la Repubblica VENERDÌ 25 LUGLIO 2014 38 R2Diario CONTATTI [email protected] WWW.REPUBBLICA.IT DI REPUBBLICA I conflitti in Medio Oriente e in Ucraina ripropongono la speranza antica, spesso irrisa, che almeno per poco le armi tacciano e si raccolgano morti e feriti Tregua Quell’assenza di guerra che sostituisce la pace LE CITAZIONI ADRIANO SOFRI MACHIAVELLI tregua e la pace sono due modi per così dire filosofici di immaginare e maneggiare il mondo. Non è detto che stiano in successione fra loro, così che la tregua preceda e prepari la pace. Spesso, sempre più spesso, la tregua sostituisce la pace, la rattoppa e si rassegna alla sua assenza. A unire comunque i due termini sta la dipendenza comune dalla guerra. Tregua e pace appaiono i due modi di opporsi alla guerra, e la guerra appare come la tentazione, se non la condizione, prevalente della convivenza umana. L A “Combatterono, e le inimicizie loro, ancora che le non finissero per pace, si componevano per triegue” Il Principe WILLIAM SHAKESPEARE “E dovremo forse noi tentare d’ingraziarci chi c’invade e parlamentare con lui, accettare una tregua disonorevole?” Re Giovanni PRIMO LEVI “Ma la guerra è finita – obiettai: e la pensavo finita, come in quei mesi di tregua, in un senso più universale di quanto si osi pensare” La tregua { LE CRONACHE di questi giorni rinunciano a star dietro al fantasma della pace, e inseguono invece le peripezie delle tregue auspicate, mancate, firmate e violate: la spola di Kerry fra Egitto Israele e Palestina, gli appelli e gli orpelli telefonici attorno all’Ucraina, le cerimonie retoriche e diplomatiche ginevrine sulla Siria… Non si riesce a far rispettare una tregua di 5 ore, e si vorrebbe ottenere una pace? Ci si può spingere a pensare che la pace sia meno ardua che una modesta tregua, e che i piccoli passi siano un mito endemiche guerre locali e civili, e che riporta sempre le cose al pun- si adatta ai panni di una povera to di partenza. In realtà la tregua arte della tregua. Ci riuscisse, alè la scelta sempre più obbligata meno. di un mondo in cui, per trasferire La tregua, oggi, prima d’esser un’immagine del papa France- rifiutata o violata, è irrisa. Lo fu sco, prevale la chirurgia da cam- già in passato, per un’altra ragiopo. I nostri antenati dicevano, ne, più fiera e meno cinica. «Alto piuttosto che far la pace, “fare le a cavallo, mentre il sol dilegua / paci”, e intendevano per un verso dietro ai templi dell’Urbe, alla che ne occorressero altrettante Coorte / Garibaldi parlò: “Nessuquante erano le fazioni avverse o na tregua!…”». Sono versi delle addirittura le persone, per l’altro Rapsodie garibaldine del risorgiverso che bisognasse prima di mentista Giovanni Marradi. I notutto separare i contendenti, es- stri eroi erano così, la tregua era ser pronti a intromettersi fra lo- alle loro orecchie sinonimo di ro. Francesco d’Assisi era un cam- viltà, di cedimento. Ancora il legpione del fare le paci, e può darsi gendario capo della Resistenza che il papa omonimo senta il di- urbana nei Gap, i Gruppi di Aziovario con la sua visita in Terra- ne Patriottica, Giovanni Pesce, santa e gli incontri subito fru- nel 1967 intitolò così le sue mestrati nei giardini vaticani. morie: Senza tregua. Su quella La divaricazione crescente fra scorta combattenti fuori tempo tregua e pace, fra l’ospedale da intitolarono a loro volta «Senza campo e la medicina curativa o, tregua» il proprio desiderio d’olancora più lontana, preventiva, è tranza. Nello sdegno verso la treuno scacco della politica, se la po- gua si potrebbe ravvisare una valitica è l’arte del governo. Ma la riazione del famoso contrasto fra politica è stata piuttosto l’arte trattativa e fermezza, se non fosdella guerra, e oggi, quando la ve- se ora di archiviarlo. Oggi si rincorre la speranza ra grande guerra non si può fare (il che non assicura che non si fac- spicciola di una tregua. Che si rascia, e buonanotte a tutti) la poli- segnino a tacere un giorno, un’otica non sa essere né l’arte della ra, le armi a