APRILE 2014 AVVOCATO GIUSEPPE GERMINARIO I POTERI DEL G.I.P. SULLA RICHIESTA DI ARCHIVIAZIONE TRA ABNORMITÀ E CONTROLLO DELL’AZIONE PENALE. SOMMARIO Introduzione. 1. Le questioni controverse. 2. L’atto abnorme. 3. Le questioni controverse al vaglio delle Sezioni Unite (Cass. pen., Sez. Un., n. 22909 del 2005, Sez. Un., n. 4319 del 2014). INTRODUZIONE. I poteri del G.i.p. sulla richiesta di archiviazione sono calibrati su due esigenze contrapposte. La prima funzionale a garantire il massimo controllo sull’esercizio imparziale e obbligatorio dell’azione penale (art. 112 Cost.).1 La seconda si preoccupa di garantire che l’organo Costituzionalmente preposto a sostenere l’accusa non sia spogliato delle sue prerogative. Un’ulteriore esigenza è quella di evitare che il G.i.p., travalicando i suoi poteri, sottragga all’indagato o all’indagabile le prerogative di difesa riconosciute durante la fase delle indagini. 1. LE QUESTIONI CONTROVERSE. Allo scadere delle indagini preliminari il P.m., se ritiene la notizia di reato infondata, presenta richiesta di archiviazione. In tal caso, il G.i.p., qualora sia presentata dalla persona offesa un’opposizione ammissibile o ritenga comunque di non accogliere la richiesta di archiviazione, fissa udienza in camera di consiglio. All’esito dell’udienza il Giudice può: 1. Disporre l’archiviazione. 2. Indicare al P.m. ulteriori indagini necessarie, fissando il termine per eseguirle. 3. Disporre che il P.m. formuli l’imputazione (c.d. imputazione coatta). 4. Ordinare l’iscrizione nel registro notizie di reato (art. 335 c.p.p.) del soggetto cui il fatto sia attribuibile in base alle indagini.2 1 2 Ai sensi della norma costituzionale il Pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale. L’ipotesi è chiaramente riservata al caso in cui il P.m. abbia chiesto l’archiviazione perché ignoto l’autore del reato. 1 Tuttavia, la legge processuale, nella sua dovuta astrattezza, non specifica i poteri del Giudice nei casi non espressamente disciplinati dalla legge. All’uopo, in tema di poteri del G.i.p. sulla richiesta di archiviazione, si sono poste all’attenzione giurisprudenziale le seguenti ipotesi controverse. A. La possibilità per il G.i.p. di ordinare l’iscrizione nel registro notizie di reato di soggetti non sottoposti a indagini e fissare, contestualmente, una successiva udienza per consentire ai due nuovi indagati di difendersi. B. La possibilità per il G.i.p. di ordinare l’iscrizione nel registro notizie di reato e l’imputazione coatta per il soggetto non sottoposto a indagini. C. La possibilità per il G.i.p. di ordinare l’imputazione coatta per reati diversi da quelli individuati nella richiesta di archiviazione. Tali questioni problematiche sono complicate dal fatto che l’articolo 409 comma sesto c.p.p. ammette il ricorso in Cassazione della sola ordinanza di archiviazione ed esclusivamente per i casi di nullità previsti dall’articolo 127 comma 5 c.p.p. Pertanto, in ossequio al principio di tassatività delle nullità (art. 177 c.p.p.) e delle impugnazioni (art. 568 c.p.p.), l’indagato e il P.m., non avrebbero tutela alle loro prerogative anche nel caso in cui si dovesse, teoricamente, riconoscere un eccesso di potere del G.i.p. Tuttavia, il problema dell’impugnabilità per Cassazione sarebbe superabile qualificando il provvedimento del G.i.p. come abnorme. All’uopo, giova dare atto dei presupposti necessari a qualificare in tal modo un provvedimento giurisdizionale. 2. L’ATTO ABNORME. La ragione del principio di tassatività delle nullità (art. 177 c.p.p.) è di evitare la paralisi del procedimento nei casi in cui le imperfezioni degli atti non determinino lesioni significative del diritto di difesa. All’uopo, è lo stesso legislatore a stabilire le cause invalidanti, il termine entro cui sono deducibili o i casi in cui le stesse si considerano sanate. 