DOGANE e TRANSFER PRINCING - Associazione degli Industriali

VALORE IN DOGANA
e
TRANSFER PRINCING
Dott.ssa Manuela Frediani
ODCEC LUCCA
14/02/2014
Dott.ssa Manuela Frediani – ODCEC LUCCA
1
Le transazioni internazionali tra le aziende che
hanno un legame diretto o indiretto di natura
societaria
sotto il profilo del diritto doganale
vengono definite come
INTRA-FIRM TRADE
(OECD Glossary – Organisation for Economic Cooperation and Development)
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Dott.ssa Manuela Frediani – ODCEC LUCCA
2
Le relazioni Intercompany impongono un’analisi
attenta della
CONGRUITA’ del VALORE
di transazione dei beni scambiati
tra le predette società
Le diverse normative che si sovrappongono in
merito alla congruità del valore di scambio – e
dunque sul metodo di determinazione del prezzo
- presentano in alcuni casi delle divergenze
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Le norme che intervengono nella individuazione del valore delle
merci oggetto di scambi INTERCOMPANY sono:
1) La normativa doganale – che definisce il VALORE IN DOGANA
delle merci (trae origine dall’Accordo GATT del 1994 – WTO)
2) La normativa internazionale in materie di fiscalità diretta –
che trae origine dal Modello di Convenzione e dalle Linee
Giuda OCSE – in tema di Transfer Pricing
3) La normativa IVA in materia di fiscalità indiretta – che trae
origine dalla Direttiva 2006/112/CE – laddove di interesse
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Una stessa transazione Intercompany può dare origine a
«differenti accertamenti» da parte delle diverse autorità
interessate:
1) Le dogane con l’obbiettivo di accertare che il valore delle
merci scambiate sia «congruo» e conforme alla definizione
data del «valore in dogana» perseguono l’obiettivo di
individuare che tale valore non sia stato artificiosamente
sottovalutato per ottenere la riduzione della base imponibile
doganale
2) Gli Uffici preposti alle altre verifiche fiscali l’obiettivo di
verificare che il valore di transazione sia «congruo»
perseguono una finalità diametralmente opposta e cioè
quella di contrastare la determinazione di prezzi
artificiosamente sopravvalutati per generare costi deducibili
«fittizi» in capo all’importatore (destinatario delle merci) e
ridurre così il reddito imponibile locale e la sottostante
imposta
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La circ. n. 32 del 22 settembre 1980 (prot. 9/2267)
chiarisce alcuni aspetti sulla relazione esistente tra il
diritto doganale e il diritto tributario comparando la
definizione di «valore normale» nell’ambito delle due
legislazioni mettendo in evidenza come i criteri
applicati possano determinare una differente
valorizzazione dovuta sostanzialmente al fatto che
mentre ai fini fiscali rileva il momento del trasferimento
della proprietà della merce ai fini doganali si considera
il momento in cui ha luogo l’effettiva importazione
delle merci
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Le metodologie di determinazione del
«valore in dogana» differiscono
significativamente da quelle utilizzate per
la determinazione del «valore normale»
nelle transazioni intra-gruppo
Si può ragionevolmente considerare che il
transfer price ed il custom value possano
essere considerati concetti speculari
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VALORE della merce in DOGANA
Art 29 del CDC
(oggi art. 70 del Codice Doganale Europeo approvato con Reg. n.
952/2013 – che entrerà in vigore dal 1.6.2016 )
Stabilisce che «la base primaria per il valore in dogana delle
merci è il valore di transazione, cioè il prezzo effettivamente
pagato o da pagare per le merci quando sono vendute per
l'esportazione verso il territorio doganale dell'Unione,
eventualmente adeguato»
valore delle merce ai fini doganali
è basato sul
valore di transazione
cioè il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci
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Il valore di transazione si applica purché ricorrano tutte le
condizioni seguenti:
1) non esistano restrizioni per la cessione o per l'utilizzazione
delle merci da parte del compratore, oltre a una qualsiasi delle
seguenti:
i) restrizioni imposte o richieste dalla legge o dalle autorità pubbliche nell'Unione;
ii) limitazioni dell'area geografica nella quale le merci possono essere rivendute;
iii) restrizioni che non intaccano sostanzialmente il valore in dogana delle merci;
2) la vendita o il prezzo non siano subordinati a condizioni o
prestazioni per le quali non possa essere determinato un valore
in relazione alle merci da valutare;
3) nessuna parte dei proventi di qualsiasi rivendita, cessione
o utilizzazione successiva delle merci da parte del compratore
ritorni, direttamente o indirettamente, al venditore, a meno
che non possa essere operato un appropriato adeguamento;
4) il compratore e il venditore non siano collegati o la relazione
non abbia influenzato il prezzo
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L’art. 143 delle DAC
(Regolamento della Commissione 2 luglio 1993, n. 2454/93/CEE)
prevede i casi di in cui le parti possono essere considerate LEGATE ai sensi dell’art. 29 del
CDC (oggi art. 70 CDU in vigore dal 1.6.2016)
a) l'una fa parte della direzione o del consiglio di
amministrazione dell'impresa dell'altra e viceversa;
b) hanno la veste giuridica di associati;
c) l'una è il datore di lavoro dell'altra;
d) una persona qualsiasi possegga, controlli o detenga,
direttamente o indirettamente, il 5 % o più delle azioni o quote
con diritto di voto delle imprese dell'una e dell'altra;
e) l'una controlla direttamente o indirettamente l'altra;
f) l'una e l'altra sono direttamente o indirettamente controllate
da una terza persona;
g) esse controllano assieme, direttamente o indirettamente, una
terza persona;
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h) appartengono alla stessa famiglia. Si considerano
appartenenti alla stessa famiglia solo le persone tra le quali
intercorre uno dei seguenti rapporti:
- marito e moglie
- ascendenti e discendenti, in linea diretta, di primo grado
- fratelli e sorelle (germani e consanguinei o uterini).
