39 TEV_cap_1

1. VALORE DI UTILITÀ SOCIALE
DELLE RISORSE AMBIENTALI
di Maria Cipollaro e Francesco Riccioli
Il lavoro si pone l’obiettivo di sviluppare strumenti di valutazione, che
permettano all’operatore pubblico di effettuare una comparazione diretta tra
la dimensione della spesa sostenuta per l’adozione delle politiche di conservazione, promozione e protezione delle risorse forestali, implementate a
livello regionale, e il beneficio economico e sociale che ne deriva.
Dal punto di vista teorico, l’ambito in cui si muove la ricerca è quello
dell’analisi costi-benefici e dell’estimo pubblico, basati entrambi sui principi dell’economia del benessere.
I sistemi forestali svolgono una serie molto complessa di funzioni a beneficio della società. Tra le principali ricordiamo la produzione di materie
prime e di prodotti non legnosi, la protezione idrogeologica, la funzione
estetico-ricreativa, la conservazione di particolari habitat. Molti dei beni e
dei servizi erogati dai boschi sono costituiti da esternalità e beni pubblici:
queste due categorie di beni sfuggono dal sistema del mercato e dei prezzi,
nel senso che per essi non esiste effettivamente un mercato, oppure il mercato non si rivela capace di definirne correttamente il valore.
Effettuare una valutazione economica delle risorse forestali in ottica
pubblicistica comporta, tuttavia, la necessità di attribuire un valore monetario anche ai beni e servizi senza mercato erogati dai soprassuoli forestali.
La diversità del parametro obiettivo da massimizzare da parte dell’operatore pubblico rispetto al privato (benessere sociale netto nel primo
caso, reddito netto nel secondo) implica, infatti, una diversa modalità di
valutazione dei beni oggetto di stima.
Richiamando brevemente i concetti teorici relativi ai beni economici, si
ricorda che i beni oggetto di stima possono essere classificati in base a due
principi di carattere generale: la rivalità e l’escludibilità nell’uso. Il concetto di rivalità si fonda sugli effetti fisici del bene. Se un bene è caratterizzato da rivalità nulla la fruizione di esso da parte di un soggetto non ne
compromette l’esistenza. La stessa unità di bene può essere goduta contem-
15
poraneamente da più consumatori, senza che ciò comporti la diminuzione
della soddisfazione percepita da ciascuno di essi. La rivalità assoluta contraddistingue, invece, quei beni la cui fruizione da parte di un soggetto ne
compromette l’esistenza in modo totale o parziale. La fruizione della stessa
unità di bene da parte di più soggetti non è possibile e la quantità totale del
bene è quindi proporzionale al numero dei consumatori. È opportuno, comunque, precisare che la rivalità nel consumo non deve essere considerata
in “senso strettamente fisico, ma va posta in relazione al rapporto che sussiste tra quantità utilizzata in un dato arco temporale e disponibilità complessiva della risorsa” (Tempesta 2011, p. 10).
Figura 1 – Caratteristiche dei beni
D
Rivalità
nulla
Escludibilità
assoluta
A
Rivalità
assoluta
BENI MISTI
C
B
Beni pubblici puri
Beni privati puri
Escludibilità
nulla
Fonte: Romano (2007, p. 391)
L’escludibilità esprime la possibilità, in genere tutelata dagli ordinamenti giuridici, di utilizzare il bene in modo esclusivo da parte del possessore. I detentori di beni a escludibilità nulla non sono in grado di impedire
ad altri soggetti di godere di esso, o non sono legittimati a farlo. L’opposto
si verifica per i beni a escludibilità assoluta. La non escludibilità può essere
determinata dalla natura stessa del bene o da fattori tecnici, istituzionali,
oppure etici.
Rivalità ed escludibilità dal punto di vista economico hanno importanti
implicazioni sia dal lato della domanda che dell’offerta del bene. Dal lato
dell’offerta, la non rivalità nel consumo comporta che il costo per la fornitura del bene o del servizio collettivo sia indipendente dal numero di consumatori; la non escludibilità nel consumo di un bene implica, invece,
16
l’impossibilità di imporre un prezzo a chi trae un beneficio dall’uso del bene stesso e, quindi, di istituire un mercato del bene.
