5 PER MILLE Programma Geneproject Nelle neoplasie linfoidi i risultati sono già disponibili Il Programma che ha vinto il bando AIRC per identificare nuovi geni coinvolti nella diagnosi, prognosi e cura delle neoplasie linfoidi ha ottenuto due risultati importanti per i pazienti e ha, nello stesso tempo, formato una nuova generazione di medici ricercatori a cura della REDAZIONE uando il primo Programma finanziato con i proventi del 5 per mille, donati dagli italiani ad AIRC attraverso le dichiarazioni dei redditi, è stato messo a punto, gli obiettivi dichiarati erano due: il primo raggiungere, con le ricerche selezionate, risultati utili ai malati nei cinque anni di finanziamento previsti; il secondo, non meno importante, creare anche in Italia una figura, il medico ricercatore, che fosse in grado di passare facilmente dal letto del malato al laboratorio e viceversa, per far sì che la ricerca oncologica rispondesse davvero ai bisogni della clinica e che le osservazioni fatte sui malati tornassero utili anche per la ricerca di base. Q Il risultato è stato ottenuto su ambedue i fronti dal gruppo di ricerca coordinato da Robin Foà dell’Università Sapienza di Roma che aveva come scopo di esplorare la genetica dei tumori linfoidi acuti e cronici, per individuare nuovi strumenti di diagnosi, prognosi e cura. I dettagli del Programma battezzato Geneproject e l’elenco di tutti i gruppi che vi partecipano è disponibile sul sito www.geneproject.org e il ruolo assunto, anche a livello internazionale, da Foà e dal suo gruppo in questo settore è testimoniato anche da un editoriale, comparso di recente sul prestigioso New England Journal of Medicine, proprio a firma del medico della Sapienza, che fa il punto sui cambiamenti nella terapia della leucemia linfatica cronica. 8 | FONDAMENTALE | OTTOBRE 2014 UNA VETRINA INTERNAZIONALE Nel corso del recente congresso della Società Europea di Ematologia (EHA), che si è tenuto a Milano, di fronte a 11.000 ematologi, dei sei ricercatori internazionali selezionati per l’importante simposio presidenziale ben due erano giovani medici italiani facenti parte di due unità operative, dirette rispettivamente da Brunangelo Falini e Gianluca Gaidano, afferenti al Programma coordinato da Foà. I risultati presentati sono stati ritenuti così importanti per i pazienti da meritare una vetrina tanto prestigiosa. Enrico Tiacci è un medico ematologo che lavora nel gruppo di ricerca capitanato da Brunangelo Falini presso l’Università di Perugia. Falini è il responsabile di un settore del progetto dedicato alla leucemia a cellule capellute – per elaborare una strategia efficace nella lotta alla leucemia a cellule capellute, una malattia cronica contro la quale esistono tera- pie classiche efficaci ma che con gli anni tende a rispondere meno ai trattamenti. “La richiesta di AIRC era di lavorare su idee che portassero, nel giro dei cinque anni previsti, a una cura efficace per i pazienti” spiega Tiacci. “Nel caso della leucemia a cellule capellute, per fare un salto avanti mancava l’individuazione della vera causa della trasformazione delle cellule a livello molecolare. E mettendo a frutto le conoscenze di genetica del cancro che avevo maturato in anni di ricerca in Germania, sono finalmente riuscito, con Falini, a trovare questa causa: è la mutazione di un gene, BRAF, che finora era stato coinvolto solo in alcuni tumori solidi (per esempio il melanoma), e solo in una parte dei pazienti. Invece in questa forma di leucemia BRAF gioca un ruolo causale fondamentale, essendo mutato nel 100 per cento dei pazienti”. Ora il gruppo di Falini sta lavorando sulla cura: esiste infatti un nuovo farmaco Dal gene al farmaco sotto la guida di insegnanti esperti In questo articolo: leucemia a cellule capellute medico ricercatore linfoma splenico della zona marginale specifico in grado di interferire con il funzionamento di BRAF nelle cellule in cui è mutato, risparmiando quelle in cui non è mutato. “Abbiamo provato questo farmaco intelligente su 26 pazienti ormai resistenti alle altre cure. In tutti i casi meno uno c’è stata una risposta positiva. In parte dei pazienti la risposta è stata addirittura completa. Non sappiamo ancora quanto a lungo durerà l’effetto di questa nuova cura, ma si tratta comunque di un risultato importantissimo per questi pazienti” conclude Tiacci. NEOPLASIA DELLA MILZA Davide Rossi lavora invece nel gruppo di ematologia dell’Università del Piemonte Orientale guidato da Gianluca Gaidano, uno dei partner di Geneproject. Gaidano e il suo gruppo sono esperti nello studio di un raro tumore della milza, il linfoma splenico della zona marginale. “Si tratta di una neoplasia dei linfociti B che si sviluppa in una precisa area della milza” spiega Rossi. “Non è comune, ma, data la sua tendenza a cronicizzare, vi sono molte persone che convivono con la malattia. Quando le cellule maligne abbandonano l’organo colpito e si ritrovano nel circolo sanguigno hanno un aspetto simile a quello della leucemia a cellule capellute”. Anche il gruppo di Gaidano era alla ricerca di un marcatore genetico che spiegasse la trasformazione maligna di queste cellule. “C’erano ben 17 geni candidati a ricoprire questo ... per saperne di più: www.airc.it/risultati-5permille ruolo. Li abbiamo analizzati in diversi casi fino a trovare quello che presenta più frequentemente delle alterazioni”. Si tratta del gene KLF2, mutato nel 30 per cento dei casi: ciò significa che un gene molto importante per il normale sviluppo cellulare è coinvolto nella genesi della malattia. “Questo gene è espresso nel nucleo delle cellule sane” spiega ancora Rossi. “Nel linfoma splenico della zona marginale, invece, lo ritroviamo nel citoplasma. È un dato importante perché oggi sappiamo che non basta che un gene sia integro perché funzioni correttamente, ma deve anche trovarsi nel luogo giusto e al momento giusto”. Anche Rossi è un medico ematologo e divide il suo tempo tra i pazienti e il laboratorio. La sua speranza è di riuscire a trovare un farmaco che abbia come bersaglio proprio il gene che il suo gruppo ha identificato. IL RUOLO DEL SENIOR La scelta di puntare su figure ibride tra la cura e il laboratorio sembra quindi portare i suoi frutti, così come la scelta di affidare la formazione scientifica di queste nuove leve ai ricercatori già esperti, come sono i responsabili dei singoli progetti. “Per un giovane è importantissimo avere una figura di riferimento. I cosiddetti ‘senior’, cioè i direttori dei diversi gruppi di lavoro, sono il vero motore intellettuale dell’impresa, guidano i più giovani e, soprattutto, li selezionano, dando loro la possibilità di crescere dal punto di vista scientifico” spiega Tiacci. Anche l’esperienza di affiancare la clinica al bancone del laboratorio è preziosa: “Nonostante mi occupi soprattutto dei pazienti che seguiamo nelle sperimentazioni, la pratica clinica è essenziale per il mio approccio alla ricerca” conclude Rossi. 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