- ascendenti e discendenti, in linea diretta, di secondo grado
- zii/zie e nipoti
- suoceri e generi o nuore
- cognati e cognate.
Le persone associate in affari per il fatto che l'una è agente,
distributore o concessionario esclusivo dell'altra si
considerano legate solo se rientrano in una delle categorie
precedenti
(il concetto di «persona» va inteso nel senso di soggetti giuridici)
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La norma T.P. sul punto all’art. 9 del Modello di Convenzione fiscale OCSE,
considera che vi siano «associated enterprices» quando un’impresa di uno Stato
partecipa direttamente o indirettamente nel management, nel controllo o nel
capitale di un’impresa di un altro Stato oppure quando la stessa persona
partecipa direttamente o indirettamente nel management , nel controllo o nel
capitale di imprese di altri Stati diversi. Le Linee Guida OCSE sul Transfer Pricing
rinviano espressamente a questa definizione.
La norma italiana – art. 110, comma 7, del TUIR – si riferisce alle «società non
residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano
l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla
l’impresa»
Si considerano ipotesi in cui venga esercitata potenzialmente o attualmente una
influenza sulle decisioni imprenditoriali
Ris. Della Agenzia delle Entrate n. 18/E del 15 febbraio 2005 chiarisce che la
normativa italiana riguarda la valutazione delle transazioni da e per l’estero e non
solo quelle tra «soggetti residenti» e le «società, ditte e associazioni estere».
I concetti di related parties e di associated enterprises non presentano una
perfetta coincidenza riguardo alla disciplina doganale e la disciplina sul T.P. ai fini
delle imposte dirette, tuttavia alla luce delle interpretazioni fornite dall’Agenzia
delle Entrate oggi si le due definizioni si possono considerare sovrapponibili
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L’esistenza di un LEGAME tra le parti della transazione
non è un motivo sufficiente per considerare
«inaccettabile» il valore della merce dichiarato al
momento della importazione
Il contribuente è chiamato a dimostrare la congruità del
valore delle merci dichiarato in dogana quando si
presume che il rapporto tra le parti sia influente ai fini
della fissazione dei prezzi della transazione
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A livello internazionale il «valore in dogana» è
fornito dall’art. 1 del WTO Customs Value
Agreement implementato senza deroghe dalle
normative dei Paesi Membri del World Trade
Organization tra le quali il Codice Doganale
Comunitario per i Paesi aderenti alla U.E. che
prevede i diversi metodi di determinazione del
«valore in dogana» all’art. dall’art. 30 del CDC
(dal 1.6.2016 all’art. 70 del CDU)
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Quando non è possibile applicare il VALORE di TRANSAZIONE occorre fare
ricorso ai metodi alternativi stabiliti dall’art. 30 del CDC
(oggi art. 74 del CDU in vigore dal 1.6.2016)
A) valore di transazione di merci identiche
vendute per l’esportazione a destinazione della Comunità esportate nello
stesso momento o pressappoco nello stesso momento delle merci da
valutare.
Si tratta di merci vendute allo stesso livello di commercializzazione, nello
stesso quantitativo e pressappoco nello stesso momento.
Si evidenzia che se si riscontrano più prezzi si utilizza il prezzo più basso.
La verifica del prezzo viene fatta sulla base dell’art. 142, lettera c) del DAC per
cui le merci prese come riferimento devono essere identiche sotto tutti i
profili sia per caratteristiche fisiche sia per qualità. Se non è possibile
ricorrere ad un comparable di questo tipo allora si può ricorre a merci
identiche vendute ad un altro livello commerciale e/o in quantitativi diversi
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Quando non è possibile applicare il VALORE di TRANSAZIONE occorre fare
ricorso ai metodi alternativi stabiliti dall’art. 30 del CDC
(oggi art. 74 del CDU in vigore dal 1.6.2016)
B) Valore di transazione di merci similari
vendute per l’esportazione a destinazione della Comunità ed
esportate nello stesso momento o pressappoco nello stesso
momento delle merci da valutare.
Anche in questa ipotesi si tratta di merci vendute allo stesso
livello di commercializzazione, nello stesso quantitativo e
pressappoco nello stesso momento.
La differenza rispetto al metodo precedente sta nel fatto che le
merci non sono identiche ma SIMILARI. Per merce similare si
intendono merci prodotte nello stesso Paese che presentano
caratteristiche analoghe e sono composte da materiali
equivalenti tanto da svolgere funzioni simili ed essere
intercambiabili sul piano commerciale. Si prendono in
considerazione l’esistenza di un marchio e la qualità.
