La crisi la supera solo chi impara dai propri errori

La crisi la supera solo chi impara dai propri errori
Franco Falorni | 16 settembre 2001
C’è una frase che da qualche anno rimbalza più di ogni altra dai palchi di congressi ed
eventi dedicati alla farmacia. E’ quella di Albert Einstein sulla Grande depressione del ‘29:
«Non pretendiamo che le cose cambino se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi può
essere una grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La
creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura». L’abbiamo sentita
ormai tutti, io stesso l’ho fatta stampare su più di tremila volantini, distribuiti ai farmacisti
nei corsi di formazione che ho organizzato.
Ora però, dopo essercela tanto ripetuta, è arrivato il momento di chiederci se questa frase in
qualche modo l’abbiamo messa in pratica, se le sollecitazioni dello scienziato sono state
colte da tutti. Io dico di no. La crisi ha decapitato con una lama affilatissima molte “pseudo
sicurezze”, ha messo a nudo come vento di bora fragilità soggettive e oggettive del sistema.
Einstein definisce la crisi una «benedizione», ma tutti noi ci siamo “inginocchiati” davanti a
tale benedizione? Ci siamo pentiti dei nostri errori? Sì perché tutti abbiamo nel nostro
passato professionale qualcosa di cui farci perdonare.
Noi commercialisti, per cominciare. Noi “professionisti dei numeri e non solo” abbiamo
fatto autocritica di tutti i consigli errati che abbiamo dispensato? Abbiamo rinunciato ai
corsi di estetica contabile per ritornare ai solidi principi etici della disciplina fiscale,
dell’ortodossia finanziaria? Abbiamo fatto rete per confrontarci reciprocamente sui problemi
del sistema farmacia e condividere una linea professionale?
Poi i titolari: sono sicuri di aver capito che il vento è cambiato? Hanno adeguato il proprio
stile di vita ai flussi finanziari reali della propria farmacia? Hanno capito che la
dichiarazione dei redditi deve sempre stare sul comodino, perché sono le cifre scritte lì
dentro (e solo quelle) a stabilire l’entità le uscite familiari? Hanno capito che l’azienda
farmacia si può con pochi indicatori economici, ma occorre tanto buon senso?
Quindi le cooperative dei farmacisti. Ho sempre sostenuto che l’istituto della cooperativa
può essere un volano per la crescita collettiva solo se c’è cooperativa vera. E non c’è dove i
soci confrontano al centesimo gli sconti del loro sodalizio con quelli offerti dalle
multinazionali (senza capire che l’eventuale differenza è il contributo da pagare per essere
liberi) oppure ricorrono a stratagemmi senza etica per sfuggire alle richieste di rientro. La
crisi mette a nudo i veri soci e offre alle cooperative un’occasione per scartare nomadi,
mercenari e corsari, anche a scapito del volume d’affari.
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Quindi le banche e le finanziarie. Pensavano che l’azienda farmacia fosse immortale per
definizione, hanno capito di aver commesso anche loro errori di valutazione? Hanno capito
che al sistema non servono iniezioni saltuarie di capitale ma risorse costanti? Hanno messo
in cima alle priorità la tutela della farmacia rurale sussidiata, pietra d’angolo del sistema?
Infine il sindacato e l’Ordine. Hanno fatto rete per trasmettere a tutti, dai titolari ai
collaboratori, il segnale che il vento è cambiato? Hanno fatto capire che chi continua a
perdersi in recriminazioni o insiste a cercare colpevoli cui attribuire la responsabilità di tutto
ciò che è stato, non va da nessuna parte?
Einstein aveva ragione, la crisi può essere una benedizione. Ma soltanto per chi ha fede
nelle proprie possibilità.