Dal lato della domanda, la non escludibilità nel consumo induce gli individui a comportarsi da free riders, non rivelando le proprie preferenze in
attesa che altri sopportino il costo per un determinato bene o servizio pubblico, di cui potranno, comunque, usufruire. A causa della non rivalità la
domanda di un bene risulterà soddisfatta per la sola esistenza del bene stesso, essendo nullo il costo sostenuto per ogni fruitore addizionale (costo
marginale). Ciò comporta che, nessun individuo, agendo da soggetto privato, vorrà intraprendere la produzione di beni a fruizione pubblica, non
potendo trarne dei benefici economici: “la produzione di tali beni sarà
quindi appannaggio dell’operatore pubblico, che ne ripartirà il costo, per
esempio, mediante lo strumento fiscale” (Aa. Vv. 2006, p. 27).
Considerando contemporaneamente l’escludibilità e la rivalità nel consumo, i beni possono essere suddivisi in quattro categorie: beni privati puri,
beni di club, beni comuni, beni pubblici puri.
I beni pubblici puri sono caratterizzati da rivalità ed escludibilità nulla,
i beni privati puri, al contrario, da rivalità ed escludibilità assoluta. I beni di
club e i beni comuni, invece, risultano contraddistinti rispettivamente da
rivalità nulla ed escludibilità totale e rivalità totale ed escludibilità nulla.
A queste categorie si associa quella dei beni impuri o misti, che rappresentano i casi intermedi, contraddistinti da intensità variabili di escludibilità
e rivalità. Come evidenziato da Merlo (1991), tuttavia, la definizione di bene misto viene convenzionalmente riferita alla sola rivalità: un bene misto
presenta, cioè, una componente privata che dà luogo a rivalità di consumo e
una componente pubblica, aperta a tutti.
Il bosco si configura, in particolare, come bene misto, presentando
contemporaneamente caratteristiche di bene pubblico e di bene privato. La
componente privata (che in genere coincide con la produzione legnosa) afferisce al proprietario, la componente pubblica è invece rappresentata da
tutte le esternalità positive che un soprassuolo forestale genera e di cui la
collettività beneficia.
Per fornire una definizione del concetto di esternalità facciamo riferimento a Pearce (2003, p. 36), il quale le definisce “effetti collaterali e non
intenzionali della produzione e del consumo che influiscono, positivamente
o negativamente su terzi”. Dal punto di vista economico la presenza di
esternalità assume rilevanza perché le scelte degli individui sono effettuate
sulla base di prezzi e di costi che non riflettono l’effettivo valore sociale dei
beni e dei prodotti consumati: “solo prendendo in considerazione questi costi esterni […] sarà possibile spingere il livello di produzione ottimale di un
17
mercato guidato dalla ricerca del profitto verso il livello di produzione socialmente ottimo” (Pearce 2003, p. 82).
Valutare un bene significa misurare la sua capacità di generare utilità,
cioè di soddisfare i bisogni dei soggetti che ne fanno uso. Il sistema economico, basato sullo scambio e sulla moneta, esprime il valore di tutti i beni in termini di prezzo, vale a dire di quantità di denaro con il quale il bene
può essere scambiato. L’assenza di un prezzo di mercato per un bene nel
suo complesso o per le esternalità che produce, tuttavia, non implica necessariamente che il bene sia privo di valore né, tantomeno, che non possa essere considerato un bene economico a tutti gli effetti. Strettamente associato al concetto di “bene economico” troviamo quello di scarsità: un bene
economico è scarso se la sua quantità è inferiore alla richiesta della collettività, in riferimento a un determinato luogo e momento temporale. Inoltre,
“il fatto che molti beni pubblici siano da considerarsi beni economici emerge chiaramente dal comportamento dei consumatori che rinunciano a parte
del loro reddito per poterne fruire” (Tempesta 2011, p. 41).
Secondo la teoria welfaristica è possibile determinare il valore dei beni
e servizi senza prezzo, sulla base della disponibilità a pagare (WTP) o ad
accettare (WTA) un dato ammontare di reddito per un cambiamento di benessere individuale (Romano 2007). Tale disponibilità a pagare (o ad accettare) rappresenta un valore soggettivamente attribuito dal consumatore a
una quantità di bene e coincide con il prezzo del bene, nel caso che esista
un mercato e non sia distorto. Nel caso in cui, al contrario, il mercato di un
bene non esista o sia distorto la WTP e la WTA rappresentano i principali
strumenti per la stima dei benefici sociali che il bene è in grado di produrre.