Gaza, così da raccoguerra né della pace, e batte in ri- gliere morti e soccorrere feriti. tirata davanti alle innumerevoli Che si aprano in Siria corridoi L’IMMAGINE L’immagine realizzata dall’illustratore inglese Angus McBride (19312007) raffigura soldati tedeschi e britannici in una tregua natalizia durante la Prima guerra mondiale umanitari — che stanno allo spazio come la tregua e la moratoria al tempo — dai quali far filtrare vaccini antipolio, farmaci, pane. Che si sospendano scontri e agguati nell’est ucraino. E così via. Altrove, con altri capitani di sventura, nemmeno parlarne, di tregua, nell’Iraq del califfo, nella Nigeria di Boko Haram. Per noi la parola tregua è legata a Primo Levi, e al suo libro più famoso, grazie alla scuola e al film di Francesco Rosi, La tregua. Lo si descrive come il racconto del ri- > SILLABARIO torno, di un’uscita a riveder le stelle, mentre Se questo è un uomo, e più I sommersi e i salvati, sono il verbale di una caduta nell’abisso. Tuttavia nel tempo sospeso della tregua, della risalita e perfino dell’allegria e della speranza, Levi addita un significato via via più largo, fino ad abbracciare e ingoiare tutta l’esistenza umana. «Esistono remissioni, “tregue”, come nella vita del campo l’inquieto riposo notturno; e la stessa vita umana è una tregua, una proroga; ma sono in- PUBLIO VIRGILIO MARONE Tregua DOPO che tutto il corteo dei compagni procedette lontano, Enea si fermò, e soggiunse con un profondo gemito: ci chiamano di qui ad altre lagrime gli stessi orridi destini di guerra; salve in eterno, o magnanimo Pallante, e addio in eterno. (...) Vi erano già ambasciatori della città latina, velati di rami d’olivo, e chiedevano tregua: rendesse i corpi che giacevano seminati dal ferro nei campi, e li lasciasse seppellire sotto la terra del tumulo; nessuna lotta con i vinti e i privi di spirito vitale; risparmiasse coloro che un giorno aveva chiamato ospiti e suoceri. Ad essi che facevano ragionevoli richieste l’ottimo Enea accorda la tregua, e soggiunge: quale così ingiusta sorte, o Latini, vi coinvolse in simile guerra, da farvi fuggire la nostra amicizia? Mi chiedete pace per i morti e per gli estinti nella vicenda di Marte? Ed io vorrei concederla anche ai vivi. tervalli brevi, e presto interrotti». Ma se la vita stessa è una tregua, vuol dire che la morte viene dopo ma anche prima, che la vita è un’interruzione della morte, e che la pace è un’interruzione della guerra. «Ma la guerra è finita — obiettai: e la pensavo finita, come in quei mesi di tregua, in un senso molto più universale di quanto si osi pensare oggi. — Guerra è sempre — rispose memorabilmente Mordo Nahum». Il nostro mondo è paradossale: ha un’aria balordamente spensierata, e insieme si adatta a un realismo che sconfina nel cinismo. A cent’anni dalla prima Sarajevo, la nozione storiografica di una lunga guerra europea che va dal 1914 al 1945 è senso comune: non sono le due guerre dichiarate mondiali a interrompere la pace, ma l’intervallo fra il ‘18 e il ‘39 a interrompere l’unica guerra, tregua e insieme incubazione. Una visione analoga potrebbe applicarsi, non più cronologicamente ma geograficamente, al mondo d’oggi, un pianeta di guerre interrotte — provvisoriamente? — da spazi di pace. L’Europa soprattutto, che ha creduto di meritare, grazie alla lezione del 1945, il Nobel continentale per la pace, nonostanti Caucaso e Balcani e ora Ucraina; l’Europa che ha 28 eserciti, dunque nessuno. Quanto alla convenzione della tregua olimpica, Putin ha fatto coincidere le Olimpiadi caucasiche di Sochi con la prodezza imperiale ucraina. GLI AUTORI Adriano Sofri è un giornalista, scrittore, intellettuale e attivista italiano, ex esponente di Lotta Continua, autore di numerosi libri: l’ultimo è Reagì Mauro Rostagno sorridendo (Sellerio). Massimo Luigi Salvadori è uno storico e politico italiano, professore di Storia delle dottrine politiche a Torino ed ex parlamentare della XI legislatura eletto nelle fila del Pds { { IL SILLABARIO Il testo del sillabario che pubblichiamo è tratto dall’undicesimo libro dell’Eneide, il poema epico in dodici libri scritto in esametri dattilici tra il 29 e il 19 a.C. da Virgilio. Il poeta latino Publio Virgilio Marone nacque nel 70 e morì nel 19 a.C., prima di poter dare gli ultimi ritocchi all’opera, che sperava fosse distrutta nel caso non fosse riuscito a revisionarla 39 I LIBRI ELENA AGA-ROSSI Una nazione allo sbando 8 settembre 1943 Il Mulino GIOVANNI PESCE Senza tregua La guerra dei GAP Feltrinelli Quando cessarono gli spari. 