25 Luglio 2014 - La Repubblica

la Repubblica VENERDÌ 25 LUGLIO 2014
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DI REPUBBLICA
I conflitti in Medio Oriente e in Ucraina
ripropongono la speranza antica, spesso
irrisa, che almeno per poco le armi
tacciano e si raccolgano morti e feriti
Tregua
Quell’assenza di guerra
che sostituisce la pace
LE CITAZIONI
ADRIANO SOFRI
MACHIAVELLI
tregua e la pace sono due modi per così
dire filosofici di immaginare e maneggiare il mondo. Non è
detto che stiano in successione fra loro, così che
la tregua preceda e prepari la pace. Spesso,
sempre più spesso, la tregua sostituisce la pace,
la rattoppa e si rassegna alla sua assenza. A unire
comunque i due termini sta la dipendenza comune dalla guerra. Tregua e pace appaiono i due
modi di opporsi alla guerra, e la guerra appare
come la tentazione, se non la condizione, prevalente della convivenza umana.
L
A
“Combatterono,
e le inimicizie loro,
ancora che le non
finissero per pace,
si componevano
per triegue”
Il Principe
WILLIAM SHAKESPEARE
“E dovremo forse noi
tentare d’ingraziarci
chi c’invade e
parlamentare con lui,
accettare una tregua
disonorevole?”
Re Giovanni
PRIMO LEVI
“Ma la guerra è finita –
obiettai: e la pensavo
finita, come in quei
mesi di tregua, in un
senso più universale di
quanto si osi pensare”
La tregua
{
LE CRONACHE di questi giorni rinunciano a star dietro al fantasma della
pace, e inseguono invece le peripezie delle tregue auspicate, mancate, firmate e violate: la spola di Kerry fra Egitto Israele e Palestina, gli
appelli e gli orpelli telefonici attorno all’Ucraina, le cerimonie retoriche e diplomatiche ginevrine sulla Siria…
Non si riesce a far rispettare una tregua di 5 ore, e si vorrebbe ottenere una pace? Ci si può spingere a pensare che la pace sia meno ardua che una modesta tregua, e
che i piccoli passi siano un mito endemiche guerre locali e civili, e
che riporta sempre le cose al pun- si adatta ai panni di una povera
to di partenza. In realtà la tregua arte della tregua. Ci riuscisse, alè la scelta sempre più obbligata meno.
di un mondo in cui, per trasferire
La tregua, oggi, prima d’esser
un’immagine del papa France- rifiutata o violata, è irrisa. Lo fu
sco, prevale la chirurgia da cam- già in passato, per un’altra ragiopo. I nostri antenati dicevano, ne, più fiera e meno cinica. «Alto
piuttosto che far la pace, “fare le a cavallo, mentre il sol dilegua /
paci”, e intendevano per un verso dietro ai templi dell’Urbe, alla
che ne occorressero altrettante Coorte / Garibaldi parlò: “Nessuquante erano le fazioni avverse o na tregua!…”». Sono versi delle
addirittura le persone, per l’altro Rapsodie garibaldine del risorgiverso che bisognasse prima di mentista Giovanni Marradi. I notutto separare i contendenti, es- stri eroi erano così, la tregua era
ser pronti a intromettersi fra lo- alle loro orecchie sinonimo di
ro. Francesco d’Assisi era un cam- viltà, di cedimento. Ancora il legpione del fare le paci, e può darsi gendario capo della Resistenza
che il papa omonimo senta il di- urbana nei Gap, i Gruppi di Aziovario con la sua visita in Terra- ne Patriottica, Giovanni Pesce,
santa e gli incontri subito fru- nel 1967 intitolò così le sue mestrati nei giardini vaticani.
morie: Senza tregua. Su quella
La divaricazione crescente fra scorta combattenti fuori tempo
tregua e pace, fra l’ospedale da intitolarono a loro volta «Senza
campo e la medicina curativa o, tregua» il proprio desiderio d’olancora più lontana, preventiva, è tranza. Nello sdegno verso la treuno scacco della politica, se la po- gua si potrebbe ravvisare una valitica è l’arte del governo. Ma la riazione del famoso contrasto fra
politica è stata piuttosto l’arte trattativa e fermezza, se non fosdella guerra, e oggi, quando la ve- se ora di archiviarlo.