La teoria economico-ambientale postula che “un cambiamento nella
qualità o nella dotazione di risorse naturali può avere una rilevante influenza sulla qualità della vita e sul benessere degli individui che compongo una
società” (Romano 2007, p. 396). L’entità di queste variazioni può essere
misurata in termini monetari: la moneta rappresenta, infatti, una misura dell’utilità che un individuo attribuisce ai beni e ai servizi che influenzano il
proprio benessere. L’attribuzione di un valore ai beni ambientali si fonda
sulla misura della disponibilità a pagare in circostanze in cui i mercati non
riescono a rivelare questa informazione (Pearce 2003); metodologicamente
ciò è possibile attraverso la stima della disponibilità a pagare (WTP) o ad
accettare (WTA) un dato ammontare di reddito per un cambiamento di benessere individuale, conseguente a una modificazione qualitativa o quantitativa nella disponibilità del bene o del servizio ambientale stesso.
Il principale costrutto teorico che permette di effettuare la misura di
18
queste variazione è costituita dal surplus del consumatore1. Il surplus del
consumatore può essere definito come la differenza tra la quantità di denaro
che i consumatori sono disposti a pagare per un bene (valore lordo) e la
quantità di denaro che effettivamente spendono per il bene stesso (valore
finanziario) (Aa. Vv. 2006, p. 47): il valore lordo corrisponde a una misurazione dell’utilità totale di un bene, mentre il valore finanziario è espressione della disutilità percepita per ottenerla. La differenza ottenibile sottraendo
la misura dell’utilità totale da quella della disutilità percepita per ottenerla
rappresenta un valore dell’utilità netta ritraibile dal consumo del bene. Nel
caso di beni a fruizione pubblica, in particolare, il valore lordo dei beni coincide con il valor netto, poiché il valore finanziario di essi è nullo.
Poiché le risorse ambientali sono in grado di influenzare il benessere
degli individui in molteplici modi, per poter procedere alla valutazione monetaria di essi occorre individuare le differenti categorie di valore coinvolte.
Non c’è ancora una totale uniformità in letteratura scientifica su tale classificazione. In accordo con Pearce (2003) il valore economico dei beni che
hanno rilevanza ambientale è costituito da due categorie di valori, il valore
d’uso e il valore non di uso. Il valore d’uso (Vu) e il valore non di uso (Vnu),
rappresentano le componenti del Valore Economico Totale (VET), a cui si
fa riferimento in economia delle risorse:
VET = Vu + Vnu
Un approfondimento del VET verrà fornito nel paragrafo successivo: in
questo contesto ci si limita a ricordare che i valori d’uso dipendono essenzialmente dalla possibilità di ottenere un beneficio personale tramite
l’interazione fisica2 con il bene ambientale, mentre i valori di non uso afferiscono alla componente altruistica del comportamento umano (Tempesta
2011). Valore di uso e valore di non uso risultano a loro volta scomponibili
in più componenti, ognuna delle quali è espressione rispettivamente del tipo
di utilità che il bene ambientale fornisce al soggetto economico che ne beneficia, oppure di un particolare atteggiamento altruistico che l’individuo
1
Un primo approccio teorico organico della misura del surplus del consumatore si deve a
Marshall, che effettua la sua misurazione a livello di reddito costante. Successivamente
Hicks ha effettuato un importante perfezionamento della nozione di surplus, introducendo
nella sua misurazione anche gli effetti di reddito causati da una modifica del prezzo e/o nella
disponibilità dei beni economici.
2
L’interazione fisica può essere di tipo volontario o non volontario. Nel primo caso si
avranno dei benefici diretti di tipo estrattivo o non estrattivo, nel secondo caso, invece, dei
benefici indiretti che assumono la natura di servizi (Tempesta 2005).
19
può mettere in atto nei confronti del bene stesso o della società. Per poter
effettuare la valutazione del VET è necessario procedere alla stima di ogni
sua componente: per un bene ambientale esiste, infatti, una domanda diversa (di uso attuale e futuro, di esistenza, di opzione ecc.) per ogni singola attribuzione di valore che i differenti gruppi sociali ripongono nel bene (Romano 2007).
