Tifocronache - Sport People

Anno 12 Numero 25 12 Luglio 2014
In questo numero troverete:
•Ciro, oltre il giorno di dolore, Pag. 2
•Cesena-Latina playoff, Pag. 64
•Gad Lerner, chi si informa..., Pag. 4
•Virtus Roma-Siena gara 3, Pag. 70
•Lettera a Ciro, Pag. 6
•Latina-Cesena playoff, Pag. 77
•Le pennette Usb e il daspo..., Pag. 8
•50 anni di Basket a Cento, Pag. 87
•Recensione “E non vorrei...”, Pag. 10
•Virtus Roma-Siena gara 4, Pag. 90
•Tor di Quinto. Colpi segreti..., Pag. 12
•Novara-Varese playout, Pag. 94
•Milan-Bari 1989/90, Pag. 16
•Metz-Le Havre, Pag. 101
•Standard Liegi-Genk, Pag. 27
•Frosinone-Lecce playoff, Pag. 107
•Cesena-Modena playoff, Pag. 35
•40 anni della Ovest Ferrara, Pag. 113
•Latina-Bari playoff, Pag. 41
•Correggese-Matelica p.off, Pag. 117
•Lille-Guincamp, Pag. 51
•Castelfidardo-Rieti playoff, Pag. 120
•Siena-Virtus Roma gara 1, Pag. 57
•25 anni BB Minervino, Pag. 123
“Sport People”, Testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Lecco, autorizzazione nº11/2003.
Editore “Ragazzi di Stadio”, Via Adda 22, 23898, Imbersago (LC). Info: [email protected].
Pensieri & Parole: Ciro, oltre il giorno del dolore
CIRO, OLTRE IL GIORNO DEL DOLORE
Se non fosse per un contesto diverso, alcune immagini del funerale di Ciro Esposito
sembravano, per certi versi, simili a quelle in occasione della cerimonia funebre di
Gabriele Sandri. Solo quando qualcuno di
noi ci lascia, purtroppo, riusciamo ancora
a sentirci una comunità coesa. Con ideali sentiti e comuni. C’è magari chi si lascia
andare ad un esibizionismo fuori luogo, per
esempio postando le proprie foto con gran
fretta sui social per dire “io c’ero”. C’è chi,
sul posto, invece di rendere omaggio anonimamente fa di tutto per farsi notare da capi
ultras di tifoserie “toste”. Ma, nel complesso, una morte che ci riguarda da vicino dà
vita ad un omaggio sentito e che, nel più dei
casi, parte dal cuore.
Chi ha partecipato al funerale di Ciro da
ogni angolo dello Stivale, ma anche chi ha
guardato le immagini dei video del funerale, sentito i cori, visto tutta quella muraglia
umana e nello stesso tempo composta, di
sicuro qualche brivido l’ha avuto. Qualche
lacrima sarà uscita, ne sono certo. E senza
dubbio, in quella piazza di Scampia accompagnata dal sole, Ciro viveva ed era presente.
Ma c’è anche il day-after. Il momento in cui,
passata l’emozione capace di abbattere
muri e pregiudizi tra di noi, si ricrea quella barriera fatta di proprie verità, di steccati
ideologici e di diffidenza. Finisce il funerale
e finisce la fratellanza in nome di uno stile di
vita comune, di un sentire che va ben oltre
radicate rivalità. In attesa del prossimo funerale, della prossima vita spezzata troppo
in fretta da piangere.
Ma Ciro, come gli altri sfortunati ragazzi che
l’hanno preceduto, può ancora continuare a
vivere, e non solo nei cuori dei familiari, degli amici, e di chi gli ha voluto bene. Ciro
vivrà per tutti gli ultras se la sua morte sarà
l’ultima; vivrà se si accetterà, finalmente,
che delle regole esistono e non vanno mai
trasgredite né derogate; vivrà nel momento
Sport People n°25/2014
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Pensieri & Parole: Ciro, oltre il giorno del dolore
in cui l’ultras, se mai accadrà, tornerà allo
stadio mettendo al centro di tutto la propria
squadra; vivrà se, pur affrontando il rivale,
lo rispetterà; vivrà se, finalmente, saremo
capaci di superare troppe divisioni interne
per creare, chissà, è un sogno, un qualcosa
di duraturo che legittimi ed organizzi gli ultras. Perché se l’unità esiste nel giorno del
dolore, allora essa deve esistere anche in
un giorno qualunque. In un Palermo-Milan
come in un Gallipoli-Casarano.
Dopo la morte di Spagna gli ultras si erano uniti nel nome di un “Basta lame, basta
infame” rivelatosi effimero, retorico, se non
ipocrita. Oggi non ci possiamo più voltare dall’altra parte, né coprirci con slogan
di facciata e, anche se quanto accaduto a
Ciro non è circoscrivibile esclusivamente
all’interno delle dinamiche ultras, vicende
tragiche come questa sono tutte legate ad
un modo sbagliato di vivere lo stadio. Dove
non si sono perse solo le regole, ma i valori di base che dovrebbero esistere sempre.
Così come le motivazioni. Perché se il quin-
dicenne esaltato va allo stadio col mito di
qualche pistolero o accoltellatore non sbaglia lui, ma chi ha solcato quella strada. Se
il quindicenne, come lo siamo stati noi, tornerà, invece, ad avvicinarsi allo stadio pensando a cori che abbattono i muri e ad un
mare di bandiere, qualcosa sarà cambiato.
E allora, in questo articolo, non voglio assolutamente spendere parole al miele dette e
ridette. Vorrei solo che ci fosse una riflessione che vada al di là del momento di dolore.
Vorrei che scorressero i nomi di tutti coloro
che hanno perso la vita per una partita di
calcio, e ci si chieda perché sono morti. In
nome di che? Di chi? Non c’è stata una sola
morte sensata. E nessuno venga a dirci che
ci sono più morti per le risse in discoteca o
per le stragi del Sabato sera, perché questo
è il nostro mondo, che a me piace ancora
guardare con gli occhi di un bambino. E negli occhi di un bambino non ci deve essere
spazio alcuno per la morte. Mai.
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Stefano Severi.
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Pensieri & Parole: Gad Lerner, chi conosce e si informa non ha paura
GAD LERNER, CHI CONOSCE
E SI INFORMA NON HA PAURA
Succede, in Italia, che troppo spesso ci si
trovi a cavalcare l’onda di un evento tragico
per fare facili sensazionalismi e buttare giù
quattro righe intrise di perbenismo e luoghi
comuni, atte ad accalappiarsi qualche follower o qualche lettore in più. Ed a farlo,
quasi sempre, non sono giovani giornalisti alla ricerca di fama e di successo, ma
bensì coloro che queste due componenti le
hanno già raggiunte da tempo e potrebbero
usarle per divulgare il proprio verbo in maniera saggia ed oculata, senza dimenticare
da dove vengono e le regole assolute che
questo mestiere teoricamente dovrebbe imporre.
Nei giorni passati ho avuto modo di leggere
le riflessioni del signor Gad Lerner sui funerali di Ciro Esposito celebrati a Scampia
di fronte a migliaia di tifosi provenienti da
tutta Italia e non solo. Il celebre giornalista
e scrittore, in passato direttore del TG1 ed
attualmente conduttore della trasmissione
Fischia il Vento in onda su LaEffe, ha esordito asserendo: “… il raduno a Scampia per
l’estremo saluto a Ciro Esposito mi ha fatto
paura. Come già quel terribile 3 maggio allo
Stadio Olimpico, ci ho visto la rappresentazione plastica dell’impotenza dello Stato
davanti a fenomeni sociali che ormai sono
sfuggiti al suo controllo…”. Dichiarazioni
alquanto opinabili e che mi lasciano a dir
poco basito.
Signor Lerner, di quale impotenza dello
Stato parla? La stessa che permette alle
questure di comminare diffide gratuite perché un gruppo di tifosi non in possesso della tessera del tifoso (a proposito, lei che da
sempre ha fatto della democrazia e della libertà d’espressione due dei propri cavalli di
battaglia, sa di cosa stiamo parlando?) si è
avvicinato troppo allo stadio dove la propria
squadra gioca in trasferta (cfr. tifosi Bresciani in trasferta verso La Spezia, quest’anno,
fermati a diversi chilometri dalla città ligure,
identificati dalla polizia e fatti soggetto di un
provvedimento restrittivo che a rigor di logica dovrebbe essere emesso solo verso chi
mette a repentaglio l’ordine pubblico, ma
penso che lei sappia di cosa parliamo...).
Oppure, visto che anche lei, in maniera sorprendentemente qualunquistica, si è voluto
accodare al treno di chi si è riempito la bocca e gli editoriali con il nome di Genny a’
Carogna, le chiedo se sa che quest’ultimo è
stato oggetto di Daspo per aver violato il regolamento d’uso dello Stadio Olimpico per
esser entrato in campo su espressa richiesta della Questura di Roma?
Passibile per lui è stato anche aver indossato una maglietta che chiedeva non impunità ma giustizia per Antonino Speziale, il
ragazzo accusato di aver ucciso l’ispettore
Filippo Raciti durante gli scontri a margine
della gara Catania-Palermo del 2007, un
caso attorno al quale gravita più di qualche
ombra e per il quale è stata da tempo richiesta la riapertura del fascicolo. Inoltre le
voglio chiedere se ritiene, quest’ultimo, un
aspetto trascurabile in un paese che si dice
evoluto e che in più di un’occasione, attraverso i suoi principali rappresentanti istituzionali ha posto più di un quesito dubbioso
sulla regolarità della magistratura e delle
sue decisioni (cfr. “invasione” del tribunale
di Milano da parte degli esponenti del Pdl,
tra i quali l’integerrimo attuale Ministro degli Interni Angelino Alfano, in seguito alla
decisione di disporre una visita fiscale per
verificare il legittimo impedimento di Silvio
Berlusconi), oltre al classico esempio degli
esponenti leghisti che nei loro deliri di onnipotenza, facendosi forti di questa tanto decantata, ma a quanto pare faziosa, libertà
d’espressione, si sono permessi il lusso di
infangare, insultare e screditare impunemente chiunque gli capitasse a tiro.
Nel suo assolo parla di una gioventù che,
priva di tutto, fa riferimento alle tifoserie organizzate. E quindi la colpa di chi sarebbe?
Degli ultras? Il nostro paese non offre nulla,
o quasi, su questo le do piena ragione. Sa
che noi giovani, spesso con lauree, master
e dottorati, ci troviamo a lavorare dentro call
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Pensieri & Parole: Gad Lerner, chi conosce e si informa non ha paura
center a 4 euro l’ora per sentirci i “vaffa…”
nelle orecchie da parte di persone a cui
spesso si propongono vere e proprie truffe? E cosa c’entrerebbero gli ultras in tutto
ciò? Lei è mai stato in una curva, oppure è
il classico che parla dopo essersi documentato attraverso Wikipedia, i video di YouTube e gli articoli di qualche suo collega che
fino al 2 Maggio neanche sapeva che cosa
fosse un fuorigioco? Sarebbe grave se fosse così, soprattutto da parte di un professionista accreditato come lei.
Sa cosa le dico? Io che le curve degli stadi italiani non solo le ho frequentate, ma ci
sono anche cresciuto. Che è vero, ha ragione, sono rimasti gli ultimi spazi di aggregazione per i nostri giovani. E fortuna che
ci sono. Perché quando verranno svuotate
anche queste, avremo la perfetta gioventù
rintronata e pecorona che forse qualcuno
sogna da tempo immemore. Nelle curve ci
sono gli eccessi, come ci sono nella società
di tutti i giorni.
Poi, signor Lerner, lei parla dei tanti Genny
che comandano uno “spazio vuoto che è
poi lo spazio crescente della disperazione
sociale e della miseria culturale”. Ma forse
parla dello stesso spazio vuoto che nella
sua gioventù lo ha spinto a fare attivamente
politica al di fuori del Parlamento? Perché
se è così parliamo di due mondi, per tanti
versi, uguali e speculari: pensi che in quegli anni nasceva proprio il movimento ultras
che lei ora tanto demonizza, ma che non
va poi tanto lontano dalle organizzazioni
politiche che lei frequentava attivamente, e
sulle quali, destra o sinistra che siano, non
mi permetto di emettere giudizi se non dopo
averle analizzate e contestualizzate nel determinato periodo storico. Anche perché ai
tempi che furono non è che lo Stato vedesse tali movimenti come un qualcosa di buono e salutare.
“Un’efficace politica dell’ordine pubblico
deve basarsi su un vasto consenso popolare, e il consenso si forma sulla paura, non
verso le forze di polizia, ma verso i manifestanti”, diceva l’ex Ministro degli Interni
Cossiga, che lei dovrebbe conoscere bene.
Insomma signor Lerner, anche se la mia parola conta meno del due di coppe quando
regna bastoni, le assicuro che lo stadio è
una risorsa importante e fondamentale per
la nostra gioventù. Un posto dove ancora
si respira il concetto di aggregazione, nonostante una repressione bieca, eccessiva
e spesso inutile oltre che sempre inconcludente, semplicemente perché mai volta a
risolvere i problemi, ma solo a dare punizioni esemplari a cui poi i media fanno eco
ammaestrando l’opinione pubblica.
Forse è questo che le fa paura. Forse è questo che l’ha spaventata venerdì a Scampia.
Tutti quei ragazzi, che non si conoscevano,
ma che si stringevano la mano ed assistevano in assoluto rispetto alle esequie di uno
di loro. Forse è il loro senso di fratellanza
ad incuterle timore. Perché un uomo solo è
facilmente manipolabile, anche e soprattutto sotto il punto di vista mediatico, mentre
un gruppo di sconosciuti uniti da un qualcosa, anche da una semplice passione, è una
bomba ad orologeria che rischia di saltare
da un momento all’altro. Soprattutto in un
momento come questo, dove gli spazi vuoti, come li chiama lei, sono troppi e sparsi
ovunque.
Forse è la semplice non conoscenza di tutto questo che le mette paura. È umano, io
da bambino avevo una paura incredibile dei
cani, pensavo mordessero di default, non
appena ti avvicinavi, poi invece ho capito
che sono gli esseri più buoni esistenti sulla
faccia della terra, ed ora ne ho due oltre ad
averne salvato qualcuno dalla strada.
Chissà, forse un giorno capirà, se vorrà,
che i tifosi, gli ultras, il tifo organizzato oltre a non mordere, non sono un coacervo
di impunità e delinquenza. Come del resto
non lo sono le redazioni giornalistiche. Basterebbe vedere le sfumature ed informarsi. La differenza è tutta là. La paura finisce
dove inizia la conoscenza.
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Simone Meloni.
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Riceviamo & Pubblichiamo: Lettera a Ciro
LETTERA A CIRO
Ciao Cì,
te scrivo sta lettera ner dialetto mio. Lo stesso che adesso, forse da lassù, starai a maledì p’esse una dell’urtime cose c’hai sentito quanno che ancora stavi qui. Che poi er
mio nun è proprio dialetto, quello se lo so
portato via l’avi, er mio è più quello che oggi
chiameno slang. Romanaccio direbbero i
veri curtori della parlata romana. Lo so’ che
da voi è diverso, da voi er dialetto lo parlate
davvero e guai a chi ve lo tocca.
Te ne sei ito in un letto d’ospedale, come
mai nessuno dovrebbe. Te ne sei ito perché
sta città, sta società e sta gente so’ cambiate, peggiorate e imbastardite in poco tempo.
Io ricordo ‘na Roma diversa, fatta de perzone ruvide e tignose, quello sì, ma de core e
comprenzive. Pronte sempre a tendete la
mano nella difficortà. Me ricordo una Roma
fatta de passioni, de violenza perché no,
ma sempre co’ criterio. Sempre co’ la testa
utilizzata e messa davanti all’istinto. Ah Cì,
quanno che ero pischelletto me diceveno
che portasse ‘n curva ‘n cortello nun stava bbene, figurete se quarche d’uno avesse penzato a ‘na pistola pe’ combatte quer
nemico ideale, quello diviso dar campanile
e dar pallone, ma che l’artri 7 ggiorni della
settimana c’aveva li stessi probblemi tua,
combatteva le tue stesse battaje e spesso
era perzino n’amico tuo. Perché la curva ha
sempre unito. Pure quanno divideva. Pure
quanno ce staveno de mezzo centinaja de
chilometri, dialetti diverzi e modi totarmente
differenti de intende la vita.
Allo stadio ce semo sempre annati, i cori
contro se li semo sempre fatti. Ma co’ rispetto, co’ sentimento, co’ quelle regole nostre
che ereno sacre e intoccabili fino a ieri e
che sembrano ‘na cojonella i davanti a tutta
quella gente che t’è venuta a trovà da ogni
parte dell’Italia e d’Europa oggi. Perché nun
ce deve solo importà chi è er corpevole, chi
è la vittima e chi è l’imputato. Ce deve importà de avè perzo pe’ l’ennesima vortà di
fronte a chi ce vede come bestie. Come parassiti da eliminà ar più presto e da utilizzà
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Riceviamo & Pubblichiamo: Lettera a Ciro
pe’ riempi’ le paggine de’ giornale e li teleggiornali della prima serata.
Io nun lo so che po esse successo quer
pommeriggio a Tor di Quinto. Nun lo so chi
c’ha ragione e chi c’ha torto. So che er male
che se semo fatti come omini, come tifosi e
come romani e napoletani, è tanto. Troppo
pure pe’ du’ città abbituate a combatte co’
tanta merda e tanto malessere tutti li santi
giorni. Guardo tu madre oggi e ripenso alla
sora Esperia, e a Antonio. Pure lui se n’è
ito come mai se dovrebbe. Strappato dalla gente sua, dalla famija e dalla Roma cor
sorriso sulle labbra, co’ quella maja giallorossa addosso e quella sciarpa piena de’
sogni. Er sogno de sbancà Milano. Er sogno de vive. Er sogno.
Cì, adesso da lissù guardece e cerca de
perdonacce se poi. Giallorossi o azzurri che
semo. Perdona chi te pija ‘n giro, perdona
chi penza che pareggianno li conti se risorveranno le cose. Qua parleno tutti de codice nun scritto, ce se riempono le bocche,
ma poi strigni strigni ormai ognuno segue
er suo de codice. Quello dell’egoismo e der
protagonismo.
Adesso vai, ‘nzieme a quell’altri che co’
le sciarpe, co’ li bandieroni, co’ le torce, li
tamburi e li megafoni te stann’aspettà pe’
fa ‘n corteo e tifa’ alla faccia de tutte le nostre piccolezze d’essere umani. Stasera me
so’ accorto che er male maggiore per noi,
semo noi stessi. E da ‘sto male nun ze guarisce. E’ un canchero. Pieno de metastasi.
Potemo fa’ tutte le terapie che volemo, ma
ormai ce l’avemo. E solo un miracolo ce lo
po guarì. Ma te ce credi nei miracoli Cì? Io
no. Perché ortre a nun crede in Dio, nun
credo manco nell’esseri umani.
Te saluto adesso, s’è fatto tardi. Vattene al
letto, come te diceva mamma quanno la
matina dopo dovevi anna’ a scola. Magari mo’ che t’addormi, te rivedrai davanti er
mare, er golfo, er Vesuvio e risentenno l’odori della città tua e della gente tua. E forse
t’immaginerai pure che Roma nun po’ esse
un letto d’ospedale, un proiettile de’ pistola
e la fine d’un viaggio troppo breve. Ma la
città dei Fori, dei Papi, der Colosseo e de
tanta gente che nun è cattiva. E come in
ogni parte der paese oggi te piagne co’ pietà, regalannote un po’ de Ponentino nostro.
Quer vento dorce e fresco che d’estate ce
allieta le serate. Perché semo umani pure
noi. Ciao Cì, ‘ste parole tiettele pe’ te.
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Pensieri & Parole: Il rincaro delle pennette USB e il daspo
IL RINCARO DELLE PENNETTE USB, IL
DASPO, ED ALTRE AMENITÀ: QUANDO
SEI GIÀ COLPEVOLE PER LEGGE
Il giornalismo nostrano compie un’altra
prodezza, segnalando, appena un giorno
prima della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, l’aumento, spropositato, dei prezzi di
vendita di PC, smartphone, tablet ma, soprattutto, hard disk esterni, chiavette USB
e tutti i dispositivi contenenti una memoria
interna. Il motivo? Una nuova applicazione
della legge del 2003 sull’“equo compenso”
per tutti quei diritti d’autore che, volenti o
nolenti, non possono essere monetizzati in
quanto rientranti nel campo delle copie illecite e non coperte dalla tassazione SIAE.
Ma cosa unisce quest’ultimo provvedimento al nostro DASPO, il quale, almeno a detta di chi ci governa, dovrebbe diventare uno
strumento di prevenzione (o di repressione,
dipende dai punti di vista) ancora più duro?
La risposta è semplice. L’aumento dei cosiddetti “dispositivi di riproduzione digitale” è, almeno ufficialmente, una tutela nei
confronti degli autori registrati alla SIAE,
che non possono vedersi riconosciuti i loro
compensi quando i loro contenuti vengono
copiati e trasmessi tramite chiavette USB,
schede di memoria, CD, DVD, ma anche
computer, smartphone e via dicendo. In
pratica io copio la musica che ho nel mio
computer su una chiavetta, magari per agganciarla all’autoradio e sentirmela anche
quando sono in macchina? Bene, secondo
il ragionamento della SIAE, solo per questo
motivo dovrei pagare i diritti d’autore. Per
non parlare di quando passo musica o filmati ad altre persone. Pagando una tassa,
pure piuttosto pesante, si riconosce il principio che tu sei colpevole di violazione delle
norme del diritto d’autore per il solo fatto di
possedere uno o più dei suddetti mezzi di
copia. All’atto pratico, una chiavetta puoi
comprarla anche solo per motivi di lavoro
e copiare materiale di tua proprietà, ma la
tassa la paghi comunque. E, nonostante lo
Stato riconosca il consumatore in anticipo
colpevole di “copia abusiva”, facendogli pa-
gare l’oneroso balzello, egli può comunque
essere perseguito, come avviene da sempre, per aver violato il copyright nel caso
che venga “beccato” con qualche dispositivo contenente copie non autorizzate e comunque non pagate. Questo, in sintesi, un
problema che riguarda la nostra vita di tutti i
giorni e sul quale si possono trovare spunti
infiniti per parlare ore ed ore.
Ma ciò che a noi preme di più, invece, è
come lo Stato, con tale provvedimento, abbia applicato una specie di “DASPO preventivo” a tutti i fruitori dei prodotti supertassati. Già, il DASPO, quel provvedimento
amministrativo ma non penale il quale, tuttavia, limita diversi principi di libertà personale sanciti dalla nostra Costituzione, che ti
costringe a trovare un avvocato, che ti vieta, magari in futuro, di fare diversi concorsi
pubblici e ti obbliga a dare spiegazioni che
non dovresti dare alle persone che ti sono
vicine, il tutto senza la quasi minima possibilità di difenderti dal provvedimento, se
non per via amministrativa e quasi mai per
questioni di merito sui fatti; tutto ciò mentre
il soggetto a DASPO può essere innocente,
può magari anche affrontare un processo
per far valere le sue ragioni e tornare ad essere “pulito”, senza però riuscire mai a riparare i danni economici, la propria reputazione e, in diversi casi, la propria vita privata
fatta a pezzi. Il DASPO, un provvedimento
per nulla garantista e liberticida, è un provvedimento ben più grave di un aumento del
prezzo della scheda di memoria SD, tuttavia risponde ad un concetto ben preciso e
terrificante allo stesso tempo: per lo Stato
puoi essere colpevole di un reato a priori,
senza nemmeno la possibilità di dimostrare
la tua innocenza. Se compri un tablet sei
colpevole, a prescindere, di violazione del
diritto d’autore, se vai allo stadio sei colpevole, a prescindere, della metà dei reati previsti dal Codice Penale. E, proprio perché
vai allo stadio, non solo ti si può applicare il
DASPO sulla base di un semplice sospetto,
ma sei preventivamente esposto al sistema
della “Questura on-line”. Anche quando ad
acquistare il biglietto è un nonno con al seguito la sua nipotina di 5 anni. Casi in cui
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Pensieri & Parole: Il rincaro delle pennette USB e il daspo
non vale più il principio di prevenzione, ma
di presunzione di colpevolezza solo perché
si compiono determinate, elementari, azioni.