Oggi si rincorre la speranza
ra grande guerra non si può fare
(il che non assicura che non si fac- spicciola di una tregua. Che si rascia, e buonanotte a tutti) la poli- segnino a tacere un giorno, un’otica non sa essere né l’arte della ra, le armi a Gaza, così da raccoguerra né della pace, e batte in ri- gliere morti e soccorrere feriti.
tirata davanti alle innumerevoli Che si aprano in Siria corridoi
L’IMMAGINE
L’immagine
realizzata
dall’illustratore
inglese Angus
McBride (19312007) raffigura
soldati tedeschi
e britannici in
una tregua
natalizia
durante la
Prima guerra
mondiale
umanitari — che stanno allo spazio come la tregua e la moratoria
al tempo — dai quali far filtrare
vaccini antipolio, farmaci, pane.
Che si sospendano scontri e agguati nell’est ucraino. E così via.
Altrove, con altri capitani di sventura, nemmeno parlarne, di tregua, nell’Iraq del califfo, nella Nigeria di Boko Haram.
Per noi la parola tregua è legata a Primo Levi, e al suo libro più
famoso, grazie alla scuola e al film
di Francesco Rosi, La tregua. Lo si
descrive come il racconto del ri-
>
SILLABARIO
torno, di un’uscita a riveder le
stelle, mentre Se questo è un uomo, e più I sommersi e i salvati, sono il verbale di una caduta nell’abisso. Tuttavia nel tempo sospeso della tregua, della risalita e
perfino dell’allegria e della speranza, Levi addita un significato
via via più largo, fino ad abbracciare e ingoiare tutta l’esistenza
umana. «Esistono remissioni,
“tregue”, come nella vita del
campo l’inquieto riposo notturno; e la stessa vita umana è una
tregua, una proroga; ma sono in-
PUBLIO VIRGILIO MARONE
Tregua
DOPO che tutto il corteo dei compagni procedette lontano,
Enea si fermò, e soggiunse con un profondo gemito:
ci chiamano di qui ad altre lagrime gli stessi
orridi destini di guerra; salve in eterno, o magnanimo
Pallante, e addio in eterno. (...)
Vi erano già ambasciatori della città latina,
velati di rami d’olivo, e chiedevano tregua:
rendesse i corpi che giacevano seminati dal ferro
nei campi, e li lasciasse seppellire sotto la terra del tumulo;
nessuna lotta con i vinti e i privi di spirito vitale;
risparmiasse coloro che un giorno aveva chiamato ospiti
e suoceri. Ad essi che facevano ragionevoli richieste
l’ottimo Enea accorda la tregua, e soggiunge:
quale così ingiusta sorte, o Latini, vi coinvolse
in simile guerra, da farvi fuggire la nostra amicizia?
Mi chiedete pace per i morti e per gli estinti nella vicenda
di Marte? Ed io vorrei concederla anche ai vivi.
tervalli brevi, e presto interrotti».
Ma se la vita stessa è una tregua, vuol dire che la morte viene
dopo ma anche prima, che la vita
è un’interruzione della morte, e
che la pace è un’interruzione della guerra. «Ma la guerra è finita —
obiettai: e la pensavo finita, come
in quei mesi di tregua, in un senso molto più universale di quanto
si osi pensare oggi. — Guerra è
sempre — rispose memorabilmente Mordo Nahum». Il nostro
mondo è paradossale: ha un’aria
balordamente spensierata, e insieme si adatta a un realismo che
sconfina nel cinismo.
A cent’anni dalla prima Sarajevo, la nozione storiografica di
una lunga guerra europea che va
dal 1914 al 1945 è senso comune:
non sono le due guerre dichiarate
mondiali a interrompere la pace,
ma l’intervallo fra il ‘18 e il ‘39 a
interrompere l’unica guerra, tregua e insieme incubazione. Una
visione analoga potrebbe applicarsi, non più cronologicamente
ma geograficamente, al mondo
d’oggi, un pianeta di guerre interrotte — provvisoriamente? —
da spazi di pace. L’Europa soprattutto, che ha creduto di meritare,
grazie alla lezione del 1945, il Nobel continentale per la pace, nonostanti Caucaso e Balcani e ora
Ucraina; l’Europa che ha 28 eserciti, dunque nessuno. Quanto alla convenzione della tregua olimpica, Putin ha fatto coincidere le
Olimpiadi caucasiche di Sochi
con la prodezza imperiale ucraina.