23 aprile-6 maggio 1945: la liberazione di Milano Feltrinelli MARINA PETRILLO I muri di Belfast. Cronaca di una tregua infranta Costa & Nolan BOBBY SANDS Un giorno della mia vita L’inferno del carcere e la tragedia dell’Irlanda in lotta Feltrinelli GERRY ADAMS Strade di Belfast. Storie di vita quotidiana sullo sfondo della lotta di liberazione irlandese Gamberetti SILVIO BERTOLDI Apocalisse italiana. Otto settembre 1943. Fine di una nazione Rizzoli GIUSEPPE CASTELLANO Come firmai l’armistizio di Cassibile Mondadori FABRIZIO SIMULA È curioso come il pessimismo tragico sulla calma e la labilità della tregua, la metafora di Levi, sfiori involontariamente il pessimismo realpolitiker che, come in Henry Kissinger, pensa che la pace non possa essere altro che una dilazione della guerra. Una tregua, in sostanza: come la vita del 91enne ex Segretario di stato, appena operato per un’ennesima volta al cuore… Era già l’opinione di Talleyrand, e, prima e senza mondanità, di Niccolò Machiavelli: le inveterate inimicizie fra le famiglie «ancora che le non finissero per pace, si componevano per triegue». La tregua è preziosa. Come nel gioco infantile in cui, prima di soccombere, si grida: Pace. Come la mano battuta sul tappeto della gara di lotta che sta diventando micidiale. Ma chi ha conosciuto le tregue sa come siano insidiate dall’angoscia della rottura: davvero si potrà camminare lungo il viale senza che i cecchini aprano il fuoco? Che si possa andare a far provvista di acqua senza essere investiti a tradimento dalla pioggia di granate? Sedere nella cucina senza che un bombardamento incenerisca la casa? La tregua è provvisoria e aleatoria. In quel laboratorio disgraziato di tregue che è il Vicino Oriente, all’avvicinarsi dell’ora del cessate il fuoco concordato si moltiplicava la potenza di fuoco, come ci si ubriacherebbe a morte la notte prima dell’entrata in vigore del proibizionismo. © RIPRODUZIONE RISERVATA In nome di Dio, in nome del Natale per calcolo oppure per sfinimento Il fragile accordo dal Medioevo alle linee sul Piave MASSIMO L. SALVADORI ENTIAMO invocare da giorni dall’Onu, da capi di Stato e dalle diplomazie una tregua fra Israele e Hamas per motivi sia umanitari sia politici per fermare una guerra che semina morte più che tra i combattenti tra gli innocenti. Che cosa sia una tregua lo sanno tutti; anche i ragazzi che, dopo essersi scambiati un sacco di botte, alla fine si dicono: «Va bene, facciamo tregua». La tregua tra parti nemiche è una sospensione temporanea di ostilità, in attesa di un chiarimento, di trattative che possono avere o non avere esito. Lo stato di tregua è naturalmente tanto più difficile quanto più tra le parti in conflitto esiste una netta differenza di forze; e allora quella più debole può essere rafforzata solo se e quando importanti partner esterni (come nel caso attuale l’Onu, gli Stati Uniti, l’Ue, ecc.) intervengono facendo valere il loro peso. Le tregue non si danno unicamente tra soggetti che si confrontano in armi, ma anche, per esempio, nei conflitti economici e sindacali o nei contrasti doganali. Esse per loro natura sono precarie. Sono cioè ricognizioni che posso- S no portare alla pacificazione, ma anche espedienti transitori in attesa di riprendere la lotta. In pieno Medioevo, nel 1179, la Chiesa aveva istituito la cosiddetta “Tregua di Dio”, con la quale si chiedeva la temporanea sospensione dei conflitti armati per consentire l’adempimento delle funzioni religiose. Ma un caso che