Ma i casi di condanna a priori di colpevolezza nei confronti dei cittadini sono anche
altri. Per esempio, tutte le testate giornalistiche, dall’autunno scorso, hanno obbligo
di rettifica dei propri articoli senza replica,
nel caso che chiunque sia interessato al
pezzo pubblicato si senta leso per una qualunque ragione, onde non incorrere nel reato di diffamazione; essenzialmente, basta
che chiunque contesti quanto hai scritto e
ti invii formalmente la richiesta di rettifica e
sei obbligato a pubblicare la stessa senza
poter aggiungere la tua opinione, riconoscendoti, a priori, colpevole di lesa maestà,
anche quando ciò che hai scritto è provato
ed argomentato. A meno che non si voglia
rischiare di incorrere in sanzioni pecuniarie
ormai diventate pesanti.
mai collaudatissimi studi di settore: spiegando l’argomento in termini molto semplificativi, chiunque abbia un’attività propria e
guadagni ben al di sotto di quanto indicato
dai parametri medi dell’Agenzia delle Entrate per ogni categoria professionale, è messo sotto inchiesta, a prescindere, per evasione fiscale, e sta al malcapitato l’onere di
provare, con qualunque mezzo, la propria
innocenza. Tutto questo in un periodo di crisi economica, parametro del quale lo studio di settore non tiene minimamente conto, pubblicando guadagni medi, per attività,
spropositati, neanche fossimo in Svizzera.
Una volta, tutto sommato, l’ultrà poteva ritenersi un cittadino perseguitato e di “Serie B”. Oggi, per un motivo o per l’altro, il
principio di colpevolezza a priori si è esteso, potenzialmente, a tutti i cittadini italiani.
Non ne possiamo assolutamente gioire ma,
almeno, non dite che non abbiamo provato
ad avvertirvi.
Stefano Severi.
Ultimo esempio, che cito, è quello degli or-
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Culture Club: E non vorrei lo sai lasciarti mai perché
Recensione del libro:
E NON VORREI LO SAI LASCIARTI MAI PERCHÉ
Partiamo da una premessa importante, non
fosse altro che per una questione di onestà
intellettuale: io Francesco Berlingieri, aka
Lobanowski 2, l’autore del libro, lo conosco personalmente, non per questo quanto
penso e sto per scrivere di questo libro è
influenzato da ciò. Anche perché una rivista
gratuita come la nostra non ha nulla da guadagnarci a far marchette. Non a caso Francesco non lo leggo perché lo conosco, ma
lo conosco proprio perché, prima di questo,
avevo già letto un altro suo libro, “Juve o
Milan? Meglio il Foggia”, scritto a sei mani
sotto il nome multipolo di “Collettivo Lobanowski”. Un libero patto tra pari – citandoli
testualmente – che ha scelto l’anonimato
perché quello che conta sono le storie. E le
storie, quando sono valide, vanno collettivizzate, appartengono a tutti.
Una scelta che, “filosoficamente”, mi piace
molto, sia perché è la stessa che ho condiviso nell’avventura editoriale con “Sport
People”, dove a contare sono le idee e non
chi le enuncia, sia perché è per certi versi
un approccio fortemente ultras. Almeno in
teoria, visto che anche “Ultras”, o il nome
del gruppo in genere, è un’identità multipla e situazionista, un abbattimento delle
barriere individualistiche per condividere in
gruppo valori e azioni, rifuggire l’isteria etichettatrice dei media, dell’opinione pubbli-
ca e delle Forze dell’Ordine, che altro non
è che un tentativo di controllo sociale totale, come totalizzante è l’appiattimento che
ne consegue. Questo, dicevamo, in teoria,
visto che poi nella pratica tanti disattendono attraverso la mistificazione del “capo ultras”, una delle più grandi menzogne del/sul
mondo degli ultras che è un male tanto endogeno quanto esogeno. Che qualcuno a
cui l’indebita manipolazione di questa figura
egocentrica, in un movimento collettivo, in
questi anni ha fatto comodo per ricavarne
consensi, soldi, potere ricattatorio, candidature politiche, posti di lavoro, controllo su
affari criminali, ville in Costarica e qualche
coltellata o gambizzazione come effetto collaterale.
Ma sono cose che con il mondo ultras non
c’entrano granché, per quanto certa stampa
prezzolata cerchi sempre di ricamare forzosamente legami blandi che forse, con quella ostinazione, avremmo fatto meglio noi a
spazzare via definitivamente. Vabbe’, parliamo delle tre palle e del nonno flipper…
Tornando al libro, “E non vorrei lo sai lasciarti mai perché” è dunque l’opera prima
di Francesco Berlingieri come autore unico
fuori dai passi mossi e scritti in Collettivo Lobanowski. La prima preventivabile sensazione che se ne percepisce è nel guadagno
di omogeneità stilistica e narrativa, rispetto
alla precedente esperienza. Nonostante la
scelta della suddivisione in racconti, spesso
distanti tra di loro in termini di tempo quanto
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Culture Club: E non vorrei lo sai lasciarti mai perché
di argomenti, il peso specifico del filo conduttore è tale da non disorientare la lettura
per dispersione o restituire la sensazione
del deja-vu da ridondanza. Ovviamente
il filo conduttore è l’amore per la propria
squadra di calcio che chi ama davvero, visceralmente, finisce inevitabilmente per vivere “andando oltre”, da ultras, magari anche non nel senso stretto di militanza attiva
in un gruppo, come fanno papà Leonardo
o zio Franco, che una parte di sé in nome
dell’amore calcistico l’hanno sacrificata,
che qualcosa all’amata di rossonero vestita
l’hanno data, anche solo considerando la
trasmissione e la perpetuazione genetica di
questo amore trasmesso in maniera virale.
Poi ci sono le storie ultras vere e proprie,
le incursioni semi-turistiche nelle città prossime a quelle dove il Foggia scendeva in
campo, i boati, la cappa di gelo silenzioso
dopo un goal subito, le poche gioie, le amarezze, le trasferte, il viaggio come metafora
di vita. Tra le righe e fuori dalle righe, come
in qualche racconto che esula dallo stretto
contesto calcistico, c’è vita autentica che
trasuda.
“E non vorrei lo sai…” è romanzo vero e ci
racconta l’ultimo calcio genuino che abbiamo vissuto, quello visto con l’incanto mistico del bambino, rivisitato nel Subbuteo per
lavare l’onta della sconfitta che Paolo Valenti in TV o Ameri per radio avevano narrato, mentre in salotto pigramente finiva la domenica familiare ancora intrisa degli odori
del ragù e del caffè. Il calcio dell’URSS, della Mitropa Cup e dell’Anglo-Italiano in cui
piccole compagini di provincia varcavano le
sacre porte di Wembley. Un calcio dove la
passione del tifoso era strumento attivo per
scrivere pagine di epica sportiva, non mero
dato da studio di marketing atto a ideare e
rivendere gadget di gusto pessimo.
Chiara la citazione di “Ogni volta che torno”
di Paul Anka, diverse altre le citazioni musicali, cinematografiche e letterarie in una
sorta di collage socio-sportivo che diventa
una bellissima operazione “amarcord” dalla
quale si esce, voltata l’ultima pagina, non
con poca nostalgia per quel che eravamo,
come tifosi e come comunità in sé. Singo-
lare se si considera che alcuni avvenimenti
narrati sono cronologicamente anche piuttosto vicini, ma emblematici di quanto barbaro sia stato lo stupro di gruppo attuato
dalle Tv a pagamento e completato dagli
sgherri delle Tessere e dei divieti, mentre
chi doveva denunciare stava invece connivente a guardare.
Il calcio non è un prodotto, l’amore per il calcio non si attribuisce a brillanti prodotti commerciali svincolati da ogni senso di appartenenza, con efficienti quanto asettici stadi di
proprietà che non potranno mai effondere
la palpitante passione popolare delle folle
sui gradoni scalcinati dei tempi che furono.
Il calcio è emozione in grumi di terra e sangue il cui richiamo non giunge per réclame
ma, trasmessa di padri in figli, di generazioni in generazioni: Perché non è niente. Per
voi non sarà niente. Ma io li ho visti e me li
ricordo, gli occhi di quel ragazzo di trent’anni che mi teneva sulle spalle mentre una
ressa inenarrabile premeva per entrare. A
vedere Foggia-Catanzaro. In una normale
domenica di metà agosto.
Un bel libro, che mi sento di consigliare a
cuore veramente leggero e che può piacere
indifferentemente a chi mastica pane e pallone (e ultras), ma anche a chi ne è avulso
ed è solo amante di buona lettura, perché
è scritto veramente con rara bravura, molto
più godibile di tanta spazzatura che ha usato il calcio come tema di fondo (e mi mordo la lingua!). Faccia attenzione chi cerca il
classico libro ultras più di stampo fotografico, perché qua di foto non ce ne sono. Solo
parole. Parole pesanti e pensanti.
Per chiudere con le segnalazioni tecniche,
non cercatelo in libreria perché è un libro
autoprodotto (sotto l’egida di “Autoproduzione Pirata”) e non lo troverete se non in
qualcuna della zona Foggia o dei canali più
alternativi. Se siete interessati all’acquisto
contattate direttamente l’autore via email,
all’indirizzo [email protected]:
il volume è in vendita alla modica cifra di
10 € incluse le spese di spedizione. Ripeto,
detto con onestà e al di fuori dell’amicizia: li
vale tutti e molto di più.
Sport People n°25/2014
Matteo Falcone.
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Pensieri & Parole: Tor di Quinto, colpi segreti e strategie sistemiche
Tor di Quinto. Colpi segreti
e strategie sistemiche.
«I cani da guardia sono come certi sfruttati
a cui danno una divisa, un grado e il potere del
sopruso:
si trasformano in fedeli servitori di chi li tiene
alla catena,
e spesso diventano più feroci di quanti sono
da sempre abituati a esercitare il potere»
(In ogni caso nessun rimorso, Pino Cacucci)
Verso la fine degli anni ’80, precisamente il
13 dicembre del 1989, viene varata in Italia
la legge
n. 401. Con questo
passaggio di non poco rilievo, il legislatore interviene “nel settore del giuoco e delle
scommesse clandestine e tutela della sicurezza nello svolgimento di competizioni
agonistiche”, partorendo un particolarissimo dispositivo denominato D.A.SPO. (Divieto di Accesso ai luoghi dove si svolgono
manifestazioni SPOrtive). Un espediente
giuridico gravidato sulla scorta delle misure di prevenzione. Il D.A.SPO., ossia la cd.
“diffida”, così come l’obbligo di “comparire
personalmente una o più volte negli orari
indicati, nel (…) comando di polizia competente in relazione al luogo di residenza
dell’obbligato(…), nel corso della giornata
in cui si svolgono le manifestazioni” per le
quali è disposto il divieto, rivestono natura
di misure di prevenzione “atipiche”.
Questo brevissimo excursus dipana la strada ad una serie di perplessità, se rapportato
alla incombenza della limitazione in punto
di libertà personale e di circolazione derivante dalle dette misure; tant’è che queste
ultime si configurano per il fatto di essere
strumentali ad un vivisezionamento pregresso da parte di un assetto congiunto di
poteri tra loro interdipendenti, cioè l’asse
legislativo-mediatico-giudiziario. Nel senso
che la irrogazione delle limitazioni de quo,
o meglio la cd. diffida, di cui la cd. “firma”
costituisce soltanto un quid pluris, è subordinata ad una settarizzazione sociale, giacché l’esistenza di una precisa categoria di
persone che aderisce ad una data subcultura, gli ultras, rappresenta per l’interprete
il presupposto sintomatico ai fini dell’applicazione dei provvedimenti inibitori. Una dinamica socio-giuridica che mette in luce gli
Sport People n°25/2014
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Pensieri & Parole: Tor di Quinto, colpi segreti e strategie sistemiche
intenti anomali che la legge in esame sottende.
approssimativi, striscioni lunghi e riunioni
settimanali aperte a tutti gli interessati.
In Italia, sulla base di quanto accaduto illo
tempore in Inghilterra, vi è sempre stata
un’attenzione particolare nei riguardi del
movimento ultras. Fondamentalmente assecondando l’atavica logica ultralegalitaria
ossessionata dall’ordine pubblico, e volta
a destituire di ogni fondamento le pratiche
autorganizzative di matrice curvaiola che
sfuggono al controllo dello Stato. Come
Valerio Marchi ha avuto, tempo addietro,
la sensibilità di intuire: in curva ciò che va
prendendo forma in occasione della partita
è in tutto e per tutto una Zona Temporaneamente Liberata continuamente in itinere,
ovvero un palcoscenico di conflitti e di aggregazioni comunitarie proiettate al confronto.1 «Folli, devianti e criminali di ogni
tipo sono votati dalle logiche dell’ordine a
un rigoroso mutismo, e quando rimane una
fragile traccia della loro esistenza, sarà solamente quella che l’autorità o l’istituzione
avrà registrato per assicurarsi una presa su
questi corpi ribelli».2
L’idea di creare uno striscione viene attinta dagli anni ’70. Ergo si decide di creare
una “pezza”, come quella degli studenti e
degli operai, su cui imprimere il nome del
gruppo scelto all’unisono da tutti i componenti; la sigla adottata sta a dimostrare
l’adesione a determinate controculture o
fazioni politiche, piuttosto che la provenienza da determinati quartieri o rioni della città.
Lo
striscione assume una connotazione sempre più forte, al punto che gli ultras finiscono
per identificarsi in esso. Per questo motivo
l’eventuale perdita dello striscione durante gli scontri determina lo scioglimento del
gruppo. Strettamente connessa al rituale
dello striscione è quella del “materiale”. La
sciarpa o il berretto, la toppa o la maglietta,
così come l’adesivo o la spilla sono elementi che attestano la propria appartenenza al
relativo gruppo, cioè vessilli da indossare
con fierezza la cui attribuzione costituisce
un rito atteso e conquistato.
Per gli ultras, la cui etimologia ha evidenti accezioni estremistiche, e per l’attitudine
allo scontro fisico, e per la fortissima connotazione valoriale che da sempre contraddistingue questo movimento, è una sfida sotto
ogni aspetto cercare di occupare il posto
della curva dove il proprio striscione possa
avere una maggiore visibilità nei confronti
delle tifoserie nemiche o comunque una
zona che rispecchi la propria centralità
nell’equilibrio curvaiolo. Le linee di condotta
adottate dai vari gruppi variano in ragione
del modo di interpretare la propria ontologia.
Le argomentazioni di cui sopra servono a
chiarire la ratio legis posta a fondamento
dei divieti sanciti dal legislatore nell’ultimo
decennio. Invero l’impossibilità per i gruppi
non legalmente riconosciuti di esporre i propri drappi, semplicemente palesa un attacco simbolico prima ancora che sostanziale.
Con questo precipuo passaggio normativo,
accelerato da turbative dell’ordine pubblico,
i “vertici” hanno inteso destabilizzare il movimentismo da stadio nel suo aspetto più
rappresentativo, sviscerando la stessa aggressività che vi è nello strappo di un burqa
dal viso di una musulmana.
Il panorama è frastagliato, ebbene si va dai
gruppi più elitari, che si contraddistinguono
per un numero relativamente basso di persone e la rigidità della militanza, a quelli più
“clubbistici”, che di solito hanno una propria
sede sociale, dei modelli comportamentali
D’altra parte, lo striscione è l’apogeo comunicativo del movimento ultras; ed il fatto
stesso che i contenuti potessero sfuggire
ad un preventivo controllo istituzionale, ha
indotto il legislatore ad incidere tale ambito
con il filtro obbligatorio del vaglio da parte
del Questore.
Il
senso dello striscione sta nell’esternare un
pensiero che non rispetti la linearità di veduta imposta dall’informazione dominante.
1 V.MARCHI, Prefazione a Fanatics, Castelvecchi, Roma 1996, cfr.
2
A.BROSSAT, Scarcerare la società, Elèuthera, Milano 2003, cit. p. 35
Sport People n°25/2014
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Pensieri & Parole: Tor di Quinto, colpi segreti e strategie sistemiche
È pacifico che l’odierna società sia contraddistinta da un punto di vista totalizzante, cosicché ogni segmento sociale che
rappresenti in qualche misura una potenziale carica oppositiva viene fatto rientrare nell’alveo del crimine organizzato. Tale
assunto spiega anche il tentativo mediatico
di simbiotizzare il movimento curvaiolo di
alcune città, con particolare riferimento al
Meridione, con organizzazioni mafiose comunemente intese.3
La spinta determinante per il Sistema-Stato
è stato l’animus diretto alla distruzione degli
ultras al fine di neutralizzarne il ribellismo
innato; una voluntas persequendi che si è
raffinata col passare degli anni, fino al culmine della tensione, raggiunto con l’assassinio di Tor di Quinto. Riprendendo pedissequamente le critiche del Marchi, si può
serenamente affermare che a tale preciso
scopo si è reso necessario un evento mediatico sensazionale; una dinamica riprovevole sul piano umano; un precedente storico utile a relegare l’accaduto nella sfera
delle rivalità tra tifoserie.4 Dunque una serie
di circostanze utili all’ultima stretta repressiva di cui lo Stato necessitava, in questo
preciso momento storico, per rendere le
gradinate scevre da qualsivoglia scomoda
presenza.
La fase intermedia, o meglio il punto di passaggio da un inasprimento graduale volto
all’addomesticamento delle curve, ad un
repentino e drastico svuotamento, la si rinviene nel 20075. Nulla più della morte di un
servitore dello Stato può significare una destabilizzazione determinata da zone aggregative che sfuggono ad un controllo pieno
del potere, al punto da indurlo ad un clamoroso errore giudiziario6, coerente con quella
che il Marchi definisce “Sindrome di Andy
Capp”. Orbene questo stato di paranoia
collettiva necessita di alcune rilevanti condizioni, quali un generalizzato rancore dovuto
alla incertezza sul proprio presente e futuro,
che sfocia nella ricerca di capri espiatori.
In secondo luogo, la presenza di un sistema di comunicazione in grado di riamplificare gli stati di ansia collettiva. Nel caso di
specie, basti tenere conto dell’accanimento
della stampa nei confronti dei tifosi in balaustra allo Stadio Olimpico per l’ultima finale
di Coppa Italia, distogliendo l’interesse dal
fatto storico che ha determinato la morte di
Ciro Esposito.
«Le società contemporanee dispongono di
almeno tre strategie per affrontare le condizioni e i comportamenti ritenuti indesiderabili, offensivi o minacciosi, la prima consiste
nel socializzarli, cioè nell’agire a livello delle strutture e dei meccanismi collettivi che
li producono e li riproducono, assicurando
loro un lavoro o un sussidio. La seconda
strategia è la medicalizzazione: significa
cercare un rimedio medico a un problema
definito senza esitazioni come una patologia individuale suscettibile di trattamento
medico. La terza strategia adottata dallo
Stato è la penalizzazione, che serve da tecnica per rendere invisibili i problemi sociali
che lo Stato non può o non vuole affrontare
fino in fondo».7 Agevolmente si comprende
che agli ultras viene applicata la seconda
strategia, procedendo al tradizionale metodo di demonizzazione di una ontologia sotto/contro culturale che per decenni ha rappresentato una minaccia sociale concreta
rispetto alle pretese dei “piani alti”.
NdA, Rimini 2004, cfr.
Ripercorrendo a ritroso la storia, si può
ben comprendere come questi temi siano
ancorati al concetto di potere disciplinare.
Già nel XVII secolo l’apparato disciplinare
procedeva alla ripartizione degli individui
nello spazio. Basti pensare alla diffusione
del modello del convento così come quello
5
Corriere della sera del 3.2.07, pp. 2 ss.,
“Ucciso un poliziotto, calcio sotto choc.”
6
S.NASTASI, Il caso Speziale, Bonfirraro,
Enna 2013, cfr.
7
L.WACQUANT, Punire i poveri. Il nuovo
governo dell’insicurezza sociale, DeriveApprodi,
Roma 2006, cit. p. 13
3
E. QUADRELLI, Il nodo di Gordio, in
Stadio Italia, La Casa Usher, Firenze 2010, cfr.
4 V. MARCHI, La sindrome di Andy Capp,
Sport People n°25/2014
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delle caserme, accanto ai quali si diffusero grandi spazi manifatturieri. I controllori
dell’epoca infidamente si impegnavano nel
progettare un’istituzione disciplinare perfetta volta ad assicurare una distribuzione
capillare del potere. E tutt’oggi l’intento di
fondo è quello di Sorvegliare e punire.8 E
la preoccupazione ha assunto una portata
ancora maggiore, per lo Stato, nel momento in cui gli osservatori si sono resi conto
che comportarsi da ultras allo stadio acquisisce una dimensione più ampia: le condotte assunte allo stadio, o durante la trasferta, divengono uno stile di vita, un’attitudine
comportamentale; tanto è vero che il fenomeno ultras si è espanso inarrestabilmente
in senso positivo per oltre quattro decenni. I
sentimenti interni ad un gruppo si ripercuotono, in un più ampio raggio, nei confronti
delle altre tifoserie. Ed il pathos di cui ogni
gruppo è portatore, si concretizza in azioni
di vario taglio il cui tenore sfugge ad ogni
tentativo di incanalamento. Pertanto torna
ad essere di incredibile attualità la insidiosità del potere disciplinare, alla stregua di
una manovra di distruzione di ogni carica
oppositiva. La diagnosi dell’ultras-folk devil,
combinata alla volontà statuale di non farsi sfuggire la proliferazione di ragionamenti
autonomi, ha spianato la strada ad un accanimento metodologicamente ondivago ma
continuativo negli anni.
La consorteria formata dai poteri dello Stato,
a cui va imprescindibilmente aggiunto il potere mediatico, quale longa manus, è partita
col contemplare lo stadio come palestra
utile a consolidare le pratiche repressive
già in uso presso le Forze dell’Ordine.
Invero queste misure preventive sui generis sono da contemplarsi come un innesto
embrionale, da cui sviluppare nel tempo altri e più pregnanti strumenti di controllo da
applicare all’intera civiltà. «La filosofia che
ispira le strategie d’ordine pubblico negli
stadi affonda le proprie radici nella natura
stessa della nostra polizia. Se infatti esiste
nella funzione di polizia, anche in uno Stato
8
M. FOUCAULT, Sorvegliare e punire.
Nascita della prigione, Einaudi, Torino 2012, cfr.
democratico, una tensione oggettiva tra il
potere e il diritto, tra l’intervento rapido ed
efficace, che travolge resistenze e ostacoli,
e il dovere di rispettare pienamente i vincoli
giuridici, soprattutto i diritti di tutti i cittadini,
nell’ambito del tifo calcistico questa tensione oggettiva non trova spesso mediazione.
La polizia ha un notevole potere discrezionale, non solo al livello complessivo ma anche a quello del singolo poliziotto. Le forze
di polizia possono essere considerate come
policy makers, nel senso che esse “fanno
le politiche”. Questa percezione soggettiva
implica, evidentemente, un elevato tasso di
discrezionalità».9
Per strana ironia della sorte, rispetto alla
quale anche il più fatalista nutrirebbe seri
dubbi, l’accanimento militare che per anni
ha perseguitato i “violenti da stadio” ha
sgomberato le adiacenze dell’Olimpico in
occasione di Fiorentina-Napoli. Già nel
2004, la stampa nazionale fece notare la
scesa in campo degli 007 del Sisde;10 e lo
stesso CASMS (Comitato di Analisi per la
Sicurezza delle Manifestazioni Sportive)
vanta tra le proprie schiere diretti adepti dei
servizi segreti. Il vuoto di controllo avutosi
a Tor di Quinto, per i motivi sopraesposti,
assume la piega della “distrazione premeditata”. Lasciare scoperta una porzione di territorio, diffusamente frequentata da alcune
frange di romani, e facilmente raggiungibile
dai napoletani ha il retrogusto della tensione voluta. Il dato scientifico consta nell’aver
creato le condizioni affinché si potesse verificare uno scontro, anche prolungato, tra
due delle tifoserie più numerose e violente onde creare il pretesto per un successivo intervento normativo di portata ancora
maggiore di quelli avutisi dal 2001 ad oggi.
