ONE EAT ONE Palco Pietro Mascagni – Piazza del Luogo Pio, sabato 26 luglio ore 22.30 “ONE EAT ONE” Associazione culturale di tipo musicale/esperienziale L’idea One eat One, non è solo un progetto, non è solo un esperienza musicale, non è solo una Associazione Culturale, non è solo un insieme di suoni e luci, non è solo un emozione, è una Band di musica elettronica. Gli One eat One è un gruppo costituito nel Aprile 2012 da persone cosiddette normodotate e persone con disabilità, mosse dalla passione per la musica, le arti visive e le installazioni. Questo progetto nato dall'idea di Cheli Michele, posa le sue basi su quella che è la musicoterapia e le arti visuo-spaziali, sviluppate non nel ottica di effettuare un semplice laboratorio musicale, ma di sviluppare un vero e proprio gruppo di musica elettronica, nel quale i componenti avranno la possibilità di sviluppare appieno la propria fantasia e le proprie passioni musicali. Introduzione progetto Il progetto era iniziato come percorso di sperimentazione Arte Terapeutica/ Musico Terapeutica, attraverso la strumentazione e la ritmicità di musica elettronica. Mirato all’interazione dei vari componenti normodotati e disabili, per la ricerca di una sinergia musicale e un’integrazione personale che coinvolgesse il proprio ISO (identità sonora musicale). Obiettivo di questo progetto, nato dall'idea di Michele Cheli, è quindi, quello di posare le basi su quella che è la musicoterapia e le arti visuo-spaziali, elaborando cosi non un semplice laboratorio musicale, ma un vero e proprio gruppo di musica elettronica, costituito da persone normodotate e persone con disabilità mosse dalla passione per la musica. Fondamentale è l’aspetto riguardante l’autonomia delle persone con disabilità: tutto lo sviluppo e la crescita del bambino può essere visto come un graduale passaggio dalla dipendenza verso l’autonomia che diviene completa quando il bambino diviene adulto e cittadino a tutti gli effetti, soggetto e oggetto di diritti, capace di lavorare e di avere rapporti paritari con gli altri. Nella crescita verso l’autonomia, un bambino con disabilità incontra due tipi di ostacoli: da una parte le difficoltà legate al suo deficit, dall’altra gli atteggiamenti di paura e le ambivalenze dell’ambiente che interferiscono con il suo grado di autonomia potenziale, raggiungibile pur nella situazione di svantaggio. Spesso i genitori, ma anche la gente in genere che il bambino con disabilità incontra, talvolta gli stessi operatori e insegnanti, sviluppano nei suoi confronti un atteggiamento assistenziale e protettivo che ne limita l’acquisizione di indipendenza. Sembra quasi che si voglia compensare con maggiore affetto ed atteggiamenti più permissivi il disagio per il deficit o che a causa di esso il bambino venga complessivamente ritenuto incapace e quindi bisognoso di assistenza e di qualcuno che operi al posto suo in ogni occasione. Tra coloro che si occupano di ritardo mentale si è fatta però strada in questi anni la sempre più radicata convinzione dell’importanza dell’educazione all’autonomia per lo sviluppo di una persona con handicap mentale e per il suo inserimento sociale. Non sfugge a nessuno come sia più facile, già in scuola materna, inserire un bambino con disabilità, se questi ha una propria autonomia nell’andare in bagno o nel mangiare, se sa rispettare delle regole e come spesso la conquista di queste abilità sia indipendente dalle difficoltà che egli ha su apprendimenti più didattici. E ancora come una buona autonomia personale sia poi, andando avanti, prerequisito fondamentale per l’inserimento sociale e lavorativo di giovani e adulti con handicap mentale. Molte conquiste però, soprattutto nell’ambito dell’autonomia esterna, sono difficilmente raggiungibili in ambito familiare soprattutto quando tale problema viene posto in adolescenza, momento in cui i ragazzi con disabilità, così come gli altri adolescenti, iniziano a manifestare desiderio di distacco dei genitori e mal sopportano le loro richieste. Al tempo