2 Il principio di tassatività ha però il difetto di limitare la rimozione degli atti nei soli casi in cui il legislatore abbia potuto astrattamente prevedere la verificazione del vizio. Tuttavia, spesso avvengono violazioni delle norme processuali talmente stravaganti da non essere state neppure ipotizzate dal legislatore. Pertanto, si verifica il paradosso per cui atti affetti da macroscopiche violazioni di legge non sono considerati invalidi perché l’ordinamento non ha sancito la loro espressa nullità. La distorsione descritta è stata da sempre rilevata dalla scienza giuridica la quale fronteggia la situazione mediante il rimedio del ricorso in Cassazione avverso gli atti qualificabili come abnormi. Tale rimedio, lungi dal determinare una violazione del principio di legalità,3 è dalla giurisprudenza giustificato dal fatto che la legge processuale individua le patologie verificabili solo in quei casi definibili come normali e prevedibili. Al contrario, la legge, nella sua astrattezza e necessaria essenzialità, non potrebbe soffermarsi a immaginare tutte le anormalità e gli errori manifestabili nel campo dello scibile umano. Quella degli atti abnormi, lungi dall’essere una categoria di mera invenzione giurisprudenziale, ha anche una sua precisa genesi legislativa. Dal punto di vista giurisprudenziale, la sua elaborazione ebbe inizio dopo l’entrata in vigore del codice di rito del 1931 il quale non riprodusse il ricorso nell’interesse della legge previsto dal testo previgente. All’uopo, significativa è una pronuncia emessa sotto la vigenza del nuovo codice in cui la Corte di Cassazione, pur riscontrando l’astratta inammissibilità del ricorso, dichiarò di dover vagliare la vicenda per riparare alla macroscopica violazione di legge.4 Il rimedio all’atto abnorme, dopo essere stato rimosso dalla legge ma recuperato dalla giurisprudenza, fu poi riassunto dal legislatore del nuovo codice con una scelta di compromesso. Infatti, considerata imprescindibile l’esigenza di tipicità delle nullità e riscontrata la difficoltà di definire compiutamente ciò che è imprevedibile, la decisione fu di riconoscere, astrattamente, la possibilità di ricorrere contro 3 4 Nella specie dell’articolo 177 c.p.p. e 606 comma 1 lett. c) c.p.p. Cass. pen., 18 febbraio 1938, Villari, Giust. Pen. 1938, IV, 720. 3 l’atto abnorme ma demandando la sua individuazione alla giurisprudenza. In tal senso la relazione al progetto preliminare del nuovo codice di procedura penale in cui si avverte che la rinuncia a prevedere espressamente l’impugnazione dei provvedimenti abnormi è determinata solo dalla difficoltà di una loro precisa individuazione. Tuttavia, rimane fermo il rimedio generale del ricorso per Cassazione al fine di “rimuovere un provvedimento non inquadrabile nel sistema processuale o adottato per fini diversi da quelli previsti dall’ordinamento”. Pertanto, fornite le citate indicazioni di massima, l’individuazione dell’atto abnorme è stata rimessa alla giurisprudenza la quale ha delimitato il concetto di abnormità in negativo e in positivo. In negativo è stato affermato che l’atto non è abnorme quando adottato in violazione di norme espressamente previste a pena di nullità. In tal caso vigono i rimedi ordinari, ivi compreso il ricorso per Cassazione ai sensi dell’articolo 606 lett. c) c.p.p. Allo stesso modo non è abnorme l’atto che manca dei requisiti necessari a inquadrarlo, almeno sotto il profilo formale, in un atto processuale. In tal caso si tratterebbe di atto inesistente.5 Pertanto, il limite negativo rivela la natura sussidiaria della categoria degli atti abnormi i quali costituiscono ipotesi sfuggite alle previsioni legislative. I requisiti positivi dell’atto abnorme sono legati al fatto che ogni provvedimento del Giudice ha una forma e una funzione. Pertanto, il provvedimento, per essere abnorme, deve caratterizzarsi per un contenuto singolare e strano tale da porlo fuori dell’ordinamento processuale (c.d. anomalia strutturale) ovvero per esplicarsi oltre ogni ragionevole limite pur essendo, in astratto, manifestazione di un potere legittimo. Anche se si tratta di una delimitazione non esaustiva pare opportuno ribadire che l’atto può essere dichiarato abnorme quando concorrano almeno i seguenti requisiti: a) Sia affetto da un vizio per il quale non sono previste cause di nullità o inutilizzabilità. 5 Il caso di scuola è la sentenza emessa da un soggetto non qualificabile come Giudice. 4 b) Non sia altrimenti impugnabile. c) Non sia inquadrabile nella struttura procedimentale prevista dall’ordinamento o sia funzionale a perseguire un risultato diverso da quello per cui il potere era attribuito (eccesso di potere) ovvero determini una stasi processuale non altrimenti superabile. 