Senza pretese inquisitorie, né accanimento giustizialista, a determinare l’ennesima
morte da stadio, questa volta, potrebbe essere stata l’esplosione di una serie di “colpi
segreti”.
Giuseppe Milazzo.
9
V.MARCHI, Il derby del bambino morto,
DeriveApprodi, Roma 2005, cit. pp. 75-6
10
Il Messaggero del 24.3.04, p. 7, “Derby
sospeso, in campo il Sisde.”
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Tifocronache Amarcord: Serie A 1989/90, Milan-Bari 4-0
I BARESI E LA TRASFERTA CHE
NON DOVEVA ESSERE FATTA
Ed ecco riemergere un racconto dal
passato, quando eravamo un po’ più tifosi
e un po’ meno casual, meno eleganti forse,
di sicuro molto più ultras. Quando ultras,
significava ancora andare “oltre”.
Come quella volta, quando c’era da fare la
trasferta di Bergamo per l’ultima giornata
del campionato ‘89/’90, l’anno del ritorno in
serie A e di Joao Paulo.
A ripensarci, sembra ieri.
Durante tutta la settimana precedente,
i quotidiani sportivi (e non solo)
sottolineavano il fatto che la partita che si
sarebbe disputata allo stadio Comunale
di Bergamo sarebbe stata riservata ai soli
abbonati dell’A.C. Milan.
E proprio a causa della limitata capienza
dell’impianto sportivo bergamasco, che
a malapena era in grado di ospitare gli
abbonati rossoneri, non vennero messi
in vendita ulteriori biglietti di ingresso.
Pertanto, a più riprese, si invitarono i
tifosi baresi a non mettersi in viaggio per
assistere all’ultima partita del campionato
di serie A 1989/1990.
E allora noi cosa facemmo? Naturalmente,
partimmo!
A dire il vero, il Bari era ormai salvo da
tempo, dopo aver disputato un campionato
davvero avvincente per una neopromossa,
in cui riuscì a centrare l’obiettivo salvezza
con largo anticipo, sfiorando addirittura la
qualificazione alla Coppa Uefa, mancata
solo per un soffio.
Il merito di tutto ciò fu per un sistema di
gioco capace di mettere in difficoltà anche
gli squadroni più forti del torneo, grazie alle
qualità offensive del fantasista Joao Paulo,
divenuto nel frattempo un vero e proprio
idolo della tifoseria biancorossa.
Qualche giorno prima della trasferta, il mio
amico Silvio mi dice che ci sono alcuni
ragazzi del gruppo ALCOOL che sarebbero
intenzionati a mettersi in viaggio alla volta di
Bergamo, seppure in pochi, anche perché il
rischio di rimanere fuori o, addirittura di non
riuscire nemmeno ad arrivare nei pressi
dello stadio fa desistere la maggioranza di
loro, soprattutto dopo l’esperienza vissuta
in occasione della trasferta effettuata dagli
stessi ALCOOL a Napoli il giorno prima di
Pasqua, unico gruppo della curva nord di
Bari ad essersi messo in viaggio malgrado
la preannunciata indisponibilità di biglietti a
prezzi ragionevoli.
In quell’occasione, al manipolo di temerari
arrivato fin sotto il San Paolo, era stato
rifiutato l’ingresso allo stadio, lasciando i
giovani baresi fuori dall’impianto partenopeo
in balìa dei tentativi di aggressione da parte
di bande di locali che, a dire il vero, di ultras
avevano ben poco, essendo più interessate
ai loro effetti personali che non al materiale
del gruppo.
Malgrado tutto, verso la fine della partita
erano comunque riusciti ad entrare in tribuna
per assistere agli ultimi minuti dell’incontro.
Ad ogni modo, visto che noi tre amici già da
un po’ bazzicavamo il settore degli ALCOOL
in occasione delle partite interne dell’A.S.
Bari, decidiamo di organizzarci con quelli
del loro gruppo intenzionati ad avventurarsi
fino a Bergamo.
Ben presto, però, il numero di chi è
seriamente intenzionato a partire si
assottiglia, colpa soprattutto dei giornali,
che continuano a sottolineare il fatto che la
partita sia riservata ai soli abbonati e che
non ci saranno biglietti di ingresso in vendita
ai botteghini.
Con l’avvicinarsi del sabato sera ci rendiamo
conto di essere noi tre gli unici davvero
decisi a partire ad ogni costo.
Qualcuno dei ragazzi degli ALCOOL
vorrebbe affidarci lo striscione grande,
quello storico, che proprio da quell’anno
ha ricominciato a fare la sua apparizione
durante le partite casalinghe disputate allo
stadio Della Vittoria, così come anche in
occasione di alcune trasferte al seguito del
Bari.
Facciamo però presente che non è il caso,
non in occasione di questa trasferta, troppe
incertezze e troppo rischioso. Piuttosto ci
si potrebbe portare uno dei due vessilli più
piccoli che hanno fatto la loro apparizione
durante l’anno. Ma come al solito, vai a
capire chi ce l’ha. Dopo ulteriori giri di
telefonate, viene fuori che c’è comunque
qualcun altro del gruppo ALCOOL che ha
intenzione di partire alla volta di Bergamo
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Tifocronache Amarcord: Serie A 1989/90, Milan-Bari 4-0
e così ci si dà appuntamento in stazione
a Bari, sabato notte, per poter prendere
il solito treno diretto al Nord, quello delle
00:17.
Finalmente arriva il sabato sera. Una volta
in stazione facciamo la conta di quelli che
hanno risposto “presente” e ci rendiamo
subito conto che, stavolta, gli UCN non
avrebbero guidato la trasferta. Del resto,
anche loro leggono i quotidiani locali e
nazionali. Quindi, sanno già per certo che
nessun biglietto sarà messo in vendita e
che nessun tifoso ospite è atteso al seguito
del Bari.
Come di consueto prima di una trasferta,
nei giorni precedenti la partenza si va
a fare un giro presso la sede degli UCN,
per sapere come si stanno organizzando.
Seguiamo la prassi anche stavolta e, una
volta lì nella loro sede, ci dicono di avere
ricevuto forti pressioni dalla Questura di
Bari affinché questa trasferta non venga
effettuata. Quindi chi deciderà di partire, lo
farà a titolo personale e non come UCN.
Non sono dello stesso avviso i ragazzi del
gruppo MALATI che, come sempre, anche
quel sabato sera si presentano in stazione
con il loro ormai mitico striscione da
trasferta. Loro ci saranno, ancora una volta.
Al momento di fare i biglietti del treno, ecco
andare in scena i soliti teatrini. Visto che c’è
da andare fino a Bergamo, c’è chi prova a
fare il biglietto fino a… Foggia (!), chi fino
a Termoli, mentre i più previdenti lo fanno
“addirittura” fino a Pescara. Ma qualcuno,
che si crede più furbo degli altri, reputa più
che sufficiente pagare solo fino a Barletta.
Dopo un po’ che vanno avanti queste
scenette, ecco che i bigliettai della stazione
di Bari, stanchi di essere presi in giro,
decidono di dire “basta” e di non vendere
più biglietti del treno a quelli che, secondo
il loro insindacabile giudizio, sembrano
diretti a Bergamo per seguire la trasferta dei
biancorossi. Pertanto, il “minimo sindacale”
per salire in treno lo stabiliscono loro: se si
vuole partire, bisogna fare il biglietto almeno
fino ad Ancona e poche storie!
Al momento di salire sul treno è poi la Polfer
che cerca di imporre un’ulteriore scrematura,
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Tifocronache Amarcord: Serie A 1989/90, Milan-Bari 4-0
ma senza particolare successo. Infatti, chi
viene trovato senza biglietto di viaggio e
viene fatto scendere da un vagone, risale
un attimo dopo su quello a fianco. Alla fine,
come sempre, quando tutti sono a bordo il
treno parte, con somma gioia di tutti quei
poveri viaggiatori pendolari diretti al Nord
che di pallone, Bari ed altre questioni del
genere ne hanno ormai fin sulla cima dei
capelli.
In tutto questo delirio, ci dimentichiamo
anche dell’appuntamento con chi doveva
partire con noi e portare lo striscione
ALCOOL. A bordo del treno non lo troviamo
e quindi, al pari degli esponenti degli UCN,
è evidente che non sarà dei nostri. Amen.
Una volta a bordo del treno, ha inizio un
nuovo teatrino, quello con i controllori delle
Ferrovie dello Stato. Questi ultimi, poveri
loro, sanno benissimo di avere una bella
gatta da pelare. Di fatto, non potendo fare
nulla nei confronti di tutti quelli che mostrano
biglietti ferroviari con le destinazioni più
disparate, anche se inequivocabilmente
diretti a Bergamo, possono rifarsi giusto
su quelli che hanno fatto il biglietto fino a
Barletta o a Foggia.
Con l’aiuto della Polfer provano a farli
scendere dal treno, ma anche in questo
caso è una battaglia persa, con gente che
viene fatta scendere da una porta e che poi
risale a bordo da quella affianco. Ma alla
fine è anche vero che da Foggia in poi non
è più affar loro e perciò, tutto sommato, è
inutile insistere più di tanto.
Il viaggio d’andata, da lì in avanti, scorre
tranquillo, grazie anche ai racconti del
padre di Vito, il più vecchio e il più distinto
tra i nostri compagni di viaggio, ferroviere e
grande tifoso del Bari che ci tiene svegli con
racconti di vecchie ed epiche partite e storie
di trasferte ai confini della realtà, effettuate
in una lontana epoca pre-ultras. Vengono
così alla luce episodi incredibili, degni di
un vero tifoso del Bari, come quando con
la scusa di portare la famiglia in vacanza
a respirare un po’ di aria di montagna,
finiva sempre per ritrovarsi ”casualmente”
nei pressi delle località in cui il Bari stava
svolgendo il ritiro estivo. Oppure quella
volta che, trovandosi in servizio a bordo
di un treno che viaggiava lungo la linea
ferroviaria Adriatica, il suo convoglio si
trovò a passare per Riccione proprio mentre
il Bari disputava un’amichevole contro la
squadra locale e, giusto all’altezza dello
stadio comunale della cittadina romagnola,
un presunto “guasto improvviso” fece
fermare il convoglio davanti allo stadio
per il tempo necessario a finire di vedere
la partita, con conseguenti ritardi per tutti i
treni che viaggiavano sulla stessa linea. Più
che un compagno di viaggio, un mito!
E sì che, a proposito di compagni di viaggio,
ancora non siamo riusciti a capire in quanti
siamo ad essere partiti da Bari per questa
trasferta. Praticamente impossibile provare
a contarci, con tutto quel viavai di baresi
sprovvisti di biglietto che continuano ad
andare su e giù per i vagoni nel tentativo di
“dribblare” i controllori.
Poco male, perché lo scopriremo il mattino
dopo, una volta giunti alla stazione Centrale
di Milano, quando ci raggruppiamo per
andare a prendere la metro che ci porterà
fino alla stazione da cui partono i treni per
Bergamo.
In totale siamo circa una quarantina di
cui, a quanto pare, soltanto in sei o sette
in grado di parlare correttamente la lingua
italiana e perciò in grado di farsi intendere
dagli indigeni locali (leggi, milanesi e
bergamaschi). Il che, come scopriremo
più avanti, contribuirà a determinare alcuni
degli eventi più divertenti di questa lunga e
movimentata trasferta.
Com’è facile immaginare, i successivi tragitti
in metropolitana e sul regionale MilanoBergamo vengono effettuati utilizzando il
classico metodo detto del “Paga Matarrese”.
Questo sistema, molto in voga negli anni
’80, consisteva nell’attribuire il possesso dei
biglietti ad un fantomatico capocomitiva (di
solito il “Parigino”, anche quando non era
presente in trasferta) della cui identità, però,
il controllore di turno non veniva mai a capo.
A quel punto, per rispondere alle rimostranze
dei controllori che pretendevano di sapere
chi avrebbe pagato il biglietto di viaggio per
tutti, i più rispondevano con un classico…
“Paga Matarrese”!
Il treno locale che ci porta a Bergamo è un
trionfo di colori rossoneri, fatta eccezione
per quella piccola macchia biancorossa
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Tifocronache Amarcord: Serie A 1989/90, Milan-Bari 4-0
che occupa metà dell’ultimo vagone del
convoglio. Per la tifoseria milanista è un
giorno di festa, e non potrebbe essere
diversamente visto che anche questo
campionato 1989/90, per loro, è stato ricco
di soddisfazioni: dopo aver conteso lo
scudetto al Napoli di Maradona, si ritrovano
in procinto di affrontare, di lì a pochi giorni,
la seconda finale consecutiva di Coppa dei
Campioni che verrà disputata al Prater di
Vienna, contro il Benfica. Quale migliore
occasione quindi, per i circa 40.000 abbonati
del Milan, per salutare la propria squadra e
augurarle un “in bocca al lupo” in vista del
grande evento?
Una volta giunti alla stazione di Bergamo ci
muoviamo tutti assieme, a piedi, in direzione
dello stadio Comunale seguendo il fiume di
colori rossoneri e dilettandoci, nel tragitto,
a lanciare cori per il Bari, mentre siamo
intenti a strappare i manifesti elettorali
della Lega Lombarda e dei suoi candidati
che, in vista delle imminenti elezioni
amministrative, fanno bella mostra di sé sui
muri bergamaschi.
Arrivati nelle vicinanze dello stadio di
Bergamo, eccoci di fronte ad un altro
ostacolo, non certo imprevisto ma non
per questo da sottovalutare. Si tratta di
un vero e proprio posto di blocco, formato
da un reparto di celerini che in teoria
avrebbero il compito di filtrare la gente in
arrivo, lasciando passare soltanto coloro
che sono in possesso di un abbonamento
per accedere allo stadio e, nel contempo,
bloccare l’accesso a chiunque ne sia
sprovvisto.
C’è da “trattare” con il nemico e, tacitamente,
il gruppo affida a quelli di noi che hanno un
po’ più di dimestichezza con la lingua italiana
il compito di condurre le trattative, in virtù
di un semplice quanto scontato principio:
“Vu’ che sciat’ a la scol’, parlat ch’ chiss’”
(traduzione: Voi che frequentate le scuole
italiane, trattate con questi signori…).
Lo “stop” imposto a tutta la comitiva è un
fatto scontato quanto immediato, così come
la raffica di domande in stile interrogatorio:
“Chi siete? Da dove venite? Come avete
fatto ad arrivare fin qua? Non lo sapete che
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Tifocronache Amarcord: Serie A 1989/90, Milan-Bari 4-0
per voi oggi la trasferta è vietata?”. A nulla
sembrano portare le nostre spiegazioni
e assicurazioni circa il fatto di avere un
adeguato numero di accrediti che ci sta
aspettando presso i botteghini dello stadio.
La trattativa è in fase di stallo quando, come
una manna dal cielo, interviene la solidarietà
tra ultras (o presunti tali) a sbloccare la
situazione a nostro favore. Si avvicinano
alcuni ragazzi che si qualificano ai celerini
come appartenenti alle Brigate Rossonere
e, dopo aver mostrato ai solerti quanto
inamovibili tutori dell’ordine una sfilza di
biglietti omaggio e tessere di abbonamento,
li invitano a lasciarci passare garantendo
che, eventualmente, saranno loro a fornirci
i biglietti per entrare allo stadio.
Evidentemente, per i celerini questo gesto
li persuade a lasciarci proseguire verso lo
stadio, non senza averci prima risparmiato
le solite raccomandazioni del caso.
Ci incamminiamo verso la nostra meta,
ormai in vista, assieme a questi “salvatori
della patria” con i quali scambiamo
qualche parola. Scopriamo così che fanno
parte del famigerato “Gruppo Brasato”,
un sottogruppo delle BRN che all’epoca
era stato messo fuorilegge a seguito del
drammatico episodio in cui perse la vita il
povero tifoso romanista Antonio De Falchi.
Ci dicono anche che sono realmente disposti
a fornirci i biglietti d’ingresso, naturalmente
dietro equo compenso.
Alcuni di noi colgono l’occasione al volo,
mentre altri preferiscono tentare la carta
dell’entrata “a spinta”, approfittando della
calca agli ingressi. In tutto questo, il gruppo
“made in Bari” finisce per sparpagliarsi, tra
chi va a caccia di qualche buon samaritano
in possesso di un abbonamento in più
da regalare, chi tenta la suddetta entrata
forzosa (venendo puntualmente respinto)
e chi invece ben presto capisce che forse
è meglio provare a fare un po’ di “colletta”
tra i passanti (forma di autofinanziamento
all’epoca molto in voga) per racimolare
quanto basta per comprare il biglietto da
quei milanisti che poco prima ci avevano
aiutati a passare il posto di blocco.
Nella confusione generale ci perdiamo e ci
ritroviamo più volte, gironzolando intorno al
perimetro dello stadio e finendo addirittura
all’interno del pub solitamente frequentato
dagli atalantini, un locale che all’epoca si
trovava fisicamente incastonato nelle mura
esterne dello stadio Comunale. Lì veniamo
invitati a bere da alcuni milanisti che erano
stati in trasferta a Bari nella gara di andata,
alcuni mesi prima, e con i quali avevamo
scambiato qualche parola al termine di
quella partita.
In particolare due di loro, vedendoci passare,
ci riconoscono e ci vengono a salutare per
poi portarci all’interno del pub. Qui, con
nostra grande sorpresa e soddisfazione,
veniamo riforniti di birre (prevalentemente)
e panini, trovandoci a chiacchierare con una
quantità di ragazzi che scopriamo essere
non solo milanisti, ma anche atalantini delle
Brigate Neroazzurre, alcuni dei quali solo
poche settimane prima erano stati anche
loro in trasferta a Bari, al seguito della
squadra orobica. Evidentemente, amicizie
personali di lunga data rendono possibile
questa strana quanto pacifica convivenza
tra lombardi.
Sempre durante quel concitato e frenetico
pre-partita, fuori dal Comunale di Bergamo
facciamo amicizia con alcune ragazze della
curva sud rossonera e, in particolare, con
due di loro che vivono a Torino e con le
quali scattiamo anche una foto ricordo (nei
mesi successivi, il sottoscritto intreccerà
una relazione sentimentale proprio con una
delle due fanciulle in questione: galeotta fu
la trasferta... NdA).
Infine, per non farci mancare niente,
troviamo anche il tempo per scambiare
“complimenti” a distanza con un gruppo di
milanisti, accampati poco distante da noi e
tra i quali riconosciamo i ragazzi del Gruppo
Brasato conosciuti poco prima, in risposta ad
uno di loro che, da lontano e nascosto dietro
ai suoi soci, ci aveva apostrofati in malo
modo… in dialetto leccese!!! L’episodio,
fortunatamente, non ha strascichi ulteriori e
così ognuno riprende a farsi i fatti suoi.
Ma ormai la partita incombe e con
l’avvicinarsi dell’ora fatidica ci raggruppiamo
e facciamo la conta dei “danni”. (Foto 4) In
molti, ma non tutti, siamo riusciti a rimediare
un biglietto o un abbonamento utile per
entrare all’interno dello stadio di Bergamo
ma il problema, a questo punto, verte sul
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Tifocronache Amarcord: Serie A 1989/90, Milan-Bari 4-0
dove entrare, visto che c’è talmente tanta
gente in giro che non si riesce a capire
quale sia la dislocazione dei settori e se
esista oppure no una sorta di settore ospiti.
A risolverci il problema, questa volta, ci
pensa l’amico Schiavetto che, affacciandosi
dall’alto della curva sud, ci urla e si sbraccia
cercando di attirare la nostra attenzione,
nel tentativo evidente di comunicarci
qualcosa. Immaginiamo che voglia dirci di
raggiungerlo all’interno di quel settore dello
stadio e così, senza alcuna esitazione ci
dirigiamo all’ingresso più vicino. Riusciamo
ad entrare tutti, più o meno “a spinta”,
creando la solita confusione con i biglietti
(il cui rapporto alla fine era aumentato
fino ad uno per ogni 3/4 persone e perciò
assolutamente accettabile!).
Una volta dentro, io e i miei soci, Massi
e Silvio, andiamo dritti verso la rete di
recinzione che separa gli spalti dal campo,
per capire finalmente in quale parte dello
stadio siamo capitati. Ci giriamo con le spalle
al campo e, con nostra grande sorpresa, ci
troviamo di fronte ai tre più famosi striscioni
della curva sud rossonera. Fossa, Brigate
e Commandos. Ecco spiegato perché
Schiavetto si sbracciava tanto, non per
esortarci ad entrare ma bensì per dirci di
rimanere fuori da quel settore!
Torniamo dal resto del gruppo che,
fortunatamente, si è fermato sotto le
gradinate metalliche della curva; solo
che ‘sti matti, essendo del tutto ignari di
dove siamo capitati, nel frattempo hanno
srotolato lo striscione “Malati” e si sono
raggruppati dietro ad esso per festeggiare
il più grande successo di questa trasferta:
l’ingresso all’interno dello stadio Comunale
di Bergamo.
Così, poco alla volta, sempre più curiosi si
avvicinano ad osservare la scena, per capire
chi è questo gruppo di esagitati che fa tanto
baccano, inneggiando ad una squadra che
non è propriamente il Milan ma, addirittura,
quella contro cui i rossoneri si stanno per
confrontare. Ancora oggi mi domando come
sia stato possibile essere usciti incolumi da
quella situazione.
Un vero e proprio mistero dal momento
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Tifocronache Amarcord: Serie A 1989/90, Milan-Bari 4-0
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Tifocronache Amarcord: Serie A 1989/90, Milan-Bari 4-0
che, ad un certo punto, la situazione era
la seguente: una trentina circa di “Malati”
(nel vero senso della parola!), con sciarpe
e berretti biancorossi e con in mano uno
striscione che, all’epoca, era già molto
conosciuto in giro per l’Italia, intenti a saltare
e cantare dentro la stessa curva in cui erano
posizionati i principali gruppi ultras milanisti.
Tanto per non passare inosservati.
Alle volte mi dico che forse sono stati i colori
dello striscione “Malati” a trarre in inganno
tutti quelli che si avvicinavano ad osservare
la scena (e posso assicurarvi che non erano
pochi). Sfondo nero, scritta rossa e contorni
bianchi. Spiegazione plausibile, forse.
Altre volte mi dico che forse sono state le
facce “scomode” di alcuni del nostro gruppo.
Ma che dico alcuni, la maggior parte! Facce
non proprio da “chierichetti” che possono
aver fatto dissuadere dal tentare una
qualche azione nei nostri confronti.
Fatto sta che non siamo certo passati
inosservati, visto che dopo una decina di
minuti di quell’andazzo ci siamo ritrovati
circondati da un plotone di Carabinieri che
evidentemente qualcuno si era preoccupato
di chiamare. Questi ultimi, una volta capito
chi eravamo, hanno cominciato a rivolgerci
le solite inutili domande per poi giungere
alla fatidica conclusione: “...e ora dove vi
mettiamo? La trasferta per voi era vietata e
non è previsto un settore ospiti”.
Alcuni di noi, i soliti, ossia quelli ormai
tacitamente eletti “capicomitiva”, cercano
di trovare una soluzione decente rispetto
a quella inizialmente proposta dagli stessi
Carabinieri, che poi era la seguente: “vi
mettiamo in un angolo di questa curva e
noi intorno a fare da cordone!” a cui viene
risposto all’incirca così: “bricatiè (brigadiere),
quando questi capiscono chi siamo, nel giro
di cinque minuti si mangiano vivi a noi e
pure a voi, se la sente di rischiare?”.
Altra pessima proposta (loro): “...e vabbè
ma allora voi qua non potete stare, mò vi
riportiamo in stazione”, al che noi rilanciamo
con: “bricatiè, ma li ha visti in faccia a
questi? Glielo dice lei che dopo una notte
di viaggio, col biglietto dello stadio pagato
e con un’altra notte da passare in treno
non possono nemmeno vedersi la partita?”
e lui, dopo aver guardato i trenta esagitati
che nel frattempo continuavano a saltare
e cantare come degli indemoniati, ci fa:
“effettivamente...”!
La soluzione che proponiamo noi, mette
d’accordo tutti. Così, ci portano via dalla
curva sud e ci mettono nella tribunetta
laterale di fianco alla curva nord dove,
almeno lì, c’è un po’ di spazio libero e
non ci sono ultras milanisti a rischio di
contatto. Dopo aver attraversato mezzo
stadio passando dall’interno della tribuna, ci
ritroviamo finalmente in una sottospecie di
settore ospiti da cui poter vedere la partita.