Dal punto di vista estimativo, la valutazione economica delle funzioni
sociali svolte dai boschi, effettuata in ottica pubblicistica, rende non sempre
corretto il ricorso ai criteri di stima fondamentali (valore di costo e valore
di mercato). I benefici prodotti dalle risorse forestali possono essere valutati
utilizzando approcci basati sul mercato e sull’offerta3 soltanto in alcuni casi: questa condizione si verifica, per esempio, per quei beni e servizi che
hanno caratteristiche di vendibilità (nel caso delle risorse forestali, per
esempio, gli assortimenti legnosi o i prodotti del sottobosco) o per i quali
esistono reali beni surrogati4. L’ottica pubblicistica impone, comunque, che
l’uso degli approcci di valutazione avvenga secondo le indicazioni metodologiche dell’analisi costi-benefici per quanto riguarda il sistema dei prezzi utilizzato, la scelta del saggio di sconto, i costi e i benefici da considerare. È necessario, tuttavia, sottolineare che il ricorso esclusivo ai criteri di
stima tradizionali permette di mettere in evidenza soltanto gli aspetti finanziari del bosco (riconducibili, cioè, alla sua capacità reddituale).
I limiti del ricorso al valore di mercato o al valore di costo da parte dell’operatore pubblico nella formulazione dei giudizi di stima di beni e servizi ambientali sono stati oggetto di un acceso dibattito negli ultimi decenni.
In particolare è emersa la necessità di introdurre un criterio di stima in base
al quale fosse possibile valutare non tanto il valore di mercato, quanto il
valore d’uso e il valore di non uso dei beni oggetto di valutazione. Queste
motivazioni hanno indotto i cultori dell’estimo a individuare un ulteriore
aspetto economico, l’aspetto economico del valore di utilità sociale (Forte
1968; Romano 2007).
Con l’introduzione in campo estimativo del più probabile valore di utilità sociale cambia radicalmente il punto di vista della valutazione, passando da una visione privatistica dei beni oggetto di stima, alla considerazione
degli interessi per la collettività. Il valore di utilità sociale riguarda, infatti,
“il valore attribuito dalla collettività a un bene, espresso come la somma
delle utilità individuali di coloro che hanno un interesse nei confronti di esso” (Romano 2007, p. 848).
3
Facendo, quindi, riferimento alle metodologie tipiche dell’estimo dei beni privati.
Nel caso di beni ambientali si considerano beni surrogati quei beni che sono in grado di
produrre flussi di benefici analoghi a quello del bene oggetto di stima (Tempesta 2011).
4
20
Dal punto di vista operativo, per effettuare la valutazione dell’utilità
sociale occorre stimare la funzione di domanda del bene da parte della collettività, relativamente alle molteplici funzioni che esso può fornire (Romano 2007). Il valore del bene oggetto di stima sarà quindi dato dall’area sottesa dalla funzione di domanda, la quale rappresenterà, allo stesso tempo,
l’utilità dei consumatori e la loro disponibilità a pagare o rendita, nel caso
in cui non venga sostenuto alcun costo da parte di essi per disporre del bene
(situazione che si verifica, per esempio, per i servizi pubblici erogati dal
bosco e dall’ambiente).
1. Il concetto di Valore Economico Totale
A partire dagli anni Sessanta, viene presa in considerazione la problematica di una corretta valutazione dei beni ambientali, ovvero beni senza
prezzo o con prezzi che non rispecchiano adeguatamente il loro valore.
Come descritto nel precedente paragrafo, prende campo un valore prima
non considerato, il valore sociale, grazie al quale una valutazione di una risorsa non si basa solo su preferenze individualistiche tendenti alla massimizzazione del benessere personale: prende vita il concetto di sviluppo sostenibile, includendo così il dovere di perpetuare le buone condizioni e il
corretto funzionamento dell’intero sistema ambientale.
Da un punto di vista economico-estimativo il concetto di bene ambientale viene accostato a quello di bene pubblico, caratterizzati entrambi
dall’assenza di mercato e dal non essere soggetti a diritti di proprietà. Per
tali beni non è possibile determinare il valore di mercato, in quanto è indispensabile prendere in considerazione tutta una serie di aspetti materiali e
immateriali, che vanno al di là del valore dei beni prodotti dal sistema ambiente, ma che considerino l’opportunità di godimento di tali risorse da
parte delle generazioni future e tutelino l’esistenza e la salvaguardia delle
specie diverse dall’uomo. Viene introdotto il concetto di Valore Economico
Totale (VET) grazie al quale è possibile affrontare i problemi legati al fatto
che i criteri del costo (per poter utilizzare il valore di costo è indispensabile
che il bene sia in qualche modo riproducibile) e del prezzo di mercato (come prima accennato, mancando il diritto di proprietà ed essendo non trasferibili, per tali beni non esiste un mercato a cui riferirsi) non possono essere
utilizzati per la stima di questi tipi di beni. In letteratura vi sono diversi
schemi idonei a descrivere il VET dei beni ambientali: Silvestri 2005, Polelli 2006, Pearce 2001 (fig. 2) propongono uno schema basato sulla distinzione principale fra valore di uso (strumentale) e di non uso (intrinseco), a
21
sua volta divisi in valori diretti, indiretti e di opzione (valore di uso) e valore di eredità e di esistenza (valore di non uso).