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Quando non è possibile applicare il VALORE di TRANSAZIONE occorre fare ricorso
ai metodi alternativi stabiliti dall’art. 30 del CDC
(oggi art. 74 del CDU in vigore dal 1.6.2016)
C) Valore dedotto o valore fondato sul prezzo unitario
corrispondente alle vendite nella U.E. delle merci importate o
di merci identiche o similari importate nel quantitativo
complessivo maggiore, effettuate a persone non legate ai
venditori
Si prende in considerazione il valore dedotto dal prezzo di
vendita nell’U.E. di merci identiche o similari scambiate nelle
quantità massime, pressappoco nello stesso periodo
d’importazione dei beni da valutare, con soggetti indipendenti,
al netto delle spese sostenute per la commercializzazione (spese
di sdoganamento, commissioni per l vendita dopo lo
sdoganamento, spese di trasporto e di assicurazione sostenute
nella UE)
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Quando non è possibile applicare il VALORE di TRANSAZIONE occorre fare
ricorso ai metodi alternativi stabiliti
dall’art. 30 del CDC
(oggi art. 74 del CDU in vigore dal 1.6.2016)
D) Valore calcolato o ricostruito
Si ottiene partendo dai costi di produzione sostenuti
dall’operatore nel Paese di esportazione quali:
- costo o valore delle materie e delle operazioni di
fabbricazione o altre, utilizzate per produrre le merci importate);
- un ammontare rappresentante gli utili e le spese generali,
uguale a quello che comportano generalmente le vendite di
merci della stessa qualità o della stessa specie delle merci da
valutare, fatte da produttori del paese di esportazione per
l'esportazione a destinazione della Comunità;
- altri elementi aggiuntivi come le royalty o altri diritti di licenza
(art. 32, paragrafo 1, lettera e) del CDC).
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Quando non è possibile applicare il VALORE di TRANSAZIONE occorre fare
ricorso ai metodi alternativi stabiliti
dall’art. 30 del CDC
(oggi art. 74 del CDU in vigore dal 1.6.2016)
E) Valore determinato in conformità ai dati disponibili della
Comunità
E’ il criterio residuale tale per cui quando il valore in dogana non può essere
determinato ai sensi dell'articolo 29 e 30 del CDC si ha riguardo, nel rispetto
dell'ordine con cui sono stati esposti, ai criteri evidenziati fino al primo di
questi che consenta di determinare il valore (salvo il caso in cui il criterio del
Valore dedotto o del Valore calcolato - lettere c) e d) - debbano essere
invertiti su richiesta del dichiarante). Soltanto quando tale valore in dogana
non possa essere determinato a norma di uno dei criteri espressamente
previsti – considerati nel loro preciso ordine di esposizione - allora è
consentito applicare il criterio immediatamente successivo nell'ordine
stabilito dal legislatore. I diversi metodi indicati del CDC si concepiscono come
vincolanti anche nella loro gerarchia (così come previsti dall’art. 30, comma 1
e 2 del CDC) e non è possibile scegliere un metodo perché preferito –
sebbene anche sulla base di ragionamento logico e sostenibile – ma occorre
al contrario attenersi alla successione indicata dal legislatore.
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L’analisi della normativa conduce a ritenere che il concetto
di COMPARABILITA’ è il criterio base su cui si fonda l’analisi
del «valore in dogana»
A condizione che siano falliti i tentativi di stabilire il «valore
in dogana» sulla base dei prezzi di transazione (art. 2 e 3 del
WTO Customs Valuation Agrrement) o tramite la
comparazione con i prezzi d’importazione di merci
identiche o similari (art. 5 del WTO Customs Valuation
Agrrement – di cui al punto C) della slides «prezzo unitario»)
si procederà all’analisi del valore di vendita da parte
dell’importatore oppure, su richiesta dell’importatore, è
possibile ricorrere al prezzo calcolato (art. 6 del WTO
Customs Valuation Agrrement - di cui al punto D) delle
slides «valore calcolato»)
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COLLEGAMENTI TRA LA NORMA DOGANALE E LA
NORMATIVA T.P.
La normativa doganale presenta dei punti di contatto con la
normativa sul T.P. in relazione alle imposte dirette proprio in
questi due ultimi metodi di determinazione del «valore in
dogana», che sono:
- il metodo del «prezzo unitario» di cui all’art. 5 del WTO
Customs Valuation Agreement molto simile al metodo
del resale price minus
- il metodo del «valore calcolato» di cui all’ art. 6 del WTO
Customs Valuation Agrrement – molto simile al cost plus
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I metodi previsti dalla normativa T.P.