Vengono montati gli striscioni, primo fra tutti
naturalmente quello dei “Malati” e a questo
punto occorre aprire una parentesi per far
capire la mentalità veramente “malata”
(di nome e di fatto) di questi ragazzi. In
un primo momento il loro striscione viene
appeso, giustamente, alla rete di recinzione
che affaccia sul terreno di gioco, in prima fila
rispetto alle altre due pezze esposte quel
giorno (Gruppo Pilone e Gruppo Monelli).
Ad un certo punto, vediamo che un paio
di ragazzi dei Malati stanno smontando lo
striscione per appenderlo in una posizione
molto più defilata, precisamente alla rete
che separava il nostro settore dall’adiacente
curva nord, in pratica una posizione che lo
rende invisibile ai giocatori in campo e al
resto dello stadio.
Mi avvicino per chiedere il perché di quello
spostamento e anche per dire loro che,
assolutamente, quello striscione deve stare
davanti a tutti gli altri. Loro, tranquillamente,
mi dicono una cosa del tipo: “Noooo, ma ci ijè
adaver’? Che adacsì par’ a v’dè u’ striscion’
d’ l’ sbirr’” (Trad.: No, ma ci mancherebbe.
Così sembra che lo striscione appartenga
alle solerti Forze dell’Ordine…).
Effettivamente, guardando meglio, mi
accorgo che i Carabinieri che ci avevano
accompagnati nel settore, nel frattempo
si erano posizionati uno di fianco all’altro
lungo la rete di recinzione, giusto dietro
lo striscione dei Malati. E questi ultimi,
piuttosto, hanno preferito toglierlo da lì
(effettivamente, le poche foto esistenti
scattate al settore barese, mostrano i
carabinieri a ridosso della recinzione che
separa gli spalti dal campo, ma se si guarda
attentamente, in un angolo della rete di
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Tifocronache Amarcord: Serie A 1989/90, Milan-Bari 4-0
recinzione che separa il settore ospiti dalla
curva nord, si noterà il colore grigio della
parte posteriore dello striscione Malati).
Comincia la partita e il settore occupato dai
tifosi del Bari prova a tifare come meglio
può, anche se malgrado la vicinanza al
terreno di gioco, ci si accorge ben presto
che con lo stadio pieno come un uovo è
quasi impossibile riuscire a farsi sentire dai
nostri giocatori in campo.
Se poi ci mettiamo pure che la nostra
squadra
subisce
costantemente
la
superiorità milanista, finendo per prendere
ben quattro pappine, si intuisce come il
nostro tifo quel giorno, malgrado tutti gli
sforzi fatti per riuscire ad essere presenti,
non sia stato proprio di quelli da iscrivere
negli annali.
Nel frattempo, la voce (e non solo quella)
della nostra presenza all’interno dello
stadio si è sparsa tra gli addetti all’ordine
pubblico e così, dopo un po’, nel nostro
settore prendono posto anche i celerini ed
alcuni funzionari della Digos, oltre ai già
presenti Carabinieri. Durante l’intervallo tra
il primo ed il secondo tempo veniamo anche
avvicinati da alcuni di questi funzionari
di polizia che si prodigano nelle ormai
consuete domande di rito: “chi siete? Come
avete fatto ad arrivare fino allo stadio? E
come avete fatto ad entrare? Lo sapete
che la trasferta per voi era vietata? etc...
etc...”. La cosa davvero curiosa è che ad un
certo punto, contando i presenti nel nostro
settore ospiti improvvisato, sembra quasi
che Carabinieri e poliziotti siano più di noi.
Verso la fine della partita accade un altro
episodio strano e che ancora oggi, a
ripensarci e a riparlarne, non trova una
spiegazione logica. Mentre il sottoscritto si
trovava da solo in un angolo del settore, si
avvicinano alcuni dei Carabinieri con i quali,
in precedenza, avevo “contrattato” la nostra
collocazione all’interno dello stadio. Questi,
senza troppi giri di parole, mi dicono che li
devo seguire fuori per un controllo. Alla mia
richiesta di spiegazioni non mi viene data
alcuna risposta, anzi, mi viene intimato
ancor più in malo modo di seguirli senza
protestare.
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Tifocronache Amarcord: Serie A 1989/90, Milan-Bari 4-0
A quel punto la situazione si fa tesa e i miei
due soci, Massi e Silvio, che nel frattempo
si sono accorti che qualcosa non andava, si
avvicinano e cominciano a fare “cagnara”
per attirare l’attenzione degli altri baresi
presenti nel settore, mentre i Carabinieri
ormai stanno cercando di trascinarmi via
con la forza. Attirati dal casino che ne
sta venendo fuori, si avvicinano due dei
funzionari Digos presenti, “Terminator”
e “la Signora” (chi è mai stato in trasferta
a Bergamo da fine anni ‘80 in poi li
avrà sicuramente notati), che chiedono
spiegazioni ai militari dell’Arma dai quali
si sentono rispondere che: “lo dobbiamo
portare fuori perché dobbiamo perquisire lui
e il contenuto del suo zaino”. Per mia fortuna
(forse… chissà…), i due funzionari Digos li
invitano ad effettuare la perquisizione sul
posto, in loro presenza, visto che a loro
avviso non c’è alcun bisogno di condurmi
all’esterno. Così avviene e, naturalmente,
non viene trovato nulla di compromettente.
A tal proposito, durante il viaggio di ritorno,
un ragazzo di Bari del nostro gruppo mi
riferirà di aver sentito, a fine partita, uno
dei Carabinieri che diceva che in realtà
volevano portarmi negli spogliatoi del Bari
per farmi avere le maglie dai giocatori. Mah!
Strano modo di voler premiare le mie doti
diplomatiche. Nel dubbio, meglio evitare.
Finisce la partita e oltre ai quattro goal del
Milan, raccogliamo i complimenti da parte
di tutti i milanisti che erano presenti nella
parte alta del nostro settore e nella curva
di fianco a noi, sia per la nostra inaspettata
e caparbia presenza, sia per aver provato
anche a sostenere i nostri colori. Qualche
milanista, addirittura, propone uno scambio
di sciarpe, che però non riscuote molto
successo tra i baresi presenti.
Si avvicina così il momento dell’uscita
dallo stadio, ma un altro paio di sorprese ci
attendono dietro l’angolo.
Per prima cosa, veniamo fatti transitare
all’interno della tribuna stampa, ritrovandoci
a passare praticamente alle spalle di Ruud
Gullit (!) mentre sta rilasciando le interviste
di fine gara. Naturalmente, non poteva
mancare qualcuno del nostro gruppo che
lo interrompe mentre sta rispondendo
ai giornalisti e gli chiede se per caso
non si trova qualche spicciolo in tasca
da prestargli! Poi, dopo aver assistito a
questa scenetta, un attimo prima di uscire
all’esterno, ci si para davanti una troupe
televisiva di Tele Lombardia. Un giornalista,
con tanto di microfono e cameraman al
seguito, ci ferma per chiederci di rilasciare
alcune dichiarazioni su... indovinate un po’?
Come abbiamo fatto ad arrivare fino allo
stadio… come abbiamo fatto ad entrare…
se sapevamo che la trasferta era vietata ai
tifosi ospiti: bastaaaaaaaa!!!
Al termine dei nostri cinque minuti di
notorietà, che resterà confinata ai soli
telespettatori della regione Lombardia,
veniamo scortati fino alla stazione di
Bergamo e da lì prendiamo il treno regionale
per Milano per percorrere a ritroso lo stesso
tragitto dell’andata.
A Milano saliamo sul treno diretto a Bari
rigorosamente sprovvisti di biglietti (un
classico dei viaggi di ritorno dalle trasferte
dell’epoca) e cominciamo a sparpagliarci
per il convoglio o ad imboscarci nei bagni,
dando il via al solito teatrino per cercare di
evitare il controllore, almeno fino a Bologna,
sapendo bene che poi, da lì in avanti,
difficilmente ne sarebbe passato un altro
fino al mattino seguente.
Ma questa trasferta non è ancora terminata,
così come le sorprese che ancora ci riserva.
E così, nel cuore della notte, ci ritroviamo
fermi nella stazione di Pescara, dove
all’improvviso viene spalancata la porta del
nostro scompartimento, viene accesa la
luce all’interno e, ormai strappati al sonno
in malo modo, ci rendiamo conto di avere
davanti diversi poliziotti che, per prima cosa
ci chiedono se abbiamo il biglietto del treno
per Bari e, dopo aver ricevuto la nostra
risposta negativa, ci intimano di scendere
dal treno per seguirli al posto di polizia
ferroviaria.
Assonnati come siamo, non tentiamo
nessun tipo di reazione e li seguiamo. Una
volta lì, scopriamo che il treno era fermo già
Sport People n°25/2014
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Tifocronache Amarcord: Serie A 1989/90, Milan-Bari 4-0
da un po’, per colpa di alcuni incoscienti,
apparentemente riconducibili al gruppo dei
baresi di rientro dalla trasferta bergamasca,
che durante la notte avrebbero commesso
non si sa bene quali furti o rapine a bordo
del convoglio, per poi concludere in bellezza
la loro impresa con tanto di minacce al
controllore. Quest’ultimo, esasperato, ha
richiesto via radio l’intervento della Polfer
alla prima stazione utile. Pescara, appunto.
Alla fine eccoci qui, riuniti negli uffici della
Polizia Ferroviaria. Ci siamo quasi tutti,
noi reduci della trasferta a Bergamo. Ci
vengono chiesti i documenti, per il controllo
delle generalità e dei precedenti, con la
seguente premessa: chi è a posto con la
legge si becca il verbale di contravvenzione
e poi via, fuori dalle scatole. Mentre, chi
risulta avere dei precedenti penali, rimane
in stato di fermo per ulteriori accertamenti
in merito agli episodi avvenuti a bordo del
treno.
Inutile dire che alla fine, su circa una ventina
che eravamo stati “beccati”, solo in 5 o 6
ne veniamo fuori dopo poco, con la nostra
bella multa e pronti a riprendere il prossimo
treno per Bari, dove potremo finalmente
scrivere la parola fine sull’ultima trasferta di
un campionato che ci ha regalato emozioni
a non finire.
Che poi, a pensarci, sembra ieri.
Per la cronaca, non ricordo se la maggior
parte di quelli fermati in stazione a Pescara
furono realmente portati in questura per
ulteriori accertamenti circa il presunto
autore del furto/rapina con annesse
minacce, oppure se il tutto si risolse negli
uffici della Polfer, certo è che non presero
il treno con noi ma, in un modo o nell’altro,
riuscirono comunque a tornare a Bari, visto
che diversi di loro li rividi qualche settimana
dopo, in occasione delle partite di Mitropa
Cup disputate a Bari e a Barletta.
Sport People n°25/2014
J.J.
Foto tratte dagli archivi del
Gruppo Pilone e SoloBari.it,
per gentile concessione.
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Tifocronache: Pro League Belgio, Standard Liegi-Genk 1-0
UN PO’ ITALIA E UN PO’ INGHILTERRA
Erano alcuni anni che non tornavo a Liegi,
ma quando ho avuto l’occasione di andare nella “Città ardente” per vedere l’ultima
partita della stagione dei “Rouches” (i rossi)
locali, ho preso subito la palla al volo.
ga. La cosa assurda è che l’Anderlecht ha
totalizzato più vittorie durante questi famosi play-off che non durante il campionato,
lasciando più di qualche perplessità sulla
bontà o la giustizia di questa formula. Un
sistema pazzesco che, da buon francese
quale sono, definirei proprio di… belga.
La giornata è perfetta, sole su tutto il Belgio
ed un fine di campionato pazzesco: lo Standard, che ha dominato il girone di andata
e di ritorno del campionato, ha fatto alcuni
passi falsi nella seconda parte, quella costituita dai play-off. Sì, perché il campionato
belga è molto strano, con una prima parte
come in tutti i campionati europei, ed una
seconda in cui le sei prime classificate si
affrontano tra di loro in un girone all’italiana, con il totale di punti che viene diviso per
due ed arrotondato per eccesso. Il vantaggio iniziale dello Standard si è perso per
strada e, in quest’ultima giornata, le restano pochissime speranze di vincere il titolo,
perché Anderlecht precede con due punti in
più.
Questi dettagli non mi scoraggiano comunque dal venire a Liegi. Per essere sicuro,
ho sentito uno dei ragazzi della curva dello
Standard e mi ha assicurato che anche se
la speranza di vincere è ridotta al 1%, il tifo
ci sarà eccome.
Basta un pareggio, ai viola della capitale,
per aggiudicarsi un altro campionato bel-
A due ore della partita ci sono un sacco di
tifosi del Standard in giro, e in questo quartiere molto particolare, col suo fascino indu-
Arrivo a Liegi, nella moderna stazione
presso il centro e dopo un quarto d’ora di
pullman arrivo nei dintorni dello stadio di
Sclessin, ubicato nel omonimo quartiere,
un ex-villaggio lungo il fiume Meuse, dove
sorge un immenso impianto siderurgico che
ci fa capire che siamo nell’antico cuore industriale del Belgio. C’è anche un terril, una
collina fatta dei rifiuti delle miniere, dietro la
curva di casa.
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Tifocronache: Pro League Belgio, Standard Liegi-Genk 1-0
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Tifocronache: Pro League Belgio, Standard Liegi-Genk 1-0
striale, tra le case basse in mattoni rossi,
sembra di essere in Inghilterra o nel Nord
della Francia. Arrivo dietro il settore ospite e posso notare alcune scritte dagli ultras
del Genk, i... “Drughi”, fatte di recente: hanno lasciato diverse scritte politiche contro il
credo antifascista degli ultras locali, un po’
strano visto che gli ultras del Genk hanno
avuto per anni la bandiera con Che Guevara.
Lo stadio è immerso in questo quartiere
dove c’è anche un bel po’ di verde, con le
foreste delle Ardenne tutt’attorno. Appena
ritirato l’accredito, vado nella famosa via
Solvay, dove c’è una concentrazione di bar
altissima e di camion di cibo industriale venuti apposto per accontentare i tifosi. L’atmosfera è allegra, con maglie rosse ovunque.
Arrivo di fronte al club del principale gruppo ultras dello Standard, gli “Ultras Inferno”.
La Cosa S.L. (che sta per Standard Liegi)
assomiglia ad un bar, ma è molto di più,
perché serve non solo da sede a questo
gruppo, ma anche da punto di ritrovo per
tutti i tifosi locali. Un bancone grande accoglie gli astanti, ci sono bei murales, una
bancarella col materiale e pure un DJ set
nel fondo. Davvero un luogo di vita perfetto
per questo gruppo.
Di fronte c’è un altro posto, dove l’età media dei tifosi è più alta ed alcune facce sono
davvero brutte. Gli “Hell-side”, il gruppo storico dei “siders” dello Standard si ritrova lì.
Il Belgio ha una cultura molto anglosassone per certi versi, una prossimità culturale
che si nota negli stadi dove, per anni, ha
dominato la “non-organizzazione” del tifo.
Le curve erano il covo dei siders che, per
definirsi, prendevano il nome della porta
da cui erano soliti entrare. A Liegi un giornalista aveva definito lo stadio come “l’inferno di Sclessin”, e per questo nel 1981 i
siders hanno preso il nome di “Hell side”.
A quel tempo dominavano questi tifosi che
prendevano spunto dalla vicina Inghilterra,
l’elemento hooligans e casuals era già ben
presente e c’era pochissimo colore, tra cui
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Tifocronache: Pro League Belgio, Standard Liegi-Genk 1-0
alcuni drappi con scritto il nome del loro
“Side”, ma il paese rimaneva assolutamente ermetico alla cultura ultras che si andava
diffondendo in tutta l’Europa latina.
mentre al Nord (cioè nelle Fiandre), ci sono
alcuni gruppi soprattutto nelle città industriali laddove forte è la presenza di comunità di migranti italiani.
Nel 1996, per rilanciare l’atmosfera nello
stadio in ristrutturazione che doveva accogliere l’Euro 2000 (organizzato nel Belgio e
nei Paesi Bassi), una sezione del Hell-Side
prese il nome di “Ultras Inferno”. L’idea veniva da giovani belgi di origini italiane che
importano, nel loro paese d’adozione, le
tecniche e l’organizzazione vista negli stadi italiani durante le loro vacanze. Tra alti e
bassi il progetto decolla, dovendosi muovere tra mille difficoltà.
Genk, città fiamminga, entra in questo novero, con due gruppi attivi sugli spalti: i
“Drughi” nati nel 2002, poi raggiunti dai “Geneches” nel 2007.
A partire dal 2001, altri gruppi ultras si costituirono nel resto del Regno, la maggiore
parte nella parte Vallona, cioè francofona.
Oggi come oggi, gli spalti del sud del paese, sono organizzati sul modello italiano.
Anche Bruxelles, che ha uno statuto a parte (il Belgio è uno stato federale, BruxellesCapitale ha pure il suo governo), ha il suo
gruppo ultras al seguito dell’Anderlecht,
Lo stadio è particolare, molto alto, con una
capienza di 30.000 spettatori, ed è un vero
cattino. Si espande su tre anelli tranne i distinti che sono su due livelli. La curva principale è occupata dai due striscioni degli Hell
Side e degli Ultras Inferno. Nell’altra curva
prendono posto i “Publik Histerik Kaos”, un
gruppo costituito da alcuni fuoriusciti degli
Ultras Inferno nel 2004, per accendere un
altro focolare di tifo nella seconda curva.
Entro allo stadio e noto pochi poliziotti, la
sicurezza è affidata tutta agli steward. Ci
sono tornelli pure qua, ma il “modello italiano” è riservato alla curva locale, mentre le
altre tribune hanno solo piccoli tornelli, tipo
da metropolitana.
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Tifocronache: Pro League Belgio, Standard Liegi-Genk 1-0
Il settore ospite non è gremito, ci sono tra
400 e 500 tifosi del Genk, tra il secondo
anello e il terzo. Ma la squadra del Genk,
cittadina di 63.000 abitanti distante appena 50 kilometri da Liegi, non ha niente da
aspettarsi oggi da quest’ultima giornata,
dunque il numero di tifosi biancoblu non è
disprezzabile. Lo stadio è quasi pieno, con
circa 27.000 spettatori.
Una cinquantina di bandiere bianche, rosse
e nere sono disposte nella curva di casa e
già a cinque minuti del via, vengono fatte
sventolare con alcuni stendardi di contorno.
Un bel tocco di colore, ma la vera sorpresa
arriva quando le due squadre entrano sul
prato verde, con una marea di fumogeni
si accendono nel secondo anello e creano un colpo d’occhio stupendo. L’arbitro
deve aspettare alcuni minuti prima di dare
il fischio d’inizio, perché una nuvola rossoarancione rende impossibile lo svolgimento
della partita.
Di fronte, nella curva occupata dai PHK c’è
un più classico misto di stendardi e bandie-
re mentre accanto, nel settore ospite, c’è
niente o quasi, se si considera una bandiera sventolata come colore.
La curva è calda e i primi minuti sono un’autentica bolgia, con il tifo guidato dagli Ultras
Inferno che la gente è pronta a seguire.
Dopo neanche tre minuti c’è il goal, lo stadio
esplode e spera in una sconfitta dell’Anderlecht. Ma il nervosismo prende pian piano il
passo ed il tifo finirà per restar limitato agli
ultras, cioè al settore degli Ultras Inferno,
con cento/centocinquanta persone che canterano fino alla fine, oltre ad una cinquantina del PHK. La maggiore parte della curva
seguirà in silenzio la partita, malgrado i tanti
sforzi dei lanciacori.
In balconata noto uno stendardo sulla balconata, dove prende posto il “nucleo” degli
Ultras Inferno: vi è riportato il logo del gruppo locale e quello degli “Ultras Hapoel” dell’
omonima squadra del Tel-Aviv. Una rappresentanza di alcuni elementi è venuta apposta per onorare il gemellaggio che li lega alla
curva di casa. Può sembrare incredibile che
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Tifocronache: Pro League Belgio, Standard Liegi-Genk 1-0
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Tifocronache: Pro League Belgio, Standard Liegi-Genk 1-0
questi ragazzi israeliani abbiano fatto più di
tremila kilometri per questo, ma soprattutto
che gente così diversa si ritrovi solo per un
comune interesse. È il bello del mondo ultras, che lega ad un filo di indissolubili valori
ragazzi di tutto il mondo. Non è comunque
una sorpresa vera e propria, perché gli Ultras Inferno fanno parte della rete Alerta,
che accomuna gruppi antifascisti di tutta
Europa ed anche dell’Asia, considerata la
presenza di alcune realtà israeliane e persino turche. Le diverse amicizie e gemellaggi
degli Ultras Inferno sono, non a caso, tutte
con gruppi dichiaratamente di sinistra e che
fanno parte di questa rete: Green Brigade
del Celtic, Ultras Sankt Pauli, Gate 9 Omonia Nicosia, Horda Frenetik Metz ed infine
con le Brigate Rossoblù della Civitanovese.
La partita prosegue con molta tensione sugli spalti. Al 35° un bello scambio di cori tra
le due curve, rimbomba nello stadio, dopo
di che il tifo andrà avanti in modo ridotto.
Nel settore ospite c’è movimento, ma sento solo a due riprese la loro voce. Vedo un
centinaio di giovani a petto nudo, dietro le
due insegne ultras piccolissime: una è capovolta e mi sembra di leggere G07, cioè
Geneches (07 per l’anno di fondazione, il
2007) ed a sei/sette metri posso vedere una
bandiera italiana con scritto “Onore a Gabbo” (con una A cerchiata, tipo “Anarchia”);
mi sembra che siano i Drughi.
Siamo nel paese delle birre e si nota. Con la
fine del primo tempo, i tifosi dello Standard
vanno a rifornirsi di birra, che è in vendita
dappertutto ma non si può consumare sugli
spalti.
Il secondo tempo iniza e parecchi fumogeni bianchi sono accessi nella curva di casa,
creando un bell’effetto scenico. Noto alcune
bandiere Vallone, gialle con un gallo rosso,
anche se lo Standard non è propriamente
una squadra portabandiera della Vallonia:
approssimativamente il 30% dei suoi tifosi
sono fiamminghi ed anche se quasi tutti i
cori sono in francese, ogni tanto cantano
anche in inglese.
Continuo ad analizzare i diversi drappi
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Tifocronache: Pro League Belgio, Standard Liegi-Genk 1-0
e noto una bandiera della Palestina sullo striscione degli Hell Side: potrei dire un
classico delle curve. Sopra, al terzo anello,
c’è uno striscione di carta fatto dagli Ultras
Inferno con scritto “Anti Play-off!!”: posso
capire l’avversione di questi ragazzi che
devono subire questo campionato in due
fase, pensato solo per vendere al meglio il
“prodotto calcio” alle televisioni.
Lo Standard s’impone sul campo, ma è una
vittoria che ha il sapore della sconfitta, visto
che l’Anderlecht, che necessitava di un solo
punto, vince l’ultima gara dei Play-off e si
prende lo scudetto.
La gente sugli spalti è delusa, come i giocatori che, pur finendo secondi, fanno un giro
d’onore fermandosi di fronte a tutti i settori dello stadio. Nel settore ospite, naturalmente, la gente prende in giro quelli dello
Standard per come si sono lasciati sfilare lo
scudetto da sotto al naso.
Esco dello stadio e punto dritto verso il settore ospite, ma la polizia vigila e non ci sarà
niente di particolare da vedere o racconta-
re.
Decido così di finire la mia giornata nella
famosa via Solvay, dove tanti tifosi si riversano. Tanti pullman che ritornano in tutte le
città del paese, ma anche in Lussemburgo,
per riportare a casa i tifosi dello Standard.
Di fronte ai due locali dove si ritrovano i tifosi più caldi, c’è tensione e rabbia, tanto
che un primo battibecco tra tifosi del Liegi
degenera in uno scontro. Subito dopo, una
voce lascia pensare che la “banda” avversaria stia per arrivare, così una cinquantina
di persone si mettono subito in moto, ma
non ci sarà niente tranne alcune pietre sulla
polizia a cavallo, cacciata della via a colpi di
sassi e bottiglie di birre.