Figura 2 – Schema del Valore Economico totale
Valore Economico Totale
(VET)
Valore di uso
(strumentale)
Valore
diretto
Valore di non uso
(intrinseco)
Valore
indiretto
Valore
di opzione
Valore
di esistenza
Valore
di eredità
Formalmente la formula del VET può essere scritta nel modo seguente:
VET = Vud + Vuin + Vo + Ves + Ver
dove
Vud = valore di uso diretto, ovvero il valore attribuito al bene in base a un
suo effettivo uso da parte del fruitore (raccolta funghi, caccia, raccolta
acqua potabile di sorgente ecc.)
Vuin = valore di uso indiretto, ovvero il valore attribuito al bene in base ai
vantaggi scaturiti dalla presenza del bene stesso ma non direttamente
fruiti dagli individui (regimazione idrica dei soprassuoli forestali come
prevenzione da possibili dissesti idrogeologici, sequestro del carbonio
al fine di limitare i danni dovuti ai cambiamenti climatici ecc.)
Vo = valore di opzione, che riflette una disponibilità a pagare per conservare
la possibilità di un possibile uso futuro del bene da parte di un singolo
individuo, da parte di qualsiasi altro individuo decida di usarlo, o da
parte delle future generazioni
Ves = valore di esistenza, ovvero una disponibilità a pagare per la consapevolezza che il bene esista, a prescindere se verrà mai utilizzato sia direttamente che indirettamente (il classico esempio è rappresentato dall’importanza dell’esistenza dei ghiacciai o della foresta amazzonica
fondamentale per il ruolo che svolge per l’intera umanità per quanto
concerne la biodiversità di flora e fauna)
Ver = valore di eredità (altresì detto valore di lascito), ovvero la disponibilità a pagare affinché le future generazioni siano in grado di usufruire
del bene, non implicando da parte di queste un uso diretto e indiretto
22
1.1. I metodi di stima del VET
Sia i valori di uso che quelli di non uso possono essere valutati attraverso metodologie che giungono a risultati monetari e non monetari. Rimandando per questi ultimi a testi specializzati per un loro ulteriore approfondimento, l’esigenza di conoscere, in termini monetari, il valore economico dei benefici che la collettività ritrae dal bosco può essere affrontato
attraverso metodi di stima capaci di valutare i beni ambientali (pubblici)
caratterizzati dal massimo grado di non esclusività dal lato dell’offerta e
non rivalità, dal lato della domanda (Cornes e Sandler 1986). Per questi beni “l’assenza di mercato non implica che non abbiano un valore, ma piuttosto manca una misura diretta per valutarlo e, conseguentemente, per valutare quanto i cambiamenti nella sua qualità influenzino il benessere degli individui” (Casini e Ferrini 2002). A tal riguardo, molti sono i lavori in letteratura che, utilizzando diverse metodologie, hanno stimato nelle loro diverse componenti i valori ambientali; tra i tanti si possono citare i lavori sull’analisi del paesaggio (Brunori, Marangon e Reho 2006; Tempesta e Marangon 2004; Casini e Ferrini 2002; Gatti e Incerti 1998), sulle valutazioni
delle risorse ambientali (Gios, Goio e Pollini 2003; Tirendi 2003; Castello
Viaggi e Zanni 1998), sulle valutazioni della conservazione del suolo (Mastronardi 2000), sulle valutazioni del valore ricreativo del territorio (Thiene
e Scarpa 2008; Marangon e 2006; Tempesta e Thiene 2003).
Diversi sono gli schemi atti a classificare le metodologie per giungere a
un risultato monetario del VET. Si possono generalmente distinguere in
metodi diretti (valutazione contingente o tecniche di choice modelling) o
indiretti (valore di costo, metodo edonimetrico e metodo del costo del viaggio). Tempesta (2011) distingue fra metodi basati sull’offerta o sull’analisi
dei costi e metodi basati sulla domanda attraverso preferenze osservate e
preferenze dichiarate.
Fanno parte della prima categoria:
• valore del costo spesa da sostenere per le mutate condizioni qualitative
e quantitative di una risorsa ambientale;
• valore di ripristino spesa da sostenere per ripristinare un certo livello
qualitativo del bene ambientale.