Le Linee Guida OCSE prevedono i seguenti metodi:
1)
2)
3)
4)
5)
CUP – si determina il prezzo confrontandolo con il prezzo praticato
in transazioni comparabili con parti terze o tra parti terze;
Resale Minus – cioè il PREZZO DI RIVENDITA – si determina il
prezzo di trasferimento sottraendo al prezzo di rivendita delle
merci da parte dell’acquirente un margine di profitto lordo
normale
Cost Plus – si determina il prezzo di trasferimento aggiungendo ai
costi sostenuti un margine di profitto lordo
Margine Netto (Transactional Net Margin Method) - si determina
il prezzo comparando il profitto netto della transazione con quello
di transazioni comparabili con terzi o tra terzi
Ripartizione dell’Utile (Profit Split) – si ripartisce l’intero utile che
le imprese coinvolte nella transazione realizzano
complessivamente
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La logica secondo cui le Linee Guida OCSE esprimono e
rappresentano i metodi di determinazione dei Prezzi di
Trasferimento Intercompany deriva dalla applicazione
logica, ordinata in sequenza gerarchica, del principio base
del «valore normale»
OBIETTIVO
Identificare ed applicare il metodo «più appropriato» alla
transazione in esame per addivenire alla determinazione di
quel «valore di transazione» che risulti più idoneo e
coerente a rappresentare il valore della transazione in
funzione dell’assetto organizzativo, economico e
patrimoniale delle imprese interessate e dei rischi assunti
dalle diverse parti interessate alla transazione medesima
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Le organizzazioni mondiali interessate allo studio dei
rapporti internazionali tra le imprese e delle tematiche
a questi collegate collaborano per studiare punti di
convergenza sulla materia del T.P. e del «valore in
dogana» per cercare così di risolvere le eventuali
contestazioni delle autorità preposte ai controlli in
materia di «valore della transazione intercompany»
Il COMMENTARIO 23.1 dell’OMD (Organizzazione
Mondiale delle Dogane) del 27 dicembre 2010 è
intervenuto sull’ammissibilità degli studi di Transfer
Pricing ai fini delle definizione del «valore in dogana»
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Il Commentario 23.1 dell’OMD deve essere analizzato
positivamente perché introduce la possibilità di
ricorrere agli studi di Transfer Pricing per la analisi della
individuazione del «valore in dogana» nelle transazioni
tra parti correlate da parte delle autorità doganali.
Tuttavia, si ritiene che tale possibilità debba concedersi
solo «caso per caso» e nell’ambito di uno studio più
ampio e generale della congruità del valore in cui sorge
in capo all’importatore l’obbligo di fornire il materiale
utile a tale ricerca del valore
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La Camera Internazionale del Commercio di Parigi nel 2012 ha
pubblicato un Policy Statement dove sono raccolti degli studi in
materia per la risoluzione delle evidenti dissonanze tra le due
discipline. Si propone di:
1) accogliere la disciplina del T.P. anche si fini doganali
2) ammettere ai fini doganali i c.d. post-transaction transfer
pricing adjustments in modo da accettare il completamento
del processo di importazione rendendo così
«fisiologicamente» completata l’analisi del «valore in
dogana» della merce nel momento dell’adjustments
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AUSTRALIA
Prevede la possibilità per gli importatori di
ottenere un Valuation Advice per il cui rilascio
deve essere fornita la descrizione del metodo
per la determinazione del Transfer Pricing oltre
ad altri atti formali come ad esempio un APA
(Advance Pricing Agreement)
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CANADA
L’autorità doganale canadese ha pubblicato un
Memorandum (Customs Department
Memorandum D13-3-6) in cui è decretata la
generale ammissibilità degli studi di T.P. per la
definizione del «valore in dogana»
U.S.A.
L’autorità doganale statunitense ha pubblicato un
Memorandum (USCB Compliance Pubblication
«Determining the Acceptability of Transaction Value
for related Party Transaction») per la definizione del
«valore in dogana» e la valenza degli studi di T.P.
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GERMANIA
Di prassi in Germania sono accettati gli studi di
Tranfer Pricing come validi per la definizione del
«valore in dogana» tra parti correlate
SPAGNA
Di contro in Spagna la Suprema Corte (sentenza
del 11.12.2009) vede come ammissibile il
«valore in dogana» della merce ai fini delle
imposte dirette
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Le aziende che si muovono in campo
internazionale hanno l’esigenza di stabilire i
criteri di determinazione dei prezzi di
trasferimento intercompany in anticipo rispetto
alle transazioni ed in modo documentale questo
è coerente con l’esigenza di tutelarsi dalle
possibili verifiche in materia di imposizione
diretta ma sembra «contrastare» con la
fissazione del «valore in dogana» della merce
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ESEMPIO 1
posseduta al 100%
SOCIETA’ A
U.S.A.
GRUPPO Z
posseduta al 100%
SOCIETA’ B
U.E.
1) La società B opera come DISTRUBUTORE ESCLUSIVO di A nel territorio UE
2) Il tipo di prodotto non è comparabile – non esiste un BANCHMARK
internazionale (non esistono quotazioni in borse valori merce)
3) L’importatore dichiara il «valore in dogana» della merce al momento
dell’importazione ed il Transfer Price è stato determinato adottando il
metodo del Cost Plus
In questo caso l’applicazione del metodo del cost plus può essere sostenuta
anche ai fini della ricerca del «valore in dogana» in quanto non esiste
un’alternativa. Se l’importatore riesce a dimostrare che la sommatoria di costi
di produzione della merce fino a quello stato di commercializzazione più un
profitto normale coincidono con il valore dichiarato in dogana non ci
dovrebbero essere dubbi sulla sostenibilità del metodo adottato ai fini del T.P.
anche in ambito doganale
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ESEMPIO 2
GRUPPO Z
SOCIETA’ A
U.S.A.