È tempo per me di partire e lascio questo
quartiere abbastanza brutto, che potrebbe
tranquillamente essere in Inghilterra, visti i
paesaggi e la mentalità dei tifosi belghi che,
un’ora dopo la fine del campionato, affollano ancora i pub attorno allo stadio.
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Sèbastien Louis.
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Tifocronache: Playoff Serie B, Cesena-Modena 1-1
THE SOUND OF ULTRAS
Ultime battute del campionato di serie B
2013/2014, con la gara di ritorno della
semifinale tra Cesena e Modena che si
disputa in uno stadio “Manuzzi” mai come
questa volta così carico di entusiasmo e
passione. Il tutto, malgrado la presenza di
pubblico risulti essere stranamente al di sotto
rispetto alla media spettatori fatta registrare
durante il corso della stagione regolare.
Sono circa 9.500, di cui 700 provenienti da
Modena, coloro che rispondono “presente”
alle ore 18 di questo caldo e assolato
Mercoledì 11 Giugno 2014.
A guardare gli spalti, sia dal punto di vista
del pubblico di casa, sia da quello degli
ospiti, verrebbe quasi da pensare che
entrambe le tifoserie abbiano deciso di
snobbare l’evento. In realtà non è affatto
così e, anzi, si potrebbe discutere per ore
circa l’opportunità di far disputare una
partita di tale importanza nel bel mezzo di
una giornata lavorativa che, come se non
bastasse, in Romagna coincide con il pieno
avvio della “stagione”, cioè del periodo
dell’anno in cui più si lavora, grazie alle
presenze turistiche.
Del resto, non si spiegherebbe diversamente
il perché di una così bassa affluenza di
pubblico per un match di questa importanza,
laddove la presenza media stagionale
registrata al “Manuzzi” quest’anno è stata di
10.500 spettatori a partita.
Malgrado tutto, la curva di casa si presenta
più piena del solito e, ciò che più conta,
capace di ergersi per novanta minuti a
baluardo della propria squadra.
Anche il manipolo di ragazzi che di solito
si ritrovano “casualmente” nei distinti, sono
quest’oggi più attivi e incisivi delle altre volte
nel sostenere la loro squadra e riesco a
sentirli in più di un’occasione, grazie anche
alla collocazione nella parte bassa del loro
settore.
Prima dell’inizio del match, la Curva Mare
mette in scena una coreografia davvero
spettacolare, che la trasforma in un vero
e proprio muro bianconero. Ma ciò che
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Tifocronache: Playoff Serie B, Cesena-Modena 1-1
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Tifocronache: Playoff Serie B, Cesena-Modena 1-1
più conta, in una giornata come quella
odierna, è la capacità di riuscire a
sostenere i propri colori con grinta,
passione e costanza lungo tutto l’arco
dei novanta minuti. Ed i sostenitori
romagnoli ci riescono alla grande, dando
ottima prova di potenza vocale, degna
di ben altri palcoscenici. E non è certo
impresa facile visto che, pur giocando
tra le mura amiche, hanno di fronte
a loro una curva ospiti che, seppure
non gremitissima, è giunta dall’Emilia
determinata a vendere cara la pelle ed
a giocarsi il tutto per tutto, nel tentativo
di realizzare il miracolo. Sì, perché è un
miracolo quello che inseguono i sostenitor
gialloblu, dal momento che il match
dell’andata al Braglia è terminato con la
vittoria del Cesena per una rete a zero e,
stando anche alla posizione in classifica
occupata da entrambe le squadre al
termine della stagione regolare, i Gialli
di “mister” Novellino dovrebbero vincere
con ben due goal di scarto per riuscire a
passare il turno.
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Tifocronache: Playoff Serie B, Cesena-Modena 1-1
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Tifocronache: Playoff Serie B, Cesena-Modena 1-1
La sfida, evidentemente, appassiona i
sostenitori modenesi e li carica al punto
giusto, tanto che i miei occhi e le mie
orecchie assistono ad una prova di tifo
veramente lodevole, malgrado siano solo
in 700 a dover fronteggiare un intero stadio
che, complice anche l’afa del pomeriggio,
in certi momenti riesce davvero a togliere
il fiato.
Quello che ne viene fuori, sugli spalti
così come in campo, è un match davvero
appassionante in cui la curva di casa fa
rimbombare la propria voce e fa ballare
le tettoie che coprono gli spalti, mentre
dalla parte opposta del campo i modenesi
tengono botta e continuano a sostenere
i propri colori anche quando tutto ormai
sembra essere compromesso.
Anzi, è proprio qui che viene il bello da parte
della curva modenese. Proprio quando
le lancette dell’orologio si avvicinano allo
scadere dei fatidici novanta minuti (più
recupero), i gialloblu compiono un ulteriore
scatto d’orgoglio e cominciano a cantare un
unico coro, sulle note dell’indimenticabile
“The sound of silence” del duo Simon &
Garfunkel, che poco alla volta si propaga a
tutti i presenti nel settore ospiti e continua
ad essere cantata a squarciagola ben oltre
il triplice fischio finale.
Addirittura, il coro dei modenesi continua
ad andare avanti imperterrito ben oltre la
fine dell’incontro, fin tanto che vengono
trattenuti all’interno dello stadio, tanto da
attirare la curiosità di diversi giornalisti che,
a più riprese, escono dalla sala stampa,
incuriositi, per cercare di capire cos’è quel
coro in sottofondo che continua a provenire
dagli spalti.
Sul fronte di casa, inutile dirlo, è festa
grande per essere riusciti a conquistare una
finale che, c’è da giurarci, darà vita a 180
minuti di fuoco e fiamme sia in campo che
sugli spalti.
Niente male per questo Cesena, che
all’inizio del campionato aveva come
obiettivo dichiarato quello di una tranquilla
permanenza in serie B.
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Giangiuseppe Gassi.
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Tifocronache: Playoff Serie B, Cesena-Modena 1-1
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Tifocronache: Playoff Serie B, Latina-Bari 2-2
IL GUSTO DELL’ESULTANZA
Ogni tanto capita anche che un campionato amorfo, asettico e grigio come quello di
Serie B, offra una serata ricca di emozioni
e spettacolo sugli spalti. Capita di rado, e
bisogna quasi sempre aspettare occasioni
di “gala” come gli spareggi. Però tanto vale
non farsi sfuggire l’occasione e raccogliere
le ultime forze disponibili in questo colpo di
coda della stagione, armarsi di buona volontà e partire.
La strada ormai la conosco, e del resto non
è che sia poi così difficile. La Pontina scorre nuovamente sotto i miei piedi per la terza volta in un mese, e pensare che fino a
qualche tempo fa era quasi esclusivamente
un’arteria che utilizzavo per qualche gita
fuori porta, nelle belle zone balneari del Lazio meridionale. Ma se la ferrovia non mi
permette di tornare a casa in orari notturni
non ci sono molte alternative.
Venendo direttamente dal lavoro devo percorrere, con davvero poco piacere, oltre
venti chilometri di Grande Raccordo Anulare, dallo svincolo della Tiburtina a quello
della Pontina. Tutto sommato di ingorghi,
essendo l’ora di punta, ne trovo anche pochi, e dopo quello più sostanzioso, chiaramente nei pressi della Tangenziale, tutto fila
liscio ed in un ora e mezza sono a Latina.
Dove parcheggiare ormai lo so e non rimane che inoltrarmi nel solito vicoletto senza
uscita, dove gli abitanti dei palazzi disinteressati al calcio guardano i tifosi con facce
sconsolate come a dire: “Ma quando finisce
‘sto campionato?”. In effetti è una domanda che dovrebbero porre ai cervelloni della
Lega Calcio che hanno ideato questa Serie
B interminabile ed estenuante.
Avvicinandomi al Francioni noto subito
che il dispiegamento di forze dell’ordine è
ingente e superiore alle altre volte. Sono
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Tifocronache: Playoff Serie B, Latina-Bari 2-2
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Tifocronache: Playoff Serie B, Latina-Bari 2-2
attesi oltre 1.500 baresi e per l’occasione
l’integerrima Questura di Latina, in accordo con l’Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive (praticamente un pool
di menti pensanti strappate allo sprofondo
sociale ed economico al quale è in preda
l’Italia), ha emanato un comunicato in cui
si fa presente ai tifosi pugliesi che l’accesso al settore ospiti sarà consentito fino alle
19:30. Leggo questa notizia tra il serio ed il
faceto, pensando a come possano impedire l’ingresso ad una persona teoricamente
libera, che ha acquistato un biglietto sborsando dei soldi e sottostando al ridicolo
ricatto della tessera del tifoso. Ergo, ovvio
che decisioni del genere, in questi casi, siano solo ed esclusivamente moniti (come
avrò modo di verificare più tardi, quando a
pochi minuti dal fischio d’inizio i supporters
biancorossi continuavano tranquillamente
ad entrare) per stressare ulteriormente i tifosi, portandoli o alla rinuncia della trasferta
o alla bieca esecuzione di un’altrettanto bie-
co e stupido diktat senza senso né logica.
Forse tra qualche anno arriveranno a chiederci di giustificare un eventuale ritardo allo
stadio pena annullamento di una partita
sull’abbonamento o sanzione pecuniaria. Il
pallone è ormai talmente un’opera circense
e giullaresca che non mi sorprenderebbe
affatto.
Ritiro il mio accredito ed anche se non è poi
tanto tardi, decido di entrare, considerando il maggior caos che oggi sicuramente ci
sarà all’interno del piccolo stadio latinense.
L’impianto è chiaramente già stracolmo e
la Curva Nord sta scaldando i motori sulle
note del nuovo coro, quel “Totalmente dipendente” che sta facendo viralmente il giro
d’Italia, collaudato in occasione della gara
d’andata in terra di Puglia. Alla mia destra,
come già detto, i baresi stanno ultimando il
loro ingresso allo stadio ed occupano praticamente già tutto il settore loro destinato. Al
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Tifocronache: Playoff Serie B, Latina-Bari 2-2
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Tifocronache: Playoff Serie B, Latina-Bari 2-2
centro ci sono le pezze dei Floriano Ludwig
affiancate da quelle dei Bulldog e dai tanti
bandieroni che popolano il settore ospiti. E
pensare che i baresi furono una delle prime tifoserie a capitare sulla mia strada di
fotografo al seguito degli ultras. Era un Ternana-Bari di parecchi anni fa, una bella presenza quella degli UCN, li ricordo ancora
bene, quasi un migliaio, striscione in mano,
tamburo, bandieroni e tanta voce.
Così, mentre faccio le mie considerazioni
personali, il tempo passa e l’orario del calcio d’inizio si fa sempre più prossimo. Devo
decidere dove posizionarmi per l’entrata in
campo, scattare dalla tribuna è ovviamente sempre più complicato, a causa dello
spazio limitato e delle persone che giustamente vogliono vedere la partita e non il tuo
fondoschiena. Mi posiziono dal lato della
curva di casa, ragionando sul fatto di poter
immortalare a pieno i due settori occupati
dai tifosi ospiti.
Quasi non mi accorgo che le due squadre
stanno facendo il loro ingresso sul terreno
di gioco. A segnalarmelo sono le due curve.
Su sponda pontina la coreografia è semplice, ma d’effetto: tante bandierine nere ed
azzurre si alzano al cielo, completate da
torce e fumogeni accesi qua e là, mentre
alla mia destra gli ultras pugliesi si stanno
esibendo in un loro piatto forte, la sciarpata.
Non c’è una persona che non abbia un vessillo biancorosso alzato al cielo e l’effetto è
chiaramente di grande impatto.
Arriva poi il turno di un altro classico: “E
tutti con le mani al ciel, tutti insieme canterem…”, eseguito davvero da tutti, tanto da
risultare un vero e proprio boato. Tuttavia i
padroni di casa non hanno certamente voglia di sfigurare e stasera il tifo sarà molto
buono, anche tante persone posizionate ai
lati della curva, che solitamente non sono
molto di aiuto a chi si fa in quattro per fare
il tifo, stasera cantano rendendo la Nord un
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Tifocronache: Playoff Serie B, Latina-Bari 2-2
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Tifocronache: Playoff Serie B, Latina-Bari 2-2
bel blocco chiassoso e continuo.
I petti nudi esibiti quasi da tutti poi fanno
il loro bell’effetto visivo. In campo il primo tempo è noioso. Il Latina controlla ed
il Bari, che è obbligato a vincere, prova a
pungere ma risulta alquanto evanescente.
Nel frattempo per me la tribuna è diventata
un vero e proprio forno e sembra di essere
più sulla spiaggia di Sabaudia il 15 Agosto
che allo stadio. Ma del resto ognuno è cosciente e consapevole di quello che fa. Se
scegli di andare a seguire una partita ad
estate appena iniziata, sapendo che ci sarà
il tutto esaurito, non puoi certo pretendere
di portarti anche un cappottino per ripararti
dalla brezza marina di fine autunno. È un
dazio che pago volentieri però, soprattutto
stasera. L’importanza della posta in palio,
infatti, ha reso incandescente anche il pubblico della tribuna, che si lamenta, sbraita
e rumoreggia ad ogni occasione buona. Insomma, tutti gli ingredienti di cui il calcio ha
bisogno per essere interessante e conservare il suo appeal.
Sul finire di primo tempo il tifo ospite sale
d’intensità e quando saltano e cantano tutti,
sembra di tornare indietro di qualche anno.
Ma il bello deve ancora venire. Il secondo
tempo, infatti, si rivelerà una vera e propria
fucina di emozioni, smentendo il mio inconscio che cominciava a pensare: “Possibile
che ogni volta che venga a Latina veda gol
con il contagocce?”.
La gara sale man mano di intensità, seguita dalle due curve che comprendono il momento cruciale delle rispettive stagioni. È il
minuto 28’ quando l’arbitro decreta un calcio di rigore a favore del Bari. Sul dischetto va Polenta che non sbaglia. L’esultanza
pugliese è di quelle da incorniciare, intensa,
lunga e passionale. Di rado ormai si vede il
pubblico gioire con tale enfasi. E nei minuti seguenti il loro tifo raggiunge fisiologica-
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Tifocronache: Playoff Serie B, Latina-Bari 2-2
mente il picco. Un qualcosa davvero bello
a vedersi.
Devo essere sincero, qualche partita sotto
gli occhi mi è passata, ed a questo punto,
generalmente, una squadra alla sua prima
apparizione in Serie B, che si trova a giocarsi la massima categoria contro un sodalizio
che di Serie A ne ha giocata tanta ed a buoni livelli, crolla e rischia persino l’imbarcata.
L’inerzia peraltro sembra essere tutta dalla
parte dei baresi. Eppure, questo Latina ha
una dote nascosta che è stata il vero e proprio ingrediente segreto in quest’annata: la
caparbietà. Così dopo i primi istanti di sbandamento, gli uomini di Breda si riorganizzano e si gettano in avanti con criterio: prima
l’arbitro sorvola su un netto fallo di mano
in area di un difensore barese e poi, sull’azione successiva, concede un altro penalty,
stavolta ai nerazzurri, assolutamente meno
netto.
Il Francioni diventa una bolgia e quando
Jonathas scaraventa la palla oltre le spalle
di Guarna, il boato è di quelli storici. Forse
il più forte che abbia mai sentito da queste
parti. Il contraccolpo psicologico ora è tutto
per il Bari. Il Latina capisce di aver scampato il pericolo e gioca sul velluto. Passano solo 3’ e Laribi si invola da solo per vie
centrali, entrando in area e facendo secco
per la seconda volta l’estremo difensore avversario. È l’estasi del pubblico pontino, il
gol che spezza i sogni pugliesi e manda in
paradiso quelli laziali.
C’è ancora tempo per le emozioni, al 43’
Galano riequilibra il match sfruttando una
leggerezza di Iacobucci. Ma a nulla vale
l’assedio finale della squadra di Alberti, al
triplice fischio sono i padroni di casa a festeggiare.
Quello che il calcio voglia dire, il motivo per
cui ancora lo seguo, per cui mi incazzo,
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Tifocronache: Playoff Serie B, Latina-Bari 2-2
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Tifocronache: Playoff Serie B, Latina-Bari 2-2
faccio chilometri e impieghi tanto del mio
tempo, che a volte sarebbe meglio spendere in altro, beh, stasera ce l’ho davanti ai
miei occhi: “…e ti guardi intorno e vedi tutte
quelle facce, migliaia di facce, stravolte, tirate per la paura, la speranza, la tensione,
tutte completamente perse, senza nient’altro nella testa. Poi il fischio dell’arbitro e tutti
che impazziscono, e in quei minuti che seguono tu sei al centro del mondo…”, sono
le celebri ed abusate parole di Hornby nel
suo Febbre a 90°, a cui ho inevitabilmente
pensato vedendo le espressioni ed i comportanti dei tifosi al mio fianco, ma anche
dei dirigenti del Bari, dietro le mie spalle.
A dimostrazione di come questo sport, se
proposto in maniera naturale, sia un insieme di emozioni a cui nemmeno il più posato
dei manager sappia rinunciare e rimanere
indifferente.
Le squadre si recano sotto i rispettivi settori, il Bari raccoglie ugualmente applausi
ed incoraggiamento dai propri sostenitori,
tanto che i più delusi sembrano proprio i ragazzi in casacca biancorossa, che vengono
rincuorati dal proprio pubblico. La grande
festa è invece sotto la Nord, con i giocatori del Latina che si denudano, saltellando e
cantando assieme alla curva.
Lo speaker invita tutti a Cesena, dove i
nerazzurri saranno attesi dai romagnoli
per l’ultimo episodio di questo lunghissimo
campionato.
Il momento di andarsene è giunto. Lascio
una Latina in festa che si prepara, a prescindere dal risultato, ad affrontare un evento
storico per una tifoseria che fino a qualche
anno fa era relegata nei bassifondi del calcio italiano. L’appuntamento con l’esito finale è rimandato di dieci giorni. Cercheremo
di non mancare.
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Simone Meloni.
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Tifocronache: Ligue 1 Francia, Lille-Guincamp 1-0
NON TIFOSI MA SOLO CONSUMATORI
È vero, non volevo andare a questa partita,
ma le circostanze, il lavoro e la curiosità per
lo stadio nuovo hanno preso il sopravvento
sui miei dubbi iniziali.
Sono gia stato varie volte a Lille, ma negli
altri stadi. Di fatti, la squadra della quarta
città francese, ha giocato per lungo tempo
nel centralissimo stadio “Grimonprez Jooris”. Questo stadio, molto carino, era un catino, con una capienza di 21.000 spettatori
nel parco centrale di Lille, con attorno alcuni
canali in cui alcuni ospiti sono finiti dentro.
Ma la sua capienza non era sufficiente e,
soprattutto, non era in regola con le norme
della UEFA, cosa che ha costretto il Lille a
giocare le partite di Champions League nello stadio degli odiati cugini e rivali del Lens,
45 kilometri più a Sud, o persino a Parigi,
nello Stade de France. Ma non si poteva
rifare lo stadio in questo parco, accanto ad
un monumento storico che è la cittadella del
famoso architetto militare Vauban.
Per anni, la città di Lille ha cercato soluzioni, fino a trasferirsi nel 2004, per otto lunghi
anni, nel bruttissimo “Stadium Lille-métropole” di Villeneuve-d’Ascq, uno stadio allestito inizialmente per l’atletica leggera.
Dopo tanti anni il municipio ha preso la questione sul serio, e ha deciso di costruire un
nuovo stadio nella periferia della città, che
sarà utilizzato per ospitare alcune partite
degli Europei del 2016. Lo stadio “Pierre
Mauroy” (dal nome del vecchio sindaco di
Lille, morto poco tempo fa) è stato inaugurato in agosto 2012 per il grande piacere
dei tifosi del Lille, che hanno lasciato senza
nessuno rimorso l’orribile “Lille-métropole”.
Arrivo a quindici minuti del fischio d’inizio
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Tifocronache: Ligue 1 Francia, Lille-Guincamp 1-0
Sport People n°25/2014
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Tifocronache: Ligue 1 Francia, Lille-Guincamp 1-0
al parcheggio e devo dire che il posto è
brutto, anzi bruttissimo, posto in mezzo alle
autostrade, i centri commerciali giganti ed
i parcheggi. Forse solo gli appassionati di
Ikea e dei centri commerciali possono godere con piacere di quei posti in periferia
delle metropoli. In compenso il flusso del
traffico è ottimo, almeno questo…
Arrivo di fronte alla biglietteria e l’impiegata ci metterà dieci minuti per trovare i miei
biglietti: è vero che è utile fare parcheggi
grandi e comodi, ma se poi sbagliano persino il tuo nome e cognome, finisci lo stesso
ed inevitabilmente per perdere l’inizio della
partita.
L’entrata allo stadio avviene tramite un controllo elettronico del biglietto e superato un
piccolissimo tornello siamo dentro. Lo stadio è stra-pulito e tutto ordinato, si vede che
siamo in uno di questi nuovi stadi moderni,
il cui aspetto è anche decisamente commerciale.
Decido di mettermi sotto il settore degli ultras del Guingamp che sono presenti con
una cinquantina di elementi: non male, visto
che la partita si disputa di domenica alle ore
17 (l’orario tradizionale del calcio in Francia
è il sabato alle ore 20), a 650 km da casa
loro. Ma, soprattutto, il “Kop rouge” di Guingamp è un gruppo di una città di 17.000 abitanti che, è vero, ha l’entusiasmo del ritorno
in serie A ma, senza troppe considerazioni
ulteriori, hanno onorato la trasferta e tanto
basta. Posso notare varie bandiere bianconere della Bretagna, gli striscioni del “Kop
Rouge” e delle loro sezione di Parigi e della... Germania. Devo dire che non li sentirò
per niente durante la partita, ma anche che
saranno sempre in movimento. L’architettura dello stadio non mi aiuta nella loro valu-
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Tifocronache: Ligue 1 Francia, Lille-Guincamp 1-0
tazione, essendo al primo anello e gli ospiti
al secondo.
goria che deve immancabilmente animare
questi “show” da supermercato.
Gli ultras del Lille prendono posto dietro la
porta, sotto lo striscione dei “Dogues Virages Est”. Il molosso è il simbolo della società e del gruppo trainante, che nel vecchio
stadio prendeva posto nella curva Est, cosa
che spiega il loro nome.
Lo stadio è veramente bello e ben fatto, ma
il pubblico è composto prevalentemente da
spettatori e non da tifosi. Si vede che la gente viene a “consumare” il prodotto calcio e
tutto è pensato in quest’ottica, tra gli schermi giganti nei corridoi dello stadio e gli ambulanti “ufficiali” che vendono il kit del perfetto tifoso moderno, con la bandiera della
società. Brutto spettacolo, che ho già visto
nel nuovissimo “Juventus Stadium” o in
Germania. È vero, dobbiamo convivere con
i nostri tempi ed alcune cose sono davvero
migliorate, tipo i posti per gli handicappati,
le recinzione rimosse o i bagni puliti (sempre riforniti con sapone e carta igienica). Ma
la sensazione nettissima e disorientante è
quella di trovarsi più in un “non luogo” come
un centro commerciale che non in uno spa-
Decido di andare preso il loro settore alla
fine del primo tempo. È l’unico settore dove
tutta la gente è in piedi, almeno questo. Ma
devo sopportare uno spettacolo ridicolo,
durante l’intervallo, una specie di sorteggio
seleziona tre spettatori che devono provare
a mettere la palla in una porta siglata con
la parola “LOSC” (Lille Olympique Sporting
Club); se non ce la fanno non sarà un problema, hanno pur sempre avuto la fortuna
(?) di passare sui vari schermi dello stadio,
con accanto una velina di seconda cate-
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Tifocronache: Ligue 1 Francia, Lille-Guincamp 1-0
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Tifocronache: Ligue 1 Francia, Lille-Guincamp 1-0
zio da sempre sociale ed aggregativo come
lo stadio.
La media spettatori del LOSC è passata da
17.000 al vecchio “Stadium” ai piu di 38.500
qua. Di sicuro tanti nuovi consumatori ma
pochissimi tifosi. Lo si evince anche dal
fatto che la squadra non sarà mai sostenuta dal resto del pubblico, che anzi arriverà
pure a fischiare: è vero che il gioco proposto è stato molto brutto, ma sono pur sempre terzi in classifica...