Fanno parte dei metodi basati sulla domanda attraverso le preferenze
osservate:
• metodo edonimetrico che confronta due beni analoghi con diversa disponibilità di risorse ambientali, dove la differenza di valore quantifica
il bene ambientale;
• metodo del costo del viaggio (TCM) attraverso il quale si stima il bene-
23
ficio fondiario annuo di un bene (per esempio un parco) attraverso il
numero, la provenienza dei visitatori annui, il prezzo del biglietto di ingresso e i costi del viaggio.
I principali svantaggi di tali metodologie risiedono nell’identificazione di valori che spesso sottostimano o sovrastimano il bene considerato: per portare un esempio nel valore del costo di viaggio non viene
considerato il valore di opzione o di esistenza. Nel caso del valore edonimetrico è invece difficile trovare due beni analoghi che si differenziano per la diversa disponibilità di risorse ambientali il che porta a eccessive approssimazioni.
Fanno parte dei metodi basati sulla domanda attraverso le preferenze
dichiarate:
• Contingent Valuation;
• choice experiment.
La Contingent Valuation (CV) fa parte dei metodi diretti ed è basata
sulla creazione di un mercato fittizio della risorsa ambientale attraverso
questionari e interviste il cui scopo è di conoscere:
• la disponibilità a pagare (DAP) una somma di denaro per migliorare la
qualità di una risorsa ambientale, la sua disponibilità oppure per evitare
una riduzione della sua disponibilità o un peggioramento qualitativo;
• la disponibilità ad accettare (DAA) una somma di denaro quale compensazione per la riduzione della disponibilità di una risorsa ambientale
o di un peggioramento della sua qualità oppure per rinunciare a un aumento della disponibilità o a un miglioramento della qualità.
La disponibilità a pagare o ad accettare si basa sul concetto appartenente all’economia del benessere di beneficio del consumatore che mette in
relazione il prezzo di mercato e il surplus del consumatore come mostrato
nella formula:
Bc = P + Sc
dove
Bc = beneficio del consumatore
P = prezzo
Sc = surplus del consumatore (inteso, in senso hicksiano, come la differenza
fra il quantitativo di moneta che il consumatore sarebbe disposto a pagare per una certa quantità di bene e l’ammontare che effettivamente si
trova a pagare)
Il beneficio del consumatore corrisponde all’utilità derivante dall’utilizzo del bene altresì definito come la disponibilità a pagare per ottenere un determinato bene, per evitare una sua riduzione oppure come la di-
24
sponibilità ad accettare per rinunciare a un miglioramento dell’utilità o per
accettare un peggioramento dell’utilità complessiva del bene.
La valutazione contingente – così chiamata perché il valore viene stimato in maniera “contingente”, entro uno scenario simulato – si iscrive in
un contesto teorico razionalista (si suppone che chi risponde indichi una
scelta razionale di spesa) ed è spesso utilizzata in contesti di ricerca più
ampi, per esempio per fornire i valori richiesti nel quadro di un’analisi costi-benefici (e quindi in contesti valutativi di scelte alternative). In generale
si utilizza un normale questionario, in cui le domande centrali per la stima
della DAP e della DAA sono realizzate in uno dei seguenti modi:
• domande open-ended: viene richiesta la disponibilità massima a pagare
un bene (o disponibilità minima ad accettare una compensazione per la
sua assenza) senza alcun suggerimento; implica una certa difficoltà
estimativa da parte dell’intervistato, quindi è una tecnica scarsamente
utilizzata;
• domande closed ended in forma binaria (dichotomous choice): “La
modalità binaria supera i problemi derivanti dall’eventuale incapacità
dell’intervistato di attribuire un valore preciso a un bene rispetto cui
potrebbe avere una scarsa o nulla familiarità, evitando anche l’influenza esercitata dal valore iniziale di pagamento imposto con il meccanismo d’asta” (Signorello 1994). In generale i valori proposti devono variare fra gli intervistati secondo regole campionarie;
• domande open-ended guidate: la scelta dell’intervistato è limitata a una
payment card con fasce decrescenti di importi monetari;
• payment ladder (o card): come sopra, con importi crescenti mensili e
annuali; l’intervistato spunta con una V tutti i valori, dal basso, che sarebbe disposto a pagare, e con una X, dall’alto, quelli che non sarebbe
disposto a pagare;
• bidding game (asta).
