’economia, in particolare l’equilibrio tra i settori commerciali e non commerciali. Un altra è che le forze del mercato tecnologico e globale impongono cambiamenti strutturali in tutte le economie avanzate, anche in quelle che non sono sbilanciate. Le rigidità automatiche ostacolano l’adattamento e influenzano negativamente la crescita e l’occupazione. In generale, negli ultimi tre decenni, le economie di successo sono state quelle che hanno adottato le riforme e le politiche volte ad accrescere la capacità di adattamento strutturale: si pensi agli Stati Uniti dopo Ronald Reagan, al Regno Unito dopo Margaret Thatcher, alla Germania dopo Gerhard Schröder, e alla Cina dopo Deng Xiaoping. La Spagna sembra essere nelle prime fasi di ripristino di un modello di crescita equilibrato e sostenibile. Si spera che altri seguano presto il suo esempio. perlomeno ai figli, di disporre di un bene immobiliare di valore. Inoltre, negli ultimi due decenni, il sistema politico-finanziario ha messo in piede una miriade di strumenti che permettono alle famiglie di spendere molto di più di quanto guadagnano: leasing, acquisti a rate, ecc. Come si vede il confronto con il buon padre di famiglia è accattivante, ma sbagliato. E allora perché lo Stato non potrebbe indebitarsi? In Europa gli ultimi cinque anni sono stati caratterizzati dal mantra dei conti pubblici sotto controllo, che hanno portato molti Paesi sull’orlo del baratro: disoccupazione in forte aumento – soprattutto giovanile tanto da parlare di una generazione persa –, recessio- ne e ridimensionamento del sistema sociale. Che sia necessaria un’accorta gestione delle spese pubbliche è condivisibile, ma che lo si faccia in un periodo di grandi difficoltà è una strategia talmente inopportuna, che anche il Fondo monetario internazionale – per anni paladino indiscusso del neoliberismo – ha deciso di cambiare marcia. Il problema semmai è un altro, perlomeno a livello ticinese. In una situazione di crisi bisogna operare, da una parte, con una politica di bilancio adeguatamente espansiva ma, dall’altra, è necessario che ci sia un apparato amministrativo efficiente e reattivo. E quest’ultimo mi sembra un aspetto sul quale dovrebbe essere prioritario operare. Finora tutti i tentativi di razionalizzazione della pubblica amministrazione sono miseramente falliti, per una reale incapacità politica e, probabilmente, per l’ostruzionismo di molti alti funzionari legati ai partiti. È proprio qui che dovrebbe essere presa d’esempio la famiglia, che funziona solo se tutti remano nella stessa direzione. Tutti sanno quant’è difficile raggiungere questo obiettivo, che però è centrale ben di più di un equilibrio delle entrate e delle uscite. Ma naturalmente un’economia cresce solo se il «carburante» è buono: salari adeguati e sistema economico competitivo (in senso lato). Ma su questo punto ritorneremo la prossima settimana. © Project Syndicate, 2014 Stato, famiglie e debito Uno Stato deve essere gestito come una famiglia? Certo, ma non nel senso che si intende comunemente. di Ronny Bianchi Nelle ultime settimana, in Ticino, si è tornati a parlare di freno alla spesa pubblica e di perseguire obiettivi di pareggio di bilancio. Il discorso è sempre lo stesso, fondamentalmente sbagliato. Per far capire alla popolazione come sia indispensabile che i conti dello Stato siano sani e in equilibrio, si paragona la pubblica amministrazione a un buon padre di famiglia che fa tutto il possibile per non spendere più di quanto ha a disposizione. Il confronto sembra sensato ma in realtà è quanto di più fuorviante si possa proporre. Nella maggior parte dei casi i debiti delle famiglie superano largamente il reddito annuale disponibile. Prendiamo, ad esempio, l’acquisto di un’abitazione. Per usufruire di questo privilegio la quasi totalità delle famiglie ha sottoscritto un credito ipotecario di diverse miglia di franchi, ben superiore, appunto, al reddito familiare. Un debito che peserà sulle casse familiari per molti anni, tramite il pagamento di interessi e ammortamenti. Eppure nessuno si preoccupa più di tanto, perché in realtà si tratta di un investimento che garantirà, in futuro,
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