I “Dogues Virage Est” hanno tifato per i loro
colori ma, anche nel loro caso, il risultato
non è un gran che. I due lanciacori, mi permetto con molto umiltà, non erano affatto
in grado di trascinare l’ambiente. Il fatto di
lanciare troppo spesso cori contro il Lens,
mi è sembrato fuori luogo, forse perché non
sono mai stato un fan di questi cori contro,
a maggior ragione quando non si gioca
contro i rivali. Nel secondo tempo saranno
autori di una sciarpata, oltre a varie bandiere che saranno sventolate abbastanza
spesso.
Decido di lasciare in anticipo lo stadio e con
me tanti tifosi-consumatori. Eccolo il risultato più evidente di questi imminenti Europei: oltre che costare molto, oltre alla tanta
repressione, non saranno certo di grande
aiuto per allargare i ranghi dei gruppi ultras
francesi. Anche se alcune società hanno
capito di aver comunque bisogno di un sostegno vocale, ciò avverrà però in una zona
circoscritta dello stadio, secondo le regole
di ferro della nostra società ansiogena. Il resto del pubblico sarà considerato come una
categoria particolare, finendo per diventare
nulla più che materiale per gli studi delle varie agenzie di marketing.
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Sébastien Louis.
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Tifocronache: Gara 1 Playoff Lega A, Mens Sana-Virtus Roma 75-73
AL PALAZZETTO PER
DISINTOSSICARSI
Esiste un torneo, quello di basket, che oltre
a non finire praticamente mai (con una finale che contempla la possibilità di arrivare
a Gara 7, il rischio di finire ad inizio Luglio
è più che un’ipotesi), ti dà la possibilità di
rifiatare da quello pesante e spesso stressante del pallone. L’ho detto centomila volte
e continuerò a ripeterlo fino allo sfinimento.
Sperando che nessuno decida di metter
mano su questa che, almeno per ora, resta ancora un’oasi felice, almeno a livello di
pubblico, non appena è possibile, mi prendo una boccata d’ossigeno mettendo piede
nei palazzetti.
Prendiamo Siena, a naso direi che negli
ultimi due anni sono venuto al PalaEstra
ben sette volte. Non una bazzecola insomma, eppure devo dire che ogni volta non
c’è da annoiarsi, anche fosse solo per le
partite che riservano sempre tanto entusiasmo, condito dalle rivalità sugli spalti. È
in quest’ottica che decido di sobbarcarmi
nuovamente questi 500 km andata e ritorno, coinvolgendo stavolta anche la mia ragazza, con la scusa di una bella giornata a
Siena tra monumenti e, perché no, i tipici
prodotti culinari che la Valdichiana offre gustosamente.
Partiamo con netto anticipo e l’autostrada
risulta abbastanza sgombra, con il cielo che
intervalla secchiate d’acqua a sprazzi di
sole e cielo azzurro. Una volta entrati sulla
superstrada Bettolle-Siena i chilometri passano velocemente ed ecco materializzarsi
davanti a noi il centro cittadino, dopo aver
passato i tanti paesini e borghi che sono
romanticamente disseminati in questa tranquilla zona d’Italia. Lasciata la macchina tra
il palazzetto ed il centro storico, possiamo
goderci per qualche ora la città.
Assolti i compiti turistici, quando l’orologio
segna le 19:30, è ora di incamminarsi verso il PalaEstra. La strada ormai la conosco,
così come il posto dove lasciare la macchina. Come spesso mi accade, la mia perso-
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Tifocronache: Gara 1 Playoff Lega A, Mens Sana-Virtus Roma 75-73
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Tifocronache: Gara 1 Playoff Lega A, Mens Sana-Virtus Roma 75-73
nale “area di parcheggio” nei pressi degli
impianti sportivi, è contraddistinta da una
rigogliosa natura che si sviluppa selvaggia
tra licheni e pioppi. Oltre all’erba umida che
logicamente penetra nelle mie scarpe dandomi la mera illusione di essere in Piazza
San Marco durante l’acqua alta. Riprendiamo la strada asfaltata ed in pochi minuti siamo davanti alle entrate. Ritiro il mio accredito e subito dopo siamo dentro.
Il PalaEstra si sta riempiendo, come spesso accade da queste parti, infatti, i biglietti
sono andati quasi tutti esauriti per il primo
atto delle semifinali scudetto. A mettere ulteriore pepe a queste sfide c’è l’orgoglio ed
il senso di appartenenza del pubblico senese, che sente tali incontri come una vera
e propria chiamata alle armi per quelle che
potrebbero essere le ultime battaglie di grido, prima della discesa negli inferi delle serie inferiori a causa dei noti problemi legali
del presidente Minucci.
La Brigata si fa sentire subito, spronando
i giocatori che sono impegnati nel riscal-
damento, mentre sul fronte ospiti, quando
manca qualche minuto all’inizio della partita, fanno il loro ingresso i Roma 1960. In
totale sono un centinaio i tifosi provenienti dalla Capitale, una rappresentanza più
che buona, che si mette subito in evidenza
con un paio di battimani che punzecchiano
gli avversari toscani. C’è spazio poi per la
sciarpata biancoverde sulle note della classica Verbena, coro che viene cantato praticamente da tutto il palazzo e che non tradisce mai le attese.
Le due squadre si portano nel centro del
campo, con l’arbitro che dà il la alle ostilità scodellando al cielo la palla a due. Sugli spalti il clima è di quelli giusti, gli ultras
senesi cantano al ritmo dei loro tamburi,
facendo un bello sfoggio di bandierine e
bandiere che in più di un’occasione offrono
un gran colpo d’occhio. Gli ospiti sembrano
carichi e motivati con le loro manate secche
ed il loro “Tutti quanti cantano e bevono per
te” che risulta davvero possente e ben fatto
in più di un’occasione.
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Tifocronache: Gara 1 Playoff Lega A, Mens Sana-Virtus Roma 75-73
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Tifocronache: Gara 1 Playoff Lega A, Mens Sana-Virtus Roma 75-73
La rivalità tra le due fazioni è ormai cosa
arcinota ed è stata infiammata dalla finale
scudetto dello scorso anno, con le molte recriminazioni su sponda romana per qualche
arbitraggio giudicato, a loro modo di vedere,
iniquo. È proprio sulla scorta di questo che
il pubblico mensanino offende a pieni polmoni il presidente della Virtus Claudio Toti,
reo di aver rilasciato dichiarazioni contro il
club toscano e la sua politica societaria.
Intanto in campo le due squadre si fronteggiano a viso aperto, con i primi due quarti
che si disputano sul filo dell’equilibrio. Un
andamento della partita che galvanizza le
tifoserie, le quali non si risparmiano rispondendosi coro su coro. È negli ultimi due
quarti che gli equilibri mutano, con i padroni
di casa che prendono dapprima il sopravvento, conquistando un cospicuo vantaggio, salvo poi subire il ritorno dei romani
nella ripresa con un epilogo che rischia di
essere clamoroso. L’ultima azione, infatti, è
nelle mani del giallorosso Jones che, con la
sua squadra sotto di un punto dopo averne
recuperati oltre dieci, penetra in area avver-
saria ma non riesce a fare canestro, provocando l’esplosione del PalaEstra che esulta
per il successo.
Ultime schermaglie tra le tifoserie e poi
anche per noi è ora di fare retromarcia e
riguadagnare la strada di casa. L’umidità
chiaramente rende il mio già provvisorio
parcheggio un vero e proprio pantano, così
a farne le spese sono nuovamente le mie
scarpe, che diventano pressappoco come
quelle delle mondine nelle risaie piemontesi. L’immagine non è certo idilliaca, ma
quantomeno veritiera.
Altre due ore e mezza ci separano da casa
ed il buio della superstrada per Bettolle non
è certo un buon inizio. Mentre la mia ragazza dorme, io rielaboro nella mia testa un po’
tutta la serata del palazzetto, e come sempre sono contento di aver vissuto quest’ambiente che fa da cornice ad uno sport ancora poco contaminato come il basket. Il mio
personale antidoto all’alta tossicità del calcio moderno.
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Simone Meloni.
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Tifocronache: Gara 1 Playoff Lega A, Mens Sana-Virtus Roma 75-73
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Tifocronache: Gara 1 Playoff Lega A, Mens Sana-Virtus Roma 75-73
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Tifocronache: Finale playoff Serie B, Cesena-Latina 2-1
SERIE B, ATTO FINALE
Si disputa sul terreno dello stadio “Manuzzi”
di Cesena, il primo round della finale che
sancirà l’ultimo accesso al campionato di
serie A 2014/15.
A giocarsela, sono due delle sorprese del
campionato di serie B. La matricola Latina,
addirittura alla sua prima apparizione in
serie B, ed il sorprendente Cesena di Bisoli,
che all’inizio della stagione aveva come
obiettivo una tranquilla permanenza.
La partita di andata si gioca di domenica
sera, 15 giugno, in una Romagna già
nel pieno della stagione estiva. Questo,
purtroppo, si traduce in una ridotta affluenza
di pubblico, dal momento che la quasi totalità
di coloro che lavorano nelle località di mare
sono impiegati nel turismo e perciò, di fatto,
impossibilitati ad allontanarsi dai luoghi di
lavoro per assistere ad una partita che si
disputa di domenica sera. Dispiace, quindi,
per i tanti “forzati” del lavoro stagionale,
che stasera non potranno assistere a
questa storica partita e che un domani non
potranno dire “io c’ero”.
Purtroppo, ne risente anche la cornice di
pubblico, visto che per un match di questa
portata sono presenti solo 12.500 spettatori,
di cui 1.200 provenienti da Latina, a fronte
dei quasi 13.500 che avevano assistito al
precedente incontro tra Cesena e Latina,
disputatosi anche quello di domenica sera,
25 Maggio (con una presenza pontina di
circa 400/500 persone).
Malgrado tutto, anche stavolta il settore del
“Manuzzi” che più di ogni altro si presenta
affollato e carico di entusiasmo è come
sempre la Curva Mare, pronta a spingere i
ragazzi di mister Bisoli alla conquista di una
promozione in serie A che, solo nove mesi
fa, al solo parlarne avrebbe suscitato l’ilarità
generale.
Invece, contro ogni pronostico, i romagnoli
sono riusciti a conquistare punti grazie ad un
gioco concreto, anche se non sempre bello
da vedere e, cosa ancora più incredibile,
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Tifocronache: Finale playoff Serie B, Cesena-Latina 2-1
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Tifocronache: Finale playoff Serie B, Cesena-Latina 2-1
senza l’ausilio di un “uomo goal” capace di
andare in doppia cifra.
Per onorare l’evento, la Curva Mare realizza
una coreografia che ricalca molto quella
già realizzata contro il Modena soltanto
quattro giorni prima, per mezzo della quale i
sostenitori romagnoli cercano di trasmettere
grinta ed entusiasmo alla propria squadra.
Da sottolineare che anche nel settore
distinti viene proposta una coreografia
in tinte bianconere, realizzata dal Centro
Coordinamento dei clubs bianconeri.
E sempre sul fronte di casa, si segnala che
i ragazzi che di solito sono “casualmente”
presenti nei distinti, questa sera tornano
ad occupare la parte alta del settore,
mostrandosi anche stavolta molto attivi nel
sostegno alla loro squadra. Saranno autori
di parecchi cori e battimani, che si sentono
anche in tribuna e, come di consueto, non si
faranno mancare qualche sano e goliardico
sfottò nei confronti dei supporters del Latina.
Ma il fulcro del tifo casalingo rimane la Curva
Mare, che dimostra di essere il dodicesimo
uomo in campo, tanto nel settore superiore,
guidato dalle WSB, quanto nella parte bassa
della curva di casa in cui sono presenti
Viking, ex Mad Men ed altri gruppi, tutti
insieme riuscendo nell’intento di tramutarsi
nell’elemento in più, in grado di trasmettere
la carica agli undici bianconeri in campo.
La spinta che proviene dalla Curva, di fatto,
sembra in grado di far resistere la squadra
alle sfuriate del Latina, per poi ripartire in
contropiede spinta dal grande entusiasmo
dei sostenitori di casa.
Tanti i cori, a volte dei veri e propri boati,
numerosi battimani molto ben riusciti ed
un “Romagna mia” con annessa sciarpata
iniziale da far venire i brividi.
Tutto ciò fa sì che si possa confermare,
anche stavolta, quanto la Curva Mare sia
stata determinante nel sospingere i propri
giocatori verso una vittoria che, alla vigilia
del match, appariva improbabile anche al
più ottimista dei tifosi del Cavalluccio.
L’originaria indifferenza tra le due tifoserie,
vista soltanto poche settimane prima
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Tifocronache: Finale playoff Serie B, Cesena-Latina 2-1
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Tifocronache: Finale playoff Serie B, Cesena-Latina 2-1
sempre qui al “Manuzzi”, quest’oggi va
a farsi benedire e si trasforma in aperta
ostilità, con tanto di reciproco scambio di
cori poco amichevoli a causa di due episodi:
lo striscione offensivo che viene esposto
dai pontini contro il Presidente bianconero,
Giorgio Lugaresi; la presenza in Curva Mare
di un cospicuo contingente di bresciani
della Curva Nord, gemellati, oltre che con
i sostenitori cesenati, anche con gli ultras
della Curva Sud del Milan nei confronti dei
quali, da qualche tempo a questa parte, si è
scatenato un profondo astio.
I sostenitori ospiti si presentano come
detto in 1.200 circa, numero considerevole
visti i tempi che corrono, soprattutto poi
se si tiene conto del fatto che si gioca di
domenica sera e Cesena, rispetto a Latina,
non è proprio dietro l’angolo.
Si fanno sentire parecchio fin dal loro ingresso
in curva ospiti e si può tranquillamente dire
che durante il prepartita sono loro a farla da
padrone sugli spalti, almeno fino a quando
il “Manuzzi” non si va a riempire.
Sono autori di un buon tifo che, a tratti,
riesce a coinvolgere tutti i sostenitori del
Latina presenti nel settore, anche se il
fulcro del tifo nerazzurro durante tutto l’arco
della gara resta sempre il gruppo principale,
posizionato al centro della curva.
Si fanno notare con diversi battimani
e colorano la loro curva con una bella
sciarpata, davvero ben riuscita, oltre al
costante sventolio di alcune bandiere.
Insomma, sotto il profilo del tifo è stata
davvero un’ottima prestazione su entrambe
le sponde, sicuramente degna di una finale
con una posta in palio così elevata, peccato
solo non aver visto il “Manuzzi” esaurito in
ogni ordine di posti.
Per il resto, ogni ulteriore commento è
superfluo e, piuttosto, preferisco rimandarvi
alla visione delle immagini che ritraggono le
due curve in azione.
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Giangiuseppe Gassi.
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Tifocronache: Finale playoff Serie B, Cesena-Latina 2-1
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Tifocronache: Gara 3 Playoff Lega A, Virtus Roma-Mens Sana Siena 69-78
METRO E RICORDI, UNA
SEMIFINALE DAL SAPORE ANTICO
Dieci anni. Esatti esatti. Questo è il lasso di
tempo che mi separa dalla mia ultima apparizione al PalaEur. Nel frattempo, di acqua
sotto i ponti ne è passata davvero molta,
forse anche troppa. Così, quando apprendo della decisione da parte della Virtus di
disputare le semifinali all’EUR provo un
sentimento misto tra il felice ed il depresso.
Contento perché, a rigor di logica, questa
dovrebbe essere la casa naturale per la
squadra della città più grande e popolosa
del paese, depresso perché non essendo
propriamente così, so che per riempirlo ci
vorrà un miracolo e si rischia un effetto boomerang in una partita a dir poco delicata
per il quintetto di Dalmonte.
Eppure, pronti via. Stavolta la metro è la
Linea B, presa dopo il solito, stressante,
cambio a Termini, con turisti e romani che
vagano all’impazzata perdendosi a causa
dei recenti mutamenti negli interscambi
delle due linee e lasciandosi chiaramente
andare ai soliti morigerati commenti sulla situazione. Della serie “bestemmie volanti nel
sottosuolo capitolino”.
Nonostante odi in assoluto la Linea B, per la
sua sempreverde inefficienza e i suoi treni
vecchi, fetidi e puzzolenti, è con rinnovato
spirito che oggi salgo a bordo di essa. Sarà
perché raggiungere il PalaEur con la metro mi riporta indietro di qualche anno, così
mentre le fermate passano ripenso ai tanti bei momenti trascorsi con amici e conoscenti occasionali a margine delle mie prime partite di pallacanestro. Ma si sa, a volte
fare un balzo indietro con la memoria può
essere controproducente, si rischia davvero di cadere in depressione, soprattutto se
mentre filosofeggi mentalmente il treno si
riempie, ed anche un paio di turiste scandinave che ad incontrarle in Piazza di Spagna
non disdegneresti, ti recano fastidio per il
loro pressare sulla calca già di per se rac-
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Tifocronache: Gara 3 Playoff Lega A, Virtus Roma-Mens Sana Siena 69-78
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Tifocronache: Gara 3 Playoff Lega A, Virtus Roma-Mens Sana Siena 69-78
chiusa a mo’ di scatoletta del tonno Rio
Mare. O Nostromo. Insomma, fate voi
per le marche.
Peraltro scendere alla stazione EUR Palasport per me rappresenta davvero un
concentrato di ricordi, quasi tutti belli, di
una parte della mia vita che non ha nulla
a che vedere con il basket o con gli ultras.
Sarò cretino io, non saprò forse gestire le
emozioni, ma tutto questo mix di ricordi e
pensieri finisce con l’appannarmi il cervello, stordendomi sensibilmente, tanto
che decido di fermarmi sul ponte con il
quale la via Cristoforo Colombo sovrasta il celebre laghetto del quartiere per
scattare qualche foto al palazzetto che
comincia ad intravedersi. Inoltre, nel tentativo di accorciare il tragitto, mi inerpico
alle pendici della collinetta dove il PalaEur è edificato, dimenticando completamente di come, non essendoci scale o
asfalto, la cosa non sia poi tanto consigliabile, ed infatti, a metà cammino, con
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Tifocronache: Gara 3 Playoff Lega A, Virtus Roma-Mens Sana Siena 69-78
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Tifocronache: Gara 3 Playoff Lega A, Virtus Roma-Mens Sana Siena 69-78
l’impossibilità di tornare indietro, rischio in
almeno un paio di occasioni di ruzzolare giù
come un cretino. E forse mi sarebbe pure
stato bene. Altro che nel mezzo del cammin
di nostra vita. Qua la retta via oltre ad esser
smarrita, rischiava di essere mortale.
Quando manca un’ora all’inizio della partita, un buon numero di tifosi è già fuori dai
cancelli. Si parla di circa 6.000 biglietti venduti, il che è senza dubbio un buon numero,
ma in un ambiente che ne può contenere
quasi il doppio rischia lo stesso di risultare
dispersivo.
Ritiro il mio accredito ed anche io, dopo
una non usuale fila per una partita di basket, riesco ad entrare con il controllo persino troppo asfissiante degli steward. Nulla di
simile rispetto alla tranquillità assoluta del
PalaTiziano. Ma ogni cosa ha i suoi pro ed i
suoi contro. Piuttosto barcamenarmi tra i tre
piani a disposizione non è impresa facile,
ed alla fine trovo il mio posto capendo, ma
solo negli ultimi due quarti, di potermi spostare anche in altre zone per scattare. Tutto
questo perché nei palazzetti preferisco gli
spalti al campo, a causa della poca libertà
di movimento offerta da quest’ultimo.
Gli spalti si vanno via via riempiendo, anche se purtroppo, come detto, a causa della grandezza dell’impianto, alla fine il colpo d’occhio non sarà da 6.000 presenti. La
Curva Ancilotto invece si compatta subito
alla grande, occupando tutti e due gli spicchi dove storicamente si posizionano i gruppi ultras e mettendosi in evidenza con belle
manate che chiamano la squadra all’impresa. Mentre, almeno per il momento, nel settore ospiti non si vede traccia della Brigata.
Comincia la partita e se il pubblico normale,
infarcito davvero di tanti occasionali forse
alla prima partita di pallacanestro, fatica a
scaldarsi, gli ultras sembrano galvanizzati
dall’aver ritrovato la loro casa. Tanta voce,
battimani, petti nudi e cori eseguiti a lungo,
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Tifocronache: Gara 3 Playoff Lega A, Virtus Roma-Mens Sana Siena 69-78
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Tifocronache: Gara 3 Playoff Lega A, Virtus Roma-Mens Sana Siena 69-78
davvero con buona costanza. L’avvio dei
capitolini è quindi ottimo e l’ambiente si accende quando, dopo una decina di minuti,
fanno il loro ingresso i supporters senesi.
Subito scambio di vedute poco amichevoli
con i dirimpettai ed i classici gesti dell’entrata nel settore, quelli per i quali, parliamoci
chiaro, noi malati di questo mondo impazziamo.
In campo la sfida si mantiene abbastanza
equilibrata nei primi due quarti, mentre negli ultimi 20’ è la Mens Sana a prendere il
sopravvento, andando a conquistare il 3-0
della serie che lascia poche speranze agli
avversari.
Per quanto riguarda la prova degli ospiti, un
centinaio in totale, il giudizio non può che
essere più che sufficiente. I senesi hanno
ormai uno stile ben delineato, fatto di tifo
continuo e colorato da bandiere e stendardi. La giovane età funge sicuramente da
fattore stimolante, c’è sempre tanta voglia
di divertirsi e l’esposizione in prima linea di
una bandiera del Chianti la dice lunga su
ciò.
I Roma 1960, nonostante la sconfitta che
allontana quasi definitivamente il sogno di
raggiungere la finale, si dimostrano in crescita ed ho apprezzato molto il fatto che,
non solo non abbiano risentito del cambio
di palazzetto, ma ne abbiano quasi giovato,
riuscendo a girare le difficoltà in loro favore ed offrendo un’assoluta prova di valore,
condita dal “Che sarà sarà” finale che è
sempre un qualcosa di bello da sentire in
stadi e palazzetti.
Lascio così le gradinate del PalaEur cosciente che tra 48 ore ci sarà il sequel di
questa interminabile sfida. Per ora c’è da
percorrere il tragitto inverso e tornare a
casa. La limitazione oraria della metro non
lascia spazio a molta immaginazione o a
perdite di tempo.
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Simone Meloni.
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Tifocronache: Finale playoff Serie B, Latina-Cesena 1-2
UN’ANNATA FANTASTICA,
COMUNQUE SIA FINITA
Qualcuno già sogghignerà al pensiero del
mio racconto circa il viaggio sulla Strada
Regionale 148, c.d. Pontina. Sì, in effetti è
difficile per me cominciare un racconto senza narrare minimamente il viaggio. Penso
più che altro si tratti di un retaggio risalente
ai tempi delle trasferte, in cui la parte più
bella erano forse quelle ore passate insieme sui mezzi su e giù per l’Italia. Ed allora,
per non farci mancare nulla, anche oggi vi
ammorbo con la partenza.
Stavolta per prendere la macchina devo
raggiungere il versante sud-est di Roma,
precisamente l’EUR. Un quartiere che certamente non brilla per la sua bellezza e la
sua pulizia, ma che per un motivo o per l’altro ritrovo sempre sulla mia strada. Una delle tante bizze del meteo corrente, vuole che
dopo alcuni giorni di solleone appesantito
dalla tipica afa cittadina, arrivino fastidiosi
fenomeni temporaleschi, ovviamente pro-
prio nel momento in cui decido di muovermi
dalla città.
Dopo aver prelevato la macchina da mio padre posso incamminarmi verso il capoluogo
pontino. Eccolo, il momento che in molti
aspettano senza ammetterlo. La Pontina,
per l’ennesima volta negli ultimi due mesi,
fa da accompagnatrice al mio viaggio. Una
lingua d’asfalto che corre per l’intero Agro,
favorendone gli spostamenti se sgombra, e
complicando fastidiosamente la vita a migliaia di automobilisti in caso di ingorghi o
incidenti. Devo dire che di traffico non ce
n’è poi molto, ma le secchiate d’acqua che
di tanto in tanto colpiscono il mio parabrezza non sono certo un buon viatico per la mia
serata al Francioni.