Secondo Kula (1994) il problema principale legato a tale metodologia è
riconducibile essenzialmente all’atteggiamento psicologico dell’intervistato
e alla strutturazione del questionario. Kula arriva a identificare tre tipi di
distorsioni. Quella strategica è relativa a una tendenza a minimizzare
l’utilità del bene o servizio per paura di un successivo pagamento per un
suo miglioramento o è relativa a una tendenza ad accontentare l’intervistatore. La distorsione informativa è dovuta a un’errata comprensione del quesito e del contesto che può sfociare in un’attribuzione di un valore generico
al bene. Infine, quella strumentale, è relativa a un ordine di grandezza, proposto dall’intervistatore, che condiziona l’intervistato o quando il bene oggetto di stima può essere confrontato con altri.
25
Per superare alcuni svantaggi della valutazione contingente negli ultimi
anni è stato proposto di impiegare nella stima del valore dei beni ambientali
i cosiddetti discrete choice experiments, che costituiscono una variante
della conjoint analysis, una tecnica impiegata da lungo tempo nel marketing. Questi si differenziano dalla CVM in quanto non analizzano solo
l’aspetto monetario del bene, ma considerano più aspetti dello stesso (per
esempio colore, sapore ecc.). In tal modo viene permesso all’intervistato di
esprimere un giudizio di valutazione sulla globalità del bene senza dover
concentrare le proprie preferenze solo su una singola caratteristica ovvero
quella monetaria.
Generalmente i questionari presentano degli schemi comuni. Hanley e
Mourato (1999) propongono il seguente:
• il bene da valutare è disaggregato in più attributi e livelli;
• la scelta posta all’interessato è fra diversi scenari di offerta alternativi
(contingenti) caratterizzati da differenti livelli degli attributi;
• l’analisi si struttura su scelte ripetute effettuate su nuclei di scelta composti di almeno due alternative, dai quali si ottengono i dati necessari
alla stima delle misure di benessere e delle DAP medie e mediane.
Utilizzando tale metodo si possono misurare, quindi, le preferenze e le
variazioni di benessere associate a scenari alternativi allo status quo dove
solo uno, o una serie di attributi, variano. Questo permette di valutare la significatività di ogni singolo attributo, servizio o funzione del bene ambientale, come fattore esplicativo della domanda. Inoltre, si possono valutare le
variazioni di benessere fra lo status quo e gli scenari alternativi delineati,
aggregando il valore dei singoli elementi che definiscono l’offerta in un
dato scenario. Lo svantaggio maggiore sembra derivare dal numero di
scelte ripetute, che l’intervistato deve effettuare, relativamente a un bene
che è suddiviso in molti attributi e livelli, il che rende difficile l’intervista e
pregiudica “l’esattezza” delle risposte.
Da non trascurare l’opportunità di stimare il Valore Economico Totale
attraverso i Benefit Transfer che si basano sulla raccolta di valori stimati
per il bene in esame in altre ricerche effettuate nel territorio nazionale, internazionale o mondiale. Nel dettaglio, il Benefit Transfer, ha come scopo
principale il trasferimento di dati da uno “study site” a un “policy site”, ovvero la trasposizione di dati da una zona per la quale sono disponibili un
sufficiente numero di analisi ottenute attraverso una ricerca primaria (study
site) a un’altra per la quale gli stessi dati non sono disponibili o lo sono in
maniera limitata (policy site).
L’attendibilità della stima dipende essenzialmente dai problemi sulla
reperibilità dei dati e dal grado di corrispondenza fra le due zone, che do-
26
vranno avere caratteristiche simili. Come suggerisce Raggi (Raggi et al.
2008) è importante infatti che venga rispettato il “principio di similarità”
fra study e policy site riguardante il bene e la dimensione della sua variazione, quelle che sono le caratteristiche socio-economiche di entrambi i siti
e le componenti del valore economico totale da stimare.
Tale metodologia si basa sui risultati di valutazioni economiche e più
dettagliatamente si fonda sull’utilizzo di dati derivanti da stime condotte su
tutto il territorio oggetto di stima. Nel dettaglio il Benefit Transfer può essere condotto attraverso i 4 metodi di seguito elencati:
• single point estimate transfer;
• average value transfer;
• demand and benefit function transfer;
• meta analysis function transfer.
Attraverso i primi due metodi, appartenenti alla categoria del “Value
Transfer”, si trasferiscono direttamente al policy site singoli valori o valori
medi appartenenti al sito di studio, mentre con il terzo e quarto metodo, appartenenti alla categoria “Function Fransfer”, vengono trasferite e adattate
al policy site funzioni di domanda derivanti dai siti di studio.