possiamo considerare classico fu la tregua di Vaucelles, stipulata il 5 febbraio 1556 tra il re di Spagna Filippo II e il suo antagonista Enrico II, sovrano di Francia. Tra i loro due paesi era scoppiata nel 1552 la guerra, che si era protratta per tre lunghi anni, spossando le energie di entrambe le parti. Sennonché già nell’ottobre del 1556 la tregua venne rotta e ripresero le ostilità che si protrassero fino alla pace nell’aprile 1559, allorché i contendenti erano giunti all’estremo. Ma potremmo ricordare anche un tutt’altro tipo di tregue, nate dal basso, frutto di infinita stanchezza, del disgusto per le morti e i ferimenti, espressione del desi- Per qualche ora i nemici gettarono i fucili, sospesero l’“inutile strage”, quasi si sentirono fratelli. Poi tutto venne nuovamente rovesciato derio struggente e disperato di vivere un momento pur fuggente di ritorno alla comune umanità. Si pensi a quanto ripetutamente avvenuto nella Prima guerra mondiale, specialmente sul fronte che in Francia opponeva i soldati francesi e britannici ai tedeschi. Già dal 1914 ma ancora nel ’15 e almeno fino alle battaglie di Verdun e della Somme, gli uomini nelle trincee avevano stabilito dei “cessate il fuoco” spontanei nei giorni prima di Natale. Fu la cosiddetta Tregua di Natale, poche ore stabilite di comune accordo in cui le ostilità venivano sospese. Così come ci furono episodi di contat- to umano tra nemici al fronte in alcune precarie zone franche: qualche parola scambiata, qualche sigaretta che passava di mano. Per poche ore in alcune occasioni i militari che si erano sparati gli uni agli altri gettarono le armi, sospesero l’“inutile strage”, quasi si sentirono fratelli. Poi tutto venne nuovamente rovesciato. Perché le tregue non durino lo spazio di un mattino, non diventino mere occasioni per riprendere magari con sempre maggiore asprezza lo scontro, occorre che esse poggino su presupposti solidi, che in ultima analisi sono la rimozione delle cause che quello hanno provocato. Era ben consapevole Niccolò Machiavelli della fragilità delle tregue che non giungono a spegnere gli incendi che hanno attivato il ricorso alle armi. E il conflitto israelopalestinese insegna davvero tutto in proposito. Sono trascorsi poco meno di due mesi da quando l’8 giugno le televisioni hanno trasmesso la scena di Shimon Peres e Abu Mazen che si abbracciavano di fronte a Papa Francesco. Poi l’incubo è ricominciato. In questi giorni, di fronte a quanto avviene nella striscia di Gaza, l’appello alla tregua è generale, salvo che da parte degli schieramenti in conflitto. Il governo israeliano vuole andare sino in fondo, e così Hamas. Ci sarà finalmente la tregua? Una tregua che possa aprire le porte alla pace? Auguriamoci che l’ardua sentenza non sia affidata ai posteri. Fa terribilmente temere il fatto che nessuno dei grandi nemici lasci anche solo intravedere di essere disposto a misurarsi con le condizioni che consentono che le tregue a cui periodicamente sono costretti a piegarsi non risultino altro che pause tra una guerra e l’altra. Le tregue positive, che danno veramente buoni frutti, sono quelle che portano a un’accettabile legittimazione reciproca, al rispetto dell’identità di ciascuno, che non lasciano insomma le cose come prima. © RIPRODUZIONE RISERVATA Il labirinto basco. Dalle origini del nazionalismo a ETA Prospettiva Editrice ADRIANO CIRULLI L’ascia e il serpente. L’ETA e il nazionalismo basco dopo la lotta armata Datanews KHALED HROUB Hamas. Un movimento tra lotta armata e governo della Palestina raccontato da un giornalista di Al Jazeera Mondadori MARIO VARGA LLOSA Israele Palestina. Pace o guerra santa. Dallo smantellamento delle colonie al trionfo delle destre Scheiwiller DAVID GROSSMAN La guerra che non si può vincere Mondadori ALAIN GRESH Israele, Palestina. Le verità su un conflitto Einaudi NOAM CHOMSKY, ILAN PAPPÉ Ultima fermata Gaza. Dove ci porta la guerra di Israele contro i palestinesi Ponte alle Grazie
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