SOCIETA’ B
U.E.
SOCIETA’ C –
terzo
U.E.
1) La società B non opera più come DISTRUBUTORE ESCLUSIVO di A nel
territorio UE ma in alcuni Paesi della U.E. viene incaricata una START-UP
commerciale costituita per questo
2) La Società A svolge attività di marketing e ricerche di mercato per B
3) Pertanto il prezzo di vendita praticato da A alla società B è maggiore
rispetto al prezzo praticato da A alla società C per effetto delle spese
sostenuta da A per l’attività di marketing e studi di mercato svolta
esclusivamente per B.
4) L’importatore B dichiara un «valore in dogana» della merce al momento
dell’importazione diverso da quello dichiarato dall’importatore C e
magari la dogana di entrata in U.E. è la medesima
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… continua ESEMPIO 2
GRUPPO Z
SOCIETA’ A
U.S.A.
SOCIETA’ B
U.E.
SOCIETA’ C –
terzo
U.E.
In dogana la giustificazione del «prezzo» dichiarato deve essere effettuata avendo
riguardo ai costi sostenuti dal proprio venditore (società A) escludendo dall’analisi i
costi non comuni alle due transazioni: quella con parti correlate e quella con soggetti
terzi
L’art. 1, comma 2, lettera b) del WTO Customs Value Agreement stabilisce che i TEST
(primo tra i quali il test di comparabilità) devono essere svolti tenendo in
considerazione i costi sostenuti dal venditore in occasione di vendite a compratori non
collegati ma che non sono sostenuti dal venditore in occasione di vendite a compratori
collegati.
Le differenze nei prezzi sono giustificate dalla diversa allocazione dei costi tra
COMPRATORE e VENDITORE. Anche il diverso livello di commercializzazione tra le
transazioni può giustificare le differenze tra i prezzi.
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ESEMPIO 3
GRUPPO Z
100%
SOCIETA’ A
U.S.A.
100%
SOCIETA’ B
U.E.
100%
SOCIETA’ C
Distributore U.S.A.
1)
2)
3)
4)
TERZI SOCIETA’
D/E/F/G
U.E.
Una società del gruppo – un trader altamente specializzato - svolge l’attività di
distributore per uno specifico prodotto in alcuni Paesi della U.E.
Il livello di commercializzazione nelle vendite da A da B e da A verso i terzi D/E/F/G è
diverso
Il «valore in dogana» del prodotto importato da B è diverso dal «valore in dogana»
dello stesso prodotto importato in U.E. dai diversi soggetti terzi (società D/E/F/G)
perché il livello di commercializzazione al quale vengono scambiati i prodotti è diverso
sebbene il prodotto provenga in tutti casi dallo stesso magazzino (gestito da A)
Seguire una politica di T.P. può essere di supporto alla sostenibilità del «valore in
dogana» delle merci importate in U.E. dai diversi soggetti
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L’assenza di una normativa comune e/o coincidente in materia
rende debole la strategia di Tranfer Pricing
SPECIALMENTE
Quando i prezzi Intercompany sono determinati sulla base di
metodi c.d. «profit method» in cui il livello del profitto viene
predeterminato in accordo tra le parti
Che determinano
l’insorgenza dei c.d. post-transaction transfer pricing
adjustments
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Sentenza della Cassazione n. 7716 del 27 marzo 2013
(su ricorso proposto da Chevrolet Italia Spa)
Ai sensi dell’art. 11 del D.Lgs 374/1990 l’Ufficio doganale può
procedere alla revisione dell’accertamento divenuto definitivo,
su istanza di parte o di ufficio, quando emergono «inesattezze,
omissioni o errori relativi agli elementi presi a base
dell’accertamento».
La «revisione dell’accertamento» è contenuta nell’art. 78 del CDC
e consiste in quel particolare procedimento amministrativo per
mezzo del quale l’Autorità doganale interviene sulla bolletta
doganale in un momento successivo allo svincolo delle merci al
fine di adottare i provvedimenti necessari per la regolarizzazione
della bolletta stessa sulla base di elementi nuovi o sulla base
degli stessi elementi non correttamente valutati alla data della
emissione della bolletta da correggere
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Sentenza della Cassazione n. 7716 del 27 marzo 2013
(su ricorso proposto da Chevrolet Italia Spa)
Per mezzo della «revisione dell’accertamento» si interviene sugli
elementi soggettivi ed oggettivi che sono stati posti a base
dell’accertamento doganale.
Gli elementi soggettivi della dichiarazione sono quelli
strettamente connessi all’intestatario dell’operazione mentre gli
elementi oggettivi sono rappresentati da elementi associati
alle merci oggetto dell’operazione, come la quantità, la qualità,
il valore, l’origine, la richiesta di trattamenti preferenziali, la
richiesta di applicazione di imposta con aliquote agevolate o
ridotte, che si riflettono sui tributi doganali.