Il vantaggio di questa metodologia risiede nel fatto che, evitando la
realizzazione di un’analisi vera e propria, ma adattandone una già fatta,
permette un risparmio notevole di tempo e risorse. Per contro va sottolineata una forte correlazione fra i risultati del trasferimento del beneficio e
la qualità dell’analisi originaria. Da non dimenticare inoltre come il contesto dello study site, per quanto simile, difficilmente potrà essere equiparabile al policy site per tutta una serie di elementi essenzialmente collegati al contesto temporale e a quello biofisico. Numerosi sono i riferimenti bibliografici relativi all’uso dei benefit transfer; è stato creato anche un database consultabile on-line: The Environmental Valuation Reference Inventory (EVRI)5.
2. Definizione delle funzioni svolte dal bosco
Da un punto di vista operativo dovendo stimare il Valore Economico
Totale delle risorse forestali è necessario definire le funzioni che un’area
boscata assolve.
Dall’esame della letteratura è possibile identificare diversi benefici
5
Disponibile on-line www.evri.ca/Global/HomeAnonymous.aspx [ultimo accesso 17 gennaio 2013].
27
(funzioni) del bosco sia dal punto di vista economico che dal punto di vista
sociale e ambientale. Zhongwei et al. (2001) identificano un set di funzioni
basate sulla regimazione idrica, sulla conservazione del suolo, sulla regolazione dei gas serra e sulla produzione di legname o altri prodotti forestali.
Pearce (2001) con Pettenella e Secco (2006) identifica i vari benefici del
bosco nella produzione di legname e altri prodotti legnosi, prodotti forestali
non legnosi, educazione, nel turismo e attività ricreative, nella protezione
idrogeologica, regimazione e filtrazione delle acque, nel miglioramento
fertilità del suolo, difesa dall’erosione, difesa dagli incendi, nella fissazione
del carbonio e nella conservazione della biodiversità.
Adattando il modello di Cavatassi (2004) allo schema proposto nella
figura 2 è possibile stimare il Valore Economico Totale attraverso la definizione dei seguenti valori:
• valore di uso diretto della risorsa bosco: legname, paleria, prodotti forestali non legnosi come funghi, tartufi ecc., turismo e ricreazione intesi
come prodotti e servizi forestali che forniscono un beneficio privato;
• valore di uso indiretto: protezione idrogeologica, regimazione e filtrazione delle acque, miglioramento fertilità del suolo, difesa dall’erosione, prevenzione incendi, fissazione del carbonio e conservazione
biodiversità intesi come benefici che potranno derivare dalle funzioni
ambientali della foresta;
• valore di opzione: protezione della biodiversità, conservazione dell’habitat, considerati come possibili benefici che deriveranno in futuro
dalla foresta;
• valore di esistenza: protezione della biodiversità e dell’habitat intesi
come possibili benefici che deriveranno dalla foresta per le generazioni
future;
• valore di eredità: protezione della biodiversità, dell’habitat e delle specie in pericolo di estinzione, ovvero benefici che derivano dalla consapevolezza che la foresta esista.
Come indicato la toscana ha una grossa copertura forestale, pari a circa
il 50% del territorio regionale, caratterizzata da boschi con formazioni caducifogli (cerro, roverella). Questi coprono 414.000 ettari del territorio regionale, pari al 38% di tutta la superficie boscata, e costituiscono elementi
fondamentali del paesaggio forestale toscano. Da un punto di vista colturale
si ha una netta prevalenza del governo ceduo rispetto all’alto fusto, che è
comunque presente con oltre il 176.000 ettari nei boschi di montagna, e segnatamente nelle faggete di proprietà pubblica.
Circa il 10% del territorio regionale in Toscana, per una superficie totale di circa 230.000 ettari, è coperto da parchi e aree protette. Sono pre-
28
senti 3 parchi nazionali, 3 parchi regionali, 3 parchi provinciali, 28 riserve
naturali statali, 45 riserve naturali provinciali e 59 aree naturali protette di
interesse locale.
Basandosi su quanto appena descritto il presente lavoro ha individuato
come Valore Economico Totale dei boschi toscani i valori monetari di utilità sociale delle seguenti funzioni del bosco:
• valore turistico-ricreativo;
• valore naturalistico;
• valore del servizio di regimazione dei deflussi;
• valore del servizio idropotabile;
• valore della produzione legnosa;
• valore della mitigazione dai cambiamenti del clima.
29