Umberto Eco - Editori Laterza

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Nel 2014 una nuova Storia della Filosofia,
a cura di Umberto Eco e Riccardo Fedriga
Un grande disegno di storia del pensiero
nel panorama della storia della cultura europea,
dall’antica Grecia a oggi
I contributi dei migliori studiosi italiani al servizio
dell’insegnamento e dell’apprendimento scolastici
Laterza con Encyclomedia Publishers insieme
in un grande progetto di didattica digitale
Editori Laterza
ISBN 9788842113270
Umberto Eco
Perché la filosofia
Editori Laterza
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Umberto Eco
Perché la filosofia
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La meraviglia
e il naso del filosofo
Nella Grecia classica si riteneva che l’uomo
iniziasse a filosofare (come diceva Aristotele)
come reazione ad atti di meraviglia. Rispondono a un atto di meraviglia sia la domanda
“chi ha fatto tutte le cose che ci circondano?”
(domanda certamente filosofica, comune pure
a tutte le religioni) sia la domanda “come mai
i ruminanti hanno le corna, salvo il cammello?”, questione a cui Aristotele aveva tentato di rispondere ma che oggi noi affidiamo
alla ricerca scientifica e non alla filosofia.
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Se è la scienza che oggi deve spiegarci origine
e natura dei ruminanti, e può dirci che essi
sono il prodotto dell’evoluzione naturale, resta
ancora una domanda prettamente filosofica, a
cui si risponde in modo assai vario, e cioè:
“anche se i ruminanti fossero il prodotto dell’evoluzione naturale, c’è un disegno intelligente che ha stabilito leggi di natura per cui
essi si sono evoluti in tal modo (per cui ha
corna ciascun bue che nasca in ogni epoca e in
ogni luogo)?”. Vi renderete conto che questo
è nient’altro che il problema dell’esistenza (o
meno) di Dio.
La scienza può dirci che non è necessario ipotizzare un creatore per spiegare l’origine dell’universo e della vita, ma non può dimostrare
che Dio non c’è, così come non può dimostrare
che ci sia. Se nel Medioevo san Tommaso
d’Aquino pensava che la ragione potesse confermare la fede e aveva elaborato cinque prove
(filosofiche) dell’esistenza di Dio, nel Settecento
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Immanuel Kant ha sostenuto che questo tipo
di prova non era razionalmente valido e che la
presenza di Dio poteva essere solo postulata
per ragioni morali. Ed ecco come la filosofia,
per quanto si espanda il territorio proprio della
scienza, mette (per così dire) il suo naso dappertutto.
Potremmo allora dire che se dall’antichità a
oggi l’umanità ha delegato alla scienza la risposta ad alcune domande, ce ne sono altre
per cui la scienza non ha risposta e che sono
oggetto perenne della ricerca filosofica. Tanto
che qualcuno ha detto che la filosofia è la disciplina che si occupa delle domande per le
quali non c’è risposta: possiamo dire meglio
che la filosofia si occupa di domande a cui le
altre discipline non trovano risposta.
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Alcune domande
Che cosa significa essere? È diverso dire io
sono (nel senso “io esisto”) o dire che i cani
sono mammiferi, oppure che io sono nato nell’anno tale, o ancora chiedersi che cosa sia il
tempo? Ci sono due diverse ragioni per cui accettiamo l’idea che un angolo retto abbia novanta gradi e quella che tutti gli uomini siano
mortali? Se io penso che sia vero che i cani
sono mammiferi, che ora sta piovendo, che i
Re Magi hanno visitato Gesù Bambino, che
Napoleone è morto a Sant’Elena e che l’angolo
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retto ha novanta gradi: tutte queste mie credenze sono “vere” nello stesso senso? E che
cos’è la verità? E alla domanda più drammatica, “perché esiste qualcosa piuttosto che
nulla?”, come rispondere?
C’è una giustizia in questo mondo? Perché
bisogna soffrire?
C’è una vita dopo la morte in cui le mie sofferenze saranno compensate? Il mio amato mi
sembra il più bello di tutti, ma cosa vuole dire
bello? È meglio che tutti siano uguali o che
ciascuno venga compensato secondo i suoi meriti? Un angolo retto ha novanta gradi (e io ci
credo), ma che tutti gli uomini siano mortali è
altrettanto vero, o basterebbe un immortale
per rendere vana questa credenza? Se da un
disco volante scendessero sulla Terra degli
alieni penserebbero anche loro che un angolo
retto ha novanta gradi? Chi ci ha detto che un
angolo retto ha novanta gradi? Gli animali
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hanno un’anima? E io ce l’ho? E cosa è
l’anima? E dove sta? E cosa è la memoria,
visto che se uno perde del tutto la memoria
sembra che non abbia neppure più un’anima?
Perché piango sulle vicende di personaggi romanzeschi anche se so che non sono vere? È
meglio diventar ricchi mandando al diavolo
tutti gli altri o vivere da altruisti? Mi dicono
che un maiale è più intelligente di un cane, ma
perché io preferisco andare a spasso con un
cane?