Peraltro, dopo i primi chilometri abbastanza soleggiati, le nubi si ammassano sempre più, facendosi da grigie a nere, per trasformarsi in un vero e proprio zampillio di
goccioloni al mio ingresso in quel di Latina.
Inoltre stasera ci si mette anche la viabilità.
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Tifocronache: Finale playoff Serie B, Latina-Cesena 1-2
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Tifocronache: Finale playoff Serie B, Latina-Cesena 1-2
Quando arrivo nei pressi dello stadio, infatti, mi ritrovo nel bel mezzo di una coda
massiccia e rumorosa, che dapprima riesco
a bypassare infilandomi in una viuzza, ma
questa si rivelerà tuttavia una valutazione
erra. La strada senza uscita, adiacente
all’ingresso accrediti, dove generalmente
lascio bellamente la mia macchina, stavolta è già full, e riuscire a fare inversione per
uscirne non è solo un’impresa stressante
per me, ma anche per gli abitanti di suddetta strada che sciorinano, giustamente,
tutto il loro repertorio volgare nei confronti
di quelli che a tutti gli effetti sono diventati
indebiti invasori settimanali.
Quando finalmente riprendo la via principale
sono un po’ interdetto sul dove parcheggiare, ma mentre di fuori l’acqua si fa sempre
più intensa, adocchio un altro bel praticello
che già è stato adibito a posteggio. Qua di
spazio ce n’è a iosa, ed anche per me non
c’è alcun problema di sorta. Prendo l’ombrello e la macchinetta, mettendo finalmente piedi in terra, dirigendomi verso lo stadio.
Agli accrediti la fila è corposa, ma già intuisco che le resse di Latina-Bari sono lontane e non ripetibili, sebbene nel capoluogo
pontino si sia fatta nottata per accaparrarsi
il tagliando di questo avvenimento storico
per la città.
Una volta preso il pass, entro volgendo il
mio primo sguardo sulla destra, vale a dire
verso il settore ospiti. Chiaro che in una
partita come questa la tessera, e le scelte
dei cesenati a riguardo, influisca in maniera
importante. A parte qualcuno che singolarmente ha deciso di sottoscriverla ed il gruppetto che al Manuzzi si posiziona in distinti,
la componente ultras infatti non è di molto rilievo tra le fila romagnole. Noto inizialmente un bandierone delle WSB appeso in
balaustra, ma poco dopo l’inizio lo stesso
scompare. Ipotizzo possa essere stato portato da qualche singolo e poi fatto togliere
per rispetto del gruppo che, come ampiamente annunciato in settimana, non avendo
aderito a tdt o away, ha accompagnato la
squadra fino ad Orte dove l’aspetterà per
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Tifocronache: Finale playoff Serie B, Latina-Cesena 1-2
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Tifocronache: Finale playoff Serie B, Latina-Cesena 1-2
un’eventuale festa promozione. Ma ripeto,
la mia è soltanto un’ipotesi, quindi se qualcuno ne sa di più è libero di rettificare.
La presenza ospite si attesta forse attorno
alle mille unità, ed è una tristezza notare
come una parte del settore sia vuota, soprattutto pensando alle potenzialità in possesso di una tifoseria come quella cesenate
al completo. Almeno quando tornarono in
Serie A qualche anno fa, a Piacenza se non
erro, vigeva ancora il criterio di concessione della trasferta da parte dell’Osservatorio,
ed ai bianconeri fu consentito di spostarsi in
toto dando vita ad una bella giornata.
Di contro il pubblico di casa affolla ampiamente le gradinate ed è alquanto palese
che la Curva Nord si colorerà con una coreografia: il cuore pulsante del tifo nerazzurro, infatti, appare diviso in varie sezioni con
il nastro dei lavori in corso, tipico segnale di
quando bolle in pentola qualcosa dal punto di vista del tifo. I motori si scaldano sul
tormentone del momento, quel Totalmente
dipendente che sembra coinvolgere anche
gli spettatori della tribuna scoperta.
Nel frattempo in campo fa il proprio ingresso la banda della Marina Militare, per inscenare una sorta di manifestazione in ricordo
della situazione di prigionia dei Marò in India. Iniziativa voluta dalla Lega di Serie B.
Ognuno può pensarla come vuole, ci mancherebbe. Ma su questo argomento mi riesce difficile essere solidale ed approvare
tali esternazioni. Innanzi tutto perché ho
sempre l’impressione si tratti di quel nazionalismo indotto e non spontaneo, che a volte fa leva sul pietismo e sul luogo comune,
e poi perché anche andando ad analizzare
i fatti, beh, potremmo dire che se si è punito
chi invocava attraverso una t-shirt la libertà
di Speziale, che è già in carcere e probabilmente ci rimarrà per molti anni, nonostante sulla sua reale colpevolezza gravi più di
qualche ombra, allora non si può chiedere
la liberazione di chi dei morti ce l’ha davvero sulla coscienza, a prescindere dalle dinamiche dolose o colpose.
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Tornando a ciò che più ci compete, vale a
dire la mera cronaca ultras, all’ingresso in
campo delle due squadre, le due tifoserie
mettono in mostra le rispettive coreografie.
Su sponda latinense tutto lo stadio si colora
con cartoncini arancioni, neri e blu con l’aggiunta di parecchie torce accese in Nord,
dove viene anche esposto lo striscione
“Solo coloro che tentano l’assurdo raggiungeranno l’impossibile”. Molto ben riuscita e
d’impatto. I cesenati, di contro, sventolano
tante bandierine con i colori sociali cantando il loro celebre inno “Dal mare alla montagna, c’è tutta la Romagna…”.
In campo la squadra di Breda parte subito
forte e dopo soli 12’ Bruno colpisce con un
gran gol in mezza rovesciata ed il boato dei
tifosi pontini è a dir poco assordante. Persino a pochi metri da me, in tribuna, si fatica
a respirare per quanto gli spettatori siano
attaccati tra loro, molti dei quali in piedi proprio come in curva.
La tensione è nell’aria ed è forse per questo
che la Nord si concede qualche pausa tra
un coro e un altro. Su sponda romagnola,
tutto sommato il tifo è abbastanza costante,
anche se, come detto, manchevole di una
vera e propria compattezza tipica dell’organizzazione degli ultras. Molto buoni un paio
di cori a rispondere e qualche manata. Si va
negli spogliatoi sull’1-0, tra gli applausi del
Francioni.
L’ottimo Latina visto nella prima frazione
di gioco, che per il momento ha ribaltato
il risultato sfavorevole della gara d’andata, ha dato la carica ai propri tifosi che già
pregustano un traguardo davvero storico,
sia a livello cittadino che regionale. Eppure, quando il gioco riprende, s’intuisce che i
nerazzurri hanno perso qualcosa in lucidità
mentre il Cesena appare più motivato e reattivo.
Così dopo soli 120’’ arriva il pareggio di Defrel, bravo ad approfittare di una clamorosa
dormita della difesa avversaria. È il pari che
manda in visibilio i tifosi ospiti, tirando un
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colpo basso alla formazione di casa che,
nei minuti successivi, rischia in più di un’occasione di capitolare per la seconda volta.
giustamente le mani: qualunque sia stato
l’epilogo, si è trattato di un’annata incredibile per tutti a Latina.
Le due tifoserie continuano a tifare con discreta continuità, non lesinando insulti reciproci, rimarcati dai cori anti bresciani, amici
dei cesenati, scanditi dalla curva di casa.
Quando decido di tornare verso la macchina, il Cesena è ancora tutto sotto la propria
curva, con giocatori e staff che festeggiano
a suon di gavettoni e lancio di maglie ai tifosi. Per i bianconeri si tratta di un ritorno
nella massima serie dopo solo due anni
di purgatorio, una promozione insperata e
che, per quanto emozionante, dovrà certamente suggerire alla società un intervento
massivo in fase di mercato.
In campo le emozioni sono davvero poche
e, salvo qualche folata nerazzurra negli ultimi minuti, si arriva al 45’ senza sussulti.
Nei minuti di recupero la difesa di Breda ne
combina un’altra, concedendo un penalty
agli avversari: dal dischetto va Cascione
che non sbaglia e regala la promozione ai
suoi. L’esultanza con i tifosi giunti dalla Romagna è di quelle da immortalare e da lì
alla fine sarà soltanto una festa scandita dal
boato di gioia al triplice fischio del direttore
di gara.
Nelle fila latinensi c’è grande delusione con
molti giocatori che si gettano in terra piangendo, consolati però dai tifosi che rimangono all’interno dello stadio per battergli
Il ritorno a casa porta con sé la consapevolezza che forse si è trattato dell’ultimo evento di questa stagione sportiva. Da una parte
è un peccato, ma dall’altra anche un gran
toccasana per riempire, d’ora in avanti, le
mie domeniche con mari, laghi, montagne.
L’importante è che stadi e palazzetti non siano poi troppo lontani.
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Simone Meloni.
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Tifocronache: Finale playoff Serie B, Latina-Cesena 1-2
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Tifocronache Extra: 50 anni della Benedetto XVI Basket Cento
50 ANNI DI BENEDETTO
XVI BASKET CENTO
Con il 2014 si festeggiano i cinquant’anni
della Benedetto XIV Basket fondata nel
1964. Luogo delle celebrazioni è il parco
adiacente al palazzetto, alla presenza di
oltre 1000 persone.
Attorno al campo di gioco sono posizionati diversi stand da quello per la vendita
del materiale ad altri per di natura enogastronomica (primi piatti, anguilla ai ferri,
panini con la salsiccia, gnocchini fritti e
tanta birra).
Naturalmente non possono mancare tutti
i striscioni storici del tifo Centese: Overdose biancorossa, Vecchia Fossa, Old
Lions, Fossa dei Leoni, Benedetto wonderful e Win for us.
L’evento inizia poco dopo le 20:30. Dopo
che i presentatori hanno illustrato la sca-
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Tifocronache Extra: 50 anni della Benedetto XVI Basket Cento
letta della serata, che inizia con la storia
della nascita della Benedetto, si passa
ad una sfilata- presentazione di tanti giocatori che hanno fatto storia di questo
sodalizio, tutto ciò con la musica di Rocy
come colonna sonore.
Due squadre composte da tali giocatori,
una in canotta bianca e l’altra rossa (che
sono poi i colori della Benedetto), entrano una affianco all’altra e dopo un breve
riscaldamento si sfidano sul parquet.
La partita si svolge su un quarto unico da
50 minuti, chiaro riferimento agli anni di
vita del club, con i circa 40 giocatori che
giocano in modo molto amichevole, senza falli, con cambi volanti, doppi passi,
diciamo pure senza regole.
Fra un tiro a canestro e l’altro, non può
ovviamente mancare il tifo che, per tutta
la partita, ha messo in mostra il meglio
del proprio repertorio, intonando diversi
cori e facendo seguire anche l’accensione di alcuni fumogeni.
Quando manca ormai poco alla fine della
partita, si ritrovano tutti in campo in una
sorta di tutti contro tutti, con il quale si
conclude l’incontro con un pareggio concordato e simbolico che decreta vincitori
tutti quanti abbiano partecipato.
Successivamente, sul palco, c’è anche
spazio per il ricordo, allorquando vengo-
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Tifocronache Extra: 50 anni della Benedetto XVI Basket Cento
no chiamate le famiglie di giocatori, allenatori e tifosi scomparsi per consegnar
loro delle targhe in memoria dell’importante contributo dato alla causa del basket a Cento.
La serata finisce con uno spettacolo di
burlesque, la presentazione della squadra migliore degli ultimi 50 anni votata
dai tifosi, asta di indumenti e cimeli dei
giocatori fra gli applausi di tutti i presenti.
Una storia di passione meritava questa
festa, soprattutto merita di vivere per altri
50 anni ancora. Una storia resa ancora
più bella perché percorsa a braccetto con
il proprio tifo, perché essenzialmente un
sodalizio sportivo è anche e soprattutto
patrimonio storico di chi lo sostiene, cosa
che nel calcio sembrano aver dimenticato per vendere l’anima al diavole delle
televisioni a pagamento.
Fabio Bisio.
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Tifocronache: Gara 4 Playoff Lega A, Virtus Roma-Mens Sana Siena 71-65
IL CUORE OLTRE L’OSTACOLO
Venerdì sera. In molti escono con amici,
consumando aperitivi e serate in centro dal
sapore snob. Noi no. Siamo qui ancora una
volta per commentare questa Gara 4 delle semifinali scudetto. Come per l’andata, il
mezzo che mi accompagna è la metro. Stavolta, provenendo dal lavoro, posso avere
il “lusso” di coprire quasi l’intera tratta della
Linea B. Rebibbia-EUR Palasport sono ben
19 fermate e se tale distanza in una città
normale, sotto il profilo dei mezzi pubblici,
non rappresenta un grande ostacolo, posso assicurare che a Roma 20 fermate sulla
“metro blu”, possono equivalere ad un vero
e proprio inferno sotto il profilo emotivo e
psicologico. Che poi, una volta, a tentare di
alleviare questi viaggi urbani c’erano anche
figure simpatiche come maghi e “sombreroni” messicani che cantavano, pure bene,
il loro Cielito Lindo. Ora anche chi sbarca
il lunario con queste attività ha deciso di rinunciarvi, preferendo l’umanità della Linea
A. Terminato il mio personale assolo sulle
metropolitane di Roma, che non so a quanti
possa interessare, possiamo partire con il
resoconto.
Ritiro l’accredito quando manca una mezz’ora all’inizio e stavolta, rispetto a due giorni prima, non ci penso su e mi metto nella
curva opposta a quella di casa, dove poter
scattare entrambe le tifoserie è più semplice e produttivo. Nel settore ospiti, stavolta,
la Brigata è già al suo posto: il contingente senese si presenta con qualche unità in
più rispetto a Gara 3, dimostrandosi sin dal
riscaldamento chiassoso e speranzoso di
raggiungere quest’oggi la finale.
Il PalaEur, seppur con un’affluenza minore rispetto a due giorni prima, appare più
compatto, grazie alla saggia decisione della
società di chiudere il terzo anello, facendo
confluire tutto il pubblico nel primo e secondo. La scelta si rivela vincente e stasera
anche gli spettatori generalmente più freddi appaiono avvezzi all’incitamento, dando,
nel loro piccolo, un contributo fondamentale
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Tifocronache: Gara 4 Playoff Lega A, Virtus Roma-Mens Sana Siena 71-65
per quella che sarà una vittoria d’orgoglio. Lo stesso orgoglio mostrato dai ragazzi della Curva Ancilotto che, in barba
ad una probabile eliminazione, si mostrano compatti e decisi ad imporre il loro
tifo. Davvero poco da dire sulla prestazione dei capitolini che si migliorano ulteriormente riuscendo ad essere costanti
per tutti e quattro i quarti.
Da parte senese, come sempre, ottima
prestazione, sempre in movimento e
con bandiere e stendardi tenuti spesso
in alto. Inutile ripetersi su quanto detto,
a livello di tifo sono una certezza ormai.
Stasera però per la Mens Sana la festa è
rimandata, Goss e compagni non ci stanno a lasciare la serie con un umiliante
4-0 e danno il tutto per tutto, riuscendo a
conquistare un successo che, anche se
poco utile, suscita gli applausi soddisfatti del pubblico romano, il quale che capisce che stasera questi ragazzi hanno
gettato il cuore oltre l’ostacolo, onorando
le casacche che indossano.
Sì andrà a Gara 5, da disputarsi di nuovo al PalaEstra. La stagione volge verso la conclusione ed anche le fatiche
degli sportpeopliani più accaniti stanno
per andare, almeno per qualche mese,
in mansarda o, preferibilmente, su una
bella spiaggia a prendere il meritato sole
estivo. Per ora, per me, c’è davanti un altro viaggio… e una Linea B per cantare!
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Simone Meloni.
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DALLE STELLE ALLE STALLE
Dalle stelle alle stalle, questo potrebbe essere il motto della stagione di Novara e Varese. Due squadre che appena tre anni fa si
giocarono l’accesso alla massima serie che
vide i piemontesi trionfare. Tornando indietro di appena una stagione, gli stessi azzurri, dopo una rimonta incredibile, arrivarono
ai playoff promozione cedendo all’Empoli,
che poi venne battuto dal Livorno.
Sicuramente nemmeno il più pessimista si
sarebbe aspettato ad inizio stagione di lottare per la permanenza in cadetteria, ma
le squadre hanno visto invece scivolare le
ambizioni di promozione a furia di risultati
negativi o terremoti societari, per quanto riguarda i biancorossi.
Per cercare di riempire lo stadio, la società
piemontese ha deciso di abbassare notevolmente i prezzi per tutti i settori del Piola,
il risultato è tutto sommato buono anche se,
come sempre accade con l’abbassamento
dei prezzi, molti posti sono occupati da tifosi
d’occasione, pronti con la stessa abilità a
saltare sul carro dei vincitori oppure mettere
alla gogna la squadra se dovesse andare
male, ma si sa, gli occasionali questo offrono.
Volgendo lo sguardo alla curva Nord, casa
degli ultras azzurri, le presenze si assestano sulle 250 unità circa. A margine delle
pezze casalinghe si nota un piccolo drappo
dei RWS Rimini, presenti per rinsaldare il
gemellaggio tra le due tifoserie, così come
furono presenti anche nei playoff dello scorso anno.
Spostando l’attenzione al settore ospite, la
presenza varesina si aggira intorno alle 600
unità, molti saranno stati attirati dal tagliando al prezzo di 1€ che, in aggiunta all’importanza e alla rivalità tra le due squadre,
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fa sì che anche la partita sugli spalti abbia i
suoi motivi di interesse. Sono presenti, oltre
ai semplici club di tifosi con le loro pezze al
seguito, anche i BH 98 e gli Arditi, la frangia
ultras del tifo varesino pronta a sostenere i
propri colori per tutti i novanta minuti.
La curva novarese accoglie la squadra con
varie torce “flash” e diversi bandieroni che
fanno sì che l’inizio sia a dir poco spettacolare. Anche i varesini accolgono ottimamente l’entrata in campo della propria squadra
con un fortissimo “Varese Varese” e con lo
sventolio di numerose bandierine.
Il tifo da ambedue le parti è di alto livello:
i novaresi sfoderano subito cori a ripetere
molto potenti, i varesini, superiori di numero, con il cuore e la voglia giusta, rispondono alla grande, facendosi sentire molto
bene ed arrivando a sovrastare i novaresi
che coprono di fischi i rivali.
La partita vede il dominio, senza mai troppo
affondare il colpo, del Novara, che accompagnato dall’incessante tifo della propria
curva cerca il vantaggio. Varese e tifosi che
resistono, chi a suon di falli e chi con il sostegno vocale: cori secchi che denotano il
chiaro schieramento politico dei varesini,
fanno da muro verso gli infruttuosi attacchi
novaresi. Varese che cinicamente si porta
in vantaggio alla prima occasione buona
con il suo uomo migliore, Pavoletti, bravo
ad insaccare di testa un cross piovuto dalla destra. Estasi per i 600 biancorossi che,
oltre ad esultare di gioia per un gol molto
importante, non perdono occasione per indirizzare diversi sfottò ai propri rivali.
Doccia fredda per tutto lo stadio ma non sul
settore degli ultras i quali, armati di voglia e
attaccamento ai colori, non mollano un attimo e continuano ad esortare la squadra.
Per far capire ai propri giocatori che loro ci
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credono, i novaresi chiedono e ottengono
l’aiuto di tutto il pubblico, facendo sollevare
un paio di fortissimi cori secchi.
Il vantaggio permette agli ospiti la libertà di
concedersi cori all’indirizzo dei novaresi, insulti rispediti prontamente al mittente.
L’intervallo si avvicina e gli ultras novaresi
spingono sull’acceleratore con un “Fino alla
fine forza Novara” che chiude il primo tempo. Il secondo si apre con i padroni di casa
che ricordano due ultras prematuramente
scomparsi. Dopo qualche bordata di fischi
per rifiatare e disturbare il possesso palla
avversario, gli ultras azzurri ripartono prima
salutando i gemellati oggi presenti e poi con
un susseguirsi di cori prolungati. A differenza del solito, quando il battimani sovrasta la
voce, oggi, essendo anche in numero superiore alla media, il risultato è davvero ottimo
e fa capire che, quando vuole, questa piazza sa offrire numeri di tutto rispetto.
La curva varesina ha speso molto nel primo tempo, lasciando a cantare solo la parte
ultras del settore, ma non molla un attimo;
dal palo il lanciacori sprona i suoi: un susseguirsi di cori a ripetere, certamente l’arma migliore dei biancorossi, assieme a cori
più prolungati fanno capire alla squadra che
loro sono lì per spingerli alla vittoria. Anche
se non tutti partecipano al tifo regolarmente, devo dire che sotto l’aspetto visivo i varesini sono molto attivi: accendono qualche
torcia rossa, sventolano un buon numero di
bandiere, più o meno piccole, e un grosso
bandierone, risultando molto vivaci agli occhi dei presenti.
La partita si fa difficile per i novaresi, la
squadra si sbilancia in avanti alla ricerca
della rete del pareggio ma la cinicità del Varese ha ancora la meglio, ed è ancora Pavoletti che infilza il portiere azzurro.
Reazioni opposte nelle curve: i varesini
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sono incontenibili, mentre Curva Nord e
stadio intero fanno capire alla squadra che
non ci stanno, riversando tutto il loro disappunto contro l’allenatore Aglietti, bersaglio
di diverse critiche soprattutto ad opera del
settore Rettilineo.
I varesini ricordano il gemellaggio che li
lega agli interisti con qualche coro a tono,
ma non è dato sapere se fossero presenti
o meno i nerazzurri, data la totale assenza
di un qualche segno distintivo che lo dimostrasse.
La partita volge al termine, il Novara rischia
la capitolazione più volte e solo l’imprecisione degli attaccanti biancorossi lascia
che sia lo 0-2 il punteggio finale. Esultanza
ospite a più non posso, mentre il resto dello
stadio di opposto colore non ci sta, riservando una bordata di fischi all’uscita di scena degli azzurri.
La contestazione pacificamente continua
fuori dallo stadio, dove circa un centinaio
di tifosi aspetta il pullman della squadra per
un confronto che non avverrà, così i tifosi si
sposteranno a Novarello dove il confronto,
contrariamente agli intenti iniziali, è uscito
un po’ fuori dalle righe.
Si chiude così anche questo anno, il primo
completo per me, volevo ringraziare Matteo
che con i suoi consigli e correzioni ha reso
più facile il mio lavoro. Un altro grazie ai vari
contatti che si sono prestati all’arricchimento dei miei articoli, rendendoli quanto più
completi e veritieri. Il prossimo anno sarà
Lega Pro, un campionato a livello calcistico
più basso ma, per quello di cui noi ci occupiamo, molto ricco di incontri con vecchi
“amici”. Chi vivrà vedrà.
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Alessio Farinelli.
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Tifocronache: Ligue 2 Francia, Metz-Le Havre 3-0
NEI MOMENTI FELICI
TI STANNO ACCANTO GLI AMICI
Penultima giornata di campionato di serie B
francese e il Metz, promosso da due giornate, festeggia stasera la conquista del titolo di campione di serie B. È pure l’ultima
apparizione dei granata nello loro stadio di
Saint-Symphorien questa stagione, prima
del ritorno in serie A fra tre mesi.
Lo stadio si presenta quasi completamente
esaurito, con un po’ più di 22.000 spettatori, preannunciando spettacolo sul campo
e nelle curve. Difatti, stasera, ricorre l’anniversario della Coppa di Francia vinta dal
Metz nel 1984, con la squadra che scende
in campo con una replica della gloriosa maglia con cui conquistò il trofeo.
Il clima è disteso, per i risultati già acquisiti e
per via del amicizia che lega una parte degli
ultras del Metz (quelli della gradinata ovest)
a quelli di Le Havre. Non a caso, quando ar-
rivo allo stadio, noto presso che il club della
“Génération Grenat” ci sono i “Barbarians”,
gli ultras normanni che si spendono a bere
e socializzare con gli amici granata.
Entro nello stadio mezz’ora prima della partita e posso scorgere, con gli ultras del Metz,
anche alcuni ragazzi di Vicenza, quelli della
Contrada San Domenico (cioè gli ex-Vigilantes), venuti apposta dall’Italia per essere vicini agli amici francesi nel giorno della
storica promozione in Serie A, dopo sei anni
trascorsi tra serie B e serie C.