GLI AUTORI
Adriano Sofri è un giornalista, scrittore, intellettuale e attivista italiano,
ex esponente di Lotta Continua, autore di numerosi libri: l’ultimo è Reagì
Mauro Rostagno sorridendo (Sellerio). Massimo Luigi Salvadori è uno
storico e politico italiano, professore di Storia delle dottrine politiche
a Torino ed ex parlamentare della XI legislatura eletto nelle fila del Pds
{
{
IL SILLABARIO
Il testo del sillabario che pubblichiamo è tratto dall’undicesimo libro
dell’Eneide, il poema epico in dodici libri scritto in esametri dattilici tra il
29 e il 19 a.C. da Virgilio. Il poeta latino Publio Virgilio Marone nacque
nel 70 e morì nel 19 a.C., prima di poter dare gli ultimi ritocchi all’opera,
che sperava fosse distrutta nel caso non fosse riuscito a revisionarla
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I LIBRI
ELENA AGA-ROSSI
Una nazione allo sbando
8 settembre 1943
Il Mulino
GIOVANNI PESCE
Senza tregua
La guerra dei GAP
Feltrinelli
Quando cessarono
gli spari. 23 aprile-6
maggio 1945:
la liberazione di Milano
Feltrinelli
MARINA PETRILLO
I muri di Belfast.
Cronaca di una tregua
infranta
Costa & Nolan
BOBBY SANDS
Un giorno della mia vita
L’inferno del carcere
e la tragedia dell’Irlanda
in lotta
Feltrinelli
GERRY ADAMS
Strade di Belfast. Storie
di vita quotidiana
sullo sfondo della lotta
di liberazione irlandese
Gamberetti
SILVIO BERTOLDI
Apocalisse italiana. Otto
settembre 1943. Fine
di una nazione
Rizzoli
GIUSEPPE CASTELLANO
Come firmai l’armistizio
di Cassibile
Mondadori
FABRIZIO SIMULA
È curioso come il pessimismo
tragico sulla calma e la labilità
della tregua, la metafora di Levi,
sfiori involontariamente il pessimismo realpolitiker che, come in
Henry Kissinger, pensa che la pace non possa essere altro che una
dilazione della guerra. Una tregua, in sostanza: come la vita del
91enne ex Segretario di stato, appena operato per un’ennesima
volta al cuore… Era già l’opinione
di Talleyrand, e, prima e senza
mondanità, di Niccolò Machiavelli: le inveterate inimicizie fra
le famiglie «ancora che le non finissero per pace, si componevano per triegue».
La tregua è preziosa. Come nel
gioco infantile in cui, prima di soccombere, si grida: Pace. Come la
mano battuta sul tappeto della
gara di lotta che sta diventando
micidiale. Ma chi ha conosciuto le
tregue sa come siano insidiate
dall’angoscia della rottura: davvero si potrà camminare lungo il
viale senza che i cecchini aprano
il fuoco? Che si possa andare a far
provvista di acqua senza essere
investiti a tradimento dalla pioggia di granate? Sedere nella cucina senza che un bombardamento
incenerisca la casa? La tregua è
provvisoria e aleatoria. In quel laboratorio disgraziato di tregue
che è il Vicino Oriente, all’avvicinarsi dell’ora del cessate il fuoco
concordato si moltiplicava la potenza di fuoco, come ci si ubriacherebbe a morte la notte prima
dell’entrata in vigore del proibizionismo.
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In nome di Dio, in nome del Natale
per calcolo oppure per sfinimento
Il fragile accordo
dal Medioevo
alle linee sul Piave
MASSIMO L. SALVADORI
ENTIAMO invocare da giorni dall’Onu, da capi di Stato e dalle diplomazie una tregua fra Israele e Hamas
per motivi sia umanitari sia politici
per fermare una guerra che semina morte
più che tra i combattenti tra gli innocenti.
Che cosa sia una tregua lo sanno tutti; anche i ragazzi che, dopo essersi scambiati un
sacco di botte, alla fine si dicono: «Va bene,
facciamo tregua». La tregua tra parti nemiche è una sospensione temporanea di ostilità, in attesa di un chiarimento, di trattative che possono avere o non avere esito. Lo
stato di tregua è naturalmente tanto più
difficile quanto più tra le parti in conflitto
esiste una netta differenza di forze; e allora
quella più debole può essere rafforzata solo
se e quando importanti partner esterni (come nel caso attuale l’Onu, gli Stati Uniti,
l’Ue, ecc.) intervengono facendo valere il loro peso.
Le tregue non si danno unicamente tra soggetti che si confrontano in armi, ma anche, per
esempio, nei conflitti economici e sindacali o
nei contrasti doganali. Esse per loro natura sono precarie. Sono cioè ricognizioni che posso-
S
no portare alla pacificazione, ma anche espedienti transitori in attesa di riprendere la lotta.