3. LE QUESTIONI CONTROVERSE AL VAGLIO DELLE SEZIONI UNITE (Cass. Pen., Sez. Un., n. 22909 del 2005, Sez. Un., n. 4319 del 2014). Negli ultimi anni le Sezioni Unite penali sono state chiamate a delineare i poteri del G.i.p. in sede di richiesta di archiviazione. A tal proposito, la Corte ha fatto leva sui principi che determinano il riparto di competenze tra G.i.p. e P.m. così sottolineando l’esigenza di accordare al Giudice il controllo completo del compendio investigativo e al P.m. il potere di determinarsi in merito alle indagini preliminari. Qualora all’esito di tale operazione risulti che il G.i.p. abbia invaso le attribuzioni del P.m. il provvedimento giudiziale sarà qualificabile come abnorme. Giova ricordare quali sono state le questioni di cui si è occupata la Suprema Corte: A. La possibilità per il G.i.p. di ordinare l’iscrizione nel registro notizie di reato di soggetti non sottoposti a indagini e fissare, contestualmente, una successiva udienza per consentire ai nuovi indagati di difendersi. B. La possibilità per il G.i.p. di ordinare l’iscrizione nel registro notizie di reato e l’imputazione coatta per il soggetto non sottoposto a indagini. C. La possibilità per il G.i.p. di ordinare l’imputazione coatta per reati diversi da quelli individuati nella richiesta di archiviazione. La questione sub A) è stata risolta, dalle Sezioni Unite penali,6 in un procedimento dove il P.m. chiedeva l’archiviazione mentre il G.i.p. aveva disposto l’iscrizione nel registro notizie di reato di due soggetti non precedentemente indagati, ordinato la prosecuzione delle indagini (mediante l’acquisizione di documenti) e fissato un'altra udienza per consentire ai nuovi indagati di difendersi. 6 Cass. pen., Sez. Un., 17 giugno 2005, n.22909. 5 Contro la pronuncia ha presentato ricorso il Procuratore della Repubblica denunciando l’abnormità del provvedimento il quale, rinviando a nuova udienza, ledeva la prerogativa dell’organo d’accusa di scegliere, autonomamente, se esercitare l’azione penale o chiedere ancora l’archiviazione. Prima di risolvere la questione, il massimo consesso ha ricordato che in materia di rapporti tra poteri del G.i.p. e prerogative del P.m. sono rinvenibili tre orientamenti. Un primo indirizzo, particolarmente restrittivo, qualifica abnormi tutti i provvedimenti del G.i.p. idonei a invadere le prerogative del P.m. Alla stregua di tale soluzione era stato dichiarato abnorme il provvedimento con cui il Giudice, su richiesta di archiviazione del procedimento nei confronti di uno dei due indagati, abbia ordinato di formulare l’imputazione coatta per entrambi.7 Agli antipodi si colloca l’orientamento secondo cui in tema di imputazione coatta i poteri del G.i.p. sono limitati solo dalla notizia di reato e non dalle prospettazioni del P.m. Pertanto, salvo il caso in cui il P.M. faccia esplicita riserva di ulteriori indagini, è consentito al G.i.p. ordinare la formulazione dell’imputazione sia in relazione a diverse ipotesi di reato sia per indagati nuovi.8 Un orientamento intermedio afferma la legittimità del provvedimento del G.i.p. il quale, investito di una richiesta di archiviazione per una determinata ipotesi di reato, abbia ordinato l’imputazione coatta per altra ipotesi illecita. Al contrario ha ritenuto abnorme l’ordine di iscrizione nel registro notizie di reato di persona fino a quel momento non indagata.9 Le Sezioni Unite hanno anche richiamato la giurisprudenza della Corte Costituzionale.10 Secondo l’insegnamento del Giudice delle leggi un’interpretazione della normativa che assicuri cogenza al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale presuppone che il sindacato del G.i.p. investa l’integrale risultato delle indagini senza rimanere nei confini tracciati dalla notizia criminis sviluppata dal P.m. In 7 Cass. pen., sez. V, 5 giugno 2000, n.3252. Conf. Sez. VI, 31 gennaio 2003, n.7356. Cass. pen., sez. V, 12 luglio 2001 n.34717. Conf. Sez. VI, 16 aprile 2003, n.26406. 9 Cass. pen., sez. I, 15 ottobre 1998, n. 5031. Conf. Sez. II, 16 novembre 2004, n.332. 10 Corte Cost. n. 88 del 1991, n. 417 del 1991, n. 263 del 1991, n.478 del 1993, n.34 del 1994, n.176 del 1999, n.349 del 2002. 