Dipende dall’amicizia, dall’amore, dalla identificazione con qualcuno? Cosa sono amicizia,
amore, identificazione? Perché penso che la
persona di cui mi sono innamorato sia la più
perfetta tra tutte, mentre se vivevo in un altro
ufficio o in un’altra città ne avrei amata un’altra? Che differenza c’è tra convincere mediante dimostrazione di una verità matematica
(per esempio il teorema di Pitagora) e persuadere qualcuno (per esempio a votare un partito
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piuttosto che un altro)? Se dimostrare un teorema ci pare “razionale”, convincere a votare
dipenderà da scelte “irrazionali”? O da scelte
soltanto “ragionevoli”? Quali differenze intercorrono tra ragione, intelletto, sentimento,
convinzione, preferenza, scelta per abitudine?
In che misura il nostro corpo interferisce col
nostro cervello?
Si potrebbe continuare all’infinito: sono tutte
questioni filosofiche, e non bisogna essere professori di filosofia per porsele. Le questioni filosofiche interessano ciascuno di noi. Possiamo
certamente decidere che tutte queste sono questioni che lasciano il tempo che trovano e che
si può vivere benissimo divertendosi, facendo
soldi o morendo di fame senza che esse ci tocchino da vicino. Ma – a parte che certi esseri
umani non possono resistere alla meraviglia
che li porta a farsi queste domande – nel corso
della storia queste questioni “irrilevanti”
hanno determinato il nostro modo di vivere,
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hanno spinto certi gruppi a guerre di religione,
hanno influenzato profondamente le indagini
degli scienziati, hanno determinato il nostro
modo di intendere la vita, il divertimento, il
guadagno e le nostre miserie, anche per coloro
che non se ne sono mai resi conto.
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Bambini e filosofi
Accade che un bambino in tenera età possa
dire (estasiando i genitori) “dato che…” per
arrivare a certe conclusioni. Il bambino pratica così il metodo logico dell’inferenza (se
piove allora sarà bagnato per terra, ma piove,
allora sarà bagnato per terra ed è bene che non
esca a piedi nudi) o addirittura il sillogismo aristotelico (tutti i temporali bagnano il terreno,
è previsto un temporale, dunque è da prevedersi che sarà bagnato per terra). La logica è
uno dei “capitoli” della filosofia e chiunque fa
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della logica, anche senza accorgersene. Salvo
che ci sono ragionamenti logici sbagliati, come,
per esempio: tutti i temporali bagnano il terreno, il terreno è bagnato, dunque c’è stato
un temporale. Il ragionamento appare sbagliato anche a chi non ha studiato logica, perché è ovvio che il terreno può essere bagnato
perché è passata una macchina innaffiatrice,
ma la logica ha elaborato criteri rigorosi per dimostrare perché questo ragionamento sia falso.
Il nostro bambino conosce poi un chihuahua,
un mastino e un doberman e in breve è capace
di chiamarli tutti “cane”. La scienza, studiando le nostre strutture cerebrali, è pronta (o
quasi) a rispondere come e perché questo accade. Ma che cosa è questa idea di “cane” che
anche un bambino apprende nei primi anni di
vita? È un costrutto del nostro cervello, che
funziona in modo uguale in tutti i tempi e in
tutti i paesi? È qualcosa che esiste fuori del
mondo (i platonici ci incoraggerebbero a dire
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che è una idea iperurania)? È una legge di natura che rimarrebbe valida anche se per accidente tutti i cani di questa Terra morissero per
una epidemia e al mondo non rimanesse più
un solo cane? È una costruzione della zoologia? Come accade che il bambino comprenda
subito che c’è un’identità di patrimonio genetico tra un cane lupo e un pechinese e non tra
un pechinese e un gatto soriano? Un filosofo
tradurrà questo problema nei termini di: “esistono gli universali, o sono un prodotto della
cultura e del linguaggio?”.
A
una cosa la filosofia soprattutto ci abitua:
al ragionamento astratto. Tutti noi ragioniamo
attraverso astrazioni: per esempio, il veterinario che mi fa un’iniezione antirabbica, anche
senza aver visto il cane che mi ha morso, si riferisce a un concetto di cane in generale (della
sua natura e abitudini) e sa che cosa potrebbe
accadere in genere se un cane ci mordesse. Ma
abitualmente il veterinario si occupa di questo
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o quel cane. Invece il filosofo è interessato non
solo al concetto di “cane” ma al concetto di
concetto, e cioè alle ragioni per cui elaboriamo
concetti. Questo porta talora la filosofia a lavorare su astrazioni che sfuggono alla nostra
comprensione immediata, il che ci induce a
pensare che il filosofo viva fuori della realtà.
Ma molte cose che hanno contato parecchio
per la nostra realtà (comprese tante scoperte
scientifiche) sono state capite proprio lavorando a livelli di pensiero molto astratto.