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accertament
Sentenza della Cassazione n. 7716 del 27 marzo 2013 (su ricorso
proposto da Chevrolet Italia Spa)
NE CONSEGUE CHE
La revisione dell’accertamento PUO’ essere effettuata solo ed
esclusivamente sulla scorta degli elementi posti a fondamento
dell’accertamento doganale iniziale (al momento dell’impostazione) e
NON su elementi successivi
DI CONTRO
La revisione dell’accertamento NON PUO’ essere effettuata sulla base
di una scelta contrattuale (Transfer Pricing Agreement)
deliberatamente posta in esser tra le parti (esportatore ed
importatore) in un momento successivo a quello della presentazione
delle merci in dogana per l’importazione per di più se le parti sono
legate da un collegamento di gruppo (appartengono allo stesso
gruppo)
La «revisione dell’accertamento» non è compatibile con le politiche di
Transfer Pricing Adjustments
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ROYALTIES e il VALORE DOGANALE
dall’art. 32, par.1, lettera c) del CDC
(oggi art. 71, comma 1, lettera c) del CDU in vigore dal 1.6.2016)
Art. 71 del CDU dispone che oltre al prezzo effettivamente pagato o da
pagare il valore in dogana deve comprendere anche «i corrispettivi e i
diritti di licenza relativi alle merci da valutare, che il compratore è
tenuto a pagare, direttamente o indirettamente, come condizione della
vendita delle merci da valutare, nella misura in cui detti corrispettivi e
diritti di licenza non sono stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato
o da pagare»
Le ROYALTIES vanno incluse nel «valore in dogana» della merce se:
1) Non sono già state incluse nel prezzo effettivamente pagato o da
pagare
2) Se siano pagate, direttamente o indirettamente, come «condizione
di vendita» delle merci da valutare
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ROYALTIES e il VALORE DOGANALE
Art. da 157 a 162 delle DAC
L’art. 157 delle DAC specifica che i corrispettivi delle licenze
devono essere inseriti nel valore in dogana all’importazione se il
loro pagamento
1) Si riferisce alle merci oggetto della valutazione;
2) Costituisce una condizione di vendita delle merci.
Dunque, in tutti i casi in cui sia pagato una royalty ad un soggetto
diverso dal venditore extracomunitario, è necessario includere il
la royalty nel valore da dichiarare in dogana quando:
1) Le royalty sono corrisposte in relazione alle merci oggetto di
valutazione;
2) Il pagamento risulta essere una condizione di vendita, nel
senso che è il pagamento viene richiesto dallo stesso
venditore o da un terzo a questo legato
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ROYALTIES e il VALORE DOGANALE
Riguardo all’ipotesi di specifica di royalty pagata per l’utilizzo di
un marchio commerciale o di fabbrica l’art. 159 delle DAC
specifica:
«al prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci
importate va aggiunto un corrispettivo o diritto di licenza
relativo al diritto di utilizzare un marchio commerciale o di
fabbrica soltanto se:
- il corrispettivo o il diritto di licenza si riferisce a merci
rivendute tal quali o formanti oggetto unicamente di
lavorazioni secondarie successivamente all'importazione,
- le merci sono commercializzate con il marchio di fabbrica,
apposto prima o dopo l'importazione, per il quale si paga il
corrispettivo o il diritto di licenza, e
- l'acquirente non è libero di ottenere tali merci da altri
fornitori non legati al venditore.»
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ROYALTY PAGATA IN «RELAZIONE ALLE MERCI»
In questo caso come espressamente previsto dall’art. 159 delle
DAC si tratta di royalty corrisposta a fronte di:
- merci rivendute tali e quali o formanti oggetto unicamente di
lavorazioni secondarie successivamente all'importazione,
- merci commercializzate con il marchio di fabbrica, apposto
prima o dopo l'importazione, per il quale si paga il
corrispettivo o il diritto di licenza,
Si rileva che il marchio può essere apposto anche dopo
l’importazione
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ROYALTY PAGATA COME
«CONDIZIONE DI VENDITA DELLE MERCI»
Il soggetto venditore, o un soggetto a questo legato,
richiede il pagamento della royalty
La condizione è integrata se il licenziante è «legato» al venditore
ai sensi del citato art. 143 delle DAC come chiarito dall’Allegato
23 alle DAC dove si precisa che:
«si considera che una persona ne controlli un’altra quando la
prima sia in grado di esercitare, di diritto o di fatto, un potere di
costrizione o di orientamento sulla seconda»
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ROYALTY PAGATA COME
«CONDIZIONE DI VENDITA DELLE MERCI»
Con la circ n. 21/D/2012 l’Agenzia delle Dogane puntualizza che
per la verifica del potere di controllo - ovvero del legame
indiretto - possono essere presi in considerazione:
- l’accordo di licenza, da cui emergono l’oggetto a cui si riferisce
la licenza, la natura dei diritti trasferiti ed il «know how»
fornito, la responsabilità di chi concede la licenza e di chi