8 6 conseguenza è stato affermato che i rapporti tra G.i.p. e P.m. non sono legati all’oggetto dell’imputazione elevata dal P.m. ma al rapporto esercizio dell’azione penale – controllo giudiziale. Tuttavia, è altrettanto evidente che il G.i.p. non può prendere iniziativa ed esercitare l’azione penale in nome e per conto del P.m.11 Utilizzando i principi menzionati per ricavare quanto non espresso dagli articoli 409 e 415 c.p.p., la Corte di Cassazione ha affermato che il Giudice può ordinare l’iscrizione nel registro degli indagati di due soggetti non precedentemente sottoposti a indagini. Al contrario è abnorme, perché viola l’articolo 112 Cost., l’ordinanza con cui il Giudice fissa direttamente la nuova udienza. Infatti, tale provvedimento lede le prerogative del P.m. di orientarsi autonomamente all’esito delle ulteriori indagini ponendo un vincolo alle sue valutazioni sull’idoneità degli elementi acquisiti a sostenere l’accusa in giudizio (art. 125 disp. att. c.p.p.).12 Utilizzando il medesimo ragionamento il Supremo Consesso ha recentemente risolto le questioni ai punti sub B) e C). Nel caso di specie il P.m. iscriveva nel registro notizie di reato solo uno dei due soggetti denunciati per stalking per cui, successivamente, aveva chiesto l’archiviazione. Il G.i.p., invece, ordinava l’imputazione coatta per i reati di ingiuria e minaccia aggravata a carico di entrambi i soggetti originariamente denunciati. Pertanto, si trattava di risolvere la questione concernente la possibilità per il G.i.p. di ordinare l’iscrizione e l’imputazione coatta per soggetto fino all’ora mai indagato e di ordinare l’imputazione coatta, ma per reati diversi, nei confronti di soggetto già indagato. Preliminarmente le Sezioni Unite hanno ancora ricordato che non è in discussione il potere del G.i.p., normativamente previsto, di ordinare l’iscrizione nel registro notizie di reato di soggetti non indagati (art. 415 comma 2 c.p.p.), di indicare ulteriori indagini (art. 409 comma 4 c.p.p.) e di ordinare la 11 12 Cass. pen., Sez. Un., n. 22909 del 2005. Cass. pen., Sez. Un., n. 22909 del 2005. 7 formulazione dell’imputazione coatta (art. 409 comma 5 c.p.p.). La legittimità della normativa è stata avallata dalla Corte Costituzionale secondo cui il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale esige che il controllo di legalità investa l’integrale risultato di indagine senza possibilità di imporre limiti devolutivi in relazione alla domanda del P.m.13 Pertanto, è giustificato sia il potere del Giudice di disporre nuove indagini sia di ordinare l’imputazione.14 A tal proposito è stata dichiarata insussistente la lesione dei diritti di difesa per non aver l’indagato, a causa dell’imputazione coatta, ricevuto l’avviso ex articolo 415 bis c.p.p. giacché il giudizio camerale consente la piena ostensione delle indagini e la possibilità di difendersi presentando memorie o facendosi ascoltare (art. 127 c.p.p.).15 Per gli stessi motivi è stato ritenuto consono a Costituzione il potere del Giudice di ordinare l’iscrizione nel registro degli indagati delle persone cui il reato sia attribuibile.16 I principi descritti rendono costituzionalmente compatibile la disciplina agli articoli 409 ss c.p.p. ma segnano anche il suo limite. Infatti, i poteri attribuiti al G.i.p. in materia devono essere interpretati restrittivamente per evitare l’ingerenza dell’organo giudicante nella sfera di autonomia della pubblica accusa e la lesione dei diritti di difesa. Pertanto, è abnorme il provvedimento del G.i.p. che oltre a ordinare l’iscrizione nel registro delle notizie di reato di soggetto mai indagato (potere lecito) impone anche l’imputazione coatta. Tale soluzione costituisce un’indebita ingerenza del Giudice nei poteri dell’organo inquirente il quale deve essere prima libero di indagare a tutto campo, nei confronti del nuovo indagato, e poi autonomo di adottare le sue determinazioni. L’ordinanza lede anche le prerogative difensive del soggetto non indagato poiché quest’ultimo, oltre a non ricevere l’avviso ex articolo 415 bis c.p.p., rimarrà estraneo al procedimento camerale per non aver 13 Corte Cost. n.478 del 1993. Corte Cost. n. 88 del 1991. 15 Corte Cost. Ord. n. 348 del 2005 e n. 286 del 2012. 16 Corte cost. Ord. n.176 del 1999. 14 8 ricevuto l’avviso ex articolo 409 comma 1 c.p.p.17 Il medesimo ragionamento è utilizzabile al caso in cui il G.i.p. ordini l’imputazione coatta per reati diversi da quelli individuati dal P.m. nella richiesta di archiviazione. Anche in tal caso il P.m. sarebbe costretto a contestare i fatti così come emersi dalle indagini senza possibilità di approfondire le circostanze utili a sostenere l’accusa per il diverso illecito o valutare l’opportunità di chiedere ancora l’archiviazione. Pertanto, il provvedimento del G.i.p. che dispone l’imputazione coatta per reati diversi da quelli individuati dal P.m. costituisce atto abnorme. Avvocato Giuseppe Germinario. 17 Cass. pen., Sez. Un., n.4319 del 2014. 9
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