Insomma, vale la pena di praticare la riflessione filosofica così come vale la pena di fare
ginnastica. Nel secondo caso si evita di ingrassare, nel primo si diventa più intelligenti.
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I Greci
e il pensiero occidentale
C’è una ragione culturale per cui una storia
della filosofia inizia dai Greci. È stato il pensiero greco a formare il modo di pensare del
mondo occidentale, e solo comprendendo che
cosa avessero pensato i Greci noi possiamo capire come abbiamo continuato a pensare negli
ultimi tre millenni circa. E se un occidentale
che va a lavorare in Cina dovrebbe capire qualcosa della mentalità cinese, è certo che un cinese che viene a vivere tra noi dovrebbe
comprendere le forme del pensiero occidentale
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nato in Grecia. Potrete pensare che questo
non è giusto, ma è un fatto che migliaia e migliaia di giovani orientali che vanno a studiare
negli Stati Uniti si addestrano a capire il pensiero occidentale e su questa loro capacità si
basa il fatto che diventano più preparati dei
loro coetanei americani e conquistano le migliori posizioni in campo scientifico ed economico.
Si è pensato che è a causa della struttura delle
lingue occidentali (soggetto, copula e predicato, come ne “il fiume è fangoso”) che noi vediamo l’universo come una serie di cose a cui
attribuiamo certe proprietà. In certe lingue
primitive non si riconoscerebbero cose e proprietà ma eventi, e si parlerebbe non di una
cosa-fiume che ha la proprietà di essere fangosa bensì di un fluire ininterrotto di acqua
sempre diversa (e in fondo anche Eraclito diceva che non ci bagniamo mai due volte nello
stesso fiume). Nella filosofia occidentale si è
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parlato e si continua a parlare di cose o sostanze o oggetti dotati di certe proprietà, e se
noi non comprendiamo come sia nata con Aristotele la nozione di sostanza non capiremo
neppure i casi in cui la fisica contemporanea
la pone in questione.
Se il pensiero occidentale si rivelasse tuttavia
caduco, occorrerebbe conoscerlo per capire da
dove veniamo e che cosa siamo. Se dicessimo
a studenti e scolari che non vale la pena di studiare la mitologia greca perché è un cumulo di
fantasie, impediremmo loro di comprendere i
poemi di Omero o Virgilio; se a scuola non
parlassimo mai dell’Antico e del Nuovo Testamento, impediremmo ai giovani di capire il
novanta per cento delle immagini create nel
corso della storia dell’arte, dalle Natività alle
Crocifissioni.
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Uomini concreti,
uomini del proprio tempo
I filosofi non sono mai vissuti con la testa fra
le nuvole, come vogliono le caricature fatte dai
loro detrattori o la saggezza popolare che ha
sempre scherzato sul “professore distratto”. È
vero che Platone nel Teeteto raccontava che
Talete, mentre studiava gli astri e guardava in
alto, era caduto in un pozzo. Però Aristotele,
quasi a salvare Talete dalla reputazione di sapiente con la testa fra le nuvole, riportava che,
mentre i suoi contemporanei gli rinfacciavano
l’inutilità della filosofia, egli, avendo previsto
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in base a calcoli astronomici un’abbondante
raccolta di olive, ancora in pieno inverno si era
accaparrato con pochi soldi tutti i frantoi di
Mileto e di Chio così che, quando era giunto
il tempo della raccolta, li aveva affittati a gran
prezzo dimostrando che, se volevano, anche i
filosofi potevano arricchirsi.
Ogni filosofo è vissuto in un preciso ambiente
politico, sociale e culturale e il suo modo di filosofare non si è sottratto a influenze extra-filosofiche. I primi filosofi, mentre cercavano di
dare spiegazioni razionali del mondo che li circondava, vivevano in un contesto dove si praticavano i riti misterici, si veneravano gli dèi,
si facevano delle guerre, esistevano degli
schiavi e degli uomini liberi, si praticava un
certo tipo di medicina. Gran parte della filosofia rinascimentale e post-rinascimentale è
stata influenzata invece dalle scoperte astronomiche di Copernico, Galileo o Keplero. Ciò
vale anche per i filosofi del nostro tempo,
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alcuni dei quali sono stati influenzati dai conflitti sociali, dal sorgere delle dittature, dai
nuovi problemi posti dallo sviluppo della tecnica.
Capire perché in un dato tempo si sia filosofato in un determinato modo è possibile dunque allargando il nostro sguardo a nozioni che
apparentemente non appartengono alla storia
della filosofia ma alla medicina, alle costituzioni politiche, alla fisica, all’astronomia, alle
arti.
Forse ci sono altre e numerose ragioni per capire e studiare la filosofia, ma speriamo che
questi pochi accenni siano sufficienti per invogliarci a comprendere che cosa voglia dire
pensare. Perché il pensare, e il pensare filosofico, è quello che distingue gli uomini dagli
animali.
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