acquista ed i metodi di calcolo per il pagamento dei
corrispettivi e dei diritti di licenza;
- la fattura di vendita dalla quale si evince se l’importo è
comprensivo della licenza;
- il contratto di compravendita
- il DV1 allegato alla dichiarazione di importazione
- ogni altra documentazione amministrativa o commerciale
utile od ogni informazione pertinente per addivenire ad una
corretta valutazione per l’inclusione o l’esclusione delle
royalties nel valore imponibile
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ROYALTY PAGATA COME
«CONDIZIONE DI VENDITA DELLE MERCI»
(…continua circ. 21/D/2012) Per includere le royalties nel
valore in dogana occorre dedurre che il licenziante non è
disposto a fornire le merci senza il pagamento delle royalty
(c.d. scenario a due parti) oppure che il venditore non è
disposto a consegnare la merce – o a venderla – se
l’acquirente non paga un corrispettivo o un diritto di licenza
al licenziante (c.d. scenario a tre parti)
Se il contratto tra venditore e acquirente non menziona
alcunché è possibile desumere dalle clausole contrattuali
delle condizioni di vendita implicite che attribuiscano al
licenziante un potere di controllo sul produttore o sulla
produzione che «vada oltre il mero controllo di qualità»
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ROYALTY PAGATA COME
«CONDIZIONE DI VENDITA DELLE MERCI»
per la verifica del controllo di fatto importanti sono:
1) Commentario 25.1 del 2011 del World Customs
Organization
2) Documento della Commissione Europea
TAXUD/800/2002 – Commentario n. 11
contengono un elenco di indicatori da valutare per
stabilire se esiste il controllo di fatto ed inserire o meno
il valore della royalty nel «valore in dogana»
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ROYALTY PAGATA COME «CONDIZIONE DI
VENDITA DELLE MERCI»
1) Il licenziante sceglie il produttore o lo impone all’acquirente;
2) esiste un contratto diretto di produzione tra licenziante e
venditore;
3) Il licenziante esercita un controllo di fatto – diretto o
indiretto – sulla produzione (sui centri di produzione e/o sui
metodi di produzione)
4) Il licenziante esercita un controllo di fatto – diretto e/o
indiretto – sulla logistica e sulla consegna delle merci
all’acquirente;
5) Il licenziante fissa il prezzo di vendita tra produttore ed
acquirente oppure il prezzo al quale l’importatore rivende le
merci;
6) Il licenziante può esaminare la contabilità del produttore o
dell’acquirente;
7) Il licenziante sceglie i metodi di produzione da utilizzare
oppure fornisce i modelli;
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ROYALTY PAGATA COME «CONDIZIONE DI
VENDITA DELLE MERCI»
8)
Il licenziante sceglie i fornitori dei materiali e/o
componenti;
9)
Il licenziante limita le quantità da produrre;
10) Il licenziante non autorizza l’acquirente a comprare
direttamente dal produttore ma attraverso il titolare del
marchio (il primo licenziante) che può agire anche come
agente di acquisto all’importazione;
11) Il produttore non è autorizzato a produrre prodotti
concorrenti senza autorizzazione del licenziante;
12) Le merci fabbricate sono «determinate» del licenziante
nella loro concezione/design e con riguardo al marchio di
fabbrica;
13) Le caratteristiche delle merci e la tecnologia utilizzata sono
definite dal licenziante
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ROYALTY PAGATA COME «CONDIZIONE DI VENDITA DELLE
MERCI»
La combinazione di questi elementi che denoti un controllo di
fatto che va al di là del semplice «controllo di qualità» dimostra
che esiste una relazione nel senso indicato dall’art. 143 delle DAC
e quindi che il pagamento della royalty costituisce una
«condizione di vendita» ai sensi dell’art. 160 delle DAC.
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ROYALTY PAGATA COME «CONDIZIONE DI VENDITA DELLE MERCI»
Sentenza Commissione Provinciale di Firenze
6 marzo 2009, n. 31/IX/09
L’importatore acquistava la merce prodotta fuori dalla UE da soggetti
terzi e successivamente pagava delle royalty ad una società USA
titolare del marchio
Le Dogane richiedono il pagamento del dazio sulle royalty sul
presupposto che «il Concessionario deve avere, al fine della produzione
di ciascun articolo proposto, una specifica approvazione scritta di
(licenziante)»
I giudici puntualizzano che al fine della configurazione delle «condizioni
di vendita» di cui all’art. 157 delle DAC «(…) Il fatto che [l’importatore
nazionale] debba produrre manufatti che rispondano rigorosamente
agli elevati standard qualitativi imposti (…) non significa che [il
licenziante] esercita un controllo, seppur indiretto, sui fabbricanti
extracomunitari, tale da poter configurare i diritti di licenza che
[l’importatore] paga al [licenziante] come una condizione per la
vendita ai sensi dell’art. 157, comma 2, delle DAC»
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ROYALTY PAGATA COME «CONDIZIONE DI
VENDITA DELLE MERCI»
CASO «PUMA ITALIA S.r.l.»
Sentenza Commissione Provinciale di Milano
Sentenza 17 febbraio 2010 n. 49/7/10 - Sentenza 2 febbraio 2011, n.