In pieno Medioevo, nel 1179, la Chiesa aveva istituito la cosiddetta “Tregua di Dio”, con la
quale si chiedeva la temporanea sospensione
dei conflitti armati per consentire l’adempimento delle funzioni religiose. Ma un caso che
possiamo considerare classico fu la tregua di
Vaucelles, stipulata il 5 febbraio 1556 tra il re
di Spagna Filippo II e il suo antagonista Enrico
II, sovrano di Francia. Tra i loro due paesi era
scoppiata nel 1552 la guerra, che si era protratta per tre lunghi anni, spossando le energie di entrambe le parti. Sennonché già nell’ottobre del 1556 la tregua venne rotta e ripresero le ostilità che si protrassero fino alla pace nell’aprile 1559, allorché i contendenti erano giunti all’estremo. Ma potremmo ricordare
anche un tutt’altro tipo di tregue, nate dal basso, frutto di infinita stanchezza, del disgusto
per le morti e i ferimenti, espressione del desi-
Per qualche ora i nemici gettarono
i fucili, sospesero l’“inutile strage”,
quasi si sentirono fratelli. Poi tutto
venne nuovamente rovesciato
derio struggente e disperato di vivere un momento pur fuggente di ritorno alla comune
umanità.
Si pensi a quanto ripetutamente avvenuto
nella Prima guerra mondiale, specialmente
sul fronte che in Francia opponeva i soldati
francesi e britannici ai tedeschi. Già dal 1914
ma ancora nel ’15 e almeno fino alle battaglie
di Verdun e della Somme, gli uomini nelle trincee avevano stabilito dei “cessate il fuoco”
spontanei nei giorni prima di Natale. Fu la cosiddetta Tregua di Natale, poche ore stabilite
di comune accordo in cui le ostilità venivano
sospese. Così come ci furono episodi di contat-
to umano tra nemici al fronte in alcune precarie zone franche: qualche parola scambiata,
qualche sigaretta che passava di mano. Per poche ore in alcune occasioni i militari che si erano sparati gli uni agli altri gettarono le armi,
sospesero l’“inutile strage”, quasi si sentirono
fratelli. Poi tutto venne nuovamente rovesciato.
Perché le tregue non durino lo spazio di un
mattino, non diventino mere occasioni per riprendere magari con sempre maggiore
asprezza lo scontro, occorre che esse poggino
su presupposti solidi, che in ultima analisi sono la rimozione delle cause che quello hanno
provocato. Era ben consapevole Niccolò Machiavelli della fragilità delle tregue che non
giungono a spegnere gli incendi che hanno attivato il ricorso alle armi. E il conflitto israelopalestinese insegna davvero tutto in proposito.
Sono trascorsi poco meno di due mesi da
quando l’8 giugno le televisioni hanno trasmesso la scena di Shimon Peres e Abu Mazen
che si abbracciavano di fronte a Papa Francesco. Poi l’incubo è ricominciato. In questi giorni, di fronte a quanto avviene nella striscia di
Gaza, l’appello alla tregua è generale, salvo
che da parte degli schieramenti in conflitto. Il
governo israeliano vuole andare sino in fondo,
e così Hamas. Ci sarà finalmente la tregua?
Una tregua che possa aprire le porte alla pace?
Auguriamoci che l’ardua sentenza non sia affidata ai posteri. Fa terribilmente temere il fatto che nessuno dei grandi nemici lasci anche solo intravedere di essere disposto a misurarsi
con le condizioni che consentono che le tregue
a cui periodicamente sono costretti a piegarsi
non risultino altro che pause tra una guerra e
l’altra. Le tregue positive, che danno veramente buoni frutti, sono quelle che portano a
un’accettabile legittimazione reciproca, al rispetto dell’identità di ciascuno, che non lasciano insomma le cose come prima.
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Il labirinto basco. Dalle
origini del nazionalismo
a ETA
Prospettiva Editrice
ADRIANO CIRULLI
L’ascia e il serpente.
L’ETA e il nazionalismo
basco dopo la lotta
armata
Datanews
KHALED HROUB
Hamas. Un movimento
tra lotta armata
e governo della
Palestina raccontato
da un giornalista
di Al Jazeera
Mondadori
MARIO VARGA LLOSA
Israele Palestina. Pace
o guerra santa. Dallo
smantellamento
delle colonie al trionfo
delle destre
Scheiwiller
DAVID GROSSMAN
La guerra che non si può
vincere
Mondadori
ALAIN GRESH
Israele, Palestina. Le
verità su un conflitto
Einaudi
NOAM CHOMSKY, ILAN
PAPPÉ
Ultima fermata Gaza.
Dove ci porta la guerra
di Israele contro i
palestinesi
Ponte alle Grazie