Gli ultras del Metz ci sono sempre stati (perfino una nuova entità è nata da queste parti,
il “Gruppa”), al contrario di tutti gli occasionali che posso notare oggi. Ci sarà una coreografia, con migliaia di bandiere bianchegranata realizzate e distribuite da alcuni
sponsor. La bandiera poteva anche essere
carina, senza gli sponsor, ma ovviamente,
i “generosi” contributori volevano apparire.
Accanto al logo del Metz, c’è scritto in inglese “We are back”. Almeno i bambini sa-
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Tifocronache: Ligue 2 Francia, Metz-Le Havre 3-0
ranno felici, e già solo per questo possiamo
dire che una parte dell’obiettivo è stata raggiunta: magari la sventolano per la partita
di oggi e forse torneranno fra qualche anno
tra le fila degli agitatori degli stadi che sono
gli ultras.
Nella gradinata est, dove prende posto la
“Horda Frenetik”, posso notare i drappi dei
gemellati dello Standard Liege (“Ultras Inferno”) e del Kaiserslautern (“Generazion
Lucifer” e “Youth Frenetik”).
I ragazzi di Le Havre sono una trentina, tra
il club “Kop Ciel et Marine” e gli ultras dei
“Barbarians”. La loro squadra (la più antica del calcio francese, fondata nel 1872,
con una divisa blu scuro e blu chiaro, per
riprendere i colori delle prestigiose scuole
di Oxford e Cambridge), non ha più niente
da chiedere alla sua stagione, che è stata
penosa, e la serie A non è arrivata malgrado il nuovo impianto (bellissimo) costruito
per la squadra normanna.
Ore 20.29, le squadre sono nel tunnel, e
tutto lo stadio si tinge di bianco e di granata,
tramite le bandiere sventolate. Una coreografia con strisce bianche e granata (anche
se erano più tendenti al rosso, per dir la verità...) è allestita in tribuna, ma non so da
chi; in mezzo un piccolo bandierone con lo
stemma della squadra, cioè la croce della
Lorraine.
Nella gradinata ovest, sede di “Génération
grenat” e di “Gruppa”, non c’è niente di particolare allestito dagli ultras, tranne qualche
stendardo con il nome della città e un fumogeno arancione.
Stesso spettacolo nella gradinata est, che
lascia spazio alla coreografia degli sponsor
e aggiunge alcuni bandieroni bianco-granata ma, dopo che le squadre sono sul campo,
una bella sorpresa mi aspetta, concretizzata in una fumogenata vecchio stampo. Non
sarà affatto male, anche se ristretta, ma
per questi tempi e la repressione che c’è in
Francia, va più che bene. La polizia sta pre-
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parando “al meglio” gli Europei del 2016 e
tutto quel che assomiglia a un fumogeno è
assolutamente vietato. Bisogna aggiungere che stasera c’è pure il presidente della
Lega francese, e lui è uno degli avversari
più accaniti di queste pratiche, che colpisce
con multe a pioggia sulle società che non
sanno gestire i loro tifosi più “scalmanati”.
Il tifo comincia ma, con mia sorpresa, non
sarà un gran ché. Non è mai facile gestire
un sacco di occasionali in queste partite di
cartello, ma comunque, tranne l’onorevole
impegno dei nuclei dei gruppi più i simpatizzanti, mi aspettavo di meglio. Il livello è sotto tono, pur se canteranno per tutto il primo
tempo senza sosta.
Il goal del Metz al primo minuto lascia presagire che la partita sarà una passeggiata
per i giocatori granata. Una sciarpata si
materializza durante il primo tempo, nella
gradinata ovest, ma resterà circoscritta agli
ultras. Dall’altro lato è lo stesso: il cuore dell
Est canta, ma non ce la fa a coinvolgere il
pubblico restante. Nel settore ospite, invece, ci sarà niente o quasi: i ragazzi sembrano in contestazione, ma non ne sono sicuro. Guardano la partita dietro i loro striscioni
e nulla di più.
Il secondo tempo comincia e un lungo striscione viene appeso alla balconata della
gradinata ovest per i “cugini” e rivali del
Nancy (città distante neanche 40 kilometri
a Sud): “Nancy: due anni fa eravate fieri,
stasera state al posto del cretino”. Praticamente, due anni fa il Nancy tornava in Serie A mentre il Metz retrocedeva in Serie C,
mentre quest’anno, per sei punti, il Nancy
dice addio alla massima serie, coincidenza
sei punti persi proprio nelle due partite con
il Metz.
Durante il secondo tempo il tifo sarà
ugualmente sotto tono, malgrado altri due
goal. Ci saranno comunque varie occasioni di vedere torce e soprattutto, attorno al
sessantesimo, le due curve cominciano alcuni cori a rispondere lasciando intuire tutto
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il potenziale degli ultras granata: lo “scambio” di cori avviene col nome del club, “FC
Metz”. Bellissimo, peccato che durerà solo
per due minuti.
Al terzo goal del Metz, i ragazzi della Horda tirano fuori un bandierone con la testa
di un ultras, sotto al quale accendono vari
fumogeni, ottenendo un bell’effetto. I “Barbarians” di Le Havre, invece, stufi della prestazione della loro squadra, decidono di abbandonare lo stadio.
Ad un paio di minuti dal fischio finale, ci
sono vari fumogeni, uno striscione contro il
Nancy ed un altro per ringraziare l’allenatore del Metz, fra l’altro ex-giocatore di spicco
della squadra.
Nel frattempo lo speaker dello stadio avverte che è proibito invadere il campo perché,
appena finisce l’incontro, i giocatori ringrazieranno il pubblico, poi seguirà la premiazione dei campioni della Serie B ed infine
ci sarà un fuoco d’artificio (la pirotecnica è
un reato solo per gli ultras, a quanto pare).
Gli steward si posizionano dappertutto e,
appena viene fischiata la fine della partita,
anche la polizia antisommossa si posiziona
di fronte alla gradinata ovest, un atteggiamento provocatorio che non serve a niente,
tranne surriscaldare il clima di una serata
molto calma.
La squadra fa il giro del campo, altre torce
vengono accese e si sentono diversi cori
contro il presidente della Lega. In questo
lasso di tempo, il palco viene montato ed
il Metz riceve il suo trofeo, proprio dal presidente della Lega che viene mandato a
quel paese dagli ultras. Anche i vari politici
di turno, che salgono sul carro dei vincitori,
si prendono la loro bordata di fischi. Finalmente la serata si conclude, sotto i fuochi
d’artificio. Finalmente l’anno prossimo sarà
di nuovo Serie A.
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Sébastien Louis.
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Tifocronache: Playoff Lega Pro 1/B, Frosinone-Lecce 1-1 (3-1 dts)
GIOIA SFRENATA E BOCCONI AMARI
Come tutte le finali, anche questa che
contrappone Frosinone e Lecce, per
decidere la promozione in B, ha il sapore
della storia. L’approccio però è per certi
versi opposto. Il Frosinone arriva a
questa gara al culmine dal punto di vista
mentale, forte anche del pareggio in terra
salentina che gli permette di affrontare
la partita da una posizione di privilegio
strategico.
Il Lecce, o per meglio dire la tifoseria
leccese, ci arriva con una certa
disilussione, un po’ per il già citato
pareggio interno che ha tanto il sapore
dell’occasione sfumata, ma soprattutto
per la ferita ancora aperta e bruciante
della sconfitta subita la stagione scorsa
ad opera del Carpi. Una sconfitta che ha
pesato molto sia a livello calcistico ed
ha pesato ancor di più nella prospettiva
degli ultras, colpiti in maniera brutale per
i famosi scontri scatenatisi a margine,
la cui successiva ondata di moralistica
indignazione
mediatica
richiedeva
necessariamente provvedimenti penali.
Perché oggi, purtroppo, è così: l’agenda
e le priorità le stabiliscono l’opinione
pubblica e quando lo Stato reagisce
“di pancia”, istintiva scatta la reazione
del braccio violento dello Stato stesso.
Inutile dire che, invece, una risposta “di
testa”, ragionata non c’è e non c’è mai
stata.
Ferme restando le responsabilità
di ognuno (e ce ne sono un bel po’
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Tifocronache: Playoff Lega Pro 1/B, Frosinone-Lecce 1-1 (3-1 dts)
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Tifocronache: Playoff Lega Pro 1/B, Frosinone-Lecce 1-1 (3-1 dts)
anche degli organi di sicurezza e delle
Istituzioni...) è però assurdo che nessuno
se ne avveda che l’uso deterrente della
“pena esemplare”, colpendo in maniera
indiscriminata a prescindere da innocenti
o meno, non ha prodotto risultato alcuno
se non fomentare rabbia e ad accrescere
l’odio verso divise e ogni altra emanazione
dello Stato.
Tornando alla stretta attualità, gran
fermento nella città laziale, dove la
squadra viene incitata prima ancora
di scendere in campo, fin dal suo
arrivo in pullman allo stadio. Tante le
presenze sui gradoni, compresa la folta
rappresentanza giallorossa; ancor di più
il colore, da ambo le parti.
Frosinone saluta l’ingresso delle
sqaudre in campo con un bel bandierone
copricurva con palloncini gialli e blu ai lati.
Coreografia semplice ma di bell’effetto.
Leccesi meno ricercati, puntano tutto sul
più classico ed italiano degli spettacoli
garantito dalle sciarpe levate al cielo.
Colpo d’occhio splendido anche per loro.
Meritano menzione anche i ragazzi del
gruppo “Frvsna”, non tesserati Frusinati
che si collocano nei Distinti, il cui apporto
di voce e colore non è meno importante
Ottima la presenza dei giallorossi
ospiti, significativa per numeri e per
generosità. Tra di loro si registra anche
qualche defezione per via di un gruppo
di non tesserati bloccati all’esterno
dell’impianto, rei di non aver accettato la
sottoscrizione del noto e discusso piano
ministeriale di “tracciabilità del bestiame”.
Qualche problema con le locali forze di
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Tifocronache: Playoff Lega Pro 1/B, Frosinone-Lecce 1-1 (3-1 dts)
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Tifocronache: Playoff Lega Pro 1/B, Frosinone-Lecce 1-1 (3-1 dts)
polizia che i media hanno fatto passare
per la battaglia di Stalingrado, ma nulla
di nuovo per chi conosce l’aria torbida
che avvolge da qualche anno l’ambiente
calcistico.
In campo regna l’equilibrio, tanto
che al triplice fischio si giunge con lo
stesso risultato dell’andata. Servono i
supplementari e risulteranno decisivi
per determinare la vittoria dei padroni di
casa che, con un 3-1 inatteso, salutano
la terza serie e tornano in cadetteria, con
giubilo incontenibile del proprio pubblico,
autore di un’invasione di campo scattata
anzitempo e sfuggita al controllo degli
addetti alla sicurezza.
Bene per i padroni di casa, peccato che
ad una grande gioia faccia sempre da
contraltare la cupa delusione di chi esce
sconfitto. E la sconfitta del Lecce ha un
peso specifico doppio, per le motivazioni
già espresse. Capro espiatorio dello
scandalo scommesse, dal quale ne
sono usciti in scioltezza tutti gli altri, una
soddisfazione sportiva sarebbe servita
a lenire non solo questo, ma anche il
dolore dell’anno successivo e il sale
sulla ferita che arresti e diffide hanno
significato. Bisognerà tornare a lottare e
soffire, che è un po’ l’indole degli ultras,
per cui sappiamo che sapranno farlo con
umiltà e fierezza, come d’altronde hanno
già fatto in questi anni di Serie C, una
categoria stretta per il loro blasone, detto
con sincera assenza di retorica.
Testo di Matteo Falcone.
Foto di Around-the-ground.com.
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Tifocronache: Playoff Lega Pro 1/B, Frosinone-Lecce 1-1 (3-1 dts)
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Tifocronache Extra: 40 anni di Curva Ovest Ferrara
FERRARA, 40 ANNI DI CURVA OVEST
La Spal, oltre a festeggiare la promozione nella nuova Lega unica della ex Serie C, si ritrova di fronte ad un altro importante avvenimento, l’anniversario dei
40 anni di militanza della Curva Ovest, il
cuore pulsante del tifo spallino.
Nella cornice suggestiva e storica dello
stadio “Paolo Mazza”, concesso senza
problemi dalla società, si inizia già alla
mattina, di buon’ora, con un torneo di
calcio a 5 fra i gruppi della Curva per poi
continuare nel pomeriggio con un dibattito sulla tessera del tifoso e sul articolo 9.
Chiusura del cerchio con la premiazione
del torneo di calcio e la consegna di una
targa da parte della tifoseria dell’Ancona.
Attorno al campo di gioco sono tutti gli
striscioni che hanno scritto questi lunghi
40 anni di storia del tifo spallino da Astra
Alcool a Vecchio Astra, passando per
Porro Group ed Estensi Curva Ovest,
finendo per altri che la memoria aveva
rimosso ma costituiscono vere chicche
per gli appassionati di ultras, come per
esempio il Pigs – I maiali di Via Cattaneo
e tanti, tanti altri ancora.
Alle recinzioni trovano posto anche alcuni striscioni fatti per l’occasione, tra questi: “Onore, rispetto e gloria ai pionieri
della nostra storia. Grazie VG 74”, oltre
ad uno dedicato ai fratelli scomparsi ed
un altro, sulla stessa falsariga, per Ciro
Esposito, lo sfortunato ultras partenopeo
recentemente scomparso.
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Tifocronache Extra: 40 anni di Curva Ovest Ferrara
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Tifocronache Extra: 40 anni di Curva Ovest Ferrara
Presenti, come intuibile dal cenno fatto
poc’anzi sulla targa, un buon gruppo di
tifosi dell’ Ancona ed una rappresentanza più ristretta del Potenza, che si palesano anche attraverso le proprie pezze
esposte.
Per tutto il pomeriggio, fra una chiacchierata e l’altra, l’accensione di torce e
fumogeni, non sono mancati diversi cori
contro la Reggiana per un derby che ritorna dopo tanti anni ed un coro per un
sogno che si chiama Serie B.
Allestita anche una mostra sul tifo spallino, mostra composta principalmente da
foto, sciarpe, adesivi e ritagli di giornale
dagli anni ‘70 in poi.
La serata finisce a notte inoltrata con una
coreografia divisa in due parti, la prima
composta da delle torce bianche disposte in modo da comporre un 40, chiaro
riferimento agli anni della curva), mentre
nella seconda invece vengono accesi altri 40 fumogeni di colore rosso.
Il tutto si conclude con tanta musica ed
uno stand gastronomico che sfidano l’avanzare della notte. Non è ovviamente
mancata l’attenzione alle cause di solidarietà, con una raccolta fondi a favore
di un bambino ferrarese bisognoso di costose cure negli Stati Uniti, oltre al resto
dei proventi della serata che sono stati
destinati alle vittime dell’alluvione che ha
recentemente colpito la cittadina di Senigallia, nelle Marche.
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Fabio Bisio.
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Tifocronache Extra: 40 anni di Curva Ovest Ferrara
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Tifocronache: Playoff Serie D, Correggese-Matelica 2-1
GRAZIE LO STESSO
Semifinale fra Correggese-Matelica dei
play off di Serie D, una coda della stagione regolare che determinerebbe la graduatoria dei ripescaggi per la prossima
stagione di Lega Pro unica. Nel merito
non sono mancate, negli anni passati, le
polemiche tra le due leghe di D e della
ex C: quest’ultima ha sempre ribadito l’inutilità di questi spareggi, rifiutandosi di
garantire in maniera assoluta la promozione diretta alla vincente di tali gare ad
eliminazione. Anche se poi, vuoi o non
vuoi, con la moria di squadre tipica di
ogni estate, non solo la vincente, ma anche diverse altre compagini partecipanti
ai playoff hanno ottenuto il ripescaggio.
Oltretutto con criteri poco chiari, con semifinaliste che hanno preceduto in graduatoria la finalista perdente in nome del
blasone, del bacino d’utenza o altri parametri molto discutibili.
Da Matelica, paese marchigiano, sono
presenti circa 200 tifosi giunti con un paio
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Tifocronache: Playoff Serie D, Correggese-Matelica 2-1
di pullman ed auto private, che vengono
sistemati in un prato improvvisato come
settore ospiti. Alcuni striscioni come Ultras, Skizzati, Matellicesi, D’Addazio 5
Group rappresentano il loro biglietto da
visita.
Nella tribuna Correggese, quasi al completo (circa 800 spettatori in tutto), sono
invece solo due gli striscioni: dei semplici “Forza Correggese” e “Orgogliosi di
essere biancorossi”. A livello di tifo praticamente zero, si segnalano solamente
diverse contestazioni contro l’arbitro ed a
fine partita un lungo applauso per la vittoria conquistata.
La tifoseria del Matelica si dispone in
maniera abbastanza dispersiva nel prato, separata dal campo da alcune transenne e da una rete, sotto lo sguardo di
alcuni steward improvvisati per questa
occasione. A cantare e tifare sono circa
30 persone, con alcune bandiere biancorosse ed un paio di tamburi. Verso la
metà del primo tempo viene esposto uno
striscione in due parti con scritto: “Non è
una lettera D o C che cancella il nostro
amore. Mauro sempre con noi!!!”, riferito
al presidente che, prima dell’inizio, era
anche andato a salutare i tifosi al seguito.
Dopo il goal dello 0-1 realizzato dopo 13
minuti dal Matelica, i tifosi marchigiani
scavalcano le transenne per poi arrampicarsi sulla rete, trattenuti a fatica dalla
sicurezza che solo dopo diversi tentativi
riesce a ristabilire la situazione.
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Tifocronache: Playoff Serie D, Correggese-Matelica 2-1
La Correggese, dopo diversi tentativi,
pareggia nel secondo tempo con il suo
bomber Luppi, che si dirige sotto la tribuna a prendersi la sua buona dose di
applausi.
La partita è molto combattuta per entrambe le squadre, senza che nessuna delle
due riesca a sferrare il colpo vincente,
ma all’ultimo minuto di recupero, quando la lotteria dei calci di rigore sembra
ad un passo, i padroni di casa trovano il
goal decisivo che li porterà in finale contro l’Akragas, tra sette giorni sul campo
neutro di Fondi.
Dopo il triplice fischio i Correggesi festeggiano in campo con tutta la squadra, panchina e staff tecnico compresi,
mentre i marchigiani, sconsolati per la
sconfitta dell’ultimo minuto, applaudono
ugualmente la squadra mostrandole anche lo striscione “Grazie di tutto”.
Fabio Bisio.
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Tifocronache: Playoff Eccellenza, Castelfidardo-Rieti 2-1
DOPO 60 ANNI LA D
Esattamente dopo 60 anni il Castelfidardo torna in serie D. All’epoca non c’era
nessun gruppo organizzato a spingere i
biancoverdi, ma da alcune foto in bianco
e nero viste qualche tempo fa, credo che
la spinta del pubblico non mancasse.
Ora, invece, dal 2005 il tifo viene coordinato dai Bad Boys, un gruppo di ragazzi
molto volenterosi e vogliosi di divertirsi,
che non fanno mancare mai il proprio sostegno, sia in casa che in trasferta.
Nel giorno della partita, c’è il pubblico
delle grandi occasioni e i ragazzi giungono allo stadio in un bel corteo, carico e
compatto, affiancati anche dai Boxeurs,
gruppo nato questo e che colgo l’occasione per ringraziare di avermi ospitato
nella gara d’andata a Rieti.
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Tifocronache: Playoff Eccellenza, Castelfidardo-Rieti 2-1
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Tifocronache: Playoff Eccellenza, Castelfidardo-Rieti 2-1
La squadra in campo viene salutata con
una bella ma semplice coreografia, oltre
che con bandieroni e torce accese a più
riprese che, assieme al tifo vocale, spingono gli undici in campo fino al 2-1 che
li porterà finalmente a confrontarsi con
tifoserie di spessore.
Durante la gara vengono intonati cori
contro i rivali storici di Osimo e contro i
Cremisi di Tolentino, tifoseria gemellata
proprio con gli Osimani.
Sugli ospiti poco da dire: sono una decina gli ultras, partono con belle manate
e cori contro la Viterbese, tengono fino
al doppio vantaggio dei locali per poi applaudire la squadra a fine partita. Ovviamente il livello della loro prestazione è
stato proporzionato al numero.
Al triplice fischio tutti in campo per accaparrarsi una maglietta e festeggiare il
presidente o gli altri artefici di questo traguardo. Il tutto si sposterà poi per le vie
del centro, con caroselli e cori.
Questa è veramente l’ultima gara per
questa stagione, mi attendono domeniche di sole e mare, ma il pensiero di quei
gradoni tanto amati mi accompagnerà
per tutta l’estate.
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Francesco Fortunato.
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Tifocronache Extra: 25 anni dei Blue Boys Minervino
MENO TEORIA E PIÙ MILITANZA
Minervino Murge è un piccolo comune di
poco meno di 10 mila anime, arroccato
sulla Murgia barese. Per anni ho completamente ignorato l’esistenza di un movimento ultras in questa piccola cittadina
ma, grazie alla mia passione per il collezionismo ultras, sono entrato in contatto con i responsabili dei “Blue Boys Minervino” che, con umiltà e gentilezza mi
hanno invitato a festeggiare con loro i 25
anni del gruppo.
Calendario alla mano ho subito intuito
che il 21 giugno era una data perfetta da
far combaciare con i miei impegni, così
in solitaria mi sono diretto verso il piccolo
centro pugliese.
Appena arrivato ho avvertito immediatamente la sensazione di trovarmi di fronte
a gente squisita, gentile, a modo; persone difficili da incontrare nella cruda realtà
dei nostri giorni, figuriamoci nel mondo
ultras attuale, fatto di codici non scritti
reinterpretabili a comodo e tanta, trop-
pa mentalità, alcuni ne hanno cosi tanta
che sono disposti anche a venderla.
Il tempo di salutare Antonio, il mio contatto, e farmi presentare agli altri “Blue
Boys”, che vedo arrivare gli “Irascibili” e
la GBA (Gioventù Bianco Azzurra) di Trani, legati da una profonda amicizia con i
minervinesi. Entro nella loro sede, proprio sotto la gradinata di quello in stadio
in cui, ogni domenica, sostengono i propri colori. Vi sono esposte tante maglie
dei gruppi ultras amici, foto e adesivi.
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Tifocronache Extra: 25 anni dei Blue Boys Minervino
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Tifocronache Extra: 25 anni dei Blue Boys Minervino
Il tempo passa tra una chiacchera e
qualche birra e sopraggiungono nell’ordine: Army Korps Monopoli, K-Tost Mola,
Vecchia Guardia Mola, Ultras Taurisano,
Ultras Spinazzola e Ultras Terlizzi.
La serata è piacevole, si beve, si mangia
(tanto) e si parla di tutto, ma per fortuna
non ho sentito cori contro la tessera, l’articolo 9 e quant’altro, che hanno quello
sgradevole retrogusto modaiolo e di cui
poi, se si interroga qualcuno, non ne sa
niente nessuno al di là degli slogan e delle frasi fatte.
Atmosfera distesa, clima sereno, famiglie e bimbi che giocano felici. Gente stupenda quella di Minervino, consapevole
della realtà che vive e che non rincorre
gli stereotipi del nostro movimento, stereotipi che hanno ucciso l’essenza stessa del mondo ultras.
Dopo ogni trasferta, dopo ogni partita,
dopo ogni evento ultras al quale in tanti anni ho partecipato, nella mente mi si
fissa sempre un coro, martellante, continuo, che mi accompagna per qualche
giorno. Anche a questa serata associo
un coro, genuino, goliardico, ma soprattutto ultras, che non riesco a levarmelo
dalla testa: “Se te ne vai salsiccia non ne
hai, se te ne vai salsiccia non ne hai”.
Giudicateli vaneggiamenti di un folle,
ma ci siamo persi il divertimento e la voglia di fare gruppo per correre dietro a
teoriche menate pseudo-filosofiche che
poi nella pratica vengono allegramente
sconfessate.
Lunga vita ai “Blue Boys Minervino”, ultras sicuramente di uno stampo ormai
perduto.
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Michele D’Urso.
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