27/31/11
Società tedesca Puma AG – titolare del diritto di marchio
PUMA –
Società Puma Italia S.r.l. che acquista la licenza senza esclusiva
da Puma AG per produrre o far produrre prodotti
contraddistinti dal marchio PUMA e per mettere in vendita e
vendere tali prodotti in un determinato territorio
Puma Italia S.r.l. affida alla World Cat Far East – società con
sede in Hong Kong controllata dalla licenziante Puma AG – il
compito di «centrale di acquisto» della merce prodotta nei
Paesi terzi
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ROYALTY PAGATA COME «CONDIZIONE DI VENDITA
DELLE MERCI»
CASO «PUMA ITALIA S.r.l.»
Sentenza Commissione Provinciale di Milano
Sentenza 17 febbraio 2010 n. 49/7/10 - Sentenza 2 febbraio 2011, n. 27/31/11
Con la prima sentenza i giudici milanesi ritengono che non vi siano gli
estremi per considerare la royalty come componente del valore in
dogana della merce.
Con la seconda sentenza, ad un anno di distanza, i giudici ritengono
invece che il collegamento tra la «centrale di acquisto» di Hong Kong e
la licenziante Puma AG dimostrasse come il pagamento delle royalty
da parte dell’importatore alla licenziante PUMA AG fosse una
«condizione di vendita» ai sensi dell’art. 160 delle DAC sostenendo
anche «l’importanza dei pareri emanati da TAXUD (…), ritenuti a torto
non rilevanti, sono invece pregnanti per una corretta interpretazione
delle norma doganale in materia.. »
Importante è rilevare che i giudici hanno sottolineato il valore degli
Indicatori TAXUD nel definire il «controllo di fatto»
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ROYALTY PAGATA COME «CONDIZIONE DI
VENDITA DELLE MERCI»
CASO «PUMA ITALIA S.r.l.»
Commissione Regionale Lombardia
Sentenza n. 3 del 18 gennaio 2013
Ha annullato gli avvisi di rettifica impugnati in primo grado
ritenendo che manchino le condizioni richieste per l’inclusione
delle royalty nel valore in dogana in quanto: «non solo si è visto
che le società incaricate di realizzare i prodotti (...) fossero
molteplici (…), ma le stesse funzioni svolte da World Cat (desunte
dal contratto di agenzia), implicano un controllo di qualità dei
prodotti e il rispetto da parte dei fabbricanti di determinate
condizioni di lavoro e non certo un controllo gestionale delle
società stesse»
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ROYALTY PAGATA COME «CONDIZIONE DI
VENDITA DELLE MERCI»
CASO «GIOCHI PREZIOSI S.p.a.»
Sentenza Commissione Provinciale di Milano
Sentenza 16 febbraio 2011 n. 39/31/11 - Sentenza 1 marzo 2011, n.
51/31/11
La società Giochi Preziosi S.p.a. aveva importato merci dalla Cina
distribuite da Giochi Preziosi H.K. Ltd, controllata dalla Giochi
Preziosi S.p.a. non includendo nel valore in dogana le royalty
pagate a terzi licenziatari (come la Walt Disney, Hasbro e altri...)
I giudici milanesi considerando che anche il «controllo di fatto»
secondo l’art. 143 delle DAC e dell’allegato 23 alle DAC, come
richiamati dall’art. 160 delle DAC e dagli Indicatori TAXUD, rileva
al fine dell’inclusione delle royalty nel «valore in dogana» hanno
richiesto il pagamento di ulteriori Dazi
14/02/2014
Dott.ssa Manuela Frediani – ODCEC LUCCA
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ROYALTY PAGATA COME «CONDIZIONE DI
VENDITA DELLE MERCI»
CASO «GIOCHI PREZIOSI S.p.a.»
Sentenza Commissione Provinciale di Milano
Sentenza 16 febbraio 2011 n. 39/31/11 - Sentenza 1 marzo
2011, n. 51/31/11
Tra gli indici rivelatori del controllo di fatto hanno evidenziato:
1) il potere del licenziante di procedere all’approvazione dei
modelli; di esaminare la contabilità del produttore e
dell’acquirente; di fissare le condizioni di prezzo.
2) Il licenziatario può produrre le merci previa approvazione del
licenziante oppure far produrre a terzi previa comunicazione
al licenziante
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ROYALTY PAGATA COME «CONDIZIONE DI
VENDITA DELLE MERCI»
CASO «PRECA BRUMMEL S.p.a.»
Sentenza Commissione Provinciale di Vicenza
Sentenza 22 agosto 2012 n. 57/6/12
Importante è la conclusione alla quale giungono i giudici per cui non
ricorre la «condizione di vendita» - che farebbe scattare l’inclusione
della royalty nel valore di vendita - quando il contratto di licenza
determina l’ammontare della royalty in base alle vendite anziché sugli
acquisti in quanto «è evidente che quando il dovuto è determinato in
misura percentuale sui ricavi, non c’è nessun legame oggettivo tre le
importazioni (che sono acquisti per il licenziatario) e le royalties per il
semplice motivo che, ove i capi importati rimangano invenduti, il loro
valore non entra nel conto dei ricavi delle successive vendite da parte
del licenziatario/importatore, sui quali si applica la percentuale
concordata con il licenziante»
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Dott.ssa Manuela Frediani – ODCEC LUCCA
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