stesso anche per i genitori riconoscere e accettare che i loro figli stiano diventando grandi è spesso difficile e tale processo va in qualche modo sostenuto. Il tema quindi dell’educazione all’autonomia assume allora un particolare risalto ,per il nostro percorso, in quanto il suonare, l’essere una band crea una rete di relazioni e di incontri, oltre che una serie di responsabilità nei confronti degli altri e della band che hanno permesso e permettano quotidianamente una crescita di tutti i componenti della band. Focali sono alcuni punti : • Un rapporto basato sulla “verità” È stato dato un grosso peso alla motivazione come stimolo per ogni apprendimento nella convinzione che ciò possa essere un ottimo motore per un insegnamento che parte e si colloca nel concreto. Questo vuole dire ad esempio contare i soldi per andare a fare merenda al fast-food, usare il telefono per contattare l’amico assente, chiedere informazioni per raggiungere un luogo. Ciò è in evidente contrasto con un apprendimento basato sulla pura esercitazione ripetitiva come è talvolta quello scolastico o in genere con l’idea di chi crede che una persona con handicap mentale impari più facilmente in modo meccanico e ripetitivo. Ma è anche la scelta di motivazioni reali e non fittizie rispetto alle quali i ragazzi sono molto sensibili. E niente di più reale è un progetto comune. Allo stesso tempo questa modalità di rapporto rinforza nei ragazzi la convinzione di essere grandi e oggetto di fiducia da parte degli adulti. Tanto più la situazione sarà vera tanto più i ragazzi si sentiranno coinvolti, importanti e spinti ad agire; E gli One eat One sono veri. • Coinvolgimento attivo dei ragazzi nelle scelte e nella gestione delle attività Anche questa scelta punta ad una incentivazione dei ragazzi ad agire correttamente e da grandi, rendendoli sempre di più protagonisti delle varie attività. Le scelte sono condivise dalla Band che si riunisce e valuta le varie scelte da fare. Spesso nella vita di questi ragazzi, anche quando viene proposto loro un ruolo attivo, questo viene sempre presentato come una forma di aiuto (“Mi aiuti a cucinare, mi aiuti a fare la spesa, ecc.”) un po’ come si fa con i bambini con l’idea di renderli attivi, ma senza credere troppo nelle loro capacità. Essi avvertono questo e sono perciò spesso poco disponibili (“Perché devo farlo se ci sei tu ed io non sono necessario?”), atteggiamento che talvolta viene inteso invece come incapacità. L’ attività nel nostro progetto è sempre centrale cosi come l’impegno e la presenza alle prove. Dare fiducia ai ragazzi è importante in quanto li stimola ad avere maggior iniziative e coraggio nel fare le cose. La considerazione del loro essere grandi comporta anche il mantenere nella conversazione coi ragazzi un piano di realtà, non assecondando fantasie impossibili, ma aiutandoli a confrontarsi con fatti reali vissuti o vivibili. Ad oggi la One eat One si è esibita presso il Surfer Joe a Livorno, il The Cage Theater ,”Nuovo Teatro delle Commedie”, Fi-Pi-Li horror festival, Fuori salone Pitti Uomo, La notte Blu a Livorno e numerose performance nei locali storici della costa degli Etruschi. Le collaborazioni nate con artisti del calibro di Roberto Luti e Beppe Scardino sono solo l’inizio di un percorso che ci vuole condurre molto in alto, in alto verso la felicità pura. Un progetto che ha compiuto un anno e che non ha nessuna intenzione di sparire ma di evolversi mettendo alla prova sia i componenti normodotati che quelli disabili e il fondatore Michele Cheli, arricchendo tutti i partecipanti e permettendogli di andare oltre alle loro aspettative sul gruppo e su loro stessi. Componenti Michele Cheli – chitarra Voce Samuele Vergili – Mac controller Simone Tanchis – Tecnico del Suono Walter Vanni – i phone/ sinth Said Guerrine – i pad/sinth Voce Matteo Nati – batteria elettronica Francesca De Vizia Musicoterapeuta 57125 LIVORNO_Tel 3804138954_ e-mail [email protected] P.iva e CF 92116500494
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